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-1- CAPITOLO I - LA LIRICA ITALIANA DEL DUECENTO -Gruppo di Testi- I – La scuola Siciliana I.1.2 - La politica culturale di Federico II Federico II, De le mia disïanza De le mia disïanza c'ò penato ad avire, mi fa sbaldire - poi ch'i' n'ò ragione, chè m'à data fermanza com'io possa compire [ lu meu placire ] - senza ogne cagione, a la stagione - ch'io l'averò ['n] possanza. Senza fallanza - voglio la persone, per cui cagione - faccio mo' membranza. A tut[t]ora membrando de lo dolze diletto ched io aspetto, - sonne alegro e gaudente. Vaio tanto tardando, chè paura mi metto ed ò sospetto - de la mala gente, che per neiente - vanno disturbando e rampognando - chi ama lealmente; ond'io sovente - vado sospirando. Sospiro e sto '[n] rancura; ch'io son sì disioso e pauroso - mi face penare. Ma tanto m'asicura lo suo viso amoroso, e lo gioioso - riso e lo sguardare e lo parlare - di quella criatura, che per paura - mi face penare e dimorare: - tant'è fine e pura. Tanto è sagia e cortise, no creco che pensasse, nè distornasse - di ciò che m'à impromiso. Da la ria gente aprise da lor non si stornasse, che mi tornasse - a danno chi gli ò offiso, e ben mi à miso - [ . . . -ise] [ . . . -ise] - in foco, ciò m'è aviso, che lo bel viso - lo cor m'adivise. Diviso m'à lo core

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CAPITOLO I - LA LIRICA ITALIANA DEL DUECENTO -Gruppo di Testi-

I – La scuola Siciliana

I.1.2 - La politica culturale di Federico II

Federico II, De le mia disïanza De le mia disïanza c'ò penato ad avire, mi fa sbaldire - poi ch'i' n'ò ragione, chè m'à data fermanza com'io possa compire [ lu meu placire ] - senza ogne cagione, a la stagione - ch'io l'averò ['n] possanza. Senza fallanza - voglio la persone, per cui cagione - faccio mo' membranza. A tut[t]ora membrando de lo dolze diletto ched io aspetto, - sonne alegro e gaudente. Vaio tanto tardando, chè paura mi metto ed ò sospetto - de la mala gente, che per neiente - vanno disturbando e rampognando - chi ama lealmente; ond'io sovente - vado sospirando. Sospiro e sto '[n] rancura; ch'io son sì disioso e pauroso - mi face penare. Ma tanto m'asicura lo suo viso amoroso, e lo gioioso - riso e lo sguardare e lo parlare - di quella criatura, che per paura - mi face penare e dimorare: - tant'è fine e pura. Tanto è sagia e cortise, no creco che pensasse, nè distornasse - di ciò che m'à impromiso. Da la ria gente aprise da lor non si stornasse, che mi tornasse - a danno chi gli ò offiso, e ben mi à miso - [ . . . -ise] [ . . . -ise] - in foco, ciò m'è aviso, che lo bel viso - lo cor m'adivise. Diviso m'à lo core

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e lo corpo à 'n balìa; tienmi e mi lia - forte incatenato. La fiore d'ogne fiore prego per cortesia, che più non sia - lo suo detto fallato, nè disturbato - per inizadore, nè suo valore - non sia menovato, nè rabassato - per altro amadore.

Federico II, Misura, providenzia e meritanza Misura, providenzia e meritanza fanno esser l'uomo sagio e conoscente e ogni nobiltà bon sen[n]'avanza e ciascuna ric[c]heza fa prudente. Nè di ric[c]heze aver grande abundanza faria l'omo ch'è vile esser valente, ma della ordinata costumanza discende gentileza fra la gente. Omo ch'è posto in alto signoragio e in riccheze abunda, tosto scende, credendo fermo stare in signoria. Unde non salti troppo omo ch'è sagio, per grande alteze che ventura prende, ma tut[t]ora mantegna cortesia.

Re Enzo, Amor mi fa sovente

Enzo fu il figlio naturale di Federico II ma non si sa con certezza di qual madre. Fu per concorde riconoscimento quello che « plus valuit » fra tutt’i figli dell’imperatore svevo, prode combattente e collaboratore politico del padre, in particolare come suo vicario nell’Italia settentrionale. Catturato dai guelfi bolognesi nel 1249 alla battaglia di Fossalta presso Modena rimase prigioniero in Bologna fino alla morte avvenuta nel 1272, sopravvivendo al disastro di tutti gli Hohenstaufen.

Come il padre scrisse poesie. Quella che segue : Amor mi fa sovente, è una « canzone di lontananza » in cui s’insinuano dubbi sulla persistenza d’un « foco d’amor » non riacceso dall’occhio.

Amor mi fa sovente lo meo core pensare, dàmi pene e sospiri; e son forte temente1, per lungo adimorare2, ciò che por[r]ia aveniri.

1 « temo fortemente ». 2 « per la lunga assenza ».

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Non c'aggia dubitanza3 de la dolze speranza4 che 'nver di me fallanza ne facesse5, ma tenemi 'n dottanza la lunga adimoranza di ciò ch'adivenire ne potesse. Però6 nd'7 aggio paura e penso tuttavia de lo suo gran valore : se tropp’ è mia dimora, eo viver non poria, così mi stringe Amore ed hami così priso, in tal guisa conquiso8, che 'n altra parte non ho pensamento9, e tuttor m'è aviso10 di veder lo bel viso, e tegnolomi in gran confortamento. Conforto e11 non ho bene: tant'è lo meo pensare12, che gioi non poss’ avire. Speranza mi mantene13, e fami confortare che spero tosto gire là 'v'è la più avenente14, l'amorosa piacente, quella che m'àve e tene in sua bailia15 : non falserò neiente16 per altra al meo vivente17, ma tuttor la terrò per donna mia. Ancora ch'io18 dimore lungo tempo e non veia

3 « dubbio ». 4 « l’amata ». 5 « possa fare ». Proprio dei dialetti meridionali è l’uso del congiuntivo imperfetto al posto del congiuntivo presente. 6 « perciò ». 7 ‘nd(e) = « ne ». 8 « catturato ». 9 « non penso altrove » cioè ad un’altra persona. 10 « ma mi par sempre ». 11 « eppure ». 12 « la mia preoccupazione ». 13 « mi tiene in vita ». 14 « la più leggiadra ». 15 « quella che mi ha e mi tiene in sua balìa ». 16 « non commetterò tradimento affatto ». 17 « in vita mia ». “al meo vivente” è in gallicismo. 18 « benché ».

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la sua chiarita spera19, e lo suo gran valore, spesso mi venìa, ch'i' penso ogne manera che lei deggia piacere, e sono al suo volere istato, e serò senza fallanza. Ben voi' fare a savere20 c'amare e non vedere sì mette fin amore in obrïanza. Va’, canzonetta mia, e saluta Messere, dilli lo mal ch'i' aggio: quelli che m'à 'n bailia sì distretto21 mi tene ch'eo viver non poraggio. Salutami Toscana, quella ched è sovrana22, [ed] in cui regna tutta cortesia; e vanne in Puglia piana, la magna Capitana23, là dov'è lo mio core nott'e dia.

I.3 – I principali rappresentanti

I.3.1 - Giacomo da Lentini

Giacomo da Lentini, Meravigliosamente*

Meravigliosamente un amor mi distringe e mi tene ad ogn’ora. Com’om che pone mente in altro exemplo pinge 5 la similie pintura, così, bella, facc’eo, che ‘nfra lo core meo porto la tua figura. In cor par ch’eo vi porti, 10 pinta como parete, e non pare di fore.

19 « il suo sole lucente » cioè il suo viso bagnato di luce. Si tratta di un luogo comune presso i Siciliani. 20 « voglio bensì far sapere ». « Savere » è un gallicismo. 21 « stretto ». 22 « alta in pregio ». 23 A Foggia, centro della Capitanata.

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O Deo, co’ mi pare forte. Non so se lo sapete, con’ v’amo di bon core: 15 ch’eo son sì vergognoso ca pur vi guardo ascoso e non vi mostro amore. Avendo gran disio, dipinsi una pintura, 20 bella, voi simigliante, e quando voi non vio, guardo ‘n quella figura, e par ch’eo v’aggia avante : come quello che crede 25 salvarsi per sua fede, ancor non veggia inante. Al cor m’arde una doglia, com’om che ten lo foco a lo suo seno ascoso, 30 e quando più lo ‘nvoglia, allora arde più loco e non pò stare incluso : similemente eo ardo quando pass’ e non guardo 35 a voi, vis’amoroso. S’eo guardo, quando passo, inver’ voi, non mi giro, bella, per risguardare. Andando, ad ogni passo 40 getto un gran sospiro che facemi ancosciare; e certo bene ancoscio, c’a pena mi conoscio, tanto bella mi pare. 45 Assai v’aggio laudato, Madonna, in tutte parti di bellezze ch’avete. Non so se v’è contato ch’eo lo faccia per arti, 50 ché voi pur v’ascondete. Sacciatelo per singa, zo ch’eo non dico a linga, quando voi mi vedrite. Canzonetta novella, 55 va’ canta nova cosa ; lévati da maitino

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davanti a la più bella, fiore d’ogni amorosa, bionda più c’auro fino : 60 « Lo vostro amor, ch’è caro, donatelo al Notaro ch’è nato da Lentino ».

Giacomo da Lentini, AMOR È UN DESIO*…

Amor è un desio che ven da core per abondanza di gran piacimento ; e li occhi in prima generan l’amore e lo core li dà nutricamento. Ben è alcuna fiata om amatore 5 senza vedere so ‘namoramento, ma quell’amor che stringe con furore da la vista de li occhi ha nascimento: ché li occhi rapprensentan a lo core d’onni cosa che veden bono e rio, 10 com’è formata naturalmente ; e lo cor, che di zo è concepitore, imagina, e li piace quel desio : e questo amore regna fra la gente.

Giacomo da Lentini, CHI NON AVESSE…

Chi non avesse mai veduto foco, no crederia che cocere potesse, anti li sembraria solazzo e gioco lo so isprendore, quando lo vedesse ; ma s’ello lo toccasse in alcun loco, 5 be.lli sembrara che forte cocesse. Quello d’Amore m’ha toccato un poco : molto me coce ; Deo, che s’aprendesse ! Che s’aprendesse in voi, madonna mia ! che vi mostrate dar solazzo amando, 10 e voi mi date pur pen’ e tormento. Certo l’Amore fa gran vilania, che no distringe te che vai gabando ; a me, che servo, non dà isbaldimento.

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Giacomo da Lentini, IO M’AGGIO POSTO *…

Io m’aggio posto in core a Dio servire, com’io potesse gire in paradiso, al santo loco ch’aggio audito dire, u’ si mantien sollazzo, gioco e riso. Sanza mia donna non vi voria gire, 5 quella c’ha blonda testa e claro viso, ché sanza lei non poteria gaudere, estando da la mia donna diviso. Ma no lo dico a tale intendimento, perch’io peccato ci volesse fare; 10 se non veder lo suo bel portamento e lo bel viso e ‘l morbido sguardare: ché lo mi teria in gran consolamento, veggendo la mia donna in ghiora stare.

Giacomo da Lentini, MADONNA HA ‘N SÉ *…

Madonna ha ‘n sé vertute con valore, più che null’altra gemma prezïosa : ché isguardando mi tolse il core, cotant’è di natura vertudiosa. Più luce sua beltate e dà sprendore 5 che non fa ‘l sole né null’autra cosa : de tutta l’autre ell’è sovran’ e frore, ché nulla apareggiare a lei non osa. Di nulla cosa non ha mancamento, né fu ned è né non serà sua pare, 10 né ‘n cui si trovi tanto complimento, e credo ben, se Dio l’avesse a fare, non vi mettrebbe sì Su’ ‘ntendimento che la potesse simile formare.

I.3.2 - Guido delle Colonne

Guido delle Colonne, Ancor che l'aigua per lo foco lassi *

Ancor che l'aigua per lo foco lassi la sua grande freddura, non cangerea natura s'alcun vasello in mezzo non vi stasse,

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anzi averria senza lunga dimora 5 che lo foco astutasse, o che l'aigua seccasse; ma per lo mezzo l'uno e l'autro dura. Cusì, gentil criatura, in me ha mostrato Amore 10 l'ardente suo valore, che senza Amore er'aigua fredda e ghiaccia : ma Amor m'ha allumato di fiamma che m'abraccia, ch'eo fora consumato 15 se voi, donna sovrana, non fustici mezzana infra l'Amore e meve, che fa lo foco nascere di neve. Imagine di neve si pò dire 20 om che no ha sentore d'amoroso calore: ancor sia vivo, non si sa sbaudire. Amore è uno spirito d'ardore, che non si pò vedire, 25 ma sol per li sospiri si fa sentire in quel ch'è amadore : cusì, donna d'aunore, lo meo gran sospirare vi poria certa fare 30 de l'amorosa flamma und'eo so involto. Ma non so com'eo duro, sì m'ave preso e tolto; ma parm' esser sicuro che molti altri amanti 35 per amor tutti quanti, funo perduti a morte, che non amâro quant'eo nè sì forte. Eo v'amo tanto, che mille fïate in un'or si m'arranca 40 lo spirito che manca, pensando, donna, la vostra beltate ; e lo disïo c'ho lo cor m'abranca, crescemi volontate, mettemi 'n tempestate 45 ogna penseri che mai non si stanca. O colorita e blanca gioia de lo meo bene speranza mi mantene, e s'eo languisco, non posso morire : 50 ca, mentre viva sete, eo non poria fallire,

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ancor che fame e sete lo corpo meo tormenti; ma sol ch'eo tegna menti 55 vostra gaia persona, obbrio la morte, tal forza mi dona. Eo non credo sia [già] quel[lo] ch'avia, lo spirito che porto, ched eo fora già morto, 60 tant'ho passato male tuttavia : lo spirito ch’i’ aggio, und'eo mi sporto, credo lo vostro sia, che nel meo petto stia e abiti con meco in gran diporto. 65 Or mi son bene accorto, quando da voi mi venni, che quando mente tenni vostro amoroso viso netto e chiaro, li vostri occhi piagenti 70 allora m'addobraro, che mi tennero menti e diedermi nascoso uno spirto amoroso, ch'assai mi fa più amare 75 che no amò null'altro, ciò mi pare. La calamita contano i saccenti che trare non poria lo ferro per maestria, se no che l'aire in mezzo le ‘l consenti. 80 Ancor che calamita petra sia, l'altre petre neenti non son cusì potenti a traier perchè non hano bailia. Così, madonna mia, 85 l'Amor s'è apperceputo che non m'avria potuto traer’ a sè se non fusse per voi ; e sì son donne assai, ma no nulla per cui 90 eo mi movesse mai, se non per voi, piagente, in cui è fermamente la forza e la vertuti. Adonque prego l'Amor che m'aiuti. 95

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Guido delle Colonne, GIOIOSAMENTE CANTO*

Gioisamente canto e vivo in allegranza, Ca per la vostr’amanza, madonna, gran gioi sento. S’eo travagliai cotanto, 5 or aggio riposanza : ben aia disïanza che vene a compimento; ca tutto mal talento – torna in gioi, quandunqua l’allegranza ven dipoi; 10 und’eo m’allegro di grande ardimento: un giorno vene, che val più di cento. Ben passa rose e fiore la vostra fresca cera, lucente più che spera ; 15 e la bocca aulitosa più rende aulente aulore che non fa d’una fera c’ha nome la pantera, che ‘n India nasce ed usa. 20 Sovr’ogn’agua, amorosa – donna, sete fontana che m’ha tolta ognunqua sete, per ch’eo son vostro più leale e fino che non è al suo signore l’assessino. Come fontana piena, 25 che spande tutta quanta, così lo meo cor canta, sì fortemente abonda de la gran gioi che mena, per voi, madonna, spanta, 30 che certamente è tanta, non ha dove s’asconda. E più c’augello in fronda – so’ gioiso, e bene posso cantar più amoroso che non canta già mai null’altro amante 35 uso di bene amare oltrapassante. Ben mi deggio allegrare d’Amor che ‘mprimamente ristrinse la mia mente d’amar voi, donna fina ; 40 ma più deggio laudare voi, donna caunoscente, donde lo meo cor sente la gioi che mai non fina. Ca se tutta Messina – fusse mia, 45 senza voi, donna, nente mi saria : quando con voi a sol mi sto, avenente, ogn’altra gioi mi pare che sia nente.

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La vostra gran biltate m’ha fatto, donna, amare, 50 e lo vostro ben fare m’ha fatto cantadore: ca, s’eo canto la state, quando la fiore apare, non poria ubrïare 55 di cantar la fred[d]ore. Così mi tene Amore – corgaudente, ché voi siete la mia donna valente. Solazzo e gioco mai non vene mino : così v’adoro como servo e ‘nchino. 60

Guido delle Colonne, La mia gran pena e lo gravoso affanno La mia gran pena e lo gravoso af[f]anno, c'ho lungiamente per amor patuto, madonna lo m'ha 'n gioia ritornato; pensando l'avenente di mio danno, in sua merze[de] m'àve riceputo e lo sofrire mal m'ha meritato: ch'ella m'ha dato - tanto bene avire, che lo sofrire - molta malenanza agi' ubriato, e vivo in allegranza. Allegro son ca tale segnoria aggio acquistata, per mal soferire, in quella che d'amar non vao cessando. Certo a gran torto lo mal blasmeria, chè per un male aggio visto avenire poco di bene andare amegliorando, ed atardando - per molto adastiare un grand'af[f]are - tornare a neiente. Chi vole amar, dev' essere ubidente. Ubidente son stato tut[t]avia, ed ho servuto adesso co leanza a la sovrana di conoscimento, quella che lo meo core distringìa ed ora in gioia d'amore mi 'navanza. Soferendo aggio avuto compimento, e per un cento - m'àve più di savore lo ben c'Amore - mi face sentire per lo gran mal che m'ha fatto sofrire. Se madona m'ha fatto sof[e]rire per gioia d'amore avere compimento, pene e travaglia ben m'ha meritato; poi ch'a lei piace, a me ben de' piacire, che nd'aggio avuto tanto valimento: sovr'ogne amante m'àve più 'norato, c'aggio aquistato - d'amar la più sovrana:

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chè, se Morgana - fosse infra la gente, inver madonna non paria neiente. Neiente vale amor sanza penare: chi vole amar, conviene mal patire, onde mille mercè n'aggia lo male che m'à[ve] fatto in tanto ben montare, ch'io non aggio infra la gente ardire di dir la gioia ove il mi' core sale. Or dunque vale - meglio poco avire, che ben sentire - troppo a la stagione: per troppo ben diventa omo fellone.

I.3.3 - Giacomo Pugliese

Giacomino Pugliese, Morte, perchè m'ài fatta sì gran guerra Morte, perchè m'hai fatta sì gran guerra, che m'hai tolta madonna, ond'io mi doglio? La fior24 de le bellezze mort'hai25 in terra, per che lo mondo non amo nè voglio. Villana morte, che non ha’ pietanza, disparti26 amore e togli l'allegranza e dài cordoglio, la mia alegranza post'hai in gran tristanza, ché m'hai tolto la gioia e l'alegranza ch'avere soglio. Solea avere sollazo e gioco e riso più che null'altro cavalier che sia : or n'è gita madonna in paradiso, portòne la dolze speranza mia ; lasciòmi in pene e con sospiri e planti, levòmi da [sollazo e] gioco e canti e compagnia : or no la veggio, né le sto davanti, e non mi mostra li dolzi sembianti che [far] solia. Oi Deo, perchè m'hai posto in tale iranza27 ch'io son smarruto, non so ove mi sia ? ché m'hai levata la dolze speranza, partit'hai la più dolze compagnia che sia in nulla parte, ciò m'è aviso28. Madonna, chi lo tene lo tuo viso

24 « Fiore » è femminile qui come in qualche dialetto ed in francese. 25 « hai ucciso ». 26 « dividi ». 27 « cruccio ». « iranza » è un gallicismo. 28 « mi pare » gallicismo.

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in sua balìa? lo vostro insegnamento e dond'è miso? e lo tuo franco29 cor chi mi l'ha priso, [oi]donna mia? Ov'è madonna e lo suo insegnamento, la sua belleza e la gran canoscianza30, lo dolze riso e lo bel parlamento31, gli occhi e la bocca e la bella sembianza, suo adornamento e cortesia? Madonna, per cui stava tuttavia in alegranza, or no la veggio nè notte nè dia, non m'abella32, sì come far solia in sua sembianza. Se fosse mio 'l reame d'Ungaria con Greza e Lamagna33 infino in Franza, lo gran tesoro di Santa Sofia34, non poria ristorar sì gran perdanza35 come fu in quella dia che si n'andao madonna, d’esta vita trapassao, con gran tristanza, sospiri e pene e pianti mi lasciao ; e già mai nulla gioia mi mandao per confortanza. Se fosse al meo voler, donna, di voi, dicesse a Dio sovran, che tutto face, che giorno e notte istessimo ambonduoi36 : or sia il voler di Dio, da cl'a Lui piace. Membro37 e ricordo quand'era comeco, sovente m'apellava «dolze amico», ed or no 'l face, poi38 Dio la prese e menòlla conseco. La Sua vertute sia, bella, conteco e la Sua pace.

29 « nobile ». 30 « raffinata educazione », gallicismo. 31 « parlare », altro gallicismo. 32 « mi piace ». 33 « Germania ». 34 A Costantinopoli. 35 « risarcire tanta perdita ». 36 « ambedue ». 37 « rimembro ». 38 « poiché ».

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Giacomino Pugliese, Quando veggio rinverdire Quando veggio rinverdire giardino e prato e rivera, gli aucelletti odo bradire, udendo la primavera fanno lor gioia e diporto, ed io vo' pensare e dire: canto per donar conforto e li mal d'amor covrire, ché l'amanti pere e torto. L'amor è leggiere cosa, molt'è forte essere amato; chi è amato ed ama in posa lo mondo ha da lo suo lato. Le donne n'hanno pietanza chi per lor patisce pene. Sed è nullo ch'aggia amanza, lo suo core in gioi mantene, tuttor vive in allegranza. In gioi vive tuttavia; al cor sento ond'io mi doglio, madonna, per gelosia; pensamento mi fa orgoglio. Amor non vole inveggiamento, ma vuol esser sofritore di servire a piacimento; quello che [ 'n]tende amore si conviene a compimento. Vostra sia la 'ncomincianza, ché m'invitaste d'amore, non guataste in fallanza, ché comprendeste il mio core. Donna, per vostra 'noranza sicurastemi la vita, donastemi per amanza una trecc[i]a d'auro ponita ed io la porto a membranza.

I.3.4 - Rinaldo d’Aquino

Rinaldo d'Aquino, Già mai non mi conforto *

Già mai non mi conforto nè mi voglio ralegrare ; le navi son giute al porto e vogliono collare. Vassene lo più giente 5

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in terra d'oltra mare ; oi me lassa, dolente, como deggio fare? Vassene in altra contrata e no lo mi manda a diri 10 ed io rimagno ingannata ; tanti sono li sospiri che mi fanno gran guerra la notte co’ la dia. Nè 'n cielo ned in terra 15 non mi par ch'io sia. O Santus, santus Deo che 'n la Vergine venisti, tu guarda l'amor meo, poi da me ‘l dipartisti. 20 Oi alta potestade, temuta e dottata : la dolze mi’ amistade ti sia acomandata. La crocie salva la giente 25 e me facie disviare, la crocie mi fa dolente e non mi vale Dio pregare. Oi, crocie pellegnina, perchè m'hai sì distrutta? 30 Oi me lassa, tapina ! ch’i’ ardo e 'ncendo tutta! Lo 'mperadore con pacie tutto lo mondo mantene, ed a meguerra facie, 35 chè m'à tolta la mia spene. Oi alta potestate temuta e dottata, la mia dolze amistade vi sia raccomandata! 40 Quando la crocie pigliao, certo no lo mi pensai, quelli che tanto m'amao ed i’ lui tanto amai, ch’io ne fui battuta 45 messa en presgionia e in cielata tenuta per la vita mia. Le navi sono collate in bon’ora possan andare, 50

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e lo mio amore co’ ‘lle, e la giente che v'à andare! Oi Padre criatore, a santo porto ‘l ducie. ché vanno a servidore 55 de la santa crucie. Però Ti prego, Dolcietto, che sai la pena mia, che me ne facie un sonetto e mandilo in Soria. 60 Ch'io non posso abentare la notte né la dia: in terra d'oltra mare istà la vita mia.

Rinaldo d'Aquino, In amoroso pensare

In amoroso pensare ed in gran disïanza per voi, bella, son miso, sì ch'eo non posso posare, tant'agio tempestanza. Vostr'amor, che m'ha priso a lo core tanto coralemente, mi distringe e distene la voglia e la spene e donami martire, sì ch'io non poria dire come m'avete preso fortemente. Fortemente mi 'navanza e cresce tuttavia lo meo 'namoramento, sì ch'io ne vivo in erranza; ormai a vita mia non ho confortamento se non di voi, piagente crïatura, che siete sì valente e gaia ed avinente, a cui mi son donato distretto ed abrazato, cad eo son tuttor vostro ed in quell'ora. In quell'ora ch'eo vi vidu danzar gioiosamente; ed eo con voi danzando dottando [in] lo meo cor cridu che tanto brevemente moro pur disïando, ché lo meo core a me medesmo sperde. Agiatende pietanza

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e senza dimoranza, ca chi bene vol fare non doveria tardare: omo che tempo aspetta, tempo perde.

Rinaldo d'Aquino, Amorosa donna fina

Amorosa donna fina, stella che levi la dia sembran le vostre bellezze; sovrana fior di Messina, non pare che donna sia vostra para d'adornezze. Or dunque no è maraviglia se fiamma d'amor m'apiglia guardando lo vostro viso, ché l'amor mi 'nfiamma in foco. Sol ch'i'o vi riguardo un poco, levatemi gioco e riso. Gioco e riso mi levate, membrando tutta stagione che d'amor vi fui servente né de la vostra amistate non ebb'io anche guiderdone se no un bascio solamente. E quel bascio mi 'nfiammao, ché dal corpo mi levao lo core e dedilo a vui. Degiateci provedere: che vita pò l'omo avere se lo cor non è con lui? Lo meo cor non è con mico, ched eo tutto lo v'ho dato e ne son rimaso in pene; di sospiri mi notrico, membrando da voi so errato ed io so perché m'avene: per li sguardi amorosi che, savete, sono ascosi quando mi tenete mente; che li sguardi micidiali voi facete tanti e tali che aucidete la gente. Altru aucidete che meve, ché m'avete in foco miso che d'ogne parte m'alluma; sutto esto manto di neve, di tal foco so raciso, che [ mai non ] me ne consuma: d'uno foco che non pare

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che [ 'n ] la neve fa 'llumare, ed incende tra lo ghiaccio; quell'è lo foco d'amore ch'arde lo fino amadore quando e[llo] non ha sollaccio. Lo sollazo non avesse se non di voi lo sembiante con parlamento isguardare a gran gioi quando volesse, perchè pato pene tante, ch'io non le poria contare. Ned a null'omo che sia la mia voglia non diria, dovesse morir penando, se non estu Montellese, cioè 'l vostro serventese a voi lo dica in cantando.

* * *

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II – La scuola toscana

II.3 – I maggiori rappresentanti

II.3.1 - Guittone d’Arezzo

Guittone d'Arezzo, Tuttor ch'eo dirò gioi', gioiva cosa * Tuttor ch'eo dirò «gioi'», gioiva cosa, intenderete che di voi favello, che gioia sete di beltà gioiosa e gioia di piacer gioi[o]so e bello, e gioia in cui gioioso avenir posa, 5 gioi' d'adornezze e gioi' di cor asnello, gioia in cui viso e gioi' tant'amorosa ched e gioiosa gioi' mirare in ello. Gioi' di volere e gioi' di pensamento e gioi' di dire e gioi' di far gioioso 10 e gioi' d'onni gioioso movimento: per ch'eo, gioiosa gioi', sì disïoso di voi mi trovo, che mai gioi' non sento se 'n vostra gioi' il meo cor non riposo.

Guittone d'Arezzo, Dolente, tristo e pien di smarrimento

Dolente, triste e pien di smarrimento sono rimaso amante disamato. Tuttor languisco, peno e sto in pavento, piango e sospir di quel ch'ho disiato. Il meo gran bene asciso è in tormento; 5 or son molto salito, alto montato; non trovo cosa che m' sia valimento, se non con omo a morte iudicato. Ohi, lasso me, ch'io fuggo in ogni loco, poter credendo mia vita campare, 10 e là ond'io vado trovo la mia morte. La piacente m'ha messo in tale foco ch'ardo tutto e incendo del penare, poi me non ama, ed eo l'amo sì forte.

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Guittone d'Arezzo, Gentile ed amorosa criatura * Gentile ed amorosa criatura, soprana di valore e di biltate, voi ch'avite d'angel la figura, lume che sovra ogn'altro ha claritate, merzé vi chiede fideltate pura, se v'aggio offeso, che mi perdoniate: e più mi pesa di vostra rancura, che se la morte di me ha podestate. E dell'offesa fatene vengianza in quale guisa più piacer vi sia, ed io la soffriraggio umilemente. E s'io usai inver di voi fallanza, credettivi piacere in fede mia; poiché vi spiace, il mio cor se ne pente.

Guittone d'Arezzo, Ahi lasso, or è stagion de doler tanto *

Ahi lasso, or è stagion de doler tanto a ciascun om che ben ama Ragione, ch'eo meraviglio u' trova guerigione, ca morto no l'ha già corrotto e pianto, vedendo l'alta Fior sempre granata 5 e l'onorato antico uso romano ch'a certo pèr, crudel forte villano, s'avaccio ella no è ricoverata: ché l'onorata sua ricca grandezza e 'l pregio quasi è già tutto perito 10 e lo valor e 'l poder si desvia. Oh lasso, or quale dia fu mai tanto crudel dannaggio audito? Deo, com'hailo sofrito, deritto pèra e torto entri 'n altezza? 15 Altezza tanta êlla sfiorata Fiore fo, mentre ver' se stessa era leale, che ritenëa modo imperïale, acquistando per suo alto valore provinc' e terre, press'o lunge, mante; 20 e sembrava che far volesse impero sì como Roma già fece, e leggero li era, c'alcun no i potea star avante. E ciò li stava ben certo a ragione ché non se ne penava per pro tanto, 25 como per ritener giustizi' e poso; e poi folli amoroso

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de fare ciò, si trasse avante tanto, ch'al mondo no ha canto u' non sonasse il pregio del Leone. 30 Leone, lasso, or no è, ch'eo li veo tratto l'onghie e li denti e lo valore, e 'l gran lignaggio suo mort'a dolore, ed en crudel pregio[n] mis' a gran reo. E ciò li ha fatto chi? Quelli che sono 35 de la schiatta gentil sua stratti e nati, che fun per lui cresciuti e avanzati sovra tutti altri, e collocati a bono; e per la grande altezza ove li mise ennantîr sì, che 'l piagâr quasi a morte; 40 ma Deo di guerigion feceli dono, ed el fe' lor perdono; e anche el refedier poi, ma fu forte e perdonò lor morte: or hanno lui e soie membre conquise. 45 Conquis'è l'alto Comun fiorentino, e col senese in tal modo ha cangiato, che tutta l'onta e 'l danno che dato li ha sempre, como sa ciascun latino, li rende, e i tolle il pro e l'onor tutto: 50 ché Montalcino av'abattuto a forza, Montepulciano miso en sua forza, e de Maremma ha la cervia e 'l frutto; Sangimignan, Pog[g]iboniz' e Colle e Volterra e 'l paiese a suo tene; 55 e la campana, le 'nsegne e li arnesi e li onor tutti presi ave con ciò che seco avea di bene. E tutto ciò li avene per quella schiatta che più ch'altra è folle. 60 Foll'è chi fugge il suo prode e cher danno, e l'onor suo fa che vergogna i torna, e di bona libertà, ove soggiorna a gran piacer, s'aduce a suo gran danno sotto signoria fella e malvagia, 65 e suo signor fa suo grand' enemico. A voi che siete ora in Fiorenza dico, che ciò ch'è divenuto, par, v'adagia; e poi che li Alamanni in casa avete, servite i bene, e faitevo mostrare 70 le spade lor, con che v'han fesso i visi, padri e figliuoli aucisi; e piacemi che lor dobiate dare,

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perch'ebber en ciò fare fatica assai, de vostre gran monete. 75 Monete mante e gran gioi' presentate ai Conti e a li Uberti e alli altri tutti ch'a tanto grande onor v'hano condutti, che miso v'hano Sena in podestate; Pistoia e Colle e Volterra fanno ora 80 guardar vostre castella a loro spese; e 'l Conte Rosso ha Maremma e 'l paiese, Montalcin sta sigur senza le mura; de Ripafratta temor ha 'l pisano, e 'l perogin che 'l lago no i tolliate, 85 e Roma vol con voi far compagnia. Onor e segnoria adunque par e che ben tutto abbiate: ciò che desïavate potete far, cioè re del toscano. 90 Baron lombardi e romani e pugliesi e toschi e romagnuoli e marchigiani, Fiorenza, fior che sempre rinovella, a sua corte v'apella, che fare vol de sé rei dei Toscani, 95 dapoi che li Alamani ave conquisi per forza e i Senesi.

Guittone d'Arezzo, Meraviglioso beato Meraviglioso beato e coronato - d'onore! Onor sé onor' acresce a guisa de pesce - in gran mare, e vizio s'asconde e perisce e vertù notrisce - a ben fare, sì come certo appare, per te, Domenico santo, unde aggio canto - in amore. O nome ben seguitato e onorato - dal fatto, Domenico degno nomato, a Domino dato - for patto, chi tanto fu per Dio tratto già fa mill'anni in vertute, d'onni salute - coltore? Agricola a nostro Signore non terra ma cor' - coltando, fede, speranz' e amore con vivo valor - sementando: oh quanti beni pugnando

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fai [di] diserti giardini con pomi di fin - savore! Tu mastro reggendo e 'nsegnando, medico sanando - oni 'nfermo, rustica caduti levando, pilastro fermando - el non fermo, nel secul e in chiostro e in ermo, per costumi, vita e dottrina, la qual pur s'afina - in valore; a la Chiesa tu defensione e forte campïone - eretto, tu, de' fedel' guarigione e restorazione - e refetto, a ciascun mendo e defetto t'ha per socorso noi dato lo nostro orrato - Signore. Errore e stoltezza abondava e catuno stava - ne muto; fede e vertù amortava, und'era 'l secul perduto, no'nd'avesse Dio proveduto di te, per cui ben reformato e amendat[o] - e follore. O vero Domenico, poi volesti da noi - allungiare, lassastine, padre, e a coi? ai figliuoi tuoi, - minestrare, di cui onni ben form'appare e vero specchio u' s'agenza ciascun c'ha piagenza - in amore. Lux mundi e sal terre son certo, segondo in aperto - fa prova el sovrabondoso lor merto, unde ciascun merto - par mova. Chi mia sentenza riprova o vole di ciò faccia fede, ch'aperto si vede - tuttore? Forse ch'io perdo tacere, poi non so compiere - aonore: ché vertù di tanto savere sommo chere - laudatore. Und'eo serò tacitore; ma tuttavia ciò ch'è ditto ascondo ni gitto - non fiore.

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II.3.2 - Bonagiunta Orbicciani

Bonagiunta Orbicciani, Voi, ch'avete mutata la mainera * Voi, ch'avete mutata la mainera de li plagenti ditti de l'amore de la forma dell'esser là dov'era, per avansare ogn'altro trovatore, avete fatto como la lumera, 5 ch'a le scure partite dà sprendore, ma non quine ove luce l'alta spera, la quale avansa e passa di chiarore. Così passate voi di sottigliansa, e non si può trovar chi ben ispogna, 10 cotant' è iscura vostra parlatura. Ed è tenuta gran dissimigliansa, ancor che 'l senno vegna da Bologna, traier canson per forsa di scrittura.

Bonagiunta Orbicciani, Tal è la fiamma e 'l foco Tal è la fiamma e 'l foco là 'nd'eo incendo e coco, - o dolze meo sire, che ismarrire - mi fate la mente e lo core. Ismarrire mi fate la mente e lo core, sì che tutta per voi mi distruggo e disfaccio, così come si sface la rosa e lo fiore quando la sovragiunge fredura né ghiaccio. Così son presa al laccio per la stranianza nostra imprumera come la fèra - amorosa di tutta la gente. Tant' è 'l foco e la fiamma, che 'l meo core abonda, che non credo che mai si potesse astutare; e non è nullo membro, che no mi si confonda, e non veggio per arte ove possa campare, com' quel che cade al mare, che non ha sostegno ne ritenenza per la 'ncrescenza - de l'onda, che vede frangente. Se mi sete sì fèro com' parete in vista e noioso secondo la ria dimostranza, ancidetimi adesso ch'eo vivo più trista che quand'eo fosse morta; tant'ho grande dottanza! Se la bona speranza, ch'eo agio di voi mi rinfrangesse, s'eo m'ancidesse, - serestene poi penetente. Io non v'oso guardare né 'n viso né 'n ciera né mostrarvi sembianti, come fare solia,

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ché mi faite una vista mortale e crudera, com'eo fosse di voi nemica giudìa. Ed esser non dovria perch'io ci colpasse; che la casione de l'ofensione - non fue che montasse niente.

Bonagiunta Orbicciani, Donna, vostre bellezze Donna, vostre bellezze, ch'avete col bel viso, m'hanno sì priso - e messo in disianza, che d'altra amanza - già non aggio cura. Donna, vostre bellezze ch'avete col bel viso, mi fan d'amor cantare. Tante avete adornezze, gioco, solazo e riso, che siete fior d'amare. Non si porìa trovare né donna, né donzella tanto bella - che con voi pareggiasse, chi lo mondo cercasse - quant'el dura. Dura 'l meo core ardore d'uno foco amoroso, che per voi, bella, sento. Tanto mi dà sprendore vostro viso gioioso, che m'adasta il talento. S'eo languisco e tormento tutto in gio' lo mi conto, aspettando quel ponto - ch'eo disio di ciò ch'io - credo in voi, gentil criatura. Maritate e pulzelle di voi so' 'nnamorate, pur guardandovi mente. Gigli e rose novelle vostro viso aportate sì smirato e lucente. Ed eo similemente 'nnamorato son di vue assai più che non fue - Tristan d' lsolda: meo cor non solda - se non vostr'altura.

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II.3.3 – Chiaro Davanzati

Chiaro Davanzati, Di penne di paone e d'altre assai*

Di penne di paone e d'altre assai vistita, la corniglia a corte andau; ma no lasciava già per ciò lo crai, e, a riguardo, sempre cornigliau; gli auscelli che la sguàrdar, molto splai 5 de le lor penne, ch'essa li furau: lo furto le ritorna scherne e guai, ché ciascun di sua penna la spogliau. Per te lo dico, novo canzonero, che ti vesti le penne del Notaro, 10 e vai furando lo detto stranero: sì co' gli agei la corniglia spogliaro, spoglieriati per falso menzonero, se fosse vivo, Iacopo Notaro.

* * *

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III – Il dolce stil novo

III.3 – I maggiori rappresentanti

III.3.1 - Guido Guinizzelli

Guido Guinizelli, Al cor gentil rempaira sempre amore *

Al cor gentil rempaira sempre amore come l'ausello in selva a la verdura; né fe' amor anti che gentil core, né gentil core anti ch'amor, natura: ch'adesso con' fu 'l sole, 5 sì tosto lo splendore fu lucente, né fu davanti 'l sole; e prende amore in gentilezza loco così propïamente come calore in clarità di foco. 10 Foco d'amore in gentil cor s'aprende come vertute in petra prezïosa, che da la stella valor no i discende anti che 'l sol la faccia gentil cosa; poi che n' ha tratto fòre 15 per sua forza lo sol ciò che li è vile, stella li dà valore: così lo cor ch'è fatto da natura asletto, pur, gentile, donna a guisa di stella lo 'nnamora. 20 Amor per tal ragion sta 'n cor gentile per qual lo foco in cima del doplero: splendeli al su' diletto, clar, sottile; no li stari' altra guisa, tant' è fero. Così prava natura 25 recontra amor come fa l'aigua il foco caldo, per la freddura. Amore in gentil cor prende rivera per suo consimel loco com' adamàs del ferro in la minera. 30 Fere lo sol lo fango tutto 'l giorno vile reman, né 'l sol perde calore; dis' omo alter: "Gentil per sclatta torno"; lui semblo al fango, al sol gentil valore: ché non dé dar om fé 35 che gentilezza sia fòr di coraggio in degnità d'ere' sed a vertute non ha gentil core,

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com' aigua porta raggio e 'l ciel riten le stelle e lo splendore. 40 Splende 'n la 'ntelligenzïa del cielo Deo criator più che 'n nostr'occhi 'l sole: quella intende suo fattor oltra cielo, e 'l ciel volgiando, a Lui obedir tole, e consegue, al primero, 45 del giusto Deo beato compimento: così dar dovria, al vero, la bella donna, poi che 'n gli occhi splende del suo gentil talento, che mai di lei obedir non si disprende. 50 Donna, Deo mi dirà: "Che presomisti?", siando l'alma mia a Lui davanti. "Lo ciel passasti e 'nfin a Me venisti e desti in vano amor Me per semblanti: ch'a Me conven le laude 55 e a la reina del regname degno, per cui cessa onne fraude". Dir Li porò: "Tenne d'angel sembianza che fosse del Tuo regno; non me fu fallo, s'eo li posi amanza". 60

Guido Guinizelli, O caro padre meo, de vostra laude

O caro padre meo, de vostra laude non bisogna ch'alcun omo se 'mbarchi ché 'n vostra mente intrar vizio non aude, che for de sé vostro saver non l'archi. A ciascun reo sì la porta claude, 5 che, sembr', ha più via che Venezi' ha Marchi; entr' a' Gaudenti ben vostr' alma gaude, ch'al me' parer li gaudii han sovralarchi. Prendete la canzon, la qual io porgo al saver vostro, che l'aguinchi e cimi, 10 ch'a voi ciò solo com' a mastr' accorgo, ch'ell' è congiunta certo a debel' vimi: però mirate di lei ciascun borgo per vostra correzion lo vizio limi.

Guido Guinizelli, Omo ch'è saggio non corre leggero *

Omo ch'è saggio non corre leggero, ma a passo grada sì com' vol misura: quand' ha pensato, riten su' pensero infin a tanto che 'l ver l'asigura.

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Foll' è chi crede sol veder lo vero 5 e non pensare che altri i pogna cura: non se dev' omo tener troppo altero, ma dé guardar so stato e sua natura. Volan ausel' per air di straine guise ed han diversi loro operamenti, 10 né tutti d'un volar né d'un ardire. Deo natura e 'l mondo in grado mise, e fe' despari senni e intendimenti: perzò ciò ch'omo pensa non dé dire.

Guido Guinizelli, Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo*

Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo che fate quando v'encontro, m'ancide: Amor m'assale e già non ha reguardo s'elli face peccato over merzede, ché per mezzo lo cor me lancio un dardo 5 ched oltre 'n parte lo taglia e divide; parlar non posso, ché 'n pene io ardo sì come quelli che sua morte vede. Per li occhi passa come fa lo trono, che fer' per la finestra de la torre 10 e ciò che dentro trova spezza e fende; remagno como statua d'ottono, ove vita né spirto non ricorre, se non che la figura d'omo rende.

Guido Guinizelli, Io voglio del ver la mia donna laudare

Io voglio del ver la mia donna laudare ed asembrarli la rosa e lo giglio: più che stella diana splende e pare, e ciò ch'è lassù bello a lei somiglio. Verde river' a lei rasembro e l'are, tutti color di fior', giano e vermiglio, oro ed azzurro e ricche gioi per dare: medesmo Amor per lei rafina meglio. Passa per via adorna, e sì gentile ch'abassa orgoglio a cui dona salute, e fa 'l de nostra fé se non la crede;

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e no·lle pò apressare om che sia vile; ancor ve dirò c'ha maggior vertute: null' om pò mal pensar fin che la vede.

Guido Guinizelli, Vedut' ho la lucente stella diana Vedut' ho la lucente stella diana, ch'apare anzi che 'l giorno rend' albore, c'ha preso forma di figura umana; sovr' ogn' altra me par che dea splendore: viso de neve colorato in grana, occhi lucenti, gai e pien' d'amore; non credo che nel mondo sia cristiana sì piena di biltate e di valore. Ed io dal suo valor son assalito con sì fera battaglia di sospiri ch'avanti a lei de dir non seri' ardito. Così conoscess' ella i miei disiri! ché, senza dir, de lei seria servito per la pietà ch'avrebbe de' martiri.

III.3.2 - Guido Cavalcanti

Guido Cavalcanti, Fresca rosa novella*

Fresca rosa novella, piacente primavera, per prata e per rivera gaiamente cantando, vostro fin presio mando - a la verdura. 5 Lo vostro presio fino in gio' si rinovelli da grandi e da zitelli per ciascuno camino; e cantin[n]e gli auselli 10 ciascuno in suo latino da sera e da matino su li verdi arbuscelli. Tutto lo mondo canti, po' che lo tempo vène, 15 sì come si convene, vostr' altezza presiata: ché siete angelicata - crïatura.

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Angelica sembranza in voi, donna, riposa: 20 Dio, quanto aventurosa fue la mia disïanza! Vostra cera gioiosa, poi che passa e avanza natura e costumanza, 25 ben è mirabil cosa. Fra lor le donne dea vi chiaman, come sète; tanto adorna parete, ch'eo non saccio contare; 30 e chi poria pensare - oltra natura? Oltra natura umana vostra fina piasenza fece Dio, per essenza che voi foste sovrana: 35 per che vostra parvenza ver' me non sia luntana; or non mi sia villana la dolce provedenza! E se vi pare oltraggio 40 ch' ad amarvi sia dato, non sia da voi blasmato: ché solo Amor mi sforza, contra cui non val forza - né misura. 45

Guido Cavalcanti, Chi è questa che ven, ch'ogn'om la mira

Chi è questa che ven, ch'ogn'om la mira, che fa tremar di chiaritate l'âre e mena seco Amor, sì che parlare null' omo pote, ma ciascun sospira? O Deo, che sembra quando li occhi gira, dical' Amor, ch'i' nol savria contare: cotanto d'umiltà donna mi pare, ch'ogn'altra ver' di lei i' la chiam' ira. Non si poria contar la sua piacenza, ch'a le' s'inchin' ogni gentil vertute, e la beltate per sua dea la mostra. Non fu sì alta già la mente nostra e non si pose 'n noi tanta salute, che propiamente n'aviàn canoscenza.

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Guido Cavalcanti, Voi che per li occhi mi passaste 'l core * Voi che per li occhi mi passaste 'l core e destaste la mente che dormia, guardate a l'angosciosa vita mia, che sospirando la distrugge Amore. E' vèn tagliando di sì gran valore, 5 che' deboletti spiriti van via: riman figura sol en segnoria e voce alquanta, che parla dolore. Questa vertù d'amor che m'ha disfatto da' vostr' occhi gentil' presta si mosse: 10 un dardo mi gittò dentro dal fianco. Sì giunse ritto 'l colpo al primo tratto, che l'anima tremando si riscosse veggendo morto 'l cor nel lato manco.

Guido Cavalcanti, Tu m'hai sì piena di dolor la mente

Tu m'hai sì piena di dolor la mente, che l'anima si briga di partire, e li sospir' che manda 'l cor dolente mostrano agli occhi che non può soffrire. Amor, che lo tuo grande valor sente, dice: «E' mi duol che ti convien morire per questa fiera donna, che niente par che piatate di te voglia udire». I' vo come colui ch'è fuor di vita, che pare, a chi lo sguarda, ch'omo sia fatto di rame o di pietra o di legno, che si conduca sol per maestria e porti ne lo core una ferita che sia, com' egli è morto, aperto segno.

Guido Cavalcanti, Donna me prega, - per ch'eo voglio dire *

Donna me prega, - per ch'eo voglio dire d'un accidente - che sovente - è fero ed è sì altero - ch'è chiamato amore: sì chi lo nega - possa 'l ver sentire! Ed a presente - conoscente - chero, 5 perch' io no spero - ch'om di basso core a tal ragione porti canoscenza: ché senza - natural dimostramento

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non ho talento - di voler provare là dove posa, e chi lo fa creare, 10 e qual sia sua vertute e sua potenza, l'essenza - poi e ciascun suo movimento, e 'l piacimento - che 'l fa dire amare, e s'omo per veder lo pò mostrare. In quella parte - dove sta memora 15 prende suo stato, - sì formato, - come diaffan da lume, - d'una scuritate la qual da Marte - viene, e fa demora; elli è creato - ed ha sensato - nome, d'alma costume - e di cor volontate. 20 Vèn da veduta forma che s'intende, che prende - nel possibile intelletto, come in subietto, - loco e dimoranza. In quella parte mai non ha possanza perché da qualitate non descende: 25 resplende - in sé perpetual effetto; non ha diletto - ma consideranza; sì che non pote largir simiglianza. Non è vertute, - ma da quella vène ch'è perfezione - (ché si pone - tale), 30 non razionale, - ma che sente, dico; for di salute - giudicar mantene, ché la 'ntenzione - per ragione - vale: discerne male - in cui è vizio amico. Di sua potenza segue spesso morte, 35 se forte - la vertù fosse impedita, la quale aita - la contraria via: non perché oppost' a naturale sia; ma quanto che da buon perfetto tort'è per sorte, - non pò dire om ch'aggia vita, 40 che stabilita - non ha segnoria. A simil pò valer quand' om l'oblia. L'essere è quando - lo voler è tanto ch'oltra misura - di natura - torna, poi non s'adorna - di riposo mai. 45 Move, cangiando - color, riso in pianto, e la figura - Con paura - storna; poco soggiorna; - ancor di lui vedrai che 'n gente di valor lo più si trova. La nova - qualità move sospiri, 50 e vol ch'om miri - 'n non formato loco, destandos' ira la qual manda foco (imaginar nol pote om che nol prova), né mova - già però ch'a lui si tiri,

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e non si giri - per trovarvi gioco : 55 né cert' ha mente gran saver né poco. De simil tragge - complessione sguardo che fa parere - lo piacere - certo: non pò coverto - star, quand' è sì giunto. Non già selvagge - le bieltà son dardo, 60 ché tal volere - per temere - è sperto: consiegue merto - spirito ch'è punto. E non si pò conoscer per lo viso: compriso - bianco in tale obietto cade; e, chi ben aude, - forma non si vede: 65 dunqu' elli meno, che da lei procede. For di colore, d'essere diviso, assiso - 'n mezzo scuro, luce rade. For d'ogne fraude - dico, degno in fede, che solo di costui nasce mercede. 70 Tu puoi sicuramente gir, canzone, là 've ti piace, ch'io t'ho sì adornata ch'assai laudata - sarà tua ragione da le persone - c'hanno intendimento: di star con l'altre tu non hai talento. 75

Guido Cavalcanti, Perch'i' no spero di tornar giammai

Perch'i' no spero di tornar giammai, Ballatetta, in Toscana, va' tu, leggera e piana, dritt' a la donna mia, che per sua cortesia ti farà molto onore. Tu porterai novelle di sospiri piene di dogli' e di molta paura; ma guarda che persona non ti miri che sia nemica di gentil natura: ché certo per la mia disaventura tu saresti contesa, tanto da lei ripresa che mi sarebbe angoscia; dopo la morte, poscia, pianto e novel dolore. Tu senti, ballatetta, che la morte mi stringe sì, che vita m'abbandona; e senti come 'l cor si sbatte forte per quel che ciascun spirito ragiona. Tanto è distrutta già la mia persona, ch'i' non posso soffrire:

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se tu mi vuoi servire, mena l'anima teco (molto di ciò ti preco) quando uscirà del core. Deh, ballatetta mia, a la tu' amistate quest anima che trema raccomando: menala teco, nella sua pietate, a quella bella donna a cu' ti mando. Deh, ballatetta, dille sospirando, quando le se' presente: «Questa vostra servente vien per istar con voi, partita da colui che fu servo d'Amore». Tu, voce sbigottita e deboletta ch'esci piangendo de lo cor dolente, coll'anima e con questa ballatetta va' ragionando della strutta mente. Voi troverete una donna piacente, di sì dolce intelletto che vi sarà diletto starle davanti ognora. Anim', e tu l'adora sempre, nel su' valore.

III.3.3 - Cino da Pistoia

Cino da Pistoia, Angel di Deo simiglia in ciascun atto

Angel di Deo simiglia in ciascun atto questa giovane bella, che m'ha con gli occhi suoi lo cor disfatto. Di cotanta vertù si vede adorna, che qual la vuol mirare, sospirando convene il cor lassare. Ogni parola sua sì dolce pare, che là 've posa torna lo spirito, che meco non soggiorna, però che forza di sospir' lo storna, sì angoscioso è fatto quel loco, de lo qual Amor l'ha tratto. Io non m'accorsi, quand'io la mirai, che mi fece Amore l'asalto agli occhi, e al corpo e al core, sì forte, che 'n quel punto tratta fòre dell'anima trovai la mia vertù, che per forza lassai;

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per che, campar non aspettando omai, di ciò più non combatto: Dio mandi 'l punto di finir pur ratto. Ballata, chi del tuo fattor dimanda, dilli che tu 'l lassasti piangendo quando tu t'acommiatasti; e vederlo morir non aspettasti, però ch'elli ti manda tosto, perché lo suo stato si spanda. A ciascun gentil cor ti raccomanda, ch'i' per me non acatto come più viver possa a nessun patto.

Cino da Pistoia, La dolce vista e 'l bel guardo soave *

La dolce vista e 'l bel guardo soave de' più begli occhi che lucesser mai, c'ho perduto, mi fa parer sì grave la vita mia, ch'i' vo traendo guai; e 'nvece di pensier' leggiadri e gai 5 ch'aver solea d'Amore, porto disir' nel core che son nati di morte per la partenza, sì me ne duol forte. Omè, Amor, perché nel primo passo 10 non m'assalisti sì ch'io fossi morto? Perché non dipartisti da me, lasso, lo spirito angoscioso ch'io porto? Amore, al mio dolor non è conforto; anzi, com'io più guardo, 15 a sospirar più m'ardo, trovandomi partuto da que' begli occhi ov'io t'ho già veduto. Io t'ho veduto in que' begli occhi, Amore, talché la rimembranza me n'uccide, 20 e fa sì grande schiera di dolore dentro a la mente, che l'anima stride, sol perché morte mia non la divide da me, come diviso m'ha dal gioioso riso 25 e d'ogni stato allegro lo gran contrario ch'è dal bianco al negro. Quando per gentile atto di salute ver' bella donna levo li occhi alquanto, sì tutta si disvia la mia virtute, 30 che dentro ritener non posso il pianto, membrando di mia donna, a cui son tanto

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lontan di veder lei: o dolenti occhi miei, non morrete di doglia? 35 «Sì, per nostro voler, pur ch'Amor voglia». Amor, la mia ventura è troppo cruda, e ciò ch'agli occhi incontra più m'attrista; però merzé, che la tua man li chiuda poi c'ho perduta l'amorosa vista; 40 e, quando vita per morte s'acquista, gioioso è 'l morire; tu sail' ove dé gire lo spirito mio poi, e sai quanta piatà s'arà di lui. 45 Amor, ad esser micidial piatoso t'invita il mio tormento: secondo c'ho talento, dammi di morte gioia che ne vada lo spirito a Pistoia. 50

Cino da Pistoia, Poi che saziar non posso li occhi miei

Poi che saziar non posso li occhi miei di guardare a madonna suo bel viso, mireròl tanto fiso, che diverrò beato lei guardando. A guisa d'angel che di sua natura, stando su in altura, diven beato sol vedendo Dio, così, essendo umana creatura, guardando la figura di quella donna che tene 'l cor mio, porria beato divenir qui io: tant'è la sua vertù che spande e porge, avegna non la scorge se non chi lei onora desiando.

Cino da Pistoia, Tutto mi salva il dolce salutare

Tutto mi salva il dolce salutare che vèn da quella ch'è somma salute, in cui le grazie son tutte compiute: con lei va Amor che con lei nato pare. E fa rinovellar la terra e l'âre, e rallegrar lo ciel la sua vertute;

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giammai non fuor tai novità vedute quali ci face Dio per lei mostrare. Quando va fuor adorna, par che 'l mondo sia tutto pien di spiriti d'amore, sì ch'ogni gentil cor deven giocondo. E lo villan domanda: «Ove m'ascondo?»; per tema di morir vòl fuggir fòre; ch'abbassi li occhi l'omo allor, rispondo.

Cino da Pistoia, Vedete, donne, bella creatura *

Vedete, donne, bella creatura che sta tra voi maravigliosamente! Vedeste mai così nova figura o così savia giovane piacente? Ella per certo l'umana natura 5 e tutte voi adorna similmente; ponete a li atti suoi piacenti cura che fan maravigliar tutta la gente. Quanto si puote, a prova l'onorate, donne gentil, ché tutte voi onora, 10 di cui per ciascun loco si novella. Or si parrà chi ha 'n sé nobilitate, ch'io veggio Amor visibil che l'adora e falle reverenza, sì li abella!

Cino da Pistoia, Io fu' 'n su l'alto e 'n sul beato monte

Io fu' 'n su l'alto e 'n sul beato monte, ch'i' adorai baciando 'l santo sasso; e caddi 'n su quella petra, di lasso, ove l'onesta pose la sua fronte, e ch'ella chiuse d'ogni vertù il fonte quel giorno che di morte acerbo passo fece la donna de lo mio cor, lasso, già piena tutta d'adornezze cònte. Quivi chiamai a questa guisa Amore: «Dolce mio iddio, fa che qui mi traggia la morte a sé, ché qui giace 'l mio core». Ma poi che non m'intese 'l mio signore, mi diparti' pur chiamando Selvaggia; l'alpe passai con voce di dolore.