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CAPITOLO 8 IL DOPOGUERRA IN ITALIA E L’AVVENTO DEL FASCISMO a foto qui riprodotta ha un carattere altamente simbolico. La mattina del 31 ottobre 1922 Benito Mussolini, in abiti civili (come impone il suo nuovo ruolo di presidente del Consiglio), sosta sulla Porta del Popolo, a Roma, attorniato dai «quadrumviri» in divisa fascista (Bianchi e Balbo, voltati verso la piazza, alla sua sinistra, De Bono e De Vecchi alla sua destra), quasi a certificare l’avvenuta presa di possesso della capitale. Sappiamo in realtà che la marcia su Roma non fu il fatto rivoluzionario descritto dalla propaganda fascista, che in esso indicò addirittura l’evento fondante di una nuova era. Fu invece uno degli snodi decisivi della crisi che aveva colpito le istituzioni liberali italiane all’indomani della guerra vittoriosa, precipitando il paese in una lunga spirale di instabilità e di violenza, e che si sarebbe conclusa qualche anno più tardi con la definitiva instaurazione di un regime dittatoriale personale e monopartitico. Un regime che non aveva precedenti nella storia, ma che avrebbe trovato, nell’Europa degli anni fra le due guerre, numerosi ed entusiasti imitatori. L Benito Mussolini a piazza del Popolo in occasione della marcia su Roma, ottobre 1922 I MATERIALI glossario fasci di combattimento parolachiave Squadrismo esercizi p. 692 III_Modulo2_xp7.qxp:3_02 24-09-2009 11:59 Pagina 161

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CAPITOLO 8IL DOPOGUERRA IN ITALIA E L’AVVENTO DEL FASCISMO

a foto qui riprodotta haun carattere altamente

simbolico. La mattina del 31ottobre 1922 Benito Mussolini, inabiti civili (come impone il suonuovo ruolo di presidente delConsiglio), sosta sulla Porta delPopolo, a Roma, attorniato dai«quadrumviri» in divisa fascista(Bianchi e Balbo, voltati verso lapiazza, alla sua sinistra, De Bonoe De Vecchi alla sua destra),quasi a certificare l’avvenutapresa di possesso della capitale.Sappiamo in realtà che la marciasu Roma non fu il fattorivoluzionario descritto dallapropaganda fascista, che in essoindicò addirittura l’eventofondante di una nuova era. Fuinvece uno degli snodi decisividella crisi che aveva colpito leistituzioni liberali italianeall’indomani della guerravittoriosa, precipitando il paese inuna lunga spirale di instabilità edi violenza, e che si sarebbeconclusa qualche anno più tardicon la definitiva instaurazione diun regime dittatoriale personale e

monopartitico. Un regime che nonaveva precedenti nella storia, mache avrebbe trovato, nell’Europadegli anni fra le due guerre,numerosi ed entusiasti imitatori.

L

�Benito Mussolini a piazza del Popoloin occasione della marcia su Roma,

ottobre 1922

I MATERIALI

glossario� fasci di combattimento

parolachiave� Squadrismo

esercizi� p. 692

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1 I PROBLEMI DEL DOPOGUERRA

Con la vittoria l’Italia aveva superato la prova più impegnativa della suastoria unitaria, ma restava alle prese con i mille problemi che la GrandeGuerra aveva ovunque lasciato dietro di sé. L’economia presentava i trat-

ti tipici della crisi postbellica: sviluppo abnorme di alcuni settori industriali, con conseguen-ti problemi di riconversione, sconvolgimento dei flussi commerciali, deficit gravissimo delbilancio statale, inflazione galoppante. Tutti i settori della società erano in fermento. La clas-se operaia, tornata alla libertà sindacale dopo la compressione degli anni di guerra e infiam-mata dal mito della rivoluzione russa, non solo chiedeva miglioramenti economici, ma re-clamava maggior potere in fabbrica e manifestava, almeno in alcune frange, tendenze rivo-luzionarie. I contadini tornavano dal fronte con una accresciuta consapevolezza dei loro di-ritti, insofferenti dei vecchi equilibri sociali, decisi a ottenere dalla classe dirigente l’attua-zione delle promesse fatte nel corso del conflitto. I ceti medi, che erano stati fortementecoinvolti nell’esperienza della guerra e fortemente colpiti dalle sue conseguenze economi-che, tendevano a organizzarsi e a mobilitarsi più che in passato per difendere i loro interes-si e i loro ideali patriottici.

Questi problemi erano in parte comuni a tutti gli Stati usciti dal conflit-to, ma si presentavano in una forma più acuta in Italia dove, rispetto al-l’Inghilterra e alla Francia, le strutture economiche erano meno avanza-

te e le istituzioni politiche meno profondamente radicate nella società. In questa situazionedi crisi, la classe dirigente liberale si trovò sempre più contestata e isolata, non si mostrò ingrado di dominare i fenomeni di mobilitazione di massa che il conflitto mondiale aveva su-scitato e finì così col perdere l’egemonia indiscussa di cui aveva goduto sin allora. Risultaro-no invece favorite quelle forze, socialiste e cattoliche, che si consideravano estranee alla tra-dizione dello Stato liberale, che non erano compromesse con le responsabilità della guerra

La crisi dellaclasse dirigenteliberale

Difficoltàeconomiche efermenti sociali

Guerra e rivoluzione162 MODULO 2

Cartolina dipropagandapatriottica, 1919

.

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e che, inquadrando larghe masse, potevano meglio interpretare le nuove dimensioni assun-te dalla lotta politica.

Furono i cattolici a portare il primo e più importante fattore di novità,abbandonando la tradizionale linea astensionistica e dando vita, nel gen-naio 1919, a una nuova formazione politica che prese il nome di Partito

popolare italiano (Ppi). Il nuovo partito, che ebbe il suo padre riconosciuto e il suo primosegretario in don Luigi Sturzo, si presentava con un programma di impostazione democra-tica e, pur ispirandosi apertamente alla dottrina cattolica, si dichiarava aconfessionale. In re-altà, il Ppi era strettamente legato alla Chiesa e alle sue strutture organizzative. La sua stes-sa nascita era stata resa possibile dal nuovo atteggiamento assunto dopo la guerra dal papa edalle gerarchie ecclesiastiche, preoccupati di opporre un argine alla minaccia socialista. Nel-le file del partito erano inoltre confluiti, accanto agli eredi della democrazia cristiana [cfr.4.8] e ai capi delle leghe bianche (spesso schierati su posizioni socialmente molto avanza-te), anche gli esponenti delle correnti clerico-moderate che avevano guidato il movimentocattolico nell’anteguerra. Nonostante questi elementi contraddittori, la nascita del partitorappresentò una svolta in positivo per la democrazia italiana, la fine di un’anomalia che ave-va accompagnato lo Stato unitario fin dalla nascita.

L’altra grande novità nel panorama politico italiano fu la crescita impe-tuosa del Partito socialista, i cui iscritti aumentarono rapidamente, finoa raggiungere, alla fine del ’20, la cifra di 200.000. Schiacciante, nel par-

tito, era la prevalenza della corrente di sinistra, ora chiamata massimalista, su quella rifor-mista, che conservava però una posizione di forza nel gruppo parlamentare e nelle organiz-zazioni economiche. I massimalisti, che avevano il loro leader di maggior spicco nel diret-tore dell’«Avanti!» Giacinto Menotti Serrati, si ponevano come obiettivo immediato l’in-staurazione della repubblica socialista fondata sulla dittatura del proletariato e si dichiarava-no ammiratori entusiasti della rivoluzione bolscevica. In realtà i massimalisti italiani aveva-no ben poco in comune coi bolscevichi russi. Più che preparare la rivoluzione, la aspettava-no, ritenendola comunque inevitabile. Più che guidare le masse alla conquista dello Stato,ne seguivano i movimenti, vedendovi i segni di una prossima presa del potere.

In polemica con questa impostazione, si formarono nel Psi gruppi diestrema sinistra, composti per lo più da giovani, che si battevano per unpiù coerente impegno rivoluzionario e per una più stretta adesione al-

l’esempio dei comunisti russi. Fra questi gruppi emergevano quello napoletano che facevacapo ad Amadeo Bordiga e quello che operava a Torino attorno ad Antonio Gramsci e allarivista «L’Ordine Nuovo». Mentre Bordiga puntava soprattutto sulla creazione di un nuovopartito rivoluzionario ricalcato sul modello bolscevico, Gramsci e i suoi amici (Togliatti, Ter-racini, Tasca), che agivano a contatto coi nuclei operai più avanzati e combattivi d’Italia, era-no affascinati dall’esperienza dei soviet, visti come strumenti di lotta contro l’ordine borghe-se e al tempo stesso come embrioni della società socialista.

All’indomani della guerra, il grosso del Partito socialista era dunque schie-rato su posizioni apertamente rivoluzionarie. Ma questa radicalizzazione fi-nì con l’isolare il movimento operaio e col ridurne i margini di azione poli-

tica. Prospettando una soluzione «alla russa», i socialisti si preclusero ogni possibilità di colla-borazione con le forze democratico-borghesi, spaventate dalla minaccia della dittatura proleta-ria. Insistendo nella condanna indiscriminata di tutto ciò che avesse a che fare col passato con-flitto, e in genere nel rifiuto di ogni logica «nazionale», ferirono il patriottismo della piccola bor-ghesia e fornirono argomenti all’oltranzismo nazionalista dei numerosi gruppi e gruppuscoliche si formarono nell’immediato dopoguerra con lo scopo di difendere i «valori della vittoria».

Le illusionirivoluzionarie

L’estremasinistrasocialista

Il Psi e ilmassimalismo

Il Partitopopolare

Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo CAPITOLO 8 163

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Fra questi movimenti, per lo più destinati a vita breve,faceva spicco quello fondato a Milano, il 23 marzo 1919,da Benito Mussolini, col nome di Fasci di combatti-

mento. Politicamente, il nuovo movimento si schierava a sinistra, chiedevaaudaci riforme sociali e si dichiarava favorevole alla repubblica; ma nel con-tempo ostentava un acceso nazionalismo e una feroce avversione nei con-fronti dei socialisti. Ai suoi esordi, il fascismo raccolse solo scarse ed eteroge-nee adesioni (ex repubblicani, ex sindacalisti rivoluzionari, ex arditi di guer-ra). Ma si fece subito notare per il suo stile politico aggressivo e violento, in-sofferente di vincoli ideologici e tutto teso verso l’azione diretta. Non a casoi fascisti furono protagonisti del primo grave episodio di guerra civile dell’Ita-lia postbellica: lo scontro con un corteo socialista avvenuto a Milano il 15aprile ’19 e conclusosi con l’incendio della sede dell’«Avanti!». Era il segnodi un clima di violenza e di intolleranza destinato ad aggravarsi col passaredei mesi, in conseguenza sia dell’inasprimento delle tensioni sociali, sia del-le polemiche provocate dall’andamento della conferenza della pace. Dal punto di vista degli equilibri internazionali, l’Italia era uscita dallaguerra nettamente rafforzata. Non solo aveva raggiunto i sospirati «confi-ni naturali», ma aveva visto scomparire dalle sue frontiere il nemico tradi-zionale, l’Impero asburgico. La dissoluzione dell’Austria-Ungheria pone-

va però una serie di problemi non previsti nel momento in cui era stato stipulato il patto diLondra: in esso si stabiliva, fra l’altro, che la Dalmazia, abitata in prevalenza da slavi e ora ri-vendicata dal nuovo Stato jugoslavo, fosse annessa all’Italia e che la città di Fiume, dove gliitaliani erano in maggioranza, restasse all’Impero austro-ungarico. La delegazione italiana al-la conferenza di Versailles, capeggiata dal presidente del Consiglio Orlando e dal ministro de-gli Esteri Sonnino, chiese l’annessione di Fiume sulla base del principio di nazionalità [cfr.5.11], ma in aggiunta ai territori promessi nel 1915. Tali richieste incontrarono l’opposizionedegli alleati, in particolare del presidente statunitense Wilson. Nell’aprile del ’19, per prote-stare contro l’atteggiamento di quest’ultimo – che aveva cercato di scavalcarli indirizzando unmessaggio al popolo italiano – Orlando e Sonnino ab bandonarono Versailles e fecero ritornoin Italia, dove furono accolti da imponenti manifestazioni patriottiche. Ma un mese dopo do-vettero tornare a Parigi senza aver ottenuto alcun risultato. Questo insuccesso segnò la fine delgoverno Orlando, che si dimise a metà giugno.

Il nuovo ministero presieduto daFrancesco Saverio Nitti – econo-mista e meridionalista di orienta-

mento democratico – si trovò ad affrontare una situa-zione già gravemente deteriorata. Gli avvenimentidella primavera 1919 avevano infatti suscitato in larghistrati dell’opinione pubblica borghese un sentimentodi ostilità verso gli ex alleati, accusati di voler defrau-dare l’Italia dei frutti della vittoria, e verso la stessa clas-se dirigente, giudicata incapace di tutelare gli interes-si nazionali. Si parlò allora di vittoria mutilata:un’espressione coniata da Gabriele D’Annunzio, or-mai assurto al ruolo di poeta nazionale, anche in virtùdi alcune audaci e fortunate imprese compiute duran-te la guerra.

La «vittoriamutilata»

La questioneadriatica e la conferenzadella pace

Mussolini e i Fasci dicombattimento

Guerra e rivoluzione164 MODULO 2

fasci di combattimentoIl termine «fasci» si riferiva all’emblema delmovimento che riproduceva l’antico fasciodei littori romani, quelli che nella Roma anti-ca accompagnavano i magistrati portandofasci di verghe legate. Sotto questo aspetto,quindi, i fasci sono un simbolo di autorità. Ilnome, tuttavia, conservava nel 1919 un si-gnificato rivoluzionario poiché alla fine del-l’800, in Sicilia, si erano chiamati Fasci deilavoratori quelle associazioni popolari chechiedevano per i contadini terre da coltivare.Il termine «combattimento», invece, si riferi-va non solo alle battaglie politiche future, maanche alla guerra vera e propria, la primaguerra mondiale appena conclusa. Il movi-mento di Mussolini, infatti, si proponeva la di-fesa degli interessi degli ex combattenti, tor-nati alla vita civile pieni di rancore per i sacri-fici cui si erano sottoposti e che, a loro dire,non erano stati riconosciuti e premiati.

D’Annunzio a Fiume decora una bandiera dei «legionari»

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La manifestazione più clamorosa di questa protesta si ebbe nel settembre1919, quando alcuni reparti militari ribelli assieme a gruppi di volontari,sotto il comando di D’Annunzio, occuparono la città di Fiume, posta al-

lora sotto controllo internazionale, e ne proclamarono l’annessione all’Italia. Concepita al-l’inizio come un mezzo di pressione sul governo, l’avventura fiumana siprolungò per quindici mesi e si trasformò in un’inedita esperienza politi-ca. A Fiume, dove D’Annunzio istituì una provvisoria «reggenza», si die-dero convegno i personaggi più disparati – militari e politici in cerca di for-tuna, nazionalisti, sovversivi, esuli di diversi paesi – e furono sperimenta-ti per la prima volta formule e rituali collettivi – adunate coreografiche,dialoghi fra il capo e la folla – che sarebbero stati ripresi e applicati su benpiù larga scala dai movimenti autoritari degli anni ’20 e ’30.

2 IL «BIENNIO ROSSO» IN ITALIA

Fra il 1919 e il 1920, in coincidenza con l’impresa fiumana e con le pole-miche sulla questione adriatica, l’Italia attraversò una fase di convulse agi-tazioni sociali, legate soprattutto al continuo aumento dei prezzi al consu-

mo che, nel biennio postbellico, crebbero con un ritmo annuo superiore al 30%. Fra il giu-gno e il luglio del 1919 le principali città italiane divennero teatro di una serie di violenti tu-multi contro il caro-viveri. Questo aumento del costo della vita determinò una continua rin-corsa fra salari e prezzi, che si tradusse a sua volta in una grande ondata di scioperi nelle in-dustrie. Anche il settore dei servizi pubblici, in genere meno sindacalizzato, fu sconvolto dauna lunga serie di astensioni dal lavoro, che suscitarono disagio nell’opinione pubblica e pro-vocarono le prime reazioni contro quella che venne definita «scioperomania».

Non meno intense furono in questo periodo le lotte dei lavoratori agrico-li. Oltre alla Bassa Padana, dove prevaleva il bracciantato e dove le leghe

rosse avevano in pratica il monopolio della rappresentanza sindacale, le agitazioni interessa-rono anche altre aree del Centro-nord: zone in cui dominavano la mezzadria e la piccola pro-prietà e in cui erano attive, spesso in concorrenza con le organizzazioni socialiste, le leghe bian-che cattoliche. Leghe bianche e leghe rosse avevano però obiettivi profondamente divergen-ti: mentre le organizzazioni socialiste miravano, in prospettiva, alla socializzazione della terra,i cattolici si battevano per lo sviluppo della piccola proprietà contadina. L’aspirazione alla pro-prietà della terra fu all’origine di un altro movimento che si sviluppò in forma spontanea, tral’estate e l’autunno del ’19 (e ancora nel corso del ’20) nelle campagne del Centro-sud: l’occu-pazione di terre incolte e latifondi da parte di contadini poveri, spesso ex combattenti.

Caratteristica delle agitazioni sociali nel primo biennio postbellico fu lamancanza di un collegamento reciproco. Le molte piccole rivoluzioniche sconvolsero il paese all’indomani della guerra procedettero ognuna

per proprio conto o addirittura l’una contro l’altra, seguendo, ed esasperando, le tradiziona-li linee di divisione della società italiana: borghesi-proletari, laici-cattolici, operai-contadini,Nord-Sud, città-campagna, patria-socialismo.

Le prime elezioni politiche del dopoguerra, che ebbero luogo nel novem-bre 1919, diedero la misura delle trasformazioni avvenute rispetto al perio-do prebellico, ma mostrarono anche la gravità delle fratture che attraver-

savano la società e il sistema politico. Furono queste le prime elezioni tenute col nuovo me-

Le elezioni del 1919

Laframmentazionedelle lotte

Le lotte agrarie

Scioperi e agitazioni

D’Annunzio a Fiume

Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo CAPITOLO 8 165

GUIDAALLOSTUDIO1. Descrivi le caratteristiche della crisi eco-nomica e sociale alla fine della guerra. 2. Dachi era composto il nuovo Partito popolareitaliano? 3. Quali correnti esistevano all’in-terno del Partito socialista? Per che cosa sidifferenziavano? 4. A quali princìpi si ispira-vano i «Fasci di combattimento» di Mussoli-ni? 5. Che cosa intendeva D’Annunzio conl’espressione «vittoria mutilata»?

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todo della rappresentanza proporzionale con scrutinio di lista: metodo che prevedeva il con-fronto fra liste di partito, anziché fra singoli candidati, e che, contrariamente al vecchio siste-ma del collegio uninominale, assicurava alle forze politiche un numero di seggi proporziona-le ai voti ottenuti, favorendo i gruppi organizzati su base nazionale. L’esito fu disastroso per lavecchia classe dirigente. I gruppi liberal-democratici, che si erano presentati divisi alle elezio-ni, persero la maggioranza assoluta passando dagli oltre 300 seggi del 1913 a circa 200. I socia-listi si affermarono come il primo partito con 156 seggi (tre volte più che nel 1913), seguiti daipopolari, con 100 deputati. Dal momento che il Psi rifiutava ogni collaborazione coi gruppi«borghesi», l’unica maggioranza possibile era quella basata sull’accordo fra popolari e liberal-democratici. Su questa precaria coalizione si fondarono gli ultimi governi dell’era liberale.

Indebolito dall’esito delle elezioni, il ministero Nitti sopravvisse fino algiugno 1920, quando a costituire il nuovo governo fu chiamato l’ormaiottantenne Giovanni Giolitti. Rimasto ai margini della vita politica ne-

gli anni della guerra, Giolitti era rientrato in scena alla vigilia delle elezioni con un program-ma molto avanzato, in cui si proponeva fra l’altro la nominatività dei titoli azionari (cioèl’obbligo di intestare le azioni al nome del possessore, permettendone così la tassazione) eun’imposta straordinaria sui «sovraprofitti» realizzati dall’industria bellica. Le preoccupa-zioni che questo programma suscitava negli ambienti conservatori passarono in secondo pia-no rispetto alla speranza che il vecchio statista riuscisse a domare l’opposizione socialista conle arti del compromesso parlamentare.

In effetti, nei dodici mesi in cui tenne la guida dell’esecutivo, Giolitti die-de prova ancora una volta di abilità e di energia. I risultati più importan-ti il governo li ottenne in politica estera, imboccando l’unica strada pra-

ticabile per la soluzione della questione adriatica: quella del negoziato diretto con la Jugo-slavia. Il negoziato si concluse, il 12 novembre 1920, con la firma del trattato di Rapallo.L’Italia conservò Trieste, Gorizia e tutta l’Istria. La Jugoslavia ebbe la Dalmazia, salvo la cit-tà di Zara che fu assegnata all’Italia. Fiume fu dichiarata città libera (sarebbe diventata ita-liana, grazie a un successivo accordo con la Jugoslavia, nel 1924). Il trattato fu accolto congenerale favore dall’opinione pubblica e dalle forze politiche. A Fiume, D’Annunzio annun-ciò una resistenza a oltranza; ma, quando, il giorno di Natale del 1920, le truppe regolari at-taccarono la città dalla terra e dal mare, preferì abbandonare la partita.

Molto più serie furono le difficoltà incontrate da Giolitti sul terreno del-la politica interna. Il governo impose, nonostante le proteste dei socia-listi, la liberalizzazione del prezzo del pane (tenuto artificialmente bas-

so, a spese dell’erario, fin dagli anni della guerra) e avviò così il risanamento del bilanciostatale; ma non riuscì a rendere operanti i progetti di tassazione dei titoli azionari e deiprofitti di guerra, progetti che sarebbero poi stati affossati dai successivi governi. Ma a fal-lire fu soprattutto il disegno politico complessivo dello statista piemontese: disegno checonsisteva nel ridimensionare le spinte rivoluzionarie del movimento operaio accoglien-done in parte le istanze di riforma, nel ripetere insomma l’esperimento già tentato conqualche successo ai primi del secolo. In realtà, quell’esperienza non era ripetibile: i libe-rali non avevano più la solida maggioranza dell’anteguerra; i socialisti erano su posizionimolto diverse da quelle di vent’anni prima; i popolari erano troppo forti per piegarsi al ruo-lo subalterno cui Giolitti avrebbe voluto costringerli; il centro della lotta politica si era or-mai spostato dal Parlamento alle segreterie dei partiti, alle centrali sindacali o addiritturaalle piazze; i conflitti sociali, infine, conobbero, nell’estate-autunno del ’20, il loro episo-dio più drammatico con l’agitazione dei metalmeccanici culminata nell’occupazionedelle fabbriche.

I limiti del disegnogiolittiano

Il trattato di Rapallo

Il ritorno di Giolitti

Guerra e rivoluzione166 MODULO 2

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La vertenza vedeva contrapposti i nuclei di punta del mondo imprendi-toriale e del movimento operaio italiano. Da un lato gli industriali delsettore metalmeccanico, ingranditosi con la produzione bellica, minac-

ciato dai primi segni di una crisi produttiva e anche per questo deciso a cercare la prova diforza. Dall’altro una categoria operaia compatta e combattiva, che era organizzata dal piùforte dei sindacati aderenti alla Cgl (la Fiom, Federazione italiana operai metallurgici), maaveva visto anche svilupparsi, al di fuori dei canali sindacali ufficiali, l’esperimento rivolu-zionario dei consigli di fabbrica: organismi eletti direttamente dai lavoratori e ispirati dalgruppo torinese dell’«Ordine Nuovo» [cfr. 8.1] che vedeva in essi un nuovo strumento di«democrazia operaia», una sorta di corrispettivo italiano dei soviet.

Fu il sindacato a dare inizio alla vertenza, presentando una serie di ri-chieste economiche e normative, cui gli industriali opposero un netto ri-fiuto. Alla fine di agosto, in risposta alla serrata (cioè alla chiusura degli

stabilimenti) attuata da un’azienda milanese, la Fiom ordinò ai suoi aderenti di occupare lefabbriche. Nei primi giorni di settembre, quasi tutti gli stabilimenti metallurgici e meccani-ci (e anche di altri settori) furono occupati da circa 400.000 operai, che issarono le bandie-re rosse sui tetti delle officine, organizzarono servizi armati di vigilanza e cercarono, ove pos-sibile, di proseguire da soli il lavoro.

La maggior parte dei lavoratori in lotta visse questa esperienza come l’ini-zio di un moto rivoluzionario destinato ad allargarsi ben oltre le officineoccupate. In realtà il movimento non era in grado di uscire dalle fabbri-che, di collegarsi ad altre lotte sociali in corso (per esempio a quelle del-

le campagne padane), di porsi in modo concreto il problema del potere. Prevalse così la li-nea dei dirigenti della Cgl, che intendevano impostare lo scontro sul piano economico e pro-ponevano come obiettivo il controllo sindacale sulle aziende. Tale esito fu favorito dall’ini-ziativa mediatrice di Giolitti, che si era attenuto a una linea di rigorosa neutralità, resisten-do alle pressioni del padronato per un intervento della forza pubblica contro le fabbriche oc-

Dalle atteserivoluzionarie alcompromessosindacale

L’occupazionedelle fabbriche

La vertenzametallurgica

Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo CAPITOLO 8 167

Guardie rossedurantel’occupazione dellefabbriche, Torino,settembre 1920[Archivio centraledello Stato, Mostradella rivoluzionefascista, Roma]

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cupate. Il capo del governo riuscì a far accettare ai riluttanti industriali un accordo che ac-coglieva nella sostanza le richieste economiche della Fiom e affidava a una commissioneparitetica l’incarico di elaborare un progetto per il controllo sindacale (che peraltro nonavrebbe trovato attuazione pratica).

Sul piano sindacale, gli operai uscivano vincitori dallo scontro. Ma sulpiano politico la sensazione dominante era di delusione rispetto alle at-tese maturate nei giorni «eroici» dell’occupazione. D’altro canto, gli in-dustriali non nascondevano la loro irritazione per aver dovuto subire le

pressioni del governo. E la borghesia tutta, passata la «grande paura» della rivoluzione, co-minciava a serrare i suoi ranghi, apprestandosi a sfruttare ogni occasione di rivincita.

Queste polemiche si intrecciarono con le fratture provocate dal II con-gresso del Comintern, dove erano state fissate le condizioni per l’ammis-sione dei partiti operai all’Internazionale comunista [cfr. 6.4]. Serrati e

i massimalisti rifiutarono queste condizioni, in particolare quella che imponeva l’espulsio-ne dei riformisti, perché sapevano che in questo modo il Psi avrebbe perso buona parte deisuoi dirigenti sindacali, dei suoi deputati, dei suoi amministratori locali. Così al congressodel partito, che si tenne a Livorno nel gennaio 1921, i riformisti non vennero espulsi e fuinvece la minoranza di sinistra ad abbandonare il Psi per formare il Partito comunista d’Ita-

lia. Il nuovo partito nasceva con una base piuttosto ristretta e con un pro-gramma rigorosamente leninista, proprio nel momento in cui la prospet-tiva rivoluzionaria andava svanendo in Italia e in tutta Europa [cfr. 7.4].D’altra parte la scissione comunista non servì nemmeno a determinareuna svolta nel Psi: in questo partito la minoranza riformista rimase co-me prigioniera di una maggioranza massimalista sempre ferma nel rifiu-tare ogni ipotesi di collaborazione con le forze borghesi e sempre piùimpotente a contrastare l’ondata antisocialista che intanto andava mon-tando nel paese.

3 UN NUOVO PROTAGONISTA: IL FASCISMO

L’occupazione delle fabbriche e la scissione di Livorno segnarono in Ita-lia la fine del «biennio rosso». Provata da due anni di lotte e indebolitadalle divisioni interne, la classe operaia cominciò ad accusare i colpi del-

la crisi recessiva che stava investendo l’economia italiana ed europea e che si tradusse in unforte aumento della disoccupazione e in una perdita di potere contrattuale per i lavoratori.In questo quadro, in larga parte comune a tutta l’Europa, si inserì un fenomeno che invecenon aveva riscontro in nessun altro paese: lo sviluppo improvviso del fascismo.

Fino all’autunno del ’20, il fascismo aveva svolto un ruolo marginale nel-la vita politica: nelle elezioni del 1919 le liste dei Fasci avevano ottenutopoche migliaia di voti e nessun deputato. Tra la fine del ’20 e l’inizio del

’21, il movimento subì un rapido processo di mutazione che lo portò ad accantonare l’origi-nario programma radical-democratico, a fondarsi su strutture paramilitari – le squadred’azione – e a puntare le sue carte su una lotta spietata contro il movimento socialista, inparticolare contro le organizzazioni contadine della Valle Padana. Questa trasformazione sispiega in parte con una scelta di Mussolini, che decise di cavalcare l’ondata di riflusso anti-socialista seguita al «biennio rosso»; in parte va ricollegata alla particolare situazione delle

Lo squadrismoagrario

I Fasci dicombattimento

La nascita del Partitocomunista

Delusioneoperaia e rivalsaborghese

Guerra e rivoluzione168 MODULO 2

GUIDAALLOSTUDIO1. Quali movimenti sorsero in Italia tra il1919 e il 1920? Quali forme di lotta adotta-rono? 2. Come era composto il Parlamentopost-bellico? E il governo di Giolitti? 3. Checosa stabilì il trattato di Rapallo? 4. Su qua-li aspetti il progetto politico di Giolitti si rivelòinefficace? 5. Come si concluse l’occupa-zione delle fabbriche organizzata dalla Fiom?6. Quando e come ebbe origine il Partito co-munista d’Italia?

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campagne padane, dove il fascismo agrario si sviluppò: che erano poi le zone in cui più for-te era la presenza delle leghe rosse.

Queste ultime non solo avevano ottenuto notevoli miglioramenti salaria-li, ma controllavano il mercato del lavoro, contrattando con i proprieta-ri il numero di giornate lavorative da svolgere su ogni fondo e distribuen-

done il carico fra i propri associati. I socialisti, inoltre, disponevano di una fitta rete di coo-perative e avevano in mano buona parte delle amministrazioni comunali. Questo sistemanon era privo di aspetti autoritari (chi si sottraeva alla disciplina della lega veniva boicottato,in pratica bandito dalla comunità) e celava al suo interno non pochi motivi di debolezza: pri-mo fra tutti il contrasto fra la strategia delle organizzazioni socialiste – che privilegiavano ilruolo dei salariati senza terra – e gli interessi delle categorie intermedie (mezzadri, piccoliaffittuari, salariati fissi stabilmente impiegati nell’azienda agraria), che aspiravano a distin-guere la loro posizione da quella dei braccianti e a trasformarsi in proprietari.

Fu l’offensiva fascista ad aprire le prime brecce nell’edificio delle orga-nizzazioni rosse. Il 21 novembre 1920 a Bologna gli squadristi si mobili-tarono per impedire la cerimonia d’insediamento della nuova ammini-

strazione comunale socialista. Vi furono scontri e sparatorie dentro e fuori il municipio. Perun tragico errore i socialisti incaricati di difendere il Palazzo d’Accursio, sede del comune,spararono sulla folla, composta in gran parte dai loro stessi sostenitori, provocando una de-cina di morti. Da ciò i fascisti trassero pretesto per scatenare una serie di ritorsioni antisocia-liste in tutta la provincia. Episodi analoghi si verificarono un mese dopo nel Ferrarese, do-po l’uccisione di tre fascisti. In entrambi i casi i socialisti furono colti di sorpresa e non riu-scirono a organizzare reazioni adeguate. La loro incertezza e la loro vulnerabilità accrebbe-ro l’audacia degli avversari.

I proprietari terrieri scoprirono neiFasci lo strumento capace di abbat-tere il potere delle leghe e comin-

ciarono a sovvenzionarli generosamente. Il movimen-to fascista vide affluire nelle sue file nuove e numero-se reclute: ufficiali smobilitati che faticavano a reinse-rirsi nella vita civile, figli della piccola borghesia allaricerca di nuovi canali di promozione sociale e di af-fermazione politica; giovani e giovanissimi che nonavevano fatto in tempo a partecipare alla guerra e chetrovavano l’occasione per combattere una loro batta-glia contro i veri o presunti nemici della patria. Nel gi-ro di pochi mesi, il fenomeno dello squadrismo dilagòin tutte le province padane, estendendosi anche ad al-tre zone del Centro-nord. Pressoché immune dal con-tagio fascista rimase per il momento solo il Mezzo-giorno, con l’eccezione della Puglia, dove esisteva unafitta rete di leghe socialiste.

L’offensiva squadrista ebbe ovun-que le stesse caratteristiche. Lesquadre partivano in genere dalle

città e si spostavano in camion per le campagne, ver-so i centri rurali. Obiettivo delle spedizioni erano imunicipi, le camere del lavoro, le sedi delle leghe, le

Gli obiettividellosquadrismo

L’offensivasquadrista

I fatti diPalazzod’Accursio

Il «sistema»delle leghe

Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo CAPITOLO 8 169

Il primo direttorio del fascio cittadino, Verona, 1919[Archivio centrale dello Stato, Mostra della rivoluzione fascista, Roma]

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Case del popolo, che vennero sistematicamente devastati e incendiati, e le persone stesse deidirigenti e dei semplici militanti socialisti, sottoposti a ripetute violenze e spesso costretti alasciare il loro paese. Buona parte delle amministrazioni «rosse» della Valle Padana fu co-stretta a dimettersi. Centinaia di leghe furono sciolte e molti dei loro aderenti furono indot-ti, con le buone o con le cattive maniere, ad aderire a nuove organizzazioni costituite daglistessi fascisti, che dal canto loro promettevano di incoraggiare la formazione della piccolaproprietà coltivatrice.

Il successo travolgente dell’offensiva fascista non può spiegarsi solo confattori di ordine «militare»; né può essere imputato interamente agli er-rori dei socialisti, che pure furono molti e di non poco conto. In realtà

il movimento operaio, nel 1921-22, si trovò a combattere una lotta impari contro un nemi-co che godeva di un notevole margine di impunità, potendo giovarsi della benevola neu-tralità, o addirittura dell’aperto sostegno, di buona parte della classe dirigente e degli appa-rati statali. Quasi mai la forza pubblica, portata a vedere nei fascisti dei naturali alleati nel-la lotta contro i «rossi», si oppose con efficacia alle azioni squadristiche. La stessa magistra-tura adottò nei confronti dei fascisti criteri ben diversi da quelli usati contro i sovversivi disinistra. Ma pesanti furono anche le responsabilità del governo. Giolitti infatti, pur evitan-do di favorire apertamente lo squadrismo, guardò con malcelata compiacenza allo svilup-po del movimento fascista, pensando di servirsene per ridurre a più miti pretese i socialisti(e gli stessi popolari) e di poterlo in seguito «costituzionalizzare» assorbendolo nella mag-gioranza liberale.

In questa strategia si inquadrava la decisione di convocare nuove elezio-ni per il maggio 1921 e di favorire l’ingresso di candidati fascisti nei co-siddetti blocchi nazionali, cioè nelle liste di coalizione in cui i gruppi

Le elezioni del ’21

Le connivenzedei poteripubblici

Guerra e rivoluzione170 MODULO 2

Il termine «squadrismo» entrò nel lin-guaggio politico italiano nel primo dopo-guerra in riferimento alle azioni di violen-za organizzata e pianificata condotte dal-le formazioni paramilitari fasciste (lesquadre d’azione) contro le sedi e le per-sone fisiche dei loro avversari politici: inprimo luogo contro le organizzazioni so-cialiste delle campagne padane (perquesto si parla di squadrismo agrario).Le origini e gli sviluppi dello squadrismoitaliano, come di fenomeni analoghi ma-nifestatisi in altri paesi europei (si pensisoprattutto alla Germania dei «corpi fran-chi» e delle SA naziste), si colleganostrettamente all’esperienza della Gran-de Guerra: sia per le modalità organizza-tive delle squadre (per lo più comandateda ex ufficiali), sia per i rituali e i simboliadottati. E certamente all’esperienzabellica vanno fatti risalire la violenzaspesso efferata e il diffuso disprezzo perla vita umana che furono orgogliosamen-

te esibiti come tratti caratterizzanti del-l’attività squadristica.Negli anni del suo massimo sviluppo, trala fine del 1920 e l’estate del 1922, il fa-scismo squadrista, quello che aveva lesue roccheforti nelle province padane efaceva capo ai «ras» locali, fu considera-to da molti cosa diversa dal fascismo po-litico, a base essenzialmente urbana,impersonato soprattutto da Mussolini,al quale in una breve fase si contrappo-se esplicitamente. In realtà i «due fasci-smi» erano le facce di una stessa realtà,nessuna delle quali avrebbe potuto pre-scindere dall’altra. In molti casi le squa-dre erano nate prima dei Fasci; e un Par-tito nazionale fascista si costituì solo nelnovembre 1921, assorbendo e inqua-drando i gruppi paramilitari: fu così pro-posto un nuovo modello di formazionepolitica, quello che più tardi il politologofrancese Maurice Duverger avrebbe de-finito partito milizia (diverso sia dal mo-

dello ottocentesco del «partito elettora-le» sia da quello del più moderno partitodi massa a forte radicamento territoria-le, inventato dai socialisti). Sarebbe dun-que riduttivo vedere nello squadrismo unsemplice braccio armato del fascismo odella reazione padronale. Le squadre fu-rono invece non solo il nucleo costitutivodell’intero movimento, ma anche le de-positarie dei suoi rituali (le bandiere, lesfilate, il culto dei caduti), le custodi del-la sua anima «rivoluzionaria» e della suavocazione totalitaria.In quanto fenomeno politico rilevante, losquadrismo si esaurì con la trasforma-zione del fascismo in regime e sparì conla morte dei regimi fascisti. Da allora siparla genericamente di squadrismo perdefinire, e stigmatizzare, azioni di violen-za compiute in gruppo, e per motivi poli-tici, contro persone e cose riconducibilia uno schieramento avverso.

PAROLACHIAVE Squadrismo

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«costituzionali» (conservatori, liberali, democratici) si unirono per impedire una nuova af-fermazione dei partiti di massa. I fascisti ottenevano così una legittimazione da parte dellaclasse dirigente, senza per questo dover rinunciare ai metodi illegali. Anzi, la campagnaelettorale fornì loro lo spunto per intensificare intimidazioni e violenze contro gli avversa-ri. Ciononostante, i risultati delle urne delusero chi aveva voluto le elezioni. I socialisti su-birono una flessione piuttosto lieve (dal 32 al 25%), tenuto conto delle condizioni anoma-le in cui si era votato in molti collegi e dell’incidenza della scissione comunista (il Pci ot-tenne quasi il 5% dei voti). I popolari addirittura si rafforzarono. I grup-pi liberal-democratici migliorarono le loro posizioni, ma non tanto dariacquistare il completo controllo del Parlamento. In definitiva, la mag-gior novità fu costituita dall’ingresso alla Camera di 35 deputati fascisti,capeggiati da un Mussolini deciso a giocare il ruolo di nuovo arbitro del-la politica nazionale.

4 LA CONQUISTA DEL POTERE

L’esito delle elezioni di maggio mise praticamente fine all’ultimo esperi-mento governativo di Giolitti, che si dimise all’inizio di luglio. Il suo suc-cessore, l’ex socialista Ivanoe Bonomi, tentò di far uscire il paese dallaguerra civile favorendo una tregua d’armi fra le due parti in lotta. Una

tregua teorica fu in effetti conclusa nell’agosto 1921, con la firma di un patto di pacificazio-ne tra socialisti e fascisti. Il patto consisteva in un generico impegno per la rinuncia alla vio-lenza da ambo le parti. I socialisti, in particolare, accettavano di sconfessare le formazionidegli Arditi del popolo, ossia quei gruppi di militanti di sinistra che si erano organizzatispontaneamente in alcune città per opporsi allo squadrismo.

Il patto rientrava in quel momento nella strategia di Mussolini, che mi-rava a inserirsi nel gioco politico «ufficiale» e temeva il diffondersi di unareazione popolare contro lo squadrismo. Questa strategia non era però

condivisa dai fascisti intransigenti, che si riconoscevano nello squadrismo agrario e nei suoicapi locali, i cosiddetti ras (un nome ricalcato ironicamente su quello dei signori feudali etio-pici). I ras (Grandi a Bologna, Farinacci a Cremona, Balbo a Ferrara, per citare solo i piùnoti) sabotarono in ogni modo il patto di pacificazione e giunsero a mettere in discussionela leadership di Mussolini.

La ricomposizione delle fratture si ebbe al congresso dei Fasci tenutosi aRoma ai primi di novembre. Mussolini si rese conto di non poter fare a me-no della massa d’urto dello squadrismo agrario e sconfessò il patto di paci-

ficazione (che del resto non aveva mai funzionato sul serio). I ras riconobbero la guida politi-ca di Mussolini e accettarono la trasformazione del movimento fascista in un vero e propriopartito, cosa che avrebbe limitato non poco la loro libertà d’azione. Nasceva così il Partito na-zionale fascista (Pnf), che poteva contare su una base di oltre 200.000 iscritti.

Intanto si consumava la parabola del ministero Bonomi, che cadeva nelfebbraio del 1922. Alla guida del governo fu allora chiamato Luigi Fac-ta, un giolittiano dalla personalità alquanto sbiadita. Con la costituzione

del nuovo ministero, l’agonia dello Stato liberale entrò nella sua fase culminante. La scarsaautorità politica del governo finì col dare ulteriore spazio alla dilagante violenza squadrista.A partire dalla primavera del 1922, il fascismo si rese protagonista di operazioni sempre più

L’agonia delloStato liberale

La nascita del Pnf

L’opposizionedel fascismoagrario

Il governoBonomi e il patto di pacificazione

Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo CAPITOLO 8 171

GUIDAALLOSTUDIO1. Qual era il programma politico dei Fasci dicombattimento? 2. Contro chi agivano lesquadre d’azione in Val Padana? Con qualimetodi? 3. Da chi erano sostenute e com-poste le squadre d’azione? 4. Che cosa ac-cadde alle elezioni del 1921?

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ampie e clamorose: scorrerie che coinvolgevano intere province, occupazione in armi digrandi centri, come Ferrara, Bologna e Cremona.

A questa offensiva del fascismo – che giocava contemporaneamente sudue tavoli, quello della violenza armata e quello della manovra politica– i socialisti non seppero opporre risposte efficaci né sul piano della tat-

tica parlamentare né su quello della mobilitazione di massa. Inutile, perché tardiva, fu la de-cisione presa alla fine di luglio dal gruppo riformista del Psi di ribellarsi alla linea intransi-gente imposta dalla direzione del partito, dichiarando la propria disponibilità ad appoggiareun governo di coalizione democratica. Addirittura disastrosa nei suoi effetti si rivelò la deci-sione, presa pochi giorni dopo dai dirigenti sindacali, di proclamare per il 1° agosto uno scio-pero generale legalitario in difesa delle libertà costituzionali: i fascisti colsero il pretesto perlanciare una nuova e più violenta offensiva contro il movimento operaio, che uscì da que-sta prova materialmente e moralmente distrutto. L’unica conseguenza della ribellione deiparlamentari socialisti alla direzione del partito fu quella di affrettare una nuova e ormai inu-tile scissione. Ai primi di ottobre del 1922 – poche settimane prima che il fascismo conqui-stasse il potere – in un congresso tenuto a Roma, i riformisti guidati da Turati abbandonava-no il Psi per fondare il nuovo Partito socialista unitario (Psu).

Assicuratosi il controllo della piazza e sbaragliato il movimento opera-io, il fascismo era costretto a porsi il problema della conquista dello Sta-to. Solo insediandosi al potere il partito avrebbe potuto andare incontro

alle aspettative delle masse ormai ingenti che si raccoglievano nelle sue file ed evitare ilpericolo di una reazione di rigetto da parte di quelle forze moderate che, avendo appoggia-to lo squadrismo in funzione antisocialista, avrebbero potuto ritenerne ormai esaurito il ruo-lo. In questa delicata fase Mussolini giocò, come al solito, su due tavoli. Da un lato intrec-ciò trattative con tutti i più autorevoli esponenti liberali in vista della partecipazione fasci-sta a un nuovo governo; rassicurò la monarchia sconfessando le passate simpatie repubbli-cane; si guadagnò il favore degli industriali annunciando di voler restituire spazio all’inizia-tiva privata. Dall’altro lasciò che l’apparato militare del fascismo si preparasse apertamente

alla presa del potere mediante un colpo di Stato.Cominciò così a prender corpo ilprogetto di una marcia su Roma,ossia di una mobilitazione gene-rale di tutte le forze fasciste, conobiettivo la conquista del poterecentrale. L’inizio della mobilita-

zione fu fissato al 27 ottobre. Un piano del generenon avrebbe avuto alcuna possibilità di successo seavesse incontrato una ferma reazione da parte delleautorità. Per quanto numerose, le squadre fascisteerano pur sempre delle bande indisciplinate ed equi-paggiate in modo approssimativo, non certo in gra-do di affrontare uno scontro con l’esercito regolare.Lo stesso Mussolini credeva poco nella possibilità diun successo «militare» e pensava piuttosto di servir-si della mobilitazione come di un mezzo di pressio-ne politica, contando sulla debolezza del governo esulla benevola neutralità della corona e delle forzearmate.

Lamobilitazionefascista e il progettodella marcia su Roma

Il fascismoverso il potere

La sconfitta dei socialisti

Guerra e rivoluzione172 MODULO 2

Squadristi baresi in partenza per Roma, ottobre 1922[per gentile concessione dell’Archivio Ficarelli, Bari]

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In effetti, nel generale disfacimento dei poteri statali (il ministero Factasi dimise proprio il 27 ottobre), fu l’atteggiamento del re a risultare deci-

sivo. Vuoi perché non sicuro della lealtà dei vertici militari, vuoi perché deciso a evitare aogni costo una guerra civile, Vittorio Emanuele III rifiutò, la mattina del 28 ottobre, di fir-mare il decreto per la proclamazione dello stato d’assedio (cioè per il passaggio dei poteri al-le autorità militari), che era stato preparato in tutta fretta dal governo già dimissionario. Il ri-fiuto del re aprì alle camicie nere la strada di Roma e al loro capo la via del potere.

Forte della resa ottenuta senza colpo ferire, Mussolini non si accontentòdella soluzione auspicata dal re e dagli ambienti moderati (partecipazio-ne fascista a un governo guidato da un esponente conservatore), ma chie-

se e ottenne di essere chiamato lui stesso a presiedere il governo. La mattina del 30 ottobre,mentre alcune migliaia di squadristi cominciavano a entrare nella capitale senza incontrarealcuna resistenza, Mussolini fu ricevuto dal re. La sera stessa il nuovo gabinetto era già pron-to. Ne facevano parte, oltre a cinque fascisti, esponenti di tutti i gruppi che avevano parteci-pato ai precedenti governi: liberali giolittiani, liberali di destra, democratici e popolari.

La crisi si era dunque risolta in modo quanto meno ambiguo. I fascistigridarono al trionfo e si convinsero di aver attuato una rivoluzione che inrealtà era stata soltanto simulata. I moderati si rallegrarono per il fatto che

la legalità costituzionale, violata nei fatti, era stata rispettata almeno nelle forme. I rivoluzio-nari (massimalisti e comunisti) si illusero che nulla fosse cambiato nellasostanza, dal momento che ai loro occhi ogni governo borghese eraespressione della stessa dittatura di classe. Il paese nel suo complesso se-guì gli eventi con un misto di indifferenza e di rassegnazione. Pochi ca-pirono che il sistema liberale aveva ricevuto un colpo mortale e che ilcambio di governo sarebbe presto diventato un cambio di regime.

5 VERSO LO STATO AUTORITARIO

Una volta assunta la guida del governo, Mussolini continuò ad alternarele promesse di normalizzazione moderata alle minacce di una secondaondata rivoluzionaria. Ciò gli fu possibile anche per la miopia degli al-

leati liberali e cattolici, i cosiddetti fiancheggiatori, che continuarono ad appoggiarlo anchequando fu chiaro che il Partito fascista intendeva assumere ruolo e funzioni incompatibilicon i princìpi basilari dello Stato liberale. Nel dicembre 1922 fu istituito il Gran consigliodel fascismo, che aveva il compito di indicare le linee generali della politica fascista e di ser-vire da raccordo fra partito e governo. Nel gennaio 1923 le squadre fasciste vennero inqua-drate nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale: un corpo armato di partito cheaveva come scopo dichiarato quello di «proteggere gli inesorabili sviluppi della rivoluzione»ma che, nelle intenzioni di Mussolini, doveva anche disciplinare lo squadrismo e limitare ilpotere dei ras.

L’istituzionalizzazione della Milizia non servì peraltro a far cessare le vio-lenze illegali contro gli oppositori, alle quali ora si sommava la repressio-ne «legale» condotta dalla magistratura e dagli organi di polizia median-

te sequestri di giornali, scioglimenti di amministrazioni locali, arresti preventivi di militanti.Le vittime principali furono i comunisti, costretti già dal 1923 a una sorta di semiclandesti-nità. Le conseguenze di questa azione combinata su quel poco che restava delle organizza-

La repressionelegale

Il Granconsiglio e la Milizia

Cambio di governo o di regime?

Mussolini capodel governo

La scelta del re

Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo CAPITOLO 8 173

GUIDAALLOSTUDIO1. Che cosa stabiliva il «patto di pacificazio-ne» del 1921? 2. Chi erano i «ras»? Qualescelta imposero a Mussolini? 3. In che mo-do il Partito socialista rispose all’offensivafascista? 4. Quali forze politiche e socialiappoggiarono la marcia su Roma?

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zioni del movimento operaio furono disastrose. Il numero degli scioperi, già in rapido caloa partire dal ’21, scese nel ’23 a livelli insignificanti. I salari reali subirono una costante ri-duzione, riavvicinandosi ai livelli dell’anteguerra.

La compressione salariale era del resto una componente importante del-la politica economica del governo che, fedele alle promesse della vigilia,mirò soprattutto a restituire libertà d’azione e margini di profitto all’ini-

ziativa privata. Fu, tra l’altro, alleggerito il carico fiscale sulle imprese, privatizzato il servi-zio telefonico e contenuta la spesa statale con un energico sfoltimento dei dipendenti pub-blici – vennero licenziati soprattutto i ferrovieri, una delle categorie più sindacalizzate. Suun piano strettamente economico, la politica liberista parve ottenere discreti successi: fra il’22 e il ’25 vi fu un notevole aumento della produzione, sia industriale sia agricola, e il bi-lancio dello Stato tornò in pareggio. Questo risultato era in buona parte dovuto all’opera de-gli ultimi ministeri liberali, ma valse ugualmente a rafforzare il governo e a rinsaldare i le-gami fra potere economico e fascismo.

Un altro sostegno decisivo Mussolini lo ebbe dalla Chiesa cattolica incui, dopo l’avvento (febbraio 1922) del nuovo papa Pio XI, stavano ri-prendendo il sopravvento le tendenze più conservatrici. Per molti catto-

lici il fascismo, al di là dei suoi orientamenti ideologici, aveva il merito di aver allontanato ilpericolo di una rivoluzione socialista e di aver restaurato il principio di autorità. Dal cantosuo Mussolini, abbandonati i toni anticlericali del primo fascismo, si mostrò disposto a im-portanti concessioni. La riforma scolastica varata nella primavera del 1923 dall’allora mini-stro della Pubblica Istruzione, il filosofo Giovanni Gentile, prevedeva l’insegnamento del-la religione nelle scuole elementari e l’introduzione di un esame di Stato al termine di ogniciclo di studi: una misura da tempo richiesta dai cattolici, in quanto metteva sullo stesso pia-no scuole pubbliche e private. La prima vittima dell’avvicinamento fra Chiesa e fascismo fuil Partito popolare, considerato ormai dalle gerarchie ecclesiastiche un ostacolo sulla via delmiglioramento dei rapporti con lo Stato. Nell’aprile 1923 Mussolini impose le dimissioni deiministri popolari. Poco dopo, don Sturzo, sotto le pressioni del Vaticano, lasciò la segreteriadel Ppi.

Liberatosi del più forte e del più scomodo fra i suoi alleati di governo,Mussolini aveva il problema di rafforzare la sua maggioranza parlamen-tare, sanzionando al tempo stesso la posizione di preminenza del fasci-

smo. Fu questo lo scopo della nuova legge elettorale maggioritaria, varata nel luglio 1923col voto favorevole di buona parte dei liberali e dei cattolici di destra. La legge avvantaggia-va vistosamente la lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa (con almeno il 25% deivoti) assegnandole i due terzi dei seggi disponibili. Quando, all’inizio del 1924, la Camerafu sciolta, molti esponenti liberali (compresi Orlando e Salandra) e alcuni cattolici conser-vatori accettarono di candidarsi assieme ai fascisti nelle liste nazionali presentate in tutti icollegi col simbolo del fascio. Si riformava così il blocco delle elezioni del ’21, ma questavolta a parti invertite, con i fascisti in posizione dominante. Le forze antifasciste erano inve-ce profondamente divise. I due partiti socialisti, i comunisti, i popolari, i liberali d’opposizio-ne guidati da Giovanni Amendola e gli altri partiti minori si presentarono ciascuno con pro-prie liste: il che significava condannarsi a sicura sconfitta.

Nonostante questo vantaggio iniziale, i fascisti non rinunciarono alla vio-lenza contro gli avversari, sia durante la campagna elettorale sia nel cor-so delle votazioni, che ebbero luogo il 6 aprile 1924. La scontata vittoria

fascista assunse così proporzioni clamorose, tanto da rendere inutile il meccanismo della leg-ge maggioritaria: le «liste nazionali», infatti, ottennero il 65% dei voti e più di tre quarti dei

Le elezioni del ’24

La nuova leggeelettorale

L’avvicinamentotra Chiesa e fascismo

La politicaliberista

Guerra e rivoluzione174 MODULO 2

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seggi. Il successo fu massiccio soprattutto nel Mezzo-giorno e nelle isole, cioè nelle regioni in cui il fasci-smo aveva minori radici, ma si era rapidamente ingros-sato, dopo l’andata al governo, con l’adesione dei no-tabili moderati e delle loro clientele. Un dato che con-fermava come ormai il fascismo avesse sostituito laclasse dirigente liberal-moderata nella guida del bloc-co conservatore.

A poco più di due mesi dalle ele-zioni, un evento tragico e inattesointervenne a mutare bruscamente

lo scenario. Il 10 giugno 1924, il deputato GiacomoMatteotti, segretario del Partito socialista unitario, furapito a Roma da un gruppo di squadristi (membri diun’organizzazione illegale alle dipendenze del Pnf),caricato a forza su un’auto e ucciso a pugnalate. Il suocadavere, abbandonato in una macchia boscosa a po-chi chilometri dalla capitale, fu trovato solo due mesidopo. Dieci giorni prima di essere ucciso, Matteottiaveva pronunciato alla Camera una durissima requisi-toria contro il fascismo, denunciandone le violenze econtestando la validità dei risultati elettorali. Era dun-que naturale che la sua scomparsa suscitasse nell’opi-nione pubblica, pur assuefatta alla violenza politica,un’ondata di indignazione contro il fascismo e il suocapo. Sebbene gli esecutori materiali del crimine fos-sero stati arrestati dopo pochi giorni, né allora né in seguito si poterono individuare con cer-tezza i mandanti diretti. Il paese capì tuttavia che il delitto era il risultato di una pratica or-mai consolidata di violenze e di impunità, di cui Mussolini e i suoi seguaci portavano inte-ra la responsabilità. Il fascismo, che fino a pochi giorni prima era parso inattaccabile, si tro-vò improvvisamente isolato.

Ma l’opposizione, drasticamente ridimensionata dalle elezioni, non ave-va la possibilità di mettere in minoranza il governo, né d’altra parte era

in grado di affrontare una prova di forza sul piano della mobilitazione di piazza. L’unica ini-ziativa concreta presa dai gruppi d’opposizione fu quella di astenersi dai lavori parlamenta-ri e di riunirsi separatamente finché non fosse stata ripristinata la legalità democratica. Lasecessione dell’Aventino – come fu definita con un termine tratto dalla storia romana – ave-va un indubbio significato ideale, ma era di per sé priva di qualsiasi efficacia pratica. I parti-ti «aventiniani» si limitarono infatti ad agitare di fronte all’opinione pubblica una «questio-ne morale», sperando in un intervento della corona o in uno sfaldamento della maggioran-za fascista. Ma il re non intervenne. E i fiancheggiatori, pur accentuando le loro critiche al-l’illegalismo fascista, non tolsero l’appoggio al capo del governo.

Nel giro di pochi mesi l’ondata antifascista rifluì. E Mussolini, premutodall’ala intransigente del fascismo, decise di contrattaccare. Il 3 gennaio1925, in un discorso alla Camera, il capo del governo ruppe ogni caute-

la legalitaria, dichiarò chiusa la «questione morale» e minacciò apertamente di usare la for-za contro le opposizioni. Nei giorni successivi, un’ondata di arresti, perquisizioni e sequestrisi abbatté sui partiti d’opposizione e sui loro organi di stampa. Anziché provocare la fine del-

Dal governoautoritario alla dittatura

L’Aventino

Il delittoMatteotti

Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo CAPITOLO 8 175

Giacomo Matteotti esce dalla Camera dei deputati, 1922

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l’avventura fascista, la crisi Matteotti aveva determinato la disfatta dei partiti democratici eaccelerato il passaggio da un governo autoritario a una vera e propria dittatura.

A questo punto non restava spazio per equivoci e compromessi. La scel-ta era tra fascismo e antifascismo, tra dittatura e libertà. Molti politici e

uomini di cultura che avevano fin allora mantenuto nei confronti del fascismo un atteggia-mento di benevola neutralità sentirono la necessità di prendere posizione. A un «Manifestodegli intellettuali del fascismo» diffuso nell’aprile ’25 per iniziativa di Giovanni Gentile (di-venuto ormai il filosofo ufficiale del fascismo), gli antifascisti risposero con un «contromani-festo» redatto da Benedetto Croce, che rivendicava i diritti di libertà ereditati dalla tradizio-ne risorgimentale.

Ma intanto il fascismo portava a compimento l’occupazione dello Statoe chiudeva ogni residuo spazio di libertà politica e sindacale. Molti espo-nenti antifascisti furono costretti a prendere la via dell’esilio. Giovanni

Amendola morì in Francia nell’estate del ’26 in seguito ai postumi di un’aggressione squa-drista. Sempre in Francia era morto pochi mesi prima il giovane liberale di sinistra PieroGobetti che era stato, con la sua rivista «La Rivoluzione Liberale», uno degli animatori deldibattito politico fra il ’22 e il ’24. Gli organi di stampa dei partiti antifascisti furono messinell’impossibilità di funzionare. I grandi quotidiani di informazione, che avevano assuntouna linea antifascista dopo il delitto Matteotti, furono «fascistizzati» mediante pressioni suiproprietari. Nell’ottobre ’25, il sindacalismo libero ricevette un colpo mortale dal patto diPalazzo Vidoni, con cui la Confindustria si impegnava a riconoscere la rappresentanza deilavoratori ai soli sindacati fascisti.

Eliminate o ridotte al silenzio le voci d’opposizione, il fascismo non si ac-contentò più di esercitare una dittatura di fatto, ma procedette alla for-mulazione di nuove leggi destinate a stravolgere definitivamente i conno-

tati dello Stato liberale. Una serie di falliti attentati alla vita di Mussolini (ben quattro in un

La legislazioneautoritaria

La chiusuradegli spazi di libertà

La scelta

Guerra e rivoluzione176 MODULO 2

Mussolini allaCamera, 3 gennaio1925

«Ebbene dichiaroqui, al cospetto diquesta Assembleae al cospetto ditutto il popoloitaliano, che ioassumo, io solo, laresponsabilitàpolitica, morale,storica di quanto èavvenuto. [...] Se ilfascismo è statoun’associazione adelinquere, sono ilcapo di questaassociazione adelinquere». Questele parole con cuiMussolini chiused’autorità la crisipolitica e moraleche si era apertadopo il delittoMatteotti, ponendole premesse perl’instaurazione delladittatura.

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solo anno) servì a creare il clima adatto al varo della nuova legislazione, che ebbe il suo mag-gior artefice nel ministro della Giustizia Alfredo Rocco, proveniente dalle file dell’Associa-zione nazionalista (che si era fusa col Pnf nel febbraio 1923). La prima importante legge co-stituzionale del regime fu quella del dicembre ’25 che rafforzava i poteri del capo del go-verno sia rispetto agli altri ministri sia rispetto al Parlamento. Nell’aprile ’26, una legge sin-dacale proibì lo sciopero e stabilì che solo i sindacati «legalmente riconosciuti» (cioè quel-li fascisti) avevano il diritto di stipulare contratti collettivi.

Infine, nel novembre ’26, all’indomani dell’ultimo attentato a Mussoli-ni, una vera e propria raffica di provvedimenti repressivi cancellò le ulti-me tracce di vita democratica. Furono sciolti tutti i partiti antifascisti e

soppresse tutte le pubblicazioni contrarie al regime. Furono dichiarati decaduti dal manda-to i deputati aventiniani. Fu reintrodotta la pena di morte per i colpevoli di reati «contro lasicurezza dello Stato». Fu istituito, per giudicare questi reati, un Tribunale speciale per ladifesa dello Stato composto non da giudici ordinari, ma da ufficiali delle forze armate e del-la Milizia.

La costruzione del regime sarebbe stata completata successivamente:con la legge elettorale del 1928, che introduceva il sistema della listaunica (con tanti candidati quanti erano i seggi da occupare) e lasciava

agli elettori solo la scelta se approvarla o respingerla in blocco; e con la«costituzionalizzazione» del Gran consiglio che, sempre nel ’28, diven-tò un organo dello Stato, dotato di prerogative molto importanti, fra cuiquella di preparare le liste elettorali.

Ma già le leggi «fascistissime» del ’26 avevano messo fine alla parabo-la dello Stato liberale nato con l’unità d’Italia e avevano dato vita a unnuovo regime: un regime a partito unico, in cui la separazione dei pote-ri era stata abolita e tutte le decisioni importanti erano concentrate nellemani di un solo uomo. Un regime che si differenziava dagli antichi siste-mi assolutistici perché non si accontentava di reprimere e controllare lemasse, ma pretendeva di inquadrarle in proprie organizzazioni.

La fine delloStato liberale

Le leggi«fascistissime»

Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo CAPITOLO 8 177

GUIDAALLOSTUDIO1. Da chi era composto il primo gabinetto pre-sieduto da Mussolini? In che modo le diver-se forze politiche guardarono al nuovo gover-no? 2. Quali funzioni ebbero il Gran consi-glio e la Milizia? 3. Che atteggiamento ebbeil papa Pio IX nei confronti del fascismo? 4.Descrivi il funzionamento della legge eletto-rale introdotta dai fascisti nel 1924. 5. Checosa fu la «secessione dell’Aventino»? 6.Spiega l’importanza del discorso di Mussoli-ni alla Camera, il 3 gennaio 1925. 7. Qualisono le più importanti leggi promulgate a par-tire dal 1925?

I problemi del dopoguerra In Italia iproblemi del dopoguerra furonoaggravati dalla crisi della classedirigente liberale. I cattoliciabbandonarono la linea astensionisticae diedero vita a una nuova formazionepolitica, il Partito popolare (1919). Isocialisti, invece, conquistaronomoltissimi nuovi consensi ma nonriuscirono a superare le divisioniinterne al partito, dove continuavano aessere prevalenti le correntirivoluzionarie. In relazione alle vicendedella conferenza di Parigi, si diffuse tral’opinione pubblica un atteggiamento dirisentimento verso gli ex alleati (la«vittoria mutilata») e il governo.

Clamorosa fu la protesta attuata daD’Annunzio con l’occupazione di Fiume(settembre 1919).

Il «biennio rosso» in Italia Sul pianointerno, il biennio 1919-20 fu una fasedi acute agitazioni sociali: moti contro ilcaro-viveri, scioperi operai e agrari,occupazione delle terre. Le elezioni delnovembre 1919, tenute col sistemaproporzionale, segnarono la sconfittadelle forze liberali e il successo disocialisti e popolari. Nel giugno 1920Giolitti tornò al potere. Durante il suogoverno fu risolta la questione di Fiume(trattato di Rapallo e fine dell’impresadannunziana). Fallì, tuttavia, il disegnogiolittiano di ridimensionare le spinte

rivoluzionarie. Il maggior episodio diconflittualità del periodo ful’occupazione delle fabbriche(settembre ’20), la cui conclusioneaccentuò le divisioni nel movimentosocialista. Al congresso socialista diLivorno del gennaio 1921, la correntedi sinistra si scisse dal Psi e fondò ilPartito comunista.

Un nuovo protagonista: il fascismoTra la fine del ’20 e l’inizio del ’21 iFasci di combattimento, fondati daMussolini nel ’19, si qualificaronodecisamente in senso antisocialista. Leazioni squadristiche colpirono sedi edesponenti del movimento operaio econtadino del Centro-nord, in

SINTESICAPITOLO8

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Guerra e rivoluzione178 MODULO 2

particolare le leghe rosse nella VallePadana. Le cause della repentinacrescita del fascismo agrario furonovarie: forza «militare», connivenza deipubblici poteri, tentativo di Giolitti diusare i fascisti per ridurre alla ragionesocialisti e popolari, ma ancheconsensi in quelle categorie contadineche mal sopportavano il controlloesercitato dalle organizzazionisocialiste nelle campagne.L’inserimento nei «blocchi nazionali»(elezioni del maggio 1921) diede alfascismo una completa legittimazione.

La conquista del potere Profittandodella debolezza dei governi liberali, ifascisti si resero protagonisti diimprese sempre più clamorose.Mussolini, mentre trattava con i

principali leader liberali per unapartecipazione al governo, lasciò che lemilizie fasciste si preparassero per uncolpo di Stato. Il successo della marciasu Roma (28 ottobre 1922) fu resopossibile dal rifiuto del re di firmare lostato d’assedio.

Verso lo Stato autoritario Una voltaal potere, Mussolini attuò una politicaautoritaria e creò nuovi istituti – il Granconsiglio del fascismo e la Milizia –incompatibili con i princìpi liberali. Altempo stesso continuò a collaborarecon forze politiche non fasciste. Oltreall’appoggio di liberali e cattolici,Mussolini poteva valersi di quello delpotere economico, nonché delsostegno della Chiesa. I risultati delleelezioni del 1924, tenute secondo una

nuova legge maggioritaria, rafforzaronoulteriormente il fascismo. Nel giugno’24, però, il deputato socialistaMatteotti fu assassinato da un gruppodi squadristi e l’ondata di sdegno chene seguì fece vacillare il potere diMussolini. Le opposizioniabbandonarono la Camera (secessionedell’Aventino), ma non riuscirono amettere in crisi il governo. Col discorsodel 3 gennaio ’25 Mussolini riacquistòil controllo della situazione. Tra il ’25 eil ’26 si consumò la fine dello Statoliberale: «fascistizzazione» dellastampa, persecuzione degli antifascisti,rafforzamento dei poteri del capo delgoverno, legge «per la difesa delloStato», che, tra l’altro, istituiva ilTribunale speciale, scioglimento di tuttii partiti (tranne quello fascista).

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