103
] MARGINI [ 65 [ STAMPA ALTERNATIVA ]

Canapa indiana 5/12/05 - classicistranieri.com · Giorgio Samorini,che ha avuto la gentilezza di anti-ciparmi le conclusioni del suo libro sulla storia della cannabis in Italia; 1

Embed Size (px)

Citation preview

]M A R G I N I[65

[ S T A M P A A L T E R N A T I V A ]

CCAANNAAPPAA

AAIINNDDIIAANNAA

BREVE MA VERIDICASTORIADELLA CANAPA INDIANA

DANIELE PIOMELLI

direzione editorialeM arcel lo Baraghini

progetto graficoAnyone!

impaginazioneRoberta Ross i

stampaGraf f i t i srl Roma

© 2006 - Nuovi Equi l ibri

Casella Postale 97 - 01100 Viterbo

e-mail [email protected]

sito http //www.stampalternativa.it

Daniele Piomelli si è dottorato in farmacologia alla ColumbiaUniversity (New York) e ha lavorato a Napoli,New York e Parigi.Dirige attualmente il laboratorio di neurofarmacologia del Neu-rosciences Institute, San Diego, California.

5[ ]

Non i sensi ingannano, bensì il giudizio.

Nonostante il titolo, questa non è una vera storiadella canapa indiana, ma piuttosto una rassegnadelle idee che su di essa si è fatte il mondo occiden-tale negli ultimi duemilaquattrocento anni. Pertantonon parlerò, se non per inciso e quando il filo del di-scorso lo renderà necessario, della storia naturale edella farmacologia della cannabis, né del ruolo, pureimportante, che questa ha avuto in Medio Oriente,in India e in Cina.Cercherò invece di riordinare i termini di un proble-ma: se è vero, come è vero, che fin dall’inizio dellastoria l’Europa ha fatto parte dell’areale geografico

PREMESSA:SEGUIRE IL FILO

6[ ]

in cui la cannabis si distribuisce spontaneamente, eche per secoli gli europei sono stati a conoscenzadei suoi effetti psicotropi, come spiegare allora cheessa non ha goduto da noi, almeno fino alla secon-da metà del XX secolo, della popolarità e dellaconsiderazione di cui ha goduto invece in culturegeograficamente limitrofe (come nel Medio Orien-te), o presso altre popolazioni di origine indeuropea(come in India)?Questo problema si collega a quello,più generale,delruolo complessivamente molto modesto che, in tem-pi storici, le piante psicotrope hanno avuto nella sto-ria della cultura europea; in contrasto con quello as-sai più importante svolto nel resto del mondo, dovepiante attive sul sistema nervoso centrale, e in gradoperciò di modificare le operazioni della mente,hannofatto parte integrante della cultura e della religiosità.Il vino, che pure sembra costituire un’importante ec-cezione, si colloca però, sia dal punto di vista farma-cologico che da quello culturale, su un piano già di-verso da quello,per esempio,del soma indiano o del-l’ayahuasca amazzonico. Per contribuire a rendereconto di quest’assenza, che è già stata l’oggetto deilavori di Richard E. Schultes, ho cercato di seguire il fi-lo conduttore della cannabis attraverso la storia del-

7[ ]

la cultura occidentale, raccogliendo quelle credenze,opinioni e giudizi che mi è sembrato potessero aiuta-re a ricostruire la relazione esistente tra gli intellet-tuali europei e gli effetti psicotropi della pianta.Que-sta relazione, come vedremo, è marcata da unprofondo interesse; ma da un interesse che rimanetuttavia “esterno”, oscillando tra l’etnografico e loscientifico senza diventare, come è avvenuto inveceper certe solanacee nostrane (nel caso un po’ spe-ciale della stregoneria tardo-medievale),per il tabac-co o per il caffè, uso popolare e parte integrante delcostume. La situazione si capovolge solo di recente,cioè da quando, nonostante la generalizzata proibi-zione legislativa, la cannabis si è affermata come unatra le sostanze psicoattive più comunemente usatesia nel nostro continente sia in quello americano.Se uno che fa il neurofarmacologo di mestiere, co-me me, si decide a scrivere un libro di storia, vuol di-re che ha ricevuto molto incoraggiamento: lo devo aitanti colleghi e amici con cui ho condiviso discussio-ni sulle sostanze psicoattive e sui loro meccanismid’azione. Ne ricordo qui solo alcuni: Jack A. Grebb eAndrew J. Czernik (della Rockefeller University,NewYork), Claas H. Lammers (del Max Planck Institutfür Psychiatrie,Monaco di Baviera),Danilo Del Gai-

8[ ]

zo e Enzo Nucci. Un ringraziamento particolare vaa Antonino Pollio (dell’Università di Napoli), compa-gno di varie peregrinazioni etnofarmacologiche; aGiorgio Samorini, che ha avuto la gentilezza di anti-ciparmi le conclusioni del suo libro sulla storia dellacannabis in Italia;1 e a Roberto Longhi, che mi hasuggerito involontariamente il titolo di questa brevema veridica storia.

DDaanniieellee PPiioommeellllii(The Neurosciences Institute, La Jolla, marzo 1995)

1 Il libro è stato pubblicato nel 1997 da Nautilus,Torino, con il ti-tolo L’erba di Carlo Erba.

9[ ]

Nell’ottavo secolo prima di Cristo un gruppo ditribù nomadi indo-iraniche provenienti dallaTransoxiana penetrò in Europa orientale, stabi-lendosi a sud della Russia bianca, tra la catenamontagnosa dei Carpazi e il fiume Boristene(Dnepr), scacciandone le popolazioni indigene osottomettendole.Abili cavalieri, guerrieri feroci ericchi pastori, quegli emigranti non tardarono aentrare in contatto con gli avamposti commer-ciali fondati sulle coste del Mar Nero dalle cittàmercantili greche.Erodoto d’Alicarnasso, grandeviaggiatore e storico delle guerre persiane, tra-manda che il loro nome era scoloti, ma che i gre-ci li chiamavano sciti.Insieme con il pesce salato, il miele e le pellicce,

LA STORIA COMINCIACON ERODOTO

(V SECOLO a.C.)

10[ ]

gli sciti esportavano nel Ponto ellenizzato, e da lìnel resto del mondo greco,gli echi di costumi re-ligiosi inconsueti e ancestrali, che Erodoto ha os-servato e registrato con avida curiosità di etno-logo. Il passo che proponiamo, preso dal quartolibro delle Storie, descrive appunto uno di quei ri-ti, fornendoci così la più antica testimonianza eu-ropea sull’uso psicotropo della canapa indiana.

Erodoto,Le Storie, IV (73-75)

Dopo un funerale, gli sciti si purificano in questo mo-do. Si spalmano il capo con un unguento, che poi la-vano via. Per il corpo invece fanno così. Innalzano trepali, inclinati l’uno verso l’altro, e vi stendono sopradelle coperte di feltro, che uniscono l’una all’altra ilpiù strettamente possibile. Poi, in un vaso posto alcentro dei pali e delle coperte, pongono delle pietrearroventate al fuoco.Cresce nelle loro terre una canapa [«kannabis»]che assomiglia in tutto al lino, salvo per altezza elarghezza, che sono molto maggiori. Questa cana-pa cresce sia spontaneamente che coltivata.Anchei traci ne fanno dei vestiti simili ai vestiti di lino, e chi

11[ ]

non l’ha mai vista non sarebbe capace di dire se so-no fatti di lino o di canapa; e chi non conosce la te-la di canapa crederebbe che si tratti di lino.Di questa canapa,dunque, gli sciti prendono il semee, entrati sotto le coperte, lo gettano sulle pietre ar-roventate al fuoco; allora il seme libera un fumoodoroso e produce un vapore tale che nessuna stu-fa greca potrebbe farne altrettanto; inebriati daquesta sauna, gli sciti lanciano urla di gioia ...

Il passo è celebre, la sua veridicità è confermatadai ritrovamenti archeologici, e la sua interpreta-zione generalmente accettata spiega che il ritofunebre raccontato da Erodoto è una variazionesu un tema religioso antichissimo,quello del viag-gio estatico nel mondo dei morti. Inalando il fu-mo di cannabis, i parenti del defunto convenuti alsuo funerale credono che le loro anime si stac-chino dal proprio involucro corporeo e accom-pagnino il morto alla sua nuova dimora.Altrove,come nelle steppe siberiane, è il succo del fungoAmanita muscaria che svolge una funzione simi-le: se ne serve lo sciamano guaritore o psico-pompo per accompagnare le anime perdute dal-la malattia o dalla morte.Altrove ancora, dove

12[ ]

tali vie farmacologiche all’estasi sono neglette, al-tre possono supplirvi – digiuno rituale, musica,danza,meditazione – producendo,con meccani-smi fisiologici ancora ignoti, effetti non dissimili.Ma che per un popolo d’origine probabilmenteiranica come gli sciti lo strumento (principale?)del viaggio estatico nel regno dei morti fosseproprio la cannabis, non è cosa che debba trop-po sorprenderci, come vedremo nel capitoloche segue.

* Il lettore curioso di rituali estatici avrà di che sazia-re le sue attese in quel “cunto de li cunti” del folclorea sfondo sciamanico che è Storia notturna: Una deci-frazione del sabba, di Carlo Ginzburg (Torino,Einaudi,1989). Il passo di Erodoto vi è citato alla pagina 188ed è corredato di una portentosa bibliografia a cuivolentieri rimando.Pur non toccando direttamente il ruolo della canna-bis, la lettura di Giorgio Colli (La sapienza greca, vol. I,Milano,Adelphi, 1990) e di Giuliana Lanata (Medicinamagica e religione popolare in Grecia, Roma, Edizionidell’Ateneo, 1967) aiuta a inquadrare l’atteggiamen-to dei greci verso l’estasi religiosa e a comprenderequindi l’interesse di Erodoto per il rito scita. I ritrova-

13[ ]

menti archeologici a cui accenno sopra sono descrit-ti da M.I.Armatov in “Frozen Tombs of the Scythians”,Scientific American, n.212 (1965),p.101-109,dove so-no riprodotti alcuni oggetti provenienti da un tumu-lo funerario scita trovato al confine tra Mongolia e Si-beria, e quasi certamente adoperati per il consumodi cannabis.Il passo di Erodoto è tradotto qui dall’edizione criticadi Ph. E. Legrand (Parigi, Les Belles Lettres, 1985).

14[ ]

COME DISTINGUERE LA PIANTA MASCHILE DALLA FEMMINILE

Bisogna in ogni caso aspettare che gli steli dei fiori abbiano a formarsi.

I fiori maschili si trovano in piccole pannocchie ascellari. Sonoformati da 5 sepali giallogrigi o purpurei che si aprono a maturitàraggiunta per lasciar cadere il polline contenuto negli stami.

15[ ]

La pianta femminile produce dei fiori pistillati che si vedono appena,che non sembrano proprio dei fiori ma piccole foglie verdi cheformano il pistillo a spessi grappoli.

16[ ]

Plinio il Vecchio, enciclopedista latino autore diuna celebre Storia naturale, è biasimato da moltistorici della scienza per la sua erudizione mania-cale, per la sua ansia di completezza che lo spin-se ad accogliere nella sua opera, senza “metodoscientifico”, notizie e idee provenienti dalla tradi-zione colta come da quella popolare.Eppure, an-che i suoi detrattori più accaniti devono conve-nire che proprio a quella insaziabile curiositàdobbiamo il salvataggio di tanti frammenti dellacultura classica, che altrimenti sarebbero andatiperduti per sempre nel naufragio del mondo an-tico.Quello che presentiamo ai lettori è uno di tali re-litti. Del suo (probabile) autore sappiamo poco

FLORA MAGICA (III SECOLO a.C.)

17[ ]

più del nome – Bolo, detto “il Democriteo” – edel luogo di nascita: la città di Mendes nel BassoEgitto. Contemporaneo del poeta Callimaco,Bolo avrebbe composto nel terzo secolo primadi Cristo un trattato di farmacologia, fortementetinto di magia e intitolato Kheirokmeta (‘Manufat-ti’), per il quale avrebbe utilizzato fonti principal-mente persiane e in particolare gli scritti natura-listici dei grandi Magi, Zoroastro e Ostane.

Plinio era a conoscenza di quel trattato che però,per essere Bolo soprannominato “il Democriteo”,credeva opera autentica del filosofo di Abdera;ma che il Kheirokmeta fosse autenticamente de-mocriteo o no, a Plinio importava poco: pur di-mostrando un certo scetticismo circa il suo con-tenuto («quanto portentosiora tradit!»:‘ma che raz-za di miracoli ci racconta!’), per quell’amore dellacompletezza che l’ha condannato al biasimo deglistorici della scienza (e per nostra fortuna) ce neha trascritto qualche passaggio.Vi si parla di pianteesotiche,dai nomi rievocatori e dagli effetti prodi-giosi.

18[ ]

Bolo di Mendes, in:Plinio, Storianaturale,XXIV (160-165)

160. ... L’erba aglaophotis [‘luce brillante’] ha presonome dall’ammirazione degli uomini per la bellez-za del suo colore e nasce sui marmi dell’Arabia, dallato della Persia, ciò che la fa anche chiamare mar-maritis; i Magi se ne servono quando vogliono evo-care gli dèi.161. L’achaemenis [‘achemenide’], colore dell’am-bra, priva di foglie, nasce presso i Taradistili, popolodell’India: i criminali che la bevono sciolta nel vinoconfessano tra mille tormenti tutte le loro colpe, as-saliti da molteplici visioni di creature divine. La chia-mano anche hippophobada, perché i cavalli nehanno particolarmente paura ...164. La thalassaegle [‘luce del mare’] si trova sullerive del fiume Indo, e perciò si chiama anche poto-mangis; se ne fa una bevanda che causa delirio, e favedere cose straordinarie.La theangelis [‘messaggera degli dèi’] cresce suimonti del Libano di Siria, sul monte Dicte a Creta, aBabilonia e nella regione di Susa, in Persia; beven-dola, i Magi acquistano la capacità divinatoria.La gelotophyllis [‘foglia che fa ridere’] nasce in Bat-

19[ ]

triana e sulle rive del fiume Boristene. Se la si bevecon birra o vino, si hanno ogni sorta di visioni e si ri-de, si ride, fino a quando non si siano mangiati deipinoli, del pepe o del miele col vino di palma.

Sebbene sia chiaro che queste herbae magicaesono in realtà piante dai potenti effetti psicodi-slettici, la loro identificazione con specie vegetalia noi note resta, per quasi tutte, pressoché im-possibile. L’autore di un moderno repertorio dibotanica latina ci assicura che nell’ultima di esse,la gelotophyllis, si deve riconoscere la kannabis diErodoto: non possiamo contraddirlo. Il nome,presumibilmente traduzione di un fitonimo per-siano, è fantasioso, ma appropriato a una piantache colpisce soprattutto per la bella foglia pen-nato-composta e per la capacità di far ridere chila consuma.D’altronde, che la cannabis avesse un ruolo im-portante nella vita spirituale dell’antico Iran,comesuggerisce il contesto in cui Bolo ne parla,è ipote-si fondata su più di una testimonianza. Se ne parlain alcuni testi mazdei: lo Yasna, per esempio, dovesi dice del dio Ahura Mazda che è «senza estasi esenza canapa», o il Videvdat, dove la cannabis è

20[ ]

considerata invece come un essere demoniaco.Questo atteggiamento ambivalente del mazdei-smo ortodosso verso l’impiego “estatico” dellacannabis (impiego che doveva essere piuttostocomune nella religione tradizionale persiana) si ri-trova anche nei confronti di un altro importantevegetale psicotropo, l’haoma, versione iranica delsoma indiano lungamente descritto nel Rig-Veda, eidentificato da Gordon Wasson col fungo alluci-nogeno Amanita muscaria.

* Il fatto che su Bolo si sappia molto poco non ha im-pedito a Max Wellmann di dedicargli una erudita mo-nografia (“Die φυσικα des Bolos-Demokritos undder Magier Anaxilaos von Larissa”, in Abhandlungen,Akademie Berlin, n.7,1928),né a Joseph Bidez e FranzCumont di tracciarne i complessi rapporti con ledottrine di Zoroastro e di Ostane (Les Mages hellé-nisés, Parigi, Les Belles Lettres, 1973; prima edizione1938). Il passo di Plinio qui riportato è tradotto dal-l’edizione critica di Jacques André (Pline l’Ancien, Hi-stoire naturelle, Livre XXIV,Les Belles Lettres,1972), acui dobbiamo anche l’identificazione di gelotophylliscon la cannabis (Les Noms des plantes dans la Romeantique, Les Belles Lettres, 1985). Mi sembra inveceinadeguata la sua identificazione di aglaophotis [‘luce

21[ ]

splendente’] con la Paeonia, basata com’è su un’omo-nimia molto più tarda; alcuni particolari (l’uso sacer-dotale «per evocare gli dèi», la coincidenza degli at-tributi luminosi dell’aglaophotis con quelli che lo Yasnaattribuisce all’haoma) lasciano piuttosto sospettareche col greco aglaophotis Bolo avesse inteso tradur-re una descrizione metaforica dell’haoma, ripresa dafonti persiane.Sull’uso religioso della cannabis nell’Iran antico, si ve-da Le Chamanisme et les techniques archaïques de l’ex-tase, di Mircea Eliade (Parigi, Payot, 1968,p.310-316).Infine, nel mare magno delle speculazioni sull’identitàdel soma/haoma, il libro di Gordon Wasson,Soma:Di-vine Mushroom of Immortality (New York, HarcourtBrace Jovanovich, 1971), resta un punto di riferimen-to obbligato.

22[ ]

I racconti di Erodoto e di Bolo sono ambienta-ti, non dimentichiamolo, in contrade lontanedall’esperienza dell’uomo comune, così lonta-ne da diventare nebulose e fiabesche: la Sciziadi Erodoto non è solo il teatro ben reale di unasfortunata spedizione di Dario, ma anche la re-gione onirica di Ovidio, dove le donne si co-spargono il corpo d’unguenti magici e si tra-sformano in uccelli (Metamorfosi, XV). La Per-sia di Bolo è inoltre, lo abbiamo visto, patria diZoroastro e Ostane, scopritori delle vir tù me-dicinali delle piante (Plinio, Storia naturale, XXV,13) ma anche magoi per eccellenza, cioè, comeci spiega il lessicografo Esichio, stregoni, tauma-turghi e incantatori.

SEGNALI D’OBLIO (I SECOLO d.C.)

23[ ]

Con Dioscoride siamo in tutt’altro mondo.Nato in Cilicia, nella città greca di Anazarbo,Pedanio Dioscoride è probabilmente medicodell’esercito romano quando decide di scrive-re un trattato che illustri le caratteristiche bo-taniche di tutte le piante medicinali a lui note,le loro proprietà farmacologiche e i loro im-pieghi terapeutici. Il risultato, conosciuto oggicol nome latino di Materia medica [‘I materialidella medicina’], non è solo un’imponente ope-ra di farmacologia, la più vasta dell’antichità checi sia pervenuta, ma anche un capolavoro diequilibrio metodologico, in cui le notizie deri-vate dall’immenso patrimonio orale dei rhizo-tomoi, gli antichi erboristi, si combinano conuno spirito critico, un gusto per la sperimenta-zione personale e un buon senso che hannofatto di Dioscoride, a giusta ragione, uno deiprincipali pilastri della terapeutica fino a PaulEhrlich e all’invenzione, nel diciannovesimo se-colo, dei farmaci di sintesi organica. Insomma,Dioscoride sapeva il fatto suo. Non solo: a dif-ferenza di Erodoto e di Bolo, egli non nutrivainteressi etnologici e non amava raccogliereaneddoti di paesi lontani. Ci parla di quel che

24[ ]

sa, che ha visto e che ha provato. Perciò, legge-re le sue informazioni sulla cannabis è partico-larmente istruttivo: meglio di chiunque altro,Dioscoride ci informa su quello che i greci e iromani del suo secolo ne sapevano e ne pen-savano.

Dioscoride, I materiali della medicina,III (165-166)

165. Canapa domestica.La canapa è usata per fabbricare corde resisten-ti. Ha la foglia simile a quella del frassino, maleo-dorante, fusto lungo e vuoto, seme rotondo chemangiato in grande quantità diminuisce la ferti-lità nel maschio, e che invece, spremuto quando èancora verde, è efficace per il mal d’orecchio.166. Canapa selvatica.La canapa selvatica ha il fusto breve come quellodell’altea, ma più scuro, più acuto e più piccolo; lafoglia somiglia a quella della canapa domestica,ma è più acuta e più scura; il fiore, rossastro, è co-me quello del lychnis, il seme e la radice comequelli dell’altea. La radice macerata mitiga le in-fiammazioni, riduce gli edemi e disperde il tessu-

25[ ]

to indurito intorno alle articolazioni. La sua cor-teccia è adatta alla fabbricazione di corde.

È difficile nascondere un cer to disappunto difronte a questo arido resoconto di produzionedi funi e di effetti antinfiammatori. Eppure ilmessaggio è chiaro: Dioscoride ignorava gli ef-fetti psicotropi della cannabis. E come lui Plinioche, pur citandola almeno quattro volte, nellaStoria naturale non stabilisce alcun nesso tra lacanapa e le herbae magicae, le piante psicoatti-ve di cui parla nel libro XXIV.Tuttavia, che certe piante potessero produrredelirio e vaneggiamenti era cosa ben nota aentrambi perché, tra l’altro, già problema socia-le (sebbene in senso molto diverso da oggi) eoggetto di legiferazione. La Lex Cornelia de si-cariis et veneficiis, per esempio, comminava ladeportazione e la confisca dei beni a quei pig-mentarii (farmacisti, diremmo noi) che vende-vano con troppa leggerezza certe piante, per-lopiù psicoattive, che maghi e stregoni adope-ravano come ingredienti per filtri d’amore (peresempio, l’Atropa belladonna) o veleni (Aconi-tum napellus). Alcune di queste piante si ritro-

26[ ]

vano impiegate in rituali magico-religiosi che,per il loro carattere ctonio ed estatico, lascianointravedere delle analogie con le fumigazioniscite tramandateci da Erodoto. Un elenco diqueste ultime, che leggiamo nelle tarde Argo-nautiche orfiche (v. 911-924), comprende lostramonio, la belladonna, il papavero da oppio el’aconito napello, tutte fortemente attive sul si-stema nervoso centrale (e for temente tossi-che), ma non la cannabis. Ignorata dalla medici-na come dalla magia, la canapa indiana sembradunque scomparire dal novero delle piante psi-cotrope conosciute dal mondo greco-romano,lasciando di sé soltanto qualche eco remota.

* A simili conclusioni arrivava l’articolo di Theodore F.Brunner,“Marijuana in Ancient Greece and Rome?”,Bulletin for the History of Medicine, n. 47 (1973), p.344-355. Una recente bibliografia su Dioscoride sitrova in John M. Riddle, Dioscorides in Pharmacy andMedicine (Austin, University of Texas Press, 1985); siveda inoltre A.Touwaide,“Le Traité de Matière Médi-cale de Dioscoride:Pour une nouvelle lecture”,Bulle-tin du Cercle Benelux d’histoire de la pharmacie, n. 290(1990), p. 265-281.

27[ ]

Le Argonautiche orfiche si possono leggere nella tra-duzione francese di Francis Vian (Parigi, Les BellesLettres, 1987). Ho tradotto il passo dei Materiali del-la medicina dalla versione latina di Karl G. Kuhn (Li-psia, 1830,Vol.XXVI, tomo I).

28[ ]

Seguendo le tracce disperse della cannabis sia-mo passati dall’età classica all’ellenismo, e daquesto all’apogeo dell’impero di Roma.Accin-gendoci ora a entrare in quel periodo che va dal-l’inizio del terzo alla fine del sesto secolo dopoCristo, ci imbattiamo in una difficoltà inattesa: al-l’abituale povertà delle fonti storiche a nostra di-sposizione subentra ora un vuoto più grave,per-ché causato non soltanto dalla mancanza di do-cumenti (naturale, se si considera la peculiaritàdel problema che stiamo affrontando),ma ancheda un sorprendente disinteresse per questo pe-riodo da parte degli storici della scienza. L’etàtardoantica, in cui un “sentimento nuovo” e una“etica diversa” da quelli dell’età classica sono or-

TESTIMONIANZETARDOANTICHE(IV – V SECOLO d.C.)

29[ ]

mai riconosciuti da altre discipline (come la sto-ria dell’arte), è considerata ancora troppo spes-so un’appendice trascurabile del mondo classico.La storia della medicina e della farmacologia, do-ve abbiamo finora cercato i nostri punti di riferi-mento, non fanno eccezione.Eppure, soprattutto nel IV secolo, gli scrittori dicose mediche non mancano: non solo grandi di-lettanti (benestanti uomini di lettere prestati allamedicina, come Marcello di Bordeaux),ma anchemedici che,come Teodoro Prisciano, tra una visitae l’altra trovano il tempo di scrivere prontuari te-rapeutici agili e non privi di originalità. Proprioscorrendo qualcuno di questi manuali dimenticatirintracciamo inaspettatamente le orme della can-nabis: e questa volta, accanto agli anodini impieghiripresi dalla tradizione di Dioscoride e Plinio, i suoieffetti psicoattivi fanno di nuovo capolino. Oriba-sio di Pergamo,per esempio,medico personale diGiuliano l’Apostata, riconosce che il seme di cana-pa «turba la mente» (Synopsis, IV, 20) e «produceuna sensazione di calore corporeo» (ibidem, IV,31). La voluta impassibilità di tale prosa tecnicanon tragga in inganno: uno scrittore emozional-mente più partecipe avrebbe scelto frasi più sug-

30[ ]

gestive,ma non avrebbe potuto dire molto di piùsu questo sintomo così tipico del consumo di can-nabis;molti secoli dopo Oribasio, il medico ameri-cano Victor Robinson lo descriverà così: «Un ca-lore delizioso pervade tutto il mio corpo.Arden-te e beato galleggio nell’universo, consunto daun’irresistibile passione» (An Essay on Hasheesh,ca. 1930,p. 74).Le proprietà calefacenti della cannabis sonosfruttate dalla medicina tardoantica per curare,con un collegamento logico che è caratteristicodella mentalità premoderna, le ustioni da freddo.Questo impiego, già noto a Plinio (Storia natura-le, XX, 259), è descritto in un compendio anoni-mo di fitoterapia, giunto a noi sotto il nome spu-rio di “Erbario di Apuleio Platonico”.

Apuleio Platonico,Erbario,CXV (1-2)

1. Per il dolore al seno.Applica la canapa selvatica pestata in grasso ani-male: guarisce l’edema e, se c’è ascesso, lo purga.2. Per le scottature da freddo.Stempera nell’aceto il frutto della canapa selvatica,tritato con seme d’ortica, e applicalo alle scottature.

31[ ]

Famosissimo e copiatissimo durante tutto il Me-dioevo, l’Erbario di Apuleio non ha, naturalmen-te,nulla che vedere con l’Apuleio autore dell’Asi-no d’oro, vissuto due secoli prima. Le sue prescri-zioni, non sempre originalissime, in questo casosono probabilmente esatte: gli effetti antinfiam-matori della cannabis, già noti a Dioscoride, sonostati confermati da scoperte scientifiche recenti.Forse la più importante di queste è l’identifica-zione, sulla membrana esterna dei linfociti (cellu-le che svolgono un ruolo centrale nell’infiamma-zione e nella risposta immunitaria), di un recet-tore proteico che si lega selettivamente a duesostanze presenti nella cannabis: il delta-9-tetrai-drocannabinolo (Δ9THC) e il cannabidiolo.Se da un lato la tarda antichità vede rinascere,dopo la crisi economica e culturale del terzo se-colo, l’interesse per la divulgazione scientifica e laricerca empirica, dall’altro, e forse principalmen-te,essa è protagonista di una profonda rivoluzio-ne religiosa che ha come epicentro una ridefini-zione del concetto di sacro. Fa parte di questa ri-voluzione il rifiorire della magia, che nell’imperoromano d’occidente si configura molto più nelleforme di magia provinciale e contadina che in

32[ ]

quelle alchimistiche e astrologiche della magia egi-zia e orientale. L’opera medica di Marcello di Bor-deaux,che ha attirato gli strali volterriani dei pochistudiosi che se ne sono occupati, è una delle mi-gliori testimonianze di tale tendenza.

Marcello di Bordeaux, I farmaci,IX (77)

Lega la radice di canapa al tuo braccio destro: dipreferenza, avvolgici tutto il braccio, ma se ne haipoca, allora fattene un amuleto da sospendere alcollo. Per farti capire quanto è potente questo ri-medio: se leghi la radice come ti ho spiegato, il flus-so del sangue si fermerà immediatamente, e si ri-metterà a scorrere quando la slegherai e leverai laradice.

Empirico e magico, il quarto secolo si concludecon un gigante dello spirito occidentale, che nonpossiamo tralasciare in questa nostra storia:Ago-stino, vescovo di Ippona. Non saprei dire se neisuoi 100 trattati, 300 lettere e 700 sermonisant’Agostino abbia mai avuto occasione di

33[ ]

menzionare la canapa indiana. Ha però certa-mente parlato di allucinazioni e di sostanze(piante?) che le procurano, e così facendo hamarcato in modo definitivo il pensiero europeosu tale questione per almeno dieci secoli; cioè fi-no a quando un nuovo evento, l’invenzione dellastregoneria, cambierà di nuovo radicalmente lasituazione.Per il pensiero premoderno, in una pianta la ca-pacità di agire sul corpo umano,modificandolo,èeffetto della natura intima della pianta stessa, na-tura che si manifesta sotto forme molteplici: nel-la sua anatomia, nel suo habitat, nella sua storiamitica e, naturalmente, in quelle che oggi chia-miamo, stricto sensu, le sue azioni farmacologi-che.Tale natura si può definire divina, ma soltan-to nella misura in cui l’aggettivo è usato in sensoanimista: la pianta è sì dimora d’una divinità, mad’una divinità che le è propria. Il fatto poi cheun’erba o una radice producano allucinazioni edelirio dà alla loro natura numinosa un carattereparticolare: spesso una pianta psicotropa è abi-tata da figure semidivine legate al mondo deimorti, della medicina e della divinazione, peresempio le Ninfe; proprio come i pazzi e gli stol-

34[ ]

ti, che sono “colpiti dalle Ninfe” (nympholeptoi).Con Agostino, si sancisce un allontanamentoradicale dalla suddetta visione animista: inter-rogatosi sulla natura delle allucinazioni (La cittàdi Dio, XVIII, 18), egli risponde riallacciandosi al-l’esegesi cristiana, secondo cui il mondo natu-rale è divino non «juxta propria principia», cioèsecondo principi che gli sono intimi, ma inquanto specchio di realtà celesti e teatro delloscontro tra le forze del bene e quelle del male.Per Agostino, perciò, ogni allucinazione (anchequelle prodotte da “ar ti magiche” o da “vele-ni”) è frutto di una ludificazione diabolica cheopera sulla fantasia dell’uomo: il diavolo, chenulla può creare, trasforma l’immagine dellecose create da Dio perché sembrino all’uomociò che esse non sono (si ricordi che il diavoloè pur sempre di natura angelica, «licet propriovitio sit maligna»: ‘anche se resa malvagia dalsuo errore’).Questo cambiamento di prospettiva avrà conse-guenze che non mancheremo di sottolineare piùavanti.

35[ ]

* Il rapporto problematico che esiste tra gli storicidella scienza e il mondo tardoantico è ben descrittonel saggio di Lelia Cracco Ruggini,“Scienze pure edapplicate nella cultura tardoantica”, in Storia di Roma:L’età tardoantica (Torino, Einaudi, 1993), in cui pur-troppo le scienze mediche sono solo brevementeaccennate.Il lettore interessato potrà trovare qualche informa-zione su Marcello di Bordeaux, Oribasio di Pergamoe Teodoro Prisciano in AA.VV.,Storia del pensiero me-dico occidentale: 1.Antichità e medioevo (Bari, Laterza,1993),e nel bel libro di Jacques André,Être médecin àRome (Parigi, Les Belles Lettres, 1987), oppure allevoci corrispondenti nella Realenzyclopädie der Alter-tumswissenschaft di Pauli-Wissowa.Altrimenti, dovràrivolgersi ai testi originali:Theodori Prisciani, Eupori-ston libri III, edito da V. Rose,Teubner, 1894; MarcelliEmpirici,De medicamentis liber, edito da G.Helmerei-ch,Teubner, 1889; Oribasii, Synopsis ad Eustathium: Li-bri ad Eunapium, edito da J. Raeder,Teubner, 1926;Pseudo-Apuleii, Herbarius, edito da E. Howald e H.E.Sigerist (Corpus medicorum latinorum, vol. 4,Teubner,1927).Devo le idee concernenti “l’etica diversa”del mondotardoantico alla lettura di Ranuccio Bianchi-Bandinel-li,“Gusto e valore dell’ar te provinciale”, in Storicitàdell’arte classica (Roma, De Donato, 1973, p. 381-

36[ ]

413), e quelle sul ruolo del sacro a Peter Brown, spe-cialmente in The Making of Late Antiquity (CambridgeMass., Harvard University Press, 1978).Agostino e la teoria cristiana delle allucinazioni sonodiscussi in Jean-Claude Schmitt, Les Révenants: Les vi-vants et les morts dans la société médiévale (Parigi,Gallimard, 1994). Il lettore interessato alla formazio-ne del simbolismo naturalistico cristiano leggerà conpiacere il lucido saggio introduttivo di FrancescoZambon a Il fisiologo (Milano,Adelphi, 1975).L’identificazione di un recettore cannabinoideespresso nei linfociti è in Munro,S.,Thomas,K.L.,Abu-Shaar,M.,“Molecular Characterization of a PeripheralReceptor for Cannabinoids”,Nature, n. 365 (1993),p.61-65.

37[ ]

Anche per la canapa indiana il Medioevo fu un’etàbuia. E nel buio,ha osservato Carlo Maria Cipollanel suo classico studio “Il ruolo delle spezie (e delpepe in particolare) nello sviluppo economicodel Medioevo”, accadono cose strane.In quei secoli difficili, «per sfuggire alle calamitàincombenti la gente si divise in tre parti. Una siincaricò di pregare il Signore Domineddio.La se-conda si dedicò al commercio e all’agricoltura.Ed infine, per proteggere le due suddette partida ingiustizie e da aggressioni furono creati i ba-roni» (Filippo di Vitry, 1295-1361).Impegnati com’erano a difendere gli oppressi e aprocurarsi pepe in Terrasanta, i baroni non ave-vano tempo per occuparsi della canapa.Gli agri-

UNA BADESSA,UN PAPA

E UN MERCANTE(XII – XIV SECOLO)

38[ ]

coltori, poi, che magari qualcosa potevano sa-perne perché la coltivavano, avevano altre gatteda pelare e assai poco agio per scrivere delle lo-ro esperienze psichedeliche (ed è un peccato,perché pare che ne avessero talora di interes-santi). Restano quindi il clero e i mercanti: a loroci rivolgiamo nella speranza di trovarvi un barlu-me di luce, in tanta oscurità.Il clero dell’epoca faceva di tutto un poco, e ognilettore di Umberto Eco sa che non c’era con-vento che non fosse anche farmacia e ospedale.Un ignoto amanuense del nono secolo, peresempio, tracciando la mappa del grande mona-stero benedettino di San Gallo in Svizzera vi in-cluse un infirmarium e un herbularius (giardino deisemplici) diviso in sedici appezzamenti, ciascunocontrassegnato dal nome della pianta officinaleche avrebbe dovuto ospitare. Ma dissoltesi legrandi scuole mediche dell’antichità e smarritanein gran parte la lezione, che medicina si potevamai praticare in un monastero? In prima appros-simazione, un amalgama di tradizioni folclorichelocali e di terapeutica greco-romana,mediato datraduzioni latine di Dioscoride, dall’Erbario diApuleio Platonico e da altri due o tre testi di mi-

39[ ]

nore importanza. Soprattutto dove il peso del-l’eredità romana era più debole e l’influenza gre-cizzante degli arabi risentita più lentamente, lon-tano dall’Italia per esempio, la tradizione popola-re e la medicina folclorica ispiravano con forzatutta particolare i ricettari farmaceutici e i testi diterapia.Il passo che proponiamo descrive appunto unuso medicinale della cannabis certamente origi-nato dalla tradizione folclorica: è stato scritto, inun latino più che zoppicante “inconsciamente bi-lingue”, da Hildegarda, badessa nel convento be-nedettino di Bingen, e santa estatica.

Hildegarda di Bingen, LLaa mmeeddiicciinnaasseemmpplliiccee, I (11)

La canapa [«hannf»] è calda, e cresce quando l’a-ria non è né molto calda né molto fredda, e anchela sua natura è così, e il suo seme è salutare, e man-giarlo fa bene alle persone sane, ed è leggero per lostomaco e utile, perché ne scaccia lo slim ed è di-geribile, e diminuisce i cattivi umori e rafforza i buo-ni umori.Tuttavia, chi ha testa malata e cervello

40[ ]

vuoto [«cerebrum vacuum»] se mangia della ca-napa avrà facilmente dei dolori di testa. Chi inveceha la testa sana e il cervello pieno non riceverà ma-le.Ma chi invece è molto malato avrà anche mal distomaco. Se invece è poco malato, non ne riceveràmale.

Che la canapa rafforzi il buon umore, sono anco-ra oggi in tanti a crederlo, ma invece di esseresantificati, come accadde a Hildegarda, vengonoprocessati per direttissima.È vero che i tempi so-no cambiati: le visioni estatiche di Hildegarda diBingen, ineffabili per bellezza e luminosità e tut-tavia da lei così magistralmente descritte nel Li-ber divinorum operum e nello Scivias, sono attri-buite dalla medicina moderna a quella particola-re condizione, nota col nome di “aura”, che ac-compagna gli attacchi di emicrania ed epilessia.Un altro segno dell’inesorabile mutare dei tempiè che, durante quei secoli bui, neppure le altissi-me sfere ecclesiastiche erano immuni da certeesperienze.Eccone un esempio: il Pontefice Gio-vanni XXI, al secolo Pietro Ispano,«lo qual già lu-ce in dodici libelli», oltre ad avere composto ledodici Summulae logicales che Dante mostra di

41[ ]

apprezzare, è stato l’autore di un fortunatissimotrattatello di medicina pratica intitolato Il tesorodei poveri, un condensato di varie autorità medi-che antiche e tardoantiche accessibile non già aipoveri, che naturalmente non sapevano né leg-gere né scrivere, ma a quei monaci che della sa-lute corporale dei poveri si occupavano.La ricet-ta che segue prescrive il cascame della pettinatu-ra della cannabis come antidolorifico nelle otiti:un impiego che potrebbe avere la sua base ra-zionale nell’effetto analgesico del delta-9-tetrai-drocannabinolo e di altri cannabinoli, e che eragià stato suggerito da Dioscoride, Plinio e Mar-cello di Bordeaux.

Pietro Ispano,“Il tesoro dei poveri”,in Practica Jo.Serapionis (fol.CCLVII)

Dolore all’orecchio.Item: la stoppa di canapa intinta in bianco d’uovofa molto bene. L’ho provata.

In tema di raccolta e di pettinatura della canapa,mi si permetta una rapidissima parentesi, per ri-spondere indirettamente a un dubbio che deve

42[ ]

avere tormentato il lettore più versato in botani-ca e in tassonomia vegetale: in che misura la spe-cie Cannabis sativa europea è comparabile percomposizione chimica, e quindi per i suoi effettipsicoattivi, alla Cannabis indica egiziana e medio-rientale?

Charles Baudelaire, Il vino e l’hashish(capitolo IV)

Durante la mietitura della canapa, avvengono tal-volta degli strani fenomeni a quelli che, maschi ofemmine, vi lavorano. Si direbbe che si alzino dallamesse non so quali spiriti vertiginosi che circolanointorno alle gambe e salgono maliziosamente finoal cervello. La testa del mietitore è ora piena di tur-binii, ora carica di fantasticherie. Le membra si in-deboliscono e si rifiutano di rendere servizio.

La fitochimica moderna ha dato ragione a Bau-delaire: anche se più povera in derivati cannabi-nolici, la cannabis delle nostre regioni non è pri-va di effetti psicotropi.Riprendendo il filo cronologico del nostro di-scorso, viene da domandarsi se nelle città mari-

43[ ]

nare del Mediterraneo la medicina e la culturadell’Islam non avessero lasciato qualche segnopiù esplicito delle azioni psicotrope della canna-bis. La cosa può sorprendere, ma sembra pro-prio di no:uno dei testi più autorevoli della Scuo-la di Salerno, Le medicine semplici di Matteo Pla-teario,praticamente la ignora, tranne una brevis-sima menzione fra certe «cure aggiuntive delleferite». Lo stesso vale per la Pratica di Serapione(ibn Sarabiyun) e per altri testi arabi coevi.Come spiegarci questo silenzio? Forse bisognaricordare che la cannabis è pianta dai forti effettidisinibitori sul sistema nervoso centrale: si pensiagli «spiriti vertiginosi» di Baudelaire che «salgo-no maliziosamente fino al cervello», o all’impie-go afrodisiaco che ne ha fatto per secoli, in India,la medicina ayurvedica. Ebbene, per tutte le reli-gioni di un solo libro l’eresia è, come sosteneva aragion veduta san Paolo, opera dei sensi. La disi-nibizione diventa facilmente sensualità, e que-st’ultima ancora più facilmente eresia (soprattut-to se l’azione fisiologica di una pianta è figura, se-condo lo spirito di Agostino, di realtà trascen-denti). Un buon esempio di questo sillogismo, incampo musulmano, ce lo offre un mercante del-

44[ ]

l’epoca; anzi, il mercante per antonomasia: Mar-co, figlio di Niccolò Polo,Veneziano.

Marco Polo, Il Milione,XV (8)(trad. it.di G.B.Baldelli Boni,1837)

[Siamo nell’anno 1170, gravi scismi turbano lalegge di Maometto.] Hassan, figlio di Sabbah, na-tivo di Thus, per sottrarsi all’oscurità a cui pareva-no condannarlo i suoi natali, volle farsi promulga-tore di nuova setta, via per la quale molti in Asiasperarono nominanza, ed abiurata ogni legge,spaziò quanto a lui piacque in imaginarie opinio-ni, e volendo ogni culto esteriore abolito, perciò isuoi seguaci detti furono Bateniani. Ei fece i suoistudi sotto abili professori maomettani, e si diè fa-ma con dispute, con lunghe peregrinazioni, e dopovarie vicende tornò in Persia, e in Damagan ebbenumerosi seguaci, consentendo a ciascuno disso-luzione di massime e di costumi. Fece l’acquistodel castello di Alamut da uno dei suoi discepoli ...Le rivoluzioni operate in Persia dai Selgiuchidi fa-vorivano il suo ingrandimento, poté fabbricare ousurparsi altre castella nella parte alpina della

45[ ]

Persia detta Rudbard, che la natura scabrosa easpra della contrada, e l’arte renderono inespu-gnabili, perciò Veglio o Signore della Montagna fudetto, essendo che in Arabo abbiano i due vocabo-li un medesimo suono. Qui fondò la più nuova, lapiù empia tirannide di cui parlino le storie. Pocoformidabile per l’ampiezza di stato si rendé talecol terrore ... Il Veglio inondò di predicatori dellasetta le terre maomettane, s’accerchiò di giovinet-ti robusti, e prestanti, che faceva rapire, ed usavaogni arte per farli ciechi ministri dei suoi voleri.Al-l’uopo nudrivali dell’inique sue massime, gli affa-scinava co’ prestigi delle voluttà. In amena e se-greta parte del suo castello fece costruire incante-voli giardini, ove raccolse tutto ciò che diletta, ecci-ta, appaga la fervida imaginazione giovanile. Coluiche voleva mandare, o trarre da quel giardino, cheappellava paradiso, inebriava con una polvere. Edi donzelli, che uscivano da quel pantano di voluttà,sel ricordavano come d’una visione, d’un incantoed ardevano d’esservi ricondotti. E il Veglio pro-metteva loro, che se cieca obbedienza gli preste-rebbero, se spenderebbero al suo servigio la vita,eterni sarebber quei contenti. Così tanto gli inani-miva, tanto gli affascinava, che reputavasi beato

46[ ]

colui, che si avventurava pel Veglio ai più dubbi ci-menti.

Come si sa, la setta musulmana del Veglio dellaMontagna è quella Ismailita degli Hashishiya, gli«uomini dediti al hashish», famigerata tra Crocia-ti e Arabi ortodossi e temuta da entrambi per lesue dottrine esoteriche e il suo estremismo po-litico.Oltre che agli Hashishiya, la cannabis si tro-va associata a partire dal XII secolo anche ad al-tri ordini mistici dell’Iran islamico, in sapore dieterodossia. Non diversamente, nel mondo cri-stiano l’uso di piante psicotrope sarà collegato auna nuova forma di eresia che prenderà definiti-vamente corpo soltanto qualche secolo dopoMarco Polo: lo heresis strigiatum, la stregoneria.

* Dal saggio di Carlo Maria Cipolla, che si trova in Al-legro ma non troppo (Bologna, Il Mulino, 1988), hopreso la citazione di Filippo di Vitry. Non a Cipolla sideve però ascrivere l’idea che le campagne dell’età dimezzo fossero teatro di esperienze “psichedeliche”,ma a Piero Camporesi, che l’ha espressa e documen-tata forse meglio che altrove in Il pane selvaggio (IlMulino, 1980).

47[ ]

Una santa come Hildegarda di Bingen, che oltre a es-sere estatica scriveva libri di storia naturale, compo-neva musica e conversava con papi e imperatori, nonpoteva non attirare l’attenzione dei biografi.Tra i nu-merosi libri apparsi su di lei suggerisco:Hildégarde deBingen:Conscience inspirée du XII siècle, di Régine Per-noud (Monaco princ., Éditions du Rocher, 1994); labiografia, di Walter Pagel, pubblicata in Dictionary ofScientific Biography (New York,Scribner,1972), con bi-bliografia; e il breve saggio del neurologo inglese Oli-ver Sacks in The Man Who Mistook His Wife for a Hat(New York,Harper,1970.Trad. it.di C.Morena:L’uomoche scambiò sua moglie per un cappello, Milano,Adelphi, 1989). Il passo di Hildegarda è dal Liber deplantis, cap. XI, e si può leggere nel suo originale qua-si-latino nella Patrologia dell’abbé Migne (CXCVII, Pa-rigi, 1855), o in traduzione francese (Grenoble, Mil-lon, 1988).A proposito del latino di Hildegarda: nonsono riuscito a identificare l’affezione che lei chiama«slim»; né il Glossarium di Du Cange né il Wörterbuchdi Grimm ne danno notizia. Pierre Monat, che ha cu-rato la traduzione francese, lo rende con écoulementsd’humeurs.Infine, il Thesaurum pauperum di Pietro Ispano si tro-va tradizionalmente in calce alla Practica Jo. Serapionis(Lione, Jacob Myt, 1525) ed è citato da quella fonte;ma ne esistono anche un’antica traduzione italiana

48[ ]

(Libro dimandato il tesoro dei poveri,Venezia, GiovanniAlvise de Varesi,1500) e un’edizione moderna (Obrasmedicas de Pedro Hispano, Coimbre, M. H. da RochaPereira, 1973).Sull’uso dell’hashish nel mondo arabo, si veda “ThePharmacohistory of Cannabis Sativa”di Raphael Me-choulam, in Cannabinoids as Therapeutic Agents (p. 1-19), volume edito dallo stesso Mechoulam (Boca Ra-ton, CRC Press, 1986).

49[ ]

La stregoneria, dunque. Sulla vessata questione,gli uomini di cultura agli albori dell’età modernasi divisero, come spesso accade, in due categorie:quelli che ci credevano,e quelli che ci credevanoma...

I primi dicevano: le streghe si spalmano il corpocon un unguento diabolico e grazie a esso vola-no nella notte al Sabba infernale; lì incontrano ilDemonio, ci fanno l’amore e ne combinano poidi cotte e di crude. I secondi dicevano invece: sì,è vero che ci sono delle donnette scimunite cheraccontano di queste frottole, ma se le immagi-nano; e a dar loro queste credenze bizzarre so-no certi unguenti che si preparano usando erbe

L’INVENZIONE DELLA STREGONERIA

E LA SCOPERTA DEL NUOVO MONDO

(XV-XVII SECOLO)

50[ ]

e radici atte a produrre allucinazioni e delirio.Anzi, aggiungevano, abbiamo le prove: figurateviche hanno trovato alcune di queste poverette inpiena catalessi, abbarbicate a un pagliericcio o auna trave; ed esse, svegliatesi, sostenevano coc-ciutamente che no, loro non avevano dormito,avevano volato davvero su città e villaggi e ave-vano incontrato bei giovani e avuto ogni sorta diavventure.

Uno di tali increduli, lo spagnolo Andres Hernan-dez de Laguna, medico nella città lorenese diMetz, spinge il suo scetticismo fino a cercare nel-la capanna di due vecchi, accusati di stregoneria,l’unguento con cui questi si cospargevano perimmaginarsi il Sabba con i suoi annessi e connes-si. Non solo lo trova, ma ne lascia la dettagliatadescrizione che segue.

A.Laguna,“Commento a Dioscoride”,I materiali della medicina, IV (75)

... Tra le cose che trovarono nella capanna di quellestreghe, c’era un vaso mezzo pieno di un certo un-

51[ ]

guento verde, come il populeone [pomata medie-vale che conteneva, tra l’altro, foglie di papave-ro e germogli di pioppo] con il quale si ungeva-no, il cui odore era così grave e pesante che mo-strava d’essere composto da erbe fredde e sopo-rifere in ultimo grado, come la cicuta, la belladon-na, il giusquiamo o la mandragora; del quale un-guento, grazie al bargello [«alguazil»] che mi eraamico, ho fatto in modo d’ottenere un buon ba-rattolo. Con questo, ritornato nella città di Metz,ho unto dalla testa ai piedi la moglie del boia che,a causa delle infedeltà del marito, aveva persocompletamente il sonno, ed era diventata quasifuriosa. ... Questa, appena fu unta, con gli occhispalancati come quelli di un coniglio, e sembran-do anzi essa stessa una lepre cotta, piombò in unsonno talmente profondo, che pensai di non riu-scire più a svegliarla. [Quando poi, dopo trenta-sei ore di sonno, finalmente fu svegliata] ... lesue prime parole furono: «Perché in mal punto misvegliasti, ora che ero circondata da tutti i piacerie diletti del mondo?» – e rivolti gli occhi al maritogli disse sorridendo: «E tu, pitocco, sappi che ti homesso le corna, e con un galante più giovane epiù bello di te».

52[ ]

L’unguento delle streghe intorno a cui affabulava-no teologi e inquisitori era,dunque,un linimento abase di piante psicotrope nostrane, che un buonerborista campagnolo (cioè “strega”) poteva rac-cogliere e preparare con una certa facilità: la bel-ladonna, il giusquiamo, l’aconito napello.Vegetaliassociati fin dall’antichità al mondo dei morti, co-me la cannabis presso gli sciti, e che non eranoprobabilmente mai usati a casaccio o per scopi ri-creativi, ma in un contesto di magia e di religionepopolare dai contorni estatici.Cose queste abba-stanza chiare a noi – soprattutto grazie agli studi diG. Bonomo, J.B. Russell e C. Ginzburg che hannopazientemente ricostruito il profilo della strego-neria medievale – ma che in fondo erano già evi-denti agli intellettuali di allora.Al punto che,quan-do questi vengono a sapere dei bizzarri rituali re-ligiosi degli indiani d’America – quando,per esem-pio, apprendono da Francisco Hernandez che isacerdoti aztechi usano la pianta ololiuhqui (Riveacorymbosa L.) per comunicare con i loro dèi –,non esitano a stabilire un parallelo illuminante conle “streghe”di casa nostra.

53[ ]

Paolo Zacchia,De’ mali hipochondriaci

[Zacchia, archiatra di Innocenzo X, commentaqui la ricetta di un unguento stregonesco,pubbli-cata nel 1558 dal filosofo napoletano Giovanbat-tista della Porta.]Altri Autori pongono altre unzioni per fare vedere insogno cose grate, vaghe e piacevoli, come quella chefassi di sugo di Appio, di foglie tenere di Pioppo, d’A-coro volgare, di Solatro, di Stramonio, e d’Aconito un-tandone le tempie e la gola.Certa cosa è,che altre sene fanno che non sono prive del loro effetto, e massi-mamente quelle, delle quali appresso gl’Indiani e al-tri barbari si servivano i falsi sacerdoti, dando ad in-tendere ai semplici popoli di vedere in sogno i Dei, eil Paradiso,e come quelle anche delle quali si servonole streghe, le quali per lo più per virtù di queste un-zioni profondamente addormentatesi veggiono alcu-ni sogni conformi alla loro immaginazione,e pensanofalsamente (almeno le più) di essere state ne’ convi-ti e nozze co’ demoni, e loro vaghi e ivi avere ban-chettato e goduto di nefandissimi piaceri.

Streghe e aztechi avevano questo in comune,che entrambi comunicavano con i loro dèi in sta-

54[ ]

to di estasi, e usavano per questo scopo piantepsicotrope.Tutto ciò era ben chiaro ai più avve-duti tra gli uomini di cultura europei del XVI eXVII secolo, per i quali i barbari ignudi d’oltreo-ceano erano forse tanto lontani culturalmentequanto le vecchie montanare, analfabete e mez-zo morte di fame, che vedevano trascinare da-vanti al tribunale del Santo Offizio.E la cannabis? La cannabis continua a vivere lon-tana da questi clamori, conosciuta per i suoi ef-fetti, ma né temuta né associata ad alcuna parti-colare devianza religiosa. Le parole dello stessoAndres de Laguna nel suo commento a Diosco-ride illustrano bene la quieta vita di provincia diquei tempi.

A.Laguna,“Commento a Dioscoride”,I materiali della medicina, III (l60)

[Il seme di canapa] si digerisce difficilmente, dà pe-so allo stomaco,provoca ubriachezza e mal di testae si converte in cattivi umori. I quali danni ed incon-venienti si devono perdonare alla canapa, perchéessa è strumento della giustizia,per punire ed estir-

55[ ]

pare gli uomini dannosi allo stato [con le corde dicanapa si impiccavano infatti i malfattori].

* Il lettore del racconto di Leonardo Sciascia La stre-ga e il capitano (che contiene alcune tra le pagine piùassennate scritte in italiano sulla stregoneria dopoquelle di Alessandro Manzoni) ricorderà che, tra lepovere cose della strega Caterina, gli inquisitori tro-vano una cartina «con dentro erba che non si è po-tuto comprendere che cosa sia» e che invece il me-dico Antonio Clerici dichiara essere «erba Andina»,chiamata anche «yerba mate».Da uomo di buon gu-sto, Leonardo Sciascia glissa sulla cosa,ma a noi sem-bra chiaro che il dottor Clerici accusava l’ignara Ca-terina di detenere e consumare foglie dell’arbustoandino Erythroxylon coca, con cui si prepara appuntoun ben noto mate.Dalla vastissima bibliografia sulla stregoneria pescodue titoli che si leggono con piacere e profitto:un ro-manzo, La chimera, di Sebastiano Vassalli (Torino, Ei-naudi,1990) e un’antologia di testi,La stregoneria:Dia-voli, streghe e inquisitori dal Trecento al Settecento, a cu-ra di S.Abbiati,A.Agnoletto e M.R. Lazzati (Milano,Mondadori, 1984).Altri riferimenti bibliografici piùcompleti si possono trovare in Storia notturna di C.Ginzburg e (sul ruolo delle piante psicotrope) in D.

56[ ]

Piomelli-A. Pollio,“In Upupa o Strige:A Study in Re-naissance Psychotropic Plant Ointments”,History andPhilosophy of the Life Sciences, n. 16 (1994), p. 241-273.Il testo di De Laguna è tratto da C. E. Dubler, La Ma-teria Medica de Dioscorides:Transmision medieval y re-nacentista, vol. III: La “Materia Medica” de Dioscoridestraducida y comentada por Andres de Laguna (Barcel-lona,1955).Quello di Zacchia è citato da Piero Cam-poresi in Il pane selvaggio, alle pagine l66-167:ho solomodificato qua e là l’ortografia, seguendo l’edizionedi Vitale Mascardi (Roma, 1644).

57[ ]

L’obelisco di Place de la Concorde non è la solacosa che Napoleone abbia riportato in Franciadal lontano Egitto.Tra i membri della “Commis-sion des Sciences et des Arts d’Egypte”, istituitadal generale corso per traslocare opere d’artedal paese dei faraoni alla ville lumière, c’era uncerto monsieur Rouyer che, essendo «farmaci-sta ordinario di Sua Maestà l’Imperatore» e nonantiquario,preferì alla raccolta di pezzi archeolo-gici lo studio delle piante medicinali di quell’eso-tica regione.Tornato a Parigi, monsieur Rouyerriordinò i suoi appunti e ne ricavò una dotta re-lazione che fece stampare,per i colleghi della Fa-coltà, nel Bulletin de pharmacie de Paris (1810).

LA FAMOSA INVASIONEDEI FRANCESI

IN EGITTO (XIX SECOLO)

58[ ]

M.Rouyer,Farmaci comunidegli Egiziani

La canapa è secondo gli egiziani la pianta per eccel-lenza, non per l’utile che se ne ricava in Europa e inmolti altri paesi, ma a causa delle singolari proprietàche le si attribuiscono.Quella che si coltiva in Egitto èinebriante e narcotica. Ci si serve delle foglie e dellesommità fiorite di questa pianta, che bisogna racco-gliere prima che giungano a maturità: con queste siprepara una conserva che si usa per confezionare ilberch, il diasmouk e il bernaouy. Le foglie di canaparidotte in polvere e incorporate nel miele o sciolte nel-l’acqua costituiscono la base del berch dei poveri.Questi ultimi si inebriano anche fumando la canapada sola, o mischiata a tabacco: se ne fa una grandeconsumazione in Egitto, dove non si coltiva che perquest’impiego. La canapa d’Egitto è la stessa chequella d’Europa? Deve le sue proprietà alla coltura oal clima?

Con questi interrogativi, che hanno tenuto occu-pati i botanici sistematici per il secolo a venire eche non sono ancora del tutto risolti, si chiudeun paragrafo in apparenza modesto e oscura-

59[ ]

mente specialistico,ma che era destinato ad ave-re un impatto formidabile sulla cultura scientificae letteraria francese del XIX secolo.Monsieur Rouyer era spalleggiato da un altromémoire quasi contemporaneo, quello che Syl-vestre de Sacy aveva letto l’anno prima,nel 1809,all’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres diParigi, intitolato Memoria sulla dinastia degli As-sassini e sull’origine del loro nome. Il principalecontributo scientifico di tale dissertazione vole-va essere l’identificazione della misteriosa “pol-vere” adoperata dal Vecchio della Montagna pergovernare la setta degli Hashishiya, secondo ilracconto di Marco Polo e di altri cronisti dell’e-poca. Basandosi su vari argomenti soprattuttolinguistici, De Sacy era giunto alla conclusione(come abbiamo visto nelle pagine precedenti)che si trattasse di hashish, e ne descrisse in det-taglio anche i potenti effetti euforizzanti e psico-dislettici.Così, di punto in bianco, scienze naturali e scien-ze storiche si coalizzarono per mostrare all’atto-nito pubblico delle nazioni civili che la menteumana, res cogitans e sede dell’anima, poteva es-sere alterata in maniera spettacolare dall’inge-

60[ ]

stione di una semplice pianta. Nel giro di pochianni, una valanga di racconti, romanzi e saggi incui l’hashish svolgeva il ruolo ora di protagonista,ora di comparsa, si andò ad aggiungere a quelliche, nello stesso periodo, si scrivevano su un’al-tra droga d’origine vegetale, l’oppio:

L’opium agrandit ce qui n’as pas de bornes,Allonge l’illimité,

Approfondit le temps, creuse la volupté,Et de plaisirs noirs et mornes

Remplit l’âme au delà de sa capacité.

* M. Rouyer,“Sur les medicaments usuels des Egyp-tiens”, Bulletin de pharmacie, n. IX (1810), p. 385-415.S. de Sacy,“Mémoire sur la dynastie des Assassins”,Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, seduta del7 luglio l809; di qualche anno più tardi (l818) è la Ge-schichte der Assassinen di Josef von Hammer.Charles Baudelaire,“Le poison”, Les Fleurs du mal,1857.

61[ ]

La situazione ormai si è capovolta: non occorrepiù passare ore intere a spulciar testi polverosi perincappare in una frase o due in cui si accenni allacannabis.Si è investiti da una marea di osservazio-ni, di esperienze,di giudizi; da una logorrea che in-sieme con hashish e oppio coinvolge pure il vino,e accanto a classici della letteratura e della scienza– come Le confessioni di un mangiatore inglese dioppio di De Quincey (1821), L’hashish e l’aliena-zione mentale di Moreau (1845), o I paradisi artifi-ciali di Baudelaire (1860) – produce feuilletons ecommedie vaudeville; come quella sugli effetti del-l’oppio messa in scena al teatro della porta SaintAntoine,nella Parigi ancora inebriata dalle trois glo-rieuses del luglio 1830.

TRA FEUILLETONS E FARMACOPEE

(XIX SECOLO)

62[ ]

In un tale imbarazzo della scelta, se preferiscoproporre un racconto breve di Théophile Gau-tier, piuttosto che un capolavoro come Les Para-dis artificiels, ho le mie buone ragioni: la grandearte distrae; meglio lasciar parlare un testimonedalla prosa un po’ bébête, ma piena delle idee ditutti i giorni, di quelle che fanno veramente un’e-poca. E poi,Théophile Gautier scriveva con co-gnizione di causa: aveva partecipato più volte al-le riunioni che il “Club des Haschischins” tenevanell’appartamento parigino del pittore FernandBoissard, al primo piano dell’hôtel Pimodan sull’i-sola Saint-Louis.Una consorteria di artisti vi s’in-contrava la sera, sotto l’egida del dottor Moreau,psichiatra all’ospedale di Bicêtre, per mangiarehashish e vaneggiare.

Théophile Gautier,L’hashish

Da tempo sentivamo parlare, senza crederci troppo,dei meravigliosi effetti prodotti dall’hashish.Conosce-vamo già le allucinazioni che causa il fumo dell’oppio:ma l’hashish non ci era noto che di nome.Alcuni ami-ci orientalisti ci avevano promesso varie volte di far-

63[ ]

celo provare; ma, o a causa della difficoltà a procu-rarsi la preziosa pasta, o per altra ragione, il progettonon era stato ancora realizzato. Lo è stato ieri, e l’a-nalisi delle nostre sensazioni sostituirà il resoconto deipezzi musicali che non abbiamo suonato.... L’hashish è un estratto del fiore di canapa (can-nabis indica), che si fa cuocere con burro, pistacchi,mandorle e miele, in maniera da formare una spe-cie di confettura che somiglia abbastanza alla con-serva di albicocche, dal gusto non spiacevole ... Ladose di un cucchiaio è sufficiente per coloro che nonsono abituati a questa leccornia da vero credente.Si innaffia l’hashish con qualche tazzina di caffèamaro alla maniera araba, e poi ci si mette a tavo-la come al solito, poiché lo spirito dell’hashish nonagisce che dopo qualche tempo. Uno dei nostricompagni, il dottor *** [J.Moreau], che ha fatto deilunghi viaggi in Oriente e che è un risoluto mangia-tore di hashish, fu preso per primo, avendo assorbi-to una dose più forte di noi.Vedeva le stelle nel piat-to, e il firmamento nel fondo della zuppiera; poi giròil naso contro il muro, parlando da solo, ridendo acrepapelle con gli occhi illuminati e in uno stato digiubilazione profonda. Fino alla fine della cena, io misentii perfettamente calmo, benché le pupille del

64[ ]

mio commensale cominciassero a scintillare stra-namente, e a divenire di un blu turchese del tuttoparticolare. Levata la tavola, andai a sedermi sul di-vano ancora padrone della mia ragione, e lì mi si-stemai il più comodamente possibile tra dei cuscinidel Marocco, per aspettare l’estasi. Dopo qualcheminuto, un intorpidimento generale mi invase. Miparve che il mio corpo si dissolvesse e divenisse tra-sparente.Vedevo molto chiaramente nel mio pettol’hashish che avevo mangiato, sotto forma di unosmeraldo da cui sfuggivano milioni di piccole scintil-le; le mie ciglia si allungavano indefinitamente, arro-tolandosi come fili d’oro su dei bindoli d’avorio chegiravano da soli con una abbagliante rapidità. Intor-no a me, c’erano uno sfavillare e uno scrosciare digemme di tutti i colori, di arabeschi, di fiorami che sirinnovavano continuamente, che non saprei para-gonare ad altro che ad un caleidoscopio; di tanto intanto vedevo ancora i miei compagni, ma sfigurati,metà uomini e metà piante, con un’aria pensosa diibis in piedi su una zampa, di struzzi che battevanodelle ali così strane che mi facevano torcere dalle ri-sate nel mio angolo, e che, per associarmi allabuffoneria dello spettacolo,mi sono messo a lancia-re i miei cuscini per l’aria, riacchiappandoli e facen-

65[ ]

doli roteare con la destrezza di un giocatore indiano.Uno di questi signori mi rivolse, in italiano, un discor-so che l’hashish nella sua onnipotenza traspose inspagnolo. Le domande e le risposte erano quasi ra-gionevoli, e scorrevano su cose indifferenti, novità delteatro o della letteratura.Il primo accesso giungeva al termine.Dopo qualcheminuto mi ritrovai con tutto il mio sangue freddo,senza mal di testa, senza nessuno dei sintomi cheaccompagnano l’ubriachezza da vino, e molto stu-pito di ciò che era appena accaduto. Passata appe-na una mezzora, ripiombai sotto l’impero dell’ha-shish.Questa volta la visione fu più complicata e piùstraordinaria. In un’aria confusamente luminosa,svolazzavano con formicolio perpetuo miliardi difarfalle le cui ali frusciavano come ventagli.… Il mio udito si era sviluppato prodigiosamente;sentivo il rumore dei colori. Suoni verdi, rossi, blu, gial-li, mi arrivavano a onde perfettamente distinte. Unbicchiere versato, uno scricchiolio di poltrona, unaparola pronunciata bassa, vibravano ed echeggia-vano in me come il rombo di un tuono; la mia stes-sa voce mi pareva così forte che non osavo più par-lare, per paura di abbattere i muri o di scoppiarecome una bomba; più di cinquecento pendoli mi

66[ ]

suonavano l’ora con le loro voci flautate, squillanti,argentine.... Mai simile beatitudine m’aveva inondato con isuoi effluvi; ero così sciolto nell’indefinito, così assen-te da me stesso, così sbarazzato dell’io, questo te-stimone odioso che vi accompagna dappertutto,che ho compreso per la prima volta quale potevaessere l’esistenza degli spiriti elementari, degli an-geli e delle anime separate dal corpo.Ero come unaspugna nel mezzo del mare: ad ogni istante delleonde di felicità mi attraversavano, entrandomi euscendomi dai pori, perché ero diventato permea-bile e tutto il mio essere, fino al più piccolo vaso ca-pillare, si iniettava del colore dell’ambiente fantasti-co nel quale ero immerso. I suoni, i profumi, la luce,mi giungevano attraverso miriadi di tubi sottili comecapelli nei quali sentivo fischiare correnti magneti-che. Secondo i miei calcoli, questo stato durò circatrecento anni, perché le sensazioni vi si successerocosì numerose e affollate che una valutazione rea-le del tempo era impossibile.Terminato l’accesso, vi-di che era durato un quarto d’ora.

Questo resoconto è così dettagliato e precisonella sua descrizione degli effetti dell’hashish, co-

67[ ]

sì rigorosamente “clinico”, che J. Moreau reputòutile riprodurlo per intero nella sua monografiasull’hashish pubblicata nel 1845.In effetti, i sintomi descritti da Gautier corrispon-dono molto fedelmente anche a quelli riportatidagli odierni manuali di psichiatria.

H.I.Kaplan,B.J.Sadock, J.A.Grebb,Synopsis of Psychiatry (1991)

Gli effetti psicologici della cannabis includono eufo-ria, stati oniroidi, calma e sonnolenza.... L’intossicazione accresce la sensibilità agli stimoliesterni, svela dettagli che sarebbero ordinariamen-te ignorati, fa apparire più ricchi e brillanti i colori eaumenta la sensibilità soggettiva alla musica e al-l’arte. Il tempo sembra rallentare, e una quantitàmaggiore di cose sembra avvenire in un tempo da-to.Altri sintomi sono: aumento dell’appetito, sec-chezza delle fauci e tachicardia. Stranamente, siprova spesso una separazione della personalità:mentre ci si sente high, si è anche osservatori obiet-tivi della propria intossicazione.

68[ ]

Si possono sviluppare sintomi di paranoia e si può,nello stesso tempo, riderci sopra. Si possono inoltreprodurre depersonalizzazione e derealizzazione. Segli ingredienti attivi della marijuana raggiungono livel-li ematici molto elevati, il soggetto può subire alluci-nazioni simili a quelle prodotte da droghe quali l’aci-do lisergico dietilamide (LSD). Questi effetti includo-no percezione distorta del corpo,aberrazioni spazia-li e temporali, aumentata sensibilità al suono, sine-stesia,accresciuta suggestionabilità,e stato di profon-da consapevolezza.

Al di là dell’esattezza puntigliosa delle sue descri-zioni, Moreau propone un’interpretazione neu-ropsichiatrica degli effetti dell’hashish che corri-sponde, in sostanza, all’interpretazione “morale”che ne dà Baudelaire nelle ultime pagine di LesParadis artificiels.Secondo Moreau,noi viviamo nel presente graziea un atto della volontà che dirige la nostra atten-zione verso tutti quegli oggetti e quei fenomeniche hanno per noi un interesse attuale; è un con-cetto che sarà in parte ripreso da Henri Bergsonin Matière et mémoire (1896).Attraverso la me-moria viviamo nel passato, e attraverso l’immagi-

69[ ]

nazione, nell’avvenire. L’hashish, indebolendo lavolontà, cioè riducendo quella «forza intellettualeche domina le idee, le associa e le lega tra loro», la-scia campo libero alla memoria e all’immaginazio-ne: passato e avvenire prendono così il soprav-vento e causano uno stato di dissociazione delleidee che,per Moreau,non è soltanto sintomo pri-mario dell’intossicazione da hashish, ma anchemodificazione, «fatto primordiale» (fait primor-dial), alla base sia dello stato di sonno sia delle piùdiverse forme di alienazione mentale.

J.Moreau,L’hashish e l’alienazionementale (1845)

Nello stato regolare o normale [delle nostre fa-coltà intellettuali], quando vogliamo pensare qual-cosa,meditare su un soggetto, cioè considerarlo sot-to i suoi diversi punti di vista, succede quasi sempreche ne siamo distratti da qualche idea estranea.Ma quest’idea non fa che traversare il nostro spiri-to, senza lasciare tracce, oppure la si può scacciarefacilmente, senza che la serie regolare dei nostripensieri sia interrotta.

70[ ]

Uno dei primi effetti apprezzabili dell’hashish è l’in-debolimento graduale e sempre più marcato delpotere che abbiamo di dirigere i nostri pensieri anostro piacimento. Insensibilmente, ci sentiamo in-vasi da idee estranee al soggetto sul quale vogliamofissare la nostra attenzione. Queste idee che la vo-lontà non ha evocato, e che sorgono nel nostro spi-rito non si sa né come né perché,diventano semprepiù numerose, più vive, più sorprendenti....Noi viviamo nel presente grazie a un atto della vo-lontà che dirige la nostra attenzione verso degli og-getti che hanno per noi un interesse attuale.Grazie alla memoria, viviamo nel passato; grazie aessa possiamo, in un certo senso, ricominciare la no-stra esistenza dal punto preciso in cui essa ha co-minciato con la coscienza di noi stessi.Grazie all’immaginazione viviamo nell’avvenire; gra-zie a essa possiamo crearci un mondo nuovo e, seposso usare un’espressione la cui precisione giustifi-cherà forse il barbarismo, una nuova esteriorità.Gra-zie a essa, reagendo su sé stesso, l’io sembra potersitrasformare, così come essa modifica, cambia a suopiacimento le cose, le persone, il tempo e i luoghi.Poiché l’azione dell’hashish va a indebolire la vo-lontà – la forza intellettuale che domina le idee, le

71[ ]

associa e le lega tra loro –, memoria e immagina-zione prendono il sopravvento, le cose presenti ci di-ventano estranee, e cadiamo in balia del passato edel futuro.La coscienza apprezza diversamente questi effetti,secondo il grado di violenza del disordine intellet-tuale provocato dall’agente modificatore.Finché questo disordine non ha passato certi limiti,si riconosce facilmente l’errore nel quale siamo sta-ti indotti, non già nel momento stesso in cui ci do-mina, il che implicherebbe una contraddizione, maimmediatamente dopo che, rapido come il fulmine,esso ha traversato la mente. Ne risulta allora unasuccessione di idee false e di idee vere, di sogni e direaltà, che costituisce una sorta di stato intermediotra follia e ragione, e fa sì che un individuo possa es-sere, se non in realtà almeno in apparenza, nellostesso tempo pazzo e sano di mente.

Le analogie che Moreau stabilisce tra sintomi del-l’intossicazione da hashish e psicosi lo convincono,con logica da “chiodo scaccia chiodo”che sfugge anoi come a molti dei suoi contemporanei, a stu-diare gli effetti terapeutici della cannabis su un pic-colo gruppo di pazienti ricoverati a Bicêtre. In cal-

72[ ]

ce a L’hashish e l’alienazione mentale, Moreau de-scrive sette di questi esperimenti, in cui la sommi-nistrazione orale di hashish a pazienti affetti daschizofrenia avrebbe prodotto una remissionecompleta dei sintomi.Vediamone uno: quello delparrucchiere parigino D.Giovane e di robusta costituzione fisica, D. hasofferto per qualche tempo, e senza alcuna cau-sa esterna apparente,di forti dolori alla testa e dironzii agli orecchi. Il suo carattere ha anche subi-to, all’improvviso, un cambiamento violento: a talpunto che la moglie afferma di non riconoscerlopiù e di temere qualche disgrazia. Si crede ricco,geniale,poeta.Passa il tempo a scribacchiare ver-si sui muri della sua stanza, asserendo che le suepoesie farebbero «crepare d’invidia» (sono pa-role sue) Corneille e Racine, se fossero ancoravivi.Il 16 Febbraio 1842 lo portano a Bicêtre,dove D.riceve la dose canonica di bagni prolungati, ven-tose alla nuca e purganti, fino a quando Moreauincomincia a interessarsi a lui.Da quel momento,il trattamento cambia. Il medico non esita a speri-mentare una terapia d’assalto: trenta grammi dihashish per os, a digiuno, accompagnati da qual-

73[ ]

che tazza di caffè (che,come si ricorderà dalla let-tura di Gautier, ne accelera e ne potenzia gli ef-fetti). Dopo un’ora e mezzo dalla somministra-zione del preparato,D.mostra tutti i sintomi del-l’intossicazione – euforia, stato oniroide, sonno-lenza –, sintomi che durano fino a sera, quandoegli cena normalmente, si ritira, e passa una nottecalma e senza sogni. L’indomani, lo stato generaledi D. è così migliorato e i sintomi della sua malat-tia sono così drasticamente diminuiti da permet-tere il suo trasferimento immediato alla fattoria diSant’Anna (nella zona sud di Parigi), che era allo-ra un centro di convalescenza per pazienti neu-ropsichiatrici, da cui sarà dimesso poco più tardi.Che dire di questa miracolosa guarigione, e del-le altre sei che Moreau ci descrive? Che di mira-coli siffatti, ahimè, sono pieni gli annali della storiadella medicina, con le più varie terapie (viene inmente la polvere di corno d’alce, usata dal medi-co illuminista svizzero Tissot per curare l’epiles-sia;oppure,più di recente, la “psicochirurgia”chepretendeva di curare disturbi della personalitàdistruggendo chirurgicamente aree più o menograndi dell’encefalo). In casi del genere lo scetti-cismo non è mai troppo.

74[ ]

Bisogna aggiungere che tra i contemporanei diMoreau non molti ne condividevano le intempe-ranze terapeutiche: di là dalla Manica, per esem-pio, vari esponenti della scuola farmacologicabritannica – ancora ai suoi primi passi, ma desti-nata a un avvenire glorioso – avevano compresoil potenziale terapeutico della cannabis, ma loesploravano con ben più cauto empirismo.

Robert Christison,Commentoalla farmacopea britannicae statunitense (1848)

Numerosi osservatori hanno riferito che la canapaindiana produce, nei nativi dell’Oriente che la utiliz-zano spesso al posto delle bevande alcooliche, talo-ra uno stato pesante e indolente di piacevole fan-tasticheria, dal quale l’individuo può essere risve-gliato facilmente per eseguire compiti semplici; ta-lora uno stato allegro e attivo di ebbrezza, che spin-ge a danzare, a cantare e a ridere, stimola l’appeti-to venereo e accresce il desiderio di cibo; taloraun’ubriachezza rissosa, che conduce ad atti di vio-lenza. Durante questa condizione, il dolore è lenito

75[ ]

e gli spasmi interrotti. In genere, il sonno sopravvie-ne dopo tre ore, e quando questo termina,non è se-guito né da nausea, né da perdita d’appetito, né dacostipazione. Nessun altro sintomo, a parte un leg-gero capogiro. Ciò nonostante, il suo uso frequenteabbrutisce l’intelletto.… Nella mia propria esperienza professionale, …[la cannabis] ha provocato il sonno, ha lenito il do-lore e ha arrestato lo spasmo; non ho mai osserva-to alcun effetto sgradevole durante o dopo la suaazione, eccetto che, in un solo caso, ha causato, all’i-nizio della sua azione, un senso allarmante di per-cussione nel cervello....Nel complesso, si tratta di un farmaco che meritastudi più approfonditi di quelli finora compiuti.

A quasi centocinquant’anni di distanza, e nono-stante il progresso delle nostre conoscenze sulmeccanismo d’azione della canapa indiana, que-sta conclusione resta ancora valida.

* Il ruolo delle droghe nella letteratura francese traOttocento e Novecento è stato esplorato in La Bel-le époque de l’opium, di Arnould de Liedekerke (Édi-tions de la Différence, 1984), che raccoglie un ricco

76[ ]

materiale bibliografico e un’antologia di testi a cuisenz’altro rimando.La monografia di Moreau (Parigi, Fortin-Masson etCie., 1845), un classico della neuropsichiatria, non èpurtroppo disponibile né in traduzione italiana né inristampa francese: chi non si contenti di leggerla in bi-blioteca e voglia possederla, la troverà forse da qual-che bouquiniste della rue Tournon,ma non si aspetti diportarsela via per pochi franchi.Il vivo interesse della farmacologia britannica per lacannabis, creatosi durante l’occupazione colonialedell’India, è descritto dettagliatamente da RaphaelMechoulam in The Pharmacohistory... (op. cit.), cheperò non include in bibliografia il passaggio di Christi-son citato qui.Non possiamo lasciare il XIX secolo senza almenoaccennare ad alcune pubblicazioni italiane sulla can-nabis, contemporanee di quelle di Moreau e di Chri-stison: si tratta dei lavori di due chimici,Giovanni Pol-li e Carlo Erba,e del fisiologo Paolo Mantegazza. Il let-tore interessato potrà trovarne una descrizione in Bi-bliografia italiana su allucinogeni e cannabis (Bologna,Grafton 9, 1994), a cura della SISSC (Società Italianaper lo Studio degli Stati di Coscienza); oppure, piùdettagliatamente, nel libro di Giorgio Samorini dedi-cato alla storia della cannabis in Italia [G. Samorini,L’erba di Carlo Erba,Torino, Nautilus, 1997].

77[ ]

L’Ottocento si chiude in Europa con la fiducianelle magnifiche sorti progressive dell’umanità, econ la convinzione che la canapa indiana abbiaeffetti potenti e distinti da quelli di ogni altrapianta psicotropa.Che tali effetti fossero opera di una sostanza, diun “principio attivo” ospitato nelle foglie e nelleinfiorescenze, tutti lo sospettavano (in quegli an-ni venivano isolate la cocaina, la morfina e la chi-nina),ma nessuno riusciva a dimostrarlo.Ancoranel secondo dopoguerra,un repertorio di medi-camenti «ad uso del farmacista italiano» ascrive-va alla canapa indiana i seguenti componenti chi-mici: «cannabina, ossicannabina, cannabinina, te-tanocannabina (sostanze poco bene definite),

SI RICERCA E SI PROIBISCE,

MA SOPRATTUTTOSI CONSUMA

(XX SECOLO)

78[ ]

cannabinone, cannabinolo, olio essenziale(0,3%)»; e concludeva: «A quest’ultimo si attri-buisce l’attività farmacologica della droga».Che cosa ci fosse di preciso in quell’olio essen-ziale continuò a rimanere ignoto fino a quando,nel 1964, il giovane chimico israeliano RaphaelMechoulam annunciò d’essere riuscito a isolarneil principio attivo: con una breve nota pubblicatasul Journal of the American Chemical Society Me-choulam identificò tale principio in un nuovo de-rivato idrogenato del cannabinolo, il delta-9-te-traidrocannabinolo, capace di produrre nell’ani-male di laboratorio e nell’uomo effetti non dissi-mili da quelli dell’hashish.Le azioni della cannabis, si sa, non hanno granchéin comune con quelle della coca o dell’oppio,e ladifferenza si manifesta già nella struttura chimicadel delta-9-tetraidrocannabinolo. Secondo laterminologia chimica, i principi psicoattivi conte-nuti nella coca (cocaina) e nell’oppio (morfina)sono degli alcaloidi. Quindi, come gli alcali inor-ganici, possiedono sulla loro molecola una debo-lissima carica elettrica che conferisce loro unacerta affinità per l’acqua, che è a sua volta un di-polo elettrico. Perciò, la cocaina e la morfina si

79[ ]

sciolgono facilmente nel sangue e nelle altre so-luzioni acquose che bagnano i nostri organi in-terni, compreso il cervello. Il delta-9-tetraidro-cannabinolo invece no: non è un alcaloide e nonè per nulla carico elettricamente.Anzi, è sostan-za fortemente “lipofila”, cioè con una preferenzaa sciogliersi nei grassi. E di grassi sono fatte lemembrane che separano tutte le nostre celluledal resto del mondo: sacchetti lipidici in cui gal-leggiano decine di migliaia di proteine dalle for-me e funzioni più diverse, come i recettori, checaptano messaggi chimici lanciati da una cellulaall’altra, e gli enzimi, che rendono veloci una fra-zione di secondo reazioni chimiche che altri-menti sarebbero lentissime.Che importanza può avere il fatto che il delta-9-tetraidrocannabinolo sia sostanza lipofila? Stori-camente, enorme. Per comprenderla dobbiamofare una breve deviazione d’itinerario, e ricorda-re attraverso quali meccanismi operano le so-stanze psicoattive.Prendiamo l’esempio della morfina. Iniettata en-dovena, questa penetra attraverso la barriera dicellule che separa il sangue dal sistema nervoso,e raggiunge il cervello. Lì, benché entri in contat-

80[ ]

to con quasi tutte le cellule cerebrali, essa intera-gisce soltanto con una popolazione molto limi-tata di cellule: quelle che sulla superficie esternadella propria membrana hanno dei recettori chela “riconoscono” specificamente, come una ser-ratura “riconosce” la propria chiave.Tutte, maproprio tutte, le azioni della morfina (dall’euforiaalla stitichezza) sono una conseguenza di questotemporaneo legarsi a specifici recettori di mem-brana.Tale legame cambia la forma dei recettori(non metaforicamente: è proprio ciò che succe-de), li fa urtare con degli enzimi che si trovanoaccanto e li costringe, con rapidità e selettivitàstrabilianti, ad avviare una serie di reazioni chimi-che che finiscono col modificare l’eccitabilità del-le cellule nervose, cioè la loro capacità di sentiregli stimoli lanciati dalle cellule vicine e di rispon-dervi.Ma qual è il nesso di tutto ciò con il delta-9-te-traidrocannabinolo e la sua lipofilia? Questo: cheper ventiquattro anni, dal 1964 al 1988, l’opinio-ne prevalente tra farmacologi e neurobiologi erache una sostanza lipofila come il delta-9-tetrai-drocannabinolo non potesse agire come la mor-fina (sostanza idrofila), ma si sciogliesse invece

81[ ]

nella matrice lipidica della membrana e ne modi-ficasse in maniera non selettiva le proprietà bio-chimiche.A questa teoria del delta-9-tetraidro-cannabinolo come “sapone neuronale” alcuniscienziati più avveduti opponevano un’obiezionedettata dal semplice spirito d’osservazione e dalbuon senso (che difettano tra gli scienziati comein ogni altra categoria professionale): se il mecca-nismo d’azione del delta-9-tetraidrocannabinoloè così aspecifico, arguivano questi, perché i suoieffetti sono invece così smaccatamente diversida quelli di ogni altra sostanza psicoattiva? Per-ché così caratteristici e irripetibili? Quella pattu-glia di anticonformisti non era composta da ere-tici, ma da gente sensata che ragionando peranalogia si domandava: e se il delta-9-tetraidro-cannabinolo avesse, come la morfina, un suo re-cettore specifico? Ipotesi plausibile che suscitavaperò, senza prove sperimentali, solo qualchescettica alzata di spalle.La prima prova irrefutabile che un recettore peril delta-9-tetraidrocannabinolo esiste davveroarrivò inaspettatamente e, come spesso avviene,del tutto per caso, quando un gruppo di ricerca-tori del National Institute of Health di Bethesda

82[ ]

(USA) stava “andando per recettori”.Già,perchéoggigiorno si può andare per recettori come siva per funghi, aspettando la stagione adatta, an-dando nel tal bosco, sotto quel tale albero ecce-tera.Nel caso dei recettori, basta avere un po’ difondi per la ricerca e un’idea di ciò che si vuole.Vediamo come.I recettori sono proteine,e come tutte le protei-ne sono modellati su uno “stampo” fatto di acidoribonucleico (RNA) “messagero”che a sua voltaè modellato su uno stampo di acido deossiribo-nucleico (DNA). Poiché i recettori fanno un po’tutti lo stesso mestiere, che è quello di ricono-scere un messaggio chimico extracellulare e tra-smetterlo all’interno della cellula, è ovvio che sisomigliano un po’ tutti (analogia: pipistrello, pas-sero e pterodattilo sono animali molto diversi,ma hanno in comune un elemento di base ne-cessario a volare, le ali). Le omologie tra recetto-ri diversi non sono grandi, diciamo il 10-20%,mabastano al biologo molecolare per giocare d’a-stuzia. Questi fabbrica dei frammenti di DNAche contengono le sequenze omologhe, e li ag-giunge a degli estratti in cui sono presenti tutti gliRNA cellulari (svariati milioni). Per ragioni di affi-

83[ ]

nità chimica, il DNA artificiale va a legarsi ai variRNA a cui corrisponde,e solo a quelli; quindi ba-sta aggiungere all’estratto certi enzimi i quali, tro-vato l’RNA del recettore legato al DNA artificia-le, lo usano come stampo per fabbricare il DNAcompleto del recettore, e inoltre produconoquesto DNA in milioni di copie. Che è poi loscopo desiderato: il DNA del recettore è adessoin quantità tale da poter essere isolato (“clona-to”) e analizzato come si deve.Ora che sappiamo come si clona un recettore,possiamo ritornare al nostro gruppo di ricerca-tori americani: abbiamo capito che loro “andava-no per recettori” non cercando un recettore inparticolare, ma gettando l’amo senza stare aporsi troppi problemi. E gli è andata bene, comeci raccontano in un articolo comparso nel 1988sulla rivista britannica Nature. Dopo aver isolato,come si è detto, il DNA di un recettore ignoto, inostri l’hanno deposto nel nucleo di un fibropla-sto. Questa cellula (che resiste ai più infami mal-trattamenti genetici rimanendo, nonostante tut-to, disperatamente normale) ha scambiato ilDNA estraneo per uno dei suoi e si è messa aprodurre il recettore che vi era codificato come

84[ ]

se fosse stata una delle sue proprie proteine; enel frattempo si è riprodotta, formando milioni emilioni di altri fibroplasti simili, che esprimevanotutti l’ignoto recettore.A questo punto, per sco-prire quale sostanza vi si legasse, i nostri hannoprovato una lunga serie di composti, a uno a uno,fino a trovare quello giusto, appunto il delta-9-te-traidrocannabinolo.Il lettore che ha avuto la benevolenza di seguirmiin questa digressione tecnica avrà forse anchel’astuzia di pormi una domanda: se i recettoriservono a captare i messaggi chimici che le cellu-le si lanciano reciprocamente, che ci fa nel nostrocorpo il recettore per una sostanza prodotta dauna pianta? Se si trattasse di un composto odo-rante o di un feromone, si capirebbe;ma una so-stanza psicoattiva? Perché?Esclusa la possibilità che l’evoluzione abbia previ-sto la beat generation, resta quella che il recetto-re riconosca il delta-9-tetraidrocannabinolo pererrore, perché lo scambia per un’altra sostanza:una sostanza endogena che, liberata dalle cellulenervose, potrebbe produrre quell’insieme disensazioni psichiche e di effetti fisiologici che so-no caratteristici della cannabis. Ma se questa so-

85[ ]

stanza cannabinoide endogena esiste, come sipuò fare per provarne l’esistenza?In teoria, è facile come seguire una ricetta di cu-cina.Si prende un cervello (preferibilmente piut-tosto grande, per esempio di maiale), se ne fa unestratto (che è come preparare un omogeneiz-zato) e se ne separano le varie componenti chi-miche (e già qui la cosa si fa più difficile).Poi si de-termina se una di tali componenti si lega specifi-camente al recettore del delta-9-tetraidrocan-nabinolo.Trovatala, se ne stabilisce la strutturachimica: quod erat demonstrandum.Fin qui, tutto bene. Eccetto che, tra proteine,peptidi, lipidi semplici e complessi, carboidrati echi più ne ha più ne metta, nel cervello di unmammifero risiedono svariati milioni di moleco-le, tra cui quella che ci interessa: la sostanza can-nabinoide endogena. La quale, come se non ba-stasse, rappresenta molto probabilmente solouna frazione infinitesimale delle sostanze presen-ti nell’estratto di partenza: il proverbiale ago nelpagliaio.E allora? Allora ci vuole astuzia, molta; fortuna,quanto basta; e “olio di gomito”, moltissimo. Chiha l’idea giusta, e ci crede, ed è disposto a lavo-

86[ ]

rarci sopra, è in genere quello che alla fine vince.Nel nostro caso, l’idea giusta l’ha avuta ancorauna volta Raphael Mechoulam.Da buon chimico,e ragionando per analogia, Mechoulam si è det-to: il recettore cannabinoide riconosce il delta-9-tetraidrocannabinolo che è sostanza di natura li-pofila. Sembra possibile, allora, che il cannabinoi-de endogeno sia anch’esso lipofilo. Se vero, que-sto faciliterebbe parecchio le cose: un estrattodei soli lipidi contiene ovviamente un numero dicomposti chimici molto minore che in un estrat-to totale, ed è perciò molto più semplice da ana-lizzare. Un’idea semplificatrice, una buona ideadunque.Ma anche un’idea giusta. Infatti, due annidopo averla avuta, e dopo aver omogeneizzatoed estratto molti cervelli di maiale, Mechoulamannunciava alla comunità scientifica internaziona-le, sulle pagine della rivista americana Science, lapurificazione e l’identificazione chimica di unamolecola endogena dotata di attività biologichesimili a quelle del delta-9-tetraidrocannabinolo.La sua ipotesi di partenza era corretta: si trattavain effetti di una sostanza lipofila, come il delta-9-tetraidrocannabinolo, ma con la struttura chimi-ca molto diversa da quest’ultimo e sorprenden-

87[ ]

temente più semplice. Niente anelli del furano,niente catene laterali, niente stereochimica com-plessa. Un acido grasso polinsaturo (come quelliche si trovano nell’olio d’oliva), condensato all’e-tanolammina (una piccola molecola che fungeda precursore per fosfolipidi come la cefalina).L’acido grasso si chiama acido arachidonico: il no-me chimico della sostanza cannabinoide endo-gena è dunque arachidonil-etanolammide. MaMechoulam, che ha un debole per la cultura in-diana, preferisce battezzarla anandammide, dalsanscrito ananda,‘gioia profonda’.La scoperta dell’anandammide è del dicembre1992. Nel periodo che ha seguito la sua appari-zione su Science, diversi laboratori hanno confer-mato ed esteso il lavoro di Mechoulam e dei suoicollaboratori, dimostrando come la sommini-strazione di anandammide provochi un insiemedi sintomi psichici e fisici molto simili a quelli cau-sati dal consumo di hashish o di marijuana.Tali risultati confermano l’attività cannabinoidedell’anandammide, ma lasciano irrisolto un pro-blema essenziale: perché il nostro cervello laproduce? In quale momento del nostro tran-tran di animali sociali o della nostra vita interiore

88[ ]

ne abbiamo bisogno? Forse quando ci viene im-provvisamente svelata la comicità nascosta in uncomportamento o in un oggetto, che ci era sfug-gita fino allora? O quando c’è il sole, e siamoeuforici e non sappiamo perché? O quando scri-viamo una poesia, tracciamo un disegno, pensia-mo una melodia? O semplicemente quando ab-biamo voglia di mangiare un pezzo di cioccolata?Dietro tutte queste domande,che sono senza ri-sposta e lo resteranno ancora per un bel pezzo,ce ne sono altre, più tecniche in apparenza. Inquali cellule del sistema nervoso centrale si pro-duce l’anandammide? Quali stimoli ne causano laproduzione? Dove agisce,e come? ll neurobiolo-go è convinto che almeno a queste domandesiano possibili delle risposte sperimentali, e chequeste possano illuminare le funzioni che l’anan-dammide svolge nel nostro comportamentoquotidiano.Da Galileo in poi, fare un esperimen-to vuol dire innanzi tutto immaginare un pezzodi realtà possibile, che le manipolazioni speri-mentali e i loro risultati ci permettono o meno diconsiderare, oltre che possibile, probabile.Allo-ra, se apriamo il nostro “Libro de los Seres Imagi-narios”, che cosa troviamo al paragrafo “anan-

89[ ]

dammide”? Vi troviamo anzitutto una cellula ner-vosa che, stimolata, produce anandammide e lasecerne nel liquido extracellulare. Lì, l’anandam-mide entra in contatto con altre cellule e si legatemporaneamente a quelle che possiedono sul-la loro superficie esterna il recettore cannabinoi-de. Il recettore trasmette la notizia del legameavvenuto, cambiando forma e costringendo pro-teine ed enzimi che gli sono vicini a fare lo stes-so. Il messaggio è passato così all’interno dellacellula, che può allora aumentare o diminuire dieccitabilità secondo le caratteristiche che le so-no proprie (le cellule nervose, si sa,non sono co-me quelle del fegato, e l’una non vale l’altra). Fini-to il suo compito, l’anandammide viene risuc-chiata via dal liquido extracellulare, e i suoi effet-ti poco alla volta scompaiono. I risultati di esperi-menti portati a termine di recente nel laborato-rio di chi scrive hanno confermato queste predi-zioni: l’attività elettrica delle cellule nervose pro-voca la liberazione di anandammide nel mezzoextracellulare, seguita dalla sua rapida inattiva-zione.In quale regione del cervello possono aver luogoquesti eventi? Nell’ippocampo,per esempio: una

90[ ]

piccola regione a forma di cavalluccio di mare, si-tuata proprio sotto la corteccia cerebrale, attra-verso cui passano i cogitata et visa per andare aformare memorie stabili o a perdersi per sem-pre; l’ippocampo è ricco di recettori cannabinoi-di, la cui attivazione potrebbe causare la smemo-ratezza tipica del fumatore di hashish. Oppurenell’ipotalamo:una struttura alla base del cervel-lo, che regola molti di quei processi vitali che fun-zionano benissimo senza di noi e sui quali la no-stra coscienza, a meno di essere un guru, non haalcun controllo: la fame, la sete, la temperaturacorporea.Anche l’ipotalamo,come l’ippocampo,contiene dei recettori cannabinoidi. Anche lìdunque la loro attivazione può avere degli effet-ti importanti, per esempio quello di aumentarel’appetito – un classico effetto del consumo dicannabis.Chiudiamo il “Libro de los Seres Imaginarios” e ri-torniamo a noi. Se, da una parte, lo studio delmeccanismo d’azione del delta-9-tetraidrocan-nabinolo ha portato alla scoperta dell’anandam-mide e del suo ruolo di sostanza cannabinoideendogena, dall’altra la ricerca farmacologica etossicologica ha dimostrato in questi ultimi anni,

91[ ]

oltre ogni ragionevole dubbio, l’innocuità dellacannabis e dei suoi principi attivi.Non è questo il luogo per riassumere i dati spe-rimentali, numerosissimi, a sostegno di tale inno-cuità: il lettore interessato potrà consultare conprofitto la letteratura specializzata sull’argomen-to, a cui faccio riferimento nella nota bibliografi-ca. Ricordo soltanto che, a differenza di altre so-stanze psicoattive di largo consumo (tabacco ealcool, soprattutto), la cannabis non produce nel-l’uomo una sindrome di dipendenza fisica. La di-pendenza psicologica di cui parla talora la lette-ratura medica resta un concetto vago, dai con-torni mal distinti: in mancanza di una sindromevera e propria e di sintomi biologici oggettivi, co-me avviene invece per la cocaina, la sua unica de-finizione possibile è un truismo: l’hashish e lamarjiuana si fumano e si tornano a fumare per-ché piacciono. Bella scoperta. Ma anche il crack(che è cocaina base, non salificata) si fuma dap-principio perché piace; ma se poi si torna a fu-mare è perché non se ne può più fare a meno:perché, superata una certa variabile soglia diconsumo, diventa sofferenza fisica l’astenervisi.Il fatto che, nonostante incontrovertibili dati far-

92[ ]

macologici, il consumo di cannabis resti illegale eseveramente punito in paesi scientificamenteavanzati, non costituisce soltanto un esempioparticolare della universale irrazionalità che go-verna gli affari umani. È anche un segnale, grave,dell’impotenza della scienza moderna di fronte aproblemi sociali che pure essa sarebbe chiamata,se non a risolvere, almeno ad alleviare. Nel casodella cannabis, se considerazioni d’opportuni-smo accademico hanno un ruolo importante neldeterminare un atteggiamento di “non-ingeren-za” da parte del mondo della scienza, un ruolopiù sottile ma un peso forse maggiore ha la car-tesianissima visione del mondo che spinge il ri-cercatore a preferire, come Ercole al bivio, ilcammino “oggettivo” della res extensa a quello“soggettivo”della res cogitans. Ma ciò che più va-le la pena di sapere sull’attività superiore del si-stema nervoso centrale (e la cannabis rientra,nel suo piccolo, in questa categoria) richiedereb-be, anziché il divorzio, l’unione tra la conoscenzaoggettiva del mondo naturale, il più grande por-tato della rivoluzione galileiana, e quella lucidasimpatia che chiunque voglia conoscere deveprovare per l’oggetto della propria conoscenza

93[ ]

(ma questa è un’altra storia, che Goethe avevacominciato a scrivere e che scienziati e filosofi ri-cominciano ora a discutere).Al mondo,comunque sia,non ci sono solo scien-ziati e filosofi.Tra gli altri, vi si trovano anche deglieconomisti: una categoria di gente pratica, chebada al sodo, soprattutto se educati nella City.Nell’articolo che segue,un ignoto redattore del-l’Economist traccia degli inattesi prolegomeni aogni futuro discorso sulla cannabis, e impartiscenello stesso tempo una lezione di creativitàscientifica a tutta la Facoltà Neurofarmacologica.

“Portare le droghe all’interno dellalegge”,The Economist,maggio 1993

Nel 1883, l’insigne medico britannico BenjaminWard Richardson denunciò i mali del bere tè.Af-fermò che questa bevanda causava una «condi-zione estremamente nervosa, semi-isterica». Nel1936, un articolo apparso sull’American Journalof Nursing sosteneva la tesi che il consumatoredi marjiuana «si può rivolgere improvvisamentecon violenza assassina su chiunque gli è più vici-

94[ ]

no».Tè e marjiuana hanno tre cose in comune:alterano l’umore, sono considerati passabilmen-te innocui, e producono dipendenza fisica. [Co-me abbiamo visto, quest’affermazione non èdel tutto esatta: bisogna perdonarla a un eco-nomista che scrive di farmacologia.]Gli atteggiamenti nei confronti della dipendenza fi-sica sono complicati e spesso contraddittori. Il tè ela marjiuana sono, in sé, abbastanza inoffensivi, ep-pure il tè è generalmente legale, la marjiuana no. Iltabacco e la cocaina sono nocivi ma, ancora unavolta, il tabacco è quasi universalmente permesso,mentre la maggioranza dei lettori di The Econo-mist vive in paesi che puniscono con la prigione ilpossesso di cocaina.Aggiungete l’imprevisto di di-pendenze fisiche che non provengono da siringhe oda sigarette,ma da casinò e da dischetti per il com-puter, e avrete una bella arena di combattimentofra libertari e puritani.Questa battaglia, sempre vivace, è appena diventa-ta più accesa. Il 28 aprile [1993], Bill Clinton ha no-minato nuovo “zar della droga” d’America, e perciòleader mondiale del più duro programma di proibi-zione al mondo, l’ex-poliziotto Lee Brown.Dieci gior-ni prima, gli italiani avevano votato per muoversi in

95[ ]

una direzione opposta, eliminando dalla loro legi-slazione sulla droga le misure più severe.Un tale coraggio è raro. L’atteggiamento della mag-gior parte degli elettorati e dei governi è quello dideplorare i problemi che il commercio illegale didroga porta con sé, di guardare alla cosa con avver-sione, e di sedere sullo status quo – cioè su una po-litica di proibizione indiscriminata.... Eppure la maggioranza dell’opinione pubblica re-calcitra di fronte alla possibilità di esplorare nuovestrade legali per ridurre questi effetti. Questo rifiutoè dovuto in parte a un’avversione per la dipenden-za fisica in sé stessa, un argomento tirato in ballospesso con incoerenza. La disapprovazione più de-cisa viene da quelli che gridano di libertà civili se i lo-ro piaceri favoriti – per esempio, i fucili da guerra –sono messi in pericolo. La dipendenza fisica da si-garette è riconosciuta come la principale causa evi-tabile di morte al mondo. L’alcool priva i beoni deiloro fegati e della loro memoria, e causa la morte ditroppi innocenti che vengono uccisi sulla strada daguidatori ubriachi. Eppure, in questo caso l’idea didissuadere all’interno della legge è largamente ac-cettata.Una ragione più fondata di dubbio è la preoccupa-

96[ ]

zione che la legalizzazione potrebbe causare unaumento del consumo di droga, e che quest’ultimopotrebbe schiacciare ciò che si potrebbe guada-gnare dal portare le droghe all’interno della legge.Eppure, legalizzazione non vuol dire libertà di con-sumo sfrenato, senza limiti sulla fornitura o l’uso didroghe.Messa in pratica con misura, essa permet-terebbe ai governi di strappare dalle mani dei cri-minali il controllo della distribuzione e della qualitàdi queste sostanze. ll controllo di qualità è decisivo,perché molti dei danni prodotti da droghe acqui-state per la strada sono causati da prodotti adulte-rati, come un alcolico mal distillato può produrre ce-cità ...Una legalizzazione di questo genere non per-metterebbe, magicamente, di fare a meno dei poli-ziotti, ma renderebbe più maneggevole il loro com-pito. In particolare nel campo delle droghe leggere,dove le tasse possono essere più leggere e le restri-zioni meno onerose,e dove i primi esperimenti di le-galizzazione dovrebbero aver luogo, essa ridurreb-be l’“indennità di rischio”che assicura ai cartelli del-la droga il loro profitto. Le tasse riscosse su quellache è considerata oggi la maggiore industria almondo esente da imposte potrebbero essere utiliz-zate dai governi per la cura della tossicomania e

97[ ]

per l’educazione, impieghi molto più redditizi degliattuali tentativi di soffocare ogni genere di riforni-mento criminale.

La ricerca del somaC’è un’altra considerazione da fare, per il futuro. L’il-legalità delle droghe e l’avversione per delle dipen-denze fisiche che producono piacere, stanno de-viando la ricerca scientifica. Gli scienziati progredi-scono nella comprensione di ciò che, nelle droghe,produce piacere e di ciò che rende così difficile ri-nunciarvi. Attualmente la ricerca è obbligata adavere un solo scopo: disintossicare i tossicodipen-denti. Potrebbe averne un altro. In molte aree dellafarmacologia i ricercatori stanno esplorando l’ideadelle “designer drugs”, sostanze confezionate peradattarsi in maniera innocua nella biochimica uma-na. La ricerca sulle tossicodipendenze dovrebbe es-sere incoraggiata a fare lo stesso: oltre a progettareterapie migliori per quelli che vogliono disintossicar-si, andare verso l’invenzione di “highs”meno rischio-si, più efficaci e meno capaci di produrre abitudine.Al momento questo non è possibile, perché drogheinnocue, droghe d’abuso e crimine sono messi tuttisullo stesso piano.

98[ ]

La proposta diThe Economist, avanzata con unaradicalità che sorprende in una rivista così soli-damente conservatrice, è dunque di indirizzarela ricerca farmacologica verso l’invenzione dinuovi farmaci psicoattivi che siano in grado, sen-za effetti collaterali maggiori, di ridurre l’angosciadel vivere quotidiano, aumentare il benessere, eprodurre piacere. Una proposta esplicitamenteorwelliana, formulata con razionalità e spiritopratico, alla quale, però,The Economist avrebbefatto bene ad aggiungere un fatto non irrilevan-te: che noi siamo ancora lontani dall’avere, suimeccanismi di funzionamento del cervello, un li-vello di comprensione sufficiente a svilupparefarmaci di tal genere. Mi spiego: la ricerca è giàcertamente in grado di produrre farmaci efficacinel trattamento di alcune patologie neuropsi-chiatriche,basati sulla conoscenza di meccanismineurobiologici fondamentali, e adatti a migliora-re sensibilmente la vita del malato con il minimodi effetti collaterali.Ma intervenire sul cervello diuna persona sana per modificarne la coscienza ètutt’altra cosa.Anche chi, come me, è convintoche tutti i nostri stati mentali siano causati daprocessi soggiacenti di attività neuronale, non

99[ ]

può non riconoscere che la nostra comprensio-ne di tali processi, e di come essi interagisconoper produrre la coscienza, è ancora praticamen-te inesistente. Ne risulta che, allo stato attualedelle cose, l’idea di creare “designer drugs” dellacoscienza resta del tutto illusoria.Come sostengono Lester Grinspoon e JamesB. Bakalar, «una società senza droghe è un so-gno impossibile, e probabilmente indesiderabi-le». Indesiderabile, perché la nostra società si èplasmata accogliendo al proprio interno il suorapporto millenario con le sostanze psicoatti-ve. Impossibile, perché tutto ciò che sappiamodel cervello porta a credere che il bisogno ditrascendere, sia pure saltuariamente, lo stato dicoscienza normale (cioè lo stato mentale in cuiconduciamo la maggior parte della nostra vitaproduttiva) sia una pulsione fisiologica propriadella specie umana.Aspettando le molecole sa-pienti e innocue del futuro, regolare la soddisfa-zione di questo bisogno incomprimibile attra-verso l’uso di sostanze, come la cannabis, sullacui benignità tossicologica ed efficacia farmaco-logica testimoniano millenni di storia passata emilioni di consumatori presenti, sarebbe un’at-

100[ ]

tesa prova di razionalità e un coraggioso atto dibuongoverno.

* Dal lettore che una conclusione così poco possibi-lista ha lasciato scettico, vorrei accomiatarmi consi-gliando la lettura di alcuni articoli sulle proprietà far-macologiche e tossicologiche della cannabis:di Leo E.Holister,“Health Aspects of Cannabis”,Pharmacologi-cal Review, n.38 (1986),p.1-20;e di William L.Dewey,“Cannabinoid Pharmacology”, ibidem, p. 151-178.Sulla tossicologia della cannabis e sull’opportunità dilegalizzarne l’uso,ha scritto più volte Giancarlo Arnao(per esempio in Proibizionismo, antiproibizionismo edroghe,Viterbo, Stampa Alternativa, 1993); inoltre, frale tante monografie, più o meno scientifiche, unaspicca per serietà e autorevolezza: L. Grinsnpoon eJ.B. Bakalar, Marijuana:The Forbidden Medicine, NewHaven,Yale University Press,1993 [trad. it.:Marijuana:La medicina proibita, Padova, Muzzio, 1995].Le scoperte scientifiche che hanno cambiato il no-stro modo di vedere la farmacologia della cannabissono riassunte da Raphael Mechoulam in ”Search forEndogenous Ligands of the Cannabinoid Receptor”,Biochemical Pharmacology, n.48 (1994),p.1537-1544.Più recente è la caratterizzazione del meccanismo diformazione e inattivazione dell’anandammide, so-

101[ ]

stanza cannabinoide endogena:V.Di Marzo,A. Fonta-na,H.Cadas, S. Schinelli,G.Cimino, J.C. Schwartz e D.Piomelli,“Formation and Inactivation of EndogenousCannabinoid Anandamide in Central Neurons”, Na-ture, n. 372 (1994), p. 686-691. Nello scrivere questocapitolo ho utilizzato materiale da me già pubblicatoin “La canapa di dentro”, Altrove, n. 2 (1995),Torino,Nautilus, p. 51-57.

Premessa: seguire il filo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

La storia comincia con Erodoto (V secolo a.C.) . . . . 9

Flora magica (III secolo a.C.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

Segnali d’oblio (I secolo d.C.) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22

Testimonianze tardo antiche (VI-V secolo d.C.) . . . 28

Una badessa,un papa e un mercante (XII-XIV secolo) . . 37

L’invenzione della stregoneriae la scoperta del nuovo mondo (XV-XVII secolo) . 49

La famosa invasionedei francesi in Egitto (XIX secolo) . . . . . . . . . . . . . . 57

Tra Feuilletons e farmacopee (XIX secolo) . . . . . . . . 61

Si ricerca e si proibisce,ma soprattutto si consuma (XX secolo) . . . . . . . . . 77

INDICE

finito di stampare il 20/1/2006