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lycong
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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA
SCUOLA DI SCIENZE POLITICHE
Corso di laurea magistrale in
Comunicazione Pubblica e DImpresa
CANCRO E SOCIETA' CIVILE
Tesi di laurea in
Strumenti per la ricerca
Relatore Prof.ssa Debora Mantovani
Correlatore Prof. Isacco Turina
Presentata da Marta Zaetta
Sessione
III
Anno accademico
2015-2016
A Lino Colombi e Silvia Can,
con stima e gratitudine
Lui a forza di scavare, a forza di andare di
particolare in particolare, dal piccolo nel
sempre pi piccolo, era arrivato allinterno di
uno dei milioni di codici contenuti nel DNA di
una dei miliardi di cellule del corpo.
Ma io, dovero?
Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra
There is, let us confess it (and illness is the
great confessional), a childish outspokenness
in illness; things are said, truths blurted out,
which the cautious respectability of health
conceals [...]. That illusion of a world so
shaped that it echoes every groan, of human
beings so tied together by common needs and
fears that a twitch at one wrist jerks another,
where however strange your experience other
people have had it too, where however far you
travel in your own mind someone has been
there before youis all an illusion.
Virginia Woolf, On Being Ill
INDICE
INTRODUZIONE ............................................................................................................ 3
1. Il cancro nella medicina moderna ........................................................................... 5
1.1 Laffermazione del modello biomedico .......................................................... 6
1.2 Breve storia del cancro ................................................................................... 9
1.3 Recenti modelli interpretativi e nuove prospettive ....................................... 14
1.4 Da male inguaribile a malattia curabile ........................................................ 16
2. Il punto di vista del paziente ................................................................................. 27
2.1 Tubercolosi, cancro e morte nellimmaginario collettivo ............................ 29
2.2 Il mondo morale locale ................................................................................. 36
2.3 La comunicazione che cura .......................................................................... 40
2.4 La medicina come sistema culturale plurale ................................................. 46
3. Cancro e societ civile .......................................................................................... 57
3.1 Metodologia .................................................................................................. 59
3.2 Informazione e prevenzione ......................................................................... 61
3.3 Percezione della paura .................................................................................. 69
3.4 La cura .......................................................................................................... 75
4. Conclusioni ........................................................................................................... 77
APPENDICE A - Questionario ...................................................................................... 79
Bibliografia
3
INTRODUZIONE
Questo lavoro nasce da una curiosit personale, da unosservazione. Sar capitato a tutti,
attraversando la corsia di un ospedale, di soffermarsi davanti a quelle bacheche in cui
vengono esposti i ringraziamenti che certi pazienti scrivono in merito alle attenzioni ricevute
dagli infermieri e alla bravura dei medici che li hanno assistiti.
Qualche anno fa mentre leggevo quei messaggi ne notai uno, poco pi in l, che era stato
incorniciato ed appeso al muro, in uno spazio dedicato. Si trattava di una lettera scritta a
mano, probabilmente da un uomo colto di una certa et, in cui lautore si scusava con i medici
del reparto (e con listituzione sanitaria tutta) per aver inizialmente rifiutato le cure che gli
erano state comunicate e alle quali avrebbe dovuto sottoporsi di l a poco. Le parole
delluomo inneggiavano ad una sorta di ignoranza colpevole che, in principio, sembrava
avergli precluso la possibilit di salvarsi. Non cera scritto che cosa gli fece cambiare idea.
Mi incuriosirono entrambi sia quelluomo (di cui non comprendevo le ragioni), sia il
personale ospedaliero che fece di quella lettera una sorta di trofeo.
Questo studio, dunque, sinterroga sullincontro tra due culture: quella biomedica e quella
civica e sul ruolo che il pluralismo informativo pu assumere nel contesto della salute.
Ho scelto di lavorare sul cancro 1 perch, oltre ad essere un fatto sociale, la malattia
oncologica mi sembrava anche un prodotto culturale che va di moda, intorno al quale tanto
si dice e poco si sa. Un po come accade, per ragioni differenti, per le medicine non
convenzionali.
Il primo capitolo propone una breve descrizione del sistema culturale biomedico, espressa
attraverso la storia del cancro e delloncologia.
Il secondo capitolo affronta il cancro dal punto di vista del paziente e pone particolare
attenzione sia alla storia della rappresentazione sociale della malattia sia al momento di
comunicazione della diagnosi, con particolare riguardo alle ripercussioni che tale
avvenimento pu provocare sullindividuo e sul contesto sociale in cui inserito.
Il terzo capitolo si interroga sulla percezione del cancro da parte dellaltro, ovvero di chi non
ha mai ricevuto una diagnosi di tumore e rappresenta il risultato di uno studio, condotto su
una piccola popolazione di indagine, che adotta un metodo misto quantitativo e qualitativo. Le
direttrici principali lungo le quali si snoda la ricerca attengono alle modalit entro cui gli
intervistati hanno dichiarato di aver esercitato il diritto di informarsi sul cancro (e affini) e alla
1 Nellarco dellintera trattazione, i termini cancro etumore sono da intendersi nellaccezione di neoplasia maligna, mi scuso per luso generico e improprio.
4
paura percepita in merito allidea di ricevere una diagnosi di tumore. Gli stralci delle
conversazioni che ho pubblicato non hanno subito alcuna modifica rispetto alle dichiarazioni
originali degli intervistati, per i quali sono stati usati nomi fittizi il pi delle volte con loro
stessi concordati.
La scarsa numerosit del campione e le particolari modalit attraverso le quali stato
condotto questo studio non consentono di generalizzare i risultati e le conclusioni che ne sono
derivati.
Vorrei ringraziare Debora Mantovani e Isacco Turina per lenorme disponibilit che
hanno dimostrato nei miei confronti, sia dal punto di vista professionale che umano, prima e
durante la stesura della tesi.
Per lapertura e la cordialit, non meno che per la definizione delloggetto di ricerca, ringrazio
la Dott.ssa Maria Antonietta Annunziata del CRO di Aviano e per le tante consulenze il Dott.
Stefano Giordani (e collaboratori) dellassociazione Gli Onconauti di Bologna.
Per gli spunti, la bibliografia e la gentile disponibilit ringrazio i professori Asher Colombo,
Roberto Grandi e Ivo Quaranta, ma il ringraziamento pi grande va quei 108 volontari che,
non di rado e coraggiosamente, hanno accettato di condividere con me le loro storie, le loro
perplessit e anche le loro paure. Spero di averne fatto un buon uso sociale.
Dal punto di vista personale, questo lavoro rappresenta la conclusione di un percorso
universitario che avrei voluto intraprendere diversi anni fa e che, tuttavia, si rivelato oggi
molto pi fecondo di quanto potessi allora immaginare. Ringrazio a questo proposito tutte le
persone che mi sono state vicine, in ambito universitario e non, con particolare riferimento a
Valeria Covella, Agn Buckut, Maria Grazia Sanna, Marta Soprana, Sara Graziani,
Emanuela Seppi, Edoardo Gusmaroli, Rinaldo Falcioni, Chiara Bodini, Primavera Leggio,
Giuseppe Florio nonch Roberto Bertoldin, Pierluigi Bullian, Ines Cafaro, Massimiliano
Fanni Canelles, Alberto Cestaro, Roberto Derelli, Ilaria Pezzani, Lucio Spolaor, Alessandro
Testolin ed i loro collaboratori.
Per la fiducia, la comprensione e la flessibilit ringrazio Francesca Pruneti.
Per avermi sostenuta e sopportata nello studio e nella vita quotidiana ringrazio la mia
famiglia, Zelda Casoni, Tatum Bozano, Paolo Bonora e tutti gli altri amici che hanno
partecipato con energia e convivialit a questo lavoro sia come volontari che come
reclutatori. Anche e non solo in questo senso, un ringraziamento particolare va a mio marito
Andrea.
5
1. IL CANCRO NELLA MEDICINA MODERNA
La nascita ed il consolidamento della medicina moderna sono principalmente
riconducibili al suo progressivo organizzarsi come professione specializzata e alla sua
crescente dipendenza dallo sviluppo del sapere scientifico. Da semplici guaritori i medici
assumono, nella transizione che conduce alla modernit, il ruolo esclusivo di curatori del
corpo e della mente.
La legittimazione di tale titolarit rappresenta il risultato di un processo di convergenza tra
stato, istruzione e professioni moderne, in modo analogo a quanto avvenuto con
lingegneria, lavvocatura e gli esercizi contabili (Malatesta, 2006, p. 3).
A partire dallepoca moderna, infatti, i nascenti stati nazione attribuirono alle istituzioni
educative (organismi essenziali per la riuscita sociale dellindividuo) il compito sempre pi
importante di formazione delle nuove lite, divenute ormai imprescindibili per la gestione
strategica di sistemi politici ed economici. In particolare, lesaltazione del ruolo delle
universit sanc, in quel periodo, la stretta alleanza tra professioni, scienza e societ (ibidem).
Tuttavia, i sistemi universitari europei permasero ancorati al modello medievale almeno fino
alla seconda met del Settecento, subendo processi di trasformazione significativi solo a
partire dal secolo successivo. Le riforme avviate in Germania nel corso dellOttocento furono
di ispirazione a tutti gli altri paesi europei2 che, attraverso tempistiche e modalit differenti,
modernizzarono i propri sistemi universitari attraverso due direttrici comuni: la laicizzazione
degli atenei e la professionalizzazione della carriera accademica. In particolar modo, la
seconda direzione rappresent il fattore di cambiamento decisivo per la transizione del
sapere alla modernit: in aggiunta alle facolt tipicamente medievali (teologia, medicina e
legge), linsegnamento si apr a nuove discipline sperimentali che favorirono lintegrazione
delle attivit di ricerca a quelle della didattica. Prese cos forma una nuova idea di conoscenza
che divent un sapere specializzato, applicato, indirizzato allesercizio della professione
(Malatesta, 2006, pp. 3-5) assimilabile, nel caso della medicina, ad una vera e propria
vocazione come orientamento personale al servizio delle persone sofferenti (Neresini, 2001,
p. 24).
2 Secondo lallora ministro della Pubblica Istruzione tedesco, Wilhelm von Humboldt, lorganizzazione universitaria aveva il compito di formare lindividuo ed il cittadino e, per questo, doveva configurarsi come un
sistema culturale secolarizzato, in cui la didattica delle discipline umanistiche (prima fra tutte la filosofia) si integrava alle attivit di ricerca sperimentali pi strettamente professionalizzanti. Particolarmente significativi furono i risultati raggiunti in questo senso nel campo medico che, unendo la formazione culturale medica a quella delle scienze naturali di base, fece di Berlino il centro della medicina europea (Malatesta, 2006, pp. 9-12).
6
Nonostante ci, dal punto di vista delle professioni, le istituzioni educative si rivelarono meno
autonome di quanto potessero a prima vista apparire. La trasmissione e la diffusione della
conoscenza non mai stata un processo unidirezionale che discendeva dai luoghi della
formazione e plasmava le professioni (Malatesta, 2006, pp. 6-7). Al contrario, le istituzioni
educative rappresentarono veri e propri luoghi di comunicazione e scambio, aperti alla
ricezione continua degli stimoli provenienti dai professionisti organizzati in corpi e
associazioni. In questo senso, grazie al prestigio di cui ha sempre goduto, la medicina
contribu in misura considerevole alla formalizzazione di nuove discipline accademiche
specializzate (come la batteriologia e la chimica organica) arrivando, in certi casi, ad
influenzare la stessa organizzazione della scienza3 (ibidem).
Con la graduale istituzionalizzazione delle nuove facolt di specializzazione medica e
con laumento delle attivit che caratterizzano lesercizio della professione, la medicina
moderna inizia a standardizzare ruoli e funzioni in virt del meccanismo di delega. Parte
considerevole del lavoro organizzativo viene sistematizzato e trasferito a strutture specifiche
come ospedali, ambulatori e centri di ricerca; le quali, a loro volta, vengono progressivamente
integrate nei sistemi di welfare statali, acquisendo tutti i vantaggi ed i limiti delle burocrazie
moderne.
Un ruolo importante in questo processo rivestito anche dalle imprese farmaceutiche, nate tra
il XIX e XX secolo. La sperimentazione, la produzione e la vendita di beni sanitari, quali sono
i farmaci e la strumentazione diagnostico-chirurgica, concorrono infatti ad influenzare le
condizioni e le modalit di esercizio della professione medica (Neresini, 2001, pp. 24-26).
1.1 Laffermazione del modello biomedico
Durante la seconda met dellOttocento, i successi ottenuti in campo immunologico
grazie alla scoperta di batteri e virus, rafforzano la convergenza degli interessi medici verso
prospettive e modalit di azione prettamente scientifiche. La capacit, da un lato, di
individuare con precisione gli agenti patogeni e, dallaltro, di realizzare in laboratorio
procedure di intervento in grado di contrastarli, alimenta la convinzione che per ogni malattia
3 In Gran Bretagna la modernizzazione della medicina si realizza grazie a un progetto collettivo di mobilit dal basso, dettata da ragioni di status, che si inserisce allinterno del pi ampio scontro politico inglese del
Settecento tra liberisti e difensori del sistema corporativo. Agli inizi del XIX secolo i medici britannici erano divisi nelle categorie professionali del clinico, del chirurgo e del farmacista che risultavano essere tra di loro mutuamente esclusive. Tale condizione era imputabile a un sistema educativo rigido e settoriale che si uniform, nazionalizzandosi, solo a partire dalla prima met dellOttocento, conferendo ai professionisti del ceto medio legittimazione e riconoscimento sociali pari a quello goduto dalllite medica aristocratica (ivi, pp. 113-121).
7
(identificata con la sua manifestazione patologica) esista una causa biologica univoca e
precisa. La neonata microbiologia diventa cos lo strumento cardine attraverso cui indagare
linfermit, contribuendo a rafforzare lidea che lo sguardo medico debba concentrarsi
allinterno dellorganismo del malato. Tuttavia la consapevolezza dellesistenza di fattori
problematici esterni, sia ambientali che socio-culturali, risulta al tempo gi evidente (Neresini,
2001, pp. 26-27).
Soprattutto in Inghilterra e in Germania, dove lesplosione della povert nelle campagne
a fronte della rivoluzione industriale aveva raggiunto livelli drammatici, alcuni medici
iniziano a studiare le possibili connessioni tra infermit e condizioni di degrado ambientale,
miseria, denutrizione ed ignoranza. In Inghilterra Edwin Chadwik, fondatore del movimento
igienista 4 pubblic, nel 1842, il risultato dellinchiesta nazionale sulle condizioni dei
lavoratori britannici che gli era stata commissionata dalla regina Vittoria. In The Sanitary
Conditions of the Labouring Population, Chadwik descrive le correlazioni rilevate tra le
condizioni di lavoro e linsorgere di certe malattie, evidenziando la necessit di provvedere
alla fornitura di dispositivi casalinghi che fossero in grado di assicurare la distribuzione di
acqua fresca e pulita ad ogni famiglia (Malatesta, 2006, pp. 119-120).
Parallelamente, a valle dellepidemia di tifo che si era scatenata nellAlta Slesia a met
Ottocento, Rudolf Virchow, medico e attivista di impostazione liberale, concentr i suoi studi
sulle connessioni tra lespandersi della pandemia e le condizioni di povert e di marginalit in
cui vivevano i minatori del luogo e le loro famiglie. Forte dellappoggio di movimenti sociali,
politici e sindacali Virchow avanz al governo prussiano la sua proposta di contenimento e
prevenzione primaria che prevedeva il miglioramento della qualit di vita della popolazione
attraverso laumento dei salari ed il potenziamento di istruzione e trasporti (Neresini, 2001, p.
27). Nonostante fosse un fiero avversario del socialismo, Virchow si mostr sempre un
convinto sostenitore della medicina sociale, ovvero di quella declinazione della medicina
moderna che si concentra sulle condizioni in cui il malato inserito pi che sul progresso
scientifico (Malatesta, 2006, p. 158). Daltra parte, pur manifestando con energia e
determinazione tale coscienza, egli sosteneva al contempo lidea che il dovere principale del
medico fosse quello di vagliare attraverso laccertamento di sintomi lo stato di salute e
decidere se c qualcosa di patologico e in quale parte dellorganismo umano, prescrivere un
4 Il dibattito sull'igiene si sviluppa in Europa alla fine del Settecento ma laffermazione di un vero e proprio movimento igienista risale alla seconda met del XIX secolo. Pur declinandosi attraverso modalit e tempistiche differenti, le coordinate culturali che accomunano gli igienisti sono: unidea metastorica di progresso; una visione organicistica della societ; limportanza attribuita alla statistica per la decodifica dei fenomeni biologici e
sociali; laperto e ricorrente appello ad uno Stato interventista, in nome della salute pubblica. Per ulteriori
approfondimenti si veda A. Castiglioni (1926), Storia dell'igiene, in O. Casagrandi (a cura di), Trattato italiano di igiene, Torino, UTET.
8
trattamento che, l dove non chirurgico, quasi sempre di tipo farmacologico (Neresini,
2001, pp. 24-27).
Nonostante la piena consapevolezza dellimportanza causale delle condizioni esterne,
dunque, la forza dellidea cha ad una singola malattia corrispondesse una singola causa ebbe
un tale impatto da far prevalere, tra i medici, la visione strettamente patologica dellinfermit.
In questa prospettiva, la manifestazione della lesione organica diventa una rottura
dellequilibrio fisiologico, un errore da sanare al fine di ristabilire lordine funzionale nel
corpo (ivi, p. 27).
Lintervento di Claude Bernard, fondatore della fisiologia moderna, fu decisivo in questo
senso. Nella sua programmatica Introduzione allo studio della medicina sperimentale,
pubblicata nel 1865, Bernard trasla i principi positivistici su cui si basavano fisica e chimica
alla ricerca in campo biologico e medico, decretandone lo spostamento sul versante
quantitativo a scapito del qualitativo: patologico tutto quanto si discosta dal normale, e
questa alterazione da uno stato allaltro pu essere misurata (ivi, p. 28). Cos la medicina
scientifica (o sperimentale) viene ufficialmente investita della capacit di ricostruire con
precisione i meccanismi e gli effetti a catena che, a partire dalla rottura dellequilibrio
funzionale, portano alla lesione organica e quindi alla malattia. In questo processo linfermo,
spogliato di ogni responsabilit individuale, inteso come vittima del suo stato patologico che
scientificamente accertabile e sanabile dal medico. Loggetto di ricerca della medicina
sperimentale si riduce pertanto alla mera patologia che, assumendo unidentit oggettiva e
negativa rispetto lio pensante del malato, ne ratifica la separazione in conformit allallora
preminente visione dualistica cartesiana (ibidem).
Su queste basi si costituisce la visione ad oggi dominante della medicina moderna che,
comunemente identificata con il termine generico medicina (o medicina scientifica,
tradizionale, occidentale, allopatica, ecc.), privilegia laspetto oggettivo e biologico
dellinfermit indagandone cause e rimedi, al fine di (ri)stabilire la salute dellindividuo. Tale
approccio propriamente definito biomedico e deriva dalla contrazione della locuzione
medicina biologica (Pizza, 2016, p. 124, p. 128).
La biomedicina un sistema culturale fondato su alcuni assunti filosofici occidentali che ne
caratterizzano identit, appartenenza, tradizione e ideologia (ibidem) tra cui, in particolare:
lassimilazione del corpo ad una macchina composta da parti separate e funzionanti in modo
armonico; la dualit mente/corpo che prevede figure specializzate e pratiche terapeutiche
distinte per ogni parte o funzione del corpo; la riduzione dellesperienza di malattia allo stato
patologico, con tendenza ad elidere limportanza dei fattori esterni allorganismo, soprattutto
9
di matrice socio-culturale; lo sviluppo di una dottrina delleziologia specifica che porta a
considerare ogni malattia come derivata da una singola e ben identificabile causa, curabile
con una singola e ben codificata terapia; limperativo tecno-scientifico che individua nella
salute il riflesso diretto del grado di conoscenza della patologia e nella malattia un errore
(Neresini, 2001, pp. 41-42).
Il movimento che porta allaffermazione del modello biomedico si confonde con
levoluzione del progresso scientifico, con il quale condivide successi e fallimenti. La
rivoluzione radiologica di fine Ottocento, che con la scoperta dei raggi X spalanca le porte
alla ricerca sulla struttura della materia e dellatomo, traccia una linea netta sia nel campo
della fisica teorica che della medicina biologica. Grazie alla scoperta dellelettrone (1897) e
alle teorie dei quanti (1900) e della relativit (1905, 1915) la concezione meccanicistica del
cosmo, fondata sui presupposti newtoniani di spazio e tempo assoluti (gi messi in
discussione dalla precedente elettrodinamica di Maxwell) condurr ad una nuova definizione
di realt fisica, intesa come rappresentazione di campi continui non pi meccanicamente
spiegabili; mentre la ricerca biomedica sar progressivamente assorbita nello studio delle
infinitesimali strutture interne allorganismo umano, approccio che le permetter di ridefinire
i confini tra il conosciuto e lo sconosciuto, il visibile e linvisibile. Da l avr inizio un viaggio
secolare che, passando attraverso la nascita della radioterapia, approder a quella cultura
delle bioimmagini di cui loncologia oggi largamente tributaria (Cosmacini, Sironi, 2002,
pp. 58-63).
Proprio in virt dellaccelerazione dei progressi della biologia molecolare, delle biotecnologie
e dellingegneria genetica il modello biomedico risulta oggi dominante anche nella sua
derivazione oncologica5. Tuttavia, la ricerca in questo campo continua ad essere perseguitata
dal grande interrogativo irrisolto che riguarda la natura e lidentit del suo oggetto di studio:
che cos il cancro?
1.2 Breve storia del cancro
Percepito come la malattia del XX secolo, la storia del cancro affonda le sue radici in
Egitto quasi quattromila anni fa. I papiri medici di Kahum e di Ebers (circa 1800-1500 a. C.)
documentano le prime osservazioni di pazienti affette da carcinoma: il dolore soggettivo
lamentato dalle donne e lobiettivo odore di carne bruciata emanato dai loro genitali,
5 Loncologia biomedica attiene alla conoscenza del problema cancro nei suoi vari livelli: biomolecolare, biochimico, biologico, fisiopatologico, psicologico e clinico (Cosmacini, Sironi, 2002, p. 47).
10
rappresentano le evidenze empiriche su cui, al tempo, si basava la diagnosi del tumore
allutero. Le indicazioni terapeutiche contenute nei papiri sono altres chiare e precise: datteri
freschi, foglie di palma e viscere di maiale (o materiale minerale) dovevano essere raccolti,
frantumati, sciolti in acqua ed esposti per unintera notte alla rugiada. Solo il giorno seguente,
se iniettato in vagina, il benefico composto avrebbe avuto le potenzialit di sciogliere il male
e lavare via le impurit profonde, restituendo la salute alla donna (Cosmacini, Sironi, 2002, p.
64, p. 208).
A distanza di un millennio Ippocrate, considerato il padre della medicina occidentale,
sar il primo ad utilizzare il termine carcinoma individuandone la causa nellaccumulo
dellumore cattivo, della bile nera, dello humor melanconico e aggiungendo che una malattia
se ha origine nella bile nera letale. Ma sar solo cinque secoli pi tardi, con Claudio
Galeno, che le malattie assumeranno pieno carattere umorale: luomo visto ammalarsi
quando uno dei quattro umori corporei sangue, flegma o pituita, bile gialla o clera, atrabile
o melanconia sovrabbondante o scarso, smescolato dalla buona miscela [il sangue], che
la base fisiologica dello stato di salute.
Cos, anche per Galeno i tumori rappresentano uno sconcerto della bile nera, [] un umore
di qualit opposte e di segno contrario allumore vitale per eccellenza, il sangue e tale
visione, permarr immutata per oltre un millennio (ivi, pp. 19-21).
Nemmeno il rinnovamento rinascimentale del Cinquecento, che con Andrea Vesalio
realizza una rivoluzione anatomica epocale, porta mutamenti significativi in questo senso. Pur
accogliendo timidamente la possibilit di asportare la lesione tumorale introdotta dallallora
innovativa chirurgia di Ambroise Par, il cancro rimane, nella sua eziologia, umorale. Lo
stesso Par attribuisce il tumore alla mammella a due cause: una che definisce antecedente,
di carattere generale, per via della quale si manifesta laltra detta presente, ovvero
fisicamente localizzata nel corpo (ivi, pp. 214-224).
Quasi duemila anni dopo Ippocrate, dunque, neppure la frattura epistemologica provocata
dalla rivoluzione scientifica scardina la teoria della cancerogenesi umorale che, imperterrita,
continua a dominare incontrastata. Ironicamente lo stesso Cartesio a rilanciarla in campo
oncologico, introducendovi per una novit: con la teoria biomeccanicistica su Lhomme
(1632-33) il filosofo-matematico francese sostituisce allormai superata bile nera la bianca
linfa6, che diventa il nuovo umore circolante responsabile di provocare il cancro. Tuttavia, la
6 La bianca linfa rappresenta i vasi chiliferi scoperti nel 1622 da Gaspare Aselli, sulla base dei quali Jean Pecquet, nel 1647, scoprir i vasi linfatici (ibidem).
11
cartesiana commutazione non illumina nuovi percorsi di riflessione interpretativa e leziologia
del cancro rimane inscritta nella prospettiva galeniana (ivi, pp. 21-22).
Solo nel periodo di passaggio dal Barocco allEt dei Lumi, durante il quale si preparano
grandi trasformazioni culturali e sociali, lorizzonte concettuale delloncologia muta
radicalmente. Grazie agli studi sperimentali sulle infiammazioni, il chirurgo bretone John
Hunter dimostrer nel Settecento che non la linfa rappresa ed inerte a generare il cancro
ma, al contrario, la linfa fluida e attiva una conseguenza dellinfiammazione tumorale7
(ivi, pp. 21-23, pp. 214-224).
Lintuizione di Hunter, insieme con il parallelo sviluppo dellanatomia patologica che
attribuiva sede e cause precisabili ad ogni malattia, traccia una linea netta nella storia della
teoria oncologica: dopo quasi due millenni di ancien rgime ippocrate-galeniano, gli studi
sul cancro si affinano accogliendo gli arricchimenti di innumerevoli esperienze empiriche che
esaminano casi di tumori localizzati nel corpo. in questo periodo di grandi mutamenti che la
figura operativa del chirurgo (abituato a guardare la malattia come fatto locale e circoscritto)
viene rivalutata e pareggiata, per competenza e prestigio, a quella complementare del medico
fisico e filosofo, per arrivare a fondersi nella figura moderna del medico chirurgo (ivi, p. 23,
p. 27). Non a caso, contemporaneamente, si assiste al rivoluzionario rinnovamento del
concetto medico di morte che, da minaccia cupa in grado di annullare il sapere e le abilit
terapeutico-guaritrici, diventa un principio di spiegazione della malattia. La malattia stessa
assume, in tale contesto, il valore di morte resa possibile nella vita, [di] mortificazione vitale
manifesta nel vivente come lesione distruttiva e come necrosi (ivi, p. 26). Proprio grazie a
questa nuova prospettiva leziologia di tutte le malattie non potr pi essere attribuita ad
alterazioni umorali verificabili unicamente in vita8 e le infermit localizzate, come i tumori,
diventeranno ufficialmente curabili attraverso lasportazione chirurgica. Eventuali diffusioni
generalizzate della malattia, che non di rado continuavano a manifestarsi a valle
dellintervento, saranno imputate al ritardo nellesecuzione della chirurgia o alla sua scarsa
qualit, in quanto lestirpazione [si rivelava efficace solo se] tempestiva e completa
(ibidem).
La spiegazione delle possibili espansioni oltre confine furono fornite, tra la fine del
Settecento e linizio dellOttocento, dalle teorie di due medici. Marie Franois Xavier Bichat,
con la sua fisiopatologia delle membrane, elabor una teoria di mediazione che consentiva
7 John Hunter eleva la gi rivoluzionata chirurgia di Ambroise Par a scienza empirica (ibidem). 8 I medici, prima di allora, guardavano il morto come solo dopo guarderanno il malato nel suo letto poich i fatti patologici venivano prima di allora interpretati a partire dalla morte e non dalla vita, come invece accade oggi (Aris, 1989, p. 412). Tale rivoluzione attribuibile a Marie Franois Xavier Bichat (1771-1802) che definisce la vita come linsieme delle funzioni che resistono alla morte (Cosmacini, Sironi, 2002, p. 26).
12
di vedere i tumori come processi patologici ubiquitari che colpivano localmente uno o pi
organi. Daltro canto, il chirurgo-ginecologo Joseph Claude Anthelme Rcamier si preoccup
di denominare metastasi (dal greco trasposizione, spostamento) quel processo patologico in
grado di andare oltre e di trapassare, cos come il nome del poeta cesareo Pietro Trapassi
trapass in Metastasio (ivi, pp. 26-29).
Le prime esperienze empiriche di cancro localizzato sono riconducibili sia al lavoro di
Percival Pott, che nel 1775 individua nella fuliggine un probabile agente causale del cancro
dello scroto tipico degli spazzacamini; che a quello di Samuel Thomas Sommering il quale,
ventanni dopo, associa il tumore del labbro al fumo della pipa9.
In particolare, la precisa identificazione di un cancro a penetranza professionale fa emergere,
per la prima volta, lesistenza di cause esogene ricercabili in fattori strutturali economico-
sociali che contrappongono gli avanzamenti tecnologici del progresso alle manifestazioni
patologiche del lavoro industriale (ivi, pp. 24-26). Ma la malattia oncologica inizia ad essere
studiata sistematicamente solo a partire dal XIX secolo.
Rudolf Virchow, che nel 1863 pubblic la classificazione istologica dei tumori, fu il
primo medico a sostenere che il cancro fosse al contempo un fenomeno organico e un fatto
sociale (Bertolaso, 2012, p. 37). Nonostante ci, la sua rivoluzionaria teoria cellulare riport
lattenzione delloncologia sui progressi patologici intrinseci allorganismo: lidea che i
tumori potessero riguardare le cellule e la loro progenie sembr trovare conferma nelle
osservazioni realizzate tramite linnovativa (e sofferta) introduzione in campo medico del
microscopio, di cui egli stesso si fece promotore (Cosmacini, Sironi, 2002, pp. 30-35).
Linteresse sulla disorganizzazione strutturale e morfologica delle masse tumorali sar
confermata, un secolo pi tardi, con la scoperta del DNA (1953) che contribu
allaffermazione di un modello interpretativo del cancro basato sulla genetica (Bertolaso,
2012, pp. 38-39). Tuttavia, molte furono le teorie sulle origini della malattia oncologica che,
alternando visioni causali esterne ed interne, si susseguirono nel periodo che intercorre tra
Virchow e la scoperta del DNA.
La teoria parassitaria, lontana progenitrice della scoperta dei virus oncogeni da parte
del Premio Nobel per la medicina (1966) Francis Peyton Rous (Bertolaso, 2012, p. 39),
individua in fattori esterni in grado di provocare lallergia le possibili cause dellinsorgenza
tumorale (Cosmacini, Sironi, 2002, pp. 52-57); al contrario la teoria del disequilibrio
oncogeno gett le basi della ricerca oncologica in campo genetico, soprattutto in riferimento
9 In realt gi Bernardo Ramazzini (1633-1714) descrive quadri clinici di pazienti affetti da patologie legate al lavoro o a uno stile di vita non salubre in riferimento, per esempio, alluso del tabacco (Bertolaso, 2012, p. 37).
13
alla predisposizione ereditaria (ivi, pp. 80-84); mentre lideologia di Nicola Pende, firmatario
del Manifesto della Razza 10 , riport il cancro allormai anacronistica prospettiva
delleziologia generale sostenendo linutilit di provvedere a cure localizzate e delegittimando
di conseguenza il ruolo tecnico della chirurgia (ivi, pp. 89-93). In risposta a Pende, Raffaele
Bastianelli, chirurgo fortemente convinto della bont dellinterventismo tempestivo nella cura
dei tumori, profess con fermezza lassolutismo chirurgico a suon del motto: tagliare il
corpo per togliere il male (ivi, pp. 94-98) e, nel 1933, Pietro Rondoni pubblica unopera
intitolata Biochimica del cancro in cui descrive il tumore come un errore biologico [ come
] la malattia antieconomica e anti-autarchica per eccellenza, [ perch] spegne i focolai di
esperienza, di cultura, di capacit non prontamente sostituibili e danneggia cos lo sviluppo e
la autonomia tecnica e spirituale del paese. Nella stessa opera, lautore elabora una
concezione conciliativa delle tesi ambientali e virali enunciate nei decenni precedenti,
intuendo per primo la necessit di far convergere la ricerca sulleziologia del cancro sugli
agenti endogeni ed esogeni insieme (ivi, pp. 70-103).
Rondoni fu infatti capofila di importanti ricerche sui tumori condotte presso lIstituto
Nazionale per lo Studio e la Cura del Cancro di Milano; ente che, inaugurato nel 1928 sotto la
direzione di Gaetano Fichera, rappresent listituzionalizzazione delloncologia italiana in un
complesso scientifico, diagnostico, terapeutico [ realizzato anche per sfatare ] la frase
fatta della malattia che non perdona (ibidem).
Alcune concezioni su cui si basavano gli studi diretti da Fichera e Rondoni sono
considerati assimilabili alle premesse su cui si fonda la terapia chemioterapica, che nacque
agli inizi del Novecento nella sua versione antibatterica. Il medico tedesco Paul Ehrlich,
Premio Nobel per la medicina nel 1908, intu che la selettivit chimica di alcune sostanze nei
confronti dei germi (gli agenti causali di alcune malattie) poteva essere sfruttata per
danneggiarli e distruggerli. Anche se dal punto di vista clinico la sua proposta si rivel
illusoria, il presupposto su cui essa si fondava fu ripreso nellambito della lotta alla malattia
oncologica degli anni Trenta, periodo in cui il cancro cominciava ad essere sempre pi
frequentemente diagnosticato. Tuttavia, gli studi in questa direzione non progredirono fino
allo scoppio della seconda guerra mondale, evento che riaccese linteresse per gli investimenti
in ricerca nellambito degli aggressivi chimici11 (ivi, pp. 241-245).
10 Documento del 1938 che legittimava il razzismo persecutorio degli ebrei in Italia. 11 Gli aggressivi chimici sono delle novit tecnologiche militari della prima guerra mondiale. La stessa intuizione di Ehrlich non si sarebbe forse mai sviluppata se egli non avesse avuto a disposizione, oltre alla personale preparazione scientifica, la grande disponibilit tecnologica ed economica dellindustria chimica della Germania di allora: lo scoppio della prima guerra mondiale, infatti, condiziona pesantemente il complesso
14
Nel 1942 presso lUniversit di Yale, nellambito di un programma di ricerca segreto sullo
studio degli effetti biologici delle armi chimiche, tre studiosi compiono le prime fondamentali
osservazioni che contribuiscono alla definizione della chemioterapia oncologica. Le scoperte
pionieristiche che ne derivano sono a loro volta segretate in osservanza alle restrizioni
riguardanti luso dei composti classificati come armi chimiche. Si tratta di un modello
storico del progresso scientifico [in cui] la ricerca applicata di nuove molecole non avviene in
funzione e in fruizione del mercato civile ma per uso e abuso militare, con tutti i
condizionamenti economici e ideologici immaginabili12 (ivi, p. 246).
A partire dalla fine degli anni Quaranta, la disponibilit di informazioni biochimiche accurate,
relative ai meccanismi di generazione e replicazione cellulare, consente limpiego di composti
chimico-farmaceutici che si rivelano in grado di inficiare il corretto funzionamento
metabolico delle cellule tumorali. Un risultato decisivo che mette in relazione diretta la
guarigione dalle malattie ai prodotti costruiti in laboratorio dalluomo: unautentica
rivoluzione farmacologica che trasformer, nel giro di pochi decenni, le fabbriche di coloranti
chimici in industrie impegnate nella ricerca e nella fabbricazione di farmaci di sintesi (ivi, p.
247).
Nonostante ci Enrico Ciaranfi, professore ordinario di patologia generale allUniversit
di Perugia e successore di Pietro Rondoni nellomonima cattedra presso lUniversit di
Milano, ne Il cancro come problema biologico del 1949 torner a porsi leterna domanda
irrisolta: Che cos un tumore? Perch e con quale meccanismo esso si origina? e, dopo
riflessioni di carattere storico ed epistemologico egli sistematizzer, in una sorta di review,
tutte le ipotesi fino ad allora enunciate (ivi, pp. 104-110).
1.3 Recenti modelli interpretativi e nuove prospettive
Durante la prima met del Novecento le cause attribuite allinsorgenza tumorale e le
terapie studiate per contrastarla subiscono un accentramento progressivo che dal macro
ambiente, identificato principalmente attraverso fattori esogeni ambientali, le vede
concentrarsi nel micro ambiente costituito da elementi intrinseci allorganismo. A partire
dagli anni Cinquanta questi ultimi vengono totalmente assorbiti dallallora neonata genetica
chimico farmaceutico tedesco che, insieme a materie prime, farmaci e coloranti inizia da allora a fabbricare prodotti bellici, come i gas tossici, in grande quantit (ibidem). 12 Negli stessi anni, sempre negli Stati Uniti, si svolgono le prime sperimentazioni sulla penicillina, tenute rigorosamente segrete dal potere militare che le sollecita e le finanzia (ibidem).
15
molecolare, disciplina scientifica che fornir alla ricerca oncologica degli anni Sessanta gli
strumenti per linterpretazione del cancro come patologia genetica (Bertolaso, 2012, p. 38).
Nel periodo compreso tra gli anni Settanta e Ottanta, i modelli interpretativi si affinano
attribuendo alleziologia dei tumori il concetto di mutazione attivante che, nella sua
versione pi semplice, imputa alla compromissione funzionale di alcuni geni le origini della
cellula cancerogena. Secondo questa teoria, le cellule costituenti lintera massa tumorale
deriverebbero dalla clonazione sequenziale della prima. Intorno agli anni Settanta emersero, a
tale proposito, alcune evidenze sperimentali che indussero ad applicare il concetto di
evoluzione darwiniana allo studio del cancro lasciando intendere che, nonostante la loro
eterogeneit, le cellule tumorali fossero tutte potenzialmente cancerogene. Tale visione
stimol lavvio di numerosi progetti di ricerca orientati allidentificazione dei meccanismi
coinvolti nelliniziazione e nella progressione della malattia oncologica, ma bisogner
attendere ventanni affinch le scoperte genetiche e lipotesi evolutiva clonale del cancro
convergano in una sintesi coerente (ivi, pp. 58-60).
A partire dagli anni Novanta, linclusione del ruolo dei geni nellinsorgenza e nella
progressione tumorale, confermata anche da dati empirici che evidenziarono il
coinvolgimento di fattori ereditari (ivi, pp. 60-62), conferisce ulteriore importanza alla
componente temporale della malattia (ivi, p. 59). Inoltre, studi successivi sui fattori ereditari
dei tumori dimostrarono che le alterazioni genetiche tendevano a manifestare
unorganizzazione a cluster (a grappoli di geni), concorrendo a creare un nuovo contesto
interpretativo che considerava la trasformazione genetica non tanto come una mutazione
quanto piuttosto come lespressione strutturale attraverso cui i geni si organizzano, anche su
pi livelli. Il cancro, cio, non sarebbe la semplice espansione clonale di una cellula
trasformata, ma un fenomeno policlonale [poich] si comporta come un tessuto in cui le
cellule divengono funzionalmente eterogenee, come [ una sorta di ] caricatura di un tessuto
normale (ivi, pp. 42-43).
La scoperta del coinvolgimento di intere vie funzionali cellulari nella progressione tumorale,
rappresent solo uno degli aspetti che evidenziarono limportanza assunta dal contesto nello
studio del cancro, tanto che un ampliamento delle prospettive di analisi fu inevitabile. Il
modello interpretativo che ne consegu portava con s lidea che il fenomeno tumorale non
fosse pi unicamente riconducibile a fattori genetico-molecolari ma che, anzi, lanalisi
dovesse prendere in considerazione anche la loro contestualizzazione funzionale, ovvero il
microambiente delle cellule progenitrici tumorali (ibidem).
16
Lanalisi della cosiddetta organizzazione tissutale del cancro assume importanza
allinizio degli anni Duemila. Molti autori che concorderanno nel ritenere le propriet
emergenti del tessuto come punto di partenza per lo studio del fenomeno tumorale, si
porranno in netto contrasto con le premesse epistemologiche su cui si basano i modelli
interpretativi riduzionisti ancora in voga e precedentemente utilizzati. Questa nuova
prospettiva suggerisce infatti che il cancro sia assimilabile ad un processo13 che, coinvolgendo
lorganizzazione dei tessuti, ne chiama in causa le componenti rivelandosi cos un problema
relazionale, di comunicazione intercellulare (ivi, p. 45). In questottica, la malattia oncologica
non appare complessa perch complicata, ma perch rappresenta la patologia della
complessit dellorganismo vivente, della sua organizzazione gerarchica [ Essa appare
come un problema che riguarda] molteplici livelli, per il quale richiesto un approccio
integrativo capace di osservare contemporaneamente sia la sua profondit biologico-
molecolare, sia lintegrazione di questultima entro ogni specificit organica individuale (ivi,
p. 210).
In questo senso, lantiriduzionismo che caratterizza i modelli interpretativi tissutali ha
contributo al rilancio del dibattito scientifico sulle definizioni (ontologicamente) opposte
attribuibili ai concetti di fenomeno ed evoluzione (ivi, pp. 81-93). Tuttavia interessante
notare che lasimmetria rinvenuta da Bertolaso (ibidem), tra i presupposti su cui si fondano i
modelli interpretativi legati alle prospettive riduzionista e antiriduzionista, non sembra
pregiudicare la fattibilit di una loro convergenza: lautrice, anzi, invita alla riflessione su un
approccio capace di recuperare metodologia ed epistemologia riduzionista in una prospettiva
pi ampia (ivi, pp. 217-220).
1.4 Da male inguaribile a malattia curabile
A partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, il progresso scientifico che caratterizza i
campi della microbiologia e dellingegneria genetica si riverbera anche negli ambiti della
diagnostica, della chirurgia, della farmacologia e dellanestesiologia. Nonostante ci,
lincapacit di trovare una soluzione definitiva al problema cancro induce la medicina
moderna ad escogitare strategie di azione alternative che si concentrano, prima, sul fronte
della prevenzione (Cosmacini, Sironi, 2002, p. 237) e, poi, sulla cronicizzazione del processo
patologico (De Falco, 2014, p. 105).
13 Pi che a una progressione sequenziale clonale di mutazioni o errori (ivi, pp. 57-58).
17
I cambiamenti della struttura demografica indotti dalla rivoluzione industriale, che vedono
linvecchiamento crescente della popolazione a fronte della convergenza tra aumento della
speranza di vita e riduzione dei tassi di natalit, si incrociano, nel secondo dopoguerra, con
lincremento dellincidenza e della mortalit per tumore (Giarelli, 2007, p. 23).
Coinvolgendo strati sempre pi ampi della popolazione, la malattia oncologica assume in
questo periodo importanza crescente in ambito sociale, economico e politico. Cos, se dal
punto di vista della percezione del senso comune il cancro diventa la nuova epidemia del XX
secolo, per le istituzioni la lotta ai tumori [si trasforma in] uninderogabile dovere posto
davanti alla coscienza degli Stati (Cosmacini, Sironi, 2002, p. XIV).
In questo contesto, la ricerca sperimentale oncologica viene affiancata dallepidemiologia,
disciplina medica che, derivando dalligiene e dalla medicina sociale, studia la distribuzione e
la frequenza delle malattie in funzione delle condizioni socio-ambientali a fini principalmente
preventivi (Neresini, 2001, p. 42).
Per quanto riguarda lItalia, il Programma Oncologico avviato da Luciano Gambassini
pu essere considerato come il manifesto della prima vera prevenzione oncologica realizzata
[sul territorio nazionale]. Nella duplice veste di assessore alla sanit della provincia di
Firenze (1956-1964) e presidente, tra gli anni Cinquanta e Ottanta, del Centro per la Lotta
Contro i Tumori della medesima citt, Gambassini promuove corsi di aggiornamento
professionale sul cancro per medici e infermieri e, al contempo, organizza campagne di
educazione sanitaria oncologica rivolte allintera popolazione. Gli aspetti pi innovativi e
moderni della sua azione, concentrata soprattutto sui tumori femminili della mammella e della
cervice uterina, riguardano: il trasferimento delle conoscenze sperimentali dai laboratori alla
realt clinica di massa attraverso limplementazione di attivit di screening; listituzione di
appositi registri tumori per la rilevazione della frequenza e della distribuzione del cancro; la
promozione ed il coordinamento di una rete collaborativa tra le varie istituzioni sanitarie
coinvolte in ambito oncologico finalizzata ad unintegrazione efficiente (Cosmacini, Sironi,
2002, pp. 225-231).
Gambassini diventa cos il promotore di due tipi di prevenzione: la primaria (o
informativa), che si realizza attraverso leducazione sanitaria, e la secondaria (o pre-
sintomatica, o diagnosi precoce) che, attenendosi allindagine diagnostica, si riveler uno dei
fattori decisivi per gli importanti risultati chirurgici ottenuti nei decenni successivi (ibidem).
La diagnosi precoce rappresent nellItalia degli anni Cinquanta e Sessanta una vera e propria
ideologia vincente in campo preventivo: lincapacit di impedire linsorgenza di nuovi
tumori venne infatti contrastata con la limitazione della loro evoluzione. Nonostante ci, gli
18
esiti rinvenuti nellapplicazione della diagnosi pre-sintomatica per la prevenzione del cancro
al polmone fece emergere, nei decenni successivi, la chiara esigenza di superare la semplicit
ideologica della precocit diagnostica come mezzo efficace nella lotta contro i tumori []
portando alla conclusione che solo una reale prevenzione primaria, intesa come eliminazione
delle cause esogene (fumo, inquinamento) e correzione delle cause endogene (fattori
genetici), potesse rivelarsi veramente efficace (ivi, pp. 239-240).
Lo spostamento della strategia preventiva dal versante identificativo pre-sintomatico
(coadiuvato dalle sempre pi performanti, ma costose, tecniche diagnostiche di imaging) a
quello primario-informativo si realizza in un contesto socio-politico nazionale in cui, se dal
punto di vista biomedico il ruolo sempre pi importante rivestito dallepidemiologia rafforza
lassunto ideologico secondo il quale per ogni malattia esiste una causa univoca e ben
definita14, nella prospettiva delle istituzioni pubbliche la cultura del servizio al cittadino
risulta ancora lontana dal divenire una priorit15 (Grandi, 2015). Pertanto, durante gli anni
Cinquanta, si assiste allavvio di campagne informative riconducibili ad un modello di
intervento pedagogico arcaico di matrice paternalistica: le proposte di intervento (comunicate
dal medico al paziente in un misto variabile di esortazioni a smettere di fumare e di biasimo
del vizio) si ponevano lobiettivo di ridurre la tossicit del fumo pi che affrontare la
questione alla radice, per esempio consigliando lapplicazione di filtri, la sostituzione con vari
placebo, ecc. Una campagna pi moderna, costruita su una concezione di educazione sanitaria
che impegni anzitutto lo Stato, nella quale i medici siano al contempo promotori e operatori,
avrebbe forse potuto ambire ad una trasformazione culturale tesa allastensione volontaria dal
fumo promuovendo unidea di salute individuale, e quindi collettiva, in grado di considerare
anche condizioni e condizionamenti dordine psicologico e sociologico (ivi, pp. 113-115).
Nonostante durante i decenni successivi si assista ad unevoluzione delle campagne
informative sul nicotinismo che, rivolgendosi ai non fumatori, saranno in grado di produrre
mobilitazioni dellopinione pubblica, il fumo di tabacco continua tuttoggi a rappresentare
uno dei principali fattori di rischio 16 per linsorgenza tumorale. Tra laltro, la recente
14 Le epidemie del passato si distinguono dal cancro (e, pi in generale, delle malattie cronico degenerative) sulla base del criterio di causalit: nel caso delle prime (tipicamente infettive) si parla di causalit forte (lagente patogeno provoca con una certa immediatezza la patologia), mentre per il tumore, caratterizzato da una genesi multifattoriale, si parla di causalit debole, ovvero di concausa in grado di produrre con una certa probabilit, e a distanza, gli effetti patogeni (ivi, p. 111). 15 Dal punto di vista sociale, il diritto di cittadinanza, inteso quale partecipazione consapevole e informata al processo decisionale pubblico, assumer importanza progressiva solo nel corso dei decenni successivi (ivi, pp. 61-63). Largomento ripreso nel paragrafo 2.4. 16 Nello studio della complessit del cancro si parla oggi di fattori di rischio, in quanto si rende necessario tenere in considerazione lesistenza di un concorso di cause che, sommandosi e moltiplicandosi, determinano la
19
introduzione e diffusione nel mercato italiano delle sigarette elettroniche pone ulteriori
problemi sia socio-sanitari che culturali riproponendo, in maniera subdola, il modello del
fumo senza danni (AIOM, AIRTUM, 2016, p. 211).
Secondo gli ultimi dati resi disponibili dallAssociazione Italiana di Oncologia Medica e
dellAssociazione Italiana dei Registri Tumori17, nonostante i problemi alla salute causati dal
fumo di tabacco siano noti da decenni anche grazie alla legge sul divieto di fumo nei locali
pubblici del 2003, quasi un italiano su tre un fumatore abituale. Particolarmente
preoccupanti risultano a questo proposito la situazione delle donne e dei giovani, dove il fumo
seguita a rappresentare uno dei pi gravi problemi di sanit pubblica (ibidem).
Lo stesso studio, in riferimento al contesto nordamericano, riconosce nel tabagismo e nello
stile di vita (questultimo inteso come linsieme di alimentazione, sovrappeso, abuso di alcool
e inattivit fisica) i fattori di rischio che pi concorrono allinsorgenza tumorale e che
sarebbero in grado di provocare, se considerati singolarmente, un tumore su tre. Seguono i
fattori occupazionali (legati allattivit lavorativa) e le infezioni (sia virali che parassitarie), le
cui probabilit, anche se sommate insieme, si riducono drasticamente rispetto al peso
attribuito singolarmente al tabagismo e allo stile di vita. Radiazioni ionizzanti, esposizione ai
raggi UVA, inquinamento ambientale e fattori ereditari, a confronto, sembrano contribuire
alla genesi tumorale in misura molto inferiore (ivi, pp. 3-4).
Per quanto riguarda lItalia, ogni giorno circa mille persone ricevono una nuova diagnosi
di cancro. Per un uomo su cinque lorgano interessato la prostata ma, con probabilit
decrescente, anche polmone, colon retto, vescica e stomaco (pi frequente negli
ultrasettantenni) rappresentano le parti del corpo maschile pi colpite. Negli uomini sotto i
cinquantanni i tumori pi spesso diagnosticati riguardano il testicolo (molto raro negli
anziani), i melanomi, i tumori del colon-retto e quelli della tiroide (ivi, pp. 3-8).
Nelle donne la diagnosi pi frequente interessa la mammella (una diagnosi su tre), con
incidenza maggiore nelle fasce pi giovani rispetto a quelle anziane, che risultano pi colpite
a stomaco e pancreas. Come per gli uomini, seguono i tumori del colon retto e del polmone,
questultimo pi frequente dopo i cinquantanni. I tumori della tiroide, della cervice uterina e i
melanomi, invece, riguardano pi spesso le donne che non hanno ancora compiuto i
cinquantanni di et (ibidem).
genesi e levoluzione della malattia nellambito delle particolari condizioni del sistema immunitario che, nel
corso del tempo, caratterizzano lindividuo (ivi, p. 3). 17 I dati analizzati nello studio non sono da intendersi esaustivi: i registri tumori infatti non coprono lintero territorio nazionale (per maggiori informazioni a questo proposito consultare la pagina web: http://www.registri-tumori.it/cms/it/copertura). Per quanto concerne la mortalit, lo stesso studio fa riferimento ai dati ISTAT 2013.
http://www.registri-tumori.it/cms/it/coperturahttp://www.registri-tumori.it/cms/it/copertura
20
Dal punto di vista complessivo, negli ultimi dieci anni, per gli uomini si registra una
diminuzione significativa dellincidenza dei tumori del polmone e della prostata e, in misura
minore, anche del colon-retto (probabilmente grazie allincremento dellorganizzazione di
programmi di screening su scala nazionale). Per lo stesso periodo, nelle donne lincidenza
appare stabile, con un modesto aumento del tumore della mammella nei soggetti di et
compresa tra i 45 e i 49 anni che appare correlabile allampliamento del target cui sono
rivolte le attivit di diagnosi precoce in alcune regioni 18 . Si registrano riduzioni anche
nellincidenza dei tumori allo stomaco per entrambi i sessi; delle vie aero-digestive,
dellesofago, del fegato, del polmone negli uomini e delle vie biliari e di ovaio e cervice
uterina nelle donne. Persiste invece laumento dei tumori del pancreas, del testicolo, del rene e
del melanoma negli uomini; a fronte di un aumento dei tumori del polmone, del corpo
dellutero, dei linfomi di Hodgkin e del melanoma nelle donne (ivi, pp. XI-XII).
In Italia il cancro rappresenta la seconda causa di decesso dopo le malattie
cardiocircolatorie. Tuttavia nelle donne la mortalit per tumore nettamente inferiore alla
possibilit di morire per malattie ai danni del sistema circolatorio: un decesso su quattro
rispetto a pi di uno su tre. Al contrario, negli uomini la forbice tende a convergere con il
risultato che una morte su tre riguarda, parimenti, luna o laltra infermit (ivi, p. 9).
Nel complesso la prima causa di morte oncologica nella popolazione italiana coincide con
quella maschile e riguarda i tumori del polmone (un decesso su cinque); mentre tra le donne
sono i tumori della mammella a provocare la morte con frequenza maggiore, soprattutto prima
dei cinquantanni; seguiti dai tumori del colon-retto che, riguardando entrambi i sessi,
coinvolgono una morte su dieci. Il tumore della prostata interessa, negli uomini, un decesso su
dieci, in misura quasi equivalente alla mortalit per tumore al polmone che coinvolge le donne
(ivi, pp. 10-11).
Nonostante ci la mortalit per cancro continua a diminuire in maniera significativa, in
entrambi i sessi, come risultato di pi fattori: la prevenzione primaria (soprattutto in
riferimento al tabagismo), la diffusione nazionale degli screening ed il diffuso miglioramento
delle terapie in un ambito sempre pi multidisciplinare e integrato. Oggi le due neoplasie pi
frequenti, il tumore della prostata negli uomini e quello della mammella nelle donne,
presentano sopravvivenze a 5 anni di oltre il 90%, con percentuali ancora pi elevate per i
tumori diagnosticati in stadio precoce. Risultati sicuramente incoraggianti (ivi, p. XI).
18 A questo proposito, dai confronti nazionali, evidente che al Sud, dove gli screening oncologici sono ancora poco diffusi non si osserva la riduzione della mortalit per tumore alla mammella, al colon retto e alla cervice uterina. Tuttavia, dal punto di vista complessivo, lincidenza decresce in modo significativo dal Nord al Sud
Italia probabilmente in virt di stili di vita, abitudini alimentari e minore esposizione a fattori cancerogeni (ivi, pp. 61-62).
21
Ampliando lo sguardo, tali risultati sembrano trovare conferma in studi su trend di lunga
durata che evidenziano come la mortalit per cancro decresca in tuttEuropa a partire dagli
anni Sessanta, soprattutto in riferimento ai tumori del polmone negli uomini e, pi
recentemente, a quelli dellintestino per entrambi i sessi. Anche per i tumori femminili della
mammella e della cervice uterina si assiste ad un declino complessivo del tasso di mortalit,
che viene attribuito allaumento delle pratiche di screening e al progressivo miglioramento
delle terapie. Gli stessi studi evidenziano che i paesi europei con tassi di mortalit per cancro
pi bassi sono quelli che per primi hanno avviato misure efficaci di controllo sulluso del
tabacco (Levi et. al., 2004; La Vecchia et. al., 2010).
Rispetto agli andamenti europei, in Italia, la sopravvivenza dei pazienti affetti da cancro
risulta mediamente pi elevata per molti tumori, compresi quelli oggetto di screening19. Dai
dati emerge che oltre tre milioni di italiani con diagnosi pregressa continuano a vivere con la
stessa probabilit di morire per tumore attribuita alle persone che non hanno mai ricevuto
diagnosi di questo tipo (AIOM, AIRTUM, 2016, pp. XI-XII). Tuttavia importante ricordare
che tali stime sono esclusivamente quantitative e valutano quando il rischio di morte dovuto
al tumore diventa trascurabile, senza esaminare indicatori altrettanto importanti come la
qualit della vita, la presenza di eventuali disabilit successive alla malattia o di recidive (ivi,
p. 22).
In questo senso, studi empirici hanno dimostrato come la qualit di vita delle persone
sopravvissute al cancro tenda a subire limpatto di sintomi di lungo termine, [] eterogenei
e fluttuanti nel tempo [], che si protraggono dopo la cessazione della causa che li ha
determinati e che sono riconducibili non solo alle dimensioni fisiche dellindividuo ma anche
a quelle psicologiche, culturali, sociali, economiche, ecc. (Muzzatti, Annunziata, 2014, p. 4).
Il protocollo oncologico, infatti, prevede almeno cinque anni liberi da malattia e da trattamenti
per poter parlare di guarigione, periodo scandito da diverse fasi di follow-up con relativi
aggiustamenti psicologico-emozionali e sociali (Annunziata, Muzzatti, 2011).
Se dal punto di vista quantitativo, dunque, la sopravvivenza determinata dalla disponibilit
di informazioni, screening e terapie efficaci che siano culturalmente ed economicamente
accessibili al malato, dal punto di vista qualitativo essa fortemente influenzata dalla capacit
del singolo e dei suoi cari di affrontare lintera esperienza di malattia.
19 Per molte sedi tumorali quali testa e collo, stomaco, fegato, colon, retto, laringe, polmone, melanoma cutaneo, mammella femminile, cervice uterina, prostata, vescica, rene e linfomi non-Hodgkin, i valori riguardanti lItalia sono superiori alla media europea; inoltre per nessuno dei tumori solidi o linfo-ematologici analizzati la sopravvivenza in Italia risulta significativamente inferiore alla media europea (AIOM, AIRTUM, 2016, pp. 25-26).
22
Il primo a far emergere limportanza di questo aspetto Fitzhugh Mullan, medico ed ex
paziente oncologico, che nel 1985 propone, in una pubblicazione scientifica, lutilizzo del
termine survival (sopravvivenza) per la definizione di quella particolare condizione che
caratterizza le persone con trascorsi oncologici. Accomunati da esperienze e sintomi di lungo
termine i cancer survivor (sopravvissuti al cancro) diventano cos una nuova categoria di
individui che si differenziano dal resto della popolazione. La legittimazione della cancer
survivorship (sopravvivenza oncologica) per Mullan di primaria importanza perch riesce a
superare la dicotomia guarito/non guarito enfatizzando la peculiarit di una condizione, a suo
parere, meritevole di considerazione (Muzzatti, Annunziata, 2014).
La prima descrizione epidemiologica della condizione di cancer survivorship risale al 2002 e
riguarda gli Stati Uniti20. Da allora gli studi in questo ambito sono aumentati e nel 2007 nasce
una rivista scientifica specifica, il Journal of Cancer Survivorship. Tuttavia, il progressivo
aumento della letteratura (e lampia variet di fasi che interessano lesperienza oncologica)
hanno concorso a produrre nel tempo sia una molteplicit delle accezioni secondo cui viene
impiegata e interpretata la cancer survivorship, sia una complessa tassonomia di
sottocategorie che tentano di classificarne stadi e stati21. La questione definitoria tuttoggi
ampiamente dibattuta sui tavoli scientifici internazionali, aperti alla ricezione dei risultati
ottenuti dallo studio della percezione dei survivors, che appaiono fondamentali anche in
riferimento alle conseguenze terminologiche delle etichette proposte (ibidem).
LItalia, paese in cui linteresse clinico e di ricerca per questa categoria recente22, ne adotta
una definizione molto restrittiva includendovi soltanto la persona che, dato il trascorso
oncologico, risulti libera da malattia e trattamenti da almeno cinque anni. Chi si trovi ad
incorrere in un secondo tumore o in condizioni di fine vita pertanto escluso. Nonostante ci,
nellambito e negli interessi di questo studio, con survivor si fa riferimento a qualsiasi persona
che abbia vissuto lesperienza oncologica, qui intesa come un viaggio, una traiettoria, in cui
20 Pu essere interessante notare a questo proposito che la percezione dellesperienza oncologica sembra aver subito, nellimmaginario collettivo nordamericano, un cambiamento nel tempo riscontrabile nella transizione lessicale che da cancer victim conduce a cancer survivor (Muzzatti, Annunziata, 2014, p. 5). 21 La prognosi varia enormemente in base alla diagnosi (tipo di tumore, organo interessato, stadio di avanzamento, ecc.), ma tendenzialmente si possono identificare almeno: la fase acuta che si colloca subito dopo la diagnosi e vede la persona impegnata con le terapie e i loro immediati effetti; la fase estesa, subito a seguire, che richiede limpegno dellindividuo a far fronte agli effetti a lungo termine delle terapie; la fase permanente che si caratterizza per la diminuzione della probabilit di intercedere in una recidiva ma anche dal protrarsi degli effetti a lungo termine o dalla comparsa di quelli tardivi; e le eventuali fasi di recidiva o terminalit (ibidem). 22 Il primo progetto di ricerca nazionale multicentrico sulla cancer survivorship, denominato Integrated Reseach Program Rehabilitation Model for Cancer Survivors P.I.O.7, stato sviluppato nel triennio 2008-2011 grazie ad un finanziamento del Ministero della Salute. Ad esso hanno fatto seguito altri progetti nazionali. In Italia, pi che di cancer survivor, si parla di lungosopravvivenza oncologica (ibidem).
23
la diagnosi, la fase terapeutica, la fase di remissione, la sopravvivenza e gli eventuali stadi di
recidiva o di terminalit rappresentano solo alcune tappe (ivi, p. 10).
La complessit biologica del cancro, dunque, trova pieno riscontro nella complessit del
vissuto personale di ogni survivor, in modo indipendente dalla prognosi.
Il tumore una malattia avvertita come alterazione del s profondo, non solo biologico, di cui
non dato sapere la causa. Inoltre, qualsiasi tipo di terapia si renda necessaria (sia essa
farmacologica, chirurgica o radio/chemio terapica) tende ad impattare violentemente sulla
quotidianit del survivor influenzando energia e funzionalit del corpo, immagine e integrit
del s (Hook, 2000, p. 498).
Anche per questi motivi, nella percezione della maggior parte delle persone, il cancro rimanda
a vissuti di sofferenza e paura se non a condizioni di gravit e morte (Annunziata, Muzzatti,
2011). Indipendentemente dai successi ottenuti in campo oncologico e dalla loro
divulgazione, il cancro espone allimmaginazione e alla consapevolezza [dellindividuo] la
concreta percezione della propria finitezza. Una finitezza non pi solamente vagheggiata e
prontamente rimossa (De Falco, 2014, p. 106).
In tale contesto, la cura del survivor assume importanza primaria non solo nel senso
strettamente biomedico del termine diretto al curare per guarire (in inglese to cure), ma
anche nellaccezione di cura volta a lenire (in inglese to care) secondo il principio per cui la
vita va sempre difesa nella sua dignit e integrit (Gordon, Peruselli, 2001). Nella prospettiva
della guarigione il fine della cura la sconfitta della patologia, mentre nellottica del
prendersi cura non esiste nessun nemico da combattere ed il protagonista della situazione
diventa il survivor in quanto persona. La confusione che esiste in merito alla sovrapposizione
dei concetti di cura e guarigione presuppone e rivela al tempo stesso un assunto culturale
molto diffuso che ha precise implicazioni ideologiche e che assume particolare importanza
nellambito delle malattie croniche, soprattutto terminali (Violi, 2013, p. 73).
Tuttavia, lefficientismo che caratterizza la biomedicina, orientata al management del
paziente (Davidoff et. al., 1995) riduce inevitabilmente limportanza degli aspetti rivestiti dal
prendersi cura, con la tragica conseguenza che chi non pu guarire da una malattia o da un
deficit scivola silenziosamente dalla categoria dei non guaribili a quella dei non curabili23
(Violi, 2013, pp. 75-76).
23 Gran parte delle malattie cronico degenerative (come la SLA, la distrofia muscolare, ecc.) soffrono di questa mancanza. Per quanto riguarda la cura del paziente terminale molte sono le questioni ancora aperte a questo proposito, non ultima la questione della comunicazione della diagnosi che sembra dipendere, in larga parte, da aspetti socio-culturali (Pizza, 2016; Gordon, Peruselli, 2001). Si veda a questo proposito anche la riflessione biografica di Marzano (2004).
24
Anche in risposta a questa necessit, emergono nuovi approcci di intervento che, oltre a
disconoscere la dualit guarito/non guarito, cercano di porre rimedio alla sovrapposizione
semantica creatasi tra i concetti di guarigione/cura e di non guaribile/curabile.
In ambito strettamente oncologico nasce intorno agli anni Cinquanta in Nord America la
psiconcologia, disciplina scientifica che, ponendosi lobiettivo di comprendere e trattare le
implicazioni e i problemi psicosociali legati al cancro, trover rapida diffusione in Occidente
(Grassi, 2013, p. 33-35). Parallelamente si affermano, non solo in ambito oncologico, le cure
palliative centrate sui bisogni fisici, psicologici, sociali e spirituali del paziente. Entrambi gli
approcci24 intendono la cura come una tecnica dellattenzione, dellascolto e del dialogo
(Pizza, 2016, p. 229) e, per quanto concerne lesperienza di cancro, si rivolgono a tutti i
survivors, non solo a chi si trovi in fase cronica o terminale.
La delicatezza dellambito di intervento di psiconcologia e cure palliative, impone loro di
porre primaria attenzione agli aspetti comunicativi: comunicare non informare, ma
cercare di entrare dentro la sfera cognitiva dellaltro, per arrivare a definizioni di percorsi
condivisi sulla base del rispetto della conoscenza e della carica emozionale di chi deve essere
informato e curato (Biasco, 2013, p. 7). In particolare, in ambito oncologico la
comunicazione rappresenta lo strumento chiave per cogliere le implicazioni emozionali pi
significative sia della malattia che delle [terapie ] che possono diventare fonte di sofferenza
per il paziente e per i suoi famigliari. Sono note le conseguenze devastanti del cancro sul
piano fisico, psicologico, sociale, spirituale e sulla qualit della vita in generale. Tali
dimensioni vengono colpite fin dal momento della diagnosi di malattia e successivamente
durante il percorso terapeutico che ne deriva (Grassi, 2013, p. 35). pertanto nella riduzione
delle dicotomie e nellincontro delle diverse accezioni di cura e guarigione che oggi il cancro
trova, in parte, soluzione.
Da sconcerto della bile nera a malattia umorale il tumore diventa, nel corso dei millenni,
uninfiammazione locale ed estirpabile, seppur in grado di metastatizzare perch tissutale.
Durante la rivoluzione industriale assume valenza professionale, ambientale e socio-culturale
24 Nel contesto italiano le cure palliative, rivolte a malati non solo oncologici e non solo terminali, si sono sviluppate soprattutto come cure domiciliari. La Legge 38/2010 Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore risulta essere tra le prime emanate in Europa. Lart. 1 di tale legge tutela il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore individuando reti di assistenza dedicate anche al paziente pediatrico. Per il fine vita, invece, gli hospices sono stati introdotti in Italia nel 1998 ma non risultano, ad oggi, distribuiti in egual misura sul territorio nazionale (Gordon, Peruselli, 2001). Per quanto concerne la psiconcologia, in Italia il Piano Oncologico Nazionale 2010-2012 del Ministero della Salute la inserisce tra le aree di ruolo specifico nella programmazione dellassistenza oncologica e il successivo documento di indirizzo lha indicata come una delle sette aree formative essenziali nellambito degli operatori
oncologici accanto a prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione, cure palliative e terapia del dolore (Grassi, 2013, pp. 33-34).
25
apprestandosi a divenire pura patologia cellulare. Il progresso tecno-scientifico del XX secolo
lo declina in termini ereditari, virali, clonali evolutivi fino a quando, agli albori del nuovo
millennio, la prospettiva si allarga al contesto intercellulare, rendendo la malattia oncologica
unespressione strutturale.
Radiografato, diagnosticato, faticosamente comunicato, limitato nella crescita, operato, radio
e chemio trattato, talvolta strumentalizzato, da sempre temuto perch mai compreso,
finalmente il cancro, cronicizzando, acquisisce spessore e diventa, nella sua complessa
multidimensionalit, una malattia curabile.
26
27
2. IL PUNTO DI VISTA DEL PAZIENTE
Nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, lepidemiologia assume un ruolo
sempre pi importante in ambito sanitario, contribuendo ad alimentare quel processo di
trasformazione dello sguardo clinico occidentale che, di l a breve, ne amplier lambito di
intervento.
Gli importanti risultati ottenuti dagli Stati Uniti degli anni Trenta nel campo della teoria del
campionamento statistico favoriscono la definizione e lavvio di nuove procedure di
rilevazione dellopinione pubblica che, non escludendo lambito sanitario, pongono alla
cittadinanza nuovi interrogativi inerenti lo stato di salute di ciascuno con particolare
riferimento alla presenza di malattie o danni invalidanti di lunga durata. Cos lapproccio
quantitativo, impiegato con lobiettivo di misurare la diffusione delle infermit, fa emergere
atteggiamenti precedentemente sconosciuti che contribuiscono a creare la nuova categoria di
malattia cronica: mentre lo sguardo clinico esamina il corpo individuale, il questionario
traccia la mappa delle nuove caratteristiche comuni allinsieme dei corpi [ elaborando ]
un mondo di malattie e di tecniche che [prima non esistevano e che ] colpiscono tutti i
gruppi generazionali (Carricaburu, Mnoret, 2007, p. 121). In modo analogo, gli studi
sullesperienza di malattia che saranno successivamente realizzati attraverso
limplementazione di metodologie qualitative produrranno nuovi concetti come quello di
qualit di vita (ivi, p. 122).
Non a caso negli anni Cinquanta emerge un nuovo modo di concepire e trattare il dolore,
esperienza che conferma il carattere teorico della separazione cartesiana tra mente e corpo:
invisibile e perci sfuggente ai meccanismi diagnostici, il dolore faticosamente spiegabile e
comunque difficilmente comprensibile, tanto da mettere in crisi i protocolli terapeutici
biomedici (Pizza, 2016, p. 107). Fu grazie allattivazione dei team multidisciplinari
concentrati sulla persona, voluti in quegli anni dallanestesista John Bonica, che la sofferenza
fisica cronica si andr affermando sempre pi come uno stato di malattia diventando, negli
anni Settanta, loggetto di una pratica medica specifica e legittima oggi conosciuta come
medicina del dolore (Carricaburu, Mnoret, 2007, pp. 97-98).
Insieme alle cure palliative e alla psiconcologia, la medicina del dolore interessa il survivor in
ogni fase dellesperienza oncologica, non solo il quella terminale (Mattioli, 2014, p. 71).
In tale scenario, il processo di cronicizzazione del cancro rappresenta solo unistanza
della nuova modalit attraverso cui la medicina moderna guarda alle infermit e, dal punto di
vista storico, sembra confermare la tesi secondo cui lampliamento dello sguardo clinico sia
28
riconducibile ad unevoluzione prodotta dalla stessa lite medica, come parziale risposta
allirrisolto problema oncologico, pi che ad una ribellione dei pazienti (Carricaburu,
Mnoret, 2007, p. 123). Tuttavia, nonostante la presa di coscienza del fatto che non si pu
intervenire nel processo di cura in maniera qualitativamente efficace senza tener conto dei
bisogni psicosociali del [survivor]25, proprio tale questione risulta essere, ad oggi, ancora
troppo poco considerata e agita nei fatti (Grassi, 2013, pp. 35-38). Lo stesso dolore cronico
(oncologico e non), pur rappresentando il terzo pi grande problema di salute pubblica
globale, rimane un argomento trascurato in medicina (Mattioli, 2014, p. 71).
Ugualmente laspetto comunicazionale, che in oncologia assume un ruolo fondamentale,
tanto importante quanto mal coltivato (Biasco, 2013, p. 7). Chi comunica deve avere la
capacit di sintonizzarsi con chi riceve le informazioni passa[ndo] dalla cura della malattia
alla cura della persona con la malattia. Errori grossolani commessi in questo senso possono
aumentare la probabilit di rifiuto, di rabbia, di disagio interiore, di sconforto, di
disperazione (ibidem).
Se il cancro, quel male oscuro avvertito in passato come irrazionale e innominabile
(Placucci, 1995), inizia oggi a liberarsi dalla morsa del tab, esso pare tuttavia non riuscire
ancora ad emanciparsi dalla violenza emozionale di cui seguita a farsi veicolo: credenze,
aspettative, immagini negative potenti (spesso create dagli stessi survivors) perseverano nel
suscitare sentimenti di disperazione e mancanza di speranza, paura e superstizione. E poich
luomo risponde sia ai pericoli reali che alle minacce simboliche, i significati ostili ad esso
associati possono pregiudicare pesantemente le capacit di risposta dellindividuo (e dei suoi
cari) alla malattia e agli efficaci percorsi di cura ormai disponibili (Die-Trill, 2000).
Fortunatamente, in letteratura, non mancano testimonianze di reazioni positive allesperienza
oncologica che, indipendentemente dalla prognosi, viene in questi casi descritta come una
crisi esistenziale trasformativa, potenzialmente in grado di aumentare la qualit della vita
dellindividuo (ibidem).
Le modalit attraverso cui il survivor ed i suoi cari26 attribuiscono senso alla diagnosi di
cancro (e le credenze che ne derivano) assumono pertanto importanza fondamentale in ambito
oncologico (ibidem). Tuttavia, gli stessi concetti che costituiscono la base di ogni
ragionamento in questo senso come salute, malattia, terapia, cura (Pizza, 2005), vita, morte
25 Come indicato dallInstitute of Medicine non possibile offrire cure oncologiche di qualit se non vengono presi in considerazione i bisogni di salute psicosociale dei pazienti; ogni persona ammalata pu e deve aspettarsi che ai propri bisogni psicosociali vi sia adeguata risposta al pari dei bisogni fisici (ivi, p. 39). 26 In questo studio con famiglia o cari si intende sempre identificare quel gruppo, pi o meno ampio, di persone che sono intime o molto vicine al survivor. I cari e la famiglia vanno pertanto intesi nel senso pi ampio del termine cio al di fuori dei legami di sangue, di forme istituzionalizzate di unione e adozione pi o meno riconosciute, di concezioni religiose, ecc.
29
(Aris, 1987, 1989), persona, corpo (Mauss, 2000a, 2000b), ecc., sono in realt dei concetti
costruiti, delle categorie culturalmente prodotte. Nulla dato in maniera assoluta, fissa e
statica: pur riguardando aspetti profondi dellesperienza umana soggettiva, processi come
lammalarsi ed il morire assumono significati e definizioni che, per quanto
inconsciamente, vengono fabbricati dallindividuo poich situato in un dato contesto storico,
sociale e culturale.
A tale proposito, il contributo di Susan Sontag, filosofa che ha trasformato il personale vissuto
oncologico in oggetto di studio, fornisce unesemplificazione magistrale della costruzione
intersoggettiva del cancro, in prospettiva storica. Protagonista dei suoi saggi (1992a, 1992b)
il piano simbolico delle rappresentazioni collettive occidentali che proliferano intorno alle
malattie pi temute. Dal punto di vista individuale tali metafore illustrano in modo
straordinario le modalit attraverso cui luomo investe di significato tutti quegli eventi che
appaiono minacciosi per la loro casualit e assurdit (la morte ma anche la malattia); mentre,
dal punto di vista sociale, esse concorrono a inspessire quella rete di significati collettivi entro
cui, prima o poi, probabile che ogni individuo si trovi, a sua volta, intrappolato.
2.1 Tubercolosi, cancro e morte nellimmaginario collettivo
Nella sua origine greca, il termine cancro indica una formazione anomala, allinterno di
alcuni organi e tessuti, che assume la forma caratteristica di un granchio27 (Bertolaso, 2012, p.
21), cui riconducibile la pi antica definizione letteraria del cancro inteso come
escrescenza, sporgenza o protuberanza. Secondo Galeno il nome era stato suggerito dalla
somiglianza tra le vene gonfie di un tumore e le zampe di un granchio e non, come molti
credono, dal fatto che la malattia, caratterizzata dalle metastasi, striscia e si insinua come un
granchio (Sontag, 1992a, p. 11). Daltra parte al concetto stesso di malattia sono stati
attribuiti significati molto diversi nel corso della storia.
Nel mondo antico linfermit era percepita come uno strumento della collera divina, una
punizione sovrannaturale o come il risultato di cause naturali. Per i greci poteva essere sia
gratuita, per colpa personale, sia meritata, in quanto causa di una trasgressione collettiva o di
un delitto ai danni di qualche antenato (ivi, p. 39, p. 43).
Con lavvento della morale cristiana la malattia diventa un castigo giusto e appropriato. Nella
concezione pre-moderna infatti, la descrizione di ogni epidemia (che colpiva le persone in
27 Anche il termine tumore (o neoplasia, dal greco nuova formazione o nuova crescita) viene spesso utilizzato come sinonimo di cancro nel gergo comune (ibidem).
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quanto membri di una comunit) insiste soprattutto sulle sue conseguenze disastrose:
lespandersi della pandemia conduceva inesorabilmente alla disgregazione della collettivit
con il conseguente crollo della morale e dei costumi. Cos se, in senso retrospettivo (dopo la
catastrofe), la malattia si rivelava un giudizio sulla societ poich ne palesava la corruzione
morale (la solidariet andata in frantumi); in senso anticipatore essa conveniva al carattere
dellinfermo cos come il castigo corrispondeva al peccatore (ivi, pp. 37-40, p. 43).
In contrasto con questa visione organicistica, le malattie moderne iniziano ad esprimere
la neonata individualit del singolo e linfermit del corpo diventa un linguaggio che
drammatizza il mondo mentale interiore. Con la nuova mobilit sociale e geografica, tipiche
dellera moderna e contemporanea, ricchezza e status non sono pi dati per acquisiti ma
vengono in qualche modo imposti: nuove idee sullabbigliamento (il rivestimento esteriore del
corpo) e nuovi atteggiamenti nei confronti dellinfermit (una sorta di arredamento del corpo
stesso) diventano cos espressione del nascente io individuale (ivi, pp. 27-29, pp. 43-45).
In tale contesto la tubercolosi, considerata un cancro per quasi tutto lOttocento28, assume una
valenza simbolica fondamentale. Percepita come un male che colpiva preferibilmente le
persone emotivamente fragili come gli adolescenti, le donne, gli artisti, ecc. la tbc si rivelava
in perfetta sintonia con lideale romantico allora dominante. Medici e profani credevano
infatti che le condizioni entro cui poteva essere contratta non fossero unicamente riconducibili
a povert e carenza di igiene, ma fosse altres necessaria una predisposizione interna, una
sorta di inclinazione personale. In questo senso gi a partire dalla fine del Settecento,
lassociazione tra il soffrire di tisi e lessere romantici era, per certe categorie sociali, un
modo di apparire, un segno di eleganza, delicatezza e sensibilit. La concezione del corpo
(raffinato se malaticcio, di moda se pallido e smunto) rispecchiava un nuovo modello di
bellezza aristocratica nel periodo in cui laristocrazia cessava di essere una questione di potere
e si apprestava a divenire un fatto di immagine29. Celebrata come infermit delle vittime
predestinate, la tbc assume in questo periodo pieno carattere soggettivo e diventa la prima
malattia individualizzata nella storia dellOccidente (ivi, p. 25-29, pp. 37-40).
Una delle conseguenze pi rilevanti di questo cambiamento la formulazione dellidea che
una persona acquisti consapevolezza quando si trova ad affrontare la propria morte30: nessun
28 La tubercolosi stata considerata un cancro fino al 1882 anno in cui, dopo la fondazione della patologia cellulare e lavvento del microscopio, fu possibile ricondurla ad uninfezione batterica (ivi, p. 12). 29 La romanticizzazione della tbc il primo esempio diffuso di quellattivit tipicamente moderna che la promozione dellio come immagine e le mode femminili novecentesche, con il loro culto della magrezza, sono