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GIOVEDÌ 15 APRILE 2010 il manifesto pagina 15 Calabria Antonello Mangano REGGIO CALABRIA I l corteo del “No mafia day” attra- versa corso Garibaldi, la via princi- pale di Reggio Calabria. «Noi sia- mo di più», scandisce una signora che regge lo striscione. Più dei mafiosi, in- tende dire. Non sa che poche ore pri- ma – il 12 marzo – migliaia di persone rendevano omaggio alla salma del boss Domenico Serraino, sfidando - magari senza consapevolezza - il divie- to della Questura. Alla manifestazione antimafia, invece, partecipavano po- che centinaia di cittadini, al massimo 300 persone. Molte meno al comizio fi- nale in piazza Duomo. Un accosta- mento imbarazzante ma rivelatore di un contesto dove la mafia gode anco- ra di un vasto consenso popolare. La polizia reggina aveva proibito il trasporto della salma del boss Domeni- co Serraino «in forma pubblica e solen- ne». «Abbiamo saputo del funerale so- lo perché la Questura ha diramato una nota – cinque righe – per dire che era stato vietato il corteo funebre», ci dice Giuseppe Baldessarro, cronista reggi- no, nel suo ufficio a due passi dal Duo- mo. È stato l’unico a dare la notizia, ma ha trovato spazio solo sulle crona- che locali de Il quotidiano. Neppure la lettera di minacce con proiettili ha avuto risalto sui media. «Non andare più avanti», gli hanno scritto a febbra- io. Lui invece continua a fare il suo me- stiere: dare le notizie. «Al funerale c’erano, secondo una mia stima, alme- no millecinquecento persone, nell’ar- co della giornata ne saranno passate molte di più. Anche a casa dei Serrai- no c’era tantissima gente, nel pomerig- gio. Immagino che potevano essere anche quattromila. In termini formali, il corteo pubblico non c’è stato. Nessu- na regola, dunque, è stata infranta». Gente da Vibo, Cosenza, Messina, Catanzaro. Bastava dare un’occhiata alle targhe delle automobili parcheg- giate. Persone di tutti i tipi: affiliati di famiglie di mafia così come persone comuni – donne, giovani - che rende- vano omaggio alla “famiglia” così co- me alla persona che conta, al perso- naggio carismatico. C’era tutto il quar- tiere. Magari per timore, per evitare che qualcuno dicesse: «Lui non c’era». Il boss della Montagna Serraino è un nome che riporta alla memoria le ferite senza rimedio della città di Reggio Calabria. Non basteran- no cento Scopelliti – il neoeletto presi- dente della Regione che da sindaco ha curato molto l’immagine proponendo l’idea di “città turistica” – a guarire le cicatrici invisibili della spaventosa guerra di mafia che in circa in sei anni fece da 700 a 1000 morti. Neppure il numero esatto delle vittime si cono- sce. Nessuno ha voglia di ricordare quell’elenco spaventoso che neanche il più cinico dei commentatori potreb- be liquidare col tradizionale «si am- mazzano tra loro». Perché morirono tantissimi innocenti. Ragazzini, paren- ti di altre vittime, testimoni. I Serraino furono grandi protagoni- sti della guerra. Controllano la zona sud e preaspromontana della città, da San Sperato a Gambarie. Presenti an- che a Milano, si occupano di traffico di stupefacenti e armi, di tutti i tipi. Una volta furono loro sequestrati alcu- ni missili anticarro pronti per essere usati contro i clan rivali. Un altro dei loro traffici fu sgominato grazie a una donna calabrese, parente dei Serrai- no, che nel 1993 arrivò a testimoniare contro la sua stessa famiglia, compre- sa la madre. Fu la fine di un affare che nei momenti prosperi movimentava 150 chili di eroina la settimana. Il boss Domenico è morto a 65 anni, nel suo letto e per un male incurabile. Da due anni era agli arresti domicilia- ri. Aveva un curriculum criminale di ri- lievo: trent’anni per associazione ma- fiosa e omicidio, fu arrestato nel ’95 nell’ambito dell’operazione Olimpia. La guerra dicevamo. Una vera guer- ra civile. I Serraino erano alleati dei Condello contro i De Stefano-Libri, sei anni di fuoco dal 1985 al 1991. Tra i caduti, Letterio Nettuno, 15 anni, col- legato proprio ai Serraino e catturato, ucciso e sotterrato sotto cinquanta chi- logrammi di calce viva nella zona di Ravagnese, dalle parti dell’aeroporto. Solo perché aveva fatto il palo durante un altro agguato – fallito - contro un’auto blindata. Duecentomila lire il compenso, pagato a un prezzo carissi- mo. Don Ciccio Serraino era “il boss della Montagna”, un capo storico del- la provincia. Fu ucciso in un letto di ospedale nel 1986, insieme al figlio, nel giorno di San Giorgio, patrono del- la città. Dopo la sua morte, i fratelli presero il posto ai vertici della ‘ndrangheta: tra questi Domenico. Don Demetrio Serraino – cugino del “boss della Montagna” - fu ucciso in- vece nel 1988 nel salone del barbiere, come nei film, in risposta all’omicidio di Pasquale Rocco Libri, ammazzato in carcere da un cecchino dalla mira olimpionica che sparò da 140 metri. «"Oggi accu’ ‘mmazzaru?". A Reggio si è combattuta una vera guerra, sen- za prigionieri, senza patteggiamenti, senza pentiti, senza delazioni, senza regole, con grande spreco di kalash- nikov, di auto blindate, di astuzie guer- rigliere, con le cosche, le sottocosche, le famiglie della mafia, dai vecchi ai bambini, impietosamente schierate, divenute solo strutture militari», scri- veva Corrado Stajano sul Corriere del- la Sera del 20 febbraio 1992. «Molti se ne sono andati da Reggio, per il riget- to, per la paura. La popolazione, dal- l’81 al ‘90, è passata, anche per que- sto, da 192 mila a 178 mila abitanti». Non c’è reggino che in quegli anni non abbia visto o sentito parlare di morti ammazzati. Quando i killer di Villa San Giovan- ni, un paese a nord di Reggio, predi- sposero una macchina al tritolo accan- to all’auto di Nino Imerti («nano fero- ce») non avevano idea di cosa avrebbe- ro scatenato. Era l’11 ottobre del 1985. La vendetta arriva dopo 48 ore. Paolo Di Stefano vive – da latitante – nel suo quartiere, che si chiama Archi. Gli spa- rano mentre si trova sulla sua vespa. Tutto nacque dagli interessi per il Pon- te sullo Stretto. Si disse che i terreni di Villa sarebbero stati interessati dai cantieri. E che bisognava metterci le mani, a qualunque costo. Le madri dei mafiosi I giovani vestiti di viola sfilano per le strade di Reggio. Scandiscono slo- gan contro i mafiosi. Non vogliono ac- cettare il predominio delle ‘ndrine. Sull’onda della giornata contro Berlu- sconi, hanno organizzato un “No Ma- fia Day”. Slogan semplici, organizza- zione basata su Facebook, sterili dibat- titi sulla politicizzazione. Sono tanti in una città dove l’antimafia non è mai veramente nata, pochissimi se con- frontati alla folla dei funerali. Ma quale fascino potrà mai avere su una persona normale, cioè non inseri- ta direttamente nelle ‘ndrine, l’omag- gio a Serraino, che inevitabilmente ri- chiama questo delirio di cadaveri, cru- deltà, disperazione, vendette? Dei fan- tomatici vecchi valori dell’“onorata so- cietà” non rimane neanche l’ombra. E nonostante i luoghi comuni, le ‘ndrine non portano neppure ricchez- za diffusa: Nicola Gratteri, scrittore e magistrato della Dda di Reggio Cala- bria, ci ha scritto un libro, “Il grande inganno”. I generali intascano tutto, ai soldati restano pochi spiccioli e il so- gno cinematografico e irraggiungibile di ville, yacht e macchinone. La realtà è invece piombo rovente, sangue, fa- me e miseria. In tre parole: ospedale, tribunale, cimitero. Chi sopravvive, en- tra nella mafia da morto di fame e tale rimane. Nei quartieri ad alta densità criminale non si vedono segni tangibi- li di ricchezza diffusa, ma solette catra- mate, scheletri di cemento armato, fer- ri sporgenti da pilastri degli edifici pe- rennemente in costruzione. Giuseppe Lavora, sindaco di Rosar- no dal 1994 al 2003, ci racconta le cam- pagne elettorali del Pci negli anni ’80. «Lo scontro era nelle piazze. Andava- mo nei quartieri in massa, dicevamo alle madri: "Non date i voti alla mafia, perché - mentre essa si arricchisce - mette in pericolo i vostri figli, che at- tratti dalle sue lusinghe vengono utiliz- zati e uccisi"». Oggi più nessuno va nei quartieri marginali, a costruire al- ternative. Sembra che basti invocare manette e installare impianti di video- sorveglianza. E nascondere, con imba- razzo, l’assurdo consenso popolare di cui godono i boss. www.terrelibere.org CALABRIA Attentato a sindaco nel cosentino TERRITORI A Reggio Calabria all’inizio di marzo in appena 300 sfilavano per il «No mafia day». Poche ore prima, migliaia di persone avevano sfidato il divieto della Questura partecipando ai funerali di Domenico Serraino, fratello del «boss della montagna», esponente della famiglia protagonista di una guerra da mille morti altra italia CHI SONO I CITTADINI CHE OMAGGIANO IL BOSS? MAFIA E ANTIMAFIA FOTO EMBLEMA, SOTTO FOTO SALMOIRAGO Persone non identificate, utilizzando una pala mec- canica, hanno distrutto l’altra notte a Mirto Crosia, nel cosentino, la sede di un circolo nautico di pro- prietà della moglie dell'ex sindaco, Antonio Russo. A scoprire l'episodio di matrice intimidatoria sono stati i carabinieri intervenuti nella frazione marina del paese che hanno trovato ancora in moto la pala meccanica utilizzata e che è di proprietà di una ditta impegnata in lavori di pulizia della spiag- gia. Nessuna traccia degli autori del danneggia- mento. I danni, secondo una prima stima fatta dall'ex sindaco Russo, ammonterebbero a 70 mila euro. Completamente distrutte le attrezzature spor- tive presenti nell'edificio. Secondo Russo l'intimida- zione è da legare alla sua attività politica. Russo, dopo avere ricoperto la carica di sindaco, siede oggi nei banchi dell'opposizione.

Calabria. Mafia e antimafia

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Il manifesto, 15 aprile 2010

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Page 1: Calabria. Mafia e antimafia

GIOVEDÌ 15 APRILE 2010 il manifesto pagina 15

CalabriaAntonello ManganoREGGIO CALABRIA

I l corteo del “No mafia day” attra-versa corso Garibaldi, la via princi-pale di Reggio Calabria. «Noi sia-

mo di più», scandisce una signora cheregge lo striscione. Più dei mafiosi, in-tende dire. Non sa che poche ore pri-ma – il 12 marzo – migliaia di personerendevano omaggio alla salma delboss Domenico Serraino, sfidando -magari senza consapevolezza - il divie-to della Questura. Alla manifestazioneantimafia, invece, partecipavano po-che centinaia di cittadini, al massimo300 persone. Molte meno al comizio fi-nale in piazza Duomo. Un accosta-mento imbarazzante ma rivelatore diun contesto dove la mafia gode anco-ra di un vasto consenso popolare.

La polizia reggina aveva proibito iltrasporto della salma del boss Domeni-co Serraino «in forma pubblica e solen-ne». «Abbiamo saputo del funerale so-lo perché la Questura ha diramato unanota – cinque righe – per dire che erastato vietato il corteo funebre», ci diceGiuseppe Baldessarro, cronista reggi-no, nel suo ufficio a due passi dal Duo-mo. È stato l’unico a dare la notizia,ma ha trovato spazio solo sulle crona-che locali de Il quotidiano. Neppure lalettera di minacce con proiettili haavuto risalto sui media. «Non andare

più avanti», gli hanno scritto a febbra-io. Lui invece continua a fare il suo me-stiere: dare le notizie. «Al funeralec’erano, secondo una mia stima, alme-no millecinquecento persone, nell’ar-co della giornata ne saranno passatemolte di più. Anche a casa dei Serrai-no c’era tantissima gente, nel pomerig-gio. Immagino che potevano essereanche quattromila. In termini formali,il corteo pubblico non c’è stato. Nessu-na regola, dunque, è stata infranta».

Gente da Vibo, Cosenza, Messina,Catanzaro. Bastava dare un’occhiataalle targhe delle automobili parcheg-giate. Persone di tutti i tipi: affiliati difamiglie di mafia così come personecomuni – donne, giovani - che rende-vano omaggio alla “famiglia” così co-me alla persona che conta, al perso-naggio carismatico. C’era tutto il quar-tiere. Magari per timore, per evitareche qualcuno dicesse: «Lui non c’era».

Il boss della MontagnaSerraino è un nome che riporta alla

memoria le ferite senza rimedio dellacittà di Reggio Calabria. Non basteran-no cento Scopelliti – il neoeletto presi-dente della Regione che da sindaco hacurato molto l’immagine proponendol’idea di “città turistica” – a guarire lecicatrici invisibili della spaventosaguerra di mafia che in circa in sei annifece da 700 a 1000 morti. Neppure ilnumero esatto delle vittime si cono-sce. Nessuno ha voglia di ricordarequell’elenco spaventoso che neancheil più cinico dei commentatori potreb-be liquidare col tradizionale «si am-

mazzano tra loro». Perché morironotantissimi innocenti. Ragazzini, paren-ti di altre vittime, testimoni.

I Serraino furono grandi protagoni-sti della guerra. Controllano la zonasud e preaspromontana della città, daSan Sperato a Gambarie. Presenti an-che a Milano, si occupano di trafficodi stupefacenti e armi, di tutti i tipi.Una volta furono loro sequestrati alcu-ni missili anticarro pronti per essereusati contro i clan rivali. Un altro deiloro traffici fu sgominato grazie a unadonna calabrese, parente dei Serrai-no, che nel 1993 arrivò a testimoniarecontro la sua stessa famiglia, compre-sa la madre. Fu la fine di un affare chenei momenti prosperi movimentava150 chili di eroina la settimana.

Il boss Domenico è morto a 65 anni,nel suo letto e per un male incurabile.Da due anni era agli arresti domicilia-ri. Aveva un curriculum criminale di ri-lievo: trent’anni per associazione ma-fiosa e omicidio, fu arrestato nel ’95nell’ambito dell’operazione Olimpia.

La guerra dicevamo. Una vera guer-ra civile. I Serraino erano alleati deiCondello contro i De Stefano-Libri,sei anni di fuoco dal 1985 al 1991. Tra icaduti, Letterio Nettuno, 15 anni, col-legato proprio ai Serraino e catturato,ucciso e sotterrato sotto cinquanta chi-

logrammi di calce viva nella zona diRavagnese, dalle parti dell’aeroporto.Solo perché aveva fatto il palo duranteun altro agguato – fallito - controun’auto blindata. Duecentomila lire ilcompenso, pagato a un prezzo carissi-mo. Don Ciccio Serraino era “il bossdella Montagna”, un capo storico del-la provincia. Fu ucciso in un letto diospedale nel 1986, insieme al figlio,nel giorno di San Giorgio, patrono del-la città. Dopo la sua morte, i fratellipresero il posto ai vertici della‘ndrangheta: tra questi Domenico.Don Demetrio Serraino – cugino del“boss della Montagna” - fu ucciso in-vece nel 1988 nel salone del barbiere,come nei film, in risposta all’omicidiodi Pasquale Rocco Libri, ammazzatoin carcere da un cecchino dalla miraolimpionica che sparò da 140 metri.

«"Oggi accu’ ‘mmazzaru?". A Reggiosi è combattuta una vera guerra, sen-za prigionieri, senza patteggiamenti,senza pentiti, senza delazioni, senzaregole, con grande spreco di kalash-nikov, di auto blindate, di astuzie guer-rigliere, con le cosche, le sottocosche,le famiglie della mafia, dai vecchi aibambini, impietosamente schierate,divenute solo strutture militari», scri-veva Corrado Stajano sul Corriere del-la Sera del 20 febbraio 1992. «Molti se

ne sono andati da Reggio, per il riget-to, per la paura. La popolazione, dal-l’81 al ‘90, è passata, anche per que-sto, da 192 mila a 178 mila abitanti».Non c’è reggino che in quegli anninon abbia visto o sentito parlare dimorti ammazzati.

Quando i killer di Villa San Giovan-ni, un paese a nord di Reggio, predi-sposero una macchina al tritolo accan-to all’auto di Nino Imerti («nano fero-ce») non avevano idea di cosa avrebbe-ro scatenato. Era l’11 ottobre del 1985.La vendetta arriva dopo 48 ore. PaoloDi Stefano vive – da latitante – nel suoquartiere, che si chiama Archi. Gli spa-rano mentre si trova sulla sua vespa.Tutto nacque dagli interessi per il Pon-te sullo Stretto. Si disse che i terreni diVilla sarebbero stati interessati daicantieri. E che bisognava metterci lemani, a qualunque costo.

Le madri dei mafiosiI giovani vestiti di viola sfilano per

le strade di Reggio. Scandiscono slo-gan contro i mafiosi. Non vogliono ac-cettare il predominio delle ‘ndrine.Sull’onda della giornata contro Berlu-sconi, hanno organizzato un “No Ma-fia Day”. Slogan semplici, organizza-zione basata su Facebook, sterili dibat-titi sulla politicizzazione. Sono tanti inuna città dove l’antimafia non è maiveramente nata, pochissimi se con-frontati alla folla dei funerali.

Ma quale fascino potrà mai avere suuna persona normale, cioè non inseri-ta direttamente nelle ‘ndrine, l’omag-gio a Serraino, che inevitabilmente ri-chiama questo delirio di cadaveri, cru-deltà, disperazione, vendette? Dei fan-tomatici vecchi valori dell’“onorata so-cietà” non rimane neanche l’ombra. Enonostante i luoghi comuni, le‘ndrine non portano neppure ricchez-za diffusa: Nicola Gratteri, scrittore emagistrato della Dda di Reggio Cala-bria, ci ha scritto un libro, “Il grandeinganno”. I generali intascano tutto,ai soldati restano pochi spiccioli e il so-gno cinematografico e irraggiungibiledi ville, yacht e macchinone. La realtàè invece piombo rovente, sangue, fa-me e miseria. In tre parole: ospedale,tribunale, cimitero. Chi sopravvive, en-tra nella mafia da morto di fame e talerimane. Nei quartieri ad alta densitàcriminale non si vedono segni tangibi-li di ricchezza diffusa, ma solette catra-mate, scheletri di cemento armato, fer-ri sporgenti da pilastri degli edifici pe-rennemente in costruzione.

Giuseppe Lavora, sindaco di Rosar-no dal 1994 al 2003, ci racconta le cam-pagne elettorali del Pci negli anni ’80.«Lo scontro era nelle piazze. Andava-mo nei quartieri in massa, dicevamoalle madri: "Non date i voti alla mafia,perché - mentre essa si arricchisce -mette in pericolo i vostri figli, che at-tratti dalle sue lusinghe vengono utiliz-zati e uccisi"». Oggi più nessuno vanei quartieri marginali, a costruire al-ternative. Sembra che basti invocaremanette e installare impianti di video-sorveglianza. E nascondere, con imba-razzo, l’assurdo consenso popolare dicui godono i boss.

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CALABRIAAttentato a sindaconel cosentino

TERRITORI

A Reggio Calabria all’iniziodi marzo in appena 300sfilavano per il «No mafiaday». Poche ore prima,migliaia di personeavevano sfidato il divietodella Questurapartecipando ai funeralidi Domenico Serraino,fratello del «boss dellamontagna», esponentedella famiglia protagonistadi una guerra da mille morti

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CHI SONO I CITTADINICHE OMAGGIANO IL BOSS?

MAFIA E ANTIMAFIA

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SOTTO FOTOSALMOIRAGO

Persone non identificate, utilizzando una pala mec-canica, hanno distrutto l’altra notte a Mirto Crosia,nel cosentino, la sede di un circolo nautico di pro-prietà della moglie dell'ex sindaco, Antonio Russo.A scoprire l'episodio di matrice intimidatoria sonostati i carabinieri intervenuti nella frazione marinadel paese che hanno trovato ancora in moto lapala meccanica utilizzata e che è di proprietà diuna ditta impegnata in lavori di pulizia della spiag-gia. Nessuna traccia degli autori del danneggia-mento. I danni, secondo una prima stima fattadall'ex sindaco Russo, ammonterebbero a 70 milaeuro. Completamente distrutte le attrezzature spor-tive presenti nell'edificio. Secondo Russo l'intimida-zione è da legare alla sua attività politica. Russo,dopo avere ricoperto la carica di sindaco, siedeoggi nei banchi dell'opposizione.