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D omenica La di Repubblica spettacoli Disney & Dalí, due visionari a Topolinia ANTONIO GNOLI e LUCA RAFFAELLI l’incontro Le acrobazie di Alba Rohrwacher RODOLFO DI GIAMMARCO cultura La doppia vita di Egon Bondy MARIUSZ SZCZYGIEL i sapori Né ottusa né giuliva, la rivincita dell’oca LICIA GRANELLO e MARINO NIOLA il reportage Sul Matese, mille metri sopra il cielo PAOLO RUMIZ LEONETTA BENTIVOGLIO FOTO GETTY/CONTRASTO/AGF ROMA I l Verdi risorgimentale affiora dalle lettere: complesso, pro- blematico, interrogativo. Possente nel patriottismo senza cedimenti, nella rabbia contro gli oppressori, nell’anelito all’autonomia del Paese. Ma anche mutevole e sofferto, co- me uno specchio della contraddittoria parabola del Risorgimen- to. La sua corrispondenza sa restituirci in pieno il clima di difficoltà e conflitti che segnò il passaggio verso l’unificazione: sono scritti pieni di alti e bassi, di furie, di sdegni, di modi di ritrarsi e d’inveire. Viva Garibaldi, grida un Verdi esclamativo e vibrante. Abbasso i barbari invasori. Viva la musica delle baionette. Poi però si strazia e s’indispone. Intollerabili i bagni di sangue. Tremendo il disin- canto del ’49. Viva la Repubblica. No, viva i Savoia. Giusto parteci- pare direttamente alla politica: il Verdi più maturo fa il suo ingres- so in parlamento. Ma che disagio e che tormento essere deputato, si lamenta con gli amici. La politica è per lui una tempesta, un ro- vello, un perenne altalenare, dove ideali e riflessioni s’intrecciano con considerazioni artistiche e appunti sulla fattura delle opere. (segue nelle pagine successive) GIUSEPPE VERDI Cara Amore e rabbia per una patria bella e perduta Nelle lettere agli amici del Risorgimento il Verdi più politico PARIGI, 14 LUGLIO 1849 (a Vincenzo Luccardi) C aro Luccardi, Da tre giorni attendo impazientemente le tue lette- re. Tu puoi ben immaginare che la catastrofe di Ro- ma m’ha messo in gravi pensieri, e tu hai avuto tor- to di non scrivermi subito. Non parliamo di Roma!!... a che giove- rebbe! La forza ancora regge il mondo! La giustizia? ... a che serve contro le baionette!! Noi non possiamo che piangere le nostre di- sgrazie, e maledire gli autori di tante sventure. BUSSETO, 14 LUGLIO 1859 (alla contessa Maffei) Cara Clarina Invece di cantare un inno di gloria, parrebbemi più convenien- te oggi innalzare un lamento sulle eterne sventure del nostro Pae- se — Ho ricevuto un bulletino del 12 che dice... L’Imperatore al- l’Imperatrice... La pace è fatta... La Venezia rimane all’Austria...! E dov’è dunque la tanto sospirata indipendenza d’Italia? Cosa signi- fica il proclama di Milano? O che la Venezia non è Italia? (segue nelle pagine successive) le tendenze Quando la moda non tramonta mai IRENE MARIA SCALISE DOMENICA 16 GENNAIO 2011/ Numero 309 Italia ti scrivo Repubblica Nazionale

Cara - download.repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/16012011.pdfOh scusate scusate! ... fortuna diminuisce d’anno in anno, non pos-sono più spendere come prima,

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DomenicaLa

di Repubblica

spettacoli

Disney & Dalí, due visionari a TopoliniaANTONIO GNOLI e LUCA RAFFAELLI

l’incontro

Le acrobazie di Alba RohrwacherRODOLFO DI GIAMMARCO

cultura

La doppia vita di Egon BondyMARIUSZ SZCZYGIEL

i sapori

Né ottusa né giuliva, la rivincita dell’ocaLICIA GRANELLO e MARINO NIOLA

il reportage

Sul Matese, mille metri sopra il cieloPAOLO RUMIZ

LEONETTA BENTIVOGLIO

FO

TO

GE

TT

Y/C

ON

TR

AS

TO

/AG

F

ROMA

Il Verdi risorgimentale affiora dalle lettere: complesso, pro-blematico, interrogativo. Possente nel patriottismo senzacedimenti, nella rabbia contro gli oppressori, nell’anelitoall’autonomia del Paese. Ma anche mutevole e sofferto, co-

me uno specchio della contraddittoria parabola del Risorgimen-to. La sua corrispondenza sa restituirci in pieno il clima di difficoltàe conflitti che segnò il passaggio verso l’unificazione: sono scrittipieni di alti e bassi, di furie, di sdegni, di modi di ritrarsi e d’inveire.Viva Garibaldi, grida un Verdi esclamativo e vibrante. Abbasso ibarbari invasori. Viva la musica delle baionette. Poi però si straziae s’indispone. Intollerabili i bagni di sangue. Tremendo il disin-canto del ’49. Viva la Repubblica. No, viva i Savoia. Giusto parteci-pare direttamente alla politica: il Verdi più maturo fa il suo ingres-so in parlamento. Ma che disagio e che tormento essere deputato,si lamenta con gli amici. La politica è per lui una tempesta, un ro-vello, un perenne altalenare, dove ideali e riflessioni s’intreccianocon considerazioni artistiche e appunti sulla fattura delle opere.

(segue nelle pagine successive)

GIUSEPPE VERDI

Cara

Amore e rabbiaper una patriabella e perdutaNelle lettereagli amicidel Risorgimentoil Verdi più politico

PARIGI, 14 LUGLIO 1849 (a Vincenzo Luccardi)

Caro Luccardi,Da tre giorni attendo impazientemente le tue lette-re. Tu puoi ben immaginare che la catastrofe di Ro-ma m’ha messo in gravi pensieri, e tu hai avuto tor-

to di non scrivermi subito. Non parliamo di Roma!!... a che giove-rebbe! La forza ancora regge il mondo! La giustizia? ... a che servecontro le baionette!! Noi non possiamo che piangere le nostre di-sgrazie, e maledire gli autori di tante sventure.

BUSSETO, 14 LUGLIO 1859 (alla contessa Maffei)Cara Clarina Invece di cantare un inno di gloria, parrebbemi più convenien-

te oggi innalzare un lamento sulle eterne sventure del nostro Pae-se — Ho ricevuto un bulletino del 12 che dice... L’Imperatore al-l’Imperatrice... La pace è fatta... La Venezia rimane all’Austria...! Edov’è dunque la tanto sospirata indipendenza d’Italia? Cosa signi-fica il proclama di Milano? O che la Venezia non è Italia?

(segue nelle pagine successive)

le tendenze

Quando la moda non tramonta maiIRENE MARIA SCALISE

DOMENICA 16GENNAIO 2011/ Numero 309

Italiati scrivo

Repubblica Nazionale

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(segue dalla copertina)

uando, nel ’54, scrive al suo corrispondente napole-tano Cesarino De Sanctis riguardo al rifacimento dellibretto de La battaglia di Legnano, spiega che il testodovrebbe conservare «tutto l’entusiasmo di patria elibertà, senza mai parlare di patria e libertà». Sotti-gliezze di un sommo creatore, i cui ottantotto anni divita (10 ottobre 1813 — 27 gennaio 1901: cade tra po-chi giorni l’anniversario della morte) coprono l’inte-ro arco del Risorgimento.

Scorrono le missive verdiane custodite nella Bi-blioteca dell’Accademia Nazionale dei Lincei, a Pa-lazzo Corsini di Via della Lungara a Roma. Oltre al-l’abbozzo del libretto di Un ballo in maschera, questoprezioso archivio conserva le lettere scritte da Verdinon solo a De Sanctis, ma al suo avvocato di ParmaGiuseppe Piroli e allo scultore Vincenzo Luccardi. «Èsolo una parte della corrispondenza di un composi-tore che firmò migliaia di epistole in un’epoca in cuiera la posta l’unico strumento per dialogare a distan-za», avverte Pierluigi Petrobelli, direttore scientificodell’Istituto nazionale di studi verdiani che ha sede aParma. Tante sono le lettere, sparse in tutto il mondo,che l’istituto sta raccogliendo da quarant’anni perquella che sarà un’edizione critica monumentale, giàiniziata da tempo. È Petrobelli a guidarci nell’esplo-razione della fetta che si trova ai Lincei. E gli preme farnotare la vivida tinta mazziniana del giovane Verdi,

34 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 16GENNAIO 2011

Q

la copertinaCara Italia ti scrivo

“Viva Garibaldi!”, “Viva la musica delle baionette”Oltre i cori patriottici, è un Maestro dalla grandissimapassione politica quello che nel centenario della morteemerge dalla corrispondenza con gli amici più cariDagli archivi romani ecco alcuni esempi della sua prosae della sua grafia, l’una e l’altra furiose e sdegnate

segnalando che «l’approccio a Mazzini è uno tra gliaspetti meno sottolineati del suo pensiero politico.Solo in seguito, attraverso la graduale conoscenza diCavour, avrebbe modificato le sue opinioni avvici-nandosi ai Savoia». Con la sua grafia orgogliosa e ric-ca di angoli, il più nazionalpopolare tra gli artisti otto-centeschi scrive di politica a conoscenti e confidentiin tono ora guerresco ora amaro sull’identità e le sor-ti del Paese, ora critico nei confronti dei francesi «pre-suntuosi e impertinenti», ora in vena di attacchi ai tre-mendi germanici, «d’una rapacità senza limiti: uomi-ni di testa, ma senza cuore; razza forte, ma non civile».

L’incontro con Mazzini avviene a Londra nel 1847,quando Verdi è nella capitale inglese per il debutto deI masnadieri, presentati all’Her Majesty’s Theatre il22 luglio. È il patriota ligure a chiedergli di musicareun inno sui pomposi versi di Goffredo Mameli, Suonala tromba: tutto un clangore d’armi contro gli invaso-ri e un risuonare di osanna per un’Italia che sia «unadall’alpi al mar». Verdi accetta, e nel 1848, in una let-tera al suo committente, scrive: «Ho cercato d’esserepiù popolare e facile che mi è stato possibile». Da ar-tista sensibile alla comunicazione, è ben consapevo-le della necessità di un inno «adesivo». Perciò avverteMazzini d’incitare Mameli a cambiare alcuni versi perarmonizzarne i ritmi con la partitura: «Io li avrei po-tuti musicare anche come stanno, ma allora la musi-ca sarebbe diventata più difficile, quindi meno popo-lare e non avressimo ottenuto lo scopo». Il progettoperò va malamente in porto, «perché le parti corali»,racconta Petrobelli, «vengono pubblicate solo nel

LEONETTA BENTIVOGLIO

Il Risorgimentonelle letteredi GiuseppeVerdi‘‘I francesi

Napoleone ci trattacome tanti ragazzie come se avessimoscherzato finoraSe io mi intendessidi politica direiche Egli il padronevuole Savoia,Nizza...

‘‘Miseria e famePatriottismo, dignità etc etc..

ma prima di tutto bisognavivere. Dalla mia finestra

vedo tutti i giorniun Bastimento, e qualche

volta due, carichi di almenomille emigranti ciascuno!

Miseria e fame! 10 FEBBRAIO 1889 a Giuseppe Piroli

‘‘VergognaSiamo ridotti al punto

che si ha quasi vergognadi essere Italiani,

ed io ho vergognaparticolarmente d’andare

in questo momento a Parigi,come le cose vorrebbero

14 MAGGIO 1881 a Giuseppe Piroli

3 FEBBRAIO 1860

a Giuseppe Piroli

Repubblica Nazionale

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 35DOMENICA 16GENNAIO 2011

“Che belli i finalicol cannone”

GIUSEPPE VERDI

(segue dalla copertina)

Dopo tante vittorie quale risultato!Quanto sangue per nulla! Quanta pove-ra gioventù delusa! E Garibaldi che ha

perfino fatto il sagrifizio delle sue antiche e co-stanti opinioni in favore d’un Re senza ottene-re lo scopo desiderato. C’è da diventar matti!

Scrivo sotto l’impressione del più alto di-spetto e non so cosa mi dica. È dunque

ben vero che Noi non avremomai nulla a sperare dallo

straniero di qualun-que nazione sia!Che ne dite voi?

Forse m’ingannoancora? Lo vorrei.

(a Angelo Mariani)(...). Ma dimmi di al-

tra musica, la quale (do-mando scusa a tutti voi fi-

gli di Apollo) mi interessaassai di più. Oh scusate

scusate! Come vanno leCrome e biscrome di Cialdi-

ni, Persano, Garibaldi et. et.?Tu m’avevi promesso di scri-

vermene, e, testaccia, l’hai di-menticato. Quelli son Maestri! e

che Opere! e che Finali! a colpi dicannone!

(a Cesare De Sanctis)Parliamo un po’ di politica. Per Dio

non fate ragazzate, state quieti, tenete afreno i matti, abbiate pazienza, fidate nel

gran politico che regge i nostri destini, etutto andrà bene. Pensate che se non do-

vesse effettuare la grande idea dell’Unitàd’Italia la colpa sarebbe tutta vostra, ché del-

le altri parti d’Italia non v’è da dubitare. Se peridee miserabili di campanile l’Italia dovesse

essere divisa in due (che Dio non lo voglia) sa-rebbe sempre in balia e sotto protezione dellealtre grandi potenze; quindi povera, debole,senza libertà, e semibarbara. L’Unità soltantopuò renderla grande, potente e rispettata.

(a Giuseppe Piroli)Poveri noi! La situazione è sì desolante che

non ho nemmeno la forza d’imprecare controquel branco d’incapaci, stupidi, parolai, fanfa-roni, che ci hanno portati alla rovina. Speriamoin una vittoria di Cialdini? Ma è essa possibilese ora gli Austriaci abbandonano tutto?... E l’av-venire? Quando i rossi domanderanno: signo-ri moderati, cosa avete saputo fare per sei annidel vostro Governo? Un’armata senza organiz-zazione e senza capi, una marina che non esi-ste, e le finanze rovinate!

Addio. Vogliatemi bene. Addio.

(a Giuseppe Piroli)Io non amo la politica, ma ne ammetto la ne-

cessità, le teorie, le forme di Governo, Patriot-tismo, Dignità etc. etc., ma prima di tutto biso-gna vivere. Dalla mia finestra vedo tutti i giorniun Bastimento, e qualche volta due carichi al-meno di mille emigranti ciascuno! Miseria e fa-me! Vedo nelle campagne proprietari di qual-che anno fa ridotti ora a contadini, giornalieri,ed emigranti (miseria e fame). I ricchi, di cui lafortuna diminuisce d’anno in anno, non pos-sono più spendere come prima, e quindi mise-ria e fame! E come si potrà andare avanti? Nonsaranno mica le nostre industrie che ci salve-ranno dalla ruina! Voi direte che sono un pessi-mista!... No, no... Io credo d’esser nel vero, di-cendo che sono profondamente convinto, chesu questa strada troveremo in fondo la ruinacompleta. Forse, voi, uomo politico, dite che«non c’è altra strada»... Ebbene, se è così pre-pariamoci a tutti i disordini che si produrrannoora in una città ora in un’altra, poi nei paesi, poinelle campagne, ed allora Le déluge!

© RIPRODUZIONE RISERVATA

1862 e con l’aggiunta — non si sa chi l’abbia fatta — diun accompagnamento pianistico».

Infiammatosi per le Cinque Giornate, Verdi scrivenel 1848 al librettista Piave che «la sola musica grataalle orecchie degli italiani dev’essere quella del can-none», e sull’onda delle emozioni crea La battaglia diLegnano, dove la cacciata di Federico Barbarossasimboleggia l’espulsione dall’Italia degli invisi domi-natori. Nata sullo sfondo della Repubblica Romana diMazzini, Saffi e Armellini, quest’opera, secondo Pe-trobelli, «è l’unica composta da Verdi con esplicito in-tento di propaganda risorgimentale». Ma dopo il de-butto romano di fine gennaio 1849, e prima che Maz-zini giunga a Roma, Verdi torna a Parigi, città in cui èrimasto quasi sempre nel ’48, senza mai immergersipersonalmente nei moti rivoluzionari, «col tipico at-teggiamento dell’uomo di cultura che ha idee e senti-menti forti ma non si coinvolge in prima persona», no-ta Petrobelli, «esprimendo il suo impegno più con leopere che con i gesti».

Ma negli anni il repubblicanesimo gli appare sem-pre più come un’utopia, e l’intesa con Cavour lo in-duce a diventare deputato, cedendo all’amico che loprega di accettare la candidatura. «Cavour, di cuiVerdi ammirava il realismo politico, voleva avere unsimbolo grandioso nel primo parlamento naziona-le», spiega Petrobelli. «Non c’era italiano al mondoche fosse celebre e amato quanto Verdi». Anche se lealchimie politiche gli sono estranee, anche se non silega ad alcun partito, anche se con l’età adotta posi-zioni sempre più caute, le sue opere ne hanno fatto

l’icona di una causa. Fin dal 1859, anno de Un balloin maschera, il suo nome si presta a un acrostico ri-voluzionario che dalle mura di Modena dilaga nelPaese: «Viva Verdi». Una sigla che, al di là dell’aspet-to innocuo, allude alla speranza condivisa dell’U-nità: «Viva V (ittorio) E (manuele) R (e) D’I (talia)».

Perché fare di Verdi una bandiera? Perché tantacomunione e identificazione? La risposta emerge,inestinguibile e sempre decifrabile, dai suoi sublimicori che evocano gli esuli e gli oppressi, dal suo im-primere un’enfasi sconvolgente a parole come pa-tria e libertà, dalla sua capacità di far risuonare ap-pelli alla fratellanza che toccano l’anima di chi ascol-ta e di chi canta. Petrobelli ne è convinto: «Il vero Ver-di politico sta nei cori, soprattutto in quattro: Va’pensiero del Nabucco, O Signore dal tetto natio deiLombardi, Si ridesti il leon di Castiglia dell’Ernani ePatria oppressadel Macbeth. La preghiera di Va’ pen-siero inizia piano per poi esplodere nel terzo versodella seconda strofa: “O mia patria sì bella e perdu-ta”, ed è nella struggente intensità di questo passag-gio che sta il segreto della sua potenza comunicati-va. Qui Verdi sa dirci tutta l’aspirazione inconsciadegli italiani a una patria che vorrebbero avvertirecome propria, senza riuscirci mai fino in fondo». Fuquesto il genio politico di Verdi: capì, meglio dichiunque altro, che il suo Paese pasticcione, accora-to, sminuzzato, conteso, poteva esistere nell’arteprima che nella realtà geografica e nel sentire civicodei suoi abitanti.

LE LETTEREIn queste pagine

gli originali

di alcune lettere

scritte da Verdi

e custodite

nella biblioteca

dell’Accademia

nazionale

dei Lincei, a Roma

Al centro

un’illustrazione

di Tullio Pericoli

DIS

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‘‘Incapaci e parolaiPoveri noi! La situazioneè sì desolante che non honemmeno la forzad’imprecare contro quelbranco di incapaci, stupidi,parolai, fanfaroni che cihanno portati alla rovina

14 LUGLIO 1866 a Giuseppe Piroli

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale

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SAN GREGORIO MATESE (Caserta)

Pochi tornanti sopra San Gregorio Mate-se il cielo si oscura all’improvviso; daquota mille tracima un’onda di marea,nubi grasse in corsa dal Molise, e la sla-

vina precipita sul Volturno, la “terra di lavoro” traVenafro e Benevento, orti e bufale a vista d’occhio.La nebbia mi inghiotte, fermo la macchina sull’or-lo di un burrone, in un silenzio assoluto, aeronauti-co. Potrei essere in Afghanistan, sui monti lunari diErzegovina. Un luogo da deltaplani, un balconesenza paracarri, senza anima viva. Tiro fuori la car-ta, cerco di orientarmi. Niente. Mi sono perso, hopassato la linea d’ombra. E comincia uno smarri-mento tutto appenninico, perché solo in Appenni-no è possibile perdersi così.

«Guardate che fermarsi qui è pericoloso assai!».Mi spavento, il cellulare mi cade di mano. La te-

sta di un uomo è entrata dal finestrino aperto e sta aquaranta centimetri dalla mia. È arrivato contro-vento, senza che lo sentissi, dal curvone a picco sulnulla come un girone d’Inferno, quello di Dante il-lustrato da Gustavo Doré. Non sorride. È un durocoperto di rughe, maschera greca di età indefinita,abbronzato come una guida nepalese. Ha passa-montagna e bastone in mano, una mano enorme, eintorno a lui sento il calpestìo del gregge. Spaesa-mento totale. Potrei essere in qualsiasi montagnadel mondo, Karakorum, Anatolia, Ande peruviane,Rodopi, Patagonia. L’unica certezza è altimetrica,sono oltre, sopra il mio mondo. E forse anche in unaltro tempo.

Esco fuori, parliamo un po’. Il pastore spiega lastrada, mi consiglia dove sostare a mangiar bene.Mi parla del trampolino per deltaplani e del casta-gno più grande del mondo, tre metri di diametro, daqualche parte in un posto chiamato «Reale». Gli staaccanto un pastore abruzzese che sorveglia ognimia mossa, mentre un altro cane, più piccolo, tieneinsieme il gregge. «Scrivete che qualcuno ha butta-to rifiuti tossici quassù sul lago, io li ho visti i camionpassare». Quando riparte gli dico una frase che hoimparato nell’Ager Campanus, fertile inferno di bu-fale, camorra e brava gente. «T’accumpagno c’opensiero». E lui se ne va, col passo millenario di Abra-mo, corto e regolare; la nebbia lo inghiotte, per unbel po’ sento i campanacci, poi più niente.

Solo allora capisco di avere incontrato un sanni-

ta. Uno di quei guerrieri indomabili che duemilaanni fa, poco lontano a sudest, fecero passare i sol-dati romani sotto le Forche Caudine. Un mondo pa-storale, da sempre antagonista della Dominante.Popoli padroni di una viabilità tratturale alternati-va alle strade consolari, fatte per le legioni in armi.Una rete partigiana di quota attraverso la quale pas-sò impunemente Annibale, senza essere mai scon-fitto in campo aperto, nei sedici anni della sua pre-senza in Appennino. Sono sulla roccaforte di quel

mondo: una sierra, come quelle che vedi in terrad’Aragona sotto i Pirenei. Un’acropoli, una fortez-za naturale, simile all’altopiano di Asiago, ma piùtenebrosa. Il Matese.

Si aprono squarci di sole. Inconfondibile, isola-to come una portaerei, il mio bastione naviga nel-le nubi e nel vento. Napoli è lontanissima, Casertae il mondo di Gomorra pure. Qui è altra lingua, al-tre facce, altra toponomastica, altri animali tote-mici. Hirpus e Luk, il lupo che diede il nome a Irpi-

ni e Lucani; Picus, il picchio, che battezzò i Piceni.I soprannomi sono spesso animaleschi: “u’ Passe-ro”, “u’ Fall’co”, e naturalmente “u’ Lupo”. Visi lar-ghi di montagna, corporature di uomini-fauni,centauri. Donne forti, padrone assolute del fuocodomestico. Un mondo che fu ricco di mandrie, le-gna, lana, frutta e acqua, un monumento alla ric-chezza antica d’Appennino, con i suoi trenta mi-lioni di pecore e i terreni di quota che non franava-no grazie al pascolo.

Un’economia verticale, transumante, che nonconsumava il territorio e oggi è massacrata dai di-vieti di una burocrazia connivente con l’imbrogliodella grande distribuzione. Una topografia arcanadi santuari e divinità pagane. Mi basterà scendere aSaepinum, sulla statale Isernia-Benevento, per ca-pire la ricchezza di quel mondo. Un’archeologia dipietre che belano. Anfiteatri, alberghi, punti di ri-storo bimillenari dove i pastori a migliaia sostavanonel trasferimento. E, più in là, in Molise, Pietrab-bondante, la capitale dei pastori confederati, affac-ciata sull’infinito orizzonte. Non esiste nulla di piùitalico. La cosa più antitetica a Paestum che si pos-sa immaginare.

A Gallo Matese — enclave bulgara smarrita tra imonti — mi mettono in mano un libro. Quota mil-le, fotografie di Francesco Fossa. È la Spoon Riverper immagini di un mondo vivente. Paesaggi e ri-tratti. Ritrovo la ventosa malinconia dell’Italia dimezzo, nei mesi fuori-stagione; la povertà degli in-terni, le facce di un mondo arroccato che si rifiuta dirotolare in basso, come tutto in Italia, acque, frane,uomini e animali. I miei bravi highlanders: pastoriintabarrati sotto ombrelli enormi, donne forti inabito nero, adulti dalle barbe incolte, giovani po-chissimi, ritratti in posa con zappe, pane, formag-gio, cavalli, muli, Padre Pio. L’epopea di una resi-stenza misconosciuta, lo spazio di fuga dal pensie-ro unico della società dello spreco e del rumore.

A San Gregorio i pastori sono ancora tanti, undi-cimila. E quando arriva il tempo della tosatura quinon c’è bisogno di chiamare macedoni o neozelan-desi a sbrigare il lavoro. «Facciamo tutto in casa, ècosì da sempre», racconta Cristina Ferrito, vedovacon quattro figli a quarantasette anni. La ritrovo sullibro di Fossa: le foto dell’uomo e del santo sono da-vanti a un letto di semi di girasole, messi a seccarecome in un presepe. Dei figli, Antonietta e Giovan-ni accudiscono le bestie, lavorano quaranta chili diformaggio alla settimana; poi c’è Nunzia e la picco-la Elvia che ogni mattina si alza alle cinque per pren-

36 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 16GENNAIO 2011

il reportageFuori rotta

L’Afghanistan, l’Anatolia, i monti lunari della ErzegovinaE invece è il Matese, un pezzo d’Appennino lontanomillenni da Napoli e dal mondo. Dove resistono antichimestieri, facce sannite, popoli ribelli, in fuga naturaledalla società dello spreco e del rumore. Ora un libro li celebraattraverso immagini di vita quotidiana

PAOLO RUMIZ

Mille metri sopra il cielo

Repubblica Nazionale

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dere il sentiero fino alla fermata del bus che la portaall’istituto industriale di Piedimonte.

Mi traversano la strada una decina di muli, por-tati con passo guerrigliero da una donna di nomeCarmela. Sono carichi di legna e vanno alle ultimecarbonaie d’Italia. Il mulo è l’unico animale capacedi raggiungere i boschi da ripulire, in alto sul Mon-te Janara, il Postonico, il Mutria. Cime tagliate da ca-naloni, che in autunno diventano letti di foglie do-ve si sprofonda alla cintola. Loredana Perrone ha

fatto l’insegnante nelle Langhe per dieci anni,amando quelle terre del Piemonte; ma solo nel suoMatese rivela di sentirsi bene veramente. «Quelloche per altri è isolamento — dice — per me è sol-tanto serenità». Ed è tornata, a Letino, il comune piùalto della Campania, a milleduecento metri. Unodei pochi posti dove i giovani non scappano, maanzi ritornano.

Piedimonte Matese, zampillar di fontane. Sostaal bar con Rosario Di Lello e Vincenzo Rapa, a par-

lar di briganti negli anni post-unitari. I due mi rac-contano la Pasqua di Sangue, la storia di un possi-dente, Don Salvatore, il quale violenta una ragazzache muore abortendo, il giorno di pasqua. La leg-gendaria brigantessa del Matese, Maria Maddale-na De Lellis, il cui fucile è in bacheca a Piedimonte,si accorda col brigante Santannello, suo amante,per vendicare la poveretta: cattura don Salvatore,lo evira e lo brucia vivo. Anni terribili, di soprusi,giustizie sommarie, fucilazioni. Come a Pontelan-

dolfo, quattrocento morti di mano bersagliera, co-me rappresaglia a una strage di soldati. Anni, anche,di utopie, con la prima e unica repubblica anarchi-ca d’Italia, proclamata nel 1876 e resistita solo duegiorni all’arrivo dei carabinieri. Sanniti, rivoltosi,briganti, pastori, utopisti, soldati annibalici, escur-sionisti innamorati dell’Appennino. Mille storie,ma un solo, temporalesco luogo rifugio.

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 37DOMENICA 16GENNAIO 2011

© RIPRODUZIONE RISERVATA

IL LIBRO E LE FOTO

La copertina di Quota Mille

(edizioni punctum,

96 pagine, 30 euro)

di Francesco Fossa,

con una prefazione

di Paolo Rumiz,

da cui sono tratte

le immagini che illustrano

queste pagine

Repubblica Nazionale

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entile Signor Egon Bondy,molti cechi sono convinti che Lei sia stato in-

ventato da Bohumil Hrabal. Coloro che sannoche Lei non è una sua invenzione, La credonotuttavia morto. Ciò premesso, Le chiedo diconcedermi un incontro.

M. Szczygiel

Gentile Signore,sono lieto di confermarLe che sono vivo. Sebbene, per moti-

vi di salute, lo sia solo dalle ore 14 in poi. Le chiedo quindi la cor-tesia di non arrivare in anticipo, meglio qualche minuto dopoche prima, in questo modo avremo a disposizione un tempo il-limitato.

Il suo Bondy

Ecco come lo inventò Hrabal:«Quando stava in piedi al sole Egon sembrava un fauno emer-

so da una cisterna di birra, i capelli chiari gli scorrevano sempregiù lungo le orecchie e allo stesso modo la sua barba, alla lucedel sole, era cosparsa di chiara Lagerbier».

Ecco come diventò Egon Bondy:Nacque nel 1930 e all’inizio si chiamava Zbynek Fišer. La ma-

dre vietava al piccolo Zbynek ogni contatto con i suoi coetanei.Quando nel 1936 iniziò la prima elementare, subì uno shock nelvedere che al mondo esistevano tanti bambini. All’età di setteanni s’innamorò perdutamente di un suo vicino di banco: figliodi genitori disoccupati che vivevano in uno scantinato. Bondylo invitava spesso a casa perché, come diceva, «mio padre era li-bero da ogni pregiudizio sociale». Alla domanda di come fossenata in lui la passione per il marxismo, Bondy non ha mai datouna risposta precisa. Forse la chiave per capirlo andrebbe ri-cercata proprio nelle convinzioni sociali di suo padre.

«Il marxismo», scrisse una volta, «dà speranza alle persone, le

aiuta a non precipitare del tutto nella disperazione per l’immi-nente arrivo di una catastrofe che spazzerà via tutto».

Verso la fine del 1948 in Unione Sovietica si scatenò un’os-sessione antisemita. Le notizie sulle nuove purghe giunsero si-no a Praga. «Noi, i diciottenni di allora, ne fummo sconvolti. Era-no passati solo tre anni dall’Olocausto! E dire che il comunismoera stato costruito dagli ebrei, perché sarebbe dovuto diventa-re un sistema politico più giusto soprattutto per loro. Un siste-ma che avrebbe garantito l’uguaglianza a tutti i popoli. Beh, dal-l’Urss non ce lo saremmo mai aspettato! Nei libri di Karel Capekogni ebreo ricco si chiama Bondy. E così, in segno di protesta, ioche sono un ariano avevo deciso di usare uno pseudonimoebreo. E mi è rimasto fino a oggi».

Divenne celebre come Egon Bondy e utilizzava quel nomepraticamente in tutte le situazioni.

Ma anche Zbynek Fišer aveva una sua vita.

Ecco come divenne mendicante:Un giorno trovò sul tavolo il messaggio che l’aveva cercato

una ragazza alla quale sarebbe piaciuto conoscerlo, e poco sot-to un indirizzo. Passò da lei l’indomani mattina. Gli aprì una gio-vane in camicia da notte, un po’ in carne perché era al sesto me-se di gravidanza. Era Jana Krejcarová, ma gli amici la chiama-vano Honza. Studiava belle arti.

Bondy entrò e uscì solo dopo tre settimane. «Perché avevo or-mai un urgente bisogno di biancheria pulita».

In seguito il loro amico Ivo Vodsed’alek avrebbe raccontatoche Honza non sopportava di stare da sola. Bondy lasciava ca-pire che il numero di amanti (maschi e femmine) di Honza su-perava le centinaia.

Era stata con Bondy per otto anni. Contemporaneamentefrequentava un suo amico. «Subito dopo essere andata a lettocon me telefonava a Cerny esortandolo a venire immediata-mente a prendere il mio posto».

Honza era figlia di Milena Jesenská, giornalista e comunista,

nota per essere stata il grande amore di Franz Kafka. Aveva ere-ditato un patrimonio milionario che sperperò nel giro di un an-no. In seguito aveva fatto cinque figli che trascurava al punto dafinire in galera per quel motivo. (Parecchi anni più tardi, diven-tata ormai Jana Cerná, avrebbe scritto un appassionato libro de-dicato alla memoria di sua madre, Vita di Milena, che, ancorafresco di stampa, sarebbe finito al macero su ordine del regime).

Scappava da Cerny con Bondy, e da Bondy con Cerny. Spes-so non avevano i soldi per mangiare. Si trasferirono in campa-gna. Passavano la notte in un albergo operaio, e di giorno men-

dicavano nelle vie di Praga per racimolare quattrini per l’alber-go. Essendo senza lavoro non avevano diritto ai tagliandi an-nonari. Mangiavano avanzi lasciati nei bar, rubavano il bucatosteso fuori dalle finestre, biciclette, carrozzine, e vendevano su-bito tutto.

Divenne poeta più o meno così:Non ci mise molto a notare i primi segnali preoccupanti. In-

nanzitutto il famoso corteo che nel febbraio del 1948 marciò in-sieme ai comunisti attraverso piazza San Venceslao, appena gi-

rato l’angolo si sciolse in fretta e tutti si precipitarono a casa an-siosi di arrivare in tempo per lo spezzatino di manzo con i knö-del. In seguito, dopo essere stato nominato capo dell’ufficio perla gioventù presso il comitato di quartiere, scoprì che venivanoadottati nuovi metodi di reclutamento: accanto ai moduli diadesione al partito era appoggiata una pistola. Poi vide che dalcatalogo delle edizioni Girgal erano stati esclusi tutti i titoli sur-realisti. Poi, che non si suonava più il jazz. Poi, che la gente ave-va iniziato ad avere paura di comportarsi in maniera sponta-nea. E poi ancora che di fronte a tutto ciò i suoi colleghi del par-tito non battevano ciglio.

«L’ideologia bolscevica non va confusa con il marxismo.Questi due pensieri non hanno nulla in comune», disse lorochiaro e tondo e decise che non avrebbe più lavorato per quelregime.

«Devo assolutamente tirarmene fuori» dichiarò.Nei suoi primi versi Bondy proclamava che l’Urss era un re-

gime fascista.Ai tempi in cui tutti scrivevano: «Di bocca in bocca vola velo-

ce /Un nome che diffonde luce/ Un nome che con il sole inizia/Il nome del compagno Stalin», Egon Bondy scriveva così:

«Con delicata prudenza scoreggio, per non cagarmi addosso».

Ecco come il diciannovenne Bondy divenne precursoredell’underground:Decise che non avrebbe mai pubblicato niente ufficialmente.

Così, nel 1949 Honza Krejcarová, il suo amante Egon Bondy e illoro sodale Ivo Vodsed’alek iniziarono a battere a macchina leproprie poesie in pochissime copie, a rilegare i fogli e a distri-buire l’opuscolo a persone fidate. Diedero in questo modo vitaalle Edizioni Púlnoc, Mezzanotte, considerate oggi una delle pri-me case editrici clandestine. I versi che pubblicavano metteva-no in ridicolo l’Unione Sovietica e il suo dio Stalin. Nella poesiaInculataBondy scrisse: «È tutta una gran inculata, amici /sia neigiorni feriali sia di domenica /Soltanto i cineasti sovietici/ vedo-

no il mondo a mo’ di aritmetica». Oppure: «Oggi ho bevuto mol-te birre/ così non mi verrà nessun tormento/ E su Rudé Právo sidice/ che la gloria del nostro partito è in aumento».

Con quei versi Bondy aveva dato origine a un nuovo generepoetico che Vodsed’alek definì, sottovoce, «poesia imbaraz-zante».

Per testi di quel tipo si rischiavano venticinque anni di gale-ra, se non addirittura la pena di morte. Tant’è vero che ancoranegli anni Settanta un musicista fu condannato a un anno dicarcere per aver raccontato al bar una barzelletta sull’UnioneSovietica.

Intanto la Krejcarová era impegnata a scrivere d’altro: «No, inculo oggi no/ mi fa male...». Nel dicembre 1948, per la prima vol-ta nella storia della letteratura ceca una donna componeva poe-sie hardcore: «(...) Le fiche vengono confezionate su misura/ alsarto bisogna dire/ Me la foderi di seta per favore/ e niente bot-toni mi raccomando/ la porterò senz’altro sbottonata (...)».

Dopo il periodo della «poesia imbarazzante» Bondy, resosiconto che lo stalinismo invalidava ogni possibile metafora, die-de vita al cosiddetto «realismo totale»: «Avevo scritto ciò chepensavo in un’epoca in cui nessuno non solo non aveva il co-raggio di scriverlo, ma non osava nemmeno immaginarlo».

«Si può fare a meno di aspettare/ Suggerì una compagna infila al Consiglio Nazionale/ Se trovate la casa di un detenuto/ Vel’assegneranno in un minuto».

Ecco come conobbe Hrabal (nel 1950):«Qualcuno mi disse che quel signore mi avrebbe offerto una

birra. Così mi presentai da lui, a Liben, e Hrabal mi offrì davve-ro una birra».

Ecco come ruppe con Hrabal (nel 1954):«Mi svegliai una mattina, e cioè a mezzogiorno, e avevo da-

vanti a me il solito programma: bere birra con Honza, con Hra-bal, con gli altri. Di colpo avvertii che non avevo voglia di anda-

38 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 16GENNAIO 2011

G

Aveva scelto uno pseudonimo, ma il suo vero nome era Zbynek FišerÈ stato poeta, mendicante, filosofo e guru della scena off praghese. Ha amatoil marxismo, combattuto Stalin, collaborato con la polizia comunista

(perché neppure il capitalismo gli andava a genio). È conosciuto ai più come uno dei personaggidell’autore di “Una solitudine troppo rumorosa”. Ma è esistito davvero. Prima che morisse,lo scrittore polacco Mariusz Szczygiel lo ha incontrato. Per restituircelo in questo esilarante racconto

CULTURA*

Sono lieto di confermarleche sono vivo. Sebbene,per motivi di salute,lo sia solo dalle ore 14 in poiLe chiedo quindi la cortesiadi non arrivare in anticipo

‘‘

Ecco come Egon Bondyentrò nella penna di Hrabal

MARIUSZ SZCZYGIEL

IL PERSONAGGIOUna fotografia di Egon Bondy, personaggio letterario

ma anche uomo in carne ed ossa: il suo vero nome era Zbynek Fišer

Repubblica Nazionale

Page 7: Cara - download.repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/16012011.pdfOh scusate scusate! ... fortuna diminuisce d’anno in anno, non pos-sono più spendere come prima,

re da nessuna parte. Mi alzai e scrissi una breve lettera a ciascu-no di loro che sarei venuto il giorno dopo. Se non che il giornodopo non ci andai. E da allora per diversi anni non vidi più nes-suno dei miei amici. Rimasi solo. Andavo nelle biblioteche, mimisi a studiare il buddismo e il taoismo. Una decina di anni do-po incontrai Hrabal per strada, casualmente. Al funerale diHonza nel 1981 al mio posto era andata mia moglie Julie».

Ecco come divenne dottore di filosofia:Un giorno conobbe la sua dottoressa di famiglia. Era un’ap-

passionata di filosofia orientale. Lo convinse a riprendere glistudi. Ci pensò lei a sbrigare tutte le pratiche. Per poter fre-quentare il liceo per lavoratori Bondy dovette trovarsi un im-piego. Venne assunto al Museo Nazionale come custode dellabalena. Fu la prima volta in vita sua che lavorava. Teneva d’oc-chio lo scheletro lungo trenta metri. A ventisette anni conseguìla maturità e superò l’esame di ammissione alla facoltà di filo-sofia.

Ecco come divenne un noto filosofo cecoslovacco,Zbynek Fišer:Negli anni Sessanta pubblicò: Questioni dell’essere e dell’esi-

stenza, Il conforto dell’ontologia, Buddha. Fišer fu il primo inCecoslovacchia che riuscì a spiegare in modo accessibile la fi-losofia orientale e a metterla a confronto con la tradizione occi-dentale. Nei primi anni Novanta uscirono i sei volumi delle No-te per una storia della filosofia. La prima versione della sua tesidi dottorato era farcita di tante espressioni sconce che il suo re-latore ci mise una settimana a trovare degli equivalenti più de-corosi.

Ecco come il quarantenne Bondy divenne il gurudell’underground:Quando non aveva da mangiare e non sapeva dove andare, si

faceva chiudere in manicomio. Aveva per questo i suoi metodi.Entrava per esempio di corsa sull’autostrada agitando una lan-terna a luce rossa, di quelle usate nei cantieri stradali, e strilla-va: «Omicidio! Aiuto!».

Proprio in un reparto di psichiatria, nei primi anni Settanta, in-contrò Ivan Jirous, detto il Mattacchione, un giovane storico del-l’arte, nonché anima e leader del gruppo rock The Plastic Peopleof The Universe. Il Mattacchione si nascondeva in manicomioper sfuggire al servizio di leva. (Bisogna dire che gli psichiatri ce-coslovacchi hanno reso un buon servizio ai dissidenti).

I Plastic People persero la testa per le vecchie poesie di Bondy.La band si era formata nel 1968, due mesi dopo l’invasione del-la Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia.«Generiamo figli destinati all’inferno» aveva dichiarato Bondyall’indomani dell’invasione.

I suoi pezzi degli anni Cinquanta — «una merda poeticizza-ta» secondo la sua stessa definizione — infrangevano i tabù lin-guistici. Le sue brevi poesie erano perfette per i ritornelli facilida ricordare («Pacifico, pacifico, pacifico come un antidolorifi-co»). Nell’epoca del neostalinismo degli anni Settanta i testi diBondy si caricavano di un significato particolare.

Qualcuno dichiarò che la miscela di suoni, stridenti e disso-nanti, prodotti dai Plastic People, non si piegava al diktat di do-ver piacere a tutti costi.

Nei giornali e in televisione venivano accusati di esibire undisdicevole disprezzo dei valori, oltre a una totale mancanza dirispetto verso il popolo dei lavoratori.

I musicisti si difendevano dicendo che in realtà quei testi era-no un appello a vivere diversamente. «Può darsi che il nostro siasemplicemente il canto di un topo chiuso in un labirinto. Forseper questo la musica dei Plastic People è così diversa dal rocksuonato in Occidente», rifletteva Jirous.

Nel 1976, dopo una serie di persecuzioni, tutti i membri delgruppo furono arrestati (Jirous era stato sbattuto in carcere bencinque volte, l’ultima nel 1989: una settimana dopo l’inizio del-la rivoluzione di velluto). Il famoso processo ai Plastic Peoplediede vita al movimento di opposizione anticomunista chia-mato Charta 77.

Il loro disco più importante, pubblicato in Canada e intro-dotto in Cecoslovacchia di contrabbando, s’intitola EgonBondy’s Happy Hearts Club Banned.

Il pezzo di maggior successo scritto da Bondy e messo in mu-sica dalla band dissidente praghese recita:

«Ieri mattina, giorno festivo, di un intenso prurito ai coglioniimpazzivo».

Ecco perché a sessantaquattro anni Bondy si trasferìa Bratislava:Si narra che abbia traslocato lì e assunto la cittadinanza slo-

vacca in segno di protesta contro la scissione della Cecoslovac-chia nel 1992. In realtà nel 1993 aveva ricevuto la proposta di te-nere dei corsi di storia della filosofia dall’Università Comenio diBratislava. E così lui e sua moglie Julie si trasferirono lì per sem-pre. Si erano conosciuti nella biblioteca dell’Università Carlo diPraga, dove Julie lavorava. Diceva spesso che lei era la sua uni-ca ragione di vita. Julie morì un anno dopo il trasloco.

Ecco come si svolse il suo ultimo incontro con Hrabal(nel 1995):Bondy andò a trovare lo scrittore nella sua casa di villeggia-

tura a Kresk, gli diede un bacio sulla fronte e dichiarò che prestoHrabal sarebbe morto, quanto a lui, non avrebbe mai più ri-messo piede sul territorio ceco. «Dice un mucchio di sciocchez-ze», rispose Hrabal (si erano sempre dati del lei). «A vederla così,direi che tra un anno sarà lei a tirare le cuoia in quella sua Brati-slava. Mi dia retta, si trovi al più presto un buon avvocato, e lo pa-ghi in anticipo perché riporti la sua salma in Cechia. Da Praga la

strada per il paradiso è più breve. Magari ci rivedremo lì».(Bohumil Hrabal morì due anni più tardi. Cadde oppure, co-

me sembra più probabile, si gettò da una finestra del quinto pia-no dell’ospedale).

Ecco come Egon Bondy si lamentava in un primo momentodei nuovi tempi:«La verità capitalista e l’amore per la resa dei conti con i col-

laborazionisti del passato regime hanno trionfato/ e intanto lepersone semplici/ sui tram e nei bar dicono/ che, proprio comeai vecchi tempi, non si sente parlare che di odio/ e non si leggo-no che bugie (...) “È la strada giusta da percorrere!”/ “Scegliamola prosperità!”/ La nostra o quella dei capitalisti stranieri? (pri-mavera 1992)».

«Ci hanno condotto in pompa magna/ sulla Strada dell’Eu-ropa/ che ben presto si è tramutata in una scampagnata nel pas-sato/ Una grande inculata con uno spiraglio di luce:/ final-mente possiamo vedere con i nostri occhi/ ciò che conosceva-mo dai libri».

La sua raccolta dedicata alla nuova realtà s’intitola Il ballo de-gli spettri.

Secondo la voce messa in circolazioneall’università di Bratislava: Egon Bondy, in quanto altermondialista, tra una lezione e

l’altra fruga nei cassonetti dell’immondizia per recuperare ciòche l’umanità butta via.

Ecco come incontrai Egon Bondy:Marzo 2004. Io e una mia collaboratrice andiamo a trovarlo.

Ci apre un uomo piuttosto basso, in un maglione a collo alto, vi-sibilmente deliziato dalla nostra visita.

«Ci avrei scommesso che fosse vivo!», esordisco. «Le ho por-tato un regalo».

Tiro fuori un grembiule da cucina in cerata. Di quelli che si al-lacciano al collo e sui fianchi. È grigiobianco. Sul davanti sonostampati due glutei maschili a grandezza naturale.

«Porca puttana!», gongola Egon Bondy, «adesso avrò il culosia davanti sia dietro!»

Lo indossa, fa un giro su se stesso. «Porca puttana! Domaniandrò così all’università e sapete una cosa? Farò come se nullafosse!»

Egon Bondy porta due enormi boccali di vetro pieni fino al-l’orlo. «La birra e Hrabal...», buttiamo lì.

«Beh, con Hrabal e Vladimír non giravamo mica per birrerie,lo sapevate?»

«Invece ci andavate», insisto. «In Un tenero barbaro».«Si è inventato tutto di sana pianta. Ma non mentiva. Lui era

convinto che tutto fosse successo esattamente così. Mentre inrealtà per la maggior parte del tempo restavamo a casa di Hra-bal e discutevamo di filosofia. Ha fatto di me un pagliaccio, ve-ro? Ma non me la sono mai presa».

«Perché?»«Perché ero un personaggio letterario. E come tale non pote-

vo dire la mia».Alziamo i giganteschi boccali: «Oh! Non è birra!»«Sono anni che ci metto dentro un infuso di erbe, hi, hi, hi! Co-

sì sembra birra, ah, ah, ah!»«E la birra?»«Da trentacinque anni vado in giro con un tumore all’intesti-

no. Quando si è privati per tanto tempo di ogni piacere biologi-co, che cosa resta? Prendere tutto quanto per il culo, ecco cosaresta».

«Lei ha scritto una poesia sulla sua madrepatria. Se l’avessescritta un polacco sulla Polonia, sarebbe stato impiccato».

«Perché voialtri avete quel vostro orgoglio nazionale. Anchei serbi ce l’hanno. I cechi, al contrario, amano parlare male delproprio Paese. Da noi non ci sono tabù, quindi tutte le provo-cazioni lasciano il tempo che trovano. Vede, è molto diverten-te essere membro di una nazione così piccola. Ma essere poetain una nazione così piccola è mille volte più divertente».

«E che cosa significa oggi essere un marxista, perché capiscoche lo è tuttora?»

«Significa aspettare».«Finché non arriva una nuova rivoluzione d’ottobre?»«Come idea rivoluzionaria il marxismo ha fallito. Però ritor-

nerà. Tra un centinaio d’anni, con modalità completamente di-verse, perché le tecnologie saranno cambiate. Oggigiorno, qua-lunque aiuto umanitario all’Africa è un crimine economico. Ame interessa invece un sistema in cui non lo sia. Nella mia vi-sione, la globalizzazione dovrebbe significare pari opportunitàper tutte le nazioni del mondo... Oh, chiedo scusa, hanno suo-nato alla porta!»

Bondy esce e torna: «Il postino. Mi ha portato la pensione».«A quale nome viene spedita?»«A quello di Zbynek Fišer. Ma firmo come Egon Bondy. Mi so-

no impuntato e adesso anche quelli delle poste centrali devonoriconoscerlo».

Ecco come divenne collaboratoredella polizia politica comunista:Per ben tre volte avevano tentato di adescarlo. La prima nel

1961, quando era ancora studente di filosofia. «Non avevo unabuona opinione dell’Urss», ha raccontato al giornalista del piùimportante settimanale ceco Respekt, «tuttavia, per come la ve-devo io, l’imperialismo internazionale era un male di gran lun-ga peggiore. Un mio compagno di studi mi aveva detto di esser-si iscritto a un circolo di caccia per ottenere il porto d’armi e nonvedeva l’ora di usare il suo fucile contro i bolscevichi. Un altro,infervorato, mi raccontò di un fienile dove aveva nascosto delleattrezzature. Si teneva pronto a mettere in piedi un’impresa ca-pitalista non appena i comunisti sarebbero stati fatti fuori a fu-cilate». A un certo punto Bondy fece amicizia con uno studenteche per arrotondare lavorava per la polizia segreta. Era statoBondy a fare la prima mossa e a proporsi come informatore. Daidossier risulta che era solito denunciare alla polizia quali librioccidentali leggessero i suoi compagni e chi di loro avesse del-le inclinazioni religiose. Alla domanda del giornalista se nonavesse in quel modo procurato loro dei fastidi risponde così:«Un momento, se quelle persone intendevano davvero ripristi-nare il capitalismo da noi, cosa vuole che m’importasse se fini-vano nei guai?»

Una volta laureato, la polizia segreta lo lasciò in pace. Si rife-cero vivi molti anni più tardi. Gli chiesero informazioni su unsuo amico dissidente.

Molti dei suoi conoscenti dichiarano oggi che per non doverfare soffiate si imboscava negli ospedali psichiatrici. Bondy af-ferma: «Presto si resero conto che era inutile tentare di cavaresangue da una rapa».

Nel 1997 sono usciti gli Appunti del Mattacchione. Conten-gono rivelazioni sconcertanti. Ivan Jirous ebbe modo di legge-re i verbali delle deposizioni rilasciate da Bondy. Bondy era sta-to l’unico a vuotare il sacco. Aveva spiattellato agli inquirentitutto «e anche di più». Jirous era rimasto senza parole davanti alsuo tradimento. Per mesi si arrovellò in carcere sulla lettera chegli avrebbe scritto a proposito di «intellettuali forti solo a paro-le, e che se la fanno sotto non già al primo schiaffo, ma al primocolpo di piede battuto a terra da un poliziotto».

Si incontrarono due settimane dopo il rilascio di Jirous: «Cieravamo semplicemente abbracciati, mi ero scordato comple-tamente della lettera».Jirous lo giustifica: «In fondo Bondy è vis-suto in mezzo a quella porcheria quindici anni più a lungo dime, si era beccato in pieno gli anni Cinquanta, mentre io ero an-cora un bambino. Ed è come se fosse più vecchio di me di cin-que secoli».

«Come vede, sono vivo», Egon Bondy ci congeda sul piane-rottolo con un profondo inchino. «È stato un piacere poterglie-lo dimostrare».

Egon Bondy non è più vivo.È morto il 9 aprile 2007. Il suo pigiama aveva preso fuoco. Si

era addormentato con una sigaretta accesa in mano.Il più grande quotidiano ceco, Mladá Fronta Dnes, ricordan-

do sul proprio sito i meriti del filosofo, sottolineò che era vissu-to senza telefono, radio e televisione, perché per tutta la sua vi-ta aveva lottato contro la società del consumo.

Sotto la notizia della sua morte, intitolata Sigaretta letale nelletto di Bondy, ammiccavano i «link inerenti all’argomento»:

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Zapalilo sie lózko© Mariusz Szczygiel

Traduzione dal polacco di Marzena Borejczuk

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 39DOMENICA 16GENNAIO 2011

Quando stava in piedi al soleEgon sembrava un faunoemerso da una cisternadi birra, i capelli chiarigli scorrevano sempre giùlungo le orecchie...

‘‘

L’AUTORE

Mariusz Szczygiel

(1966) è uno scrittore

e giornalista polacco

premiato

per i suoi reportage

In Italia Nottetempo

ha pubblicato

Gottland

Ha già scritto

per Repubblica

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Repubblica Nazionale

Page 8: Cara - download.repubblica.itdownload.repubblica.it/pdf/domenica/2011/16012011.pdfOh scusate scusate! ... fortuna diminuisce d’anno in anno, non pos-sono più spendere come prima,

40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 16GENNAIO 2011

L’incontro di Walt Disneye Salvador Dalí e il pro-getto del film Destinoviene da lontano. Perlo-meno dal fatidico 1938,l’anno in cui il primo si

sente al centro del mondo. Non ha nep-pure tutti i torti. Mickey Mouse è un’ico-na americana che ha già conquistato ilmondo. E poi il suo primo lungometrag-gio, dal successo straordinario, segna lanascita di una nuova forma espressiva:con Biancaneve e i sette nani il disegnoanimato non è più fatto solo per diverti-re, ma anche per emozionare, commuo-vere, stupire . Perfino il maestro del cine-ma russo Eisenstein scrive che Disney«sembra conoscere tutte le corde più se-grete dell’animo umano, delle immagi-ni, delle idee, dei sentimenti».

Il papà di Topolino la sua fortuna se laprepara con attenzione, passione e con

grande lungimiranza. Per esempio stu-diando l’arte europea dell’Ottocento edel Novecento. Facendo arrivare cassedi libri con i migliori illustratori, spul-ciando le immagini disegnate dal mae-stro inglese Rackham, chiamando a la-vorare con sé un altro grande come losvedese Tenggren (fondamentale perdettare le atmosfere in Biancaneve) e poiil danese Kay Nielsen. Aveva già ammi-rato le opere dei preraffaelliti, i quadri diArnold Böcklin e osservato quelli dell’a-strattista tedesco Oskar Fischinger. Diqui la grande idea: trasformare l’arte inarte popolare. Nasce Fantasia, e per rea-lizzare il sogno di un film composto dibrani classici, chiama Fischinger a dise-gnare il brano di Bach e convince Stra-vinskij a concedergli la sua Sagra dellaprimavera. Poi litiga con entrambi: l’ar-te, secondo il loro punto di vista, non ac-cetta mediazioni. «È l’anima di ciascunindividuo che ascolta la mia musica a de-stare il mio interesse, non il sentimentopopolare di un gruppo», gli fa sapere ilmusicista russo in un suo articolo.

Qualche anno dopo con Dalí le cosevanno in maniera diversa, perché Salva-dor non ha alcuna ritrosia nei confrontidella popolarità e del successo (anzi, èorgoglioso del soprannome/anagram-ma datogli da Breton, fondatore del mo-vimento surrealista: «Avida Dollars»).Non a caso, ritornato da un viaggio in Ca-lifornia alla fine degli anni Trenta, scriveproprio a Breton di essere entrato in con-tatto con i tre più grandi surrealisti ame-ricani: Harpo Marx, Cecil B. De Mille eWalt Disney. Salvador e Walt si conosco-no di sicuro nel 1945, a casa del produt-tore Jack Warner. Nasce tra loro un’im-mediata simpatia, che porta alla firma diun contratto per un cortometraggio ba-sato su Destino, canzone messicana chenon aveva trovato posto in uno dei filmsudamericani di Disney, Saludos ami-gos! e I tre caballeros.

Così nel 1946 Dalí va tutti i giorni a la-vorare nello Studio di Burbank insiemea John Hench, stretto collaboratore diWalt. Il lavoro viene portato avantiper mesi, durante i quali idue realizzano

dipinti, schizzi e sequenze. La storia,vaga e visionaria, ha come filo con-duttore l’innamoramento di unadonna e un uomo, accompa-gnato dalle invenzioni di Dalí: isuoi orologi, le tartarughe, unamano da cui escono insettiche poi si rivelano essere uo-mini in bicicletta, due profiliche si incontrano creandol’immagine di una ballerina.Nei diari di Gala, la celebremoglie dell’artista spagnolo,di Destino si possono leggeredecine di versioni. Poi il pro-getto si ferma. Forse perché idistributori non vogliono piùda Disney cortometraggi musi-cali, o forse perché, come ha testi-moniato un collaboratore di-sneyano amico di Dalí, Disney siinfuria trovando nella scena fina-le non più ballerine ma giocatoridi baseball. «Questo non ha alcunsenso!», il drastico commento.

Probabilmente la verità è chein quel progetto di film c’è trop-po Dalí e troppo poco Disney.Destino vuole che tutto il lavorosul film rimanga dimenticatoper alcuni decenni nei magaz-zini di Burbank. Viene recupe-rato da Roy Disney, nipote diWalt, che amava portare avan-ti i progetti abbandonati dallozio. Così, dopo aver ripresonel 2000 il progetto Fan-tasia, decide che il filmche non era mai stato sidovesse finalmentefare, portando alla lu-ce la collaborazionefra due grandi del No-vecento. Anzi, fra duegeni, usando un appel-lativo che tanto piacevaad entrambi.

LUCA RAFFAELLI

Appunti di scenasul film mai finito

Il genio degli orologi liquidi e il mago dell’animazioneavrebbero voluto realizzare un cartone dal titolo “Destino”

Il progetto naufragò e venne realizzato solo alla morte dei dueMentre ora esce in versione Blu ray, ecco i bozzettie il carteggio inedito che per pochi mesi intrattennela coppia più strana del Novecento

SPETTACOLI

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41DOMENICA 16GENNAIO 2011

ANTONIO GNOLI

Fu alla fine della Seconda guerra mondiale che si formò —per poco tempo a dire il vero — la coppia più strana ed ec-citante che allora si potesse immaginare. Walt Disney eSalvador Dalí si conobbero nel 1945. Erano, a loro modo,due geni. Determinati, insoliti, vincenti. Due maschiAlpha, diremmo con linguaggio etologico. Nell’ovvia di-

versità delle loro origini — uno era americano l’altro catalano — fu-rono due autentici visionari. Il loro primo incontro, del tutto casuale,avvenne nella villa del produttore Jack Warner. Dalí, insieme allacompagna Gala, era a Hollywood per disegnare l’insert di Io ti salveròdi Hitchcock. Il regista voleva che egli lavorasse alle scene di un incu-bo, qualcosa che desse il senso di una profonda angoscia: psicoana-lisi applicata alle esigenze del cinema. L’artista fu entusiasta dell’in-carico, lusingato che un grande regista avesse pensato alla sua pittu-ra. Che del resto era eclettica come la sua mente. Nella fase trionfaledel surrealismo egli aveva collaborato anche con Buñuel sul set di Unchien andalou e in piccola parte a L’Age d’or. Amava il cinema e le sueimmense potenzialità. Trovarsi al cospetto di Disney, uno dei grandiartefici del sogno americano, fu un’occasione da sfruttare.

In una lettera a Breton, di qualche anno prima, Disney aveva inse-rito Dalí tra i più grandi surrealisti. Non era il giudizio di un critico, maquello di un talento visivo che aveva colto nella pittura del catalanouna delle grandi rivoluzioni artistiche del primo Novecento. Disneyera impulsivo, pragmatico, in grado di realizzare le occasioni che glisi presentavano. Avere davanti in carne e ossa Salvador Dalí era comestare di fronte a una fragrante torta di Nonna Papera. Impossibileignorarla. Cominciò a intravedere un progetto di collaborazione perla realizzazione di un corto di animazione. Si parlarono e si inteseroalla perfezione. Nacque Destinoche, secondo le parole di Dalí, sareb-be stato «una magica esposizione della vita nel labirinto del tempo».

A rivedere oggi certa pittura dell’artista, gli orologi molli che pen-dono come guanti, o il dipinto del 1946 La tentazione di Sant’Antonio,che sembra direttamente uscito dalla fantasia disneyana, si ha l’im-pressione che i mondi onirici dei nostri due protagonisti non aspet-tassero altro che la scintilla di un progetto comune per potersi fonde-

re e offrire qualcosa di inedito al mondo. Le poche lettere che, tra il1945 e il 1946, i due si scambiano sono per lo più messaggi di cortesiae di entusiasmo per il lavoro in comune. Nulla ci dicono delle loro na-ture. Erano simili Walt e Salvador? Una foto li ritrae, insieme ad altri,in un abbozzo di parco di Disneyland. Sono davanti a un treno in mi-niatura: Dalí avvolto in un elegante paltò dai larghi baveri e Disney conuna camicia a scacchi, i jeans e un cappello sulla testa. Sembrano con-centrati sul giocattolo. Affascinati dalla perfetta miniatura di una lo-comotiva a vapore, ne studiano la potenzialità cinematografica: crea-re illusione e movimento.

Non erano queste le doti da entrambi possedute? Disney le applicòalle sue creature di carta, con le quali interpretò l’America nelle suevarie fasi: dal sogno roosveltiano del new deal alla guerra fino all’a-merican way of life degli anni Cinquanta e Sessanta. Non fu esente dacritiche, anche pesanti. Alcune biografie, come quella di Marc Eliot,puntarono a distruggerne l’immagine. Si insinuò che avesse avutosimpatie per il fascismo e il nazismo, che fosse stato antisemita. Nongli perdonarono di aver testimoniato, durante il maccartismo, controi colleghi e averli accusati di attività antiamericana. Era nato roosvel-tiano finì conservatore. Come Dalí del resto. Che da giovane si era le-gato a García Lorca e col tempo divenne un esaltatore del suo carne-fice: il Generale Franco.

Strane e paradossali sono le vite degli artisti. Ma mentre Disney sidifese dalle accuse che considerò infamanti, Dalí le sublimò all’altez-za di un omaggio alla sua storia dirompente. E qui si vedeva lontanoun miglio quanto i loro caratteri fossero diversi. Disney era l’uomo chesi era fatto da solo, che aveva lavorato duramente: un indipendenteche aveva saputo affrontare e risolvere tutte le avversità. Era il genioche intuiva dove si posava lo spirito industriale del mondo.

Salvador Dalí non ebbe in dote la sobrietà dell’altro. Era assoluta-mente privo di freni inibitori. E mise questa assenza al servizio dellapropria teatralità. Più che aspettare che qualche biografia lo demo-lisse pensò lui a stupire il suo pubblico scrivendone una che intitolò:Vita segreta di Salvador Dalí. È innegabile che in quell’opera esternòtutto il proprio esibizionismo. George Orwell la stroncò definendoDalí «asociale come un insetto». Come dargli torto? Dalí aveva comepunto di riferimento umano soltanto Gala, la donna che aveva dipin-to, amato, curato negli anni della malattia e accompagnato fino allatomba. Gala, più grande di qualche anno, era stata la moglie di PaulEluard e poi l’amante di Max Ernst. Dalí si era invaghito di questa don-na russa, il cui vero nome era Elena Dimitrievna Diakonova. Fu la so-la costante della sua vita. Il resto del mondo divenne per lui un’im-mensa cartoonia nella quale inventare figure surreali, dominate dalsogno, dal sesso e dalla paranoia. Si può dire che tra i tanti generi, nel-la sua arte, incubassero anche il fumetto e la graphic novel. Manca-vano in lui la consapevolezza industriale e il lavoro di squadra, dotiche Disney possedeva.

Vissero entrambi di sogni e di ambizioni. Volevano la popolarità.Chiesero di essere creduti e il successo arrise loro. Non sempre l’artedi Dalí fu apprezzata. E ancora oggi la critica si divide tra chi lo vedecome l’ultimo dei surrealisti e chi lo stronca come il primo degli arti-sti kitsch. In realtà, senza entrare nel merito della sua pittura che fucomunque grande e contraddittoria, egli ha costituito il prototipodell’artista multiplo e mediatico. Fece del suo corpo, quello che ave-va fatto della sua pittura: un’arte dell’apparenza. Disney non si spin-se a tanto. Gli mancava l’estremismo. E il senso innato della provoca-zione. Se la sua vita non fosse arrivata dalla provincia americana, for-se avrebbe potuto somigliare maggiormente al pittore catalano. For-se in un’altra vita lo avrebbe perfino ricreato nei suoi meravigliosi car-toon. Immaginando, per i suoi adulti e bambini, un tipo tra MacchiaNera e Gastone: elegante, un po’ cattivo e molto fortunato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Surrealismo alla catalanae sogno americanoDue visionari a Topolinia

LA FOTO

Walt Disney(il primoda sinistra) e Salvador Dalí(il secondoda sinistra)insieme in un parcogiochi diHollywood

IL COFANETTO

Il cortometraggio d’animazione

Destino, tratto dal progetto

di Walt Disney e Salvador Dalí

e realizzato nel 2003 con la regia

di Dominique Monfery, è inserito

tra i contenuti extra del cofanetto

Blu ray disc che comprende

Fantasia, il film prodotto

da Walt Disney nel 1940,

e Fantasia 2000, il sequel voluto

da Roy Disney sessant’anni dopo

Insieme a Destino, anche

un documentario intitolato

Dalí & Disney: un appuntamento

con Destino in cui si raccontano

le vite dei due grandi personaggi

Repubblica Nazionale

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42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 16GENNAIO 2011

i saporiTrasversali

Può camminare e andare sott’acqua. Piace a poveri e ricchiOgni sua parte può essere cucinata, a lungo ma anchecon tempi più brevi. Non ha carni bianche ma neppure rosseLeggendaria e gustosa, riserva sempre una sorpresa

CosciaPolposa, gustosa, robusta,

si prepara sia intera

(a fine cottura,

nel suo grasso si stufano

le verze) sia disossata

e farcita con verdure,

funghi, salsiccia

FegatoIl foie gras si gusta

sia in versione confit

(paté e terrine), sia fresco,

scaloppato. Quasi tutti

i paesi della Ue

vietano ormai la pratica

dell’ingozzamento

SalameImpasto di oca e maiale

insaccato nel budello

naturale, o carne di petto

d’oca in purezza

nella pelle del collo,

specialità per cristiani,

ebrei e musulmani

ColloDisossato e farcito

con un ripieno di carne

e tartufo, innaffiato

con poco brandy si cuce

alle estremità. Cottura

lenta nel suo grasso

o in brodo

PettoSi cuoce arrosto

e brasato, o si affumica,

come nel caso del falso

parsuto padovano,

formato da due petti

arrotolati, cuciti

insieme e insaccati

UovaPesano anche quattro

volte quelle di gallina

e sono il segreto

delle sfogline romagnole,

per rendere la pasta

più elastica

e le torte più fragranti

dell’

Se il maiale avesse le ali

Seiun’oca, dicono, e certo non a mo’ di complimento. Dare del-l’oca è quasi peggio che dare del pollo... Eppure, l’animale hamolte frecce nel suo arco, a cominciare dal coté gastronomi-co. L’auca latina — da avica, avis, uccello — è una sorta di for-ziere alimentare, che tutto o quasi può contenere ed esserecucinato: grassi e proteine, muscoli e fegato, stomaco (durel-

lo) e pelle. La polivalenza biofisica — l’oca cammina, corre, va sott’acqua,nuota, vola, con performance da pantatleta — la consegna in cucina di-versa da tutte le altre creature commestibili. Non si tratta di carni bianchema neppure rosse in senso stretto, i grassi sono saturi in quanto animalima di formazione chimica prevalentemente insatura (e quindi più sani),ci si può stancare a forza di cuocerla ma alcune parti accettano perfinocotture rosate. Piace a poveri e ricchi, in virtù di quella trasversalità ga-stroculturale che autorizza le classi privilegiate a far proprie le acrobaziealimentari delle classi subalterne. E infine, come per i suini, dell’oca nonsi butta via nulla, tanto da valerle la definizione di maiale con le ali.

Rispetto ad altri uccelli da carne, fatichiamo a considerarla alla stre-gua degli animali da allevamento intensivo. Sarà per la dimensione af-fettuosa che il mondo disneyiano ha attribuito alla famiglia — dalla pro-genie di Zio Paperone alle sorelle Adelina e Guendalina Bla Bla — sarà pertutta l’aneddotica scientifico-popolare accumulata nei millenni, sarà

perché l’oca è troppo ingombrante per le dimensioni dei nostri freezer,troppo pretenziosa per le nostre cotture frettolose, troppo ancorata allastoria contadina. Siamo riusciti a far dimagrire i maiali, banalizzare i pol-li, dimensionare i pesci in monoporzioni, ridurre le mucche a fabbrica dibistecchine e hamburger. L’oca — vanitosa, permalosa, vendicativa,chiassosa — è difficile da rendere seriale. Così, i francesi per trasfor-marle in produttrici di foie gras, alterano la struttura del loro fegato (iltermine steatosi indica l’incremento patologico del grasso epatico) gra-zie alla pessima pratica del gavage, l’ingozzamento forzato, che l’Italiae altri tredici Paesi della Ue hanno dichiarato illegale nel 2007. Fortu-natamente, come per la corrida in Spagna o la caccia alla volpe in In-ghilterra, anche in Francia si sta prendendo coscienza dell’orrore della“pratica comune”, scappatoia legale usata per autorizzare alcuni Paesia torturare ogni anno trenta milioni di oche e anatre in nome del paté. Afine 2010, infatti, trentamila confezioni di un gustoso succedaneo bat-tezzato “Faux gras”, finto grasso, hanno allietato le tavole natalizie deifrancesi, a conferma che quel 45 per cento di contrari al gavage comin-cia a tradursi in scelte meno scontate, a supporto di pratiche più rispet-tose del benessere animale.

Se poi l’idea di addentare un cosciotto di Ciccio — l’ottuso, tenerissi-mo nipote di Nonna Papera — vi fa orrore, ripiegate su una bella frittata:con mezza dozzina di uova d’oca, sfamerete l’intero condominio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LICIA GRANELLO

L’APPUNTAMENTO

La distilleria di Percoto

sabato 29 ospiterà

per il Premio Nonino

quasi mille persone, pronte

a godersi le cosce d’oca

bollite, servite su letto

di verze, cren e mostarda

di bacche di rosa canina

Il

Ocagioco

Repubblica Nazionale

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Savigliano (Cn)

Qui Edoardo Bresciano

ha recuperato l’antica cascina

di famiglia, strutturandola

secondo i principi

dell’allevamento naturale

DOVE DORMIREIL SEGRETO DI MILIA

Strada Cavallotta 116

Tel. 0172-717574

DOVE MANGIAREL’ANTICA CORONA REALE

Via Fossano 13, Cervere

Tel. 0172-474132

Chiuso martedì sera e merc.

menù da 50 euro

DOVE COMPRARECASCINA PESCHIERA

Strada Santa Scolastica 9

Località Suniglia

Tel. 0172-377356

Palmanova (Ud)

Ispirati da Luciano Curiel,

ultimo macellaio del ghetto

di Venezia, i Pessot hanno

trasformato la gastronomia

a base di carne d’oca

DOVE DORMIREAI DOGI

Piazza Grande 11

Tel. 0432-923905

Camera doppia da 85 euro,

colazione inclusa

DOVE MANGIARECAFFETTERIA TORINESE

Piazza Grande 9

Tel. 0432-920732

Chiuso mercoledì

menù da 15 euro

DOVE COMPRAREJOLANDA DE COLÒ

Via Primo Maggio 21

Tel. 0432-920321

Mortara (Pv)

Dura da quasi un millennio,

l’allevamento delle oche

in Lomellina, affinato

grazie al lavoro di Gioachino

e Davide Palestro

DOVE DORMIREALBERGO SAN MICHELE

Corso Garibaldi 20

Tel. 0384-99106

Camera doppia da 85 euro

colazione inclusa

DOVE MANGIAREGUALLINA

Via Molino Faenza19

Tel. 0384-91962

Chiuso martedì

menù da 40 euro

DOVE COMPRARECORTE DELL’OCA

Via Sforza 27

Tel. 0384-98397

Chen Shiqin guidail “La Rei”, ristorantedel BoscaretoResort, a Serralungad’Alba. Squisita

la scaloppa di fegatograsso d’oca, mosto,nocciole e mele cotogne

itinerari

RagùSi lavora sia in bianco,

utilizzando poco zucchero

per caramellare la carne,

sia con il pomodoro

Oltre a condire le paste

fatte in casa, si usa

come farcia per i ravioli

ProsciuttoLe cosce più pregiate

vengono massaggiate

col sale e stagionate come

quelle dei maiali. Varianti:

al pepe, leggermente

affumicato, cotto

e tipo speck

RipienaPreparazione sontuosa

che prevede una farcitura

a base di amidi (castagne

o patate), carni (fegato,

salsiccia), spezie e odori

dell’orto. Cottura in forno

per due ore

BottaggioLa cassoeula d’oca:

sui pezzi di carne, rosolati

con cipolla, carote

e sedano, bagnati col vino

bianco, si appoggiano

strati di verze con sale

grosso, lasciando stufare

Dal Campidoglio al Nobel

Se l’aquila è rapace l’oca è loquace. E pure pugnace e perspi-cace. Come le indimenticabili oche del Campidoglio che sal-varono Roma dai Galli mentre tentavano nottetempo di sca-lare le mura dell’urbe. E ci sarebbero riusciti se le indomitepennute non si fossero messe a strillare come ossesse. Cosìarrivarono i nostri e la città eterna fu salva. Gli antenati di

Asterix se ne tornarono oltralpe con le pive nel sacco, giurando però divendicarsi sulle perfide spione. E poiché la vendetta è un piatto da con-sumare freddo, inventarono il foie gras. Totem della gastronomia fran-cese, che costringe da secoli i gloriosi palmipedi a farsi un fegato così.

Anche se l’ingrasso forzato delle oche, che peraltro non dispiacevanemmeno ai Quiriti, risale, secondo alcuni, addirittura agli antichi Egi-zi. Che al bipede piumato attribuivano virtù magiche e profetiche. Fa-cendone il simbolo della preveggenza. Una prerogativa che mette tuttid’accordo. Nelle tradizioni popolari europee erano le oche a preavverti-re gli incendi, a starnazzare contro ladri e faine, a trovare i tesori nasco-sti. E ad accompagnare i trapassati nell’Aldilà. Tanto è vero che si usavamangiarle arrosto il 29 settembre, festa di San Michele, l’arcangelo chesoppesa le anime sulla bilancia nel giorno del giudizio. Mentre nei paesidell’Asia centrale gli sciamani, quando vanno in trance per raggiungereil mondo degli spiriti, imitano il verso dell’oca. E immaginano di volare

sulle sue ali. Proprio come il piccolo Nils Holgersson, nato dalla fantasiadella scrittrice svedese Selma Lagerlöf, la prima donna a vincere il Nobelper la letteratura nel 1907. Il bambino sorvola la Scandinavia a cavallo diun’oca che gli dà un’autentica lezione a volo d’uccello sull’ingiustizia so-ciale e sul rispetto per la natura. Una lettura edificante che folgora il pic-colo Konrad Lorenz e gli ispira la sua celebre e appassionata dedizioneper le ochine. Che dal canto loro lo ricambiano trattandolo come la loromamma. E facendogli vincere il Nobel per l’etologia nel 1973. In quel-l’occasione il grande scienziato disse che avrebbe voluto nascere oca.

Animale intelligente, a dispetto delle malelingue. Ma anche simbolodi un gusto democratico, alla portata di tutti, tanto da dare il nome a isti-tuzioni sociali come i Goose Clubs ottocenteschi. Associazioni operaieche nel mondo anglosassone gestivano i risparmi della working class pergarantire a ogni famiglia un’oca grassa durante le feste comandate. Unaprevidenza gastronomica, un autentico welfare della gola. Per conti-nuare a sognare un mondo migliore, che non lascia gli ultimi a beccoasciutto. Forse per questo le oche sono diventate un simbolo della peda-gogia fiabesca. Dai racconti di Mamma Oca di Perrault alle favole dei fra-telli Grimm. Fino al disneyano Paperino, irascibile signore di quella mec-ca dei palmipedi che è Paperopoli. Abitata da un’umanità con piume ebecco in cui ciascuno di noi non può fare a meno di riconoscere un altrose stesso. Con la pelle d’oca.

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MARINO NIOLA

Guido da CozzoEbbi in Mortara in ripa del Molinouna locanda che si noma “Becco”che lo palato sazia al contadinocon grasse oche e schietto vino seccoe pur sallama d’oca in mostra troviche dar di gola fa chiunque prova

XIV secolo

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LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43DOMENICA 16GENNAIO 2011

Repubblica Nazionale

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le tendenzeSenza tempo Non temono

i capricci del mercatoe sfuggono sempreall’ultimo trendMolto più che accessori,sono borse, occhiali,scarpe, abiti,che tutti vorrebbero(dovrebbero?) averenel proprio armadioEcco, per ogni griffe,quali sono i capi cultche non tramontano mai

44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 16GENNAIO 2011

Ifrancesili definiscono indémodable. Ogget-ti oltre le mode, senza tempo e senza età. Nontemono i capricci dei gusti e neppure quellidel portafoglio. Tengono saldo il timonecontro qualsiasi crisi e, dagli armadi delledonne, spesso sono catapultati direttamen-

te nei musei. In italiano si potrebbero definire, sem-plicemente, icone. Molto più che accessori, sonoamati, regalati, comprati e desiderati. Sino allo sfi-nimento.

Chi vive un’esistenza glamour li riconosce senzaesitazione e, il più delle volte, gode solo nel posse-derli. Per una questione di status ma anche per ilpiacere degli occhi. Talvolta hanno lo stesso nomedei personaggi famosi che, nel corso degli anni,hanno contribuito a trasformarli in mito. C’è la bor-

sa Kelly come la principessa di Monaco che, in unacopertina di Life Magazine, la usò per nascondereuna gravidanza ancora segreta ai fotografi. O anco-ra la Birkin, come la celebre attrice che in aereo alfianco del direttore generale di Hermès manifestòl’esigenza di una borsa più grande per mettere i bi-beron dei suoi figli e se la vide recapitare a casa. O laLady Dior, richiesta addirittura da Jacques Chiracalla maison parigina, in occasione di una visita uffi-ciale di Lady Diana a Parigi. O infine la Jackie di Guc-ci, amatissima da Jacqueline Kennedy.

Tra i superclassici ci sono borse ma anche im-permeabili, cappotti, scarpe, gioielli, orologi e oc-chiali da sole. C’è il trench di Burberry, l’orologioRolex o Bulgari, il gioiello di Tiffany, la pochetteChanel, l’abito di Prada o Valentino e i mocassiniTod’s. Tutti capi lontani, anzi lontanissimi, dagli ul-tracafonal della moda televisiva e dei reality. E spes-so le aziende, allettate dal successo ottenuto nelpassato, ritengono più che saggio recuperare i vec-chi classici e riproporli sul mercato. Magari in edi-zioni limitata.

È il caso della Kelly riprodotta in paglia per il mo-dello picnic o rimpiccolita all’inverosimile nellaversione pochette. O dei mitici Ray-Ban, occhiali onthe road che a partire dal 1937 hanno trasformato lacasa madre in una tra le aziende più famose. Dallaprimavera del 2011, sui nostri nasi, torneranno al-cuni tra i Ray-Ban più classici, per esempio quellopiccolo arrotondato reso celebre da John Lennon ole sfiziose edizioni a forma di gatta. E il pubblico de-gli appassionati, squattrinato, ricco o ricchissimo,ricomincia a sognare.

PRADAAutentica icona è la borsa

in spazzolato nero con chiusura

a cerniera, caratterizzata

dal logo Prada con nodo Savoia

stampato a caldo

DOLCE & GABBANALa borsa Miss Sicily è una

delle più ambite tra le collezioni firmate

Dolce & Gabbana. Elegante e chic

è perfetta per la sera

ma si può indossare anche di giorno

RAY-BANGli occhiali Ray-Ban a goccia

modello Aviator hanno segnato

un’epoca ma sono ancora

attualissimi. Tornano in mille

sfumature di lenti differenti

TOD’SÈ il mocassino per eccellenza

Leggero, flessibile, coloratissimo

Ideale in città, comodo da portare

in vacanza. Griffato da Tod’s

è diventato un simbolo della maison

TIFFANYClassico anello di fidanzamento

il Tiffany Setting è tanto

tradizionale quanto gradito

da chi considera il “solitario”

una dichiarazione d’amore

IRENE MARIA SCALISE

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Icone

Quandoil dovereè un piacere

Repubblica Nazionale

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In molti casisono associatial nome dei personaggiche li hanno resiimmortali:da Coco Chanel,a John Lennon,da Jackie Kennedya Lady DianaPerché non è l’oggettoma chi lo indossaa far sì che entrinella storia del costume

LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45DOMENICA 16GENNAIO 2011

“Quel clic a Grace Kellycosì nasce un mito”

«Capire in anticipo se un prodotto si tra-sformerà in icona è praticamente im-possibile». Parola di Francesca Di Car-

robio, amministratore delegato di Hermès. Leaziende predispongono tutto e poi sono i gusti deiclienti, e il tempo, a decidere le sorti di una borsa odi una cintura. Con una sola certezza: una voltaconquistato il cuore del pubblico, le icone non tra-montano mai.

La borsa Kelly, come la Birkin, hanno avutouna grande fortuna grazie a testimonial di lusso.Quanto pesa un testimonial sul successo di unprodotto?

«Hermès ha dei clienti internazionali, noti intutto il mondo, ma non sono mai “usati” da noi co-me testimonial. Anzi, teniamo segreti i nostri ha-bitué. Però capita che vengano casualmente foto-grafati, come accadde negli anni Sessanta a GraceKelly, e allora diventano un simbolo. Di solito i vipci ordinano prodotti speciali. Se hanno successo,chiediamo agli interessati di poterli mettere inproduzione per tutti».

Quanto riuscite a rendervi conto che un pro-dotto che state realizzando oggi sarà destinato adiventare indémodable domani?

«Dico la verità? Lavoro da vent’anni per Hermèse non ci azzecchiamo mai. Forse è il tempo che de-cide di trasformare una borsa in uno status sym-bol. Quel prodotto che magari oggi non funziona,come avevamo previsto, dopo dieci anni diventacult».

Che target di pubblico è quello di Hermès?«Non ha un vero target perché non ha mai crea-

to una sottomarca. Un prodotto Hermès è sempreHermès: che sia il profumo da novanta euro o laborsa da 150mila. Tra i nostri clienti ci sono moltigiovani e non solo figli di clienti. Certo se una bor-sa come la Kelly costa cinquemila euro determinauna selezione».

Nei momenti di crisi questi oggetti resistono?«In modo insperato. È come se il mercato li

avesse riscoperti. In quest’ultimo anno, così cupo,sembra che un faro di luce illumini Hermès».

Perché secondo lei?«Forse perché i nostri prodotti rispondono a un

generale senso di preoccupazione, per noi stessi eper il futuro, che spinge a spendere bene quandosi decide di farlo».

Qual è il segreto dello stile Hermès?«Alternare le varie direzioni artisti-

che senza stravolgere il marchio. Noiprima abbiamo avuto Martin Mar-giela, poi Jean Paul Gaultier e ora arri-va Christophe Lemaire, ma nessunoha reso i prodotti irriconoscibili».

Quali sono i nuovi mercati più inte-ressati ai prodotti icona della mai-son?

«Il cinquanta per cento del nostrofatturato è realizzato in Europa. Masicuramente i russi e i cinesi, chesono molto giocosi e avidi di tuttii tipi di prodotto, sono i nuovi fan diHermès. Tanto che in Cina eravamo partiti in mo-do soft e ora abbiamo più di trenta boutique».

(i. m. s.)

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Francesca Di Carrobiodi Hermès

MONTBLANCLa penna stilografica che tutti

vorrebbero avere. Di Montblanc,

ideale per uomo e per donna

Un accessorio di eleganza da tenere

sempre nella borsa o nel taschino

BURBERRYIndossato da testimonial di lusso

come Kate Moss e Carla Bruni,

il trench Burberry non sembra passare

mai di moda e, in caso di meteo

variabile, è un’ottima risorsa

GUCCILa bamboo bag, rivisitata

da Gucci per la collezione estiva

2011, è destinata a spopolare

Comoda e elegante è l’ideale

per ogni occasione importante

CHANELLa scarpa bicolore di Chanel è stata

calzata dalle dive di ogni tempo

A proporla per prima Mademoiselle

Coco che, nel 1957, la ideò

ispirandosi alle scarpe da uomo

HERMÈSLa Kelly di Hermès lanciata nel 1956

da Grace Kelly mentre cercava

di nascondere la gravidanza celando

il pancione. La foto finì in copertina

di Life ed è entrata nella storia

Repubblica Nazionale

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Da ragazzina avrebbe voluto farel’acrobata, poi è arrivata al cinemapassando per la facoltà di medicinae il teatro “fisico” di Emma Dante

Il corpo sempre al centro:“Da piccola volevo starenuda, da adolescente eromolto pudica, oggi lo usoin sottrazione”. Comenel film “La solitudinedei numeri primi”, dove

è arrivata a pesare quaranta chili:“Esperienza pericolosa e affascinante,assai vicina all’anoressia...”

46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 16GENNAIO 2011

l’incontroGiovani attrici

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Osservo moltogli altri. D’estateaiuto i mieinei mercatidi campagna,e mi soffermosu tuttele fisionomie chemi passano davanti

primi di Saverio Costanzo, e con un im-minente volto di donna-soldato al servi-zio del “capitano” Silvio Orlando in Mis-sione di pacedi Francesco Lagi quasi tut-to montato e presto in circolazione.

Parlare d’arte con lei è fatalmenteparlare di educazione fisica, più che diteorie e tendenze. «È che ho camminatoscalza a lungo. Da uno a quattro anninon mi volevo vestire. Poi dai dieci ai di-ciassette sono diventata estremamentepudica. Il corpo lo uso in sottrazione. Fi-guriamoci quando per La solitudine deinumeri primi Saverio Costanzo m’hachiesto di modificarlo, e ridurlo, dima-grendo d’una decina di chili, arrivandoa pesarne quaranta. Mentre non man-giavo e seguivo le istruzioni del dietolo-go, ho avvertito un senso pericoloso e af-fascinante di invulnerabilità, quel qual-cosa che porta all’anoressia».

Il radicale cambiamento anatomicoha messo in moto, in una donna-scric-ciolo come lei, anche una metamorfosidi dentro. «Partendo da questo lavoro fi-sico estremo, ho capito meglio l’interio-rità del personaggio, l’Alice raccontatada Paolo Giordano nel romanzo, e alla fi-ne dell’avventura ricordo che una caraamica m’ha fatto notare che mi era cam-biato lo sguardo». Lo sguardo di Albatrae in inganno, facendo sempre chia-mare in causa la timidezza. «Non è chenon conosca l’opposto, l’irriverenza, larabbia. Certo, sono molto riservata equesto atteggiamento viene frainteso: ilfatto è che quando provo un senso diinadeguatezza, di disagio, faccio unpasso indietro e osservo». Non perdemai il controllo? «Sì, anche spesso, e miaccade con le persone a cui voglio mol-to bene. Qualche giorno fa, tornata inUmbria nella casa dove vive ancora lamia famiglia, un amico ha detto che perme un’importante scuola di recitazionee di emozione è stata la libertà con cui iomi sono espressa davanti ai miei, arri-vando a dire le cose senza reprimermi».Ma anche nei retroscena della vita pro-fessionale di Alba non sono mancati gliappuntamenti con lo stress emotivo,con le sensazioni forti: chi non paghe-rebbe, per avere una registrazione fil-mata del suo training con Emma Dante?«Ho una memoria molto intensa del la-voro fatto con Emma prima del suo Ca-ni di bancata, un lavoro attoriale che hacambiato il mio modo di sentire questomestiere. Il suo insegnamento è un ba-gaglio, una ricchezza a cui m’è capitatodi tornare anche in lavori fatti al cinema.L’immaginario che lei costruiva con noiattori, passando da Dostoevskij a Scia-scia, non me lo scorderò mai».

Parla della naturalezza e del pudoredel corpo, dell’armonia e della consi-

stenza del corpo, della messa alla provae della messa in scena del corpo, AlbaRohrwacher, meno volentieri di amore,o religione: «Equilibri sottili che tendo aproteggere. Gli incontri si fondano nel-la maggior parte dei casi su un’unicitàche è sacra. Per esempio, l’amore: io nonho paura a dire che non ho anticorpi». Enon sai se allude a una fragilità fisiologi-ca o a una prudenza da soggetto ingesti-bile. «Sono antica...» ammette sovrap-pensiero. «Cerco caratteri forti» confes-sa con quella sua tenerezza calvinista.«Sono disorganizzata, spesso faccio fa-tica a controllare le cose pratiche che ri-guardano la mia vita, la mia casa (chepure è il mio rifugio)» riflette sorridendosulla quotidianità. «Ho uno strano rap-porto con la scrittura. Un tempo hoscritto della mia vita personale. Molto.Adesso lo faccio ancora, ma con più fa-tica» spiega quando indago sulla suagrafomania. «Mi è capitato che mi sen-tissi tradita nel rileggere miei pensieritrascritti da qualcun altro, ma poi ho ca-

pito una cosa molto semplice, forse ba-nale: che la persona che rimane sullacarta scritta non sono né io né chi mi haintervistato, ma una terza identità chenasce da un confronto, da cui a volte im-paro a capire delle cose di me che pos-sono anche non piacermi, che facciofinta di non vedere, e che invece esisto-no» riassume in tema di rapporto deli-catissimo con la comunicazione. «A vol-te mi rendo conto che per essere tropporiservata finisco per diventare vaga,sfuggente, e questa è una cosa che iocombatto nelle persone di cui mi cir-condo, e riscontrarla in me non mi pia-ce, anche se mettersi a nudo è difficile...»continua a ragionare, e quasi fa sovveni-re un ragionamento di Pirandello, con-vinto che ogni parola avesse per ognunoun significato diverso, malintendibile.

Chissà di chi si circonda una personasottile, cauta, ragionatrice e rigorosacome Alba. «Le amicizie? Ho letto unacosa, in una raccolta di pensieri di Na-talia Ginzburg, di lei che rievoca se stes-sa al liceo a contatto con Soldati, un Sol-dati che incollerito s’alzava dicendocon voce ferma “gli amici non si scelgo-no”. La Ginzburg elabora quell’espres-sione e risolve che gli amici dell’infan-zia e dell’adolescenza non si scelgonoaffatto, e quelli dell’età adulta in qual-che modo sì, e lei conclude sostenendoche giocano sempre tre elementi: inparte scegliamo noi stessi, in parte ve-niamo scelti, in parte è il caso a sceglie-re per noi. Io sono d’accordo, anche sem’oriento soprattutto con l’istinto, esulle prime magari do difficilmente ac-coglienza alle persone fino in fondo, poiarriva un momento in cui ci si ricono-sce, e allora il legame diventa spesso,solido, e ho l’ingenua convinzione chesarà per sempre. Una volta m’è capita-to di essere scelta, e quella che è volutadiventare mia amica ora è tra le più ca-re che io abbia».

Si direbbe che spesso la curiosità diAlba Rohrwacher scatti prima per solle-citazioni umane e poi per scoperte in-tellettuali. «Osservo molto gli altri, già allivello semplice degli incontri più ca-suali. D’estate do una mano ai miei col-laborando alle vendite nei mercati dicampagna dove si pratica ancora il ba-ratto, e mi soffermo su tutte le fisiono-mie che passano davanti. Mi attraggonoi diversi modi di vivere della gente cheabita lontano da noi, le tecniche del me-stiere artistico così come le concepisco-no gli altri, altrove...». Con una silhouet-te pazzoide e cameratesca prese partenel 2005 al branco dei personaggi diNoccioline di Paravidino messo in sce-na da Valerio Binasco. Adesso pensa epenserà solo al cinema? «Non è detto. È

questione di progetti. Avrei voglia di fa-re in teatro un testo contemporaneo maindifferentemente anche un Cechov.Dipende dall’idea, ma anche e soprat-tutto dalle persone con cui la condividi.Mi interessa lavorare con la fantasia, equesto è successo nel film di Saverio Co-stanzo, un’esperienza dove c’era damettere corpo e anima, raccontando undolore dell’infanzia con spirito creativoe, alla fine, con gioia. Ma mi rendo pureconto che far leva sulla fantasia non èsempre possibile, e anzi in certi casi nonè nemmeno giusto».

Alba ama i silenzi, le corrispondenze,la semplicità, Erik Satie e il pianoforte,la memoria, il rumore della pioggia, gliocchi lucidi, la lealtà, Elsa Morante, l’i-ronia, Radio3, gli autobus vuoti. Alba ri-fiuta le dittature, l’avidità, i film horror,le valige da fare, le sigarette, i fast food,le bugie, lo smalto, lavare i piatti, il lavo-ro minorile. Se le domandi quanto sisente partecipe di questa società, di-venta serissima: «In un’epoca così con-fusa in cui la politica procede comple-tamente sganciata dalla realtà, un se-gnale positivo che appoggio sono leproteste degli studenti e del mondo cul-turale. Per fortuna l’arte non smette maidi cercare, di farsi domande, di mo-strarsi libera, e ho tanto amato, per in-tenderci, il film di Martone Come erava-mo». Se provi a chiederle dove nasce lafelicità, risponde: «Da cose assurde.Dallo svegliarmi da un sogno bello. Dal-la sensazione provata quando tra pri-mavera e estate un vento caldo è entra-to in cucina». E l’infelicità? «Per chi èballerina tra gli stati d’animo, il passofalso è la malinconia, e il passo con ac-cidentale caduta è la rabbia».

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RODOLFO DI GIAMMARCO

«Ho dei bei pie-di». AlbaRohrwacher,tacchi zero, li-n e a m e n t iacerbi alla

Balthus, una che fisicamente ti fa pen-sare d’aver avuto un’infanzia col visodella Ragazza con l’orecchino di perla diVermeer, che oggi ha una somiglianzaallampanata con Monica Vitti giovane,e che forse avrà un futuro col volto acu-to di porcellana d’una Tilda Swinton.Un tipo non comune, targata Firenze 27febbraio 1979. Una che ha passato la suaadolescenza in Umbria vicino a Orvieto,in campagna, dove il padre ex violinistaaveva messo in piedi un’attività d’api-cultore, «e dove a forza di imbattermiogni estate in un circo francese ambu-lante mi viene voglia di fare l’acrobata».Una che a diciassette anni è tornata a Fi-renze a studiare, a fare l’università, «Me-dicina», frequentando anche una scuo-la teatrale «dove debutto impersonan-do Sigismondo ne La vita è sogno diCaldéron de la Barca», per poi decidersidi venire a Roma, a giocare una carta alCentro sperimentale di cinematografia:«Mi ammettono, e apprendo cose es-senziali come la disciplina, il mettereforza nei ruoli». Oggi Alba è un’attricecon alle spalle una carriera di “figlia”,come testimoniano Mio fratello è figliounicodi Luchetti, Giorni e nuvoledi Sol-dini, Due partite di Monteleone, Il papàdi Giovanna di Avati, Io sono l’amore diGuadagnino, con all’attivo un imprin-ting mancino di protagonista in L’uomoche verràdi Diritti, Cosa voglio di piùan-cora di Soldini, La solitudine dei numeri

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Alba Rohrwacher

Repubblica Nazionale