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D—01 IBRIDAZIONE LINGUAGGIO by Grazia Dammacco data di creazione 15/01/16 13:52 ultima modifica 14/02/16 12:21 capitoli / parte principale analogico/digitale funzione linguaggio post-digitale storia tribù/società In questo capitolo: — Imparare nuove lingue — Atomizzazione ed espressioni digitali — Computer e internet come media letterari http://www.postdigitaltribe.org/dt/2015/07/07/ibridazione-linguaggio/

capitoli / parte principale IBRIDAZIONE LINGUAGGIO · 2017-05-18 · il medium modifichi il messaggio trasmesso, ... Avremmo un ritorno all’oralità se i nostri computer ... Jean-Claude

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I B R I D A Z I O N EL I N G U A G G I Oby Grazia Dammacco data di creazione 15/01/16 13:52ultima modifica 14/02/16 12:21

c a p i t o l i / p a r t e p r i n c i p a l e

analogico/digitale funzione linguaggio post-digitale storia tribù/società

In questo capitolo:

— Imparare nuove lingue— Atomizzazione ed espressioni digitali— Computer e internet come media letterari

http://www.postdigitaltribe.org/dt/2015/07/07/ibridazione-linguaggio/

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Ogni media esprime dei mes-saggi attraverso un t ipo di l in-guaggio, perciò i l inguaggi tra i diversi media possono diffe-r ire. La definizione di l inguag-gio è f i losoficamente comples-sa e ampia, decidiamo perciò di part ire — e di r imanere ancora-t i — al la sua nozione comune:«l inguàggio s.m. [der. di l ingua ]1. Nell ’uso ant. o letter., e talora anche nel l ’uso com. odierno, lo stesso che l ingua, come strumento di comunicazione usato dai mem-bri di una stessa comunità […].2. a. In senso ampio, la capa-cità e la facoltà, pecul iare de-gl i esseri umani, di comunicare pensieri , esprimere sentimenti , e in genere di informare altr i es-seri sul la propria realtà interiore

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o sulla realtà esterna, per mezzo di un sistema di segni vocali o grafici; e lo strumento stesso di tale espressione e comunicazione (inteso in senso generico, senza riferimento a lingue storicamente determinate).b. estens. Facoltà di esprimersi attraverso altri segni, sia gesti (l. gesticolatorio o gestuale omimico; l. dei sordomuti; l. degli occhi, dei cenni), sia simboli (per es., il l. dei fiori, consistente nell’attribuire a ogni varietà e colore di questi un particolare significato). In partic., l’insieme dei mezzi espressivi e stilistici, diversi dalla parola, che sono peculiari delle varie arti: il l. della musica; il l. delle arti figurative; il l. cinematografico. 4. In diretta o implicita contrapp. al linguaggio verbale, costituito dalle lingue storico-naturali (per cui esso è chiamato anche l. naturale), sono presi in considerazione in diverse scienze e tecniche vari tipi di l. artificiali, o simbolici, formati da cifre, lettere, simboli, codici usati convenzionalmente, sulla base di norme prefissate, per esprimere teorie o concetti in modo non ambiguo o per esplicitare e rendere suscettibili di analisi le connessioni formali di un sistema logico (è il caso dei l. formalizzati della matematica e della logica), per comunicare informazioni, dare istruzioni, richiedere l’esecuzione di determinate operazioni, e simili. Sono tali, per es.,i vari l. di programmazione usati per esprimere le istruzioni dei programmi con cui si fanno eseguire ai calcolatori elettronici le operazioni desiderate; in partic., l. (di) macchina, linguaggio direttamente interpretabile da parte dell’unità centrale del calcolatore in termini di operazioni logiche sui registri di memoria e di lavoro; l. simbolico (o l. evoluto o l. di livello elevato), linguaggio che ammette istruzioni complesse, basate su codici alfanumerici (spesso mnemonici) ideati in funzione delle esigenze specifiche delle applicazioni previste (calcoli matematici, gestione di dati, ecc.), e che vengonopoi tradotte (mediante appositi programmi compilatori,assemblatori o interpreti, per i quali v. le singole voci) dallo stesso elaboratore in linguaggio macchina».[“Linguàggio”, http://www.treccani.it/vocabolario/linguaggio/, ultima consultazione 2015]

L’enciclopedia Treccani descrive inoltre il linguaggio come forma di condotta comunicativa atta a trasmettere informazioni e a stabilire un rapporto di interazione che utilizza simboli i quali hanno identico valore per gli individui appartenenti ad uno stesso ambiente socioculturale. Nello specifico, in informatica un linguaggio è definito come:

«Un sottoinsieme dell’insieme delle stringhe

di lunghezza finita ottenibili per concatenazione (ovvero giustapposizione) di simboli appartenenti a un insieme finito, detto alfabeto, con l’aggiunta eventuale della stringa vuota (cioè della stringa di lunghezza zero). Un l. può essere descritto per mezzo di una grammatica, che descrive esattamente come “costruire” le stringhe del l. che rappresenta mediante l’uso di regole di produzione […]».[“Linguaggio”, http://www.treccani.it/enciclopedia/linguaggio/, ultima consultazione 2015]

Sempre nella Treccani leggiamo che il linguaggio di programmazione è un insieme di parole e regole definite in modo formale che consentono la programmazione di un calcolatore affinché esegua compiti predeterminati.

Possiamo quindi fare una distinzione tra lingue naturali e lingue artificiali. Le lingue naturali sono lingue sviluppate ed affermate spontaneamente nelle culture umane, come sistema di comunicazione — parlato o segnato — proprio di una comunità umana: italiano, inglese, latino, etc. Le lingue artificiali invece sono quelle lingue create consapevolmente da una o più persone, che ne definisce la fonologia, la grammatica e il vocabolario di termini, come ad esempio i linguaggi informatici:

«Le lingue artificiali, il cui primo tentativo si può vedere nelle l. filosofiche progettate da Descartes e Leibniz, si distinguono in a priori, cioè create con elementi immaginari sulla base di una classificazione di concetti aprioristica, come il Solresol, e a posteriori, cioè basate o su una (Anglic, Basic-English) o su più l. moderne (Esperanto, Occidental, Latino sine flexione). […] Tutte queste l., create da individui e proposte e diffuse da istituti e associazioni, hanno avuto un uso molto limitato. Solo l’esperanto ha avuto una certa diffusione».[“Lingua”, http://www.treccani.it/enciclopedia/lingua/ ultima consultazione 2015]

In questo capitolo quindi faremo riferimento a queste definizioni di linguaggio, e quindi al modo in cui i linguaggi introdotti dalle tecnologie digitali si siano relazionati o mescolati alle tecnologie analogiche e fisiche. In questo senso, gli old media possono oggi mettere in mostra un genere di linguaggio che non è quello che hanno sempre usato e manifestato, ma un linguaggio nuovo, nato insieme al new media con i quali sono stati messi in relazione. In casi come questi quindi, parleremo di ibridazione per linguaggio. Si tratta spesso di progetti dal carattere

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sperimentale, che più che fornire una funzione specifica intendono dimostrare qualcosa, come il divario esistente tra i linguaggi informatici e il testo che siamo abituati a leggere su un libro stampato, o i cambiamenti in atto nella nostra società e nel modo in cui scriviamo, leggiamo, comprendiamo e assorbiamo le informazioni [ rimediazione / ipermediazione ].

I progetti taggati con #linguaggio sono anche progetti in cui i linguaggi informatici hanno un ruolo decisivo nella realizzazione dell’opera. In questo casi il riferimento è a quei lavori in cui l’operazione dei nuovi linguaggi emersi con le tecnologie digitali è estremamente evidente e il loro ruolo è in prima linea all’interno processo creativo e di fruizione dell’opera.

I M PA R A R E N U O V E L I N G U E

“The medium is the message”, scrive McLuhan in “Gli strumenti del comunicare” (1967), perché i media sono importanti non solo per i contenuti che trasmettono, ma anche per le modalità con le quali lo fanno, perché ogni media esprime il messaggio a suo modo. La struttura comunicativa di ogni mass media fa si che essi non siano neutrali, ma che influenzino il messaggio veicolato anche sulla base del tipo di linguaggio sul quale sono strutturati. Così facendo i media suscitano negli utenti anche determinati modi

di pensare o comportarsi, plasmando così il soggetto e la società stessa. Ad esempio la televisione, non solo trasmette dei programmi, dei contenuti, ma lo fa coinvolgendo lo spettatore, confortandolo, convincendolo. Oltre che ad un coinvolgimento mentale, la televisione impone agli spettatori anche una posizione fisica, un comportamento: stare seduti davanti ad uno schermo. Ogni media esprime quindi un linguaggio specifico che va a modificare la forma dell’informazione e di conseguenza il modo in cui la percepiamo.

Un esempio in questo senso ci viene fornito da Nicholas Negroponte, che in “Essere digitali”, parlando di multimedialità, prende in considerazione una partita di football americano, che può essere seguita in diversi modi: guardando le immagini in tv o al computer, ascoltando solo la voce del cronista alla radio e quindi solo immaginando le scene, oppure guardando un diagramma, che ci renderà chiare le tattiche di gioco non visibili magari a video. Con questo esempio, possiamo capire come il medium modifichi il messaggio trasmesso, perché in base al medium usato per fornire le informazioni della partita, cambia il messaggio trasmesso e il modo in cui l’osservatore lo interpreta: nel video il messaggio è quello visivo, guardo la partita e come si muovono i giocatori, ma non conosco le tattiche di gioco e se la partita non è commentata, neanche i commenti dei cronisti; in radio non ricevo il messaggio video — che posso solo immaginare — ma solo le informazioni ricevute tramite i commenti, tra l’altro filtrati, dall’interpretazione dei cronisti; nel diagramma non ho informazioni né video e né sonore. Ogni media mette in gioco le potenzialità del proprio linguaggio, e in questo caso la multimedialità può incrementare sia la quantità che la qualità delle informazioni del messaggio trasmesso, in quanto ogni media esprime le proprie caratteristiche, che così si sommano a quelle degli altri media.

Ma se ogni media introduce un nuovo linguaggio, non è detto che questo venga subito compreso ed accettato, ma può richiedere, da parte nostra, un progressivo processo di alfabetizzazione:

«Non abbiamo mai avuto tanto bisogno di leggere e scrivere quanto ai giorni nostri. Non possiamo neanche servirci di un computer se non sappiamo leggere e scrivere. E peraltro in un modo più complesso che un tempo, perché abbiamo integrato nuovi segni, nuove chiavi. Il nostro alfabeto si è allargato. È sempre più difficile imparare a leggere. Avremmo un ritorno all’oralità se i nostri computer

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potessero trascrivere direttamente ciò che diciamo».[Carrière Jean-Claude in: Carrière Jean-Claude, Eco Umberto, “Non sperate di liberarvi dei libri”, Bompiani, Milano, 2009]

Jean-Claude Carrière parla con Eco del secolo passato come il secolo dei cambiamenti e dello sviluppo di nuovi linguaggi. Se infatti avessero avuto la loro conversazione cento anni fa, avrebbero potuto parlare solo di libri e teatro. Oggi invece la radio, il cinema, la registrazione di voci e suoni, la televisione — media che prima del Novecento non esistevano — hanno introdotto linguaggi del tutto nuovi. Ogni nuova tecnologia ha cercato di dimostrare di essere unica e di trasgredire le regole e i limiti della tecnologia precedente:

«Come se portasse con sé un nuovo talento. Come se procedesse a spazzare via tutto ciò che l’ha preceduta

rendendo contemporaneamente tutti coloro che osassero rifiutarla degli analfabeti ritardati. Sono stato testimone di questo ricatto tutta la vita. Mentre, di fatto, nella realtà, succede esattamente il contrario: ogni nuova tecnica esige un nuovo linguaggio, tanto più difficile quanto più la nostra mente è formattata dall’uso dei linguaggi precedenti. A partire dagli anni 1903-1905, si forma un nuovo linguaggio cinematografico che va assolutamente conosciuto. Molti scrittori si immaginano di poter passare dalla scrittura di un romanzo a quella di una sceneggiatura, ma si sbagliano. Non si accorgono che quei due oggetti scritti, romanzo e sceneggiatura, utilizzano in realtà due scritture diverse».[Carrière J.C., Eco U., “Non sperate...”, op. cit.]

Ogni media introduce un nuovo linguaggio, che necessita di tempi più o meno lunghi e livelli di difficoltà più o meno grandi per poter essere compreso ed accettato. Carrière spiega bene il modo in cui ogni tecnologia ha sviluppato un proprio linguaggio e di come avviene il nostro processo di istruzione:

«Faccio quest’esempio per mostrare in che modo una tecnica ha generato il suo specifico linguaggio e come il linguaggio, di contro, ha forzato la tecnica a evolvere, e in modo sempre più affrettato, più precipitoso. Nei film d’azione americani, o pretesi tali, che noi vediamo oggi, nessun piano deve durare più di tre secondi. È diventata una specie di regola. Un uomo rientra a casa, apre la porta, appende il cappotto, sale al primo piano. Non succede niente, non lo minaccia alcun pericolo, e la sequenza è articolata in diciotto piani. Come se la tecnica

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creasse l’azione, come se l’azione fosse nella telecamera stessa, e non in quello che ci mostra. Inizialmente, il cinema è una tecnica semplice. Si posiziona una telecamera fissa e si gira una scena teatrale. […] Poi, molto velocemente, ci si rende conto che […] la telecamera può avere, elaborare e restituire un movimento. La telecamera, così, ha iniziato a muoversi, all’inizio con prudenza, negli studios. È diventata poco a poco un personaggio. Si è voltata verso destra, poi verso sinistra. Dopodiché è stato necessario incollare le due immagini così ottenute. Era l’inizio di un nuovo linguaggio, col montaggio. Buñuel, che era nato nel 1900, dunque con il cinema, mi raccontava che quando andava a vedere un film nel 1907 o nel 1908 a Saragozza, c’era un explicador che con un bastone doveva spiegare ciò che succedeva sullo schermo. Il nuovo linguaggio non era ancora comprensibile. Non era stato assimilato. Da allora, noi invece ci siamo abituati a esso, ma i grandi cineasti, ancora oggi, non smettono di migliorarlo, non smettono di renderlo sempre più raffinato, di perfezionarlo e anche, per fortuna, di pervertirlo. […] Sappiamo anche che, come Proust diceva dei grandi scrittori, che ogni grande cineasta inventa, almeno in parte, il suo personale linguaggio».[Carrière J.C., Eco U., “Non sperate...”, op. cit.]

In “Non sperate di liberarvi dei libri” Umberto Eco spiega che in un’intervista ad Amintore Fanfani, nato all’inzio del Novecento quindi in un epoca in cui il cinema non era ancora popolare, egli afferma che non andava spesso al cinema, perché non riusciva a capire che il personaggio che vedeva in controcampo era lo stesso che aveva visto un attimo prima in primo piano. Mentre infatti nel teatro classico l’azione della scena ha la stessa durata di ciò che vediamo, nei film vengono fatti dei tagli, vengono montati solo dei frammenti di un’azione. Eco spiega anche che, però, è stato probabilmente il fumetto prima di tutti a pensare a questo tipo di costruzione artificiale del tempo di narrazione.

Un esempio importante di come le tecnologie necessitano sempre di un processo di alfabetizzazione, e di come quindi la capacità di utilizzarli non sia così innata nell’uomo, ma che la comprensione dei media dipende anche dal contesto culturale nel quale si sviluppano, ci viene fornito da diversi studi sulle tribù africane [ post-digitale e ibridazione / relazioni con la società: economia, storia, cultura, religione / cultura e religione ] [ come le tecnologie cambiano la società / il villaggio globale e la ri-tribalizzazione nella società elettrica ].

In “The Gutenberg Galaxy” Marshall McLuhan prende in esame il saggio di John Wilson, professore dell’Istituto di Studi Africani dell’Università di Londra [“Film Literacy in Africa”, Canadian Communications, vol. I, n. 4, estate 1961, pp. 7-14], nel quale racconta la sua esperienza presso una tribù africana. Noi diamo per scontato che sia normale vedere e percepire il mondo in tre dimensioni o in prospettiva, e che non ci sia bisogno di alcun processo di addestramento particolare per vedere una fotografia o un film. Il lavoro di Wilson consisteva nel cercare di insegnare a degli indigeni africani non solo a leggere, ma anche alcune regole igenico-sanitarie, servendosi di filmati. Wilson spiega che era stato mostrato un filmato in cui venivamo mostrate scene molto lente per far vedere al pubblico quello che era necessario fare in ogni casa del villaggio. Dopo aver mostrato il filmato, venne chiesto agli indigeni — una trentina di persone — cosa avessero visto, e la risposta immediata fu “abbiamo visto un pollo”. Gli operatori visionarono il video una seconda volta, accuratamente, per cercare quel pollo, che effettivamente compariva nel video, ma per circa due secondi. Nel video si vedeva in effetti un pollo che svolazzava impaurito, e mentre ogni altra cosa era mostrata a rallentatore, quello era l’unico elemento che probabilmente era apparso come appartenente alla realtà. Wilson continua il racconto dicendo che poi il pubblico venne pressato con altre domande, e in seguito ammisero di avere visto anche un uomo. La cosa interessante però, è che non avevano ricostruito la storia, non riuscivano a vedere l’immagine proiettata nello schermo nel suo complesso, piuttosto esaminavano i singoli dettagli. Sembra che sia questo quello che fa l’occhio non abituato alle immagini: esplora. E gli indigeni non facevano in tempo ad esplorare un’immagine prima che questa cambiasse, nonostante l’uso del rallentatore nel filmato.

McLuhan spiega che la dimestichezza che noi letterati abbiamo con la scrittura ci permette di mettere a fuoco le immagini con un solo sguardo, mentre le persone non letterate non hanno questa abitudine. Loro esplorano gli oggetti come noi facciamo con la pagina stampata, un segmento alla volta. Perciò non hanno un punto di vista distaccato ma sono in contatto empatico con gli oggetti. L’occhio non viene usato in prospettiva ma come una sorta di organo tattile, che esplora gli oggetti poco per volta, piuttosto che osservarli nel loro complesso e nella loro azione. Un altro aspetto emerso dalle difficoltà degli indigeni nella visione del filmato, è che le nostre convenzioni legate alla scrittura

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sono presenti anche in forme non verbali, come l’immagine filmica. Wilson scrive che nel corso della loro ricerca hanno scoperto che l’immagine filmica, così come viene prodotta in Occidente, è un prodotto fortemente simbolico e convenzionale, anche se può sembrare molto realistico. Certe scene per noi comprensibili, appaiono assurde agli occhi degli indigeni africani. Ad esempio, se nel film si narrava la storia di due uomini, e ad un certo punto uno dei due usciva dallo schermo, il pubblico voleva sapere cosa gli fosse successo. Non riusciva a capire dove fosse finito. Così Wilson e i suoi colleghi dovevano riscrivere quelle storie, inserendo elementi per loro assolutamente inutili: dovevano seguire con la telecamera quell’uomo mentre camminava lungo la strada fino a svoltare e a sparire normalmente, come accadrebbe nella vita reale. Il pubblico inoltre non riusciva a concepire l’idea di una persona seduta e immobile mentre la macchina da presa le si avvicinava e allontanava, rendendo il suo viso ora più grande ora più piccolo.

«Il risultato di tutto questo era che per usare un filmato come un efficace mezzo di comunicazione dovevamo educare il pubblico a determinate convenzioni e fare dei filmati con questo obbiettivo, ad esempio per insegnare la convenzione di un uomo che esce dallo schermo».[Wilson John, “Film Literacy in Africa”, vol. I, n. 4, Canadian Communications, estate 1961, pp. 7-14]

AT O M I Z Z A -Z I O N E E D E S P R E S S I O -N I D I G I TA L I

Il libro stampato comunica usando un linguaggio costituito da segni grafici, i quali vengono compresi da coloro che conoscono la lingua con cui il libro è scritto. Anche il testo digitale — inteso come contenuto che visualizziamo a schermo di computer, tablet, cellulari, etc. — funziona allo stesso modo ed è costituito da segni grafici. Tuttavia, si può dire che i testi digitali hanno sviluppato una forma di linguaggio intrinsecamente e naturalmente più frammentato.È vero che l’alfabeto in sé è costituito da unità singole — le lettere — messe in relazione tramite regole sintattiche e semantiche definite da una lingua

specifica, in modo da dare forma a parole, frasi, periodi. Il testo può essere considerato come un insieme di elementi connessi da relazioni spaziali, funzionali alla comprensione del contenuto. L’organizzazione di questi elementi è definita sintassi spaziale o meglio sinsemìa:

«Mantiene il prefisso sin- di sintassi, dal greco syn (“con”, “insieme”), usato con il significato di “unione”, “contemporaneità”, e il suffisso -semía, dal greco sìmía, derivato di sêma “segno”. Sinsemìa starebbe a indicare il modo in cui i segni stanno assieme (nello spazio)».[Perondi Luciano, “Sinsemie”, Politecnico di Milano, tesi di laurea, 2007]

Perondi indica una distinzione tra microunità (le unità minime di significato), per le quali possiamo parlare di sintassi visiva, e macrounità, aggregazioni di microunità più o meno complesse, organizzate nello spazio (sintassi spaziale). Esistono molti esempi nella letteratura in cui il testo viene usato in forma di microunità e di macrounità. Un buon esempio è costituito dalla poesia semantica di Stefan Themerson, che in “Bayamus and the Theatre of Semantic Poetry: a novel” (pubblicato la prima volta nel 1945 e ristampato dalla Gaberbocchus nel 1965) ci offre un esempio di romanzo redatto secondo i princìpi della poesia semantica e di giustificazione interna verticale. Questo prevede tre “regole”: le proposizioni principali (coordinate) sono allineate allo stesso margine; le proposizioni subordinate hanno il margine rientrante; gli elementi di congiunzione tra i vari enunciati vanno distaccati dal resto del testo. In questo modo la struttura del testo diventa visibile e navigabile, ed esprime il senso del testo in maniera netta, tanto che Themerson ha applicato il principio della poesia semantica anche a libri più articolati. Allo stesso modo in campo informatico, l’indentazione è una metodologia strutturale simile, che consente di rappresentare esplicitamente le relazioni di annidamento fra i blocchi di istruzioni. Altri esempi ci vengono mostrati dai rappresentanti del gruppo francese OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle) creato nel 1960 dallo scrittore Raymond Queneau e dal matematico François Le Lionnais. Le regole adottate dai componenti dell’Oulipo — contraintes — sono restrizioni adottate a livello di microunità o di macrounità (molare) del testo. Le restrizioni a livello di microunità sono ad esempio l’anagramma, il lipogramma (che prevede l’esclusione all’interno del testo di una o più lettere), il tautogramma (in cui tutte le parole del componimento iniziano con la stessa

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Stefan Themerson, “Bayamus and the Theatre of Semantic Poetry: a novel”, pubblicato la prima volta nel 1945 e ristampato dalla Gaberbocchus nel 1965

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lettera). Sono comunque tecniche già sperimentate prima di allora: già in età classica e medievale esistevano autori che ci si cimentavano. Uno su tutti è Orazio Fidele, con il poema lipogrammatico “L’R sbandita sopra la potenza d’Amore” (1633). Per quanto riguarda invece gli interventi a livello molare sul testo, alcuni esempi ci vengono forniti dalla letteratura combinatoria e permutativa, in cui si va ad agire sulle parole o sulle frasi intese come frammenti, piuttosto che sulle singole lettere. Un esempio di letteratura combinatoria è “Cent mille milliards de poèmes” (1961), di Raymond Queneau.

Queste sono solo alcune delle esperienze, a livello di testo stampato, dell’utilizzo del testo in forma frammentata. Ma ne esistono molte altre: la rubrica telefonica, la Bibbia, il Talmud, per citarne alcune. L’aspetto che però ci interessa sottolineare in questo ambito, è la capacità innata che le tecnologie digitali hanno di presentarci e permetterci di fruire agevolmente di testi frammentati e atomizzati. Il digitale ci permette, più dell’analogico e nello specifico della forma fisica del libro, di accedere molto più facilmente a singoli contenuti, così come di creare e pubblicare un singolo contenuto (o articolo). L’utente può selezionare e decidere di accedere ad un frammento che sia uno e uno solo.

«L’ipertesto virtuale differisce dalle sperimentazioni non-lineari in campo editoriale sia per la possibilità di inclusione di contenuti multimediali (immagini, video, audio) che per la facilità nel compiere collegamenti, esplicitamente suggeriti a livello visivo mediante marcatori, icone, bottoni di navigazione».[Cadioli Alberto, “Il critico navigante. Saggio sull’ipertesto e la critica letteraria”, Marietti, Milano, 1998]

I contenuti digitali vengono spesso atomizzati, resi singole unità disposte sullo schermo e collegate tra loro tramite dei link. Per sua natura il digitale infatti rende molto più semplice l’adozione di contenuti ipertestuali, in cui la creazione di una narrazione e di senso dipende dai percorsi intrapresi dal lettore nel passaggio da un nodo all’altro. Questi

frammenti possono essere anche piuttosto ristretti, il segmento di testo compreso tra un link e un altro può essere infatti anche molto breve, rendendo la lettura più spezzettata, poco continua e ricca di interruzioni. Queste interruzioni aumentano le possibilità di non affrontare una lettura continua e approfondita, ma spesso ci portano a passare da un accenno di conoscenza ad un altro, così da venire a conoscenza di “un po’ di tante cose”. Con i dispositivi digitali cambia perciò il modo in cui fruiamo le informazioni, e ci stiamo abituando ad assorbire frammenti. Un esempio di come i contenuti vengono atomizzati in rete è rappresentato dai giornali online [ ibridazione funzione / funzioni utili: notizie veloci e notizie lente ]. Marissa Mayer — ex vicepresidente

Raymond Queneau, “Cent mille milliards de poèmes”, 1961

“The Holy Bible”, edizione 1611 King’s James Version, 2014

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del dipartimento dei prodotti di ricerca e della user experience di Google — afferma durante una conferenza al Senato degli Stati Uniti:

«La struttura del web ha costretto le unità atomiche di consumo di news a migrare dall’intero quotidiano al singolo articolo. […] Ma con le notizie online un lettore ha molte più probabilità di trovare un singolo articolo».[Ludovico Alessandro, “Post Digital Print. L’evoluzione dell’editoria dal 1894”, Caratteri mobili, Bari, 2014, p. 86]

Esistono inoltre anche strumenti che ci permettono facilmente di atomizzare ulteriormente i contenuti del web, rendendo rapidamente visibili le singole parole, come singole unità: i Rapid Serial Presentation (RSVP). Usando un software del genere le parole del testo di un sito vengono fatte lampeggiare una alla volta in una finestra, e tra le varie funzioni c’è la possibilità di stoppare il flusso e di rallentare o aumentare il ritmo delle parole. Esistono diversi software RSVP: WordlFlashReader (per Linux e Windows), 7SpeedReading (Windows e Mac), iReadFast (MacOSX, iPhone, iPad), Spreeder (online), Squirt (Google Chrome, Sarafi, Firefox), Spritz (MacOSX, iPhone, iPad, Windows, Android).

La possibilità di atomizzare i contenuti è, come conseguenza, strettamente legata al concetto di personalizzazione, beneficio di cui l’utente in rete può godere. È questo un modello felicemente adottato dall’industria musicale. La Apple infatti, con iTunes, permette di acquistare singoli brani piuttosto che interi album. Un esempio di come il web agevoli

la fruizione di contenuti frammentati lo notiamo anche nei video che possiamo visualizzare su piattaforme web come YouTube. Abbiamo la possibilità di accedere a singoli video, anche brevi, a sketch, a video a puntate, a frammenti di film o programmi televisivi, quindi a singole unità, piuttosto che essere costretti a vedere un intero film o un intero programma. Possiamo registrarci a certi canali, seguire un altro utente, possiamo facilmente personalizzare ciò che vediamo. Anche in ambito letterario il web agevola la fruizione di contenuti atomizzati, in piattaforme come Wattpad, 20 Lines o The Incipit, come vedremo nel prossimo paragrafo.

In realtà, un concetto simile lo possiamo già trovare molto indietro nel tempo, nel codex. Il codex come complesso di fascicoli apparve intorno al II secolo a.C. e ha avuto successo fino a quando non si è diffusa la stampa a caratteri mobili, e nella sua struttura va a contrapporsi al volumen, ovvero i rotoli. Al sistema più antico, che prevedeva di porre tutti i fogli uno sopra l’altro e di piegare il tutto, subentrò il sistema di riunire insieme non più di quattro fogli (quaderno). Il codex in sé si presenta composto da frammenti, suddiviso com’è in fascicoli, detti peciae. Le peciae sono composte da uno o più fogli di carta o pergamena piegati in quattro. Nella produzione libraria universitaria, in particolare a Parigi e Bologna, tra il XIII e XV secolo, il manoscritto usato per l’insegnamento, corretto ed approvato, era appunto suddiviso in peciae sciolte e numerate e depositate presso un libraio. In questo modo le singole peciae potevano essere affittate dagli studenti, e a loro volta più scribi potevano collaborare contemporaneamente alla stesura di un codex, ognuno scrivendo una peciae, risparmiando così molto tempo.

In “Post Digital Print” Alessandro Ludovico parla anche del fatto che la frammentazione di un prodotto editoriale introduce la scalabilità del contenuto e del prezzo, e comporta anche un processo selettivo dellʼutenza. Quando viene fatto su larga scala, questo introduce anche la possibilità di profilare i lettori e presentare una pubblicità personalizzata. Un servizio sperimentale di Time Inc. era “Mine” — terminata dopo sei numeri — una rivista basata sulle preferenze dei lettori, compilata usando dei contenuti scelti dall’editore presi da altre pubblicazioni e che includeva le pubblicità coerenti con gli argomenti selezionati [ Anton Waldburg, Karl Jo Seilern, “theblogpaper.co.uk." (2009) ].

Alcuni dispositivi o alcuni servizi hanno contribuito all’atomizzazione dei contenuti, portando anche

http://www.businessinsider.com/spritz-speed-reading-gifs-2014-2?IR=T

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allo sviluppo di nuove forme di espressione e all’attribuzione di nuovi significati a simboli già esistenti prima del web. Sappiamo che i primi cellulari permettevano di inviare sms in un numero limitato di caratteri — anche oggi è così, ma i nuovi telefoni permettono di inviare più sms automaticamente. Questo ha portato allo sviluppo di una forma di linguaggio del tutto nuovo, più ristretto e conciso, con la contrazione di alcune parole di uso comune:“nn”, “cmq”, “tt”, “ke”, “xkè”. Anche i social network giocano un ruolo importante in questo senso: i post, ma soprattutto i tweet, vengono utilizzati per esprimere un tipo di contenuto più breve, più diretto.

L’atomizzazione dei contenuti è facilitata, nel web, da strumenti nuovi. Il tag è infatti uno strumento che permette all’utente di passare facilmente da un frammento ad un altro, in maniera immediata [ i new media sostituiscono gli old media, o no? / caratteristiche e funzioni digitali / accesso e ricercabilità ]. Conseguentemente all’atomizzazione dei contenuti, alcuni segni vengono caricati di nuovi significati semantici. Ad esempio il simbolo “#” assume, nel web, un significato del tutto nuovo, che permette all’utente di passare ad un altro frammento di contenuto in rete. L’hashtag è infatti un tag per metadati utilizzato in rete come aggregatore tematico, e rende più facile la ricerca di messaggi relativi ad un tema o contenuto specifico. Un utente può infatti creare o utilizzare un hashtag usando il simbolo “#” davanti ad una parola, in seguito la ricerca

di quell’hashtag restituirà all’utente tutti i messaggi che sono stati etichettati con lo stesso. Ma l’hashtag non nasce come idea di un servizio in rete, bensì come proposta di un utente Twitter, Chris Messina, che il 23 agosto 2007 posta su Twitter la frase:

Il primo a farne uso su un profilo molto seguito è Nate Ritter, che nell’ottobre 2007 inizia ad includere nei suoi messaggi riguardanti gli incendi che stavano colpendo la contea di San Diego, l’hashtag #sandiegofire. Inizialmente Twitter non disponeva di un servizio per raggruppare i tweet, e dal primo giugno 2009 adotta l’hashtag per indicizzare i contenuti, introducendo il collegamento ipertestuale sugli hashtag a tutti i messaggi che citano lo stesso hashtag. Oggi messaggi postati tramite diversi servizi — Twitter, Instagram, Facebook, Google+, Pinterest, You Tube, Tumblr e altri siti — possono essere etichettati con hashtag. Gli hashtag diventano anche parte integrante di frasi scritte, conferendo al testo un significato e una funzione aggiuntivi.

Le nuove espressioni linguistiche introdotte da internet differiscono da quelle che troviamo nei testi stampati perché hanno senso di esistere solo in vista di una funzione che possono svolgere esclusivamente in rete o tramite dispositivi digitali,

dato che solo in questi ambienti possono farsi carico del significato che detengono. Il simbolo “@” può certo essere stampato ed avere un chiaro significato — per chi lo conosce — se inserito all’interno di un indirizzo e-mail. Ma ci relazioniamo a quel simbolo consapevoli del fatto che sia nato per la rete e che solo tramite la rete possiamo utilizzarlo concretamente.

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C O M P U T E RE I N T E R N E T C O M E M E D I A L E T T E R A R I

Ma il computer e internet possono essere considerati dei media letterari? In “Hybrid Bookwork” Søren Pold scrive:

«Lavoro sulle relazioni tra letteratura e digitalizzazione da vent’anni, da quando ho iniziato il mio dottorato di ricerca sui rapporti tra media e letteratura influenzata dal digitale. A quel tempo (2000) la mia opinione era che per via del digitale, della sua natura alfabetica, il computer era un medium (o un meta-/post-medium o forse un sistema di linguaggio?), che può direttamente scrivere, modificare e in generale viene trattato come un sistema di linguaggio. […] Perciò la mia considerazione del computer e del publishing digitale non era una rottura ma una continuazione della stampa. […] In questo modo, il computer può essere visto come una macchina letteraria in cui la scrittura non avviene solo in superficie come contenuto, ma attraverso la codifica e la strutturazione che diventano parte del funzionamento del medium».[Rieck Stella, Rowson Rose, Wohlfeil Nora, “Hybrid Bookwork: Empire Soft-Skinned Space”, List Discussion February 2014, ebook, cap.6]

Internet è in effetti il primo nuovo medium del Ventesimo secolo basato interamente sul testo, ovvero su codici alfanumerici e su sequenze di comandi scritti:

«Se consideriamo l’intera internet come letteratura, essendo strutturata su lettere, la questione dello scrittore verte sul lettore. Esso è infatti costretto a condensare il flusso di testo. Come la poesia futurista e dadaista, la tecnica utile per montare insieme materiali linguistici trovati è il “cut’ n’ paste”: un insieme di click del mouse tra un browser Web e un programma di editing di testi».[Cramer Florian, “Anti-Media, Ephemera on Speculative Arts”, nai010 publisher, Institute of Network Cultures, Rotterdam, 2013 p. 55]

Il computer ci permette di scrivere, e allo stesso

tempo il suo funzionamento è strutturato su un codice testuale; stessa cosa si può dire di internet. Entrambi unificano le funzioni del libro e della libreria in quanto permettono sia di scrivere che di memorizzare il testo. Internet è però lo strumento che permette al testo di inserirsi in maniera più estesa all’interno del processo della produzione editoriale. Cramer ci spiega in che modo. In “Anti-Media” elenca tre caratteristiche di internet legate all’ambito letterario: essere una piattaforma di scrittura, un canale di distribuzione e un database. Se un testo adempie tutte e tre queste funzioni o anche solo una di queste, può essere definito — a suo parere — “Net literature”.

Internet funziona come piattaforma di scrittura, che sia di tipo individuale o collettiva. Tutti possono dare vita ad un proprio blog in cui scrivere riguardo qualsiasi argomento o postare i propri pensieri sui social network, permettendo a chiunque di leggerli. Diversi sono inoltre i siti web che permettono la scrittura collettiva all’interno di siti wiki, in cui gli utenti possono collaborare nella stesura di tesi relativi ad argomenti specifici. Altre piattaforme sono quelle relative alla scrittura di libri, storie brevi o poesie, che spesso diventano delle vere e proprie comunità in cui lettori e scrittori si confrontano continuamente. Booktype [ https://www.sourcefabric.org ] ad esempio permette di creare libri scritti sia individualmente che in gruppo. Nasce inizialmente per facilitare la produzione secondo il modello booksprint, infatti è possibile scrivere collettivamente delle storie, chattare, scrivere note. Alla fine il libro può essere esportato come pdf, xhtml, mobi, epub. Wattpad [ https://www.wattpad.com/ ] è una comunità di scrittura e lettura, in cui gli utenti possono pubblicare storie indipendenti di vario genere disponibili per computer e tramite app su tablet e smartphone. I capitoli delle storie vengono caricati uno alla volta, in modo da dare ai lettori la possibilità di leggerli e commentarli, offrendo allo scrittore un feedback continuo. Sul sito si legge infatti:

«Wattpadders love stories that are frequently updated with new, short chapters».[ https://www.wattpad.com/writers/how.html ]

È un approccio che ha avuto largo successo, infatti oggi Wattpadd conta: circa 100 milioni di storie; più di 40 milioni di utenti da tutto il mondo con un ritmo di crescita molto forte; storie pubblicate in oltre 50 lingue; 11 miliardi di minuti spesi su Wattpad ogni mese, di cui L’85% del traffico di lettura avviene su dispositivi mobili.

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20 Lines [ http://it.20lines.com/ ] è una comunità di scrittori e lettori per la condivisione di storie brevi, non più lunghe di 3,400 battute. Risultano perfette per ritagli di tempo di 5 minuti e sono disponibili per computer, tablet e smartphone.

The Incipit [ http://www.theincipit.com ] è una piattaforma italiana di racconti interattivi online. Le storie sono divise in 10 episodi e ogni episodio si conclude con una domanda relativa al proseguimento della storia. I lettori votano tra tre possibilità e in base al maggior numero di voti lo scrittore scrive l’episodio successivo. È possibile, anche in questo caso, scrivere commenti alle storie. In The Incipit i libri conclusi possono essere poi scaricati gratuitamente in formato epub o mobi.

Mentre nella maggior parte dei casi i libri pubblicati sulle piattaforme di scrittura rimangono disponibili in versione elettronica, Booktype offre anche la possibilità di scaricare il libro in formato pdf. In questo modo, se stampato, il libro finale sarà un ibrido tra un processo di produzione online — sia nell’ideazione e nella scrittura che nella stampa, nel caso del print on demand — e un prodotto finito cartaceo. Esistono comunque molte altre piattaforme di scrittura online, e tutti i servizi finora elencati sono gratuiti. Wattpadd ad esempio vive esclusivamente di finanziamenti da parte di investitori come Union Square.

Interessante, nel caso di Wattpad, di 20 lines e di The Incipit, è che la capacità innata del web di distribuire agevolmente testi brevi, senza dispendio di denaro e tempo — piuttosto che stampare un libro nuovo per ogni capitolo — viene sfruttata appieno. Nasce un genere narrativo fatto su misura per la struttura e le capacità del web: le storie vengono scritte e lette un capitolo per volta, oppure nascono e si concludono in poche battute. In questo modo si dà al lettore la possibilità di scegliere di leggere anche un’unica storia breve o un frammento di storia, e in caso di disinteresse il racconto può essere semplicemente abbandonato. Questo senza ricorrere necessariamente all’acquisto di un libro stampato che raccolga più storie brevi, che dopo potrebbero scoprirsi poco interessanti. Questo modello di scrittura indica di conseguenza nuovi modelli di self-publishing, in quanto gli autori si auto-pubblicano senza essere sottoposti a vincoli e senza problemi o interferenze. Un altro modo in cui internet diventa canale di self-publishing è quando i testi pubblicati in rete attirano l’attenzione di un editore. Un primo esempio in questo senso

è rappresentato dal romanzo tedesco “Die Quotenmaschine” di Norman Ohler, realizzato nel 1996 — periodo del boom della rete — in seguito commercializzato da un’importante casa editrice come “first Internet novel”. In Wattpad ad esempio, sono più di 100 gli scrittori che hanno scritto la loro storia online e hanno poi trovato editori che hanno stampato e distribuiti i loro libri nelle librerie. Debbie Goelz — alias Brittanie Charmintine — ad esempio, è una delle scrittrici di maggiore successo su Wattpad, e il suo libro “Marmaids and the Vampires who love them” è stato letto da un milione e mezzo di lettori.

Un alto metodo di self-publishing è quello di auto-pubblicare il proprio libro o in versione cartacea pagando un editore, oppure in versione digitale, tramite servizi gratuiti: Smashwords [ https://www.smashwords.com/ ], Kindle Direct Publishing (Amazon) [ https://kdp.amazon.com ], PubIt (Barnes & Noble) [ http://pubit.barnesandnoble.com ], o Writing Life di Kobo [ http://www.kobobooks.com/kobowritinglife ]. Questi distributori funzionano in maniera totalmente gratuita, convertono i documenti in formato ebook, forniscono il più delle volte codici ISBN e garantiscono allo scrittore un ricavato sulle vendite. La royalty di Smashwords, ad esempio, arriva all’85%, mentre quella di Amazon al 70%. I libri digitali pubblicati compaiono poi sulle vetrine dei distributori — come lo store di Amazon. L’autore mantiene i diritti sulla pubblicazione e ne decide anche il prezzo, in alcuni casi può decidere di distribuirlo gratuitamente.

Infine, internet può funzionare come piattaforma di scrittura anche da un altro punto di vista, ovvero diventando parte di uno dei tanti meccanismi che portano alla realizzazione di un libro stampato, inserendosi così nel sistema letterario tradizionale: autori, traduttori ed editori possono scambiarsi testi e correzioni tramite e-mail, senza bisogno di copie multiple del testo stampato.

A loro volta queste piattaforme di scrittura e di self-publishing diventano dei database, e i lettori possono cercare i libri selezionando tramite dei filtri i loro generi preferiti. Nelle piattaforme di scrittura e di lettura è possibile anche creare una propria libreria di libri preferiti. L’idea di considerare internet o il computer come database di testi ovviamente si estende oltre i siti che offrono la possibilità di scrivere e leggere racconti. Tramite internet è possibile accedere o scaricare testi digitali, e il computer ci offre la possibilità di conservarli, permettendoci

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di creare un archivio personale. Diverse sono le librerie digitali dalle quali è possibile scaricare libri, per citarne alcune: aaaaarg.fail, archive.org, Monoskope.org, bookzz.org.

I vantaggi dei testi digitali sono molteplici. Ad esempio l’indicizzazione dei libri digitali ha semplificato la ricerca di titoli e di parole chiave, ed è possibile non solo cercare i titoli, ma anche i contenuti interni del libro [ i new media sostituiscono gli old media, o no? / caratteristiche e funzioni digitali / accesso e ricercabilità ].

Il computer opera perciò sul linguaggio della macchina, che presenta forme diverse rispetto al linguaggio umano — che sia scritto o verbale. Gli alfabeti dei linguaggi della macchina e di quelli umani sono comunque intercambiabili, ma non lo sono nella sintassi e nella semantica. Cramer infatti sostiene che sia un errore comune credere che il linguaggio della macchina sia leggibile solo su macchine e che quindi sia irrilevante per le arti umane e per la letteratura, e viceversa. Dato che il linguaggio della macchina è una creazione umana, dovremmo essere noi a prenderne il controllo, adottando un atteggiamento riflessivo e creativo verso questo sistema automatizzato. L’automatizzazione dell’informazione associato ad un nostro atteggiamento passivo può in effetti essere controproducente, in “Technopoly” Postman scrive:

«C’è una perdita di fiducia nel giudizio e nella

soggettività umane. Abbiamo cioè svalutato quella capacità solo umana di vedere le cose in tutte le loro dimensioni psichiche, emotive e morali. E l’abbiamo sostituita con la fede nei poteri del calcolo tecnico. […] La ricerca tramite computer eseguita senza fantasia e lungimiranza si sta dimostrando antitetica al libero esercizio di quella felice condizione che si chiama serendipità, cioè il dono di raggiungere risultati importanti più o meno per caso».[Postman Neil, “Tecnholopy. La resa della cultura alla tecnologia”, seconda edizione, Bollati Boringhieri, Torino, seconda edizione, 2003]

Il linguaggio sviluppato dal computer potrebbe quindi essere utilizzato dall’uomo in maniera riflessiva e sperimentale, in quanto il suo cervello può offrire punti di vista più spontanei piuttosto che automatizzati. Sempre in “Anti-Media” Cramer sostiene che la musica, rispetto alla letteratura, è riuscita con più successo nell’impresa di far proprio e poi trasformare un linguaggio matematico ed automatizzato. Compositori come John Cage ed esponenti Fluxus hanno spostato i codici della notazione musicale classica composta da segni discreti verso un linguaggio più naturale. Cornelius Cardew, Michael Parsons e Howard Skempton fondano, nella primavera del 1969 all'interno del Morley College di Londra, la Scratch Orchestra. Qui si cercano di trovare delle alternative agli strumenti canonici e ai modi classici in cui si scrive la notazione, il silenzio e i rumori vengono considerati musica, seguendo la linea sperimentale

La Monte Young, “Compositions 1961”, Pat Allison, https://vimeo.com/26719859, pubblicato da Bob Lockwood il 21 luglio 2011, screenshot

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dei furutisti prima, della musica concreta e di John Cage. La notazione musicale diventa più umana perché è ora soggetta all’interpretazione dell’esecutore musicale, che parte dalle istruzioni non più matematiche fornite dal compositore. In maniera simile a molte performance Fluxus, in “Composition No. 1” del 1961, La Monte Young da la semplice istruzione “disegna una linea dritta e seguila”.

Un approccio più giocoso e meno meccanico è stato sperimentato in ambito letterario, come abbiamo già spiegato in questo capitolo [ ibridazione linguaggio / atomizzazione ed espressioni digitali ] nella letteratura sperimentale che ha frammentato il testo per poi ricomporlo secondo diversi procedimenti. Qui le istruzioni formali però, e quindi un certo grado di automatizzazione, rimangono — rispetto a quello che è successo nella musica — prerequisiti necessari, così come formali sono le regole grammaticali per la letteratura in generale. In questi stessi testi sperimentali però, esistono allo stesso tempo delle istruzioni implicite su come — in che sequenza — leggere un testo, che possono essere seguite o meno dal lettore, fornendogli un certo grado di libertà espressiva. Con alle spalle una storia ricca di sperimentazioni tra forme di linguaggio automatizzato ed un’espressività interpretativa dell’essere umano, le diverse forme di linguaggio digitale possono oggi essere recuperate dall’uomo e reinterpretate tramite nuove associazioni espressive.

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B i b l i o g r a f i a c o n s u l t a t a

Cadioli Alberto, “Il critico navigante. Saggio sull’ipertesto e la critica letteraria”, Marietti, Milano, 1998

Carrière Jean-Claude in: Carrière Jean-Claude, Eco Umberto, “Non sperate di liberarvi dei libri”, Bompiani, Milano, 2009

Cramer Florian, “Anti-Media, Ephemera on Speculative Arts”, nai010 publisher, Institute of Network Cultures, Rotterdam, 2013

Ludovico Alessandro, “Post Digital Print. L’evoluzione dell’editoria dal 1894”, Caratteri mobili, Bari, 2014

Perondi Luciano, “Sinsemie”, Politecnico di Milano, tesi di laurea, 2007

Postman Neil, “Tecnholopy. La resa della cultura alla tecnologia”, seconda edizione, Bollati Boringhieri, Torino, seconda edizione, 2003

Rieck Stella, Rowson Rose, Wohlfeil Nora, “Hybrid Bookwork: Empire Soft-Skinned Space”, List Discussion February 2014, ebook

Wilson John, “Film Literacy in Africa”, vol. I, n. 4, Canadian Communications, estate 1961

S i t i c o n s u l t a t i ( 2 0 1 5 )

https://kdp.amazon.comhttp://www.treccani.it/enciclopedia/pecia/http://it.20lines.com/http://www.kobobooks.com/kobowritinglifehttp://pubit.barnesandnoble.comhttps://www.smashwords.com/ https://www.sourcefabric.orghttp://www.theincipit.comhttp://www.treccani.it/enciclopedia/codice/http://www.treccani.it/enciclopedia/lingua/http://www.treccani.it/enciclopedia/linguaggio/http://www.treccani.it/vocabolario/linguaggio/https://www.wattpad.com/

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