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Caratteristiche fisiche del suono Che cos’è l’acustica L’acustica è una disciplina scientifica che si occupa delle caratteristiche dei suoni cioè studia come gli effetti sonori si producono e si propagano. Che cos’è il suono Il suono è un fenomeno fisico che stimola il senso dell’udito: esso è provocato dal rapido movimen- to (vibrazione) di un qualsiasi corpo (una corda, un elastico, un pezzo di legno, una colonna d’aria, ecc.) Esso è una forma di energia in qualche modo paragonabile alla luce o all’elettricità. I suoni sono semplicemente onde create da vibrazioni ottenute in migliaia di modi diversi: pizzicando la corda di una chitarra, soffiando nel bocchino di una tromba, sfregando un archetto sulle corde di un violino, percotendo un pezzo di legno o di metallo. Suono e rumore Qual è la differenza tra suono e rumore? Le differenze possono essere di tipo soggettivo oppure oggettivo. Comunemente si tende a collegare la parola suono a qualcosa di piacevole e la parola rumore a qualcosa di fastidioso, ma questa differenza è piuttosto soggettiva e legata al contesto in cui un suo- no o un rumore sono inseriti. Il rombo del motore di un’auto di formula 1 può essere un fastidioso rumore oppure un bellissimo suono: dipende se chi lo ascolta è un appassionato di corse automobi- listiche oppure un amante della natura e della tranquillità. L’acustica stabilisce comunque una differenza precisa (oggettiva) tra suono e rumore, basata sull’analisi delle vibrazioni: se le vibrazioni sono regolari (uguali una all’altra) abbiamo un suono; se sono irregolari (diseguali tra loro) abbiamo un rumore. Come si propaga il suono Il suono si trasmette attraverso le onde sonore. Le onde sonore prodotte dalle vibrazioni di una cor- da provocano dei movimenti periodici delle molecole d’aria formando strati alternati di aria com- pressa e rarefatta che si propagano in tutte le direzioni fino ad arrivare al nostro orecchio. Le onde sonore si propagano sia nell’aria che in altri elementi (acqua, metalli). La velocità del suono dipende dalla den- sità del mezzo fisico che attraversa. Ec- co alcuni esempi: 340 metri/sec. circa nell’aria 1500 metri/sec. circa nell’acqua 5000 metri/sec. circa nel ferro La vibrazione di un corpo elastico (una corda, una piastra di metallo, una colonna d’aria) produce un movimento che possiamo definire di “andata e ritorno”. Infatti la vibrazione compie più volte un percorso di andata e ritorno attraverso l’oggetto (ad esempio da un capo all’altro di una corda di chitarra). Osservando il movimento di oscillazione di un pendolo possiamo individuare alcune ca- ratteristiche presenti anche nelle vibrazioni che producono un suono (vedi la legge dell’isocronismo pendolare di Galileo Galilei). La stessa legge fisica che regola il movimento oscillatorio del pendolo può essere applicata agli strumenti musicali: infatti la lunghezza della corda o della colonna d’aria negli strumenti musicali determina l’altezza del suono; l’ampiezza della vibrazione determina invece l’intensità del suono (il volume sonoro).

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Caratteristiche fisiche del suono

Che cos’è l’acustica

L’acustica è una disciplina scientifica che si occupa delle caratteristiche dei suoni cioè studia come gli effetti sonori si producono e si propagano.

Che cos’è il suono Il suono è un fenomeno fisico che stimola il senso dell’udito: esso è provocato dal rapido movimen-to (vibrazione) di un qualsiasi corpo (una corda, un elastico, un pezzo di legno, una colonna d’aria, ecc.) Esso è una forma di energia in qualche modo paragonabile alla luce o all’elettricità. I suoni sono semplicemente onde create da vibrazioni ottenute in migliaia di modi diversi: pizzicando la corda di una chitarra, soffiando nel bocchino di una tromba, sfregando un archetto sulle corde di un violino, percotendo un pezzo di legno o di metallo.

Suono e rumore Qual è la differenza tra suono e rumore? Le differenze possono essere di tipo soggettivo oppure oggettivo. Comunemente si tende a collegare la parola suono a qualcosa di piacevole e la parola rumore a qualcosa di fastidioso, ma questa differenza è piuttosto soggettiva e legata al contesto in cui un suo-no o un rumore sono inseriti. Il rombo del motore di un’auto di formula 1 può essere un fastidioso rumore oppure un bellissimo suono: dipende se chi lo ascolta è un appassionato di corse automobi-listiche oppure un amante della natura e della tranquillità. L’ acustica stabilisce comunque una differenza precisa (oggettiva) tra suono e rumore, basata sull’analisi delle vibrazioni: se le vibrazioni sono regolari (uguali una all’altra) abbiamo un suono; se sono irregolari (diseguali tra loro) abbiamo un rumore.

Come si propaga il suono Il suono si trasmette attraverso le onde sonore. Le onde sonore prodotte dalle vibrazioni di una cor-da provocano dei movimenti periodici delle molecole d’aria formando strati alternati di aria com-pressa e rarefatta che si propagano in tutte le direzioni fino ad arrivare al nostro orecchio. Le onde sonore si propagano sia nell’aria che in altri elementi (acqua, metalli). La velocità del suono dipende dalla den-sità del mezzo fisico che attraversa. Ec-co alcuni esempi:

• 340 metri/sec. circa nell’aria • 1500 metri/sec. circa nell’acqua • 5000 metri/sec. circa nel ferro

La vibrazione di un corpo elastico (una corda, una piastra di metallo, una colonna d’aria) produce un movimento che possiamo definire di “andata e ritorno”. Infatti la vibrazione compie più volte un percorso di andata e ritorno attraverso l’oggetto (ad esempio da un capo all’altro di una corda di chitarra). Osservando il movimento di oscillazione di un pendolo possiamo individuare alcune ca-ratteristiche presenti anche nelle vibrazioni che producono un suono (vedi la legge dell’isocronismo pendolare di Galileo Galilei). La stessa legge fisica che regola il movimento oscillatorio del pendolo può essere applicata agli strumenti musicali: infatti la lunghezza della corda o della colonna d’aria negli strumenti musicali determina l’altezza del suono; l’ampiezza della vibrazione determina invece l’intensità del suono (il volume sonoro).

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L’altezza del suono Anche i suoni hanno un’altezza; nel linguaggio musicale le parole “alto” e “basso” vengono sosti-tuite dai termini “acuto” e “grave”. L’altezza dei suoni dipende dalla frequenza, cioè dalla ve-locità delle vibrazioni: dato un tempo costante (un secondo), quanto più numerose esse sono, tanto più acuto è il suono.lo L’altezza del suono si misura in “ hertz” (Hz) . Il termine hertz si riferisce al nome del fisico tedesco che per primo studiò questi fenomeni. Un hertz corrisponde ad un’oscillazione completa di un corpo elastico nel tempo di un minuto secondo. Dire che un suono è di 300 hertz signi-fica che il corpo che lo produce vibra 300 volte al secondo. Il diapason è lo strumento di misura universale che indica l’altezza esatta del La (440 Hz). In natura esistono suoni che vanno da un minimo di un hertz a un massimo di circa un milione di hertz. L’orecchio uma-no può solo sentire i suoni compresi tra 16 e 20.000 hertz.

Infrasuoni e ultrasuoni

I suoni di frequenza inferiore ai 16 hertz vengono chiamati infrasuoni; quelli superiori ai 20.000 hertz vengono chiamati ultrasuoni. Molti animali sono in grado di udire questi tipi di suono, perché dotati di un udito più sensibile di quello umano.

L’intensità del suono

L’ intensità è la caratteristica che ci permettere di distinguere i suoni forti da quelli deboli; in pratica quello che comunemente chiamiamo il volume del suono. L’intensità è determinata dalla forza con la quale un corpo sonoro viene messo in movimento e, di conseguenza, dall’ampiezza delle vibrazioni. L’intensità del suono si misura in decibel (dB). Con i deci-bel si misura la pressione acustica provocata dal suono nel mezzo di propagazione (generalmente l’aria). La pressione acustica necessaria perché un suono sia udibi-le dall’orecchio umano varia a seconda della frequenza (al-tezza) dei suoni. Un suono di 1.000 hertz è udibile a “zero decibel”, mentre scendendo a 30 hertz occorre un’intensità di almeno 60 de-cibel perché il suono sia udibile. Esistono molte fonti potenziali capaci di produrre suoni a decibel elevati. Anche se tali suoni in pic-cole dosi non sono dannosi, è bene evitare una lunga esposizione a suoni di oltre 90 decibel. Tenete presente che, anche se breve, un suono intenso può produrre danni fisici. Per esempio, il suono prodotto da un martello pneumatico può provocare, al pari di una serata trascorsa in una di-scoteca, danni permanenti all’udito. La soglia del dolore (fissata a circa 120 decibel) è quella soglia oltre la quale si prova un forte do-lore e con l’esposizione prolungata può causare forti disturbi o addirittura sordità permanente.

La durata del suono

La durata del suono è determinata dal periodo di tempo in cui l’oggetto sonoro emette vibrazioni. Quando un corpo sonoro smette di vibrare non produce più suono. Il perdurare delle vibrazioni dipende da vari fattori:

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• Dall’elasticità del corpo sonoro (una piastra di metallo risuona più a lungo che una di legno) • Dalla forza impiegata per mettere in vibrazione il corpo sonoro (una piastra percossa debol-

mente esaurisce le vibrazioni prima di una percossa con forza) • Dalla durata della sollecitazione (una corda pizzicata produce un suono di breve durata; se

viene invece strofinata con un archetto di violino il suono può durare a lungo)

Il timbro del suono Il timbro è la caratteristica che ci consente di distinguere il suono di uno strumento da quello di un altro; esso può essere paragonato al colore in un disegno: i compositori usano il timbro dei vari strumenti per arricchire (colorare) le loro musiche. Il timbro dipende da vari fattori:

• Dalla forma e dimensione dell’oggetto sonoro • Dal materiale di cui esso è costituito (legno, metallo, vetro, carta) • Dal modo in cui il suono è stato prodotto (percuotendo, pizzicando, strofinando ecc.)

Il timbro determina una diversa forma dell’onda sonora generata dal suono. Per descrivere il timbro si usano degli aggettivi legati alla sensazione che il suono produce nell’ascoltatore (chiaro, scuro, brillante, vellutato, morbido, pungente, cupo, triste, metallico, legnoso, ecc.)

Suoni puri ed impuri

Quando un corpo vibra, non produce quasi mai una sola vibrazione. Una nota di qualsiasi strumento è formata da una vibrazione fondamentale, ma insieme ad altre secondarie, più acute e di minore in-tensità, chiamate armonici. I suoni prodotti da una sola vibrazione vengono chiamati suoni puri; quelli prodotti dalla somma di più vibrazioni si dicono suoni impuri . La figura a fianco illustra più chiaramente come qualsiasi onda può essere considerata come la somma di un insieme di onde, di cui la prima è detta fondamentale, e le onde successive prendono il nome di armoniche. Le armoniche sono frequenze multiple della frequenza fondamentale e di minore am-piezza (intensità). Il numero delle armoniche ed i loro rap-porti di intensità determinano il timbro , cioè la ricchezza del suono. Un "do" può essere emesso sia da un violino che da una sirena... è la presenza delle ar-moniche con le loro rispettive intensità che ci permettono di distinguere le sorgenti del suono.

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Eco e riverberazione Quando le onde sonore incontrano un ostacolo riflettente rimbalzano come una palla. Se la distanza tra la sorgente sonora e l’ostacolo è di almeno 17 metri, il suono può essere percepito distintamen-te. E’ questo l’eco, fenomeno dovuto alla riflessione dei suoni, che si genera generalmente negli spazi aperti. Se l’ostacolo si trova a una distanza inferiore a 17 metri, il suono riflesso si sovrap-pone a quello di partenza e si produce il rimbombo o riverberazione. Si verifica nei saloni vuoti, palestre, ecc. L’ acustica architettonica è quella parte scienza applicata in architettura per la costruzione di am-bienti dedicati all’ascolto (teatri, cinema, sale da concerto) seguendo tutti gli accorgimenti necessari per controllare la riflessione del suono.

Il muro del suono Quando un aereo raggiunge la velocità del suono, cioè 1224 km all’ora, si sposta alla stessa velocità delle onde sonore da lui stesso prodotte: in altre parole le onde sonore non si distanziano dal velivo-lo, ma gli si ammucchiano intorno e giungono così a formare una specie di barriera, il cosiddetto muro del suono. Se l’aereo aumenta la velocità sfonda, per così dire, questo muro e produce un for-te boato che, se prodotto a bassa quota, può mandare facilmente in frantumi i vetri delle abitazioni.

Funzionamento dell’orecchio

Il nostro orecchio è un insieme di strutture che ci permettono di captare i suoni. Si può dividere in tre parti: Orecchio esterno L'orecchio esterno è formato dal padiglione auricolare e dal condotto uditivo. Il padiglione auri-colare è costituito da cartilagine rivestita dalla pelle. La sua funzione è quella di raccogliere i suoni per inviarli all'interno del condotto uditivo. Il condotto uditivo è una galleria dalle pareti lisce prov-vista di peli e di ghiandole sebacee e ghiandole ceruminose, il cui secreto ricco di cere ha una fun-zione protettiva. Orecchio medio Al termine del condotto uditivo si trova la membrana del timpano, che è una sottile membrana sen-sibile alle onde sonore che vengono a infrangersi su di essa. Le vibrazioni così raccolte vengono trasmesse a tre ossicini (martello, incudine e staffa). I loro movimenti sono amplificati venti volte e trasmessi all’orecchio interno. La staffa è aderente ad una membrana, chiamata finestra ovale, che separa l’orecchio medio da quello interno. I tre ossicini dell'udito sono contenuti in una cavità che comunica all'esterno attraverso un piccolo canale, la Tromba di Eustachio, che sbocca nella faringe. In questo modo l'orecchio è collegato con la gola. Ciò permette di mantenere in equilibrio la pressione dell'aria al di là e al di qua del timpano. Orecchio interno L’orecchio interno è un labirinto di canali a spirale pieni di liquido, deputati a funzioni uditive e di equilibrio. Qui si trova un organo chiamato coclea o chiocciola per la sua caratteristica forma a spirale. La chiocciola è l’organo più delicato e complesso del nostro apparato uditivo. Al suo inter-no, immerse in un liquido, sono presenti migliaia di cellule cigliate (circa venti-mila per ciascun orecchio). Il loro com-pito è quello di convertire le vibrazioni meccaniche che giungono dagli ossicini in impulsi nervosi-elettrici che verran-no inviati al cervello utilizzando il nervo uditivo o acustico. Posteriormente i canali semicircolari, sensibili alla gravità, all’accelerazione, al movimento e alla posizione della te-sta, sono responsabili del senso dell'e-quilibrio.

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NNIINNNNAA NNAANNNNEE EE CCAANNTTII IINNFFAANNTTIILLII

FATE LA NANNA COSCINE DI POLLO

Fate la nanna, coscine di pollo la vostra mamma v'ha fatto il gonnello e ve l'ha fatto con lo smerlo in tondo fate la nanna coscine di pollo. Ninna nanna, ninna nanna, il bambino è della mamma, della mamma e di Gesù, il bambino non piange più. Fate la nanna e possiate dormire, il letto sia tutto fatto di viole e le coperte di panno sottile, il copriletto di penne di pavone.

Ninna nanna, ninna nanna...

Fate la nanna e la nanna faremo, un sonno lungo e poi mi vo' destare, fate la nanna e la nanna faremo un sonno lungo e poi ci desteremo.

Ninna nanna, ninna nanna...

DIRINDINA LA MALCONTENTA

Dirindina la malcontenta, babbo gode e mamma stenta babbo va all'osteria, mamma tribola tuttavia. Babbo mangia l'erbe cotte mamma tribola giorno e notte babbo mangia e beve vino mamma tribola col cittino.

Babbo mangia li fagioli mamma tribola co' figlioli babbo mangia il baccalà mamma tribola a tutt'andà.

Babbo mangia gli uccellini mamma tribola coi bambini e la mamma gli fa i gnocchi e il babbo ne mangia troppi.

E la mamma la mette il grugno e il babbo gli dà un pugno e la mamma piange forte e il babbo gli dà la morte.

I’ BAMBINO È DELLA MAMMA

Ninna nanna ninna nanna, i’ bambino è della mamma, della mamma e della zia, della Vergine Maria.

Ninna nanna ninna nanna, i’ bambino è della mamma della mamma e della nonna e di babbo quando torna.

Nanna-ò nanna-ò, i’ bambino a chi lo dò? E lo dò all’omo nero che lo tenga un anno intero, e lo dò alla befana che lo tenga una settimana, e lo dò all’omino di bronzo che la sera lo porti a zonzo, e lo dò all’omino d’ottone che ci paghi la pigione.

BOLLI, BOLLI, PENTOLINO

Bolli, bolli, pentolino, fai la nanna, bel bambino, fai la ninna, fai la nanna, bimbo d'oro della mamma. Hai le gote tonde tonde, la tua mamma ti nasconde, ti nasconde dentro il letto, finchè il gatto sta sul tetto. Fai la nanna nel lettino, mentre bolle il pentolino. Quando, poi, ti sveglierai, tante chicche troverai.

IL GIRO DELLE STAGIONI (Filastrocca) Torna alla botte il vino color rubino. Torna la cheta neve cappotto greve. Torna, din don, Natale, poi Carnevale.

Torna la mite brezza e ti accarezza. Torna la rondinella gaia e sorella. Torna la fogliolina lustra e verdina.

Torna la luccioletta ma quanta fretta! Torna nei campi l’oro, falce e lavoro. Torna alla botte il vino color rubino.

LA ME NONA L'E' VECCHIERELLA (Canto infantile del Trentino)

La me nòna l'è vecchierella, la me fa ciau, la me dis ciau,la me fa ciau ciau ciau la me manda a la funtanela a tor l'acqua per desinar.

Fontanela mi no ghe vago, la me fa ciau..... fontanela mi no che vago, perchè l'aqua la me pol bagnar.

Ti darò cincento scudi, la me fa ciau..... ti darò cincento scudi, perchè l'aqua la te pol bagnar.

Cinque scudi l'è assai denaro, la me fa ciau... cinque scudi l'è assai denaro, perchè l'aqua la me pol bagnar.

Alor corro a la fontanella, la me fa ciau... alor corro a la fontanella a tor l'aqua per desinar.

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CCAANNTTII SSOOCCIIAALLII EE PPOOLLIITTIICCII

SCIUR PADRUN DA LI BELI BRAGHI BIANCHI

Sciur padrun da li béli braghi bianchi, föra li palanchi, föra li palanchi. Sciur padrun da li béli braghi bianchi, föra li palanchi, ch'anduma a cà. A scüsa sciur padrun sa l'èm fat tribuler, i era li prèmi volti, i era li prèmi volti A scüsa sciur padrun sa l'èm fat tribuler, i era li prèmi volti, ca'n saièvum cuma fèr. Rit. Al nostar sciur padrun l'è bon come'l bon pan da stèr insëma a l'èrsën al dis -Fé andèr cal man- Rit. E non va più a mesi e nemmeno a settimane la va a poche ore e poi dopo andiamo a cà. Rit. Incö l'è l'ultim giürën e admàn l'è la partenza farem la riverenza al noster sciur padrun. Rit. E quando al treno a scèffla i mundein a la stassion, con la cassietta in spala su e giù per i vagon. Rit.

BELLA CIAO DELLE MONDINE Alla mattina appena alzata, o bella ciau bella ciau bella ciau ciau ciau, alla mattina appena alzata in risaia mi tocca andar.

E fra gli insetti e le zanzare... un dur lavoro mi tocca far.

Il capo in piedi col suo bastone... e noi curve a lavorar.

O mamma mia, o che tormento!... Io t’invoco ogni doman.

Ma verrà un giorno che tutte quante... lavoreremo in libertà.

POVRE FILANDERE

Povre filandere, non gh’avrì mai ben, dormerì ‘n de paja, creperì nel fen; dormerì ‘n de paja, creperì nel fen, povre filandere, non gh’avrì mai ben. Al suna la campanela, gh’è né ciar né scür, povre filandere, pichi ‘l cö nel mür; al suna la campanela, gh’è né ciar né scür, povre filandere, pichi ‘l cö nel mür. Traduzione Povere filandine, non avrete mai bene, dormirete sulla paglia, creperete sul fieno. Suona la campanella, non è né chiaro né scuro; pevere filandine, picchiate la testa al muro.

GLI SCARIOLANTI

A mezzanotte in punto si sente un grande rumor: sono gli scariolanti lerì lerà che vengon al lavor. Rit. Volta, rivolta e torna a rivoltar; noi siam gli scariolanti lerì lerà che vanno a lavorar.

A mezzanotte in punto si sente una tromba suonar: sono gli scariolanti lerì lerà che vanno a lavorar. Rit.

Gli scariolanti belli son tutti ingannator, vanno a ingannar la bionda lerì lerà per un bacin d’amor. Rit.

SE OTTO ORE (1917)

Se otto ore vi sembran poche provate voi a lavorar e proverete la differenza di lavorare e di comandar. E noi faremo come la Russia e squilleremo il campanel e squilleremo il campanello falce e martello trionferà. E noi faremo come la Russia chi non lavora non mangerà e quei vigliacchi di quei signori dovranno loro lavorar.

SON CIECO E MI VEDETE (1909-1910)

Son cieco e mi vedete devo chiedere la carità ò quattro figli piangono del pane non ò da dar. Noi anderemo a Roma davanti al papa e al re noi grideremo ai potenti che la miseria c’è. E per le vie di Roma la bandiera vogliamo alzar sventola la bandiera il socialismo trionferà.

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CCAANNTTII DDEELLLLAA PPRRIIMMAA GGUUEERRRRAA MMOONNDDIIAALLEE ((11)) O GORIZIA

La mattina del cinque di agosto si muovevano le truppe italiane per Gorizia e le terre lontane e dolente ogun si partì. Sotto l’acqua che cadeva al rovescio grandinavano le palle nemiche; su quei monti, colline e gran valli si moriva dicendo così: O Gorizia tu sei maledetta per ogni cuore che sente coscienza; dolorosa ci fu la partenza e il ritorno per molti non fu. O vigliacchi che voi ve ne state con le mogli sui letti di lana, schernitori di noi carne umana, questa guerra ci insegna a punir.

Voi chiamate il campo d’onore questa terra di là dei confini; qui si muore gridando: assassini! maledetti sarete un dì. Cara moglie che tu non mi senti, raccomando ai compagni vicini di tenermi da conto i bambini, che io muoio col suo nome nel cuor. O Gorizia tu sei maledetta per ogni cuore che sente coscienza; dolorosa ci fu la partenza e il ritorno per molti non fu.

IL TESTAMENTO DEL CAPITANO

El capitan de la compagnia e l’è ferito e sta per morir, ghe manda dire ai suoi alpini che lo vengano a ritrovar. I suoi Alpini che manda dire che non han scarpe per camminar! “O con le scarpe o senza scarpe i miei Alpini li voglio qua!”. Cosa comanda sior Capitano che noi adesso semo arrivà? “E io comando che il mio corpo in cinque pezzi sia taglià.

Il primo pezzo alla bandiera, secondo pezzo al battaglion, il terzo pezzo alla mia mamma che si ricordi del suo figliol. Il quarto pezzo alla mia bella che si ricordi del suo primo amor, l’ultimo pezzo alle montagne che lo fioriscano di rose e fior”.

ERA UNA NOTTE CHE PIOVEVA

Era una notte che pioveva e che tirava un forte vento; immaginatevi che grande tormento per un alpino che sta a vegliar! A mezzanotte arriva il cambio accompagnato dal capoposto: “Oh, sentinella, torna al tuo posto sotto la tenda a riposar!”.

Quando fui stato ne la mia tenda sentii un rumore giù nella valle, sentivo l’acqua giù per le spalle, sentivo i sassi a rotolar. Mentre dormivo sotto la tenda sognavo d’esser colla mia bella e invece ero di sentinella fare la guardia allo stranier.

BERSAGLIERE, HA CENTO PENNE

Bersagliere, ha cento penne ma l’alpin ne ha una sola, un po’ più lunga, un po’ più mora, sol l’alpin la può portar. Quando vien la notte nera e la valle s’addormenta in mezzo al freddo e la tormenta sol l’alpin non può dormir.

Se l’alpin da rupe cade non piangete nei vostri cuori, perchè se cade, va in mezzo ai fiori, non gl’importa di morir. Su pei monti vien giù la neve, la tormenta dell’inverno, ma se venisse anche l’inferno sol l’alpin può star lassù.

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CCAANNTTII DDEELLLLAA SSEECCOONNDDAA GGUUEERRRRAA MMOONNDDIIAALLEE

FISCHIA IL VENTO

Fischia il vento urla la bufera scarpe rotte eppur bisogna andar a conquistare la rossa primavera dove sorge il sol dell’avvenir. Ogni contrada è patria del ribelle, ogni donna a lui dona sospir; nella notte ci guidano le stelle forte il cuore e il braccio nel colpir.

Se ci coglie la crudele morte, dura vendetta sarà del partigian; ormai sicura è già la dura sorte del fascista vile e traditor. Cessa il vento, calma la bufera; torna a casa il fiero partigian sventolando la rossa sua bandiera; vittoriosi al fin liberi siam.

O BELLA CIAO

Stamattina mi son alzato, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao, stamattina mi son alzato e ho trovato l’invasor. O partigiano, portami via, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao, o partigiano, portami via, che mi sento di morir. E se io muoio da partigiano, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao, e se io muoio da partigiano, tu mi devi seppellir.

Seppellire lassù in montagna o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao, seppellire lassù in montagna, sotto l’ombra di un bel fior. E le genti che passeranno, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao, e le genti che passeranno e diranno “Oh che bel fior”. E’ questo il fiore del partigiano, o bella ciao, bella ciao, bella ciao, ciao, ciao, è questo il fiore del partigiano morto per la libertà.

E QUEI BRIGANTI NERI

E quei briganti neri m’hanno arrestato in una cella scura m’han portato mamma non devi piangere per la mia triste sorte piuttosto di parlare vado alla morte. E quando mi portarono alla tortura legandomi le mani alla catena legate pure forte le mani alla catena piuttosto di parlare torno in galera. E quando mi portarono al tribunale dicendo se conosco il mio pugnale sì sì che lo conosco ha il manico rotondo nel cuore dei fascisti lo spinsi a fondo.

E quando mi portarono al tribunale dicendo se conosco il mio compare sì sì che lo conosco ma non dirò chi sia io faccio il partigiano e non la spia. E quando l’esecuzione fu preparata fucili e mitraglie eran puntati non si sentiva i colpi i colpi di mitraglia ma si sentiva un grido viva l’Italia.

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CCAANNTTII DDEELLLLAA PPRRIIMMAA GGUUEERRRRAA MMOONNDDIIAALLEE ((22))

LA LEGGENDA DEL PIAVE E. A. Mario 1919

Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio. L’esercito marciava per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera! Muti passaron quella notte i fanti tacere bisognava andare avanti. S’udiva intanto dalle amate sponde sommesso e lieve il tripudiar dell’onde. Era un presagio dolce e lusinghiero. Il Piave mormorò: “Non passa lo straniero!”. Ma in una notte trista si parlò di tradimento e il Piave udiva l’ira e lo sgomento. Ah quanta gente ha visto venir giù lasciare il tetto per l’onta consumata a Caporetto! Profughi ovunque dai lontani monti venivano a gremir tutti i suoi ponti. S’udiva allor dalle violate sponde sommesso e triste il mormorio dell’onde. Come un singhiozzo in quell’autunno nero il Piave mormorò: “Ritorna lo straniero!”.

E ritornò il nemico per l’orgoglio e per la fame volea sfogare tutte le sue brame. Vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora sfamarsi e tripudiare come allora! “No”, disse il Piave “No” dissero i fanti “Mai più il nemico faccia un passo avanti!”. Si vide il Piave rigonfiar le sponde e come i fanti combattevan l’onde. Rosso del sangue del nemico altero il Piave comandò: “Indietro va’, straniero!”. E indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento, e la Vittoria sciolse l’ali al vento. Fu sacro il patto antico: fra le schiere furon visti risorgere Oberdan, Sauro, Battisti.... Infranse alfin l’italico valore le forche e l’armi dell’impiccatore. Sicure l’Alpi... libere le sponde... E tacque il Piave, si placaron le onde. Sul patrio suol, vinti i torvi imperi, la pace non trovò né oppressi né stranieri.

TA-PUM

Venti giorni sull’Ortigara senza cambio per dismontà! Ta-pum ta-pum ta-pum ta-pum ta-pum ta-pum. Quando poi siamo scesi al piano battaglione non ha più soldà. Ta-pum ... Ho lasciato la mamma mia, l’ho lasciata per fare il soldà. Ta-pum... E domani si va all’assalto: soldatino non farti ammazzar. Ta-pum...

Quando portano la pagnotta il cecchino comincia a sparar. Ta-pum ... Quando sei dietro a quel muretto soldatino, non puoi più parlà. Ta-pum ... Dietro al ponte c’è un cimitero cimitero di noi soldà. Ta-pum ... Cimitero di noi soldati forse un giorno ti vengo a trovar. Ta-pum ...

AI PREÂT LA BIELE STELE

Ai preât le biele stele, duçh i sants del Paradis che ‘l Signur fermi la uère che il mio ben torni al pais. Ma tu stele, biele stele, fa’ palese ‘l mio destin va daur di che’ muntagne là ch’a l’è il mio curisin.

Ho pregato la bella stella, tutti i santi del Paradiso, affinchè il Signore fermi la guerra, e il mio amore torni al paese. Ma tu stella, bella stella, sù, svelami il mio destino; vai dietro quelle montagne là dov’è il mio cuoricino.

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CCAANNTTII SSOOCCIIAALLII EE PPOOLLIITTIICCII ((22))

LA CANZONE DELLA LEGA

Sebben che siamo donne, paura non abbiamo: per amor dei nostri figli, per amor dei nostri figli; sebben che siamo donne, paura non abbiamo: per amor dei nostri figli in lega ci mettiamo. A oilì oilì oilà e la lega la crescerà e noialtri socialisti, e noialtri socialisti. A oilì oilì oilà e la lega la crescerà e noialtri socialisti vogliamo la libertà. E la libertà non viene perché non c’è l’unione: crumiri col padrone son tutti d’ammazzar.

A oilì oilì oilà ... Sebben che siamo donne, paura non abbiamo: abbiam delle belle buone lingue e ben ci difendiamo. A oilì oilì oilà ... E voialtri signoroni che ci avete tanto orgoglio, abbassate la superbia e aprite il portafoglio. A oilì oilì oilà e la lega la crescerà e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori. A oilì oilì oilà e la lega la crescerà e noialtri lavoratori i vôrôma vess pagà.

L’INNO DEI LAVORATORI

Su fratelli e su compagni su venite in fitta schiera sulla libera bandiera splende il sol dell’avvenir. Nelle pene e nell’insulto ci stringemmo in mutuo patto; la gran causa del riscatto niun di noi vorrà tradir. Il riscatto del lavoro de’ suoi figli opra sarà o vivremo del lavoro o pugnando si morrà. (4 volte)

IL FEROCE MONARCHICO BAVA (1898)

Alle grida strazianti e dolenti di una folla che pan domandava il feroce monarchico Bava gli affamati col piombo sfamò.

Furon mille i caduti innocenti sotto il fuoco degli armati caini e al furor dei soldati assassini morte ai vili la plebe gridò.

Deh non rider sabauda marmaglia se il fucile ha domato i ribelli se i fratelli hanno ucciso i fratelli sul tuo capo quel sangue cadrà.

Su piangete mestissime madri quando oscura discende la sera per i figli gettati in galera per gli uccisi dal piombo fatal.

TRENTA GIORNI DI NAVE A VAPORE

Trenta giorni di nave a vapore, fino in America noi siamo arrivati, fino in America noi siamo arrivati; abbiam trovato né paglia né fieno, abbiam dormito sul nudo terreno, come le bestie abbiam riposà.

America allegra e bella, tutti la chiamano America sorella, tutti la chiamano America sorella, la la la la la la la. E l’America l’è lunga e l’è larga, l’è circondata dai monti e dai piani e con l’industria dei nostri italiani abbiam formato paesi e città, e con l’industria dei nostri italiani abbiam formato paesi e città.

MAMMA MIA, DAMMI CENTO LIRE

“Mamma mia, dammi cento lire che in America voglio andar - e voglio andar – mamma mia, dammi cento lire che in America vo – che in America voglio andar - e voglio andar –“.

“Cento lire sì, te li do, ma in america no e poi no.”

I fratelli alla finestra: “Mamma mia, lascéla andar”.

‘Pena giunta in alto mare bastimento si rialzò.

“Le parole oi della mamma son venute la verità.”

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CCAANNTTII SSOOCCIIAALLII EE PPOOLLIITTIICCII ((22))

LA CANZONE DELLA LEGA

Sebben che siamo donne, paura non abbiamo: per amor dei nostri figli, per amor dei nostri figli; sebben che siamo donne, paura non abbiamo: per amor dei nostri figli in lega ci mettiamo. A oilì oilì oilà e la lega la crescerà e noialtri socialisti, e noialtri socialisti. A oilì oilì oilà e la lega la crescerà e noialtri socialisti vogliamo la libertà. E la libertà non viene perché non c’è l’unione: crumiri col padrone son tutti d’ammazzar.

A oilì oilì oilà ... Sebben che siamo donne, paura non abbiamo: abbiam delle belle buone lingue e ben ci difendiamo. A oilì oilì oilà ... E voialtri signoroni che ci avete tanto orgoglio, abbassate la superbia e aprite il portafoglio. A oilì oilì oilà e la lega la crescerà e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori. A oilì oilì oilà e la lega la crescerà e noialtri lavoratori i vôrôma vess pagà.

MAMA MIA, SON STÜFA

Mama mia, mi son stüfa o de far la filerina: ol cal e el poc a la matina, ol pruvin du voeult al dì. Mama mia, mi son stüfa tutt ol dì a fà andà l’aspa; voglio andare in Bergamasca, in Bergamasca a lavorar. El mestè de la filanda l’è el mestè degli assassini; poverette quelle figlie che son dentro a lavorar. Siam trattati come cani, come cani alla catena; non è questa la maniera o di farci lavorar. Tücc me disen che sun nera, e l’è el fümm de la caldera: el mio amor me lo diceva di non far quel brütt mestè. Tücc me disen che sun gialda, l’è ol filur de la filanda, quando poi sarò in campagna miei color ritornerà.

Traduzione Mamma mia, sono stufa di fare la filandina: il cal e il poc alla mattina, il pruvin due volte al giorno. Mamma mia, sono stufa, tutto il giorno a far andare l’aspa; voglio andare in Bergamasca, in Bergamasca a lavorar. Il mestiere della filanda è il mestiere degli assassini; poverette quelle figlie che son dentro a lavorare. Siam trattati come cani, come cani alla catena: non è questa la maniera di farci lavorare. Tutti mi dicono che sono nera: è il fumo della caldaia; il mio amore me lo diceva di non fare questo brutto mestiere. Tutti mi dicono che son gialla: è il vapore della filanda; quando poi sarò in campagna i miei colori ritorneranno. Nota Il “cal”, il “poc” e il “pruvin” erano dei controlli sulla quantità e sulla qualità della seta lavorata dalle filandine.

TRENTA GIORNI DI NAVE A VAPORE

Trenta giorni di nave a vapore, fino in America noi siamo arrivati, fino in America noi siamo arrivati; abbiam trovato né paglia né fieno, abbiam dormito sul nudo terreno, come le bestie abbiam riposà.

America allegra e bella, tutti la chiamano America sorella, tutti la chiamano America sorella, la la la la la la la. E l’America l’è lunga e l’è larga, l’è circondata dai monti e dai piani e con l’industria dei nostri italiani abbiam formato paesi e città, e con l’industria dei nostri italiani abbiam formato paesi e città.

MAMMA MIA, DAMMI CENTO LIRE

“Mamma mia, dammi cento lire che in America voglio andar - e voglio andar – mamma mia, dammi cento lire che in America vo – che in America voglio andar - e voglio andar –“.

“Cento lire sì, te li do, ma in america no e poi no.”

I fratelli alla finestra: “Mamma mia, lascéla andar”.

‘Pena giunta in alto mare bastimento si rialzò.

“Le parole oi della mamma son venute la verità.”

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LE FORME STRUMENTALI DEL PERIODO CLASSICO

Le composizioni strumentali erano brani musicali suddivisi in più parti (in genere tre o

quattro), chiamate tempi o movimenti. In base al numero degli esecutori le composizioni

strumentali assumevano le seguenti denominazioni:

• Sonata (strumento solista o due esecutori);

• Duo, trio, quartetto, quintetto, sestetto, ecc.;

• Sinfonia (l’intera orchestra);

• Concerto (dialogo tra uno o più solisti e l’orchestra).

Ogni movimento era costruito seguendo uno schema formale diverso e, nella seconda metà

del 1700, una tipica composizione strumentale era strutturata nel seguente modo:

• Primo tempo - Allegro (in forma sonata);

• Secondo tempo - Andante o Adagio (in forma Lied A-B–A o tema con variazioni);

• Terzo tempo - Minuetto (sostituito poi dallo “scherzo”);

• Quarto tempo - Allegro (in forma sonata o in forma di rondò).

Sonata a tre tempi I II III

allegro andante allegro

Forma sonata tema con variazioni o lied Rondò

Sinfonia classica I II III IV

allegro andante allegretto allegro

Forma sonata Lied o tema con

variazioni

Minuetto Rondò

La forma-sonata La forma-sonata è una particolare struttura che si è affermata ed è stata codificata

nella sonata dell'epoca classica (seconda metà del Settecento) con Haydn, Mozart e

Beethoven. La struttura della forma-sonata è tripartita, cioè costituita da tre parti, ed è

bitematica, cioè caratterizzata dalla presenza di due temi.

Analizzando lo schema costruttivo della forma sonata possiamo individuare le stesse

regole usate per svolgere un tema di italiano:

1. Presentazione dell’argomento;

2. Approfondimento, ampliamento e sviluppo dei concetti esposti nella presentazione;

3. Riepilogo conclusivo.

Tradotti in termini musicali, questi tre momenti sono chiamati:

A B A ESPOSIZIONE SVILUPPO RIPRESA

Nell’esposizione vengono

presentati due temi musicali

Nello sviluppo i temi sono

elaborati, ampliati,

approfonditi

Nella ripresa i due temi sono

riproposti

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La forma sonata è stata utilizzata soprattutto nel periodo classico (seconda metà del

1700) come struttura per il primo movimento di quasi tutte le composizioni strumentali

(sonata, duo, trio, quartetto, quintetto, concerto solista, sinfonia).

Esposizione La prima parte della forma-sonata costituisce l'esposizione dei temi: il primo tema ha

in genere un carattere energico e drammatico (o maschile) ed è proposto nella tonalità

fondamentale del brano (la cosiddetta tonalità d'impianto); il carattere del secondo tema

è più dolce (o femminile) proposto in una tonalità diversa (quella della Dominante della

tonalità d'impianto, se questa è maggiore, o la relativa maggiore, se la tonalità d'impianto

è minore). Facciamo qualche esempio:

- 1° tema in Do maggiore (tonalità d'impianto) - 2° tema in Sol maggiore (alla Dominante);

- 1° tema in La minore (tonalità d’impianto) – 2° tema in Do maggiore (relativa maggiore).

Fra tema principale e tema secondario, nell'esposizione, si trova di solito un episodio

intermedio detto “ponte modulante”, che ha la funzione di passaggio dal tema principale a

quello secondario. Dopo il secondo tema troviamo le “codette”: parti melodiche che hanno

una funzione conclusiva. Dopo le codette termina l’esposizione che in genere viene ripetuta

integralmente.

2° tema Codette

Ponte

modulante

Introduzione 1° tema

Sviluppo Nello sviluppo il compositore riprende le idee musicali presentate nell'esposizione e le

rielabora. La funzione dello sviluppo è quella di analizzare gli elementi precedentemente

esposti (primo tema, episodi di collegamento, secondo tema, codette) per elaborarne gli

aspetti più interessanti attraverso continue modulazioni ad altre tonalità.

Ripresa La differenza fondamentale tra l’esposizione e la ripresa è che ora il secondo tema è

nella stessa tonalità del primo. Per questo motivo il ponte non è più “modulante”.

Il ponte viene utilizzato ancora come episodio di collegamento tra i due temi.

Dopo il secondo tema ritornano le codette, anch’esse esposte nella tonalità principale.

A volte per caratterizzare con efficacia la conclusione del brano il compositore inserisce

ancora un episodio chiamato “coda”.

1° tema Ponte 2° tema Codette Coda

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IL JAZZ

� Nasce alla fine dell’Ottocento presso la comunità afroamericana � Il termine jazz è di origine incerta: dal verbo jaser (chiacchierare) – inglese jasm (energia) – chasse

(caccia)- jasbo-jass � Il termine jazz è usato per la prima volta nel 1913 � Nasce da una mescolanza delle tradizioni africane con le tradizioni europee

ORIGINI DEL JAZZ

Work songs Spirituals, gospels blues JAZZ ragtime Work songs

� Canti dei neri nei campi di lavoro (piantagioni di cotone o strade ferrate) � Avevano la funzione di alleviare la fatica e dare un ritmo al lavoro � I testi sono ripetitivi e raccontano le condizioni di vita dei neri � La forma è responsoriale (dialogo tra solista e coro) � L’esecuzione spesso è sono vocale o accompagnata da semplici strumenti di recupero (asse del

bucato, fustini, scatole, pettini, ecc.)

Spirituals � Canti religiosi nati dalla fusione di melodie del canto europeo con elementi africani � I testi esprimono il dolore e i problemi della vita dei neri, ma anche momenti di speranza � Lo stile è responsoriale (solista e coro)

Gospels � Canti religiosi ispirati al Vangelo nati nelle città negli anni Trenta � Spesso l’esecuzione è fatta senza strumenti

Blues � Canto solistico profano nato nelle campagne nella 2^ metà dell’Ottocento � I testi esprimono la miseria e l’emarginazione in cui vivevano i neri (andamento lento e malinconico) � Le parole sono ripetute più volte e spezzate da lunghe pause � Viene utilizzata una scala musicale chiamata blues (la terza e la settima nota sono abbassate di un

semitono) che contribuisce a dare al brano un senso di tristezza � La struttura è AAB (tre frasi musicali di cui le prime due uguali) � Il ritmo è sincopato cioè con gli accenti spostati rispetto al ritmo regolare dell’accompagnamento

Ragtime � Forma strumentale eseguita soprattutto al pianoforte nei locali notturni da musicisti meticci ( figli di

un bianco e un nero) � Forma scritta e non improvvisata � Sovrapposizione di una melodia molto sincopata con un accompagnamento ritmico e ossessivo nella

parte grave

CARATTERI DEL JAZZ � La melodia è basata sulla scala blues � Il ritmo è caratterizzato da una sovrapposizione di più ritmi e ricco di sincopi � I timbri vocali e strumentali sono aspri e gutturali, non limpidi come nella musica classica � Il jazz è basato sull’improvvisazione che è la libera invenzione fatta sul momento di melodie su una

base armonica e ritmica fissa � I neri non sapevano leggere la musica e hanno imparato a suonare seguendo la loro naturale

musicalità

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STILI DEL JAZZ

New Orleans (1900-1920) � Jazz tradizionale dei neri nato nella città di New Orleans � Nascono le prime Band che utilizzano gli strumenti scartati dalle bande militari dei bianchi � Marching band= bande che suonavano camminando nelle strade in occasione di feste e funerali � Jazz Band = orchestrine stabili che suonavano nei locali di ritrovo � Gli strumenti usati erano: la tromba, il clarinetto, il trombone per la parte melodica; il basso tuba, il banjo per

la parte ritmica (nei locali erano utilizzati anche il contrabbasso, il pianoforte e la batteria) � Nel 1917 viene registrato il primo disco jazz

Dixieland (1920-1935)

� I neri si spostano nelle grandi città (Chicago) e nascono le prime band di bianchi � Il jazz si diffonde in tutti gli Stati Uniti per mezzo della radio e dei dischi � Nasce il boogie-woogie: forma derivata dal blues ma più ritmata e suonata al pianoforte � Questa musica viene utilizzata per accompagnare le immagini del cinema muto � Nel 1929 crolla la borsa di Wall Street provocando un grande crisi economica; molti musicisti perdono il

lavoro e la musica, che era piuttosto allegra, diventa più lenta e romantica � Nel 1932 con il New Deal di Roosvelt l’economia riprende, aumentano i consumi e aumenta il bisogno di

divertirsi e di ballare Swing (1935-1945)

� Il jazz diventa ballabile e la parola swing significa dondolio � Nascono le big band (grandi orchestre formate da varie sezioni fino ad arrivare a diciotto elementi) � Viene introdotto il vibrafono � Il jazz diventa commerciale e destinato alla classe media americana � Il jazz diventa molto orecchiabile e melodico, pulito e senza spigoli (prevale la componente bianca) � Nasce la figura dell’arrangiatore cioè colui che assegna le parti scritte ai vari strumenti � L’improvvisazione ricopre un ruolo secondario

Bebop (1945 circa)

� Nasce in risposta alla musica commerciale dello swing � Musica aspra e spigolosa basata sull’improvvisazione, ritmi veloci e irregolari � Prevale la componente nera in contrasto con la musica morbida e melodica dei bianchi � Le formazioni sono composte da pochi elementi (4 0 5 elementi) � I musicisti assumono atteggiamenti trasgressivi (occhiali scuri, voltano le spalle al pubblico, portano baschetto

e pizzetto

Rhythm and blues (1945 circa) � E’ la musica popolare afro-americana nata nella seconda metà degli anni ’40 per il pubblico nero che non

accettava la rivoluzione del bebop e cercava musiche ballabili e orecchiabili. Dal rhytm and blues nascerà successivamente il rock and roll.

Cool jazz (1955 circa) � Nasce come reazione colta dei musicisti bianchi al be-bop � E’ caratterizzato da atmosfere pacate, rarefatte e con ritmi lenti � Le formazioni sono composte da pochi elementi

Free jazz (1960)

� Nasce come reazione nera alla musica bianca; free vuol dire libero � Vengono recuperate le radici più profonde della cultura africana � Vengono inserite musiche proveniente da altre culture � Le sonorità sono forti,aspre e spigolose; vengono imitati i rumori � La ritmica è libera e la struttura è irregolare � La tonalità è incerta

Fusion (1970)

� Nasce dalla fusione di rock , jazz e elementi presi da altre culture � Uso di strumenti elettronici e rumori � Mescolanza del ritmo beat del rock con il ritmo più sfumato del jazz

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Prof. Romagnani Francesco

LL ’’ II MM PPRREESSSSII OONNII SSMM OO L’ Impressionismo fu un movimento artistico sorto in Francia nella seconda metà dell’800 finalizzato a ostacolare il Romanticismo. Il termine impressionismo fu tratto dal titolo di un quadro di Claude Monet esposto a Parigi nel 1874 ad una mostra di pittori rifiutati dal Salon ufficiale: “Impressione, sorgere del sole”, e per coloro che per primi lo proposero esso ebbe significato ironico e spregiativo. Divenne in seguito il vocabolo adatto ad identificare un movimento nel quale, al di là delle caratteristiche individuali e soggettive, si riconobbero, con Monet, altri pittori tra cui Camille Pissarro, Edouard Manet, Edouard Degas e Auguste Renoir. Li accomunava la preferenza per una pittura che ritraesse il vero, paesaggi “en plein air”, soggetti non eroici né magniloquenti, ma tratti di vita comune: squarci di esistenze borghesi, pic-nic, scene di caffè, ballerine, ecc.. Questa pittura era basata sull’impressione individuale dell’artista di fronte al soggetto da ritrarre, qualunque fosse; l’occhio coglie l’impressione visiva di un insieme di colori, non più fusi, graduati e sfumati ma avvicinati e giustapposti sulla tela con pennellate rapide, senza contorni precisi e senza dettagli. Tale impressione si modificava con il mutare della condizione della luce. Anche i musicisti, fra i quali soprattutto Claude Debussy, risentirono di questo cambiamento di mentalità e diedero vita ad uno stile musicale completamente nuovo, considerato il ponte tra la musica del passato (romantica) e quella del futuro (dodecafonica). Sono questi i problemi e le angosce che faranno vivere momenti di grande crisi per cui, nel tentativo di esprimere questa realtà, gli artisti andranno alla ricerca di nuovi e più adeguati linguaggi, utilizzati per sfuggire ad un mondo troppo materiale e concreto e per abbandonarsi a sensazioni vaghe e indefinite. Infatti, come i pittori impressionisti si preoccupavano di cogliere, al di là delle forme solide, soprattutto la luce e il colore dei soggetti trattati, così l’impressionismo musicale cercò di evitare il tangibile ed il concreto suggerendo, attraverso la sensibilità, pensieri ed emozioni, ma senza mai definirle completamente. La musica era chiamata a creare atmosfere rarefatte ed evanescenti in cui si avvicendavano immagini e sensazioni fugaci. Nelle sue composizioni Debussy utilizza forme assolutamente libere, all’interno delle quali le melodie sono frammentate, le armonie sono fluttuanti e dissonanti, il ritmo è vario da apparire quasi inesistente e i timbri strumentali sono utilizzati con grande delicatezza e trasparenza. La sua musica è composta da temi indefiniti che non risolvono alla tonica e raramente le varie sonorità raggiungono il fortissimo. L’armonia è grandemente innovata con accordi dissonanti “strani” che si susseguono come macchie sonore e sono utilizzati in modo nuovo, vale a dire non più concatenati l’uno con l’altro secondo le regole tradizionali. Debussy si è servito spesso di scale di origine orientale a cinque suoni (pentafoniche) e a sei suoni (esatonali) che mettevano inevitabilmente in crisi il sistema tonale che aveva dominato la musica occidentale per più di tre secoli. Tutti questi elementi creano un insieme di atmosfere sospese, vaghe e indefinite, dai toni sfumati e rarefatti, che non intendono imitare o descrivere qualcosa, né comunicare sentimenti, ma suggerire stati d’animo, suscitare impressioni interiori.

II LL PPRRII MM OO NNOOVVEECCEENNTTOO Il XX secolo si apre con una generale crisi dei valori ottocenteschi. L’idea di nazione si è degradata a nazionalismo, la libera iniziativa economica è degenerata nell’imperialismo (cioè la tendenza degli Stati europei a imporre la propria egemonia su altri stati). L’industria ha fatto passi da gigante, ma le masse operaie reclamano maggiore giustizia. Si genera così una tensione violenta fra proletariato e borghesia capitalista. In tale clima era facile abbandonarsi all’angoscia e all’inquietudine. La tradizione culturale del vecchio continente entra in crisi, coinvolgendo ogni forma d’arte: musica, letteratura, pittura. All’inizio del Novecento, i musicisti ricercano nuove forme espressive, svincolate dalla tradizione ottocentesca e più adatte a interpretare la crisi esistenziale dell’uomo contemporaneo. Questa ricerca è all’origine di diverse esperienze, tutte accomunate dalla sperimentazione di nuovi linguaggi che si allontanano dal sistema tonale, cioè fondato sul concetto di tonalità, in base al quale si è sviluppata tutta la musica occidentale dal Cinquecento in poi. Nel campo della musica, a partire dagli anni immediatamente precedenti alla prima guerra mondiale, si delineano due correnti principali, decisamente antitetiche: la prima, che chiameremo “espressionista”, è rappresentata dal viennese Arnold Schönberg; la seconda, che chiameremo “neoclassica”, dal russo Igor Stravinskij .

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Prof. Romagnani Francesco

L’Espressionismo

L’Espressionismo nasce nel Novecento come corrente pittorica che, contrapponendosi all’Impressionismo, si propone di rappresentare le inquietudini interiori. L’espressionismo musicale si individua principalmente nella cosiddetta “Scuola viennese” formata da Schönberg, Berg e Webern. Con Schönberg, che fu il capostipite di questa scuola, si assiste ad una trasformazione radicale e sistematica della tecnica musicale. Il percorso musicale di Arnold Schönberg (1874-1951) è quello più radicale e rivoluzionario della prima metà del Novecento. L’evoluzione del suo sperimentalismo è divisibile in tre fasi. Nella prima fase le sue composizioni risentono dell’influenza stilistica di Wagner e Mahler e sono caratterizzate dall'esasperazione del concetto tradizionale di tonalità maggiore e minore, che viene portato ai limiti della sua distruzione. Le opere scritte tra gli inizi del Novecento e la Prima guerra mondiale appartengono invece alla seconda fase, quella della musica atonale, in cui non vengono più rispettate le regole del sistema tonale tradizionale, dove una nota (la tonica) è il punto di riferimento fondamentale per le altre. Nella musica atonale, invece, tutte le note sono ugualmente importanti e non ci sono più regole: l’effetto è estremamente dissonante, sgradevole all’orecchio e di difficile comprensione. In questo modo Schönberg esprime la profonda disarmonia, l'angoscia e lo smarrimento che sente incombere su se stesso e sull’Europa alla vigilia della Prima guerra mondiale. Dopo il primo conflitto mondiale si apre la terza fase, nella quale Schönberg fa un passo successivo: si rende conto che non può esistere una musica senza regole, ma che le regole del passato sono inadeguate e non più utilizzabili. Nasce così la dodecafonia: un nuovo sistema musicale è basato sul concetto di serie, cioè la successione dei dodici suoni in cui è divisa l’ottava (i sette tasti bianchi e i cinque neri sul pianoforte) ordinati e combinati tra loro secondo regole precise. Alla base di ogni composizione dodecafonica è il principio di assoluta equivalenza (dal punto di vista armonico) dei dodici semitoni che compongono la scala cromatica. In questo insieme di suoni, detto serie, non esistono note con funzioni tonali attorno alle quali gravitino altri suoni della scala: non esiste nessuna distinzione tra suono con carattere di movimento e suono con carattere di riposo (tonica). Così come tra accordo dissonante e accordo consonante. La serie, o melodia dodecafonica, si basa su tre norme precise: 1) si debbono utilizzare tutti i dodici suoni della scala cromatica in qualunque successione si preferisca disporli (con essi si possono ottenere fino a 479.003.600 serie diverse); 2) Si deve evitare la ripetizione di un suono precedentemente usato fino a che l'intera serie dei dodici suoni non sia stata esaurita, al fine di impedire che uno di essi acquisti, con la ripetizione, un maggior peso, ovvero un maggior valore tonale e una preminenza sugli altri; 3) una volta fissata la serie, i suoni si possono utilizzare sia orizzontalmente (per la melodia) sia verticalmente (per l'armonia). Ogni serie si può sviluppare solo in quattro forme: dall'originale si generano infatti la retrograda (i suoni dell’originale vengono esposti al contrario, dall’ultima nota alla prima), l’inversa (gli intervalli dell’originale vengono trasformati da ascendenti in discendenti e viceversa) e retrograda dell’inversa.

Il Neoclassicismo

II neoclassicismo musicale si afferma pienamente nel primo ventennio del Novecento, in contrapposizione allo sperimentalismo dei musicisti d'avanguardia come Schönberg. I musicisti neoclassici si rivolgono alle tecniche compositive delle epoche precedenti, in particolare a quelle del periodo barocco e classico, reinterpretandone forme e strutture in chiave moderna. Il maggiore rappresentante della corrente neoclassica è Igor Stravinskij . Il percorso musicale di Stravinskij può essere suddiviso in tre tappe, accomunate dalla costante ricerca di comporre una sintesi tra la volontà di scrivere musica che il pubblico possa ascoltare con piacere, le esigenze creative del compositore e il recupero della tradizione. La prima tappa è caratterizzata dall'utilizzo nella sue composizioni di argomenti e temi popolari russi e da uno sperimentalismo orientato verso la sovrapposizione simultanea di tonalità diverse (politonalità ) e ritmi diversi (poliritmia ). L’effetto per l’ascoltatore è sconcertante e infatti alcune delle opere di questo periodo - tra cui i balletti “Petruška”, “L’uccello di fuoco” e “La sagra della primavera”- suscitano proteste e scandalo. Nella seconda tappa, dopo la Prima guerra mondiale, Stravinskij si ispira alla tradizione classica dell'Europa occidentale, soprattutto settecentesca. Ma non si tratta di imitazione: in un clima musicale in cui le regole tradizionali sono stravolte dalle correnti d'avanguardia, egli cerca un nuovo sistema di regole e lo trova nel linguaggio e nei generi musicali dei classici, che permettono di rendere comprensibile la musica moderna agli ascoltatori. Dagli anni Cinquanta il poi ha inizio la terza tappa artistica, con la scoperta della musica dodecafonica e seriale, avvenuta attraverso l’attento ascolto delle opere di Anton Webern.

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Prof. Romagnani Francesco

Il futurismo

La corrente del Futurismo coinvolge non solo la musica, ma anche la letteratura, l’arte e il modo di vivere. Essa non propone solo un cambiamento di stile e di linguaggio, ma anche un cambiamento di valori. Alla cultura tradizionale, infatti, il Futurismo contrappone l’esaltazione della tecnologia. Il manifesto letterario del Futurismo è pubblicato a Parigi da Filippo Tommaso Marinetti il 20 febbraio 1909, quello musicale è pubblicato da Francesco Balilla Pratella nel 1911. I futuristi italiani fanno del rumore il protagonista di una nuova musica, che nei loro intenti deve rispecchiare il dinamismo e il progresso tecnologico dell'epoca. A tal fine Luigi Russolo (1885-1947) costruisce una serie di strumenti, gli "intonarumori ", in grado di produrre sibili, rombi, scoppi ecc., che presenta con concerti in tutta Europa. Nonostante il fallimento di questi rudimentali tentativi, le sperimentazioni futuriste aprono nuovi orizzonti alla ricerca musicale.

II LL SSEECCOONNDDOO NNOOVVEECCEENNTTOO

Nel secondo dopoguerra la musica è influenzata sia dagli avvenimenti storici, sia dai nuovi sviluppi della tecnica. La sua caratteristica principale è data dalla ricerca non solo di un nuovo linguaggio, ma anche di una nuova timbrica strumentale. I compositori non si limitano ad utilizzare i suoni degli strumenti o delle voci, ma utilizzano ogni sorta di oggetto, musicale e non musicale, per realizzare opere originali e anticonformiste. Anche il rumore, a volte, diventa musica. La Nuova Avanguardia rappresentò una rottura con il passato ed una preparazione al successivo sviluppo della musica elettronica e concreta in Europa ed in America. Il compositore franco-americano Edgar Varèse (1883-1965) è tra i primi a inserire in modo sistematico il rumore nelle sue composizioni, per farne un fondamentale mezzo espressivo e per allargare in tal modo la tavolozza timbrica a disposizione del musicista.

La musica concreta Verso gli anni Cinquanta negli studi del compositore Pierre Schaeffer si definisce infatti la musica concreta. I registratori a nastro sono divenuti per i musicisti un vero e proprio strumento nuovo ed estremamente duttile. Suoni e rumori possono essere registrati e manipolati in vari modi: per esempio, dopo essere registrati ad una certa velocità, il loro andamento può essere accelerato; si possono eseguire le musiche al contrario ed è possibile fare un "collage" di suoni tagliando ed incollando in vari modi le parti del nastro.

La musica elettronica e la Scuola di Darmstadt L’elettronica, a partire dagli anni Cinquanta, ha consentito la costruzione di generatori di suoni di grande flessibilità, che permettono la creazione di timbri del tutto diversi da quelli degli strumenti "acustici" tradizionali. Il registratore e il sintetizzatore sono infatti strumenti che consentono di ottenere sonorità mai udite prima, di controllarle e di trasformarle a proprio piacimento. A Darmstadt, in Germania, si forma una scuola che si propone di sviluppare i principi costruttivi della serie dodecafonica, applicandoli non solo all'altezza (come aveva fatto Schönberg), ma anche alla durata, all’intensità, al timbro. Le composizioni di Kariheinz Stockhausen, Pierre Boulez, Bruno Maderna, Luigi Nono, Luciano Berio, nate all’interno di tale scuola, sono tutte caratterizzate da un’attenzione estrema per la costruzione del brano, cioè per la sua struttura.

La musica aleatoria Alle complesse strutture sonore che caratterizzano la produzione degli anni Cinquanta, alcuni compositori statunitensi, come John Cage (1912-1992), reagiscono con composizioni affidate al “caso” (dal latino alea = dado, sorte) nelle quali la musica nasce e si modella sulla base di elementi fortuiti: improvvisazioni, intrusioni esterne ambientali, sorteggi, libera interpretazione. Alla base delle sue composizioni c’è l’idea che tutti gli eventi sonori (rumori, suoni, silenzi) siano importanti e possano quindi essere considerati musica.

Il minimalismo Negli anni Sessanta, come reazione ai movimenti che privilegiavano elementi irrazionali come l’improvvisazione e il caso, nasce il minimalismo. Questa corrente si pone come obiettivo quello di recuperare la funzione comunicativa dell’arte utilizzando un linguaggio semplice, minimale, capace di rappresentare tutte le esperienze visive e sonore con elementi essenziali, minimi, ma che disposti in serie e ripetuti possono espandersi indefinitivamente. In musica le melodie vengono costruite su poche note e pochi ritmi che si ripetono continuamente con variazioni lente e quasi impercettibili. L’effetto che si ottiene è una composizione monotona, quasi statica, ipnotica.

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Prof. Romagnani Francesco

IL SISTEMA TONALE

Per comporre musica ogni civiltà ha sempre utilizzato uno specifico sistema di suoni; in altre parole ogni popolo, come ha la sua lingua, i suoi vocaboli, la sua grammatica e la sua sintassi, così ha anche la sua musica, con i suoi suoni e le sue regole.

La cultura europea ha dato vita ad un importante sistema di suoni detto sistema tonale, che venne particolarmente usato nel periodo che va dagli inizi del Settecento agli inizi del Novecento. Questo sistema è basato sull’uso di soli due tipi di scale: le scale di modo maggiore e le scale di modo minore.

A causa della diversa distribuzione degli intervalli, i due modi maggiore e minore sono differenti all’ascolto e

quindi possiedono un diverso carattere. Il modo maggiore è per lo più utilizzato per i brani di carattere allegro e disteso, è utile quindi per creare

sensazioni ora vivaci, ora pacate, ma sempre serene; il modo minore è per lo più utilizzato nei brani di carattere più malinconico, meditativo e triste, oppure per dare luogo a situazioni espressive agitate e drammatiche.

I gradi della scala: significato e funzioni

A seguito del posto che le note occupano nella scala, esse prendono il nome di gradi e si contano con i numeri romani (I, II, III, IV grado, ecc.). Ogni grado della scala ha un nome proprio:

Tonica Sopratonica Modale Sottodominante Dominante Sopradominante Sensibile I grado II grado III grado IV grado V grado VI grado VII grado

Proprio come nella società le persone hanno ruoli diversi in base alla loro capacità e al loro carattere, nella

scala musicale ogni grado ha una personalità e funzione ben precisa. Il 1° grado è detto “tonica” poiché‚ da esso deriva il nome della tonalità. La tonica è la nota che dà stabilità al

brano musicale, quella che attira a sé le altre note e con la quale viene naturale concludere il brano stesso. Il 5° grado, “dominante”, deriva il suo nome dalla posizione più alta, dominante appunto, che possiede

nell'accordo tonale. Mentre la tonica è la nota della stabilità, la dominante è la nota più dinamica della scala, quella che dà movimento, tensione al brano. Tonica e dominante rappresentano due “poli” di attrazione del discorso musicale; esse sono cioè note verso le quali “tendono” le altre note della scala.

Il 3° grado è molto importante nell'ambito della scala, poiché‚ da esso dipende il modo (maggiore o minore) della scala stessa: ecco perché‚ viene denominato “modale”. Appartiene al “polo” della tonica; è dunque una nota di stabilità.

Ed infine, l'origine del termine “sensibile” per il 7° grado va ricercata nella distanza di semitono che separa tale grado dalla tonica. Questo determina nel VII spiccata attitudine (o sensibilità) a muoversi (o, come si usa dire, a risolvere) verso grado superiore più stabile, la tonica appunto.

Semplificando, possiamo dire che un brano musicale si sviluppa secondo un alternarsi di momenti di riposo e momenti dinamici più o meno forti, fino al riposo conclusivo.

Sistema tonale Sistema dodecafonico

Scale musicali Scale maggiori e minori basate su 7 suoni Vengono utilizzate serie di dodici suoni

Gerarchia tra i gradi della scala

Vi sono suoni più importanti e suoni meno importanti con funzioni diverse. Tonica e dominante

Tutti i suoni hanno la stessa importanza. Non deve prevalere nessuna nota

Accordi

Accordi maggiori e minori. Accordi consonanti e dissonanti Esiste una relazione precisa tra gli accordi con sequenze ordinate

Non esiste più il concetto di accordo consonante e dissonante Non c'è una sequenza ordinata di accordi

Organizzazione

melodica

La melodia è organizzata in frasi chiare e collegate tra loro secondo una precisa struttura

Le frasi musicali si presentano come sequenze irregolari e non lineari di note

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LA LEGGENDA DEL PIAVE

1. STROFA: Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio Dei primi fanti il ventiquattro maggio: l’Esercito marciava per raggiunger la frontiera, per far contro il nemico una barriera. Muti passaron quella notte i fanti; tacere bisognava e andare avanti. S’udiva intanto dalle amate sponde Sommesso e lieve il tripudiar de l’onde: era un passaggio dolce e lusinghiero. Il Piave mormorò: “NON PASSA LO STRANIERO”.

2. STROFA: Ma in una notte triste si parlò di tradimento, e il Piave udiva l’ira e lo sgomento. Ahi, quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto, per l’onta consumata a Caporetto! Profughi ovunque! Dai lontani monti Venivan a gremir tutti i suoi ponti. S’udiva allor dalle violate sponde Sommesso e triste il mormorio de l’onde: come un singhiozzo in quell’affanno nero. Il Piave mormorò: “RITORNA LO STRANIERO”.

3. STROFA: E ritornò il nemico, per l’orgoglio e per la fame Volea sfogar tutte le sue brame. Vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora Sfamarsi e tripudiare come allor… “NO” disse il Piave, “NO” dissero i fanti, “mai più il nemico faccia un passo avanti” Si vide il Piave rigonfiar le sponde! E come i fanti combattevan l’onde. Rosso del sangue del nemico altero, Il Piave comandò: “INDIETRO VA’ STRANIERO!”

4. STROFA: E indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento E la Vittoria sciolse le ali al vento. Fu sacro il patto antico: tra le schiere furon visti Risorgere Oberdan, Sauro e Battisti. Infranse alfin l’italico valore Le forche e l’armi dell’impiccatore. Sicure l’Alpi… libere le sponde E tacque il Piave: si placaron l’onde. Sul patrio suol, vinti i torvi imperi, la pace non trovò NE’ OPPRESSI, NE’ STRANIERI.

E.A. Mario (pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta)

Cenni storici (significato dei versi e cronologia degli eventi) Nella notte tra il 23 e il 24 maggio del 1915 l’Italia entrava in guerra: era l’occasione per completare il processo di unità nazionale e liberare il Trentino e la Venezia Giulia dal dominio austriaco. Il nostro esercito, nel marciare coraggioso e silenzioso verso la frontiera con l’Austria, passò sul fiume Piave, che espresse poeticamente la sua gioia con il tripudio delle onde. 24 ottobre del 1917, il nemico ruppe il fronte orientale italiano a Caporetto; tutte le nostre forze ebbero l’ordine di arretrare onde evitare l’accerchiamento. Le perdite furono pesanti e ad esse si accompagnarono le polemiche. Si dovettero richiamare le riserve e arruolare i giovani di 18 anni, classe 1899, che per il valore ed il coraggio dimostrato meritarono l’appellativo di “classe di ferro”. Il Piave divenne il simbolo della Patria che fu difesa con rinnovata determinazione sotto la guida del Gen. Armando Diaz. Sulla nuova frontiera Monte Grappa-Piave si decidevano le sorti della guerra. La poderosa offensiva scatenata dagli austriaci nel giugno 1918 cozzò contro l’eroica resistenza degli italiani; le divisioni nemiche dovettero “ripassare in disordine il Piave, sconfitte e incalzate dalle nostre valorose truppe” come si espresse nel bollettino di guerra il Gen. Diaz. La battaglia del Piave è stata una delle più gloriose della storia d’Italia: costò all’Austria 150.000 uomini e fu l’inizio della sconfitta. Gli austriaci e gli alleati tedeschi videro “cadere come foglie morte” nelle acque del Piave le loro speranze di vittoria, come scrisse il comandante tedesco Ludendorff dopo la guerra. Il 24 ottobre 1918, proprio nel giorno anniversario della sconfitta di Caporetto, l’esercito italiano lanciò una massiccia e generale offensiva che portò alla vittoria dell’Italia, chiamata di Vittorio veneto, dal luogo dove avvenne per prima lo sfondamento delle linee nemiche. L’avanzata italiana fu travolgente; dopo aver catturato centinaia di migliaia di prigionieri, il 3 novembre le truppe italiane entrarono in Trento e Trieste. Lo stesso giorno l’Austria si arrese e firmò l’armistizio, che sanciva la cessazione della guerra per il 4 novembre. Solo allora si placarono le acque del Piave, quando furono sconfitti gli imperi oppressori e la Pace trovò gli italiani liberi sul patrio suolo, dalle Alpi al mare.

Questa la Grande Storia condensata nella “Leggenda del Piave”, la Storia di una guerra non di offesa ma di difesa

della Patria, sostenuta dal popolo e valorosamente combattuta da nostri soldati per il completamento dell’unità d’Italia.

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Confronto tra i canti di trincea e “La leggenda del Piave”

La leggenda del Piave Canti di trincea

Autore Fu scritta da Ermete Giovanni Gaeta (noto con lo pseudonimo di E.A. Mario).

Soldati anonimi di trincea

Periodo Pubblicata dopo la fine della guerra Durante la guerra

Funzione

Celebrare e idealizzare la Grande Guerra; farne dimenticare le atrocità, le sofferenze e i lutti che l'avevano caratterizzata.

Solidarietà con i compagni, dimenticare la trincea e ricordare gli affetti più cari

Testo Linguaggio colto e in rima Linguaggio semplice e dialettale

Andamento Mediamente veloce Generalmente lento Carattere espressivo

Cambia nelle 4 strofe (gioia, tristezza, speranza, esultanza)

Triste, rassegnato

Voci Voce solista impostata Voci naturali Strumenti Orchestra intera Nessuno o solo chitarra

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La musica italiana tra le due guerre

Negli anni Venti del Novecento, dopo la prima guerra mondiale, si diffondono anche in Italia i dischi e la radio, che permettono di ascoltare anche canzoni straniere e quindi mettono in crisi il predominio incontrastato della canzone melodica. Attraverso i dischi, per esempio, arrivarono in Italia i primi brani di jazz. Anche con il cinema sonoro, si diffuse la conoscenza di stili musicali completamente diversi da quelli tradizionali. Il fascismo, però, conduceva una politica di tipo nazionalistico anche in campo musicale, cioè ostacolava il più possibile la diffusione delle mode e dei cantanti stranieri. Alla radio, per esempio, le canzoni straniere venivano trasmesse solo se tradotte in italiano e interpretate da un cantante italiano. Il regime incoraggiava viceversa la diffusione di canzoni di stile molto tradizionale, di carattere allegro e spensierato, spesso dal contenuto banale o insignificante, che davano l’idea di un’Italia in cui tutto andava bene e la gente non aveva problemi. Alcune canzoni venivano scritte appositamente per celebrare il regime mussoliniano o le sue imprese; altre venivano sfruttate dal fascismo per i propri fini, anche se erano nate con intenti del tutto diversi. Alla fine degli anni Trenta, alla vigilia della seconda guerra mondiale, incominciavano però a diffondersi anche in Italia le cosiddette orchestre ritmiche (Semprini, Kramer, Barzizza, Mascheroni, Rabagliati e il Trio Lescano) che proponevano versioni italiane di grandi successi stranieri (il “gez italiano”). L’E.I.A.R. (Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) dipendeva direttamente dal Ministero per la Cultura Popolare; ogni sera alle venti si trasmettevano insieme ai bollettini di guerra, canzonette che inneggiavano all’eroismo, alla lotta e alla vittoria. L’idea della morte era sempre rappresentata o come un evento remoto difficilmente realizzabile, in modo da sottolineare l’invincibilità del soldato italiano, o come l’estremo e glorioso sacrificio per il trionfo della Patria. I compositori italiani, posti sotto strettissimo controllo dal regime, facevano a gara nel comporre brani per eccitare l’animo sia dei civili sia dei militari al fronte. La canzone più nota di questo periodo era Vincere (datata proprio 10 giugno 1940), chiaro esempio dell’esaltazione generale dei primi mesi di guerra. Nel testo si trovavano richiami alla Roma imperiale, simboli di riscossa e di rivincita dell’Italia in campo internazionale. Lo scopo di questo motivo era evidente: esaltare l’animo del popolo e la figura di Mussolini, cui veniva attribuito un alone divino.

VINCERE (1940)

Temprata da mille passioni la voce d'Italia squillò! "Centurie, coorti, legioni, in piedi che l'ora suono"! Avanti gioventù! Ogni vincolo, ogni ostacolo superiamo, spezziamo la schiavitù che ci soffoca prigionieri del nostro Mar! Vincere! Vincere! Vincere! E vinceremo in terra, in cielo, in mare! E' la parola d'ordine d'una suprema volontà! Vincere! Vincere! Vincere! Ad ogni costo, nessun ci fermerà! I cuori esultano, son pronti a obbedir, son pronti lo giurano: o vincere o morir!

Elmetto, pugnale, moschetto, a passo romano si va! La fiamma che brucia nel petto ci sprona ci guida si va! Avanti! Si oserà l'inosabile, l'impossibile non esiste! La nostra volontà è invincibile, mai nessun ci piegherà! Vincere! Vincere! Vincere! E vinceremo in terra, in cielo, in mare! E' la parola d'ordine d'una suprema volontà Vincere! Vincere! Vincere! Ad ogni costo, nessun ci fermerà! I cuori esultano, sono pronti a obbedir, sono pronti lo giurano: o vincere o morir!

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FACCETTA NERA (1935)

Se tu dall’altipiano guardi il mare vorrei cadessi schiava tra gli schiavi vedrai come in un sogno tante navi e un Tricolore sventolare per te. Faccetta nera bella abissina aspetta e spera che già l’ora s’avvicina quando saremo insieme a te noi ti daremo un’altra legge, un altro re. La legge offre ai schiavi più favore il nostro motto è libertà e dovere quel dì saremo noi camicie nere gli eroi caduti liberando te.

Faccetta nera ......... Faccetta nera piccola abissina ti porteremo a Roma liberata dal sole nostro tu sarai baciata sarai camicia nera pure tu. Faccetta nera sarai romana la tua bandiera sarà quella italiana noi marceremo insieme a te e sfileremo davanti al duce davanti al re.

GIOVINEZZA (1922)

Salve o popolo di eroi, salve o Patria immortale, son rinati i figli tuoi con la fede e l'ideale. Il valor dei tuoi guerrieri la vision dei tuoi pionieri la vision dell'Alighieri oggi brilla in tutti i cuor. Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza, nella vita nell'asprezza il tuo canto squilla e va! Per Benito Mussolini E per la nostra Patria bella, eja eja alalà. Dell'Italia nei confini son rifatti gli Italiani, li ha rifatti Mussolini per la guerra di domani Per la gioia del lavoro per la pace e per l'alloro per la gogna di coloro che la Patria rinnegar.

Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza, nella vita nell'asprezza il tuo canto squilla e va! Per Benito Mussolini E per la nostra Patria bella, eja eja alalà. I poeti e gli artigiani i signori e i contadini, con orgoglio di Italiani giuran fede a Mussolini. Non v'è povero quartiere che non mandi le sue schiere, che non spieghi le bandiere del fascismo redentor. Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza, nella vita nell'asprezza il tuo canto squilla e va! Per Benito Mussolini E per la nostra Patria bella, eja eja alalà.

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ALL’ARMI

All'armi! All'armi! All'armi o Fascisti, Terror dei comunisti. Noi del Fascismo siamo i componenti, la causa sosterremo fino alla morte, e lotteremo sempre forte, forte finché terremo il nostro sangue in core. Sempre inneggiando alla Patria nostra, che tutti uniti difenderemo, contro avversari e traditori che ad uno ad uno sterminerem. All'armi! All'armi! All'armi o Fascisti, Terror dei comunisti. Lo scopo tutti noi sappiamo combatter con certezza di vittoria e questo non sia mai sol per la gloria, ma per giusta ragion di libertà. I bolscevichi che combattiamo noi sapremo bene far dileguar e al grido nostro quella canaglia dovrà tremare, dovrà tremar.

All'armi! All'armi! All'armi o Fascisti, Terror dei comunisti. Vittoria in ogni parte porteremo perché il coraggio a noi non mancherà e grideremo sempre forte, forte e sosterremo la nostra causa santa. In guardia amici, che in ogni evento noi sempre pronti tutti saremo, finché la gloria di noi Fascisti in tutta Italia trionferà. All'armi! All'armi! All'armi o Fascisti, Terror dei comunisti. Del bolscevismo siamo gli avversari perché non voglio Patria né Famiglia, perché sono rifiuti e fanghiglia che disprezzando dobbiamo scacciar. Sempre gridando viva l'Italia e abbasso tutti i suoi rinnegatori, in alto, in alto i tricolori che sarà sempre il nostro amor.

INNO A ROMA (1930)

Roma divina, a Te sul Campidoglio dove eterno verdeggia il sacro alloro, a Te nostra fortezza e nostro orgoglio, ascende il coro. Salve Dea Roma! Ti sfavilla in fronte il Sol che nasce sulla nuova storia; fulgida in arme, all'ultimo orizzonte sta la Vittoria. Sole che sorgi libero e giocondo sul colle nostro i tuoi cavalli doma; tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma. Per tutto il cielo è un volo di bandiere e la pace del mondo oggi è latina: il tricolore canta sul cantiere, su l'officina. Madre che doni ai popoli la legge eterna e pura come il Sol che nasce, benedici l'aratro antico e il gregge folto che pasce!

Sole che sorgi libero e giocondo sul colle nostro i tuoi cavalli doma; tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma. Benedici il riposo e la fatica che si rinnova per virtù d'amore, la giovinezza florida e l'antica età che muore. Madre di uomini e di lanosi armenti, d'opere schiette e di penose scuole, tornano alle tue case i reggimenti e sorge il sole. Sole che sorgi libero e giocondo sul colle nostro i tuoi cavalli doma; tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma.

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Inno dei giovani fascisti

Fuoco di Vesta che fuor del Tempio irrompe, con ali e fiamme la Giovinezza va. Fiaccole ardenti sull'are e sulle tombe, noi siamo le speranze della nuova età. Duce, Duce, chi non saprà morir? Il giuramento chi mai rinnegherà? Snuda la spada! Quando Tu lo vuoi, gagliardetti al vento, tutti verremo a Te!

Armi e bandiere degli antichi eroi, per l'Italia, o Duce, fa balenar al sol! Va, la vita va, con sé ci porta, ci promette l'avvenir. Una maschia gioventù con romana volontà combatterà. Verrà, quel dì verrà che la Gran Madre degli Eroi ci chiamerà. Per il Duce, o Patria, per il Re! A Noi! Ti daremo Gloria e Impero in oltremare!

CARO PAPA’

Caro papà, ti scrivo e la mia mano, quasi mi trema, lo comprendi tu? Sono tanti giorni che mi sei lontano e dove vivi non lo dici più! Le lacrime che bagnano il mio viso sono lacrime d'orgoglio, credi a me, ti vedo che dischiudi un bel sorriso, e il tuo Balilla stringi in braccio a te! Anch'io combatto, anch'io fò la mia Guerra con fede, con onore e disciplina, desidero che frutti la mia terra e curo l'orticello ogni mattina: "l'orticello di guerra"!... E prego Iddio che vegli su di te, babbuccio mio!

Caro papà, da ogni tua parola, sprigiona un Credo che non si scorda più! Fiamma d'amor di Patria che consola, come ad amarla m'insegnasti tu! Così da te le cose che ho imparato le tengo chiuse, strette nel mio cuor... Ed oggi come te sono un soldato, credo il tuo Credo con lo stesso amor! Anch'io combatto anch'io fò la mia guerra, con fede, con onore e disciplina, desidero che frutti la mia terra e curo l'orticello ogni mattina: "l'orticello di guerra" E prego Iddio che vegli su di te, babbuccio mio!

LILI’ MARLEN

Tutte le sere, sotto quel fanal, presso la caserma, ti stavo ad aspettar, anche stasera aspetterò, e tutto il mondo scorderò, con te Lilì Marleen, con te Lilì Marleen. O trombettier, stasera non suonar: una volta ancora la voglio salutar, addio, piccina, dolce amor, ti porterò per sempre in cuor, con me Lilì Marleen, con me Lilì Marleen. Dammi una rosa da tener sul cuor, legala col filo dei tuoi capelli d’or, forse domani piangerai, ma dopo tu sorriderai, a chi Lilì Marleen? a chi Lilì Marleen?

Quando nel fango debbo camminar sotto il mio fardello mi sento vacillar, cosa mai sarà di me? Ma poi sorrido e penso a te, a te Lilì Marleen, a te Lilì Marleen. Se chiudo gli occhi il viso tuo m’appar come quella sera nel cerchio del fanal, tutte le notti sogno allor di ritornar, di riposar, con te Lilì Marleen, con te Lilì Marleen.

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LA MUSICA POPOLARE

Ogni nazione, ogni regione possiede un proprio patrimonio musicale, che si è andato formando a poco a poco nel tempo negli strati sociali più bassi e non colti della popolazione: si tratta della musica popolare, che esprime in modo inconfondibile il carattere, lo spirito e le inclinazioni del popolo di quella nazione o di quella regione. La musica popolare può essere accompagnata dal canto o essere unicamente strumentale, ma in ogni caso è sempre strettamente legata a particolari occasioni o eventi della vita della comunità di cui esprime i sentimenti: le feste, la nascita, il fidanzamento, le nozze, i funerali, il lavoro e così via. Proprio per la sua natura spontanea, la musica popolare è anonima: non ha mai un autore identificato; essendo l'espressione di un'intera comunità, nel momento in cui nasce diventa una proprietà comune, con uno stile non legato alla personalità di un singolo compositore, ma alle caratteristiche generali del tempo e del luogo in cui si è originata. Ed è una proprietà che si trasmette oralmente, cioè a memoria, di persona in persona, di padre in figlio, generazione dopo generazione, perché chi l'ha creata non si è mai preoccupato di scriverla su un pentagramma. Il repertorio dei canti giunti fino a noi presenta una caratteristica molto curiosa: di uno stesso canto si possono trovare varie versioni, leggermente diverse l'una dall'altra tanto nella melodia quanto nel testo. Il motivo è chiaro: essendo stati trasmessi oralmente, melodie e testi hanno subìto inevitabili modifiche. Uno stesso canto, cambiando domicilio - passando per esempio da un paese a quello vicino - subisce di necessità qualche "deformazione" nel testo, ad esempio se i dialetti dei due paesi vicini sono leggermente diversi. Quando si parla di musica o canto popolare possono nascere degli equivoci sul valore da attribuire al termine "popolare". Nella lingua italiana l'aggettivo "popolare", usato in riferimento a una musica, può assumere due significati diversi: • popolare in quanto musica prodotta ed eseguita da persone che fanno parte di classi sociali "basse", come contadini, operai, artigiani, ecc. (ad esempio nella frase: "i canti di lavoro sono canti popolari"); • popolare in quanto genere o repertorio musicale molto diffuso e conosciuto (ad esempio nella frase: "le canzoni di Claudio Baglioni sono molto popolari"). Anche se la parola usata è la stessa, il suo significato è molto diverso. Per questa ragione ci è utile ricorrere all'aiuto della lingua inglese, che per i due casi usa invece due parole diverse: • folk (da cui folclorico) è quanto prodotto e praticato dalle classi "basse"; • popular è ciò che è noto e diffuso fra tanta gente.

IL CANTO POPOLARE IN ITALIA

Nel nostro Paese il vasto patrimonio del canto popolare presenta caratteristiche diversificate a seconda dei luoghi di provenienza. Ed è comprensibile se si pensa che l'Unità d'Italia è stata realizzata soltanto poco più di cento anni fa: prima la nostra penisola era un insieme di Stati divisi da confini e quindi "stranieri" l'uno all'altro, con leggi ed abitudini diverse, con differenze linguistiche notevoli. Del resto, ancora oggi, in ogni regione d'Italia, oltre alla lingua italiana si parla infatti un dialetto, una lingua popolare, e i dialetti sono spesso molto diversi l'uno dall'altro. In base alle caratteristiche linguistiche, musicali ed espressive del repertorio popolare italiano si possono distin-guere tre aree di provenienza di "famiglie" di canti.

I canti del Nord. Nelle regioni dell'Italia settentrionale i canti risentono dell’influenza degli Stati che sono più a Nord; hanno un disegno melodico ed armonico molto semplice e preferiscono le tonalità maggiori. Le strutture ritmiche sono fisse; ai testi si affida il compito di raccontare una vicenda; l'esecuzione è, per la maggior parte dei casi, corale. Strumenti: armonica a bocca, organetto, chitarra, violino, fregamusone, piffero, corno alpino, mandolino.

I canti del Centro-Sud. Nell'Italia centro-meridionale (Sicilia compresa) i canti risentono dell’influenza della

cultura spagnola e araba e sono di carattere decisamente melodico. Spesso vengono usate le scale modali; oppure, se l'impianto adottato è quello tonale, si nota una predilezione per le tonalità minori. Le strutture ritmiche sono libere, non obbediscono cioè a schemi fissi; i testi esprimono protesta, dolore, malinconia o raccontano storie d'amore. L'esecuzione è in gran parte affidata a un solista e viene effettuata con un'emissione di voce forte, acuta, quasi lacerante. Strumenti: zampogna, ocarina, fisarmonica, piffero, siringa, mandolino, tamburello, tamburi a frizione, chitarra battente, raganella, scacciapensieri.

La Sardegna. Un'area a sé stante è costituita dalla Sardegna, dove la musica popolare ha conservato inconfondibili elementi molto antichi. Le due forme fondamentali del canto sono il mutu e il mutettu, che possono venire eseguiti da una sola voce con l'accompagnamento di chitarra, oppure a più voci. In quest'ultimo caso le voci di sostegno sono molto gravi; la parte più acuta spesso è cantata in "falsetto"(tecnica di canto basata sull'emissione di "testa", cioè sfruttando le cavità di risonanza situate nel capo e sforzando la voce verso l'alto, oltre il suo limite naturale) ed è molto più fiorita in basso. Strumenti: organetto, chitarra, launeddas, ciaramella.

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LE DIVERSE MANIFESTAZIONI DELLA MUSICA POPOLAR E

Un'altra grande distinzione, nell'ambito della musica folclorica italiana, si può fare tra: canti e musica strumentale. Per quanto riguarda i canti, possiamo compiere un'ulteriore suddivisione in base alle funzioni che essi hanno o avevano (canti relativi al ciclo della vita umana; canti relativi al ciclo dell'anno; canti di lavoro, canti sociali e politici; canti di guerra, inni, cortei e processioni; canti di intrattenimento).

NINNA NANNE Sono forse i canti più antichi che si conoscano. La loro naturale semplicità ha fatto sì che potessero tramandarsi per secoli senza subire cambiamenti profondi. Esse sono universali e si ritrovano con lo stesso andamento ritmico cullante e le stesse forme ripetitive sotto tutti i cieli del mondo. Elementi comuni a tutte le ninne nanne sono la presenza di vocali lunghe o di canto a bocca chiusa. Le parole, quando ci sono, esprimono quasi sempre la tenerezza materna; tuttavia, spesso troviamo testi che non fanno alcun riferimento al sonno del bambino, bensì servono come sfogo, da parte della madre, rispetto a condizioni di vita troppo dure e faticose. A volte compare, addirittura, l'immagine della morte associata a minacce o ad altre immagini paurose.

CANTI INFANTILI Subito dopo le ninna nanne, nel corso della vita, vengono i canti infantili. Possiamo intendere questo termine in

due modi: • canti che vengono eseguiti dagli adulti per far divertire i bambini; • canti, filastrocche, conte di gioco cantate dai bambini. I canti del primo tipo sono appunto cantati dagli adulti, facendo saltare i bambini sulle ginocchia o fingendo di farli cadere, o compiendo comunque movimenti ritmici che aiutano il bambino piccolo ad acquisire un buon coordinamento motorio. Il secondo tipo di canti, invece, è cantato dai bambini e ha spesso un testo che serve all'apprendimento: dei numeri, dei giorni della settimana, del succedersi dei mesi, dell'alfabeto, ecc.. Come per le ninne nanne, i canti infantili sono estremamente semplici e ripetitivi. La differenza fondamentale sta soprattutto nel ritmo, che è necessariamente più vivace.

CANTI DI LAVORO Questi canti costituiscono un genere quasi completamente abbandonato: servivano a coordinare e facilitare operazioni ripetitive e faticose (che oggi vengono svolte dalle macchine), e a rendere meno monotono il lavoro (canti della mietitura, canti delle mondine, canti dei cavatori di marmo, canti della mattanza).

CANTI SOCIALI E POLITICI Sono molto simili a quelli di lavoro come forma musicale ma come contenuto mettono in luce situazioni di ingiustizia e sofferenza: la povertà, l'emigrazione, la guerra, il non sempre facile rapporto con il datore di lavoro, con le autorità e con i potenti.

I CANTI DI TRINCEA Sono canti scritti dai soldati in trincea dove si combatteva una guerra logorante. I soldati vivevano con i piedi e le gambe nel fango, affamati, in attesa dell’ordine dell’assalto che avrebbe lasciato sul campo migliaia di soldati. Possiamo trovare almeno tre funzioni, nei canti di trincea:

� Evasione: la musica serviva a far dimenticare il posto dove si trovavano, la trincea; � Solidarietà: la musica aiutava i soldati a non sentirsi soli e a fraternizzare con i compagni di trincea; � Affermazione della propria identità: nei loro canti i soldati ricordano la propria vita passata e gli affetti

lasciati a casa in modo da rendere meno insopportabile la realtà esasperante della trincea.

LA MUSICA STRUMENTALE La musica strumentale è legata, nella maggior parte dei casi, alla danza e ad occasioni di festa (matrimoni, festività religiose, feste di paese, ecc.). La sua funzione è di far socializzare gli individui attraverso il ballo, che permette lo sfogo motorio e psichico dei partecipanti, creando inoltre occasioni di corteggiamento. A seconda dei luoghi, il ballo assume caratteristiche diverse in relazione alle diverse tradizioni musicali, agli strumenti musicali disponibili, ecc.. Celebri balli popolari sono la Monferrina piemontese, la Tarantella dell'Italia meridionale, il Ballo tondo sardo. Nella musica popolare sono presenti strumenti impiegati anche nella musica colta, quali per esempio il violino o la chitarra. In questi casi le differenze fra i due generi di musica stanno soprattutto nelle tecniche con cui questi strumenti sono usati. Altri strumenti, al contrario, sono caratteristici della musica "folk", e non sono impiegati, eccetto pochi casi, nella musica colta. La quantità e varietà di questi strumenti è molto vasta, perciò ci limitiamo a nominarne alcuni: la zampogna (Lazio e Molise), le launeddas e la ciaramella (Sardegna), il piffero (Liguria), la chitarra battente (Puglia), lo scacciapensieri (Sicilia), il tamburello e i tamburi a frizione (Campania), l'organetto (specie di fisarmonica) (Italia centromeridionale), ecc..

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LA MUSICA ARABA

In tutto il mondo islamico la musica è strettamente legata alla vita religiosa, specie per quanto ri-guarda la recitazione dei versi del Corano. Naturalmente la musica si collega anche a varie occasioni della vita familiare e sociale: matrimoni, nascite, feste per il raccolto, ecc. In generale, l’aspetto della musica islamica che più colpisce l’ascoltatore occidentale è il carattere “ondulante e vago” della melodia. Ciò è dovuto al fatto che il sistema musicale arabo utilizza scale e in-tervalli diversi dalla musica occidentale.

Gli strumenti musicali

Gli strumenti principali della musica araba sono: lo ‘ud , o liuto arabo, il quanum, una cetra trape-zoidale a pizzico, il kamam, un violino di tipo occidentale, la darabuka, specie di tamburo con una sola membrana, il nay, un flauto diritto, e il req, un tamburino a cornice con cinque ordini di sonagli. La musica colta e tradizionale araba, con le sue regole non scritte, tramandate oralmente, fin dai lontani tempi delle Mille e una notte, è l'equivalente della nostra “classica”, e da quei tempi leggendari non è mutata. Sacra, profana o popolare, essa viene elaborata a partire dai maquam (letteralmente modi), che sono dei modelli, delle successioni prestabilite di suoni. Su queste scale l’esecutore-compositore in-venta continue variazioni della melodia; questa, nel suo lungo percorso viene ripetuta frequentemente e arricchita da una miriade di suoni vicini a quelli della scala di partenza. È comprensibile quindi che l’abilità dei musicisti si misuri proprio sulla loro capacità di elaborare, di ricamare, per così dire, in modo più vario possibile, la melodia di partenza. Ogni maqàm ha poi un contenuto emotivo diverso: può esprimere orgoglio e potenza; può evocare il senso delle lontananze de-sertiche o un forte sentimento di tristezza e così via (pensate che gli ascoltatori arabi sono in grado di ri-conoscere il maqàm di un brano dopo pochi secondi di ascolto). Ciò dipende dalla differente successione degli intervalli all'interno di ciascun modo e dalla loro grande varietà. Diversamente dal nostro sistema musicale infatti, che si basa esclusivamente su intervalli di tono e semitono, quello arabo comprende altri intervalli, più piccoli o più grandi dei nostri (frequente è il quar-to di tono o il tono e mezzo): ed è a queste distanze tra i suoni, così insolite per il nostro udito, che si deve quel senso di sinuosità, di incertezza e a volte anche di "stonatura" che per noi fa tanto Oriente. Ancora oggi la musica araba conserva questi tratti così tipici, anche se ovunque nel mondo islamico essi si fondono in un linguaggio nuovo, particolare, nato dall’incontro tra i suoni dell’antico Oriente con quelli dell’Occidente, con il linguaggio del pop e del rock, del jazz e della musica africana.

‘UD QUANUM DARABUKA NAY DUFF

ZAGAT REQ ZURNA BENDIR RABAB

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LA MUSICA AFRICANA SUBSAHARIANA

I territori dell’Africa a sud del deserto del Sahara presentano popolazioni con lingue e culture eterogenee che non hanno radici storiche comuni ma, pur nella sua varietà, presentano numerosi tratti comuni: la musica e la danza sono quasi sempre elementi centrali e fondamentali della cultura dei popoli, e sono dotati di grande valore sociale e religioso. Vi è una grande varietà di musiche: ninne-nanne, musiche da lavoro, per il raccolto, per il gio-co, per danze, per matrimoni, nascite, per cerimonie rituali e così via. Le musiche africane sono quasi tutte creazioni anonime, popolari e collettive. Non esiste alcun tipo di no-tazione, la loro trasmissione è esclusivamente basata sulla memorizzazione e di conseguenza a ogni esecuzione i brani musicali si trasformano, rinnovandosi e sviluppandosi costantemente. La musica africana assume spesso un carattere dialogico: le voci, gli strumenti, perfino le mani del singo-lo esecutore, intervengono a turno come i diversi interlocutori in un dialogo. Uno degli stili più diffusi è quello detto "a chiamata e risposta", in cui il coro ripete un ritornello fisso in risposta al solista che fa da guida, e che gode di una maggior libertà d'improvvisazione. Un'altra importante caratteristica comune è la polifonia, ossia la combinazione di diverse parti che si presentano simultaneamente. Il ritmo è l’anima della musica africana e riveste un’importanza paragonabile a quella dell’armonia nella musica europea, o della melodia in quella islamica. Tutta la musica africana è animata da una irrinunciabile vitali-tà ritmica. I ritmi africani hanno una pulsazione di base, regolare e costante che viene eseguita dal battito delle mani o da un idiofono (legnetti, campana, sonagli). A questo battito si sovrappone l’esecuzione di varie formule ritmi-che che danno luogo a elaborazioni assai complesse e di grande efficacia sonora (poliritmia ). L’improvvisazione e la variazione sono quindi elementi fondamentali all’interno del processo compositivo e qui si misurano le capa-cità del musicista, la creatività oltre che l’abilità tecnica. I sistemi delle scale variano da zona a zona ma generalmente il più diffuso è quello di tipo pentatonico (5 note) mentre gli intervalli sono spesso diversi da quelli usati nella musica europea.

Gli strumenti musicali

La musica africana utilizza una grande varietà di strumenti preferendo sonorità complesse e ricche di riso-nanze, anziché suoni semplici e puri come nella tradizione occidentale. Numerosi sono gli strumenti a percussione: bacchette, campane, nacchere, gong, zucche e vasi di creta, tubi e xilofoni. Il lamellofono o sanza – strumento esclusivamente africano diffuso in tutto il continente sotto vari nomi – è costituito da una serie di strisce di metallo o di bambù fissate a una piccola cassa di risonanza. Tenuto in mano o in grembo, lo strumento viene suonato facendo vibrare con i pollici o gli indici le estremità libere delle lamelle. Il tamburo, diffusissimo, compare in diverse forme e dimensioni. Importanti sono i tamburi a frizione, in cui il suono viene prodotto sfregandone la membrana, e quelli a clessidra dell'Africa occidentale, chiamati anche tamburi parlanti perché possono imitare l'andamento sonoro della voce umana. Gli strumenti a corda comprendono gli archi musicali, i liuti, le arpe e le cetre. La kora è un'arpa-liuto a ventuno corde, alcune delle quali vengono pizzicate mentre altre risuonano per simpatia. Flauti, pifferi, oboi e trombe sono i principali strumenti a fiato. I flauti, traversi e diritti, di bambù, legno, creta, osso e altri materiali, sono presenti in tutta la regione subsahariana. Molto diffuse sono anche le trombe rica-vate dalle corna degli animali. Il clarinetto delle savane dell'Africa occidentale ha il corpo e l'ancia fabbricati con lo stelo del sorgo. Gli strumenti ad ancia doppia, come l'algaita degli hausa, sono originari del Nord Africa

BALAFON KORA DJEMBE M’BIRA

FLAUTI SHEKERE TAMBURO ALGAITA

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LA MUSICA DELL’INDIA

In India, la musica ha subito poche influenze ad opera della cultura occidentale ed è ancora considerata un mezzo religioso di purificazione e una delle vie più dirette per giungere alla divinità. Il musicista, attra-verso la musica, aiuta chi lo ascolta a distaccarsi dai problemi quotidiani, diventando una cosa sola con la natura e il mondo divino.

Gli strumenti musicali

Tra gli strumenti utilizzati dalla musica indiana occupano un posto di rilievo gli strumenti a corda come la vina, il tampura, il sarangi e il sitar; tra gli strumenti a percussione, fondamentali per mantenere i cicli dei tala, sono le tabla. � tabla è il termine che indica una coppia di piccoli tamburi, diversi per forma, dimensione e sonorità,

che si suonano con le mani; � Il sitar (simile alla vina e al tampura) è un cordofono simile al liuto sul cui manico è applicata, come

cassa di risonanza, una zucca svuotata. E’ dotato di 6 o 7 corde principali, di cui 4 vengono utilizzate per produrre la melodia, mentre le altre fungono da bordone (producono un sono base).

� il sarangi è uno strumento ad arco, di forma tozza e quadrata, munito di 4 corde principali e altre se-condarie.

� il bansuri è il nome del flauto traverso di canna di bambù, dal suono caldo e pastoso. In Occidente, il rappresentante più noto della musica indiana è il compositore e sitarista Ravi Shankar.

Raga, rasa e tala

La musica indiana è fondamentalmente monodica: a uno strumento melodico (voce o bansuri) è affidato il canto che viene accompagnato da tampura e tabla. L'organizzazione della melodia, così come di ogni altro aspetto della musica indiana, è regolato da leggi precise che rispecchiano l'ordine del cosmo; a ogni raga, ovvero le strutture melodiche fondamentali della musica indiana, è associata una particolare si-tuazione espressiva, un clima emotivo, che prende il nome di rasa. Ogni raga si svolge quindi nel clima di un preciso rasa che l'artista cerca di creare, vivere e intensificare, evocandolo negli ascoltatori. E poi-ché le emozioni (energia, calma, agitazione, desiderio...) sono in stretta relazione con il movimento degli astri e con l'andamento della giornata, ogni raga è anche collegato a un preciso momento del giorno o del-la notte: esistono raga per il mattino, raga per la sera e raga per la notte. Raga e rasa sono dunque concetti inseparabili della musica indiana. Il tala è il ritmo costituito da impulsi organizzati secondo una gerarchia di accenti. Il raga individua le note che potranno essere utilizzate dal solista nelle sue improvvisazioni. In India una esecuzione non è mai uguale a un’altra perché nella loro concezione musicale una melodia non può essere suonata senza ornamentazioni. La musica dell’India è basata su una grande varietà di scale musicali a 5 o a sette suoni con una suddivisione dell’ottava in 22 intervalli microtonali. Le 7 note indiane che compongono la scala diatonica sono chiamate Sa, Re, Ga, Ma, Pa, Dha, Ni.

SITAR TAMPURA BANSURI SARANGI TABLA

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LA MUSICA DEL GIAPPONE

Insieme alle altre arti, la musica ha avuto un grande sviluppo, in Giappone, sia a livello popolare che nelle corti degli Shogun (carica civile e militare) e degli Imperatori. Per tutti era un valido mezzo di elevazione spirituale e di intrattenimento; in ambito popolare era poi legata alle attività quotidiane, mentre a corte svolgeva anche una funzione di tipo celebrativo-militare. Un grande cambiamento nella storia della musica giapponese fu l’apertura al mondo esterno, dopo quasi mille anni di chiusura, nel 1879 con la caduta del governo Edo. Il nuovo governo aprì le porte agli stranieri e, con-seguentemente, cominciò anche una politica culturale che favorì lo studio della musica occidentale. Nella musica tradizionale giapponese la musica vocale è di gran lunga preponderante sulla musica pu-ramente strumentale; è basata principalmente sulla monodia e manca completamente di dimensione armonica. La polifonia è rara e le strutture ritmiche sono molto varie. Le scale musicali sono origine cinese e possono essere a cinque suoni (pentafoniche) o a sette suoni come le scale occidentali.

Gli strumenti musicali

Lo strumento nazionale giapponese è il koto: si tratta di una cetra formata da una cassa allungata e bombata su cui sono tese da 13 a 17 corde di seta. Ogni corda poggia su un ponticello mobile d'avorio che serve a variarne l'intonazione. L'esecutore sta seduto sulle ginocchia e tiene lo strumento appoggiato a terra: una mano ha le dita fornite di un plettro simile a un'unghia, per pizzicare le corde; l'altra mano sposta i ponticelli per modificare l'altezza. Il koto esige una grande abilità che si matura solo attraverso un lungo addestramento; nel secolo scorso, ogni famiglia no-bile ne possedeva uno, che veniva sistemato nella stanza più importante della casa. Lo shamisen è lo strumento tradizionale del teatro kabuki. È una sorta di liuto giapponese dalla cassa ar-monica piatta e dal manico sottile. Ha tre corde e si suona con un plettro di osso. Lo shakuhachi (flauto di bambù) in origine era utilizzato nella musica gagaku a corte (VIII secolo). Secoli più tardi il delicato strumento divenne appannaggio esclusivo di monaci e samurai. I monaci buddhisti credevano che rappresentasse il soffio della vita che conduce alla via dell'illuminazione. Esistono vari strumenti a percussione come tamburi (taiko), campanelli e gong. L'antica musica di corte giapponese (gagaku), le cui origini risalgono all'VIII secolo, deriva principalmente dalla Cina e dalla Corea. Le orchestre del gagaku comprendono strumenti a fiato, a corde pizzicate e a percussione. Una tipica forma musicale colta è il “No”: si tratta di un singolare connubio tra musica, parola e danza che dà luogo a spettacoli lenti e solenni, la cui maestosità ricorda quella delle antiche cerimonie sacre. La forma di teatro tradizionale più popolare in Giappone è il kabuki , che ebbe inizio alla fine del XVI se-colo. La musica per il kabuki impiega strumentisti e cantanti: alcuni di essi siedono in fondo alla scena, altri restano dietro le quinte e forniscono gli effetti sonori e le musiche di commento all'azione. Naturalmente, oggi, in Giappone la musica comprende anche altri generi, che anzi stanno affermandosi su quelli tradizionali. Anche qui la cultura occidentale ha imposto i suoi modelli, validamente aiutata dalla diffusione dei sistemi HI-FI, di cui il Giappone è diventato il maggiore produttore mondiale.

KOTO KIN E TAICHOGOTO BINZASARA SHAMISEN

HICHIRIKI SHAKUHACHI MOKUGYO TAIKO

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LA REGIONE ANDINA

Nell’America del Sud, in seguito alla colonizzazione spagnola e portoghese, l’influsso della civiltà europea è ancora assai forte. Ciò non toglie che i popoli di quel continente abbiano dato vita ad una musi-ca assai caratteristica, nella quale, ad esempio nell’uso di particolari strumenti, è ancora possibile rinveni-re tracce delle civiltà precolombiane. Durante il periodo incaico la musica era strettamente connessa con la vita religiosa, ma si collega-va anche ad occasioni familiari, sociali e militari. A quest'ultimo riguardo, in particolare, ricordiamo la grande importanza assunta dalle trombe (per le adunate) e dai tamburi (durante le azioni di guerra). Oggi la musica ha perduto il collegamento con la vita religiosa e militare, mentre ha assunto un ruolo importante per quanto riguarda la tutela del patrimonio culturale tradizionale e la difesa dei valori della libertà e dell'indipendenza. Comunque, anche come semplice divertimento, la musica è tuttora molto praticata durante feste, fiere, mercati, ecc. Le scale musicali utilizzate sono molto antiche: pentatoniche (a 5 suoni), ma si possono trovare anche esempi di scala tetratonica (a 4 suoni).

Gli strumenti musicali

La musica indigena latinoamericana nei territori inca è caratterizzata dall’impiego della scala pen-tatonica e da strumenti musicali come la quena e la siringa che sono di origine molto antica, addirittura anteriore alla formazione dell'impero incaico: lo dimostrano alcuni reperti archeologici, perfettamente conservati. La quena e la siringa sono flauti di canna. Precisamente, la quena è un flauto diritto con una imboccatura aperta che orienta il fiato verso una tacca interna a forma di V, producendo suoni molto "sof-fiati": la siringa è un flauto "multiplo", costituito da canne di lunghezza decrescente chiuse in fondo e or-dinate su una o più file: ogni canna produce un suono di altezza diversa. Il charango invece è uno strumento a corde simile ad una piccola chitarra con la cassa realizzata con la corazza di un armadillo. Altri strumenti attuali, ma molto antichi, sono i sonagli e i campanelli, da portare ai polsi e alle caviglie durante la danza. L'arpa europea fu assimilata nella musica popolare messicana e peruviana, la marimba africana nella musica centroamericana. L'America latina ha largamente contribuito allo sviluppo del repertorio della musica leggera: ad esempio il tango argentino fu introdotto nelle sale da ballo americane ed europee nel secondo decennio del Novecento, mentre negli anni Trenta acquistarono popolarità la rumba e la conga cubane, il samba brasiliano e, più di recente, la bossa nova, i cui ritmi hanno influenzato in maniera non trascurabile le ri-cerche di molti jazzisti. Altre danze popolari comprendono il calypso delle Antille, il mambo e il cha-cha-cha cubani, e il merengue di Haiti e della Repubblica Dominicana.

CHARANGO QUENA SIRINGHE / F. DI PAN ANDINI ARPA

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LA MUSICA CINESE

Nell’antica Cina la musica era considerata arte destinata a perfezionare l’educazione dei giovani. La musica non solo aveva funzione didattica ma veniva investita di significati metafisici; era infatti consi-derata parte di un complesso sistema cosmologico e dalla sua perfetta esecuzione si faceva derivare il de-licato equilibrio fra il Cielo e la Terra, e quindi, per estensione, la stabilità dell’Impero. Un noto proverbio cinese dice: "Se vuoi sapere se un Paese è ben governato, ascolta la musica".

Nel "Memoriale dei riti", il sistema musicale cinese viene spiegato in base a 5 gradi fondamentali denominati gong (palazzo), shang (deliberazione), jiao (corno), zhi (prova), yu (ali) e viene fatto corri-spondere ad altri "gruppi di cinque", fattori costitutivi e caratterizzanti la vita cosmica e umana. Così, per esempio, secondo tale sistema filosofico-musicale, la nota fondamentale gong (fa) corrisponde all’elemento terra, al punto cardinale centro, al colore giallo, al sapore dolce, al viscere cuore, al numero cinque, alla funzione imperatore ecc. Analogamente la nota shang (sol) rappresenta i ministri; la nota jiao (la) rappresenta il popolo; la nota zhi (do) e yu (re) rappresentano rispettivamente i servizi pubblici e l’insieme dei prodotti; oltre, naturalmente, a ulteriori parallelismi tra ciascuna nota e un elemento, un pun-to cardinale ecc. La lentezza della musica cinese mette in evidenza la valenza dei suoni musicali, che ac-quistano un effetto magico.

Il sistema musicale cinese è basato su un suono fondamentale prodotto da una specie di flauto, ri-cavato da una canna di bambù. Da esso hanno origine, per progressione delle quinte, gli altri suoni (lü) che sono complessivamente 12, con nomi anch’essi avocanti per lo più un parallelismo con il mondo na-turale. Dalla scala dei lü ha origine la scala pentatonica, base del sistema musicale cinese.

Sotto la dinastia Tang il patrimonio strumentale e musicale cinese si arricchisce in modo notevole. Tuttavia solo con le dinastie Song del Nord e del Sud, la musica classica cinese raggiunge il suo apogeo. Nel periodo Ming (1368-1644), la musica strumentale, soprattutto nelle esecuzioni del Qin, raggiunge vir-tuosismi difficilmente superabili. Dopo le tristi vicende della seconda guerra mondiale e la costituzione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949 ad opera di Mao, l’interesse per la musica tradizionale è rinato.

Gli strumenti musicali Gli strumenti musicali cinesi si ritrovano, con piccole o grandi modifiche, in quasi tutti i Paesi

dell’Asia meridionale e del Giappone.

PIPA KIN - QIN BAN SHENG

XIAO XIAOGU DAGU

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LA MUSICA LEGGERA E IL ROCK

La musica leggera è un genere musicale che comprende tutte le forme musicali di svago ed intratte-nimento, in particolare canzoni e ballabili che non fanno parte né della musica colta, né della musica popola-re. Per “canzone” s’intende una breve composizione musicale vocale e strumentale che tratta argomenti quali l'amore, le problematiche giovanili e sociali o che semplicemente hanno la funzione di intrattenere e divertire chi ascolta. I suoi esecutori, a differenza dei cantanti lirici che utilizzano la voce impostata, fanno uso gene-ralmente di un timbro di voce naturale.

E’ soprattutto il XX secolo a sancire l’affermazione della musica leggera. Sono infatti le radio e le ca-se discografiche ad incoraggiare l’ascolto delle cosiddette “canzonette” che riescono a raggiungere un pub-blico più vasto e generalizzato e serve a distinguerla dalla musica classica che aveva un pubblico più selezio-nato e colto.

Le origini della musica leggera

La musica leggera, così come la conosciamo oggi, nasce verso la fine dell'Ottocento in Europa con l’affermazione dell’operetta, una forma di teatro musicale molto popolare in Francia e in Austria caratteriz-zato dall’alternarsi di brani recitati e una serie di arie o canzoni.

In Francia si affermarono i café-chantant che erano dei locali adibiti a spettacoli musicali e di varie-tà. Essi ebbero gran successo in parte perché, a differenza di quanto avveniva nei teatri, era possibile bere e fumare, in parte perché‚ le musiche eseguite erano più orecchiabili, spesso d’argomento comico o umoristico.

In Inghilterra, sull'esempio francese, nacque il cosiddetto “Music Hall” (letteralmente "sala da musi-ca", da non confondere con il “musical”).

Il Music Hall non era un caffè, ma un vero e proprio teatro di varietà: la musica, infatti, si alternava a numeri acrobatici, giochi di prestigio, esibizioni di domatori e di clown.

Negli Stati Uniti, nella seconda metà dell’Ottocento, si sviluppa il “musical”, che era una rappresen-tazione teatrale con dialoghi parlati, canti e danze. Verso la fine degli anni venti, con lo sviluppo del film so-noro, il musical si trasformò, passando dal teatro al cinema.

Le forme musicali che hanno influenzato le origini della musica leggera in Italia sono le romanze del melodramma e la canzone napoletana caratterizzata da melodie orecchiabili da cantare a voce spiegata.

La nascita della musica di massa

Agli inizi del Novecento cominciarono a diffondersi il fonografo e la radio, mezzi di diffusione che nell'arco di pochi decenni cambiarono gli usi di milioni di persone (dischi, musicassette,CD, …). Attraverso questi strumenti il genere leggero cominciò a coinvolgere un pubblico sempre più numeroso.

Una vera e propria industria si organizzò attorno al mondo della canzone: nacquero i primi festival, i dischi diventarono sempre più numerosi e facilmente reperibili, i cantanti sempre più famosi e amati.

Nel secondo dopoguerra aumenta il benessere delle classi medie e la musica diventa per i giovani uno dei tanti beni di consumo (jeans, magliette, gomme da masticare, bibite).

Negli Stati Uniti nasce il rock and roll

La musica leggera americana, nei primi anni successivi alla seconda guerra mondiale, era caratterizza-

ta dalla presenza di tre filoni: - la musica pop (com’era chiamata allora, dalla contrazione del termine inglese popular, cioè "popolare") era la musica più commerciale, basata in genere su canzoni molto melodiche e un po' sdolcinate; - il country and western, diffuso soprattutto presso i contadini bianchi delle zone del sud-ovest, si rifaceva alle antiche ballate ottocentesche, ed era caratterizzato da melodie semplici e orecchiabili;

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- il rhythm and blues, diffuso soprattutto presso la popolazione nera delle grandi città, era musica da ballo, dal ritmo molto accentuato.

Nella seconda metà degli anni cinquanta questi tre filoni confluirono in un nuovo genere, che in breve tempo si sarebbe imposto in tutto il mondo: il rock and roll (“dondola e rotola”). Nel rock and roll si fondo-no, infatti, il ritmo tipico del rhythm and blues, la struttura armonica del blues e alcuni elementi melodici ti-pici dello stile country.

Fino all'inizio degli anni cinquanta il consumatore tipico di dischi, sia di musica classica sia di musica leggera, era di solito un adulto; durante questo decennio, invece, si crea un nuovo tipo di pubblico, costituito in prevalenza da adolescenti.

Questo nuovo pubblico aveva gusti ed esigenze diverse da quello precedente e manifestò questa sua diversità decretando nel 1954 il successo di “Rock around the clock” di Bill Haley , il primo brano di rock and roll. Il nuovo stile fu celebrato dai giovani e rifiutato egli adulti: il ritmo che entusiasmava i teen-agers (cioè gli adolescenti) sembrava, infatti, rozzo e assordante ai loro genitori; gli atteggiamenti dei cantanti, che i giovani giudicavano anticonformisti, e con cui quindi s’identificavano, sembravano semplicemente volgari alle persone della generazione più anziana.

Il rock and roll fu quindi la prima musica generazionale, cioè destinata ad una precisa fascia d’età; uno dei motti dei primi rockers (cantanti rock) infatti, dichiarava: "Noi saremo sempre giovani".

Elvis Presley è il più importante esponente del rock and roll

Il rock and roll era una musica ricca d’elementi afro-americani (cioè caratteristici della musica dei ne-ri d'America), come rivelano i suoi legami con il rhythm and blues, e, infatti, inizialmente la maggior parte delle canzoni erano scritte da artisti di colore. Le case discografiche, accortesi della gran popolarità del rock and roll, cercavano però soprattutto interpreti bianchi: Elvis Presley, "il bianco che cantava come un nero”, divenne così il simbolo stesso del rock.

Presley s’impose nel 1956, grazie alle sue straordinarie doti vocali e interpretative e ad atteggiamenti trasgressivi e anticonformisti, che affascinavano il pubblico giovanile: egli fu il primo cantante ad usare i movimenti del corpo in funzione espressiva (cosa che allora scandalizzava moltissimo), a voltare le spalle al pubblico, a vestirsi in maniera stravagante e appariscente.

In Inghilterra nasce il movimento “Beat”

Il rock and roll aveva avuto un successo immediato e larghissimo e il crescente interessamento delle case discografiche l'aveva reso sempre più commerciale. All'inizio degli anni sessanta, perciò, il rock aveva in parte perso il ruolo di musica anticonformista.

Il panorama della musica leggera fu però scosso da un nuovo movimento, che si sviluppò in Inghilter-ra e quindi si diffuse negli Stati Uniti e in tutto il mondo: il movimento beat (termine che nel jazz indica la pulsazione ritmica).

I musicisti beat recuperavano l’anticonformismo dei primi musicisti rock, mettevano in discussione i valori della società borghese e proponevano una serie d’atteggiamenti provocatori e "scandalosi": portavano i capelli lunghi, vivevano in comunità, erano pacifisti e anti-razzisti, s’interessavano alle religioni orientali.

La musica beat recupera molte caratteristiche del rock and roll come l'uso di ritmi afro-americani, e di melodie di carattere popolare e folclorico. Rispetto al rock, però, essa accentua l'uso di strumenti elettrici e la componente scenica e spettacolare che diventa parte integrante dei concerti.

Al cantante solista si sostituisce il “complesso”, formato solitamente da quattro o cinque elementi, generalmente così distribuiti: due alla chitarra elettrica, uno alla batteria e uno alla chitarra-basso (a volte ci sono anche il pianoforte e l'organo elettrico). La voce solista non è sempre la stessa. I complessi beat più ce-lebri furono i Beatles e i Rolling Stones.

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I Beatles: un modello per un'intera generazione di giovani

Il complesso dei Beatles, che nacque ufficialmente a Liverpool nel 1961, era formato da quattro ele-menti: John Lennon (chitarra e voce); Paul McCartney (basso e voce); George Harrison (chitarra e voce) e Ringo Starr (batteria e, occasionalmente, voce).

La caratteristica delle loro canzoni, scritte per la maggior parte da John Lennon e Paul McCartney, è la fusione d’elementi del rhythm and blues e del rock con altri della musica popolare britannica; in generale, comunque, l'elemento melodico prevale decisamente su quello ritmico.

Le prime canzoni dei Beatles si basavano su una struttura molto semplice e non rivelavano una ricerca di atmosfere originali e innovative utilizzando solo tre chitarre e una batteria. Si trattava in genere di musica da ballo di buona qualità, ma non eccezionale. I testi erano semplici e ripetitivi e si occupavano di rapporti d’amore. A metà degli anni Sessanta, i Beatles inserirono nelle loro canzoni temi politici, sociali e religiosi, arricchirono il loro “sound” con strumenti classici ed extraeuropei (come il sitar indiano), utilizzarono ritmi diversi, sperimentarono le possibilità offerte dalla tecnologia inserendo, in sala di registrazione, suoni e ru-mori di ogni tipo. Il successo dei Beatles fu enorme in tutto il mondo: essi diventarono il modello per un'inte-ra generazione di giovani che incominciarono a vestirsi e a tagliarsi i capelli come loro e a sognare viaggi in India. I dischi dei Beatles vendettero milioni di copie, tanto da indurre la regina d'Inghilterra a nominarli ba-ronetti per meriti economici. Il gruppo si è sciolto ufficialmente nel 1970.

I Rolling Stones: il lato provocatorio della musica beat

Il lato provocatorio della musica beat era rappresentato però soprattutto dai Rolling Stones. Il gruppo, costituitosi nel 1962, era formato da cinque componenti (Mick Jagger, voce; Keith Richards, voce e chitar-ra; Bill Wyman , basso; Charlie Watts, batteria; Brian Jones, chitarra e voce, sostituito dopo la sua morte da Mick Taylor e poi da Ron Wood).

I Rolling Stones nacquero come complesso beat ma si rivolsero presto ad una musica più decisamente rock, in cui l'elemento ritmico era predominante rispetto alla linea melodica e le voci più aspre e graffianti di quelle dei Beatles; i testi delle loro canzoni inoltre (per esempio Satisfaction e Brown Sugar) esprimevano sentimenti violenti, di rivolta e d’insoddisfazione radicale. Un tipo di musica analoga a quella dei Rolling Stones era quella del complesso degli Who, anch'essi inglesi.

Negli Stati Uniti si affermano il folk e il country

Contemporaneamente alla musica beat si sviluppano, negli Stati Uniti, due generi musicali sostan-zialmente affini: il folk e il country che hanno in Pete Seeger e Woody Guthrie gli interpreti principali.

Questi generi si rifanno alle vecchie ballate popolari (per esempio quelle dei cow boys) di cui conser-vano il ritmo deciso e la struttura, con la ripetizione del ritornello dopo ogni strofa. Nei temi trattati, oltre a quelli tradizionali di vita americana, si riflette il disagio e la rabbia delle nuove generazioni: vengono denun-ciati la guerra del Vietnam, il razzismo, le ingiustizie sociali, l'indifferenza di un mondo che mira solo al pro-fitto e tiene in poco conto i problemi e i sentimenti della persona.

Allo stile e al linguaggio musicale di Woody Guthrie e alla letteratura dei poeti della beat generation si ispira Bob Dylan, che nel 1962 pubblicò il primo album; alcune sue canzoni, come “Blowing in the wind” e “Masters of war”, diventano in questo periodo inni del movimento pacifista e l'artista stesso diventa un simbolo delle proteste giovanili.

Negli anni successivi Bob Dylan si è accostato ad altri generi musicali, come il folk rock . Nelle sue canzoni il testo ha sempre un ruolo fondamentale, con toni spesso polemici e ambigui, sottolineati dal tipico canto quasi parlato.

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Contemporaneamente al primo Dylan emerge la figura di Joan Baez, presto conosciuta in tutto il mondo per il suo impegno sociale e per la sua partecipazione a concerti e iniziative per la difesa dei diritti ci-vili e contro la guerra del Vietnam.

L’influenza del folk di Dylan e Baez caratterizzerà la produzione musicale di numerosi artisti. Negli Stati Uniti non vanno dimenticati Simon e Garfunkel , che innestano sulla tradizione folk alcune caratteristi-che della musica rock. Anche in Inghilterra personaggi come Donovan e Cat Stevens si richiamano allo stile folk.

Gli sviluppi del rock alla fine degli anni Sessanta

Nella seconda metà degli anni sessanta si affermano tre importanti musicisti che rinnovano profon-damente la tradizione del rock: Jimi Hendrix , Janis Joplin e Jim Morrison , leader del complesso dei Do-ors. Essi rappresentano un momento di svolta: fino ad allora, infatti, i musicisti rock, beat e folk avevano proposto una musica che si dichiarava alternativa ed esaltava ideali anticonformisti e libertari. In questo mes-saggio, però, c'era un elemento d’ambiguità, poiché‚ il rock era diventato una musica di massa, pesantemente controllata dall'industria discografica e svuotata quindi dei suoi significati originari.

Jimi Hendrix, Janis Joplin e Jim Morrison denunciarono questa contraddizione con la loro musica violenta e provocatoria e con i loro atteggiamenti scandalosi e ribelli. I loro concerti erano caratterizzati da un uso distorto degli strumenti, che distruggevano sbattendoli per terra o strappando le corde. Le loro stesse biografie testimoniano drammaticamente le contraddizioni in cui si venivano a trovare i musicisti rock in quegli anni: tutti e tre questi musicisti morirono giovanissimi a causa dell'abuso di droghe e d’alcolici.

La musica leggera in Italia

Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale in Italia si diffusero rapidamente tutte le mode mu-sicali di origine straniera che erano state ostacolate negli anni precedenti dal regime fascista. Per contrastare questa tendenza e favorire il ritorno alla canzone melodica all’italiana nasce nel 1951 il Festi-val di Sanremo. Nel 1958 Domenico Modugno trionfa a Sanremo con “Nel blu dipinto di blu”, una canzone che porta una decisa ventata di novità nel panorama della canzone italiana. Si crea così una spaccatura tra due categorie di cantanti:

• i “melodici” che restano legati alla tradizione come Claudio Villa, Nilla Pizzi e Luciano Taioli • gli “urlatori” che accolgono nelle loro canzoni gli elementi tipici del rock and roll come Tony Dallara,

Mina, Gianni Morandi, Rita Pavone e Adriano Celentano. A questi seguirono i primi “cantautori”, cioè cantanti di musiche proprie, come Domenico Modugno

e Umberto Bindi, presto affiancati da una notevole schiera di colleghi come Gino Paoli, Giorgio Gaber, Luigi Tenco, Sergio Endrigo, Enzo Jannacci, Bruno Lauzi , Fabrizio De Andrè, Lucio Battisti .

Tutti costoro apportarono una vitale ventata di rinnovamento sia nei testi, più adeguati al linguaggio ed al modo di pensare contemporaneo, sia nella musica, meno retorica e meno sentimentale. Grazie a que-st'opera di rottura a metà degli anni Sessanta nacquero i primi complessi italiani di musica beat e pop, come i Giganti, l’Équipe 84, i Nomadi, i Dik Dik e i Camaleonti che diedero alla nostra musica uno stile più an-gloamericano.

A partire dagli anni Settanta si affermarono altri originali cantautori che si fecero anche interpreti dei vari fermenti sociali che percorsero la nostra società in quegli anni adottando per le loro canzoni soggetti “impegnati” e polemici. Ecco le principali scuole di cantautori. La scuola genovese: Umberto Bindi, Gino Paoli, Luigi Tenco, Bruno Lauzi, Fabrizio De Andrè. La scuola milanese: Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Roberto Vecchioni, Adriano Celentano, Angelo Bran-duardi, Enrico Ruggieri. La scuola emiliana: Francesco Guccini, Lucio Dalla, Vasco Rossi, Zucchero, Liga-bue La scuola romana: Lucio Battisti, Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Claudio Baglioni, Renato Zero, Eros Ramazzotti. La scuola napoletana: Pino Daniele, Gigi D’Alessio.

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IL MELODRAMMA

Il melodramma, detto anche opera lirica, è lo spettacolo in cui la recitazione teatrale si svolge attraverso il canto e la musica. Nacque alla fine del XVI sec. a Firenze dove un gruppo di letterati e musicisti, la cosiddetta Camerata de’ Bardi, creò uno spettacolo in cui parole e musica davano voce a storie mitologiche, a vicende eroiche e drammatiche. Per rendere più comprensibili le parole del testo inventarono uno stile vocale che era a mezza via tra il canto e la recitazione: il recitar cantando.

L'anno della vera e propria nascita del melodramma fu il primo anno del nuovo secolo, il 1600, anno in cui a Firenze, si rappresentò l'opera “Euridice” di Giulio Caccini. Ma il primo vero protagonista del melodramma fu senz’altro Claudio Monteverdi nel suo “Orfeo”, messo in scena nel 1607, si assistette al crescere dell’importanza dell’orchestra e del canto rispetto alle parti recitate e quindi alla netta distinzione fra recitativo e aria.

Da Firenze questo nuovo stile musicale si diffuse a poco a poco in altre città, sempre nei palazzi principeschi e per un pubblico colto e aristocratico: l'allestimento di un'opera comportava infatti preparativi complessi e molto dispendiosi.

Nel 1637, a Venezia, fu aperto il primo teatro a pagamento, il San Cassiano, e finalmente anche le persone di ceto medio poterono assistere alla rappresentazione di un melodramma. Il pubblico accorse numeroso e dimostrò di gradire molto questo tipo di spettacolo. In conseguenza di questo successo altri teatri furono aperti in varie città italiane, in particolare a Roma.

Contemporaneamente alla diffusione del melodramma nacque la figura dell' "impresario”, che scritturava poeti, musicisti, cantanti, strumentisti, scenografi, costumisti, ballerini e organizzava la rappresentazione dell'opera. In questa nuova situazione era il giudizio della gente che decideva la sorte e la fortuna degli artisti e dell'impresario. Acquistò così molta importanza la messa in scena, che doveva sbalordire il pubblico con la grandiosità delle scenografie, e la bravura dei cantanti lirici, ai quali si chiedevano voci sempre più eccezionali (voci impostate che eseguivano molti virtuosismi); vennero inseriti anche effetti spettacolari in grado di stupire un pubblico sempre più vario ed esigente.

Lo spazio teatrale fu suddiviso tra i diversi ordini sociali: ai nobili era riservato lo spazio dei palchi; la borghesia aveva a disposizione la platea, mentre nella balconata più alta (loggione) trovava posto il popolo. Fino al Settecento, durante lo spettacolo la luce rimaneva accesa e gli spettatori mangiavano, bevevano e conversavano tra loro.

LA STRUTTURA DEL MELODRAMMA

Come è fatta un'opera lirica? E’ un dramma, serio o divertente, è un'azione scenica che ha uno svolgimento unitario; la musica contribuisce in modo determinante a mettere in rilievo i personaggi e a far comprendere i loro sentimenti.

L'insieme dei dialoghi e delle azioni è in genere tratto da una storia, da un romanzo o da una leggenda; i dialoghi vengono adattati alla scena e messi in versi al fine di essere più facilmente rivestiti di musica; essi costituiscono il libretto d'opera .

Quest'ultimo è un piccolo libro stampato in molte copie che viene messo a disposizione degli spettatori perché siano in grado di seguire la trama della vicenda. Se il genere del libretto è drammatico oppure tragico si parla di opera seria; se è comico o satirico si parla di opera buffa.

Il libretto è diviso in atti e scene. Un atto è una sequenza abbastanza lunga e complessa che comprende più scene, cioè diverse azioni che si succedono e sono tra loro collegate.

L'autore del libretto, il librettista, è un letterato con una profonda esperienza teatrale e musicale: egli infatti deve saper tenere conto non soltanto delle esigenze sceniche, ma anche di quelle musicali e alternare nella giusta misura i recitativi , ovvero le recitazioni cantate a verso libero, le arie, cioè i brani ampiamente melodici e a strofe, i duetti, i terzetti, i quartetti, i cori e i concertati, ossia i brani per più voci e orchestra. I due elementi che stanno alla base dell'intera opera sono il recitativo e l'aria.

Nel recitativo, detto anche parlato melodico, la musica è strettamente legata alle parole del discorso; è quasi una recitazione cadenzata, che permette al pubblico di capire le varie situazioni della vicenda. Nel recitativo, dunque, la parola è più importante del canto. Il recitativo può essere di due tipi: semplice o accompagnato.

Nel recitativo semplice (detto anche secco) il canto è accompagnato solo dal basso continuo (clavicembalo o liuto). Il recitativo accompagnato (detto anche obbligato) è sostenuto da più strumenti ed è strutturato in modo più complesso.

L'aria, invece, è un brano completamente cantato che segue una linea melodica molto varia e agile e che perciò permette al cantante di manifestare la sua bravura. Nell'aria, la musica prevale sulle parole, in quanto è l'espressione puramente musicale dei sentimenti dei vari personaggi. La forma più usata era l’aria col da capo (A B A). L’ ouverture è il brano orchestrale che si esegue a sipario chiuso prima dell’inizio dell’opera. In origine era un brano svincolato dal contesto dell’opera; dal Settecento in poi invece introduce lo spettatore alle atmosfere che sarebbero state proposte all’interno del melodramma.

DIFFERENZE TRA OPERA SERIA E OPERA BUFFA

Opera seria Opera buffa Vicende solenni, tragiche e drammatiche comiche e satiriche

Argomento storico o mitologico storie di vita quotidiana Personaggi eroi, imperatori, dei gente comune Librettisti letterati e poeti illustri poeti quasi sconosciuti Linguaggio colto e raffinato semplice e popolare (dialettale)

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Scene sfarzose, grandiose semplici, essenziali Costumi ricchi, lussuosi, eleganti semplici, popolari

Orchestra organico nutrito (prevalentemente archi) organico ridotto (strumenti popolari) Cantanti mostravano le loro abilità vocali vivacità scenica, spontaneità Luoghi teatri di corte o grandi teatri pubblici teatri piccoli e modesti

Tipo di pubblico prevalentemente nobili prevalentemente borghesi

LA RIFORMA DI GLUCK

Verso la metà del Settecento il musicista Christoph Willibald Gluck attuò una riforma delle abitudini teatrali che

nel frattempo si sono consolidate sui palcoscenici di tutta Europa. Ecco i principali punti della sua riforma:

1. La sinfonia d’apertura doveva introdurre nell’atmosfera dell’azione. 2. Le vicende narrate dovevano avere un ruolo preminente nei confronti della musica. 3. La musica doveva essere semplice e rimanere sempre fedele al testo da cantare. 4. Si eliminò lo stacco tra recitativi ed arie e le arie col da capo. 5. Si eliminarono le ornamentazioni eccessive (virtuosismi, vocalizzi, abbellimenti,). 6. Furono introdotti i cori ed i balli, ma sempre legati all’azione. 7. I mutamenti di scena furono limitati al minimo. 8. Si fece un uso più espressivo e indipendente dal canto dell’orchestra.

IL MELODRAMMA OTTOCENTESCO IN ITALIA

Il melodramma nell’Ottocento diviene, specie in Italia, la forma di spettacolo più diffusa ed amata dal grande pubblico, anche meno abbiente, e non v’è piccola città di provincia che non costruisca il proprio teatro d’opera e non organizzi “stagioni” di rappresentazioni liriche. Nel melodramma italiano si ritrovano i seguenti ideali: nelle vicende rappresentate, spesso a sfondo storico, viene esaltata la figura dell'eroe liberatore o il popolo in rivolta contro l'oppressore. Tale orientamento divenne anche spunto per la diffusione delle idee risorgimentali di indipendenza, di libertà ed unità nazionale e quindi il pubblico era prontissimo a cogliere ed applaudire tutte le allusioni che avessero anche un vago riferimento politico e patriottico. Molti cori tratti dalle opere di Giuseppe Verdi divennero pretesti per manifestazioni pubbliche antiaustriache (molto noto è il coro “Va' pensiero” dal Nabucco), mentre le lettere del suo nome avrebbero fornito materia di propaganda politica: W V(ittorio) E(manuele) R(e) D’I (talia).

LA RIFORMA DI RICHARD WAGNER

La figura che meglio interpreta il momento musicale nella seconda metà dell'Ottocento è certamente quella del compositore tedesco Richard Wagner, radicale innovatore del melodramma teatrale.

Wagner scelse di lavorare sul teatro musicale, essendo convinto che solo in tale ambito potesse realizzarsi quella che chiamava l'opera “totale”, in cui, superando la forma tradizionale del melodramma italiano (costituito da momenti musicali “chiusi” e slegati tra loro), parole, suoni e azioni formassero un'unità indissolubile. Sotto l’aspetto musicale la rivoluzione wagneriana presenta questi caratteri: � La melodia, attraverso il superamento dell'alternanza di recitativo e aria, assume l’andamento del discorso e del dialogo

e presenta un deciso carattere di continuità (la “melodia infinita”); � parallelamente accentuò gli elementi di continuità con l'adozione dei Leitmotive (“motivi conduttori”, temi musicali

che caratterizzano un personaggio o un’atmosfera e che ritornano continuamente); � il predominio del canto e della voce non è mai assoluto e l’orchestra diventa protagonista del dramma, e non come

semplice accompagnamento sonoro. Per esprimere al meglio tutto ciò, Wagner si fece addirittura costruire un teatro apposito, a Bayreuth, diverso da tutti

gli altri: egli fu infatti il primo a nascondere l’orchestra, sistemandola sotto il palcoscenico (nel cosiddetto “golfo mistico”) poiché trovava insopportabile che, accanto a un cantante in abiti antichi, vi fosse un violinista o un direttore d’orchestra in abiti moderni.

Non solo: Wagner fu il primo a pretendere che in sala, durante l’esecuzione, vi fosse assoluto silenzio. Tradizio-nalmente infatti nei teatri si andava anche per chiacchierare, per incontrare amici, e durante la rappresentazione era normale girare tra i palchi, parlare ad alta voce, addirittura mangiare. Per Wagner il pubblico doveva partecipare alla rappresentazione, concentrarsi sul palcoscenico (per questo venivano spente le luci in sala), rimanere in silenzio come di fronte a un rito.

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Differenze tra recitativo e aria

RECITATIVO ARIA Al recitativo è affidata la narrazione della vicenda attraverso i dialoghi e collega tra loro le varie arie

All’aria è affidata l’espressione dei sentimenti dei personaggi e la musica prende il sopravvento sull’azione e sul dialogo

Ad ogni sillaba corrispondeva una nota Ad ogni sillaba spesso corrispondevano più note (vocalizzi)

Il testo è più comprensibile Non si capiscono bene le parole La voce tende più a recitare che a cantare La voce canta con potenza e agilità una

melodia ampia e orecchiabile Il ritmo è modellato su quello della parola che prevale sulla musica

Il ritmo è regolare e la musica è molto espressiva

La voce è accompagnata dal clavicembalo con pochi e semplici accordi

La voce è accompagnata da tutta l’orchestra

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COM’E’ FATTO IL TEATRO

Il grande fascino che esercita il teatro d'opera non è costituito solo da ciò che avviene sulla scena, bensì anche dall'emozione per il rito sociale che nel teatro si compie. Fino alla seconda metà dell'Ottocento si va a teatro per ascoltare la musica e il proprio cantante preferito, ma anche per vedere e per farsi vedere; per sfoggiare abiti sontuosi e raffinati gioielli; per intrecciare pettegolezzi, amori; per concludere affari o accordi politici. La struttura del teatro, del resto, sembra fatta apposta per rispondere sia alle esigenze spettacolari della rappresentazione, sia alle necessità e alle funzioni dell'occasione mondana.

Uno sfarzoso foyer (locale adiacente alla sala teatrale dove gli spettatori hanno la possibilità di intrattenersi prima, durante e dopo le pause dello spettacolo) accoglie il pubblico elegante e introduce alla platea, dalla caratteristica forma a ferro di cavallo, che ospita gli spettatori occasionali. Poche file di scomode panche e di sedie mobili permettono solo a qualcuno di sedersi, mentre la maggior parte di questo pubblico, formato da piccoli borghesi, resta in piedi.

Alcuni ordini sovrapposti di palchi, di proprietà dell'aristocrazia o successivamente affittati annualmente da famiglie della ricca borghesia, costituiscono la sontuosa cornice di tutta la sala. Decorati con ori, stucchi e stemmi gentilizi, i palchi sono ornati anche da tendine, i cui colori si armonizzano con quelli del sipario del palcoscenico e con gli affreschi del grande soffitto, da cui pende un gigantesco lampadario carico di candele. Ogni palco ha la propria entrata autonoma e un retropalco, variamente arredato, dove si consumano piccoli pasti, rinfreschi, dove si gioca e si corteggiano le belle dame.

La disposizione dei palchi ha un'importantissima funzione sociale: ognuno può vedere gli altri. Naturalmente il palco più tenuto d'occhio è il cosiddetto palco reale, che ospita le personalità di rango più elevato e più in vista della città. In corrispondenza del secondo o terzo ordine di palchi, vi sono poi i ridotti , cioè le grandi sale in cui il pubblico si reca per bere, per mangiare o per giocare d'azzardo. Infine nell'ultimo ordine, il cosiddetto loggione, prende posto un pubblico più modesto ma entusiasta e molto interessato alla rappresentazione teatrale.

Nei primi anni dell’Ottocento il teatro è dunque una sorta di grande salotto, in cui è lecito essere distratti. Per catturare l'interesse di questo pubblico e per garantirsi il successo di un'opera impresari, autori e interpreti devono creare prodotti capaci di rispondere alle mode del momento e di sostenere la concorrenza di altri teatri e di altre opere. È facile comprendere come in un simile contesto, tra i tanti fattori che contribuiscono al successo di un'opera, quello decisivo sia senza dubbio costituito dalla presenza di un cantante famoso, principale attrazione di una serata a teatro. Sino ai primi decenni dell'Ottocento i cantanti d'opera sono infatti gli assoluti protagonisti della scena musicale: adulati, acclamati e strapagati essi sono contesi da tutti i teatri d'Europa e diventano figure leggendarie, per le quali il pubblico si esalta, ha atteggiamenti deliranti, si divide in fazioni di sostenitori di questo o quello.

Dotato di eccezionali abilità tecniche ed espressive il virtuoso della voce seduce il pubblico con la bellezza del suo canto e con uno stile vocale, detto belcanto, che riempie i grandi spazi del teatro grazie alla potenza sonora, all'espressività intensa e ai passaggi irti di difficoltà con cui si esprime. Ma il virtuoso della voce è anche un divo capriccioso: se un brano non gli piace, può imporre al compositore di cambiarlo oppure di sostituirlo con un altro a lui più congeniale, anche se non ha alcun legame con quanto avviene sulla scena. Nascono così le arie di baule, che costituiscono il bagaglio di pezzi forti, di successo garantito, che ciascun cantante si porta appresso - nel baule appunto - girando da un teatro all'altro.

Il fenomeno del virtuosismo porta sul piano musicale alla divisione sempre più marcata tra il momento narrativo affidato al recitativo (in cui si svolge l'azione del dramma) e quello lirico, di espressione dei sentimenti, affidato all'aria, in cui il virtuoso fa sfoggio di tutte le sue abilità. La forma più usata era l’aria col da capo (A B A).

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«Va’ pensiero» da Nabucco: Atto 3°

G. Verdi

Terza opera di Verdi, il Nabucco fu presentato alla Scala di Milano nel 1842, in un periodo in cui l'Italia, ancora smembrata in tanti staterelli controllati da potenze straniere (l'Austria, la Francia, la Spagna), si stava lentamente avvicinando alla sua indipendenza. Proprio con quest'opera il giovane Verdi riuscì ad imporsi all'attenzione generale. La vicenda, tratta dell’Antico Testamento, si svolge nel 586 a.C. a Gerusalemme e a Babilonia, dove il popolo ebraico, sconfitto da Nabucco (Nabuccodonosor, re degli assiro-babilonesi) viene condotto in schiavitù. Per questo motivo il crudele re babilonese Nabucco, viene punito da Dio che gli fa perdere la ragione e il regno. Solo dopo una serie di drammatici avvenimenti, Nabucco rinsavisce, si converte e libera il popolo ebraico. Siamo nel terzo atto. Gli Ebrei sono costretti ai lavori forzati lungo la riva del fiume Eufrate. Essi intonano un canto colmo di nostalgia e di amore per la loro patria lontana, anch'essa bagnata da un altro grande fiume, il Giordano. È facile immaginare come, per gli italiani di quell'epoca, il canto degli Ebrei prigionieri che sognano la loro patria perduta diventi un coro patriottico che invitava al riscatto nazionale. Anche gli Italiani infatti, come gli Ebrei di tanti secoli prima, erano allora sotto un giogo straniero ed aspiravano alla libertà. Va’ pensiero, sull'ali dorate; Va’ ti posa sui clivi, sui colli, Ove olezzano tepide e molli l'aure dolci del suolo natal! Del Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate... Oh, mia patria sì bella e perduta. Oh, membranza sì cara e fatal! Arpa d'or dei fatidici vati perché muta dal salice pendi? Le memorie nel petto riaccendi, ci favella del tempo che fu! O simìle di Solima ai fati, traggi un suono di crudo lamento, o t'ispiri il Signore un concento che ne infonda al patire virtù!

Va', pensiero, sulle ali dorate, va’ a posarti sui pendii e sulle colline ove spira profumata e tiepida l'aria della terra natale! Saluta le rive del nostro fiume, il Giordano, saluta le mura abbattute della nostra città, Gerusalemme; o mia patria così bella ed ora perduta, o ricordo così dolce e fatale! O arpa con cui i nostri profeti hanno cantato, perché ora te ne stai muta, appesa ad un salice? Riaccendi nel nostro cuore il ricordo della nostra patria, parlaci di quel tempo felice ormai passato! Imita le profezie del nostro re Salomone e fai risuonare un canto di cocente dolore oppure il Signore ti ispiri una musica che sappia farci reagire alle sofferenze!

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PRINCIPALI CORRENTI ROCK

ANNI ‘60

Folk-rock Genere ispirato alle ballate popolari e legato ai contenuti della contestazione americana degli anni Ses-santa. Il folk-rock rappresenta il tentativo di unire il repertorio folk alle sonorità del rock. E’ caratteriz-zato da ritmiche semplici e accompagnamento scarno, con voce in primo piano (il testo tende a prevale-re sulla musica). I maggiori rappresentanti furono Bob Dylan e Joan Baez, primi esempi di cantautori politicamente impegnati.

ANNI ‘70 Hard-rock (rock duro) E' il filone rock tra gli anni Sessanta e Settanta, caratterizzato da sonorità forti, dure, aspre e distorte ac-centuate dall'elettrificazione. I ritmi sono martellanti e ossessivi; i testi sono particolarmente aggressivi. Tra i maggiori rappresentanti: Led Zeppelin, Aerosmith ed i Deep Purple. Disco music Nasce nella seconda metà degli anni Settanta negli Stati Uniti e si diffonde in breve tempo a livello in-ternazionale soppiantando tutta la cultura dei balli tradizionali. Si caratterizza per un ritmo accentuato molto monotono, per l'uso di melodie brevi continuamente ripetute e per l’uso massiccio di strumenti e-lettronici (anni ’80 e ‘90). I maggiori rappresentanti sono: Donna Summer, Barry White, Gloria Gaynor, i Bee Gees. Punk rock E' un movimento rock che nasce intorno al 1975 in Inghilterra e si diffonde successivamente in tutta Eu-ropa. Si basa su un rifiuto totale delle convenzioni e degli stili di vita della società occidentale. Segni di-stintivi dei punk sono il trucco pesante, i capelli tinti in colori vivaci, gli abiti disseminati di borchie e spilloni e comportamenti spesso anticonvenzionali. I loro testi spesso sono provocatori, osceni e blasfe-mi. I brani sono veloci, di imprecisa esecuzione e molto aggressivi. I maggiori rappresentanti sono: Sex Pistol, Ramones, Clash, Talking heads, Ultravox. Reggae Nasce come genere musicale povero in Giamaica, aperto nei testi alle problematiche locali e religiose, ed esplose a livello internazionale negli anni ‘70. In questo musica si fondono vari elementi, come il rhythm and blues, la musica nera africana e quella delle isole dei Caraibi. E’ un genere particolare, caratterizzato dall’andamento moderato, da un ritmo in controtempo e attacchi in levare, dalla presenza costante del basso. Furono i disc-jockey dell’isola a creare il toasting, cioè l’abitudine di parlare sui dischi in modo ritmico che è alla base del reggae e che poi porterà al rap. Il reggae divenne ben presto una vera e propria fede (rastafarianesimo), e non a caso il musicista giamai-cano Bob Marley ne è stato definito il “Messia”.

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ANNI ‘80

Heavy metal rock (metallo pesante) E' un genere musicale nato negli Stati Uniti all'inizio degli anni Ottanta, caratterizzato da sonorità dure e metalliche e ritmi molto accentuati ed ossessivi. Le armonie sono ridotte all’essenziale e la voce è sem-pre urlata. I testi sono violenti e ispirati alla letteratura horror (dark music), all’esoterismo e all’eccesso in ogni sua forma. Tra i gruppi promotori possiamo ricordare gli Iron Maiden i Deep Purple, i Metalli-ca). Rap Questo genere musicale nasce agli inizi degli anni Ottanta tra i giovani neri dei quartieri malfamati di New York come espressione della cultura hip hop. Il rap accompagna la break-dance, una danza acro-batica fatta di movimenti che a volte sembrano mimare un robot. E’ un genere che si basa su un parlato cadenzato e ininterrotto, una specie di recitativo intonato in cui la musica, intesa come melodia, è del tutto assente. Più tardi questo tipo di musica si diffonde anche in Europa, dove viene letteralmente co-struita dai disc-jokey miscelando brani da dischi diversi, utilizzando un linguaggio gergale (slang) e dei testi che assomigliano a slogans declamati ritmicamente. Rappresentanti del rap sono i gruppi: Africa Bambaata e i Beastie Boys; Eminem; in Italia il cantante Jovanotti. Grunge Un sottogenere del punk rock è il grunge che, nato a Seattle, negli Stati Uniti, sul finire degli anni Ottan-ta, attinge molto dalla cultura punk-garage. E’ un rock dalle sonorità “sporche”, che si materializza tra la polvere e il buio delle cantine e delle strade delle metropoli americane. I suoi seguaci mostrano un look povero e sciatto, e un atteggiamento di diffidenza e disprezzo nei confronti della società. La band giunge per eccellenza è stata quella dei Nirvana di Kurt Cobain.

House music Così chiamata perché è una musica che si può costruire facilmente "in casa" con l'aiuto dei vari strumen-ti elettronici (batteria elettronica, tastiere, campionatori). L’house-music è nata a Chicago, e si è diffusa rapidamente negli Stati Uniti ed in Europa. E' un genere musicale tipicamente commerciale, fatto di per-sonaggi che non hanno una vera e propria formazione musicale, ed è utilizzata esclusivamente nelle di-scoteche. La stesura di un pezzo house inizia quasi sempre con un "introduzione" composta dai soli suo-ni di batteria, fino a giungere al tema principale, con le sue variazioni. Segue poi pausa di lunghezza maggiore, respiro ed infine un nuovo tema centrale e una coda per chiudere il pezzo. L'introduzione e la coda sono parti fondamentali perché permettono ai Dj di mettere due pezzi in sequenza senza che il pubblico possa avvertire il cambiamento. Questo tipo di musica viene suonata anche nei cosiddetti rave party, manifestazioni musicali molto spesso illegali organizzate all'interno di aree industriali abbandonate o in spazi aperti, che sono accom-pagnate quasi sempre da problemi di ordine pubblico. Altri importanti sottogeneri nati in questo periodo sono l’Acid house, il Garage house, la Techno.

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LA MUSICA ROMANTICALA MUSICA ROMANTICALA MUSICA ROMANTICALA MUSICA ROMANTICA

Nella prima metà del 1800 si diffuse in tutta Europa un vasto movimento culturale, nato in Germania ma destina-to a contrassegnare il modo di pensare e di sentire di tutte le nazioni europee: il Romanticismo.

Se gli ideali del periodo classico erano fondati sul primato assoluto della ragione, gli ideali romantici esaltavano l’irrazionalità, la libera espressione del sentimento individuale e collettivo: venivano così valorizzati l’amore patriottico, l’orgoglio per le tradizioni popolari e tutti i sentimenti spontanei dell’animo umano. Durante il Romanticismo la musica assunse una grande importanza; infatti, i pensatori romantici ritenevano che essa fosse la sola arte in grado di esprimere i sentimenti o le sensazioni più profonde dell’animo umano; anche le altre arti, come la letteratura o la pittura, potevano esprimere questi sentimenti, ma i loro mezzi (la parola, la figura, i colori, ecc.) erano limitati, e oltre una certa soglia non potevano andare. Dunque, tra le varie arti, la musica era considerata la regina, e tanto più lo era se si trattava di musica solo stru-mentale; infatti, la musica vocale, proprio perché legata alla parola e quindi ritenuta limitata, veniva considerata meno “espressiva” del genere strumentale. Da questo modo di vedere le cose nacque il concetto di “musica assoluta”; questa espressione indica il genere di musica esclusivamente strumentale, considerata, appunto, come l’arte perfetta, che riusciva ad esprimere anche i senti-menti più profondi dell’uomo. La musica romantica, quindi, si distinse per la profonda espressività, per il modo con cui cercò di dare intensità ai sentimenti, alle sensazioni ed alle immagini.

Rapporto con la società

L'affermarsi della borghesia e la decadenza dell'aristocrazia determina un profondo mutamento del ruolo del mu-sicista e ne condiziona l'attività. Alla figura del musicista-dipendente (che esaudiva le richieste del principe mecenate o della corte da cui era mantenuto) si sostituisce quella del musicista-“genio romantico”, libero di esprimere se stesso sen-za vincoli di dipendenza.

Tale libertà creativa comporta però anche aspetti problematici: da una parte viene meno la sicurezza economica propria della condizione precedente, dall'altra emerge la difficoltà di rapporto con il nuovo ed esigente “datore di lavo-ro”: il pubblico. Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, infatti, l'attività musicale si sposta progressivamente dalla corte aristocratica al teatro pubblico borghese, con ingresso a pagamento.

E’ con questo pubblico, con i suoi gusti e le sue esigenze, molto più diversificate e mutevoli rispetto a quelle del pubblico aristocratico, che il musicista deve ora misurarsi e, spesso, scontrarsi.

Da questo difficile rapporto con il pubblico dipendono, probabilmente, il pessimismo, la solitudine e la sensazio-ne di incomprensione e di inutilità sofferti da molti artisti degli inizi dell'Ottocento.

Nella sua nuova posizione indipendente il musicista poteva guadagnarsi da vivere principalmente in tre modi: • vendendo e pubblicando le opere da lui composte; • suonando in concerti pubblici; • dando lezioni di musica ad una clientela privata.

Per molti musicisti quest’ultima soluzione fu quella che concretamente diede loro da vivere, poiché non era cer-

tamente facile comporre opere e pubblicarle, come dare concerti. Nella seconda metà del secolo, poi, parallelamente alla musica colta di salotti, circoli, sale da concerto e teatri,

inizia a diffondersi un tipo di musica più leggera e ballabile, di derivazione popolare, consumata nei caffè concerto, o “cafè chantant”, locali pubblici nei quali si esibiscono attori comici, dicitori, cantanti e musicisti.

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Le scuole nazionali La riscoperta delle radici storiche e culturali e delle proprie tradizioni popolari da parte dei nuovi Stati europei determina la nascita di “scuole musicali nazionali”, soprattutto in quei Paesi, come la Spagna, la Norvegia, e, in genera-le tutti i Paesi di lingua slava, che fino alla prima metà dell’Ottocento erano stati “terra di conquista” per i musicisti ita-liani, francesi e tedeschi. Le scuole nazionali si propongono l’obiettivo di ricercare una propria identità culturale, attra-verso il recupero del folclore e delle tradizioni musicali popolari: in tale contesto sorge l’interesse per le ricerche etno-musicologiche (studio comparato delle musiche popolari dei diversi paesi).

Caratteri generali

Anche se in modo molto schematico, è possibile individuare alcune caratteristiche peculiari della produzione musicale di questo periodo: • La melodia sviluppa ed accresce la sua importanza; l'idea melodica, il tema musicale, è il centro della musica roman-

tica e presenta caratteristiche di semplicità ed estrema cantabilità; soprattutto all’interno delle “scuole nazionali” si diffonde l’uso di attingere al patrimonio di canti e melodie popolari tradizionali.

• Dal punto di vista ritmico, si amplia la gamma dei tempi musicali impiegati diversi anche all'interno del medesimo brano; il rigore temporale e ritmico caratteristico della musica del Settecento viene superato anche attraverso un am-pio impiego delle variazioni di velocità (“rallentando”, “ accelerando”).

• Si dilata la gamma di sfumature dinamiche, ottenendo così livelli di intensità sonora estremamente differenziati: dal “pianissimo” impercettibile al “fortissimo” assordante. Questo allargamento della dinamica si sviluppa parallela-mente al diffondersi dell'uso del pianoforte (il cui nome è indicativo della capacità dinamica di tale strumento) a sca-pito del clavicembalo e all'ampliamento dell'organico orchestrale, a sua volta legato alle ampie dimensioni delle nuo-ve sale da concerto.

• Viene notevolmente sviluppato anche l'aspetto timbrico, particolarmente attraverso l'uso di un numero maggiore di strumenti musicali dalle diverse e nuove sonorità; acquistano maggior importanza strumenti che in precedenza avevano scarso impiego (clarinetti, tromboni, arpa, percussioni); il musicista romantico sviluppa una particolare sen-sibilità alla autonoma capacità espressiva dei timbri sonori, intesi e utilizzati come “colori” da accostare, mescolare, ecc.

• La forma e i modelli tradizionali del linguaggio musicale vengono “personalizzati” ogni compositore si sente libero di utilizzare gli schemi compositivi tradizionali (sonata, sinfonia, ecc.) in modo diverso, adattandoli alle proprie esi-genze espressive.

• Le leggi dell’armonia tonale tradizionale cominciano a vacillare di fronte all’uso spregiudicato di accordi dissonanti e di modulazioni inconsuete

Le composizioni sinfoniche

Cresciuta in grandezza (dai 40 esecutori dell'orchestra classica agli oltre 100 di quella romantica) e nella sua composizione, l'orchestra trova larghissimo impiego nella musica del primo Ottocento, oltre che nella musica operistica, nell'esecuzione di sinfonie.

Quest'ultimo genere musicale viene ampiamente frequentato dai musicisti romantici che, pur mantenendo fermo lo schema generale della forma classica (quattro movimenti), concentrano la loro attenzione sulle possibilità timbriche dell'orchestra sinfonica (un'attenzione analoga a quella dedicata dai pittori romantici ai diversi effetti cromatici ottenibili mediante l'impasto dei colori).

Dalla sinfonia si sviluppano nuove forme, come il poema sinfonico, brano orchestrale in un solo tempo in cui l'autore intende narrare eventi e situazioni presentate in un “programma” illustrativo (poesie, quadri, racconti, impressio-ni della natura). Questa forma fu coltivata soprattutto dai musicisti delle “scuole nazionali”.

Tra i più importanti autori di sinfonie, poemi sinfonici e brani musicali orchestrali di questo periodo ricordiamo: l'austriaco Franz Schubert (1797-1828), i tedeschi Felix Mendelssohn (1809-1847) e Robert Schumann (1810-1856), l'ungherese Franz Liszt (1811-1886) e il francese Hector Berlioz (1803-1869).

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Le composizioni pianistiche

Il pianoforte è lo strumento “romantico” per eccellenza e non solo perché‚ le sue caratteristiche tecniche (grande dinamica e sonorità, notevole estensione, cantabilità e possibilità timbriche) corrispondono alle esigenze espressive del musicista romantico, ma anche perché‚ esso diviene elemento costante nell'arredamento delle case borghesi e protagoni-sta, così, di quella pratica musicale “amatoriale” che prende il nome di “musica da salotto”.

E’ nei salotti borghesi del primo Ottocento che prende forma la vasta letteratura pianistica del periodo romantico, costituita soprattutto da brevi composizioni dalla forma e struttura libera frutto della creatività istintiva e travolgente tipi-ca dell'artista romantico, il cui stesso titolo (Notturno , Improvviso, Scherzo, Scena infantile, Serenata) ne definisce il carattere intimo e salottiero.

Parallelamente, nelle sale da concerto, un diverso uso del pianoforte viene finalizzato a evidenziare le capacità tecniche dell'esecutore, il suo “virtuosismo”.

Tra i compositori e i pianisti di maggior spicco in questo periodo ricordiamo: il polacco Fryderyk Chopin (1810-1849) e ancora Schubert, Schumann e Liszt, quest'ultimo molto noto per la sua abilità pianistica.

Il Lied

Composizione caratteristica dell'Ottocento tedesco, il Lied (“canto”) testimonia il felice incontro tra le due e-spressioni artistiche più tipicamente romantiche: la musica e la poesia. La forma musicale del Lied, un canto in lingua tedesca eseguito da una voce solista con l'accompagnamento, generalmente del pianoforte, segue infatti l'andamento dei versi e delle strofe di un testo poetico, tratto dall'opera di grandi poeti romantici, ma spesso anche dal vasto patrimonio di canti e poesie popolari che proprio allora, nello spirito del recupero delle tradizioni nazionali, venivano raccolti. Anche il Lied, per le sue particolari caratteristiche musicali, ha come ideale ambiente di diffusione il salotto romantico borghese.

Fra i più noti autori di Lieder ricordiamo: Schubert, Schumann, Mendelssohn e più tardi, Johannes Brahms.

Il melodramma

Nel quadro del romanticismo musicale il melodramma, l'opera teatrale, ha uno sviluppo particolare e una storia separata; si diffonde e prospera, infatti, soprattutto in Francia e in Italia, dove gli ideali romantici vengono assorbiti più tardi e in modo diverso rispetto all'Inghilterra e alla Germania. Il melodramma ottocentesco, d'altra parte, rappresenta gli ideali e la cultura di un ambiente sociale diverso e più ampio rispetto alla borghesia salottiera del Nord Europa; il teatro d'opera è frequentato anche come occasione di incontro, soprattutto dalla piccola borghesia cittadina le cui aspirazioni sono meno “spirituali” e certamente più concrete: l'ideale romantico di “libertà” viene vissuto, ad esempio, non come u-n'aspirazione interiore, ma come anelito a una effettiva libertà politica.

Il melodramma diviene, specie in Italia, la forma di spettacolo più diffusa ed amata, e non v’è piccola città di provincia che non costruisca il proprio teatro d’opera e non organizzi “stagioni” di rappresentazioni liriche. Nel melo-dramma italiano si ritrovano i seguenti ideali: nelle vicende rappresentate, spesso a sfondo storico, viene esaltata la figu-ra dell'eroe liberatore o il popolo in rivolta contro l'oppressore; il popolo è rappresentato in scena dal coro. Gli stessi ideali trovano poi conferma e ulteriore sostegno in una struttura musicale dall'andamento ritmico energico ed incalzante e dalla melodia orecchiabile e accattivante.

In questi anni, in Italia erano molto forti gli ideali “nazionalistici” di indipendenza e unità nazionale e quindi il pubblico era prontissimo a cogliere ed applaudire tutte le allusioni che avessero anche un vago riferimento politico e pa-triottico. Molti cori tratti dalle opere di Giuseppe Verdi divennero pretesti per manifestazioni pubbliche antiaustriache (molto noto è il coro “Va' pensiero” dal Nabucco), mentre le lettere del suo nome avrebbero fornito materia di propa-ganda politica: W V(ittorio) E(manuele) R(e) D’I (talia).

Tra i più noti compositori italiani di melodrammi della prima metà del secolo ricordiamo: Gioacchino Rossini (1792-1868), Gaetano Donizetti (1797-1848), Vincenzo Bellini (1801-1835) e, almeno per la prima parte della sua pro-duzione, Giuseppe Verdi (1813-1901).

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La riforma del melodramma di Richard Wagner

La figura che meglio interpreta il momento musicale nella seconda metà dell'Ottocento è certamente quella del compositore tedesco Richard Wagner, radicale innovatore del melodramma teatrale.

Wagner scelse di lavorare sul teatro musicale, essendo convinto che solo in tale ambito potesse realizzarsi quella che chiamava l'”opera d'arte dell'avvenire”, cioè l'opera “totale”, in cui, superando la forma tradizionale del melodram-ma italiano (costituito da momenti musicali “chiusi” e slegati tra loro), parole, suoni e azioni formassero un'unità indisso-lubile. Per fare ciò Wagner eliminò ogni discontinuità nel dramma, sia nella forma (attraverso il superamento dell'alter-nanza di recitativo e aria), sia nella struttura musicale (pervenendo alla concezione della “melodia infinita”, intesa come un flusso melodico ininterrotto); parallelamente accentuò gli elementi di continuità con l'adozione dei Leitmotive (“mo-tivi conduttori”, temi musicali che caratterizzano un personaggio o un’atmosfera e che ritornano continuamente a sottoli-neare l'unitarietà della vicenda drammatica), che fanno leva soprattutto su un uso particolare dei suoni e dei timbri dell 'orchestra, intesa come protagonista del dramma, e non come semplice accompagnamento sonoro.

Per esprimere al meglio tutto ciò, Wagner si fece addirittura costruire un teatro apposito, a Bayreuth, diverso da tutti gli altri: egli fu infatti il primo a nascondere l’orchestra, sistemandola sotto il palcoscenico (nel cosiddetto “golfo mistico”) poiché trovava insopportabile che, accanto a un cantante in abiti antichi, vi fosse un violinista o un direttore d’orchestra in abiti moderni.

Non solo: Wagner fu il primo a pretendere che in sala, durante l’esecuzione, vi fosse assoluto silenzio. Tradizio-nalmente infatti nei teatri si andava anche per chiacchierare, per incontrare amici, e durante la rappresentazione era nor-male girare tra i palchi, parlare ad alta voce, addirittura mangiare. Per Wagner tutto questo era assolutamente inconcepi-bile: il pubblico doveva partecipare alla rappresentazione, concentrarsi sul palcoscenico (per questo venivano spente le luci in sala), rimanere in silenzio come di fronte a un rito.

Nella tradizione del melodramma italiano un rinnovamento analogo, anche se meno radicale di quello wagneria-no, viene operato da Giuseppe Verdi nella cosiddetta “seconda fase” della sua produzione, caratterizzata da una maggiore attenzione per il dramma nel suo fluire unitario e per il rapporto tra parole e musica. Le ultime opere di Verdi (Otello e Falstaff) sono decisamente innovative, sia per l'adozione di un declamato melodico continuo (che supera, come già fece Wagner, la frammentazione tradizionale dell'opera tradizionale), sia per l'uso più raffinato e coraggioso dell'armonia e dell'orchestra.

IL VERISMOIL VERISMOIL VERISMOIL VERISMO

Al Romanticismo seguì nel tardo Ottocento il “verismo”, una corrente letteraria, musicale ed artistica da cui sca-turirono grandi capolavori. I veristi si fecero promotori di un’arte che rispettasse il “vero”, cioè la dimensione reale delle cose, e fra gli scrittori italiani di questa corrente si ricordano Giovanni Verga, che rappresentò nelle sue opere la Sicilia, Matilde Serao, che ambientò i suoi romanzi a Napoli, e Grazia Deledda, che si ispirò alla sua Sardegna.

In campo musicale questo periodo fu dominato dal gruppo dei “veristi” che, rifacendosi alla omonima corrente letteraria ed artistica, propongono nelle loro opere storie di vita reale, nei suoi aspetti più comuni e anche più crudi e drammatici. I principali “veristi” italiani sono: Pietro Mascagni (1863-1945), Ruggero Leoncavallo (1857-1919), Um-berto Giordano (1867-1948), Francesco Cilea (1866-1950) e, con caratteri distintivi di maggiore originalità, Giacomo Puccini (1858-1924).

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PERIODO BAROCCO

1600-1750 circa PERIODO CLASSICO 2^ metà del Settecento

MELODIA

• affermazione del canto solistico accompagnato dagli strumenti (monodia accompagnata)

• la melodia segue le inflessioni della parola per essere più espressiva

• la melodia viene arricchita di abbellimenti per evidenziare le abilità vocali dei cantanti

• le frasi sono generalmente brevi, cantabili ed espressive

• la struttura è regolare, equilibrata e simmetrica • vi è un minore impiego di abbellimenti

ARMONIA • uso di un sistema di accordi continui che prende il nome

di basso continuo • si usano le scale maggiori e minori

• aumentano i passaggi da una tonalità all'altra (modulazione), per creare momenti espressivi di tensione e di distensione

RITMO • generalmente costante e regolare mentre in alcune forme è

libero • vi è una grande varietà di modelli ritmici e le

battute sono regolari e simmetriche

INTENSITA' • passaggi improvvisi da un'intensità all'altra. • questo tipo di dinamica viene detta "a terrazze"

• vi sono passaggi graduali d'intensità con l'uso di crescendi e diminuendi

STRUMENTI

• particolare cura nell'assegnare le varie parti agli strumenti • perfezionamento della tecnica di costruzione degli

strumenti, in particolare la famiglia degli archi da parte di famosi liutai (Stradivari, Guarneri, Amati)

• gli strumenti preferiti per l'accompagnamento sono il clavicembalo, il liuto e l'organo

• si definisce la struttura dell'orchestra con circa 35-40 elementi

• si sfrutta il contrasto tra archi e fiati e si introducono le percussioni

• il pianoforte soppianta il clavicembalo per le sue capacità espressive

COMPOSIZIONI STRUMENTALI

• suite, concerto grosso e solista, sonata • sonata, sinfonia, concerto, duo, trio, quartetto

COMPOSIZIONI VOCALI

• melodramma, oratorio, cantata, corale. • messe, oratori, melodramma.

FORME • suite, sonata, cantata • forma sonata, rondò, minuetto, tema con variazioni CONDIZIONE

SOCIALE • il musicista è alle dipendenze di mecenati o di corti • da servitore presso le corti a libero professionista

AMBIENTI • corti, chiese, salotti, teatri • corti, chiese, salotti, teatri pubblici e privati

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PERIODO ROMANTICO

1800-1870 circa MUSICA DEL XX SECOLO

1900-1950 circa

MELODIA

• esprime il contrasto tra passione e ragione che è tipico del romanticismo

• le melodie sono complesse, espressive e di grande estensione melodica

• si affermano anche melodie più semplici ricavate da motivi popolari (scuole nazionali)

• perde il ruolo predominante che aveva fino al periodo romantico

• spesso si presenta come una sequenza irregolare e non lineare di note

• vengono introdotti suoni indeterminati (rumori)

ARMONIA

• vengono usati accordi più complessi e ricercati • vi sono continue modulazioni ad altre scale • viene usato spesso il modo minore per esprimere

atmosfere malinconiche

• non esiste più il concetto di accordo consonante e dissonante

• si privilegiano le dissonanze • l'armonia non è più considerata come una sequenza

ordinata di accordi

RITMO

• l'andamento si fa meno costante e più articolato • si fa uso spesso dell'accelerando e del rallentando

• assume grande rilevanza e spesso è dato dalla sovrapposizione di più ritmi (poliritmia)

• in molte composizioni si utilizzano ritmi indefiniti lasciando molta libertà agli esecutori

INTENSITA' • vi sono notevoli e frequenti variazioni d'intensità • si utilizzano passaggi improvvisi dal pianissimo al

fortissimo e effetti di crescendo e diminuendo

• vi sono grandi varietà d'intensità • vengono introdotti sistemi di amplificazione

artificiale

STRUMENTI

• viene ulteriormente migliorata la tecnica di costruzione degli strumenti, in particolare gli strumenti a fiato e a percussione

• il pianoforte diventa lo strumento simbolo del romanticismo

• l'orchestra passa da 40 elementi a più di 100

• la melodia viene eseguita da vari strumenti che si susseguono

• vengono rivalutati gli strumenti a suono indeterminato (rumori)

• vengono introdotti strumenti elettronici

COMPOSIZIONI STRUMENTALI

• sinfonia, concerto, poema sinfonico, notturno, scherzo • molto varie

COMPOSIZIONI VOCALI

• lied, messe, opera lirica, • molto varie

FORME • libera elaborazione delle forme classiche • libere

CONDIZIONE SOCIALE

• il musicista è un artista indipendente che si deve però confrontare con un pubblico più vasto e con gusti diversificati

• i musicisti assumono nuove competenze professionali sfruttando le nuove tecnologie per la riproduzione e diffusione del suono

AMBIENTI • grandi sale da concerto, teatri, salotti, chiese • cresce l’ascolto in ambito privato di registrazioni

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Un sopravvissuto di Varsavia

Op. 46 - per voce recitante, coro e orchestra

di A. Schoenberg

Testo: I cannot remember everything. I must have been unconscious most of the time.

I remember only the grandiose moment when they all started to sing, as if prearranged,

the old prayer they had neglected for so many years - the forgotten creed!

But I have no recollection how I got underground to live in the sewers of Warsaw for so long a time.

The day began as usual: reveille when it still was dark. Get out! Whether you slept or whether worries kept you awake the whole night. You had been separated from your children, from your wife, from your parents; you don't know what happened to them - how could you sleep?

The trumpets again - Get out! The sergeant will be furious! They came out; some very slow: the old ones, the sick ones; some with nervous agility. They fear the sergeant. They hurry as much as they can. In vain! Much too much noise, much too much commotion - and not fast enough! The Feldwebel shouts: “Actung! Stilljestanden! Na wirds mal? Oder soll ich mit dem Gewehrkolben nachhelfen? Na jutt; wenn ihrs durchaus haben wollt!“.

The sergeant and his subordinates hit everybody: young or old, quiet or nervous, guity or innocent.

Traduzione: Non posso ricordare ogni cosa. Devo essere rimasto priva di conoscenza per la maggior parte del tempo.

Ricordo soltanto il grandioso momento quando tutti cominciarono cantare, come se si fossero messi d'accordo,

l’antica preghiera che essi avevano trascurato per tanti anni – il credo dimenticato!

Ma non so dire come riuscii a vivere nel sottosuolo, nelle fogne di Varsavia, per un così lungo tempo.

Il giorno cominciò come al solito: sveglia quando era ancora buio. "Venite fuori! - Sia che dormiste o che le preoccupazioni vi tenessero svegli tutta la notte. Eravate stati separati dai vostri bambini, da vostra moglie, dai vostri genitori; non si sapeva che cosa era accaduto loro - come si poteva dormire?

Di nuovo le trombe. “Venite fuori! Il sergente sarà furioso!” Vennero fuori; alcuni molto lenti: i vecchi, gli ammalati; alcuni con agilità ansiosa. Temono il sergente. Si affrettano quanto più possibile. Invano! Molto, troppo rumore, molta, troppa agitazione - e non svelti abbastanza! Il sergente urla: “Attenzione! Attenti! Beh, ci decidiamo? O devo aiutarvi io con il calcio del fucile? E va bene; se è proprio questo che volete!”.

Il sergente e i suoi aiutanti colpivano tutti; giovani o vecchi, remissivi o agitati, colpevoli o innocenti.

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It was painful to hear them groaning and moaning. I heard it though I had been hit very hard, so hard that I could not help falling down. We all on the ground, who could not stand up were then beaten over the head.

I must have been unconscious.

The next thing I knew was a soldier saying: “They are all dead”, whereupon the sergeant ordered to do away with us. There I lay aside - half-conscious. It had become very still - fear and pain.

Then heard the sergeant shouting: “Abzàhlen!”. They started slowly and irregularly: one, two, three, four – “Achtung!” the sergeant shouted again, “Rascher! Nochmal von vorn anfangen! In einer Minute will ich wissen, wieviele ich zur Gaskammer abliefere! Abzàhlen!”.

They began again, first slowly: one, two, three, four, became faster and faster, so fast that it finally sounded like a stampede of wild horses, and all of a sudden, in the middle of it, they began singing the Shema Yisroèl.

Shema Yisroèl Adonoi, Elohenu, Adonoi echòd. Vehavto es Adonoi elohecho bechol levovcho, uvchol nafshecho Uwechol meaudecho.

Vehoyù had e vorim hoéleh asher onochi metsavachò hajom al levovechò veshinantòm levonechò vedibarto bom beschitechò, bevetecho uv’lechtecho vadérech uvshochbecho uvkumechò.

Era doloroso sentirli gemere e lamentarsi. Sentivo tutto sebbene fossi stato colpito molto forte, così forte che non potei evitare di cadere. Eravamo tutti stesi per terra, chi non poteva reggersi in piedi era allora colpito sulla testa.

Devo essere rimasto privo di conoscenza.

Quando ripresi i sensi la prima cosa che udii fu un soldato che diceva: “Sono tutti morti”, al che il sergente ordinò di sbarazzarsi di noi. Io giacevo da una parte - mezzo svenuto. Era diventato tutto tranquillo - paura e dolore.

Fu allora che udii il sergente che gridava: “Contateli!”. Cominciarono lentamente e in modo irregolare: uno, due, tre, quattro – “Attenzione!" il sergente urlò di nuovo, “Più svelti! Cominciate di nuovo da capo! Fra un minuto voglio sapere, quanti devo mandarne alla camera a gas! Contateli!".

Ricominciarono, prima lentamente: uno, due, tre, quattro, poi sempre più presto, sempre più presto tanto che alla fine risuonò come una fuga precipitosa di cavalli selvaggi, e tutto ad un tratto, nel mezzo del tumulto, essi cominciarono a cantare lo Shema Isroel.

Ascolta, Israele, il Signore è il Dio nostro, Il Signore è uno. Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze.

E saranno queste parole che io ti comando oggi, sul tuo cuore, le ripeterai ai tuoi figli ne parlerai con loro stando nella tua casa, camminando per la via, quando ti coricherai e quando ti alzerai.

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"Un sopravvissuto di Varsavia" Arnold Schönberg

Condanna della persecuzione antisemita

Introduzione strumentale Il testo dell'opera inizia con una breve introduzione dell'orchestra: pochi secondi di musica rendono bene lo scopo dell'opera, cioè aiutare a riflettere sull'assurdità dello sterminio degli ebrei facendo risaltare tutta la ferocia e la crudeltà alla quale sono stati sottoposti milioni di persone. Ecco da dove nasce il forte impatto emotivo della musica, caratterizzata da una sempre crescente drammaticità: gli squilli di trombe, le dissonanze, i crescendo improvvisi creano intorno a noi, con tutta la loro efficacia, una scena straziante, fatta di dolore e di morte. La musica dunque non si limita a sottolineare l'incisività già presente nel testo dell'opera, ma contribuisce in maniera determinante a ricostruire la scenografia e a ricreare l'ambientazione dei fatti narrati. Introduzione del narratore Dopo la breve introduzione dell'orchestra comincia a parlare la voce narrante, che per tutta l'opera descriverà insieme all'orchestra i tristi fatti avvenuti quel giorno nel ghetto di Varsavia: il narratore afferma di non poter ricordare ogni cosa poiché rimasto privo di sensi per la maggior parte del tempo a causa delle percosse subite dai soldati; in questa breve introduzione egli fa riferimento al grandioso momento (che corrisponde all'ultima parte di quest'opera) in cui i suoi compagni intonarono un canto ebraico poco prima di essere uccisi nelle camere a gas. Sveglia e conta degli ebrei - Percosse dei nazisti A questo punto inizia la descrizione di una tipica giornata nel ghetto di Varsavia: tutti venivano svegliati presto, prima che sorgesse il sole; il narratore sottolinea l'impossibilità da parte degli ebrei del ghetto di dormire, in quanto essi erano stati separati da tutti i loro cari e nessuno sapeva che fine essi avessero fatto. Le preoccupazioni tenevano sveglie le persone tutta la notte impedendo loro di dormire: il narratore allora si lancia in un doloroso grido: "How could you sleep?" - "Come si poteva dormire?" Dopo la sveglia ogni persona si doveva recare al punto di raccolta per la conta. La musica anche in questo caso accompagna i vari momenti della scena: il pizzicato dei contrabbassi sottolinea il doloroso risveglio dei condannati e convulse frasi ritmiche, sussultanti e spezzate, accompagnano quindi il loro disordinato cammino verso il punto di raccolta. Il sergente nazista però ha fretta e urlando comincia a colpire i prigionieri con il calcio del fucile, seguito a breve distanza dai propri aiutanti che non risparmiano le loro percosse a nessuno. Tutti i prigionieri che non si potevano reggere in piedi erano allora colpiti sulla testa: le urla di quelle persone sono marcate sia dalla musica che dalla voce narrante: ad un certo punto il testo dice: "It was painful to hear them groaning and moaning" - "Era doloroso sentirli gemere e lamentarsi". Il narratore, infatti, legge le due parole "groaning" e "moaning" come due deboli urla, mentre l'orchestra riprende questi due gridi con note lunghe e calanti, a simboleggiare la perdita sensibile di forze e di energie dei prigionieri. In inglese, inoltre, il verbo "to moan" possiede una sfumatura più leggera del verbo "to groan", perciò anche con la scelta appropriata delle parole Schönberg ha voluto sottolineare in questo punto la forte presenza di dolore ma anche la progressiva perdita di energie da parte delle persone colpite con straordinaria ferocia dalle guardie naziste. Perdita e ripresa di conoscenza del narratore Il narratore a causa delle percosse subite perde conoscenza: nel frattempo tutto intorno a lui si fa silenzioso poiché nessun prigioniero era stato risparmiato dalla ferocia dei soldati, e nessuno aveva più le forze per rialzarsi. Ma il silenzio, come ricorda poco dopo il narratore, porta con sé "fear and pain", cioè "paura e dolore". Il narratore declama con straordinaria lentezza e drammaticità le due parole: prima "fear", seguita da una brevissima risposta, priva di forze, dell'orchestra, poi la congiunzione "and": a questo punto un breve silenzio è interrotto improvvisamente dalla parola "pain", molto marcata, ma pronunciata quasi senza fiato; l'orchestra sembra imitare questo scatto di dolore del narratore facendo seguire alla parola "pain" una serie veloce di note discendenti e ben marcate.

Page 54: Caratteristiche fisiche del suono pdf/terza/DSA_BES terza.pdf · La soglia del dolore (fissata a circa 120 decibel) è quella soglia oltre la quale si prova un forte do-lore e con

Conta dei prigionieri Poi il drammatico momento della conta di coloro che, sopravvissuti alle percosse, devono essere portati alla camera a gas: questo episodio viene accompagnato da una continua accelerazione del ritmo sino a sfociare nell'inno di chiusura, un canto ebraico col quale i condannati hanno ancora la forza di proclamare il loro credo religioso. Il momento è drammatico: i soldati devono infatti contare quante persone devono essere mandate alla camera a gas. La conta però non viene fatta bene, ed allora il sergente ordina di ricominciare da capo: la conta riprende, partendo prima lentamente, poi accelerando sempre di più, formando un tumulto simile, come dice lo stesso testo, a "una fuga di cavalli selvaggi". Una cosa da notare è, in una parte del testo seguente, la contrapposizione testo/significato, usata per marcare ancora maggiormente la drammaticità delle azioni. Quando il testo dice che la conta "became faster and faster, so fast that it...", "divenne più veloce e sempre più veloce, così veloce che...", il narratore legge le parole "faster,... faster, ...fast" in una maniera particolare: invece di accelerare, come del resto procede la musica seguendo quello che è il significato del testo, la voce narrante declama le parole che indicano un aumento di velocità rallentando e fermandosi su di esse. L'effetto che si genera è di forte contrasto, poiché parole che esprimono un significato di rapidità e di progressione veloce vengono messe in risalto attraverso la loro lettura rallentata e marcata. Questa parte si conclude allora con l'aumentare dell'intensità e velocità sonora che culmineranno nel credo ebraico "Shema Ysroël", cantato dai prigionieri prima di essere mandati nelle camere a gas. Inno ebraico "Shema Ysroël" Un coro intona all'unisono questo inno che vuole essere la coraggiosa risposta del fedele dinanzi alla cieca brutalità dell'uomo e della guerra. Neppure nei momenti più difficili l'uomo dimentica la propria fede e la propria speranza in Dio, fonte di amore e di pace.