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35S. Magazzini, S. Vanni, S. Grifoni

Cardiomiopatie, miocarditi e pericarditi

l Descrivere i quadri clinici acuti delle cardiomiopatie, delle miocarditi e delle pericarditi, fornendo elementi obiettivi e strumentali utili al loro riconoscimento in emergenza-urgenza.

l indicare i principi terapeutici, rivolgendo una particolare attenzione ai più frequenti errori metodologici relativi al trattamento.

Obiettivi

Caso clinico

in Pronto soccorso (PS) si presenta una donna dell’età di 76 anni, che lamenta dispnea ingravescente e graduale comparsa di edemi declivi nell’arco delle ultime settimane. La dispnea si è nettamente accentuata da alcuni giorni, tanto da richiedere l’intervento del 118. il medico che la assiste rileva una tachipnea con una pressione arteriosa (PA) sistolica di 105 mmHg e somministra o2 e diuretici con scarso beneficio. All’ingresso in DeA, la paziente mostra i seguenti parametri: PA 125/85 mmHg; FC 130 bpm aritmica; Sato2 92% in aria; T 36,5 °C; FR 28 atti/min.L’anamnesi evidenzia che la paziente abita a Firenze da poco più di un anno ma è nata in Uruguay ed è sempre vissuta in Argentina; fuma qualche sigaretta, è ipertesa in terapia con ramipril ed è affetta da miocardiopatia ipertensiva con fibrillazione atriale ricorrente. esegue una profilassi antiembolica con warfarin ed è in terapia con verapamil per rate control.L’esame obiettivo rileva al torace un’ottusità alla base destra e minimi crepitii alle basi; al cuore toni aritmici, tachicardici e, per quanto è possibile valutare, assenza di soffi. i polsi sono simmetrici, non ci sono soffi vascolari. Le giugulari sono turgide. Gli arti inferiori, simmetrici, mostrano un marcato edema bilaterale. L’addome è trattabile con lieve epatomegalia. non si osservano deficit neurologici focali.Gli esami a cui viene sottoposta danno il seguente riscontro.l eCG: fibrillazione atriale con frequenza ventricolare media di

130 bpm, emiblocco anteriore sinistro, non altre alterazioni di rilievo.

l eGA: pH 7,39; Pao2 65 mmHg; PaCo2 41,4 mmHg; Sato2 92,1%; HCo3

− 24,7 meq/L; Hb 12,2 g/dL; elettroliti e glicemia nella norma.l Rx del torace: falda di versamento pleurico basale bilaterale con

aspetto saccato a destra ove si associa a calcificazione pleurica basale e ispessimento scissurale. Aspetto modicamente congesto del piccolo circolo, ombra cardiaca nei limiti.

l ecocardiogramma: lieve ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro con ipocinesia laterale media e distale. Funzione di

pompa conservata (Fe 50%). Lieve insufficienza mitralica. Moderata dilatazione biatriale, radice aortica normale, minima insufficienza valvolare con apertura conservata. insufficienza tricuspidalica lieve-moderata, pressione sistolica polmonare stimata pari a 28 mmHg.

l esami ematici di routine nei limiti della norma.Durante la permanenza in PS la paziente viene trattata con o2, 40 mg ev di furosemide e viene inviata in osservazione breve (oB) dove inizia una terapia con digossina per os e furosemide in infusione continua. La diuresi è stata da subito molto abbondante, tanto che il giorno successivo all’ingresso, gli edemi declivi sono nettamente diminuiti. nonostante il miglioramento obiettivo, la paziente ha continuato a lamentare dispnea anche solo passando dal letto alla poltrona.Durante la permanenza in oB è stato ripetuto l’ecocardiogramma che, oltre a confermare i dati del precedente esame, ha messo in evidenza: la vena cava inferiore dilatata (21 mm) ma con escursioni respiratorie conservate; la giunzione epipericardica ispessita e iperriflettente, specialmente a livello posteroinferiore; l’assenza di versamento pericardico. Sulla base di questi reperti è stata eseguita una TC del torace (vedi Tavole a colori, Figura 35. i) dal cui referto si sono rese manifeste una diffusa calcificazione dei foglietti pericardici, che assumono un aspetto “a cotenna”, cardiomegalia e una diffusa accentuazione del piccolo circolo. La diagnosi è orientata verso una pericardite cronica costrittiva. Tale patologia riconosce spesso un’eziologia tubercolare e i reperti radiologici del torace, uniti all’area geografica di provenienza della paziente, avvalorerebbero tale ipotesi eziologica (successivamente confermata). La diagnosi di pericardite cronica costrittiva ha inoltre reso ragione del peggioramento della dispnea in occasione del trattamento con diuretico.La paziente è stata quindi trasferita nel reparto di Cardiologia, dove è stata sottoposta a cateterismo cardiaco e, successivamente, a pericardiectomia e terapia antitubercolare.

© 2011 Elsevier S.R.L. Tutti i diritti riservati.

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MalaTTie del PeriCardiOpericarditiLa pericardite è un processo infiammatorio che interessa il pericardio, che può essere coinvolto in maniera isolata oppure consensualmente al muscolo cardiaco (mioperi-cardite). La classificazione di questa malattia è di solito basata sull’eziologia, sul decorso clinico (forme acute che durano meno di 6 settimane, forme subacute che hanno una durata superiore a 6 settimane ma inferiore a 6 mesi, croniche quando hanno un decorso superiore ai 6 mesi) e sul tipo di manifestazioni flogistiche che interessano il pericardio (forme essudative, sierofibrinose, fibroadesive).Le forme ricorrenti sono quelle acute fra le quali prevale per frequenza la forma idiopatica. Si tratta di una forma sierofibrinosa di origine incerta, mal distinguibile sul piano clinico dalle forme virali, da cui di fatto si diffe-renzia solo per la negatività della sierologia. Nelle forme virali gli agenti più spesso coinvolti sono i virus coxsackie A e B ma anche altri virus (echovirus, citomegalovirus, Epstein-Barr virus, herpes virus ecc.). Molto più rare, caratterizzate da una prognosi più severa e da deposi-zione di materiale ematico-purulento, sono le pericarditi batteriche. Nella maggior parte dei casi, tali forme rappre-sentano l’estensione al pericardio di processi infettivi a primitiva localizzazione pleuromediastinica e fra queste non sono insolite le forme post-toracotomiche. Le forme fungine sono rare e spesso associate a malattie neopla-stiche o a immunodepressione. Un caso particolare è costituito dalla pericardite tubercolare, una malattia a decorso cronico e a carattere fibroadesivo che porta alla formazione di un involucro fibroso, a volte calcifico, con compromissione del riempimento diastolico. Il quadro clinico che ne deriva è quello di una grave, progressiva insufficienza cardiaca diastolica, non dissimile da quella che caratterizza la miocardiopatia restrittiva.Le forme neoplastiche, che negli ultimi decenni si sono fatte sempre meno rare, sono dovute di solito all’infil-trazione diretta del pericardio da parte di tumori che interessano il mediastino (tumori del polmone con infiltrazione della pleura mediastinica, linfomi, tumori mammari, disgerminomi ecc). È tipico in questi casi il carattere sieroematico del versamento.Nelle forme a patogenesi autoimmune, accanto alle ormai rarissime forme associate a febbre reumatica, degne di menzione sono quelle collegate a malattie del collageno (lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, morbo di Wegener, sclerodermia). In questi casi, spesso la pericardite non è isolata, ma si inserisce nell’ambito di una polisiero-site che interessa anche pleure e peritoneo. La pericardite ha un decorso subacuto-cronico e un carattere sierofibrinoso.La pericardite legata all’infarto acuto del miocardio è descritta sia nell’evoluzione precoce (IV-V giornata per la forma epistenocardica), sia come sequela tardiva (2-3 set-timane dopo l’infarto acuto nella sindrome di Dressler). Quest’ultima è immunomediata, talvolta ha un decorso febbrile e pone il problema della diagnosi differenziale con una recidiva ischemica. L’era della riperfusione del miocardio ha coinciso con la netta riduzione di queste due forme di pericardite, che oggi si riscontrano raramente mentre solo pochi anni fa erano descritte nel 15-20% dei casi di infarto miocardico (Ha et al, 2004).

Meritano infine un cenno le forme post-traumatiche e quelle tossico-metaboliche; fra queste ricordiamo la peri-cardite uremica (essudativa sieroematica), quella in corso di ipotiroidismo (pericardite sierosa a decorso cronico, a volte con versamento di entità cospicua) e la forma postirradiazione.Il paziente con pericardite si può rivolgere al medico dell’emergenza per l’insorgenza di dolore precordiale, soprattutto nelle forme acute, o per manifestazioni clini-che riconducibili allo scompenso cardiaco. Si tratta del quadro clinico caratteristico delle forme più evolute, spesso in fase subacuta o cronica. Il paziente in questo caso sviluppa la sintomatologia per l’accumulo di liquido nello spazio pericardico, che può condizionare il riem-pimento ventricolare o, come descritto nel caso clinico introduttivo, per l’ostacolo al riempimento diastolico operato dalla cotenna pericardica della pericardite costrit-tiva. I sintomi più frequenti sono l’astenia e la dispnea da sforzo. Il paziente si presenta con edemi declivi e altri segni di congestione sistemica fino all’anasarca. Si tratta per lo più di un quadro a evoluzione progressiva, della durata di settimane o mesi. Il versamento pericardico, nel tempo, può diventare estremamente cospicuo ma, grazie alla capacità del pericardio di dilatarsi per acco-gliere il fluido senza causare un aumento della pressione sul cuore, di solito non ha effetti emodinamici rilevanti. Questi effetti sono invece frequenti quando il liquido, anche se quantitativamente minore, si accumula in tempi rapidi (per esempio, nell’emopericardio traumatico, da rottura di cuore ecc.). A conferma di questo fenomeno, nella pericardite cronica il volume critico di liquido pericardico per determinare un quadro clinico di tampo-mento cardiaco è di circa 2 L contro i 200 mL sufficienti ad avere effetto tamponante in acuto.Se l’evoluzione verso il tamponamento cardiaco nella pericardite essudativa è molto lenta (si parla per questo di tamponamento cronico), è anche vero che essa può essere precipitata da alcune complicanze come l’insorgenza di aritmie. Fra queste, la fibrillazione atriale può essere particolarmente temibile per gli effetti emodinamici. La sua pericolosità è dovuta sia all’elevata frequenza ventri-colare, che come noto si realizza prevalentemente a disca-pito della durata della fase diastolica e quindi dell’effica-cia stessa del riempimento, sia alla perdita del contributo atriale al riempimento ventricolare. Un altro fattore pre-cipitante il tamponamento cardiaco può essere costituito da errate scelte terapeutiche fra cui l’uso dei diuretici, dei nitroderivati o altri farmaci che riducono la pressione di riempimento diastolico, agendo sulla volemia (diuretici) o sul tono del sistema venoso (nitroderivati).Un sintomo non costante è la febbre, raramente elevata, che nella pericardite acuta idiopatica è riferita come dato anamnestico nelle settimane precedenti l’esordio della malattia. In questi casi, si attribuisce alla pericardite il significato di forma postinfettiva immunomediata.Come in ogni paziente con dolore retrosternale, anche nella pericardite acuta si pone il problema della diagnosi differenziale con la cardiopatia ischemica. In quest’ottica gli elementi che depongono clinicamente per la pericardite sono rappresentati da una minore intensità del dolore, dall’influenza esercitata dagli atti respiratori, dalla tosse e dal decubito (migliora in posizione seduta), dalla febbre

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(presente o rilevata in anamnesi) e dall’individuazione di specifici fattori di rischio (per esempio, collagenopatie). L’esame obiettivo nelle fasi precoci può evidenziare la pre-senza di sfregamenti pericardici, rilevabili in particolare posizionando il paziente seduto, con il busto reclinato in avanti e in espirio. Si tratta di un reperto auscultatorio non facilissimo da ottenere, soprattutto nel setting del-l’emergenza, e anche di un segno a carattere spesso fugace durante il decorso della malattia, che tende a scomparire quando fra i due foglietti del pericardio si interpone il versamento. La presenza di dispnea e il reperto di conge-stione polmonare devono far pensare a una miocardite consensuale. In ogni caso, depongono per un precario compenso emodinamico la tachicardia, l’ipotensione e la pressione arteriosa differenziale ridotta.I segni di insufficienza cardiaca congestizia, con manife-stazioni soprattutto di insufficienza “destra”, quali il tur-gore delle giugulari (da valutare con il paziente inclinato di 45°), l’epatomegalia, magari con riflesso epatogiugu-lare, gli edemi declivi, sono tipici delle fasi avanzate di tutte le forme essudative e della forma costrittiva.Il reperto caratteristico dell’ECG nelle forme acute (Figura 1) è il sopraslivellamento dell’ST, con aspetto a concavità superiore, e il sottoslivellamento del tratto PR (primo stadio). Segue la normalizzazione del tratto ST, con appiattimento delle onde T (secondo stadio), e la successiva inversione delle onde T (terzo stadio). Alla risoluzione delle suddette alterazioni, non si sviluppano onde Q (quarto stadio). Tenendo conto che la pericardite acuta si manifesta con un dolore toracico, a volte non facilmente distinguibile da quello dell’insufficienza coro-narica, e che il suo pattern ECG abituale è costituito da un sopraslivellamento ST, si comprende come in questi pazienti sia possibile ricorrere alla somministrazione di trombolitico o all’esecuzione di una coronarografia. Nelle forme con abbondante essudato, la caratteristica dell’ECG è costituita dai potenziali di basso voltaggio, soprattutto nelle derivazioni precordiali. Il reperto di irregolarità di ampiezza dei complessi QRS, denominato “alternanza elettrica”, indica la presenza di un cospicuo versamento.L’ecocardiogramma è un esame sicuramente utile nel sospetto di pericardite. È bene però ricordare che nelle fasi molto precoci della forma acuta, quando ancora non

c’è versamento, la flogosi del pericardio si manifesta solo con un incremento dell’ecoriflettenza e in questi casi la diagnosi ecografica può essere ancora difficile. In questa situazione, il singolo esame perde di sensibilità e di spe-cificità mentre l’esecuzione degli esami nei giorni succes-sivi, in caso di evoluzione del quadro clinico, può aiutare a definire la diagnosi. Non desta invece problemi la dia-gnosi ecocardiografica delle forme essudative. In questi casi, il quesito da porre all’ecografista non è solo relativo alla diagnosi, ma deve essere esteso alla ricerca dei segni di tamponamento (vedi il paragrafo successivo).L’ecocardiogramma può non essere diagnostico nel caso della pericardite cronica costrittiva, dato che le cotenne peri-cardiche tendono a confondersi con i tessuti iperiflettenti retrosternali e del mediastino. La presenza di un quadro clinico di insufficienza cardiaca sproporzionato rispetto al deficit di funzione sistolica, il rilievo di un deficit diasto-lico isolato in un paziente gravemente compromesso sul piano emodinamico e il riscontro di elementi di sospetta TBC (provenienza da zone endemiche, coesistenza di altre manifestazioni ecc.), sono tutti elementi che possono indi-rizzare verso una corretta diagnosi. Le tecniche di diagno-stica per immagini più moderne (TC ad alta risoluzione e RM), sebbene siano in grado di evidenziare l’involucro fibroso o fibrocalcifico attorno al cuore, non sono sempre dirimenti, perché, soprattutto negli anziani, l’ispessimento del pericardio non è raro e il suo rilievo nelle immagini strumentali non è abbastanza specifico da permettere una diagnosi. Il cateterismo cardiaco, che mostra la compro-missione del riempimento diastolico con la tipica curva di riempimento del ventricolo destro, denominata deep and plateau o “segno della radice quadrata”, e l’equalizzazione delle pressioni nelle quattro camere cardiache, consente una diagnosi certa di pericardite costrittiva.In tutte le pericarditi il laboratorio può non evidenziare niente di rilevante a eccezione dei segni aspecifici di flo-gosi, mentre la coesistenza di miocardite può alterare i marker di miocitolisi rendendo ancora più difficile la dia-gnosi differenziale con l’insufficienza coronarica. Anche la sierologia è di scarsa utilità, sia per i tempi di acqui-sizione dei risultati, sia per la frequentissima negatività degli esami. Di fatto la grande maggioranza delle peri-carditi acute benigne, di cui si presume un’origine quasi sempre virale, ha una sierologia negativa.Per quanto riguarda il trattamento della fase acuta, per tutte le forme idiopatiche e/o virali la terapia può essere costituita dai soli FANS (tipicamente acido acetilsalicilico 800 mg/8 ore, ma anche ibuprofene 600-800 mg/8 ore o indometa-cina da 25mg/8 ore). Nelle forme recidivanti, è consiglia-bile associare la colchicina (1-2 mg come carico seguito da 0,5-1 mg giornalmente per 10-14 giorni). Per l’aumentata incidenza di recidive, l’utilizzo dei corticosteroidi (metil-prednisolone da 40 a 80 mg/die) andrebbe riservato alle forme non responsive, o in caso di intolleranza ai FANS. L’espansione volemica e il trattamento delle aritmie sono i principi essenziali di terapia anche nelle forme scom-pensate di pericardite costrittiva, la cui terapia definitiva è chirurgica, seguita da un’adeguata terapia antitubercolare, anche in presenza di intradermoreazione negativa.Per evitare la ricorrenza del versamento pericardico nelle forme recidivanti, può essere utile considerare l’ipotesi chirurgica che consiste nella pericardiectomia, nelle

FiGura 1 Tipico tracciato elettrocardiografico in corso di pericardite acuta.

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forme primitive, e nella meno invasiva apertura di una finestra pleuropericardica nelle forme secondarie a neo-plasia (Ling et al, 2000; Mayosi et al, 2005).

taMponaMento cardiacoIl tamponamento cardiaco è una condizione clinica legata a un accumulo di liquido nello spazio pericardico che determina un’alterazione del riempimento ventricolare e una riduzione della gittata cardiaca. Il rapido accumulo di 200 cc di fluido nello spazio pericardico può deter-minare un tamponamento cardiaco. Le pericarditi essu-dative raramente sono causa di tamponamento cardiaco, che più spesso è dovuto a sanguinamento nello spazio pericardico. L’emopericardio può derivare da un trauma chiuso o penetrante del torace, da una rottura postinfar-tuale della parete cardiaca, può essere una complicanza di procedure endovascolari o la conseguenza di una dis-secazione aortica.I segni più frequenti del tamponamento sono l’ipotensione fino al quadro clinico di shock cardiocircolatorio, i sintomi di insufficienza cardiaca destra (turgore giugulare), il polso paradosso (caduta > di 10 mmHg della pressione arteriosa sistolica con l’inspirazione), associati all’auscultazione di toni cardiaci lontani (triade di Beck) (Tabella 1).All’ECG si rilevano bassi voltaggi e alternanza elettrica (variazione di ampiezza del QRS a ogni battito). L’Rx del torace può mostrare un ingrandimento del profilo cardiaco. Esame fondamentale, in emergenza-urgenza, è l’ecocardiogramma, che evidenzia la presenza del ver-samento pericardico e il collasso diastolico prima della parete dell’atrio (perché più sottile) poi anche di quella del ventricolo destro.Quando si riscontra un abbondante versamento, anche se la clinica orienta verso una iniziale instabilità (ipotensione, tachicardia) e i reperti ECG (alternanza elettrica) ed ecogra-fici (iniziale collasso dell’atrio destro in diastole) depon-gono per un tamponamento, non è quasi mai necessario ricorrere alla pericardiocentesi in emergenza sul territorio o in Pronto soccorso. Tutto ciò, a condizione che si evitino provvedimenti che possano fare precipitare la situazione (uso di diuretici, nitrati, farmaci inotropi negativi, vaso-dilatatori). Nella grande maggioranza dei casi, la som-ministrazione di liquidi permette un miglioramento del quadro clinico dilazionando la necessità del trattamento più invasivo a un contesto di elezione in ambito speciali-stico. Se nonostante l’espansione volemica le condizioni cliniche del paziente peggiorano, la pericardiocentesi è da

considerarsi una manovra “salvavita” da eseguire senza ritardi. Anche il trattamento delle aritmie in questi pazienti può non essere procrastinabile. Dati gli effetti della mag-gior parte degli antiaritmici sull’inotropismo o sul tono vascolare, la terapia dovrà essere preferibilmente elettrica.

MiOCardiTiLa miocardite è un processo infiammatorio che interessa i miociti cardiaci e che può essere causato da agenti infet-tivi, da tossine o da meccanismi immunomediati. La sua incidenza non è conosciuta.Tra i virus considerati responsabili del 40% delle miocar-diti acute si ricordano: coxsackie B, echovirus, ortomixo-virus, paramixovirus, virus di Epstein-Barr, HIV, adenovi-rus, enterovirus e citomegalovirus. Tra i batteri si citano: Corynebacterium diptheriae, Neisseria meningitidis, Mycoplasma pneumoniae, gli streptococchi b-emolitici, la brucella e le salmonelle. Tra i funghi il genere Aspergillus e Candida.Le forme non infettive più frequenti si verificano in seguito ad assunzione di cocaina o di amfetamine, a esposizione a radiazioni e nelle intossicazioni da metalli pesanti. Sono da menzionare anche le forme post-trapianto cardiaco.La miocardite frequentemente si accompagna alla peri-cardite. La sintomatologia di presentazione è molto varia-bile: dispnea (descritta nel 72% dei casi), dolore toracico (32%) in caso di coesistente pericardite, shock e morte per insufficienza cardiaca (miocardite fulminante). È possibile anche la morte improvvisa aritmica.Dal punto di vista obiettivo, un segno importante è rappre-sentato dalla rilevazione di una tachicardia sproporzionata rispetto alla febbre. In casi severi o a rapida evoluzione, il quadro di esordio può essere quello di un edema pol-monare acuto. Per questo ampio spettro di presentazioni, la miocardite rientra nella diagnostica differenziale con numerose sindromi cardiache (ischemia cardiaca, infarto miocardico, malattie valvolari) e anche con la sepsi.La sequela più nota di una miocardite è la cardiomiopatia dilatativa con insufficienza cardiaca cronica. La diagnosi si basa sui dati anamnestici e obiettivi. Di particolare impor-tanza è la ricerca nell’anamnesi familiare di una cardiopa-tia prematura o di un episodio similinfluenzale avvenuto 2-3 settimane prima della comparsa della sintomatologia.L’ECG può mostrare anormalità del segmento ST e dell’onda T. Occasionalmente, l’elevazione del tratto ST può suggerire la presenza di una pericardite acuta e creare problemi di diagnosi differenziale con l’infarto miocardico. Nel 20% dei casi sono presenti disturbi di conduzione, in particolare

segni clinici Tamponamento cardiaco Pericardite costrittiva Cardiomiopatia restrittiva

ipotensione Presente Talvolta presente Talvolta presente

Turgore giugulare Presente Spesso presente Spesso presente

Polso paradosso Presente Presente in 1⁄3 dei casi Assente

knock pericardico Assente Talvolta presente Assente

Segno di kussmaul Assente Presente Assente

elettrocardiogramma Bassi voltaggiAlternanza elettrica

Bassi voltaggionde P anomale

Bassi voltaggionde P anomale

Tabella 1 Diagnosi differenziale clinica tra tamponamento cardiaco, pericardite costrittiva, cardiomiopatia restrittiva

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il blocco di branca sinistra. La sensibilità dell’ECG in corso di miocardite è bassa, stimabile intorno al 47%.Alla radiografia del torace, l’ombra cardiaca può, special-mente nelle prime fasi, apparire normale o dimostrare una cardiomegalia in assenza o in presenza di segni di congestione del piccolo circolo.Tra i marcatori di necrosi miocardica, la troponina I o la T possono risultare elevate. L’aumento degli indici di flogosi conferma lo stato infiammatorio, ma è raramente dirimente ai fini diagnostici per l’elevata aspecificità.L’ecocardiogramma evidenzia di solito un aumento delle diametrie ventricolari con una ridotta funzione sistolica globale del ventricolo sinistro. Il riscontro di deficit seg-mentali (possibile nelle forme di miocardite focale) pone problemi di diagnosi differenziale con la cardiopatia ischemica. Nelle forme a prognosi sfavorevole, le pareti cardiache possono apparire ispessite. La perdita della funzione ventricolare destra è il maggior predittore di morte in corso di miocardite estese e gravi.Studi preliminari suggeriscono che la RM con gadolinio può essere considerata un metodo diagnostico alternativo alla biopsia endomiocardica.La terapia della miocardite acuta è quella della disfunzione ventricolare sinistra. Numerosi pazienti migliorano con una terapia standard, che include la somministrazione di ACE-inibitori o bloccanti del recettore dell’angiotensina II, b-bloccanti come metoprololo e carvedilolo (da tito-lare lentamente nelle fase acuta) e diuretici, se necessari.In caso di deterioramento delle condizioni emodina-miche, nonostante il trattamento medico ottimale, è indicato un supporto meccanico circolatorio attraverso l’impianto di un device per l’assistenza ventricolare o la circolazione extracorporea in attesa del recupero della funzione cardiaca o del trapianto cardiaco.La terapia delle aritmie è di supporto in quanto, in genere, queste si risolvono dopo la fase acuta e possono essere trattate convenzionalmente secondo le linee guida.L’uso di antinfiammatori non steroidei è associato a un incre-mento della mortalità e quindi non è consigliato. L’impiego degli antivirali è stato testato solo su modelli animali.

In un elevato numero di pazienti, la diagnosi di miocar-dite viene ottenuta dopo settimane di distanza da una infezione virale e quindi è incerto se la terapia antivirale sia utile al momento della diagnosi.Anche il trattamento con immunoglobuline non ha dato i risultati sperati se non nelle forme da citomegalovirus, e quindi il loro uso routinario non è raccomandato.

CardiOMiOPaTieLe cardiomiopatie sono malattie del muscolo cardiaco dovute a molteplici meccanismi patogenetici, che colpi-scono sia le cellule muscolari, i miociti, sia la compo-nente non contrattile del miocardio (connettivo e cellule interstiziali). Le cardiomiopatie si classificano tradizio-nalmente, sulla base dei fenotipi strutturale e funzionale, in cardiomiopatia dilatativa (caratterizzata da una dila-tazione e una ridotta funzione ventricolare), ipertrofica (caratterizzata da pareti ventricolari ispessite, ipertrofi-che e una funzione contrattile inizialmente mantenuta) e restrittiva (caratterizzata da pareti ventricolari ispessite, rigide con un’alterata funzione ventricolare diastolica) (Tabella 2). Ultimamente un quarto fenotipo ha assunto una propria dignità nosologica, la displasia aritmogena del ventricolo destro.Dal punto di vista eziologico, una più recente classifica-zione proposta dall’American Heart Association (Maron et al, 2006) distingue le cardiomiopatie in forme primitive e secondarie. Questo tipo di classificazione dovrebbe avere il vantaggio di fornire maggiori indicazioni sull’eziologia e quindi favorire un approccio terapeutico specifico.Dal punto di vista pratico, uno dei princìpi chiave nella gestione di questi pazienti è che al necessario sospetto clinico, basato sulle conoscenze teoriche, deve far seguito un ampio procedimento diagnostico, rivolto in partico-lare alle forme reversibili e per le quali esistono terapie specifiche. D’altra parte è vero anche che alcune azioni terapeutiche, come il blocco neurormonale e il corretto bilancio volemico, sono appropriate indipendentemente dall’eziologia.

Cardiomiopatia dilatativa Cardiomiopatia ipertrofica Cardiomiopatia restrittiva

sintomi Dispnea, astenia, palpitazioni, embolie Sincope, dispnea, palpitazioni, angina pectoris

Dispnea, facile affaticabilità

Sintomi della patologia sistemica

segni T3, T4, scompenso congestizio

insufficienza mitralica

Soffio sistolico mesocardio che aumenta con Valsalva, T4

T3, T4, segno di kussmaul, edemi, anasarca

elettrocardiogramma Tachicardia sinusale, aritmie

Anomalie ST e delle onde T

Difetti di conduzione intraventricolare

Segni di ipertrofia ventricolare sinistra

Anomalie ST e T, Q patologiche

Aritmie sopra- e sottoventricolari

Bassi voltaggi, difetti di conduzione intraventricolari e atrioventricolari

rx del torace netto ingrandimento dell’ombra cardiaca

Congestione polmonare

ingrandimento cardiaco lieve-moderato

ingrandimento atriale sinistro

normale rapporto cardiotoracico

Congestione polmonare

ecocardiogramma Dilatazione ventricolare

Ridotta frazione di eiezione

ipertrofia settale asimmetrica

Movimento sistolico anteriore della mitrale

Aumento degli spessori ventricolari

Ventricolo sinistro di normali diametrie

Tabella 2 Caratteristiche cliniche delle principali cardiomiopatie

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cardioMiopatia dilatativaÈ caratterizzata da una dilatazione di uno o entrambi i ventricoli e da una prevalente disfunzione sistolica. Rappresenta il 25% dei casi di insufficienza cardiaca congestizia. La sua eziologia rimane sconosciuta (forme idiopatiche) nel 50% dei casi, anche se vengono descritte alterazioni genetiche alla base di queste forme di car-diomiopatia (gene della distrofina, catena pesante della b-miosina, fosfolambano ecc.). Le forme acquisite possono essere: virali (postmiocardite, HIV), tossiche (etanolo, cocaina, doxorubicina, radiazioni), peripartum, mediate da stress (tako-tsubo) e autoimmuni. La cardiomiopatia dilatativa rappresenta inoltre lo stadio morfofunzionale terminale di tutte le altre forme di cardiomiopatia.Il paziente con cardiomiopatia dilatativa può richiedere un intervento in emergenza-urgenza per tre motivi essen-ziali: 1) scompenso cardiaco; 2) comparsa di aritmie; 3) fenomeni tromboembolici (Towbin e Bowles, 2002).All’esame obiettivo è possibile rilevare i segni di insuffi-cienza ventricolare sinistra, rappresentati da congestione polmonare, reflusso epatogiugulare ed edemi declivi. All’auscultazione cardiaca si può apprezzare la presenza di un ritmo di galoppo (terzo e/o quarto tono) e di un soffio sistolico puntale ad alta frequenza irradiato all’ascella o al mesocardio, espressione di una coesistente insufficienza mitralica secondaria alla dilatazione ventricolare. Nel caso di aritmie o di embolie (sia periferiche sia cerebrali e viscerali) saranno presenti i segni e i sintomi specifici di tali patologie.Tra gli esami diagnostici di primo livello di sicura utilità è l’ECG, che oltre a evidenziare la presenza di aritmie sopraventricolari o ventricolari, può mostrare alterazioni del tratto ST-T e comparsa di blocchi intraventricolari. Il quadro radiologico è caratterizzato da un aumento del rapporto cardiotoracico (> 0,5) e dal riscontro di conge-stione polmonare e di versamento pleurico anche bilate-rale. L’ecocardiogramma è indicato per confermare la dia-gnosi, escludere un tamponamento cardiaco e valutare la funzione ventricolare sinistra. Per una diagnosi defini-tiva, è spesso necessario eseguire una coronarografia che escluda la presenza di una coronaropatia significativa. Solo in casi selezionati, è utile eseguire uno studio gene-tico e una biopsia endomiocardica.La terapia nella fase acuta è quella usuale del trattamento dello scompenso cardiaco (vedi Capitolo 33). Nel caso di aritmie atriali o ventricolari, se è presente una chiara instabilità emodinamica, si deve preferire un trattamento elettrico. In presenza di embolie periferiche e/o viscerali, anche al solo sospetto clinico, è indicato iniziare una terapia con eparina non frazionata per via endovenosa Nel caso di una embolia cerebrale è opportuno valutare il ricorso a un eventuale trattamento fibrinolitico.

cardioMiopatia ipertroficaÈ caratterizzata da una ipertrofia ventricolare sinistra o destra, in assenza di una causa sistemica (stenosi aortica, ipertensione arteriosa sistemica, ipertensione polmonare ecc.). In genere, l’ipertrofia è asimmetrica ed è interessato il setto interventricolare; spesso questa asimmetria deter-mina la coesistenza di un’ostruzione all’efflusso ventri-colare sinistro a carattere dinamico (cioè che si modifica con lo stato di riempimento e inotropo del ventricolo

stesso). Rappresenta la malattia cardiovascolare di ori-gine genetica più frequente, con una ereditarietà di tipo autosomico dominante (Maron et al, 2003). Numerose possono essere le alterazioni genetiche implicate; più spesso sono quelle della catena pesante della b-miosina e della proteina C legante la miosina.Dal punto di vista clinico può rimanere a lungo asinto-matica. Le principali manifestazioni cliniche acute sono rappresentate da: 1) sincope durante sforzo; 2) aritmie sopraventricolari o ventricolari (morte improvvisa); 3) dolore toracico anginoso. Meno comuni sono la comparsa di dispnea e di segni di insufficienza ventricolare sinistra, spesso espressione di un’evoluzione in senso dilatativo.All’esame obiettivo è possibile rilevare un itto della punta spostato verso sinistra, di aumentata intensità. Tipico è il soffio sistolico mesocardico che, per le caratteristiche del gradiente intraventricolare che lo genera, si riduce di intensità con le manovre che incrementano le resistenze periferiche (handgrip e squotting) e aumenta con le mano-vre che riducono il ritorno venoso (passaggio dal clino- all’ortostatismo e manovra di Valsalva).L’ECG è alterato nel 90-95% dei pazienti. Spesso sono pre-senti segni di ipertrofia ventricolare sinistra con onde Q settali patologiche (ampiezza > 0,04 ms), alterazioni del tratto ST e onde T negative nelle precordiali laterali, ponendo problemi di diagnostica differenziale con la cardiopatia ischemica. La radiografia del torace mostra di solito un profilo cardiaco normale, anche se talvolta esso è invece marcatamente incre-mentato con segni di un ingrandimento atriale sinistro.L’ecocardiografia definisce i quadri morfologico, funzio-nale ed emodinamico del paziente. Tipici sono il rilievo di un’ipertrofia settale asimmetrica (> di 15 mm), di un movi-mento sistolico anteriore del lembo anteriore della mitrale (Systolic Anterior Motion, SAM) e la presenza di un gradiente nel tratto di efflusso aortico rilevabile all’esame Doppler. Quest’ultimo dato, oltre ad avere un valore diagnostico, riveste un ruolo prognostico fondamentale essendo asso-ciato a un più alto rischio di insufficienza ventricolare sini-stra e di morte cardiovascolare (Maron et al, 2003).Dal punto di vista terapeutico è importante ricordare che, per il controllo delle aritmie sopraventricolari e ventrico-lari, è indicato l’uso dei b-bloccanti e dell’amiodarone. La comparsa di instabilità emodinamica impone l’impiego in urgenza della cardioversione elettrica. In presenza di un quadro clinico di insufficienza cardiaca, si deve evitare l’in-fusione di farmaci vasodilatatori (nitroderivati) e diuretici che possono aggravare l’ostruzione intraventricolare e, di riflesso, l’insufficienza diastolica ventricolare sinistra.

cardioMiopatie restrittiveSono caratterizzate da un’aumentata rigidità della parete ventricolare, che induce una insufficienza cardiaca di tipo diastolico. La funzione sistolica è solitamente normale, almeno nelle fasi iniziali. Oltre alle forme idiopatiche, che rappresentano circa il 50% dei casi, esistono forme specifiche, di cui le più frequenti e a peggiore prognosi sono le forme infiltrative legate a patologie sistemiche, tra cui l’amiloidosi, la sarcoidosi e l’emocromatosi. Da segnalare anche le forme a interessamento prevalente dell’endocardio e del subendocardio, di cui, almeno in Italia, più frequenti sono la sindrome da carcinoide, le forme autoimmuni e la sindrome ipereosinofila.

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Le manifestazioni cliniche di esordio più comuni sono: dispnea, ridotta tolleranza all’esercizio fisico, manife-stazioni di scompenso cardiaco destro con turgore giu-gulare (che caratteristicamente aumenta durante l’in-spirio, segno di Kussmaul), epatomegalia, edemi declivi, idrotorace e ascite. All’auscultazione cardiaca è possibile rilevare un terzo e/o un quarto tono.Anche in queste forme, l’ECG può mostrare alterazioni che possono indirizzare la diagnosi, in particolare la presenza di bassi voltaggi, di blocchi della conduzione ventricolare e atrioventricolari, questi ultimi tipici delle forme infiltrative, in particolare della sarcoidosi. All’Rx del torace, nella fase sintomatica, sorprende di solito la discrepanza tra il normale profilo cardiaco e la presenza di evidenti segni di congestione polmonare.L’ecocardiogramma, oltre a obiettivare la presenza di un’insufficienza diastolica, può risultare utile nell’identi-ficare la patologia sottostante: tipici dell’amiloidosi sono infatti i reperti ecografici di “granulosità” a carico delle pareti ventricolari ispessite, che circondano un ventricolo piccolo e normocinetico. L’ecocardiogramma fornisce inoltre utili elementi per la diagnosi differenziale con la pericardite costrittiva, anche se in questa patologia, così come nella cardiomiopatia ipertrofica, spesso è necessa-rio avvalersi di tecniche di imaging più sofisticate, come la RM o la TC con mezzo di contrasto. Sul versante fun-zionale, attraverso la misurazione diretta delle pressioni intracavitarie, il cateterismo cardiaco può essere essen-ziale per una migliore definizione diagnostica.Il trattamento di base è quello standard dell’insufficienza cardiaca, sebbene si voglia sottolineare l’esigenza di ese-guire, in questi pazienti, un’attenta titolazione dei farmaci vasodilatatori e diuretici che, riducendo il ritorno venoso e il riempimento ventricolare, possono indurre gravi ipo-tensioni. Per limitare la progressione della disfunzione

ventricolare, sono necessari l’individuazione e il tratta-mento specifico delle singole cause.

displasia aritMogena del ventricolo destroÈ una forma di cardiomiopatia genetica caratterizzata da una progressiva sostituzione del miocardio ventrico-lare destro con grasso e tessuto connettivo, con relativo risparmio del setto interventricolare. Il pattern di eredi-tarietà è variabile (dominante o recessivo). Si manifesta preferenzialmente tra i 10 e i 40 anni di età.Il quadro clinico di presentazione è solitamente caratte-rizzato da episodi di presincope, sincope, palpitazioni, o anche da morte improvvisa (spesso nei giovani atleti).La diagnosi si basa su criteri che integrano dati elettrocar-diografici di superficie o intracavitari (onda o prolunga-mento > 110 ms del QRS nelle precordiali destre, T negative in V2R e V3R in assenza di blocco di branca destra, potenziali tardivi, tachiaritmie ventricolari), con metodiche di ima-ging (in particolare la RM, che evidenzia la dilatazione del ventricolo destro con ridotta funzione ventricolare destra globale o segmentale, in presenza di una normale funzione ventricolare sinistra) e dati istologici (miocardio sostituito da tessuto adiposo o fibroadiposo). Di quest’ultima meto-dica, la maggiore limitazione è l’elevata percentuale di falsi negativi, spesso per un errore di campionamento.Tutti i pazienti con displasia aritmogena dovrebbero essere sottoposti a impianto di un pacemaker defibrilla-tore (ICD). Nell’attesa dell’impianto o in associazione, in caso di risposta parziale, è raccomandato l’uso di amiodarone o di b-bloccanti. Nei pazienti giovani con evoluzione verso l’insufficienza cardiaca, nonostante il blocco farmacologico neurormonale (b-bloccanti e ACE-inibitori), è necessario considerare l’eventuale indica-zione al trapianto cardiaco.

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ricorda

l La diagnosi delle cardiomiopatie, delle miocarditi e delle pericarditi risulta difficile se non è sostenuta da un forte sospetto clinico confermato da dati strumentali.

l L’ecocardiogramma è uno strumento insostituibile nella diagnosi e nella diagnostica differenziale.l Una particolare attenzione deve essere rivolta alla diagnosi differenziale con la cardiopatia ischemica.l il riconoscimento del tamponamento cardiaco, anche attraverso l’ausilio dei dati elettrocardiografici, deve essere tempestivo.

errori da evitare

l Utilizzare vasodilatatori, diuretici e digitale in pazienti con cardiomiopatia ipertrofica, tamponamento cardiaco o pericardite costrittiva.l Misconoscere i segni clinici e strumentali del tamponamento cardiaco.

Maron MS, Olivotto I, Batocchi S et al: Effect of left ventricular outflow tract obstruction on clinical outcome in hypertrophyc cardiomyopathy, N Engl J Med 348:295, 2003.

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