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S iamo arrivati a Sousse, sono le otto di sera. Ho viaggiato sul fuoristrada con Vittorio, Franco era sul furgone con Tarak, i biker sul minibus. All’una siamo partiti da Ksar Ghilane, dopo avere fatto una gita nel deserto fino alla “fortezza romana” - le virgolette sono d’obbligo perché più che una fortezza pare fosse un lupanare -, chi in dromedario, chi in fuoristrada o sulla eBike, poi un bagno ristoratore nella pozza d’acqua sorgiva, un cous cous e oja merguez per tenere a bada i nostri stomaci. Dopo sette ore di viaggio senza sosta siamo a Sousse, ospiti in un hotel che porta il nome mitico di Annibale: qui è tutto storia, dovunque ti giri respiri millenni di vicende epiche e antichità e avvenimenti e misticismo e favola. Cena, sistemazione dei bagagli e delle bici nei mezzi, domattina in aeroporto perché si torna a casa. L’ESSENZIALE È INVISIBILE AGLI OCCHI Siamo felici di aver realizzato un viaggio magnifico e una piccola impresa. Abbiamo attraversato il deserto roccioso (hammada) e sabbioso che ha messo a dura prova la nostra resistenza prima con le pietre quarzose e taglienti che mai lasciavano a riposo le nostre braccia e soprattutto il nostro sacro deretano. Poi abbiamo affrontato il caldo secco e i banchi di sabbia che appesantivano enormemente il passo: «No normal road, but very very offroad», ripetono Giovanni e Africa Tunisia Coast2Coast 39 UN GRUPPO ETEROGENEO DI BIKER SULLE ANTICHE STRADE STERRATE DELLA TUNISIA, 300 CHILOMETRI SU HAMMADA E SABBIA PER EMOZIONI SENZA FINE. di Alessandro Riccardo Tedesco

C2C Tunisia Ottobre 2013

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Mountain Bike World Marzo 2013 Testo e Foto di Alessandro Riccardo Tedesco

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S iamo arrivati a Sousse, sono le otto di sera. Hoviaggiato sul fuoristrada con Vittorio, Franco era sulfurgone con Tarak, i biker sul minibus. All’una siamo

partiti da Ksar Ghilane, dopo avere fatto una gita nel desertofino alla “fortezza romana” - le virgolette sono d’obbligoperché più che una fortezza pare fosse un lupanare -, chi indromedario, chi in fuoristrada o sulla eBike, poi un bagnoristoratore nella pozza d’acqua sorgiva, un cous cous e ojamerguez per tenere a bada i nostri stomaci. Dopo sette ore diviaggio senza sosta siamo a Sousse, ospiti in un hotel cheporta il nome mitico di Annibale: qui è tutto storia, dovunqueti giri respiri millenni di vicende epiche e antichità eavvenimenti e misticismo e favola. Cena, sistemazione deibagagli e delle bici nei mezzi, domattina in aeroporto perché sitorna a casa.

L’ESSENZIALE È INVISIBILE AGLI OCCHISiamo felici di aver realizzato un viaggio magnifico e unapiccola impresa. Abbiamo attraversato il deserto roccioso(hammada) e sabbioso che ha messo a dura prova la nostraresistenza prima con le pietre quarzose e taglienti che mailasciavano a riposo le nostre braccia e soprattutto il nostrosacro deretano. Poi abbiamo affrontato il caldo secco e ibanchi di sabbia che appesantivano enormemente il passo:«No normal road, but very very offroad», ripetono Giovanni e

Afri

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UN GRUPPOETEROGENEO

DI BIKER SULLEANTICHE STRADE

STERRATE DELLA TUNISIA,

300 CHILOMETRI SU HAMMADA

E SABBIA PER EMOZIONI

SENZA FINE.di Alessandro Riccardo Tedesco

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Marco tentando l’approccio con una belle femme al ResidenceDouiret... Abbiamo vissuto come i trogloditi nelle loro casemillenarie, gli ksour, le fortezze con le loro costruzioni adalveoli sovrapposti uno sull’altro dove gli abitantinascondevano i loro raccolti; solcato sentieri che mai avevanovisto le due ruote delle bici, sentieri sacri, che datempo immemore vedono la popolazionepercorrerli per compiere i loro antichi rituali. Erapiti da panorami - neanche a dirlo -mozzafiato: il deserto di pietra e tutt’intorno lebasse colline dalle cime piatte erose nei millennidal forte vento; sulla spianata le tende deinomadi, le pecore, i dromedari al pascolo.Quello che ho visto in questo viaggio in Tunisia,nella terra dei trogloditi, non è quello che sento:«L’essenziale è invisibile agli occhi, ma lo si sentecon il cuore», ripeteva il Piccolo Principe a sestesso. E spero che quaggiù non si faccianocolonizzare totalmente dallo stile occidentale,con tutte le sue deviazioni e insofferenze.

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Le tappe della C2C Tunisia e in basso il venditore ambulante di bici a Tataouine, di dubbia provenienza… (c’era di tutto, da Cannondale a Kona e perfino Pinarello).

GLI ATTORIEravamo nove biker: chi scrive con una bici a pedalata assistita, laLombardo eSestriere, Carmelo (er Cammello) con una front 29,Lorenzo (er Moscone) addirittura con una GT in acciaio del 1991rigida, Roberto con una bici da trekking, Giovanni (Milàn),Giovanni (er Tigre), Marco, Totò e Tarak (la nostra guida local) conle full. Franco era alla guida del van e Vittorio a seguirci con il 4x4.

Prima tappaDA MATMATA A KSAR HALLOUF Dopo avere assicurato l’attrezzatura foto e video sul portapacchiposteriore della ebike e aver controllato che tutto fosse in ordinepartiamo alla volta di Ksar Hallouf, una fortificazione realizzatanel mezzo del deserto roccioso tra Matmata e Tataouine, 75chilometri e molti villaggi da attraversare. Con la bici elettrica c’è subito confidenza, sebbene il carico ne squilibri il baricentro.Primo tratto in asfalto, nella parte in fuoristrada ilcomportamento è egregio e la pedalata assistita funziona a meraviglia, niente di meglio per un biker fuori allenamento e un peso non indifferente: tra bici e bagagli siamo ben sopra i 30 chili (pesata a pieno carico segnerà poi 31.8 kg). Dopo la parte di saliscendi si deve alternare la pedalata reale allapedalata assistita, così che l’energia possa essere sufficiente pertutta la tappa. Questi luoghi, visitati con un mezzo “slow” comela bici, sono tutti da gustare: li vivi pienamente catturandone i

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In senso orario: breve trattodi asfalto verso Guermessanuova, la prima parte della pista tra Chenini e Ksar Ghilane, sull’altipianoche porta a Technine.

Partiamo alla volta di Ksar Hallouf, una fortificazione.realizzata nel mezzo del deserto roccioso.tra Matmata.

e Tataouine, 75 km e molti villaggi da attraversare..

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16 ottobre: ARRIVO A TUNISI, DESTINAZIONE SOUSSE E MATMATA

17 ottobre: MATMATA, TECHNINE, TOUJENE, KSAR HALLOUF, 70 KM

18 ottobre: KSAR HALLOUF, BENI KHDECH,KSAR HADADA, TATAOUINE, 80 KM

19 ottobre: TATAOUINE, CHENINI, GUERMESSA, DOUIRET, 60 KM

20 ottobre: DOUIRET, KSAR GHILANE, 85 KM

21 ottobre: KSAR GHILANE, SOUSSE

22 ottobre: SOUSSE, TUNISI

Il video: HTTP://YOUTU.BE/C78ICGCLI60

Il viaggio del 2012

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Chenini è racchiusa in un semicerchio al cui centro,.in alto, è incastonata la Moschea dei Sette Dormienti..

Il tempo si è fermato, si rimane affascinati, attoniti..

colori, le forme, assaporandone gli odori, apprezzando lapopolazione, vivendo con loro scorci di vita quotidiana che maipotresti far tuoi con mezzi motorizzati. La sera siamo ospiti inun’abitazione berbera, con cena all’aperto nella tenda deinomadi, dopo che il gruppo dei romani con Tarak e Totò siperde nel single track. Il risveglio ai piedi della fortezza di Ksar Hallouf èstupefacente, ci siamo ritrovati immersi in un’oasi fitta dipalme: la sera prima, confusi per i biker dispersi nel deserto etraditi dal buio, non abbiamo notato quello che ci circondava.Così, estasiati da tale meraviglia, saliamo in sella peraffrontare un ulteriore passo verso il Grande Erg Orientale. Maprima una visita al castello: lo ksar, in cima a una spianata suuna collina che sovrasta l’oasi, e tutta l’immensa spianata.

Seconda tappaDA KSAR HALLOUF A TATAOUINEDopo un estenuante tratto fuoristrada in salita è unsusseguirsi di villaggi e vita quotidiana: Beni Kedeche, dovesiamo stati “rapiti” dalla folla che invadeva le strade animatedal mercato locale mentre camioncini che sfidano il tempovengono caricati di capre e pecore. È il periodo della commemorazione del sacrificio di Abramo, i“giorni dell’Adi”, e per questi animali non è una festa... E poiKsar Haddada, El Mecha, El Peroh, Ksar Ouled Soltane,Gomrassen, villaggi ora dormienti ora pieni di vita, di donneche girano sui vecchi Motobecane, che chiamano a raccolta iloro bambini per portarli lontano dalla nostra vista, di uominiintenti ai lavori edili, di scolaretti che - soli - percorrono a piedichilometri e chilometri per raggiungere la scuola o la famiglia.È bello potere assaggiare il territorio che stai visitando.

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Come era 3000 anni fa:Chenini è ancora la stessa;qui sopra Guermessaantica con le sue gorfa; in basso a sinistra la Moschea dei SetteDormienti a Chenini.

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a dividere il tetto con galline, asini, pecore e dromedari. Chenini è racchiusa in un semicerchio al cui centro, in alto, èincastonata la moschea. Mentre con la guida localeMohammed si parla dello stupefacente single track, il“sentiero sacro” a mezza costa che si arrampica sulla crestadella collina per poi giungere a Douiret attraverso l’altopiano, siviene rapiti da questi luoghi magici, ci si abbandona persentirsi parte della storia, momenti che il richiamo del muezzinrende eterni: Hayya ’alas-salat, Hayya ’alal falah, Allahu Akbar,Allahu Akbar, Laa ilaha illallah...Si parte per il sentiero, un cammino lungo, tre ore, la maggiorparte con bici al passo, impossibile da affrontare con la eBike.Ci reincontreremo al “residence” di Douiret, dove estasiati esmarriti i rider racconteranno di avere vissuto un’esperienzaunica: dalla rupe che arriva alle spalle del paese il paesaggio èstato sconvolgente, ipnotico. L’incontro con le famiglie che ancora vivono nelle grotte faritornare a un passato in cui il villaggio era vivo, con ilfermento di umanità di un tempo, con una vita politica socialeed economica pervase da quello spirito universale e religiosotuttora percepibile.

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A Beni Khdech siamo stati “rapiti” dalla folla cheiinvadeva le strade animate del mercato mentre suiicamioncini venivano caricate capre e pecore.i

Ben prima del tramonto arriviamo alla nostra meta, Tataouine,la più grande città del sud della Tunisia dove, questa volta, lacomodità ci attende: stanze con doccia e una meravigliosapiscina, nella cui fresca acqua tutti ci rilassiamo, paghi diun’altra tappa faticosa ma affascinante e misteriosa.

Terza tappaDA TATAOUINE A DOUIRETVerso Guermessa la strada è tutta asfalto, 10 chilometririlassanti, e dopo avere attraversato la città nuova un altroksar si staglia di fronte a noi: il ricamo che orla la cresta dellacollina, come nel villaggio di Ksar Hallouf, è il lascito denso diattività sociali, culturali e religiose delle antiche popolazioni.Raggiungiamo la Valle dei Sette Dormienti e poi Chenini:anche qui lo ksar, ma questo per buona parte è abitato. È un luogo dove ancora le famiglie vivono nelle caverne e nonsembra essere cambiato tanto nei millenni. Se non per lacontaminazione occidentale, che più delle parabole (ma non diquello che ci sta dietro) devasta questo territorio con plastica elattine. Una sovracultura che non appartiene assolutamente aqueste popolazioni, abituate a vivere in simbiosi con la natura,

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Qui sopra il “mare” dicondensa che sommergeMatmata, a fianco lacena al riparo dellatenda berbera, la bici a pedalata assistita in azione e a sinistra lalunga salita che porta da Ksar Hallouf a BeniKhdech. Il dromedarioin alto è scolpito daglielementi naturali...

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DUE SOLE VARIABILI DA GESTIRE:UNA VAGA IDEA DEL DESERTO EQUATTRO GIORNI IN SELLA PERCIRCA 300 CHILOMETRI. FORSEPOCO. MA A GUARDAR BENENELL’INTIMO DELL’ISTINTO,ABBASTANZA PER ESSEREISPIRATI VERSO UNA SOLUZIONE.

Dei motivi filosoficiAbituati in modo patologico a vivere ognidecisione come frutto di una intermina-bile serie di valutazioni, di abnormi quan-tità di dati sempre più facilmente acces-sibili in rete, alla ricerca costante di bi-sogni più che di soddisfazioni, inconsa-pevoli vittime di sbornie tecnologiche -mai richieste e solo imposte - orbate delsenso, del significato e del fine dell’agi-re, offuscate dal “come”, spogliate di ogni“perché”: su tale certezza urge ripartiredalle basi, le origini di un modo diversodi intraprendere un’azione (conseguen-za e unico, possibile sbocco della cultu-ra) per dare ragione - non banale - al “co-m’era un tempo”, quando le “cose” (nonacquistate ma sudate) venivano accan-tonate o gettate non perché obsolete osuperate ma perché semplicemente eobiettivamente non più riparabili. Valu-tazione che in gioventù sfuggiva con so-

lerzia e salutare impulso alla nostra at-tuale, ingiustificata e fin troppo celerenoia, all’incomprensibile esigenza di cam-biare “tanto per cambiare”, incapaci an-che solo di approfondire un semplicisti-co processo di conoscenza con il propriostrumento ciclistico, indifesi dinanzi al-l’ultimo spot dell’ultima novità dell’ulti-ma fiera. A questa schiavitù bisogna opporre ogniesorcismo possibile per la riaffermazio-ne dell’Io attraverso il recupero della pu-rezza del gesto e dello sforzo fisico chesi tramuta in dolore. Ecco la scelta, quin-di: niente sospensioni anteriori e poste-riori. E siccome la ripetitività del gestopedalatorio garantisce il sentire più pro-fondo, la ricerca zen del sé che fonda lesue basi sull’esercizio continuo, assiduo,appare evidente che non ci si può avvi-cinare a tale esercizio dell’anima conl’aiuto di molle, doppie camere, sfinteri,valvole e oli minerali. La purezza, in campo ciclistico, appar-tiene poi al freddo acciaio e - senza te-ma di smentite - a una forcella rigida. Lasilenziosa immutabilità del deserto trac-cia una linea di demarcazione netta e pe-rentoria fra quanto passa e ciò che re-sta: fra il carbonio e l’acciaio. Ma anchefra l’immarcescibile bontà di un’intuizio-

ne che esala in noi dalla scintilla di Infi-nito e il godimento evanescente di unasospensione sotto la sella. Tra i frutti diuna strada di dolore lunga e tortuosa eil meschino senso di piacere di una scor-ciatoia imboccata nell’inganno.Tanto rovello impegnava la mia mentenell’accingermi ad aprire la saracinescadel garage all’atto di decidere quale bi-cicletta dovessi portar con me al di là delMare Nostrum.

Dei motivi tecniciPiù che una sfida, un esperimento. Untest che permettesse di comprendere ap-pieno se un lasso di venti anni fatto diinvenzioni, migliorie e scelte di marke-ting nel settore mtb possano fare davve-ro la differenza. Questo il personalissi-mo obiettivo perseguito in Tunisia, nelraid del sud attraverso fondi sabbiosi,rocce, pietraie smosse, asfalto a granagrossa e single track ai limiti del percor-ribile. La scelta è caduta sulla GT Kara-koram nel mio garage dal 1991, annodella sua creazione e del mio acquisto.Sfoderata e tirata a lucido per l’occasio-ne, ha suscitato sin da subito non pocailarità tra i compagni di viaggio. Ma il«Non ti curar di loro...» di dantesca me-moria mi riportava a ogni motteggio, di-leggio o lazzo alla sostanza della mia GT:gli indubbi pregi di un telaio saldato in-teramente in Giappone con tubi Tange atriplo spessore e l’inconfondibile triplotriangolo, marchio di fabbrica delle stra-ordinarie intuizioni - non solo telaistiche- di Gary Turner, illuminato biker e pro-duttore che tanto ha contribuito alla sto-ria e all’evoluzione della mountain bike. La bici in oggetto si presentava assem-blata, ai nastri di partenza tunisini, concomponenti d’epoca: guarnitura triplaShimano Deore XT 46-36-28, cassettapignoni XT 13-32 7v, freni V-Brake Shi-mano serie oro LX, comandi e cambioDeore XT, mozzi Shimano DX, cerchi Ara-

ya RM20 a 32 fori. Uniche, ovvie e im-prescindibili concessioni alla modernitàerano i raggi ACI, la sella SMP Extra, ipedali Shimano SPD, le leve freno CaneCreek, gli pneumatici Continental Moun-tain King e Schwalbe Racing Ralph. Il manubrio merita una menzione a par-te. In un certo senso ha rappresentatoun esperimento nell’esperimento. La cur-va è una Salsa Woodchipper da 46 cen-timetri, una “drop bar” simile nella for-ma a quelle da strada che sulla carta siannunciava eccellente per comfort sullelunghe percorrenze, permettendo di as-sumere numerose posizioni diverse concui affrontare le variegate situazioni incui ci si imbatte in un viaggio on-off ro-ad con tappe lunghe fino a 8-10 ore. Lascelta determinava anche il montaggioobbligato di leve freno tipo strada, in gra-do di avere sufficiente forza e tiro per ifreni V-brake, di qui l’assemblaggio del-le ergonomiche Cane Creek.

Su stradaSi parte e già a Matmata la GT desta ina-spettata curiosità tra i bambini in stra-da; guardano incuriositi le strane formedi quella che verrà battezzata per tuttoil viaggio “il Moscone” per via del colo-re nero opaco e della forma del manu-brio, che sembra richiamare le antennedi una enorme mosca. Chilometro dopochilometro iniziano a filtrare le primeimpressioni, i tratti di strada percorsi sul-l’asfalto sono superati con grande disin-voltura grazie alla possibilità di assume-re una posizione “stradististica”, con bu-sto e schiena ben distesa, mani poggia-te sui comandi e sviluppo di pedalata ro-tonda ed efficiente. In salita, poi, “en dan-seuse”, la combinazione tra carro mol-to corto e presa stile strada si rivela as-solutamente vincente. Si avvicinano i primi sterrati e la curio-sità di vedere all’opera la GT cresce dimetro in metro. All’anteriore ho optato

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UNA GT KARAKORAM PER RIPARTIRE DALLE BASI

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senza tentennamenti per un MountainKing a sezione larga da 2.4 pollici al fi-ne di garantire un volume d’aria moltoampio e poter conseguentemente sce-gliere come affrontare i fondi diversi. Ta-le intuizione si rivelerà decisiva per ilcomfort su terreni duri e accidentati, lapressione portata a 2.2 bar su asfaltoviene drasticamente diminuita fino allametà sulle pietraie. Noto sin da subitoche la forcella, non particolarmente lun-ga, non smorza del tutto le vibrazioni,vuoi per la geometria dei forcellini vuoiper il pessimo connubio con i cerchi Ara-ya. È qui che la Conti da 2.4 fa la diffe-renza. Perdo un po’ di tempo ad abbas-sare la pressione fino a trovare il giustocompromesso in cui la gomma lima estempera l’attitudine alla rigidità del duoforcella+cerchio. Al posteriore la Schwal-be Racing Ralph lavora bene a pressio-ni variabili tra 1 e 1.5 bar. La sezione diquesta gomma, 2.1 pollici, è la massimaammessa dal passaggio ruota. Sfiora in-fatti i foderi richiedendo una perfetta cen-tratura del cerchio. Su entrambe le ruo-te - inutile dirlo - sono state utilizzate ca-mere d’aria per l’impossibilità di latticiz-zare i cerchi vintage. La possibilità discendere fino a 1 bar di pressione rega-la un cambiamento radicale di compor-

tamento nel suo complesso. Si percorro-no senza timore sia gli sterrati sia i sen-tieri più infidi, a rocce e lastroni, a pattodi ricordare e applicare le vecchie e buo-ne regole della guida di un tempo: dinan-zi a massi in sequenza il peso va drasti-camente spostato indietro, sella all’altez-

za dell’ombelico, manubrio impugnatocon delicatezza (quasi a sfiorarlo tra ledita) e soprattutto lasciato libero di “gal-leggiare” sulle pietre. In tal modo le vi-brazioni non vengono trasmesse allebraccia, attendendo che si smorzino dasé tra ruota, forcella e manubrio.Dove si paga pegno è sicuramente sullecunette ripetute. Nell’ultima tappa, la piùdura (anche dal punto di vista mentale),un terreno pianeggiante formato per ol-tre 70 km da piccole protuberanze di sab-bia compatta (tôle ondulée), ha costituitoil più difficile e inatteso degli ostacoli. Ta-le situazione, invero, mi ha permesso dimettere a fuoco un altro aspetto interes-sante: il gap temporale e l’evoluzione tec-nica sono chiare e palesi nel feedbackdelle ruote. I cerchi Araya RM20 sonostati sicuramente l’anello debole, duri co-me macigni restituivano ogni singolo col-po dal basso. Di contro, non hanno ga-rantito la resistenza e l’affidabilità chemi attendevo e per cui erano noti neglianni Novanta: dopo il primo single trackil cerchio posteriore, complice anche labassa pressione delle gomme, si è defor-mato irrimediabilmente. Per quanto al telaio non si può che tes-serne le lodi. Solido, reattivo, comodo, in-verosimilmente robusto, pressoché indi-

struttibile come solo l’acciaio e il titaniosanno essere. Il disegno a triplo triango-lo permette di avere un carro posterio-re particolarmente rigido e reattivo. Lecaratteristiche dell’acciaio si prodiganoaffinché nessun dazio si paghi in termi-ni di comfort, quindi telaio reattivo e ver-

tebre in salvo. Negli anni Novanta, aglialbori della storia della mtb, in una fasepionieristica, la tendenza dei produttoriprivilegiava la robustezza più che darsoddisfazione ai grammomaniaci, e il pe-so di questo telaio ne è chiara testimo-nianza. Sappiamo inoltre quanto in unabici da viaggio, cui non si precluda nul-la, nemmeno radicali e impegnative di-vagazioni “off”, il parametro “peso” siadel tutto secondario. La bontà delle geo-metrie e del progetto sono emerse poisui frequenti banchi di sabbia, dove a piùriprese la GT è transitata con l’equilibrioe la leggiadria di una ballerina classica. I componenti Shimano, per lo più DeoreXT, rappresentavano all’epoca il top digamma. Stupiscono e lasciano basiti laprecisione del cambio, lo stile user-frien-dly dei comandi a leva sopramanubrio eil loro impeccabile connubio che - comenoto - rappresentò una svolta epocalenella produzione dei componenti dedica-ti. Ma veniamo al manubrio, il compo-nente che più di ogni altro ha dato inop-portuno e gratuito spunto alle battute deicompagni di viaggio, invero inconsape-voli si trattasse di un accessorio moder-no, appropriato su una mtb e assoluta-mente di nicchia. Un oggetto di culto perchi ne subisce l’indubbio fascino. Rifarei

la scelta. Le potenzialità di questa curvain uso on-off sono straordinarie e anco-ra troppo poco note ai più. Parlare di “giu-sto mezzo” non le rende merito: già det-to dei benefici dell’uso su strada, in offl’aspetto più gratificante si trova in pre-sa bassa, larga all’esterno, in modo ap-

parentemente smodato, un’impugnaturache si posiziona all’altezza della parte al-ta del tubo di sterzo. Accade così che sirimanga stupiti di quanto, con naturalez-za, si riesca a rimanere bassi con il bu-sto e in punta di sella evitando, senzal’ausilio di equilibrismi precari, di scari-care le ruote a danno della trazione. Que-sto si è tradotto, nel caso specifico, in unagrande efficienza di pedalata grazie an-che al carro corto della Karakoram e al-la rigidità del triangolo posteriore, par-ticolarmente ridotto in dimensioni.

Considerazioni conclusiveÈ vero, sono passati vent’anni e non pos-siamo negare che con una bella full ci siponga al riparo da sorprese e potenzia-li dolori alla schiena e alle ginocchia. Manon sempre si ha gusto a vincere facile.Giunto a Ksar Gilane, nel mentre varca-vo al tramonto le porte del grande de-serto, quello dell’immaginario collettivo,ovvero il Grande Erg, il pensiero corre-

va all’idea che forse il progresso ci im-pedisce una conoscenza approfonditapoiché accelera in modo inumano il con-sumo delle sensazioni, senza che que-sto significhi viverle. Ritornare all’accia-io della Karakoram, a pesi e vibrazionidimenticate, a regolazioni facili e privedi chiavi apposite mi ha felicemente ri-cordato quanta genuina disponibilitàd’animo vi fosse verso la voglia di anda-re semplicemente e ovunque in bici, aprescindere dal mezzo da inforcare. Ho pensato alla mia ridicola e inutile“flotta” in garage, ogni bici con una de-stinazione d’uso differente: un sorrisobeffardo rivolto a me stesso è apparsosul mio viso. Perché l’importante è andare, provare,sperimentare, sentire e - fondamentaledirlo - nemmeno per sogno, semplice-mente avere. Insomma, con un telaio vin-tage rigorosamente in acciaio e compo-nenti affidabili si arriva anche in capo almondo, con sommo divertimento e sod-disfazione enorme. Ma ciò che più im-porta, con tutto se stesso e non sempli-cemente insieme alla bici. Un recuperodi morigeratezza e semplicità di costu-mi tanto coerenti con il nostro momen-to storico. E poi, vuoi mettere il fascino?

Si può decidere di percorrere la Parenzana anche a scopo.culinario: ne vale la pena, le specialità sono numerose .e ampia è la scelta delle locande dove fermarsi. .

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La guida Tarak e la Valle dei Santi Marabutti;a fianco lo sbarco al porto di Tunisi, La Goulette.

Quarta tappaDA DOUIRET ALL’OASI DI KSAR GHILANE Due ore di sonno, forse. Il tratto in asfalto è breve, 15 chilometria ritroso per Chenini, poi la deviazione per la pista verso KsarGhilane. È subito deserto ma non totalmente sabbioso, misto:la traccia è in quota, circa 350 metri, e permette anche alle bicidi essere percorsa. Ci addentriamo, capiamo che non sarà unasemplice pedalata, neanche per me che ho l’assistenza delmotore elettrico. Percorsi i primi chilometri il panorama nonvaria, solo pietre e deserto, sabbia e cespugli qua e là;fortunatamente il cielo è velato e il sole non insiste conviolenza. Ma si sente, si sente nella nostra gola sempre secca,e non basta bere in continuazione, dobbiamo tenere l’acqua inbocca per potere trovare un po’ di sollievo: è tanta l’acqua chebeviamo, più di un litro ogni 10 chilometri. Ogni tanto ci toccascendere dalla bici, i banchi di sabbia sono più numerosi eoccupano la pista anche per lunghi tratti, la eBike prosegue inmodalità Tour rischiando di consumare tutta l’energia, ma vaavanti anche sulla sabbia. Ci fermiamo dopo aver percorsocirca 40 chilometri, come allucinati: abbiamo negli occhi eimpresso nella mente solo il nulla, niente, il vuoto dipinto digiallo. Il deserto. È una piccola casetta su un promontorio, fermi ci sono deidromedari che pascolano; anche noi mangiamo qualcosa, unpranzo necessariamente molto fugace, pane tonno e cipollasul fuoristrada. Non si vede alcuna oasi all’orizzonte, KsarGhilane è ancora lontana, 30 chilometri; ancora. I ragazzisono andati con le bici a mescolarsi tra i dromedari, sonotanti, sparsi un po’ dovunque. In disparte il pastore, che liosserva e controlla da lontano (il pastore nomade e unfuoristrada con a bordo una coppia spagnola sono le unicheanime vive che abbiamo incontrato su questa pistadimenticata. Più tardi sapremo che mai nessuno prima di noi

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infoCoast2Coast è un gruppo di appassionatidelle due ruote che da anni organizza viaggiin Sicilia e nel Mediterraneo attraversoitinerari sconosciuti al turismo di massa. La prossima edizione della Coast2CoastTunisia è tra un mese, dal primo al 6 aprile2013. www.coast2coast.itwww.facebook.com/coast2coastbiketourwww.twitter.com/coast2coastbike � 328 4 561 237.Il diario di viaggio con la eBike:http://www.rinnovabili.it/mobilita/ebike-tunisia-attraverso-le-montagne51345A novembre la C2C Marocco, dall’Atlas alSahara, il calendario su www.coast2coast.it

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Il Residence Douiret, ricavato in partenelle rovine di Douiret;

qui sotto relax nella pozza di acquadell’oasi di Ksar Ghilane.

Un doveroso grazie ai sette partecipanti e all’organizzazione della Tunisia C2C:Vittorio Zunardi, lo “Svizzero” alla guida del fuoristrada; Tarak Basly,

l’interfaccia indispensabile con il territorio; Franco, che ha percorso avanti eindietro col piccolo furgone appoggio quelle stesse tracce che lui ha

sapientemente elaborato; a Lombardo Bikes, Ortlieb e FSA per i materiali forniti.

aveva raggiunto Ksar Ghilane in bici da questo tracciato). All’Oasi si arriva da Douz con i fuoristrada o da Matmatasull’asfalto, ma da questa pista che viene da Chenini no, no!Beh, ce l’abbiamo fatta: nove ore di bici, 85 chilometri percorsidei quali 70 in pieno deserto, siamo provati fisicamente masoprattutto svuotati mentalmente. Ognuno di noi non avevache il desiderio di acqua frizzante e di un buon boccale di birra.A fiumi! O meglio, la nostra meritata piscina d’acqua sorgiva,dove ci tuffiamo e sguazziamo per tutta la serata, l’impresa ècompiuta. Davanti al monitor scorre il viaggio, quei posti, queibambini, quella gente che spesso ci ha lasciati senza fiato avagare tra i pensieri, a guardare e scavare nel nostro intimocome raramente avevamo fatto, non importa se credenti o no.Lì c’è la storia dell’uomo di cui ci siamo sentiti parte, c’èl’essenza della vita che ci siamo sentiti dentro. Lì dove tutto èessenziale. Se non nulla. __.

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All’oasi di Ksar Ghilane si arriva con i fuoristrada da Douz,.ci attende la meritata piscina di acqua sorgiva dove ci.

tuffiamo e sguazziamo per tutta la serata, impresa compiuta..TunisiaCoast2Coast