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Università degli Studi di Perugia
Facoltà di Ingegneria
Corso di Laurea in Ingegneria dell’Informazione
Caratterizzazione di sensori a pixel
attivi CMOS con sorgenti laser
Laureando
Fabio Commodi
Relatore
Prof. Daniele PasseriCorrelatori
Prof. Leonello Servoli
Ing. Daniele Biagetti
1
Indice Introduzione......................................................................................... 5
I sensori di radiazione a stato solido.................................................... 7
1.1 Principi di funzionamento ............................................................ 7
1.2 La tecnologia di integrazione CMOS ........................................... 8
1.3 Il pixel APS .................................................................................. 9
1.3.1 Il chip RAPS02 ..................................................................... 10
1.3.2 Le caratteristiche delle matrici APS ...................................... 11
Strumentazione utilizzata................................................................... 15
2.1 Il banco ottico ............................................................................ 15
2.2 Elementi meccanici ................................................................... 16
2.3 Elementi ottici ............................................................................ 17
2.4 Driver del laser PDL 800-B ........................................................ 18
2.5 Teste laser utilizzate .................................................................. 18
2.6 Stadi traslatori motorizzati PI M-410-CG ................................... 20
2.7 Scheda di test per il chip ........................................................... 21
2.8 Fotodiodi utilizzati ...................................................................... 22
2.9 Oscilloscopio Agilent INFINIIUM 54831D MSO ......................... 25
2.10 Schlumberger 4415 2 MHz Function Generator ...................... 26
2.11 HP 8082A Pulse Generator ..................................................... 26
2.12 Alimentatore GPC – 3030D ..................................................... 27
2.13 Personal Computer ................................................................. 28
2.14 LabVIEW ................................................................................. 28
2.14.1 L'hardware .......................................................................... 29
2.14.2 Il software per l'acquisizione ............................................... 29
2.14.3 Il software per il controllo dei motori ................................... 31
2.15 Software elaborati per l’analisi dei dati .................................... 32
Il Banco Ottico.................................................................................... 34
3
3.1 Caratteristiche del banco ottico ................................................. 34
3.2 Sorgenti Laser ........................................................................... 35
3.2.1 Il laser come simulatore di particella ionizzante ................... 38
3.2.2 Il cammino ottico del fascio laser .......................................... 39
3.2.3 La collimazione e focalizzazione di un fascio laser .............. 41
3.3 Come utilizzare il banco ottico per caratterizzare il laser .......... 45
3.3.1 Caratterizzazione geometrica della sorgente laser ............... 45
3.3.2 Focalizzazione del fascio sul RAPS02 ................................ 50
Risultati ottenuti.................................................................................. 52
4.1 Caratterizzazione energetica delle sorgenti laser ...................... 52
4.1.1 Analisi dell’effetto della distanza tra i pixel ........................... 56
Esposizione alla sorgente a 1060nm.......................................... 64
Esposizione alla sorgente a 783nm............................................ 67
Esposizione alla sorgente a 407nm............................................ 69
4.1.2 Analisi dell’effetto del P-well-blocking ................................... 71
Esposizione alla sorgente IR...................................................... 71
Esposizione alla sorgente a 783nm............................................ 74
Esposizione alla sorgente a 407nm............................................ 76
Sviluppi futuri...................................................................................... 80
Bibliografia......................................................................................... 81
4
IntroduzioneIl lavoro di questa tesi è parte del progetto RAPS-SHARPS, frutto di una collaborazione
tra la sezione dell’INFN di Perugia, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, la facoltà di
Ingegneria Elettronica dell’Università degli Studi di Perugia, e la facoltà di Ingegneria
Elettronica dell’Università degli Studi di Parma.
Questo progetto ha lo scopo di realizzare e caratterizzare sensori APS, Active Pixel Sensor,
integrati in tecnologia CMOS, Complementary Metal Oxide Semiconductor, da utilizzare in
diverse applicazioni che comprendono l’ambito dell’Imaging, lo studio della validità di
alcune teorie della fisica moderna e applicazioni volte alla ricostruzione dei vertici di
decadimento di particelle instabili a partire dalla ricostruzione delle traiettorie delle
particelle cariche prodotte dal decadimento della particella originaria, nell’ambito degli
esperimenti ospitati attorno all’acceleratore LHC, Large Hadron Collider, al CERN di
Ginevra.
La tecnologia di integrazione CMOS, si è molto sviluppata negli ultimi anni per
applicazioni di rivelazione di luce visibile entrando in competizione con le altre tecnologie
quali CCD, Charge Coupuled Device, SDD, Silicon Drift Device. Il suo punto di forza,
data la sua elevata capacità di integrazione è la possibilità di costruire sullo stesso sensore
un vero e proprio Sistem-on-chip, in quanto sullo stesso substrato, all’interno di ogni
singolo pixel, oltre alla parte fotosensibile viene inserita anche la circuteria di
elaborazione, garantendo una elevata risoluzione spaziale e una ridotta dissipazione di
potenza. Inoltre, tale tecnologia è in continuo sviluppo perché è la stessa utilizzata nella
produzione su larga scala di circuiti integrati come memorie e microprocessori, e ciò, ha un
grande impatto sui costi di produzione che risultano molto minori rispetto ad altre
tecnologie che necessitano di processi specifici. Il lavoro svolto fino a oggi, nell’ambito
del progetto RAPS, ha visto la progettazione e la caratterizzazione sia elettrica che
funzionale di due prototipi di sensore RAPS01 e RAPS02, e la realizzazione di una terza
versione RAPS03.
La caratterizzazione spaziale ed energetica di RAPS02 sono state parte integrante del mio
lavoro di tesi, in particolare sono stati effettuati dei test sottoponendo il sensore a sorgenti
laser aventi differenti lunghezze d’onda (1060nm, 783nm e 407nm) evidenziando le
diverse risposte ottenute su alcune matrici realizzate nel chip in esame: G1P0L, G1P0 e
G1P1. Per effettuare questo studio si dispone di un’attrezzatura specifica che verrà
5
illustrata nei capitoli a seguire. In particolare, nel primo capitolo viene introdotto il chip
RAPS02 corredato della sua struttura e del funzionamento dei pixel APS.
Nel secondo capitolo sono riportati gli strumenti hardware e software necessari per
l’analisi dei dispositivi.
Nel terzo capito è illustrato il banco ottico corredato da alcune nozioni teoriche alla base
del funzionamento delle sorgenti laser e dell’ottica impiegata volte a giustificare il setup
adottato.
Nel quarto capitolo sono riportati i risultati ottenuti e le modalità tramite le quali sono stati
ricavati, in particolare viene esposto il confronto tra le risposte delle matrici G1P0L e
G1P0, caratterizzate da una diversa spaziatura dei pixel, e il confronto tra le risposte delle
matrici G1P0 e G1P1, caratterizzate da una diversa struttura interna, sottoponendole
all’irradiazione tramite le sorgenti laser a 1060nm, 783nm e 407nm.
6
Χαπιτολο 1.
I sensori di radiazione a stato solido
1.1 Principi di funzionamento
Albert Einstein formulò una nuova teoria della luce basata sull'ipotesi che le radiazioni
elettromagnetiche (luce) sono costituite da quanti di energia, chiamati poi da Compton
fotoni. I quanti di energia, o fotoni, che compongono la radiazione, attraversando un
materiale, possono, con una certa probabilità, interagire con gli atomi che lo compongono
trasferendovi energia che si manifesta sotto forma di quantità di moto trasferita all’atomo
stesso, o, se l’energia è sufficiente, come rottura di un legame covalente tra quelli degli
elettroni più esterni liberandone uno dall’atomo e acquisendo la restante sotto forma di
energia cinetica. L’atomo diventa così uno ione (da cui il nome di radiazioni ionizzanti) e
l’elettrone, o meglio il foto-elettrone come viene talvolta chiamato onde indicarne
l’origine, può viaggiare nel materiale sino alla ricombinazione o addirittura sfuggire da
esso. Altri tipi di radiazione ionizzante sono le particelle α e β emesse da isotopi
radioattivi; gli effetti che si producono al passaggio attraverso un sensore di silicio non
sono molto dissimili da quanto descritto per i fotoni, con generazione di cariche a seguito
della ionizzazione degli atomi.
Questi fenomeni sono alla base del funzionamento dei dispositivi elettronici. La
realizzazione di sistemi elettronici così complessi è stata possibile dal continuo sviluppo
dei processi tecnologici.
7
1.2 La tecnologia di integrazione CMOS
Per molti anni la tecnologia MOS complementare veniva utilizzata soltanto in alcuni
circuiti integrati con bassa scala di integrazione, questo perché tramite la suddetta
tecnologia la realizzazione era più complessa e costosa, in quanto erano richiesti sia
transistori NMOS e PMOS integrati sullo stesso substrato. Con gli anni la diminuzione
delle dimensioni delle porte logiche portò la scala di integrazione ad aumentare sempre di
più il numero di elementi che si riuscivano a inserire sulla stessa superficie, e il limite al
progetto divenne l’elevata potenza statica dissipata utilizzando dispositivi NMOS. Per
ovviare a questo problema l’industria cominciò ad adottare la tecnologia complementare,
che ora è divenuta lo standard per la realizzazione di circuiti integrati.
Per quanto concerne lo sviluppo di sensori di radiazione a stato solido, questa tecnologia non ha
avuto un approccio immediato, in quanto, l’alta densità di drogaggio del substrato su cui essi
vengono implementati, non ha consentito una diretta conversione e raccolta della carica
fotogenerata in un segnale elettrico di semplice elaborazione, a causa dell’elevato rumore
interferente.
Con l’evoluzione tecnologica di fabbricazione si è riusciti poi a realizzare sensori attivi,
Active Pixel Sensor, sfruttando la possibilità di affiancare all’elemento sensibile una parte
dell’elettronica di amplificazione, a vantaggio del rapporto segnale/rumore, realizzando in
questo modo dei Sistem-on-chip. Oggi la tecnologia commerciale permette di costruire
circuiti integrati con lunghezza di gate inferiore addirittura ai 65 nm.
Il sensore predisposto presenta così una limitata superficie occupata e una ridotta quantità
di potenza dissipata e risulta ideale per la progettazione di un rilevatore di radiazione
ionizzante ad alte prestazioni.
La riduzione del nodo tecnologico permette l’implementazione di amplificatori in grado di
compensare la bassa efficienza di raccolta, nonché di implementare sullo stesso substrato i
circuiti di lettura ed elaborazione dei dati, sia digitale che analogica. È possibile ad
esempio creare sensori d’immagine che presentino in uscita l’immagine acquisita già
digitalizzata e/o addirittura compressa. Inoltre i sensori APS, possiedono altri vantaggi:
velocità di lettura elevata, a differenza dei CCD ed elevata tolleranza alla radiazione,
ridotte dimensioni dei transistor, ossidi molto sottili, possibilità di utilizzare architetture
dedicate di tipo radiation resistant o enclosed gate e c’è la possibilità di effettuare insieme
il triggering, rilevamento del passaggio di una particella e il positioning, determinazione
8
del punto d’impatto della particella [2]. Per i prossimi anni si prevede un forte sviluppo
della ricerca in questo campo, soprattutto grazie agli ottimi risultati che la tecnologia
CMOS ha finora raggiunto.
1.3 Il pixel APS
La struttura di un pixel APS, è riportato in figura 1.1 insieme al relativo layout. Si possono
notare in particolare il diodo che viene usato come elemento sensibile e tre transistor che
formano il circuito di preamplificazione locale del segnale: reset, amplificazione/buffer
dell’uscita, abilitazione alla lettura, tutto all’interno di pochi μm2.
Figura .1 Funzionamento dei pixel APS.
Il funzionamento si basa sul principio dell’integrazione di carica. Al transistor di Mrst è
applicato un segnale periodico di reset, con un duty cycle all’incirca del 10%, in modo che
quando questo si mantiene a un livello logico alto permette al diodo di polarizzarsi in
inversa e alla tensione al nodo FTD di raggiungere il valore di VDD-Vth, con Vth la tensione
di soglia del transistore di reset. Quando il segnale di reset torna al livello logico basso,
figura 1.2, dapprima la tensione del nodo scende di poche decine di mV, a causa degli
accoppiamenti capacitivi con il gate del MOS di reset, e poi si mantiene praticamente
costante, trascurando la piccola diminuzione dovuta alla sola corrente al buio (dark
current). Se invece passa radiazione ionizzante, la tensione di FTD diminuisce
sensibilmente, tipicamente di parecchie decine di mV come mostrato nella figura 1.2. La
variazione ottenuta viene riportata al nodo OUT del source follower, dove viene letta la
tensione, prima dell’applicazione successiva del reset, ottenendo le informazioni sul
passaggio della particella o della radiazione ionizzante[2].
9
Figura .2 Andamento della tensione al catodo del fotodiodo al passaggio di una particella β.
1.3.1Il chip RAPS02
Nell’ambito del progetto RAPS, finanziato dall’INFN, il cui scopo è la realizzazione ed il
test di sensori di radiazione integrati in tecnologia CMOS e basati su matrici di pixel attivi
per la rilevazione di particelle ionizzanti, sono stati prodotti tre prototipi di chip denominati
RAPS01, RAPS02 e RAPS03. Il lavoro che verrà presentato nei capitoli successivi
riguarda il chip RAPS02 che è attualmente in fase di test ed è quindi di questo prototipo
che viene ora riportata la descrizione.
La tecnologia con cui è stato realizzato il chip RAPS02 è la UMC 0.18μm CMOS
Mixed/Mode 1P6M, senza strato epitassiale, scelta dettata tra l’altro dall’analisi dei
risultati delle simulazioni che avevano evidenziato un vantaggio in termini di formazione
del segnale rispetto alla tecnologia con strato epitassiale [2]. Nella figura 1.3 si possono
vedere due fotografie del chip RAPS02 in una delle quali sono evidenziate le matrici di
pixel attivi testate. Partendo dall’alto a destra si nota la matrice denominata G1P0 Large,
evidenziata in rosso, la matrice denominata G1P0 che è marcata in blu, la matrice
denominata G1P1 in verde e una matrice di test più piccola evidenziata in giallo. Queste
matrici non sono le sole nel chip, ce ne sono altre che sono denominate WIPS e SHARPS
acronimi per Weak Inversion active Pixel Sensor e Self-resetting High gain Active
10
Radiation Pixel Sensor. Si darà ora una descrizione dettagliata delle matrici utilizzate
durante questo lavoro, mentre per le altre si rimanda a [3].
Figura .3 RAPS02 con evidenziate le diverse matrici utilizzate nei test.
1.3.2Le caratteristiche delle matrici APS
Il chip RAPS02 è stato dotato di diverse matrici perché in fase di progetto si è deciso di
effettuare dei test su più soluzioni, al fine di determinare le configurazioni ottimali a
seconda delle specifiche applicazioni. In figura 1.1 è possibile osservare lo schema
elettrico e il layout del pixel APS che compone le matrici 32x32 all’interno del chip. La
caratteristica tecnologica che cambia nelle tre tipologie di pixel realizzate è la distanza tra
pixel adiacenti (passo o pitch) e l’utilizzo o meno in fase di processo del p-well–blocking
layer. Quest’ultimo in sostanza è definito da una maschera che modifica il profilo dei
drogaggi con cui è realizzato il fotodiodo. Nel caso in cui sia stata utilizzata, la tasca di
tipo n del catodo risulta distanziata dalla p-well in cui è realizzata l’elettronica di tipo
NMOS e il contatto di anodo del diodo stesso, cosicchè il fotodiodo diventa lateralmente
costituito da una giunzione del tipo n+/p/p+[2]. In caso di assenza del p-well–blocking
layer, invece, la p-well arriva sino a contatto della tasca di tipo n. Nella figura seguente
viene schematizzata la struttura interna delle due modalità di integrazione.
Figura .4 Schematizzazione delle diverse strutture interne che caratterizzano le matrici G1P0 e G1P1.
11
La caratteristica topologica invece riguarda la distanza reciproca dei pixel. In una delle tre
matrici 32x32 e nella 3x3, i pixel sono distanziati l’uno dall’altro di 12μm, imponendo un
passo della matrice che è poco al di sopra di 16μm. La tabella 1.1 riassume le
caratteristiche per le matrici testate mentre la figura 1.5 mette in risalto la differenza
topologica delle matrici a pixel con e senza spaziatura[2].
G1P0L G1P0 G1P1 3x3
N° Pixel 1024 1024 1024 9
Pitch 12μm Presente Non presente Non presente Non presente
P-well-block Non presente Non presente Presente Presente
Anello di
polarizzazionePresente Presente Presente Presente
Tabella 1.1 Caratteristihe salienti delle matrici in esame
Figura .5 Particolare del layout in caso di presenza e assenza, rispettivamente, del pitch di 12μm.
La filosofia che sta alla base delle scelte progettuali che sono state effettuate è quella di
variare un solo parametro per volta tra le varie matrici da testare cosicchè lo stesso
esperimento ripetuto su diversi dispositivi può indicare quanto i cambiamenti influenzano
il funzionamento di tale dispositivo. Per quanto riguarda la lettura dei dati delle matrici,
questa avviene in due modi differenti. Una modalità chiamata statica prevede la selezione
esterna degli indirizzi di riga e colonna del pixel che si vuole leggere; fornendo il clock
utilizzato per il reset, si visualizza l’uscita del pixel selezionato. La seconda modalità,
automatica, prevede l’invio automatico da parte della logica di controllo degli indirizzi dei
12
pixel, cosicchè il segnale di output venga inviato in maniera seriale in uscita. Ogni pixel
viene letto ogni 1024 cicli di clock e ogni riga viene resettata alla fine della lettura
dell’ultimo pixel che gli appartiene. L’intero frame viene quindi completato dopo 1024
cicli di clock, dopodichè la lettura ricomincia dal primo pixel [3].
Figura .6 Il grafico riporta il meccanismo di lettura dei pixel con clock fornito dall’esterno e lettura
automatica della matrice.
La figura 1.6 mostra il meccanismo al variare del tempo e quindi in funzione dei cicli di
clock (ck) del dispositivo. I valori di tensione dei pixel di tutta una riga sono inviati
parallelamente ai 32 amplificatori posti sulle colonne, portando a livello logico alto la linea
di selezione corrispondente. I valori in uscita dagli amplificatori vengono poi convogliati
verso il buffer dell’uscita analogica e inviati a 32 comparatori che generano l’uscita
digitale. In modalità automatica il reset che ricarica i pixel viene generato dalla logica di
controllo e inviato ai pixel riga per riga subito dopo la lettura. La caratteristica di
trasferimento degli amplificatori può essere modificata agendo sulla stringa di bit che
pilota gli elementi necessari alla loro alimentazione. Variando questi bit, infatti, si cambia
la polarizzazione degli amplificatori e quindi il loro punto di lavoro. Le configurazioni di
polarizzazione che sono finora state testate sono la lineare, ottima e new ottima; dai
risultati dei precedenti test si è verificato che quella lineare permette di apprezzare l'effetto
della radiazione direttamente al fotodiodo ed è questa la modalità usata nel corso dei test
oggetto di questo lavoro. Per maggiori informazioni riguardo alle modalità di lettura dei
dati dalle matrici e alle polarizzazioni degli amplificatori si rimanda a [3]. Infine, la
13
matrice 3x3 ha le uscite dei nove pixel indipendenti e disponibili su nove pin della scheda;
non ha nessuna logica di scansione automatica ed è generalmente utilizzata per testare i
singoli pixel permettendo uno studio temporale delle caratteristiche. Tuttavia per
visualizzare contemporaneamente i segnali di output della matrice si necessita di un
oscilloscopio con elevata banda passante. Il suo utilizzo è comunque strettamente legato
all'attività di caratterizzazione della sorgente laser come vedremo nei successivi capitoli.
14
Χαπιτολο 2.
Strumentazione utilizzataNel presente capitolo si darà una descrizione dettagliata della strumentazione utilizzata
nella fase di test.
2.1 Il banco ottico
Nel laboratorio dell’Istituto di Fisica Nucleare dell’Università di Perugia è presente un
banco ottico utilizzato per i test effettuati sul chip RAPS02. Tale banco è costituito da un
piano delle dimensioni di 120cm per 90cm, alto da terra 70cm (STANDA modello1HB09
-12-07, peso complessivo di circa 100kg). Il piano è provvisto di fori che si trovano agli
angoli di un reticolo i cui quadrati misurano 2,5cm per lato. È possibile fissare i supporti e
i binari che permettono l’utilizzo degli elementi ottici su questo sistema di fori (figura 2.1).
Il piano è chiuso in una struttura metallica a forma di parallelepipedo (117x88x80 cm) che
permette di isolare il contenuto del banco ottico dall’ambiente esterno sia relativamente
alle onde elettromagnetiche esterne (ponendo a massa la struttura) sia, cosa ancora più
importante per i test effettuati, dalla luce ambientale. La struttura ha quattro pareti fisse: tre
laterali verticali e una orizzontale in alto. L’ultima parete è fissata con quattro viti con la
testa a manopola, che ne rendono agevole lo smontaggio per l’accesso al piano. Una delle
pareti più corte presenta un’apertura dalla quale è possibile far entrare all’interno del banco
ottico tutti i cavi necessari al funzionamento del setup (alimentazioni, segnali di clock, cavi
per l’acquisizione dei segnali ecc.).
15
Figura .7 Tavolo STANDA 1HB09-12-07, di dimensioni 120x90 cm, peso circa 100kg.
Questa struttura è stata costruita presso l’officina meccanica del Dipartimento di Fisica
come anche il supporto, che permette di sostenere il piano del banco ottico, fornito di
piedini di gomma per isolare dalle vibrazioni del pavimento tutto il sistema [1]. Per
maggiori dettagli si rimanda alla tesi [4]. I supporti utilizzati per fissare e rendere agevole
il movimento degli elementi ottici per la costruzione dei cammini ottici utilizzati in fase di
test sono prodotti dalla PI (Physik Instrumente).
2.2 Elementi meccanici
Per il bloccaggio e l’utilizzo delle ottiche sul banco si sono impiegati dei binari della PI. A
questi dispositivi è possibile agganciare agevolmente supporti per le ottiche tramite le slitte
di cui sono provvisti. Tali supporti sono formati da un tubo esterno (post holder) che
contiene un elemento interno (post) in alluminio, in grado di scorrere telescopicamente
all’interno del post holder, in maniera da adattare facilmente l’altezza a cui dovrà lavorare
l’elemento supportato come visibile in figura 2.2.
Il post holder è provvisto di manopole per il bloccaggio del post, i quali sono forniti di un
perno filettato, sul quale è possibile avvitare i vari supporti su cui sono fissati gli elementi
ottici. Nel corso dell’allestimento del banco ottico è stato necessario far costruire
dall’officina del Dipartimento di Fisica dell’Università di Perugia alcuni elementi che
hanno agevolato il posizionamento dei diversi gruppi ottici.
Sono molto utili anche gli stage traslatori utilizzati per il microposizionamento degli
elementi. Questi sono formati da slitte in grado di scorrere su un elemento che è possibile
fissare al banco ottico e che hanno un sistema di micromovimentazione con un range
massimo di 1,5cm e un passo minimo leggibile su una scala graduata di 10μm [1].
16
Figura .8 Post holder e post. Si notano le manopole per il bloccaggio del post, il perno filettato e la slitta con
il sistema di aggancio al binario del banco ottico.
2.3 Elementi ottici
Si darà ora una descrizione sommaria dei vari elementi ottici utilizzati per i test. Per
l’utilizzo che si è fatto di ogni elemento si rimanda al capitolo relativo alla descrizione
dell’allestimento del banco ottico.
· Lente LINOS 31 2328 (329) (materiale N-BK7), la distanza dalla superficie piana
alla quale si forma l’immagine è di circa 980mm nel visibile e 1000mm @ 1,06nm;
con il montaggio 06 3828, DIA 25,4mm, il diametro utile del montaggio @ 24
mm[1];
· obiettivo plan apocromatico Nachet modello N-20 ラ -APO-IR, elemento che
garantisce la bidirezionalità dei raggi luminosi, corretto per annullare la curvatura
del campo visivo e minimizzare le aberrazioni cromatiche e geometriche[1];
· Filtri Thorlabs serie NDA (materiale BK7), con diametro di circa 25mm e
spessore di circa 1mm (senza il supporto) con banda di lavoro compresa tra 350 nm
e 1200 nm, i filtri a disposizione permettono di fornire attenuazioni tra 1dB e 40dB.
17
2.4 Driver del laser PDL 800-B
L’impulsatore scelto per pilotare la testa laser è prodotto da PicoQuant (figura 2.3) ed è
specificatamente progettato per pilotare diodi laser della serie LDH, LDH-C e PLS
subnanosecond pulsed LED, fino ad una potenza di picco di poco più di 1W, è in grado di
produrre impulsi della larghezza temporale di circa 50ps utilizzando come trigger un
segnale interno ricavato da un clock di 80MHz che può essere diviso per 1, 2, 4, 8 o 16
operando la scelta tramite un selettore sul pannello, oppure un segnale esterno tramite un
ingresso accessibile dal pannello frontale attraverso un BNC che presenta una impedenza
di ingresso di 50Ω ed accetta segnali compresi tra -5V e +5V, il livello di trigger è
regolabile tra -1V e +1V.
È anche disponibile un segnale di uscita che genera un impulso negativo in corrispondenza
dell’impulso laser (< −800mV su 50Ω). L’intensità del laser è modulabile tramite una
manopola con scala da 0 a 10 con un passo di 0,01 u.a.[1].
Figura .9 Driver del laser PDL 800-B
2.5 Teste laser utilizzate
Ai fini di questo lavoro di tesi sono state utilizzate tre sorgenti laser PicoQuant con le
lunghezze d’onda di 1060nm, 783nm e 407nm. In seguito si riportano le caratteristiche
salienti corredate dalle figure delle teste laser.
18
λnominale Po_max fmax Model No. Minimum Pulse Width
1060nm 26mW 80MHz LDH-P-1060 59ps
Tabella 2 Caratteristiche salienti della sorgente a 1060nm
Figura .10 Sorgente laser a 1060nm
λnominale Po_max fmax Model No. Minimum Pulse Width
783nm 17mW 80MHz LDH-P-785 68ps
Tabella 3 Caratteristiche salienti della sorgente a 783nm
Figura .11 Sorgente a laser 783nm
19
λnominale Po_max fmax Model No. Minimum Pulse Width
407nm 2mW 80MHz LDH-P-405 88ps
Tabella 4 Caratteristiche salienti della sorgente a 407nm
Figura .12 Sorgente laser a 407nm
Per la caratterizzazione geometrica ed energetica delle sorgenti esposte si rimanda alle tesi
[1], [2] e [7].
2.6 Stadi traslatori motorizzati PI M-410-CG
Come stadi traslatori motorizzati si è scelto il sistema M-410-CG di Physik Instrument (in
figura 2.9) composti da tre carrelli identici di 30cm dotati di slitte a precisione
micrometrica, due montati a costituire il piano trasversale (XY) di alloggio della board
dove è collocato il chip e agganciati all’ultimo, poggiato longitudinalmente sul piano di
lavoro, in linea con l’asse ottico (Z) del sistema. I tre motori sono pilotati tramite tre
controller che si interfacciano alla porta seriale di un PC ai quali è possibile inviare
comandi di movimento tramite un software dedicato fornito dal produttore oppure tramite
un software scritto in LabView. Il movimento minimo con cui questi traslatori riescono a
spostarsi è di 0,2μm con un passo di 0,0035μm. L’errore di posizionamento dipende dal
movimento che si fa compiere ai motori[1].
Sono infatti definiti due tipi di errore di ripetibilità da datasheet:
20
· errore bidirezionale max = 0,1μm (point1 → point2 → point1), causato da
spostamenti che si susseguono non mantenendo una direzione unica di lavoro[1].
· errore monodirezionale max = 0,2μm (home → point1 → home →point2),
causato dal raggiungimento di una precisa coordinata permettendo al motore di
tornare al riferimento iniziale, per poi raggiungere il punto desiderato[1].
La differenza che intercorre tra le due modalità di moto risiede nell’errore di battuta vite,
commesso al primo movimento: prima che gli ingranaggi risultino in tensione, esiste un
gioco tra le filettature delle parti meccaniche.
Tale gap non si può assorbire continuando a muoversi nella stessa direzione dell’errore, in
quanto solo il movimento iniziale ne risulta affetto. Si tratta comunque di un errore
ripetibile, come è stato verificato durante le misure, quindi è stato possibile caratterizzarlo
e correggerlo in fase di elaborazione dei dati. La seconda modalità di movimento, invece,
affligge ogni moto dello stesso errore assoluto di battuta iniziale, eliminando in pratica
l’errore relativo tra tutti gli spostamenti[1].
Figura .13 Stadi traslatori motorizzati PI M-410-CG.
2.7 Scheda di test per il chip
Per alloggiare il chip RAPS02 ai fini della sua caratterizzazione elettrica e funzionale sono
state realizzate due schede a componenti discreti di tipo PCB (Printed Circuit Board), la
21
scheda più grande è quella che contiene il maggior numero di componenti elettronici ed è
la stessa utilizzata per il chip RAPS01; essendo simili le necessità dei due chip si è scelto
di riutilizzare la vecchia board progettando solo una scheda di interfacciamento tra
l’alloggiamento del RAPS01 e il RAPS02 prelevando dai pin della prima board tutti i
segnali riutilizzabili (alimentazioni, clock, segnali di indirizzamento digitali). Non è nello
scopo di questa tesi una dettagliata trattazione della mappatura dei segnali per la quale si
rimanda alla tesi di Gino Cannistraro [5] e a quella di Daniele Biagetti [3] che affrontano il
problema in maniera più precisa e completa. Nella figura 2.10 è raffigurato il fronte e il
retro dell’insieme delle due schede. La schedina che permette l’innesto del chip è quella
che presenta i sei connettori BNC. Dietro questa scheda c’è un sistema di collegamenti
perpendicolare ai piani delle due schede che permette di collegare lo zoccolo per RAPS01
che si trova sulla scheda più grande, con la scheda per RAPS02. Il “sandwich” delle due
schede è alloggiato su un supporto plastico che ne permette il fissaggio sui motori tramite
viti[1].
Figura .14 Scheda per l’interfacciamento e il supporto di RAPS02.
Nella fotografia a sinistra si nota la scheda di adattamento della vecchia board progettata
per il primo chip da cui esce il cavo a fascia; si nota in particolare lo zoccolo nero su cui va
innestato RAPS02. A destra il retro della scheda in cui è possibile notare gli switch
necessari per il controllo delle funzioni del chip.
2.8 Fotodiodi utilizzati
Per la caratterizzazione del chip sono stati utilizzati due fotodiodi differenti, resi necessari
dalle lunghezze d’onda in gioco, in modo da quantificare piuttosto obiettivamente, energia
e numero di fotoni incidenti sulla sua superficie del sensore. I dispositivi utilizzati nella
caratterizzazione delle teste laser sono il fotodiodo Det25K/M della Thorlabs e il fotodiodo
PIN 818-BB 40 della Newport riportati nelle figure seguenti.
22
Figura .15 Fotodiodo Det25K/M della Thorlabs
Figura .16 Fotodiodo PIN 818-BB 40 della Newport
La tensioni di lavoro sono rispettivamente di 5V e 24V, fornite tramite una batteria interna
di tipo A23. Il segnale d’uscita è presentato, in entrambe i fotodiodi ai capi di un
connettore BNC con un’impedenza caratteristica di 50Ω.
La responsività che differenzia i dispositivi è riportata nelle figure sottostanti, dove sono
evidenziate le zone di lavoro di nostro interesse.
23
Figura .17 Responsività del fotodiodo DET25K, e in evidenza, zona di lavoro d'interesse. A 407nm R = 0,131 A/W.
Figura .18 Responsività del fotodiodo PIN-818-BB della Newport
24
Il segnale di uscita del connettore BNC è pari alla foto-corrente in uscita dall'anodo del
fotodiodo ed è funzione della potenza (P) e della lunghezza d'onda del fascio luminoso
incidente (λ). La tensione di uscita può essere valutata tramite un oscilloscopio ed è
proporzionale alle grandezze suddette tramite la seguente :
VOUT = P * R(λ) * RLOAD
Dove la RLOAD consigliata è appunto di 50Ω per ottenere la massima efficienza spettrale e
la R(λ) è la responsività spettrale del fotodiodo.
2.9 Oscilloscopio Agilent INFINIIUM 54831D MSO
Questo strumento (Fig. 2.6) dispone di quattro canali analogici con una larghezza di banda
di 600 MHz ed è in grado di raggiungere la frequenza di campionamento di 4GSa/s
utilizzando due canali oppure 2GSa/s nel caso si usino più di due canali
contemporaneamente, la memoria ha una profondità di 2 milioni di punti per ognuno di
essi. Accanto ai quattro canali analogici lo strumento dispone di un ingresso al quale è
possibile collegare sino a 16 segnali digitali. Tra le dotazioni hardware troviamo un driver
floppy, un lettore CD-ROM, l’interfaccia Ethernet, GPIB, seriale, USB, una tastiera e un
mouse ottico. Lo strumento è provvisto di un proprio software per la gestione e l’utilizzo
dell’hardware dedicato all’acquisizione dei dati che girano sotto Windows XP. Questo
sistema operativo è caricato infatti nella macchina e si occupa di gestire il resto
dell’hardware oltre che di offrire l’ambiente grafico comune ai PC che lo rende di facile
utilizzo e prontamente configurabile per l’inserimento in LAN. Il software di acquisizione
ed elaborazione dei dati acquisiti possiede molteplici configurazioni di trigger ed una
varietà di funzioni che permettono di elaborare in tempo reale i dati acquisiti (misure di
frequenza, periodo, ampiezza, transitori, FFT, integrazione, produzione di istogrammi
ecc.). Si è dimostrato indispensabile sia nella fase di collaudo che nelle successive sessioni
di misura. La presenza di un hard disk interno permette di salvare grandi quantità di dati in
maniera del tutto automatica in relazione ad un evento di trigger, caratteristica questa che
ha permesso di lasciar operare lo strumento anche per giorni per poi recuperare i dati
acquisiti che vengono salvati in file a cui l’oscilloscopio assegna un nome in base ad una
stringa assegnata dall’utente e un suffisso che è un numero incrementato ad ogni
salvataggio. Occorre dire comunque che, in fase di rilettura dei dati salvati, è stato svelato
un bug probabilmente di origine software.
25
L’anomalia si presenta quando si tenta di salvare i dati provenienti da più tracce in un file
.txt e porta ai seguenti errori: il file presenta una colonna di valori in notazione
esponenziale per ogni canale salvato, in cui:
- il 1° canale è salvato correttamente
- il 2 e 3 mancano dell’ultimo campione
- il 4 presenta tutti i valori slittati di una riga verso il basso e il primo campione è
ripetuto due volte. Tale bug è stato risolto via software [1].
Figura .19 Agilent INFINIIUM 54831D MSO
2.10 Schlumberger 4415 2 MHz Function Generator
Il Schlumberger 4415 2 MHz Function Generator è un generatore di segnale in grado di
presentare in uscita alcune forme d’onda: quadra, triangolare, sinusoidale. La frequenza
massima a cui è in grado di lavorare è di 2 MHz. È possibile variare la frequenza della
forma d’onda, tramite un selettore di frequenza e un moltiplicatore; si può anche
modificare il valore medio delle forme ecc..[1].
2.11 HP 8082A Pulse Generator
Questo strumento (Fig. 2.7) è in grado di generare forme d’onda quadre o impulsive.
Lascia all’utente una grande libertà di impostazioni riguardo alle caratteristiche come il
tempo di salita, la curvatura del ginocchio, il dutycycle, l’ampiezza, l’offset ecc. che il
segnale dovrà assumere. È in grado di generare segnali ad una frequenza massima di 500
MHz[1].
26
Figura .20 HP 8082 A Pulse Generator
2.12 Alimentatore GPC – 3030D
È un alimentatore della Good Will, modello GPC – 3030D (in figura 2.8) digitale con due
uscite variabili da 0V a 30V con corrente massima regolabile sino a 2A, che possono
lavorare indipendentemente, in serie ed in parallelo ottenendo le configurazioni:
Indipendenti Serie Parallelo
2 x 0 ÷ 30V, 2A max 0 ÷ 60V,2A max 0 ÷ 30V, 4A max
Tabella 5 Caratteristiche alimentatore GPC – 3030D
oltre a una uscita fissa a 5V e 3A max. Sia il valore della corrente che quello della tensione
possono essere visualizzate sui due display da 3,5 cifre. Il rumore sulle alimentazioni
fornite varia a seconda della modalità in cui si utilizza lo strumento, sinteticamente:
Figura .21 Alimentatore GPC- 3030D
-5V fixed output: 2 mV RMS
-Constant voltage operation: 1 mV RMS, 5Hz÷MHz
27
-Constant current operation: 3 mA RMS
2.13 Personal Computer
Il laboratorio è dotato di un PC su cui sono montate tre schede di acquisizione della
National Instruments: la PCI-DIO-96, la PCI-6503 e la NI 6014. Le caratteristiche di tale
macchina sono:
· Processore: Intel Pentium 4 2000 MHz Level 1 Cache: 8KB + 12KB (data + instr.)
Level 2 Cache: 512 KB
· Motherboard: VIA TECHNOLOGIES, INC. P4X266E-8235
· Memoria RAM: 1 Modulo 512MB PC2100 DDR SDRAM (Nanya Technology)
· Memoria fisica: 1 Floppy 1.44 MB (3.5”) HDD 1: 76.33GB Maxtor 6Y080L0
HDD 2: 114.50 GB Maxtor 6Y120L0
· CD/DVD: 48x PHILIPS CDD69Video:
· Scheda video: ATI Radeon 7000 Series (RV100) 64 MB
· Monitor: Samsung LCD 17 pollici11
· Video: Scheda video: ATI Radeon 7000 Series (RV100) 64 MB
Monitor: Samsung LCD 17 pollici
· Sistema operativo: MS Windows 2000 Professional (5.0.2195 Service Pack 4)
A questo PC sono inoltre collegati i tre controller dei motori micrometrici (cfr. 2.4). Questa
macchina è stata quindi utilizzata per effettuare l’acquisizione dei dati e parte della
elaborazione mediante i software descritti nella prossima sezione[1].
2.14 LabVIEW
Dall’ing. Daniele Biagetti (cfr. [3]) è stato creato con LabVIEW di National Instruments
un software che permette di acquisire i dati delle matrici32x32. Tale software è stato
ampiamente utilizzato durante i test effettuati per questa tesi. Peraltro nel corso dei lavori è
stato integrato nel suddetto software un modulo aggiuntivo che permette il controllo dei
motori tramite istruzioni pianificate o macrooperazioni, il controllo manuale dei motori.
Prima di descrivere il software si darà una breve descrizione dell’hardware della National
Instruments che s’integra con LabVIEW per l'acquisizione[1].
28
2.14.1L'hardware
La scheda utilizzata (E Series NI 6014., cfr. [6]) appartiene alla classe di schede di
acquisizione dati (DAQ) analogico/digitali, permettendo l’input e l’output di segnali sia
digitale che analogico. In particolare il dispositivo in questione possiede un connettore a 68
pin su cui sono presenti 16 linee di ingresso analogiche che possono funzionare come 16
canali separati con un unico livello di riferimento (modalità NRSE con riferimento di
tensione sul pin AISENSE) o come 8 ingressi differenziali se usati in coppie (modalità
DIFF) con 16 bit di risoluzione. Vi sono inoltre due canali di uscita analogici sempre con
16bit di risoluzione, e 8 linee digitali di I/O TTL compatibili. La figura 2.9 illustra lo
schema a blocchi del circuito di acquisizione della NI 6014 da cui si vede che le linee di
ingresso vengono multiplexate verso l’ADC ed il circuito di trigger analogico, da cui ne
consegue che i 200 kSa/s, che il produttore dichiara come la massima velocità di
campionamento che l’ADC ad approssimazioni successive può raggiungere, si dividono
per il numero di canali che si vuole acquisire. Il trigger su un canale analogico impone che
l’acquisizione avvenga solo su questo, ma si può usare, in alternativa, uno degli otto
ingressi digitali. Ciò elimina tale limitazione, queste otto linee infatti possono essere
configurate sia come uscite che come ingressi di determinati segnali di temporizzazione
(quali trigger e sample clock)[1].
Figura .22 NI 6014 Analog input circuit
2.14.2Il software per l'acquisizione
LabVIEW [6] è l’acronimo di Laboratory Virtual Instrumentation Engineering Workbench.
Si tratta di un linguaggio di programmazione visuale denominato G specificatamente
orientato allo sviluppo di strumenti virtuali, quindi all'acquisizione (ma anche alla
generazione) di segnali e alla loro visualizzazione ed elaborazione soprattutto a scopo di
misura. Si integra quindi perfettamente con le schede di acquisizione della NI e possiede
una serie di strumenti per la comunicazione con hardware di altro tipo (porte USB, RS232,
29
LPT, schede sonore, video ecc.). La programmazione come già accennato avviene per via
grafica: l’ambiente di sviluppo si compone infatti di un Block Diagram su cui si possono
piazzare le funzioni che permettono l’I/O e l’elaborazione dei dati accedendo agli elementi
del pannello. Tutti questi oggetti (funzioni comprese) appaiono come icone con ingressi ed
uscite che si possono collegare tramite “fili” creando così uno schema a blocchi nel quale
in fase di esecuzione i dati viaggiano da un blocco funzionale all’altro, dando vita
all’applicazione di un Panel su cui si possono posizionare gli oggetti attraverso il quale
l’utente può interagire con il Virtual Instrument (come interruttori, manopole, pulsanti
ecc.) e vedere i risultati (grafici, indicatori, numerici, ecc.). Il flusso di programma è
definito dalla maniera in cui i blocchi sono collegati e si susseguono nel diagramma,
tuttavia è possibile, tramite appositi “Box” che rappresentano le istruzioni condizionali
(while, if, ecc.), regolare la sequenza delle operazioni semplicemente racchiudendo in essi
parti di diagramma in funzione dei valori che assumono le variabili o gli eventi che
avvengono durante l’esecuzione del programma.
Figura .23 Interfaccia del software sviluppato in LabVIEW per l’acquisizione delle matrici APS 32x32.
La figura 2.10 mostra l’interfaccia del software per l’acquisizione utilizzato, che preleva il
segnale generato automaticamente dalla logica del chip impostato in lettura automatica
della matrice attraverso l’hardware National Instruments, descritto precedentemente.
30
Attraverso questo segnale la logica porta in uscita tutti i 1024 pixel con una frequenza
impostata dal reset fornito (tipicamente 50kHz) che viene utilizzato come clock per
l’acquisizione[1].
L’applicazione visualizza lo stato dei pixel della matrice su un grafico 3D. La prima
operazione che viene eseguita appena si lancia l’acquisizione è quella di calcolare su un
numero selezionabile di acquisizioni (impostato per default a 100) la media e la deviazione
standard del segnale letto per ogni pixel. Questo è il calcolo dei “piedistalli” cioè del valore
medio della caduta di ogni pixel al buio, che a causa di non idealità produttive è differente
da pixel a pixel. Le medie così calcolate vengono sottratte ad ogni acquisizione per tentare
di eliminare questa disuguaglianza tra i pixel[1]. La deviazione standard è misura
dell’inevitabile rumore di varia natura che affligge i pixel. Grazie a questo dato è possibile
impostare un trigger per l’acquisizione che permetta di memorizzare dati nei casi di eventi
in cui esiste almeno un pixel della matrice che supera una soglia pari alla deviazione
standard moltiplicata per un fattore di copertura selezionabile. Il software infatti permette
di scrivere su disco le uscite delle matrici che superano il trigger impostato. Le cadute dei
pixel della matrice acquisita vengono salvate su file testuale con valori in forma
esponenziale, misurati in V e disposti per riga. Non impostando nessuna soglia di caduta
vengono memorizzati tutti frame che vengono acquisiti. Prima dell’avvio dell’applicazione
è possibile scegliere la matrice da acquisire tra le tre matrici APS 32x32. È possibile infine
eliminare dal trigger colonne o righe che hanno comportamenti troppo rumorosi[1].
2.14.3Il software per il controllo dei motori
Il controllo dei motori può essere normalmente eseguito via PC tramite porta seriale, per
mezzo del software fornito dal produttore (PI Mercury NET Move). La realizzazione di un
software tramite LabView che possa gestire i motori fornisce il vantaggio di poter gestire
tramite la stessa interfaccia grafica acquisizione e movimentazione; inoltre risulta essere un
passaggio obbligato per l'integrazione di operazioni di acquisizioni pianificate, queste
ultime necessarie per un efficiente lavoro di misura. Ad esempio, prima dello sviluppo di
questo software, sono state realizzate delle misure che richiedevano tempi di acquisizione
di qualche ora e che normalmente comportavano l'esecuzione di una serie di operazioni
ripetitive con possibilità di errore umano proporzionali al tempo necessario alle misure
stesse (il che porta normalmente a riprendere le misure dall'inizio). Alcune misure non
potevano inoltre essere realizzate nell'arco di una giornata lavorativa, altre dovevano essere
31
realizzate in momenti della giornata in cui il rumore ambientale (le inevitabili vibrazioni
del banco ottico dovute al passaggio di auto o semplicemente i normali spostamenti di
persone nelle vicinanze del banco ecc) fosse minimo. Il software riproduce esattamente le
funzionalità del software PI Mercury NET Move le cui funzionalità principali sono esposte
nella tabella 2.2; in aggiunta permette appunto l'esecuzione di operazioni pianificate
sincronizzate con l'acquisizione. Ora verranno elencate una serie di operazioni possibili sia
tramite il software realizzato (la cui trattazione completa è rimandata in seguito) che in
quello fornito dai produttori degli stage motorizzati:
PI Mercury NET Move Software LabviewComando Parametro Comando Parametro
(tramite riga di comando)MR
N è negativo o positivo in
funzione della direzione di movimento
Premere uno dei due
pulsanti direzionali
Passo espresso in μm (scelto
tramite selettore)
Muove il motore
selezionato
(tramite riga di comando)DH -
Premere il pulsante
DH- Definisce la
‘casa’
(tramite riga di comando)GH -
Premere il pulsante
GH-
Riporta il motore
selezionato nella ‘casa’
(tramite riga di comando)AB - Premere il
pulsante AB -Blocca il
movimento del motore
(tramite riga di comando)TP -
Premere l’indicatore
sullo schermo
-
Restituisce la posizione relativa del
motoreTabella 6 Comandi dei software per il controllo dei motori
2.15 Software elaborati per l’analisi dei dati
Per l’analisi dei dati è stato utilizzato prevalentemente MATLAB. Questo strumento ben
noto in campo ingegneristico, e non solo, si è andato arricchendo sempre più di nuove
funzioni e tool che gli permettono di spaziare in ogni campo si faccia uso di matematica,
dalla biologia, alla finanza, alla statistica. Il cuore del programma è un interprete di
32
comandi, che implementa accanto alle istruzioni condizionali (if, then, while, ecc.) una
gestione dei dati molto potente.
Infatti, grazie soprattutto alla notazione vettoriale (non a caso MATLAB sta per MATRIX
LABORATORY), si possono manipolare matrici di dati in maniera agevole con una
sintassi piuttosto semplice ed intuitiva. La grande quantità di librerie di funzioni e
strumenti di cui è dotato (i cosiddetti TOOLBOX) sono all’origine della sua versatilità
inoltre la possibilità di scrivere funzioni permette di crearsi librerie ad hoc per i propri
scopi. A fronte della semplicità di utilizzo e scrittura agevole e di alto livello delle
funzioni, MATLAB presenta una notevole lentezza di calcolo che lo rende inutilizzabile
per grandi quantità di dati da elaborare, salvo ingegnarsi (quando possibile) nella scrittura
di algoritmi che cercano di minimizzare la memoria RAM e la complessità delle
operazioni[1].
33
Χαπιτολο 3.
Il Banco OtticoIn questo capitolo verrà illustrata la configurazione del banco ottico utilizzata durante i test
sul RAPS02. Verrà inoltre illustrata la metodologia con cui sono state caratterizzate le
sorgenti laser.
3.1 Caratteristiche del banco ottico
Lo scopo dei test eseguiti sul RAPS02 à quello di riuscire a determinare il limite di
sensibilità dell’oggetto al passaggio di particelle subatomiche. Nello specifico, si è cercato
di determinare la sensibilità al passaggio di una particella carica ionizzante al minimo
(MIP) (come descritto nel Cap. 1)[1]. L'idea alla base del setup che andremo a descrivere,
è di avere una configurazione del banco ottico con la quale sia possibile:
· stimolare le matrici presenti sul RAPS02 con una quantità di energia nota;
· controllare il numero di eventi che si possono raccogliere in una data unità di
tempo;
· avere la possibilità di stimolare una superficie molto piccola (diametro nell'ordine
dei μm), simulando così l'effetto di una MIP;
· avere la possibilità di stimolare zone del sensore con risoluzione micrometrica.
Quindi si è scelto di utilizzare una sorgente laser, che permette di soddisfare i primi due
punti, mentre l'utilizzo di un cammino ottico (che descriveremo a breve), in grado di
focalizzare il fascio laser su una superficie nell'ordine del micron, e l'utilizzo della
movimentazione micrometrica si adattano molto bene alle necessità espresse negli ultimi
due punti.
34
3.2 Sorgenti Laser
Una sorgente laser emette grazie alla quantizzazione dei livelli energetici relativi agli
orbitali di un atomo. Un elettrone che si trova ad un livello energetico superiore a quello
che occupa in condizioni normali, si dice “eccitato” e tenderà naturalmente a saltare ad un
livello inferiore, perdendo sotto forma di fotone una quantità di energia uguale alla
differenza energetica tra i due livelli. La durata media del periodo in cui un elettrone
rimane nello stato di eccitazione viene detta tempo di permanenza ed è caratteristica di
ogni materiale. Se durante il tempo di permanenza l’elettrone viene colpito da un fotone di
energia pari all’energia di transizione, allora verrà spinto a emettere un nuovo fotone
avente la stessa energia e quindi a transire al livello inferiore.
Guardando il fenomeno dal punto di vista ondulatorio (modellando cioè il fotone non come
particella ma come onda elettromagnetica) si può affermare che un elettrone eccitato che
viene investito da un fotone emetterà un’oscillazione coerente con quella incidente, ma di
ampiezza amplificata; quindi a fronte di una emissione spontanea (il primo fotone
considerato), si formeranno 2 fotoni (il primo fotone più il fotone emesso dal salto forzato),
oppure a fronte di un’emissione ondulatoria spontanea, si formerà un’oscillazione coerente
ma di ampiezza amplificata. Nella figura 3.1 è illustrato il fenomeno.
Normalmente, in una sostanza all’equilibrio termico, gli elettroni che si trovano nello stato
eccitato non sono sufficienti per generare più fotoni di quanti non ne riassorba la sostanza
stessa, e quindi non si ha emissione. Per provocare un’emissione, occorre aumentare il
numero degli elettroni eccitati fornendo energia dall’esterno. Questo fenomeno viene detto
inversione di popolazione. L’emissione della luce avviene solo se c’è un’inversione di
popolazione tale che il numero di elettroni eccitati cresca più di quanto decada a causa
dell’emissione stessa. Oltre al fenomeno di inversione di popolazione, occorre avere un
qualche sistema che permetta di amplificare e concentrare l’emissione prodotta dalla
sostanza.
L’emissione laser è legata alla selettività delle frequenze prodotte dalla particolare sostanza
eccitata. Senza un adeguato meccanismo di amplificazione la luce prodotta non sarebbe
sufficiente. Nel diodo laser, come nei comuni laser a gas, tale compito è assolto dalla
cavità di risonanza, che, riflettendo parte della radiazione sul mezzo stesso, determina una
reazione a catena attraverso la creazione d’interazioni elettroniche multiple, incrementando
l’intensità della radiazione emessa. Il numero di fotoni emessi cresce rapidamente,
proporzionalmente alla distanza percorsa nel mezzo dalla luce riflessa nella cavità. Ogni
35
fotone in uscita dalla cavità presenta stessa energia e fase, determinando l’elevata coerenza
del fascio (interferenza costruttiva dei fotoni). In figura 3.2 è visibile l’aumento
dell’energia in uscita grazie alle continue riflessioni sugli specchi presenti nella cavità.
Passando alle tecniche per ottenere un'adeguata inversione di popolazione, occorre rilevare
che l’energia termica non aumenta il numero di elettroni eccitati rispetto al numero degli
elettroni in banda di valenza e per questo motivo aumentare l’energia termica di una
sostanza non permette di produrre emissione laser[1].
Figura .24 Emissione laser
Le strategie per avere inversione di popolazione sono molteplici e sfruttano quindi diversi
principi. Ci si limiterà per brevità alla trattazione esclusivamente del pompaggio elettrico
utilizzato nei laser a semiconduttore essendo di questa tipologia il dispositivo utilizzato nei
test. L’inversione di popolazione si genera sottoponendo il materiale al passaggio di una
corrente, con lo scopo di eccitare i portatori di carica (elettroni e coppie elettrone-lacuna)
nel piano di giunzione tra due regioni diversamente drogate.
Figura .25 Funzionamento della cavità risonante
36
L’emissione luminosa si concentra nel piano di giunzione per retroazione dalla faccia
tagliata del cristallo, come mostrato in figura 3.3.
Figura .26 Diodo laser a semiconduttore
Il materiale attivo possiede un elevato indice di rifrazione, e quindi riflette buona parte
della radiazione sul cristallo ottenendo un guadagno d’intensità la faccia tagliata può anche
essere levigata per un migliore controllo della riflessività.
Tipicamente un lato del cristallo è coperto da un materiale molto riflettente, tale che
l’emissione avvenga solo dal lato opposto. Le correnti impiegate in un sistema a
semiconduttore risultano inferiori (20mA) di quelle usate, ad esempio, in un sistema laser a
gas. Un sistema laser è altamente inefficiente a causa del continuo apporto energetico
necessario per l’emissione. Parte dell’energia viene persa nella conversione da elettrica a
luminosa. Nei sistemi migliori ci si deve accontentare di un’efficienza del 10%; la
maggioranza dei sistemi ha un’efficienza che si attesta addirittura intorno all’1%. Il fascio
che esce da un diodo laser soffre principalmente di due aberrazioni ottiche: l’asimmetria e
l’astigmatismo. L’asimmetria è un difetto che rende la proiezione del fascio ellittica invece
di circolare. L’astigmatismo invece è un’aberrazione che si manifesta lontano dall’asse
ottico: una lente, o uno specchio, astigmatica trasforma un punto in un segmento che si
dispone in direzione radiale per una certa distanza di messa a fuoco e in posizione
perpendicolare all’asse ottico per una distanza diversa. Cioè quando prevale l’inclinazione
del fascio sul suo diametro, sia o non sia esso collimato, i raggi convergono invece che in
un punto su due segmenti s e t fra loro perpendicolari. Questo provoca la non perfetta
focalizzazione del fascio laser che avviene su più piani dipendenti dall’asse che si sta
guardando. Un fascio circolare e non astigmatico prodotto da un diodo a semiconduttore
non è ipotizzabile a causa della forma della sorgente. Quando però il fascio viene fatto
37
passare attraverso una fibra ottica, le due deformazioni vengono eliminate. Infatti nella
fibra ottica si propaga solamente il modo TEM00. Il laser utilizzato per i test, esce in fibra
e quindi è possibile assumere un profilo gaussiano d’intensità e una forma circolare del
fascio come visualizzato in figura 3.5; questa ipotesi è poi stata verificata tramite la
caratterizzazione della sorgente come vedremo nei prossimi paragrafi.
Figura .27 Visualizzazione del profilo gaussiano del laser in uscita dalla fibra ottica
3.2.1Il laser come simulatore di particella ionizzante
Occorre vedere a questo punto quali siano le caratteristiche necessarie per simulare gli
effetti del passaggio di una particella ionizzante sul silicio e quindi sui pixel del RAPS02.
In letteratura esistono numerosi lavori che riguardano questo tipo di simulazione, come
[11] e [12]. Si tenterà qui di delineare sinteticamente i risultati di tali studi su cui si è
basata la progettazione e la configurazione del banco ottico. Innanzitutto occorre che il
fascio sia focalizzato in uno spot sufficientemente piccolo affinchè si riesca a colpire una
zona che sia il più possibile delle dimensioni di quella stimolata da una particella
ionizzante. È possibile simulare la densità dei portatori di carica purchè il tempo
considerato sia sufficientemente lungo (<1 ns) e le dimensioni dello spot laser siano entro
qualche micron. La dimensione dello spot ottenibile dipende principalmente dalla
dimensione della sorgente (core della fibra ottica), dalla collimazione che si riesce a
raggiungere e dalla lunghezza d’onda del laser; minore è la lunghezza d'onda minore è la
regione in cui si riesce a confinare il laser. La collimazione e la focalizzazione saranno
discusse successivamente quando verrà descritto il cammino ottico utilizzato.
La dimensione ottima sarebbe comunque quella che permette di confinare la maggior parte
38
della gaussiana dello spot all’interno di un pixel (area sensibile 4,4x4,4μm2 come già
osservato nel Cap.1). I fotoni infatti riescono ad attraversare uno spessore di silicio solo se
hanno una determinata lunghezza d’onda, mentre le particelle ionizzanti attraversano senza
problemi il materiale purchè abbiano una energia minima[1]. Questa osservazione riflette
principalmente il fatto che la funzione di perdita dell’energia dei fotoni non è lineare ma
fortemente decrescente come mostrato in figura 3.6.
La sorgente laser IR utilizzata per i test sul RAPS02 (cfr. [1]) emette ad una lunghezza
d'onda (1060nm) per cui il silicio può essere considerato quasi trasparente, ovvero il fascio
laser attraversa tutto lo spessore del singolo pixel con una minima attenuazione, mentre per
la sorgente UV (407 nm) la generazione avviene nei primi μm del silicio; questa differenza
si rifletterà come vedremo in termini di crosstalk tra pixels.
Figura .28 Perdita di energia del laser durante l’attraversamento del silicio in funzione della lunghezza
d’onda.
3.2.2Il cammino ottico del fascio laser
In questo paragrafo verrà descritto il setup che è stato utilizzato per ottenere la
focalizzazione del fascio laser, fornendo nel successivo le motivazioni teoriche che sono
alla base di tale configurazione. Il fascio laser esce da una fibra che termina con un
connettore FC, il connettore è fissato su di un supporto, dove è presente una lente
collimatrice (vedi 2.1.2) come mostrato in figura 3.7.
39
Figura .29 Collimatore, è possibile notare sulla sinistra la movimentazione micrometrica manuale;
all'estremità destra la lente collimatrice e il supporto per connettere la fibra.
L'utilizzo della movimentazione micrometrica permette di centrare l'uscita della fibra al
centro della lente (per maggiori dettagli sulla tecnica di centramento e realizzazione del
supporto si veda [1]) e di compiere poi spostamenti sul piano focale. Ad una certa distanza
dal collimatore è posto l'obiettivo della Nachet (cfr 2.1.2) anch'esso posto su di un supporto
dotato di movimentazione micrometrica che permette di centrarlo rispetto alla lente
collimatrice. È possibile fissare dei filtri di intensità alla lente collimatrice (cfr 2.1.2) ma il
loro ruolo non è legato alla generazione dello spot laser. Il setup del banco è schematizzato
in figura 3.8a, nella figura 3.8b si puè osservare quello all'interno del banco.
Figura .8a Schema di principio del setup del banco ottico: da sinistra:la sorgente laser (Sorg),il collimatore
(Coll),un eventuale blocco di attenuazione (Att), l'obiettivo (Foc), il RAPS02 (Riv). Sono rappresentati
inoltrel'ingresso costituito dal driver del laser e le possibili uscite PC o oscilloscopio.
40
Figura .30b partendo da sinistra abbiamo: la fibra, il collimatore, l'obiettivo (posto su due holder che
sorreggono un supporto con la micromovimentazione manuale), la board del RAPS02.
3.2.3La collimazione e focalizzazione di un fascio laser
Verranno ora descritti i fondamenti teorici che sono alla base della configurazione prima
descritta. Come appena visto il cammino ottico percorso dal fascio laser è costituito da due
lenti: la lente presente sul collimatore e la lente dell'obiettivo.
Nel progettare lo schema ottico per la manipolazione del fascio laser sono state avanzate le
seguenti ipotesi:
· la lente è sottile; ciò significa che la larghezza della lente è piccola in confronto
alle distanze generalmente associate con le sue proprietà ottiche come lunghezza
focale e diametro.
· il diametro della lente è grande abbastanza per far in modo che gli effetti dovuti al
troncamento (e quindi alla diffrazione) possano essere trascurati.
· i fasci laser sono onde sferiche uniformi (propagazione isotropica) i cui raggi sono
uguali alla distanza dall’oggetto (o dall’immagine).
41
Nella figura 3.9 è schematizzata la creazione dell’immagine che una lente crea dalla parte
opposta della sorgente. Con riferimento a tale figura, è possibile scrivere la seguente
relazione:
21
111ssf
+=
detta equazione delle lenti gaussiane che lega s1 (distanza dell’oggetto dalla lente) e s2
(distanza dell’immagine dalla lente) a f. L’ultimo parametro (f) è detto lunghezza focale ed
è definito come la distanza tra la lente e il piano focale. Un altro parametro importante è
l’ingrandimento M dato dalla formula:
1
2
1
2
ss
yyM ==
Figura .31 Creazione di un immagine da parte di una lente
Un’altra legge che è di estrema importanza nel campo dell’ottica è la cosiddetta legge
dell’invarianza ottica poichè:
sx
=Θ e 2
1
12
2
yy
sx
sx
⋅==Θ
allora si ottiene:
1122 Θ=Θ yy
42
Questa legge fondamentale è vera solo se sono verificate le ipotesi prima enunciate, poiché
è necessario poter linearizzare i seni degli angoli, operazione possibile solo per angoli
piccoli.
Una lente può essere usata per collimare un fascio perchè se si osserva ad una distanza
finita una sorgente luminosa di grandezza finita, la cui luce non viene fatta passare per
alcun mezzo rifrattivo, i raggi di propagazione di tale luce saranno divergenti dal punto in
cui sorgono. Un fascio luminoso si dice collimato quando i suoi raggi sono paralleli,
formando uno spot di dimensione costante. In pratica è come se fosse generato all’infinito
o la sua sorgente avesse dimensioni infinite. La figura 3.10 illustra il funzionamento della
lente nella collimazione di un fascio. Nello schema presentato, la sorgente luminosa è
puntiforme. Lo schema mostra inoltre come la lente non riesca a collimare perfettamente
un fascio divergente, poichè il fascio, una volta passato per il mezzo rifrattivo che forma la
lente, dovrebbe rimanere limitato in uno spot di dimensione costante. Tuttavia, a causa
delle non idealità dei sistemi reali, ciò non è possibile[1].
Figura .32 Collimazione di un fascio divergente
La collimazione di un fascio avviene ponendo la sorgente ad una distanza dalla lente pari
alla distanza focale. La legge che restituisce il raggio dello spot collimato è pari a:
112 Θ= yy
Non potendo essere nulla la divergenza del fascio prodotto dopo il passaggio per la lente si
ha:
fy1
2 =Θ
43
Una lente può anche essere usata per focalizzare uno spot collimato. Si tratta dell’utilizzo
duale a quello appena illustrato come mostra la figura 3.11. La focalizzazione avviene con
un angolo di incidenza pari a:
fy2
2 =Θ
e la dimensione massima dello spot è pari a:
fy 12 Θ=
Queste equazioni pongono un vincolo alla massima focalizzazione possibile o, in altre
parole, alla minima dimensione dello spot focalizzato. Per diminuire ancora lo spot è
necessario o espandere lo spot collimato o diminuire la lunghezza focale f. Un altro modo
per ottenere uno spot di dimensione piccola è utilizzare un laser di lunghezza d’onda la più
piccola possibile.
Dalla teoria infatti è noto che più piccola è la lunghezza d’onda di un laser, più piccolo è lo
spot focalizzato ottenibile[1].
Tale fenomeno è descritto dalla seguente relazione:
2
0
2
0
2
+=
π ωλωω z
nella quale viene espressa la variazione del raggio del fascio laser w(z) in funzione della
coordinata in cui si propaga z. λ è la lunghezza d’onda del laser e w0 è il raggio del fascio
gaussiano letto in un grafico di distribuzione spaziale dell’intensità in corrispondenza del
valore pari a 1/e2 ovvero 0,135. Anche qui è bene ricordare che le equazioni mostrate sono
valide solo se è possibile applicare la linearizzazione delle funzioni trigonometriche e se i
fasci laser sono gaussiani. Il fascio utilizzato per i test di RAPS02 soddisfa, almeno in
prima approssimazione, tali caratteristiche[1].
44
Figura 3.11 focalizzazione di un fascio collimato
3.3 Come utilizzare il banco ottico per caratterizzare il laser
Il setup sopra descritto è frutto dell'esperienza e del lavoro svolto nei test preliminari sul
RAPS02, in particolare il lavoro di tesi dell'Ing. Tommaso Bianchi (cfr. [1]), usando una
sorgente a 1060nm (IR) e un sorgente a 773 nm (Visibile) (cfr.[1] e [2]). Prima di utilizzare
la sorgente a 407 nm (UV), tramite il setup precedente, è necessario caratterizzare il fascio
laser sotto il profilo energetico e geometrico, con lo scopo di verificare che il fascio abbia
un profilo gaussiano a simmetria circolare e di ottenere informazioni quanto più dettagliate
sull'energia e quindi sul numero di fotoni che vengono inviati al sensore. Quindi ora
andremo a descrivere il metodo e il setup utilizzato per la caratterizzazione. Come
accennato nel primo capitolo si utilizzerà nei successivi paragrafi un sistema di riferimento
cartesiano, in cui Z è l'asse di propagazione del fascio laser, mentre il piano perpendicolare
al cammino ottico sarà identificato con le coordinate XY.
3.3.1Caratterizzazione geometrica della sorgente laser
Questa attività è riassumibile nella misura del profilo spaziale del fascio e della divergenza
angolare all'uscita della fibra. Queste misure sono svolte tramite il sensore stesso, l'uso
degli stages traslatori motorizzati, un supporto che permette di porre l'uscita della fibra di
fronte al sensore senza nessuna lente interposta, un oscilloscopio e due generatori di forme
d'onda (cfr 2). E’ stato già osservato come la matrice di test 3x3 non abbia una modalità di
scansione automatica. Bisogna quindi definire la configurazione in lettura per un pixel di
questa matrice in modo tale che l’impulso laser arrivi dopo che il segnale di reset abbia
45
ricaricato il pixel. Per fare questo sono necessari i due generatori di forme d’onda; uno che
possiamo chiamare master (cfr. 2.9) è impostato per generare un’onda quadra di frequenza
1kHz e pilota sia il driver del laser che l’altro generatore di funzione abilitato tramite
trigger esterno. L’uscita del secondo generatore di funzione (cfr. 2.8) - slave - è impostato
per generare un onda quadra da inviare alla scheda del chip come segnale di reset in modo
tale che per ogni fronte di discesa dell’onda del master generi il segnale di reset. Allo
stesso modo il driver del laser è impostato per inviare l’impulso per ogni fronte di salita
dell’onda del master. In figura 3.12 possiamo vedere il reset e l’onda quadra master.
Figura 3.12 Il segnale del generatore master in rosa e quello dello slave in viola
Realizzata questa configurazione che sincronizza il reset della matrice 3x3, si abilita
l'uscita analogica di uno dei 9 pixel della matrice tramite degli switch (per maggiori
dettagli cfr. [3] ) e la si connette all'oscilloscopio (cfr 2.7). Si pone il sensore tramite gli
stage traslatori motorizzati ad una distanza di qualche millimetro dall'uscita della fibra
laser. Una volta attivato il laser si compie uno scan preliminare rispetto a due assi (indicato
con X o Y cfr. 2.3) del piano perpendicolare alla direzione di propagazione del fascio Z .
Lo scopo dello scan preliminare è individuare il massimo di caduta rispetto ai due assi e
quindi centrare il picco della gaussiana, rispetto al pixel della 3x3 di cui si sta misurando
l'uscita sull'oscilloscopio.
Tramite l'oscilloscopio si registrano le cadute di tensione del pixel; partendo dal picco si
sposta la matrice rispetto ad un asse (X o Y), utilizzando uno spostamento di 25000 passi
(pari a circa 87,5 μm) fino a registrare la caduta minore ( considerando che l'ordine di
grandezza del rumore sui pixel è circa 1 mV), per poi tornare nella posizione di massimo e
46
compiere la stessa operazione nella direzione opposta (dello stesso asse). Con questa
tecnica si sono realizzate le misure in figura 2.4 e 2.5 che dimostrano che il profilo fascio
approssima molto bene una gaussiana a simmetria circolare. Si è eseguita poi lo stesso tipo
di misura rispetto ai due assi, allontanando il sensore rispetto all'asse Z di 150000 passi
(pari a 5.25 mm), con lo scopo di misurare la divergenza angolare del fascio all'uscita dalla
fibra ottenendo i grafici in figura 3.13, 3.14.
Figura 3.13 Profilo del fascio per l'asse Y all'uscita della fibra dopo lo spostamento di 5.25 mm
47
Figura 3.14 Profilo del fascio per l'asse X all'uscita della fibra dopo lo spostamento di 5.25 mm.
Si è quindi trovato un allargamento del fascio dovuto alla sua divergenza. La divergenza è
stata determinata utilizzando la deviazione standard σ della gaussiana calcolata
dall’algoritmo di fit. Questo parametro è stato utilizzato come valore del raggio del fascio,
poichè come noto, tra (T − σ) e (T + σ) cade il 68,3% dell’energia.
Grazie alla trigonometria applicata al triangolo rettangolo che viene così a formarsi tra la
distanza tra la prima e la seconda misura (I cateto), la differenza delle σ misurate (II cateto)
e la congiungente dei bordi del fascio, si ottiene l’angolo di divergenza (Fig. 3.15) che vale
circa 72mrad ± 2.16mrad per l’asse X e circa 84mrad ± 2.62mrad per l’asse Y.
Figura 3.15 Triangolo ricavato dalle posizioni in cui si misura la minima caduta di tensione sul pixel.
48
Questi valori di divergenza denotano una forma leggermente ovale della proiezione del
fascio sul piano di misura, che tuttavia può essere ricondotta alle non perfette inclinazioni
reciproche degli elementi sul banco ottico. In figura 3.16 e 3.17 sono riportati i grafici con
il confronto tra i profili del fascio alle due distanze.
Figura 3.16 Fit gaussiano delle misure rispetto all'asse X nelle due posizioni
Figura 3.17 Fit gaussiano delle misure rispetto all'asse Y nelle due posizioni.
49
3.3.2 Focalizzazione del fascio sul RAPS02
La focalizzazione è stata agevolata dal software di acquisizione implementato in
LabVIEW. Grazie a questo software, è possibile visualizzare una delle matrici 32x32 a
scelta su un grafico 3D. E quindi possibile ottenere l’immagine degli eventi che stanno
interessando la matrice in tempo reale. Inviando il laser alla matrice attraverso il cammino
ottico fin qui descritto, è stato possibile individuare l’immagine che lo spot formava sulla
matrice (figura 3.19). Grazie al motore che permette lo spostamento in direzione parallela
al cammino ottico, è stato possibile mettere a fuoco (figura 3.20) il fascio variando appunto
la distanza lente-chip, osservando quando si otteneva il minimo di pixel che presentavano
la caduta massima[1]. Si può notare in figura 3.19 la simmetria circolare dello spot laser,
che è anche un indice di bontà del lavoro svolto nel gestire il cammino ottico, in questo
caso la focalizzazione però è tutt'altro che ottimale, infatti si nota facilmente che buona
parte della matrice risponde allo stimolo della sorgente laser. Lo spot focalizzato dovrebbe
avere dimensioni nell'ordine dell'ordine del μm quindi deve essere in grado di eccitare un
singolo pixel come in figura 3.20.
Figura 3.19 Spot laser non focalizzato sulla matrice G1P0 large
50
Figura 3.20 Spot focalizzato su un singolo pixel della matrice G1P0 large: sull'asse verticale la caduta di
tensione in V,; tramite le proiezioni del fascio è possibile notare come la risposta sia legata principalmente al
singolo pixel.
51
Χαπιτολο 4.
Risultati ottenutiIn questo capitolo, si riportano i risultati ottenuti, comparando le diverse matrici G1P1 e
G1P0 in termini di funzionamento rispetto alla distinta struttura intrinseca che le
caratterizza, e le matrici G1P0 e G1P0L, in termini di risoluzione in funzione della
spaziatura dei pixel delle stesse. Tutto questo evidenziando le varie risposte sotto l’effetto
delle tre sorgenti laser a valle della loro caratterizzazione energetica.
4.1 Caratterizzazione energetica delle sorgenti laser
Per ottenere dei risultati qualitativi si è reso necessario effettuare una caratterizzazione
energetica delle sorgenti laser, per essere a conoscenza, quantitativamente, dell’energia con
la quale viene irradiato il sensore in esame. Sulla base di questo dato si è fatto un calcolo
indicativo sul numero di fotoni incidenti, corrispondenti a una certa intensità
dell’impulsatore.
In particolare per ogni sorgente è stata effettuata una caratterizzazione a monte e a valle del
cammino ottico tramite l’adozione di due fotodiodi (per ulteriori informazioni sui due
dispositivi si rimanda al capitolo 2 paragrafo 8). È stato necessario effettuare una nuova
validazione dei risultati in quanto le sorgenti potrebbero avere dei problemi di
deterioramento dovuti al loro frequente utilizzo, e non funzionare allo stesso modo con il
passare del tempo. Per questo motivo si sono replicate per ogni sorgente le misure a valle
del cammino ottico, soltanto per alcuni valori della scala dell’intensità dell’impulsatore,
confermando i risultati trovati in precedenza dagli ingegneri, Bianchi, Della Rocca e De
Angelis (cfr. [1], [2], [7]).
Nelle figure seguenti sono riportate le relazioni tra energia e numero di fotoni rispetto
all’intensità dell’impulsatore per le tre sorgenti laser a valle del cammino ottico senza
52
l’introduzione di filtri aggiuntivi, ma solo nella configurazione fibra-collimatore-obiettivo-
fotodiodo corredate dei valori relativi alla validazione. L’approccio per ottenere questi
risultati è stato lo stesso per le diverse sorgenti.
Per quanto concerne i dati ottenuti tramite la sorgente a 407nm l’unica differenza è
introdotta dall’adozione di un fotodiodo diverso rispetto alle altre due sorgenti, capace di
rilevare una lunghezza d’onda inferiore rispetto alle altre. I risultati riportati nella figura
4.1 sono riferiti all’energia prodotta da un treno di 20000 impulsi, in quanto il fotodiodo
non era in grado di rilevare l’energia prodotta dal singolo impulso a 407nm, si è poi
misurata la tensione in uscita dal fotodiodo relativa a tale segnale in funzione della
manopola dell'impulsatore, da questa si è risaliti all'energia relativa al treno con la stessa
modalità utilizzata nella caratterizzazione a valle del cammino ottico, si è poi valutato il
numero di fotoni emessi dividendo per il numero di impulsi totale.
Figura .33 Energia prodotta da 20000 impulsi in relazione alla scala dell’intensità dell’impulsatore per la
sorgente a 407nm[7], sono riportati anche i risultati ottenuti dalla validazione.
53
Figura .34 Numero di fotoni prodotto da un singolo impulso in relazione alla scale dell’intensità
dell’impulsatore per la sorgente a 407nm [7], sono riportati anche i risultati ottenuti dalla validazione.
Figura .35 Energia prodatta da un singolo impulso rispetto alla scala dell’intensità dell’impulsatore per la
sorgente a 783nm [2], sono riportati anche i risultati ottenuti dalla validazione.
54
Figura .36 Numero di fotoni prodotto da un singolo impulso rispetto alla scala dell’intensità dell’impulsatore
per la sorgente a 783nm[2], sono riportati anche i risultati ottenuti dalla validazione.
Figura .37 Energia prodotta da un singolo impulso rispetto alla scala dell’intensità dell’impulsatore per la
sorgente a 1060nm [1], sono riportati anche i risultati ottenuti dalla validazione.
55
Figura .38 Numero di fotoni prodotto da un singolo impulso rispetto alla scala dell’intensità dell’impulsatore
per la sorgente a 1060nm [1], sono riportati anche i risultati ottenuti dalla validazione.
4.1.1Analisi dell’effetto della distanza tra i pixel
In questo paragrafo è esposta un’analisi dei risultati ottenuti dal confronto tra la matrice
G1P0L e G1P0. In queste due matrici i pixel sono caratterizzati dalla stessa struttura
interna, ma nel primo caso sono spaziati, come descritto nel capitolo 1, riuscendo a coprire
con lo stesso numero una superficie molto più elevata, mantenendo invariata l’elettronica
che sta alla base del loro funzionamento: questo aspetto non è da sottovalutare in quanto
basti pensare alla fase di elaborazione dei dati in cui i sincronismi dovuti alla lettura di
1Gpixel, non sarebbero semplici allo stesso modo che per 1Mpixel. Questo studio è
necessario considerando il fatto che uno degli scopi del progetto è quello per le
applicazioni di rilevazione di tracce per ricostruzione di vertice. L’idea è quella di simulare
una MIP, Minimum Ionizing Particle, tramite le sorgenti laser in nostro possesso e valutare
la sensibilità del nostro sensore nei due casi di presenza e non della spaziatura. Una MIP ha
la capacità di penetrare nel silicio attraversandolo completamente e generare carica
localizzata in un’area molto limitata in prossimità del suo passaggio.
Le coppie elettrone-lacuna generate a profondità diverse, a causa di un insieme di
fenomeni, sono in parte raccolte dall'area sensibile del pixel che si vorrebbe realmente
stimolare e in parte si ricombinano; altre infine vengono raccolte dagli elementi sensibili
56
dei pixel adiacenti provocando una risposta, anche in assenza di uno stimolo diretto.
Normalmente i pixel interessati da questo fenomeno, noto come crosstalk, hanno un
legame topologico con il pixel realmente stimolato.
Dalla teoria della focalizzazione di un raggio laser a profilo gaussiano, è noto che questo
segua un andamento come mostrato in figura 4.7 in prossimità della zona di fuoco
Figura .39 Caratteristica dello spot laser in prossimità della zona di focalizzazione, [8].
Questo risultato teorico ci spinge a pensare che una radiazione avente una divergenza dello
spot maggiore rispetto alle altre, e una profondità di penetrazione più elevata, possa essere
catturata anche dai pixel circostanti, producendo un crosstalk che si renderà più o meno
utile a seconda del campo di impiego del sensore.
Per un raggio gaussiano che si propaga nello spazio libero, la dimensione dello spot w(z)
sarà al valore minimo w0 in una zona detta ‘strozzatura del raggio’. Per una radiazione di
lunghezza d’onda λ, a una distanza z dalla zona di strozzatura, la dimensione dello spot
risulta pari a :
+=zzwzw
0
2
0 1)(
Con
57
λπ 2
00
wz =
definito come Rayleigh range che rappresenta la distanza dal punto di strozzatura del
fascio, per la quale lo spot si mantiene approsimativamente costante nella sua dimensione
che vale:
2)( 00 wzw =±
Dalla formula si nota che il Rayleigh range risulta inversamente proporzionale alla
lunghezza d’onda, per questo motivo con le tre sorgenti adoperate per le misure ci si
aspettava un andamento diverso delle risposte in quanto questa dipendenza indica delle
variazioni nelle dimensioni degli spot focalizzati e un diverso effetto dovuto a una
differente divergenza nella profondità di propagazione.
Nella figura 4.8 viene illustrata la zona di focalizzazione degli spot: in particolare si
evidenzia l’andamento dei fasci alle tre lunghezze d’onda utilizzate, che si propagano
all’interfaccia tra l’aria e il silicio, pertanto i due mezzi avendo degli indici di rifrazione
diversi producono effetti difformi. Nel silicio si vede che allontanandosi dal Rayleigh
range i fasci divergono di meno che nell’aria. L’effetto illustrato è quello teorico, in realtà
per le diverse lunghezze d’onda si ha una profondità di propagazione nel silicio pari a
3-4μm, 30-40μm e un attraversamento totale per le sorgenti a 407nm, 783nm e 1066nm
rispettivamente.
58
Figura 4.40 Propagazione degli spot laser in prossimità dell zona di focalizzazione.
Le misure sono state effettuate tramite un sistema di scansione submicrometrica. In primo
luogo ci si è posti nella condizione di migliore focalizzazione dello spot, dopodichè sono
stati acquisiti dati spostandosi e irradiando una superficie di 3x3 pixel, con un percorso a
“zig zag” scandito a passi di 0,63μm per la matrice larga e di 0,21μm per quelle strette. Il
pattern eseguito per coprire l’area da scansionare è stato sempre lo stesso su tutte le matrici
ed è schematizzato nella figura seguente.
59
Figura 4.41 Schematizzazione del pattern seguito nella fase di acquisizione dati
In pratica è stata eseguita una traccia, acquisendo i dati per ogni spostamento, azionando il
motore del piano orizzontale, ortogonale a quello di incidenza del fascio laser. Al termine
della suddetta linea si è riportato il motore al punto di partenza senza acquisire dati,
dopodichè, azionando il motore del piano verticale, sempre ortogonale al piano
d’incidenza, ci si è spostati in basso per uno spostamento minimo rispetto al passo
utilizzato, questo ultimo movimento risultata il punto di partenza delle tracce a seguire, da
qui si è ripetuta la sequenza esaustivamente fino al completamento dell’area da esaminare.
Le acquisizioni sono state effettuate seguendo questo pattern che ha risolto in parte le
problematiche introdotte dagli errori dei motori in corrispondenza del cambio di direzione.
Così facendo l’errore rimane confinato solo e sempre nei primi passi delle tracce,
corrispondenti a 12-13 passi nelle matrici strette e 4-5 per la larga, consentendo in fase di
elaborazione, di scartare i dati relativi al problema. Grazie al supporto software di Labwiev
tali operazioni vengono effettuate in automatico, per i dettagli del suo funzionamento si
rimanda alla tesi [7].
Per ogni punto della scansione, si è letta l’uscita di un singolo pixel per n volte di cui poi si
è fatta una media così da rendere minimo il rumore introdotto dalle vibrazioni e
dall’instabilità degli impulsi incidenti. Generalmente si è analizzata la risposta del pixel
centrale all’area in esame, in modo da riuscire a vedere meglio gli effetti della stimolazione
delle zone a esso adiacenti, in quanto risulta l’unico circondato da un’intera corona di
pixel.
Le operazioni espresse in precedenza nella fase di acquisizione sono state effettuate in
diverse zone delle matrici, esclusi i pixel della corona più esterna perché potrebbero non
funzionare similmente a quelli posizionati più internamente. Dal momento che le risposte
ottenute in regioni diverse sono risultate coerenti tra loro si è definito un modello di
risposta del pixel univoco che in seguito è indicato con il termine Point Spread Function,
PSF.
La PSF risulta utile per la stima del crosstalk perché con questo procedimento si ottiene la
risposta del pixel in funzione del punto in cui si è posizionati con il laser permettendo la
valutazione delle risposte dei pixel adiacenti al pixel dove si trova il massimo.
Le figure seguenti sono un esempio dei risultati ottenuti: è evidente come le risposte si
differenzino a seconda della lunghezza d’onda della radiazione incidente e delle diverse
modalità di focalizzazione dello spot.
61
Uno dei vincoli presi in considerazione nello svolgimento delle misure è stato quello di far
lavorare la rete di amplificazione, a cui fa capo il fotodiodo, nella zona lineare della sua
caratteristica. A tale scopo ci si è posti a una generica intensità della scala, della quale si
conoscesse l’energia dell’impulso grazie alla caratterizzazione energetica delle sorgenti, e
tramite la quale, si ottenesse una risposta massima del pixel maggiormente colpito
nell’intorno di 0,2V. In corrispondenza di questa differenza di potenziale essendo a
conoscenza dell’intensità dell’impulsatore si è risaliti all’energia che la produceva e al
numero di fotoni incidenti. Purtroppo in fase di compressione dei grafici, per renderli
compatibili alle dimensioni di impaginazione, le figure realizzate tramite software
MATLAB presentano delle irregolarità nel reticolo individuato dai punti della scansione.
Figura .42 Scan di 3x3 pixel su G1P0L@1060nm: a sinistra vista frontale (piano x-y) della risposta di un
singolo pixel, rispetto al sensore, a destra profilo (piano y-z) della risposta di un singolo pixel.
62
Figura .43 Scan di 3x3 pixel su G1P0L@783nm: a sinistra vista frontale (piano x-y) della risposta di un
singolo pixel, rispetto al sensore, a destra profilo (piano y-z) della risposta di un singolo pixel.
Figura .44 Scan di 3x3 pixel su G1P0L@407nm: a sinistra vista frontale (piano x-y) della risposta di un
singolo pixel, rispetto al sensore, a destra profilo (piano y-z) della risposta di un singolo pixel.
63
Figura .45 Pixel equivalenti all'area scansionata in riferimento alla figura 4.12, in evidenza anche la
metallizzazione da 2.7μm.
Nella figura 4.12 relativa al profilo (piano y-z) della risposta, si possono notare due zone in
cui la risposta scende vistosamente, queste diminuzioni sono dovute alla presenza di
metallizzazioni nel layout.
In particolare il minimo presente tra i due picchi in prossimità della massima risposta del
pixel è dovuto alla presenza di una metallizzazione da 0.7μm che circonda l’elemento
sensibile come mostrato in figura 4.14, rilevata al passaggio dello spot in fase di
acquisizione. L’effetto è apprezzabile solo tramite il fascio focalizzato della sorgente a
407nm, per il quale si è ottenuto un diametro di circa 1,2μm a dimostrazione delle grandi
potenzialità del banco ottico in uso.
L’altro abbattimento del segnale, è dovuto alla presenza di una metallizzazione da 2.7μm
come evidenziato nel layout di figura 4.13 che produce un effetto ben più evidente a tutte
le lunghezze d’onda.
Figura .46 Particolare del layout relativo alla metallizzazione da 0.7μm
Continuando a caratterizzare la sensibilità del sensore in seguito vengono esposti i
confronti tra le matrici G1P0 e G1P0L divisi per lunghezza d’onda della sorgente
incidente.
Esposizione alla sorgente a 1060nm
Per la sorgente IR è stato necessario applicare dei filtri attenuatori, posti tra la lente
collimatrice e l’obiettivo in modo tale da poter sollecitare il sensore a una intensità
superiore a 4.5 della scala, che è risultato il punto minimo possibile caratterizzabile tramite
il nostro sistema. Nella figura seguente è evidente la maggiore capacità di cattura della
64
matrice G1P0L che sottoposta a una intensità notevolmente inferiore (in quanto
sottoponendola alla stessa intensità dell’altra matrice si otteneva la saturazione
dell’elemento sensibile), produce una caduta di tensione decisamente maggiore rispetto
alla G1P0, allo stesso modo anche i pixel adiacenti a quello di cui si sta leggendo la
risposta, risultano molto più eccitati in proporzione ai limitrofi del centrale della matrice
stretta.
In seguito è riportata una tabella riassuntiva sulla configurazione del banco ottico e dei
risultati ottenuti.
Matrice Intensità di esposizione Energia incidente
N° fotoni incidenti Attenuazione Spot
size ΔV
G1P0L 6 ~220fJ ~1.15x106 20db 2.17μm 0.44V
G1P0 10 ~600fJ ~3x106 20db 2.09μm 0.21V
Tabella 7 Tabella riassuntiva comprensiva della configurazione del banco ottico e delle risposte ottenute a
1060nm
Il risultato del sistema di scansione submicrometrico è riportato nelle figure seguenti.
Figura .47 Risposta di un singolo pixel, confronto tra G1P0L e G1P0 @ 1060nm
Queste risposte, come scritto nella tabella precedente, sono il risultato di due diverse
intensità, con l’ausilio di un’attenuazione di 20db su entrambe. Il risultato ottenuto, nella
prospettiva di un utilizzo del sensore nella rilevazione del passaggio di una particella
65
ionizzante, sembrerebbe decisamente utile in quanto indicherebbe la capacità di
determinarne la posizione pur spaziando i pixel tra loro. In seguito viene riporto un grafico
della distribuzione della caduta di tensione della risposta, in corrispondenza della riga delle
matrici, in cui si ha il picco massimo. Il grafico è normalizzato a 1 rispetto alla caduta di
tensione per evidenziare meglio l’effetto del crosstalk sui pixel adiacenti al centrale ed è
realizzato a partire dalla lettura di una singola acquisizione sulle matrici, dalle scansioni
esposte nelle figure precedenti. Si può notare come per la matrice G1P0 la caduta di
tensione sia più contenuta sul pixel centrale rispetto alla matrice larga, la quale presenta
una capacità di raccolta più elevata probabilmente dipendentemente dal fatto che sia
caratterizzata da un’area di silicio maggiore con la quale la carica trasportata dal fascio
laser possa ricombinarsi.
0 5 1 0 1 5 2 0 2 5 3 0 3 50
0 . 1
0 . 2
0 . 3
0 . 4
0 . 5
0 . 6
0 . 7
0 . 8
0 . 9
1
X : 1 8Y : 0 . 3 9 4 7
X : 1 9Y : 1
X : 2 0Y : 0 . 3 8 6 3
X : 2 2Y : 0 . 2 5 4 1
X : 2 4Y : 0 . 2 2 9 6
X : 2 3Y : 1
N ° d e l p i x e l l u n g o l a r i g a c o n r i s p o s t a m a s s i m a
Ris
post
a no
rmal
izza
ta
D i s t r i b u z i o n e d e l l a c a d u t a d i t e n s i o n e a c o n f r o n t o
G 1 P 0
G 1 P 0 L
Figura .48 Distribuzione della caduta di tensione normalizzata, per le matrici G1P0L e G1P0.
Verrebbe da pensare che le metallizzazioni introducano una schermatura tra i vari pixel e
un infittimento di queste produca un isolamento maggiore tra le aree sensibili.
66
Esposizione alla sorgente a 783nm
Come fatto in precedenza, si riporta una tabella riassuntiva comprensiva della
configurazione del banco ottico e dei risultati ottenuti, seguita dai grafici delle risposte.
Matrice Intensità di esposizione
Energia incidente
N° fotoni incidenti Attenuazione Spot size ΔV
G1P0L 2.25 ~5.5fJ ~2x104 20db 1,6μm 0.43V
G1P0 2.25 ~5.5fJ ~2x104 20db 1,6μm 0.21V
67
Tabella 8 Tabella riassuntiva comprensiva della configurazione del banco ottico e delle risposte ottenute a
783nm
Figura .49 Risposta di un singolo pixel, confronto tra G1P0L e G1P0 @ 783nm
0 5 1 0 1 5 2 0 2 5 3 0 3 50
0 . 1
0 . 2
0 . 3
0 . 4
0 . 5
0 . 6
0 . 7
0 . 8
0 . 9
1X : 2 1Y : 1
X : 1 6Y : 1
X : 2 0Y : 0 . 1 1 6 9
X : 1 5Y : 0 . 1 0 9 1
X : 1 7Y : 0 . 1 1 9 2
X : 2 2Y : 0 . 1 2 6 6
N ° d e l p i x e l l u n g o l a r i g a c o n r i s p o s t a m a s s i m a
Ris
po
sta
no
rmal
izz
ata
D i s t r i b u z i o n e d e l l a c a d u t a d i t e n s i o n e a c o n f r o n t o
G 1 P 0 L
G 1 P 0
Figura .50 Distribuzione della caduta di tensione normalizzata, per le matrici G1P0L e G1P0.
Nella figura 4.18 è riportata la distribuzione della caduta di tensione a confronto sulle due
matrici: da questo punto di vista sembrerebbe che la percentuale di caduta di tensione sia
molto simile sulle due matrici, diversamente da come accadeva per la sorgente IR.
68
In questo caso a differenza del precedente si è potuto irradiare le due matrici con la stessa
intensità senza incorrere nella saturazione della risposta. Questo risultato deriva dal fatto
che le due sorgenti hanno delle differenze importanti sia in termini di dimensioni dello spot
che di profondità di penetrazione, nonché geometricamente dal punto di vista della
divergenza alla stessa distanza dal punto di focalizzazione. In ogni caso resta evidente
come i pixel adiacenti a quello irradiato direttamente abbiano delle risposte molto diverse
con ambedue le sorgenti.
Esposizione alla sorgente a 407nm
Anche in questo caso i dati sono introdotti tramite una tabella riassuntiva.
MatriceIntensità di esposizion
e
Energia incidente
N° fotoni incidenti
Attenuazione Spot size ΔV
G1P0L 1.5 ~4fJ ~8x103 5db 1,2μm 0.25V
G1P0 1.5 ~4fJ ~8x103 5db 1,2μm 0.20V
Tabella 9 Risposta di un singolo pixel, confronto tra G1P0L e G1P0 @ 407nm
Figura .51 Risposta di un singolo pixel, confronto tra G1P0L e G1P0 @ 407nm
69
0 5 1 0 1 5 2 0 2 5 3 0 3 50
0 . 1
0 . 2
0 . 3
0 . 4
0 . 5
0 . 6
0 . 7
0 . 8
0 . 9
1X : 1 9Y : 1
X : 1 8Y : 0 . 0 1 7 1 8
X : 2 2Y : 0 . 0 0 4 0 8 5
X : 2 3Y : 1
N ° d e l p i x e l l u n g o l a r i g a c o n r i s p o s t a m a s s i m a
Ris
post
a no
rmal
izza
ta
D i s t r i b u z i o n e d e l l a c a d u t a d i t e n s i o n e a c o n f r o n t o
G 1 P 0 L
G 1 P 0
Figura .52 Distribuzione della caduta di tensione normalizzata, per le matrici G1P0L e G1P0.
In questo caso la risposta deI pixel adiacentI a quello colpito direttamente sembrerebbe
lievemente maggiore nella matrice G1P0.
Nella curva della risposta della matrice G1P0, è evidente un abbassamento del segnale , al
centro del picco, all’interno dell’area corrispondente al fotodiodo; questo effetto è dovuto
alla presenza di una piccola metallizzazione che collega il catodo del fotodiodo con il gate
del transistor di lettura la quale riflette parte del fascio incidente. Risolvere la presenza di
questa metallizzazione è stato possibile grazie all’ottima focalizzazione dello spot laser
ottenuta.
Anche in questo, caso come nelle figure precedenti, le risposte dei pixel non colpiti
direttamente assumono dei comportamenti diversi: in particolare nella matrice G1P0 il
segnale letto su di un pixel quando lo spot laser dista da quest’ultimo per più di 2μm è
praticamente nullo, mentre per quanto concerne la matrice larga, si vede come il segnale
viene raccolto dal fotodiodo di un pixel per un raggio di circa 13μm al di fuori del quale la
presenza dello spot laser non viene praticamente rilevata.
70
4.1.2Analisi dell’effetto del P-well-blocking
Nel paragrafo seguente vengono riportati i risultati ottenuti dal confronto delle due diverse
tecnologie di integrazione, che caratterizzano le matrici strette G1P0 e G1P1, in quanto la
seconda è realizzata con l’uso di un P-well-block, come mostrato in figura.
Figura .53 Differenza tra le matrici G1P0 e G1P1: nella seconda c’è una spaziatura tra le tasche drogate di
tipo n e di tipo p+, denominata p-well-blocking tramite la quale si realizza una giunzione n-p-p+
In questo modo è stato possibile verificare le differenze di funzionamento dei due diversi
approcci. Sottoponendo le due matrici alle diverse sorgenti si è inviata la radiazione con
un’intensità tale da mantenere la risposta nel range di linearità, per avere così dei risultati
utili in fase di confronto.
Anche in questo caso l’acquisizione e l’elaborazione dei dati è stata eseguita, effettuando
una scansione submicrometrica su una superficie equivalente a 3x3 pixel, leggendo la
risposta del fotodiodo centrale di questa area allo stesso modo di cui sopra.
Esposizione alla sorgente IR
I primi grafici che vengono riportati sono relativi al sistema di scansione submicrometrica.
Come è ben visibile dalle figure, sottoponendo il sensore alla sorgente IR, su entrambe le
matrici è evidente come le due risposte siano diverse sia per l’ampiezza del picco, sia per
la risposta dei pixel adiacenti.
71
Figura .54 Risposta di un singolo pixel, confronto tra G1P0 e G1P1 @ 1060nm
Figura .55 Posizione dei pixel relativa ai grafici delle risposte in fig 4.19
Il particolare della sezione in corrispondenza della risposta massima è riportato nella figura
seguente.
72
0 2 . 1 4 . 2 6 . 3 8 . 4 1 0 . 5 1 2 . 60
0 . 0 5
0 . 1
0 . 1 5
0 . 2
0 . 2 5
[ µ m ]
[V]
A n d a m e n t o d e l p i c c o l u n g o l o s p o s t a m e n t o d e l l a s e r
G 1 P 1
G 1 P 0
Figura .56 Sezione delle risposte del pixel centrale, delle due matrici in corrispondenza della caduta di tensione massima.
Questa sezione è stata presa in corrispondenza dell’ampiezza massima della risposta,
seguendo la direzione del lato lungo dell’elemento sensibile come mostrato in figura 4.25
Figura .57 Particolare del lato lungo del fotodiodo
Sovrapponendo le due curve è ancora più evidente la maggiore risposta della matrice
caratterizzata dal P-well-blocking che indica una migliore capacità di raccolta della matrice
G1P1 per la presenza della giunzione n-p-p+. Discorso valido anche per i contributi in
73
crosstalk in quanto l’intera risposta analizzata lungo questa direzione risulta essere più
elevata.
Nelle figure che seguono è riportata, in dettaglio la caduta di tensione sul pixel colpito
direttamente e sui limitrofi. I grafici sono stati realizzati prendendo un cluster di 7x7 pixel
centrato su quello maggiormente colpito. Questo è stato possibile in quanto, per ogni punto
acquisito viene salvato un file comprensivo delle risposte di tutti i pixel. Essendo a
conoscenza delle coordinate di incidenza del fascio sul sensore, si è potuto risalire a questa
sezione delle matrici dalla quale si può vedere che man mano che ci si allontana dal
centrale, la risposta di quelli che lo circondano scende velocemente a livelli molto minori
rispetto al picco centrale pur mantenendosi anche a distanza elevata al di sopra del rumore.
Figura .58 Caduta di tensione sul pixel centrale e sui limitrofi per le matrici G1P0 e G1P1 @ 1060nm
Esposizione alla sorgente a 783nm
Gli effetti dovuti al P-well-blocking sono evidenti anche in questo caso.
Nella figura 4.28 è riportata la sezione in corrispondenza della massima risposta, ricavata
come in precedenza.
74
Figura .59 Risposta di un singolo pixel, confronto tra G1P0 e G1P1 @ 783nm
In questo modo il confronto tra i pixel separati dalla metallizzazione stretta è
maggiormente apprezzabile. I picchi delle risposte risultano differenti come evidenziato
per la risposta alla sorgente IR, al contrario il crosstalk nei pixel adiacenti al centrale risulta
più limitato.
0 2 . 1 4 . 2 6 . 3 8 . 4 1 0 . 50
0 . 0 5
0 . 1
0 . 1 5
0 . 2
0 . 2 5
0 . 3
0 . 3 5
[ µ m ]
[V]
A n d a m e n t o d e l p i c c o l u n g o l o s p o s t a m e n t o d e l l a s e r
G 1 P 1
G 1 P 0
Figura .60 Sezione delle risposte del pixel centrale, delle due matrici in corrispondenza della caduta
di tensione massima.
75
Figura .61 Caduta di tensione sul pixel centrale e sui limitrofi per le matrici G1P0 e G1P1 @ 783nm
Considerando un cluster di 7x7 in cui è centrata la risposta del pixel irradiato direttamente,
la caduta di tensione di quelli adiacenti scende tendenzialmente a zero molto più
velocemente in questo caso.
Esposizione alla sorgente a 407nm
La differenza sostanziale tra le risposte delle due matrici è relativa soltanto a una diversa
caduta di tensione.
I risultati ottenuti tramite la sorgente a 407nm indicano una quasi assenza di crosstalk, che
porta alla conclusione che questi effetti siano introdotti principalmente dalla diffusione
delle sorgenti nel silicio la quale comporta una maggiore probabilità di ricombinazione di
carica quando si penetra più in profondità.
76
Figura .62 Risposta di un singolo pixel, confronto tra G1P0 e G1P1 @ 407nm
Dalla sezione lungo la massima caduta di tensione, ma anche dall’analisi del cluster di 7x7
pixel si nota che i contributi alla risposta siano quasi esclusivamente dovuti al pixel
centrale, colpito direttamente dall’irradiazione. .
0 2 . 1 4 . 2 6 . 3 8 . 4 1 0 . 5 1 2 . 60
0 . 0 5
0 . 1
0 . 1 5
0 . 2
0 . 2 5
0 . 3
A n d a m e n t o d e l p i c c o l u n g o l o s p o s t a m e n t o d e l l a s e r
[ µ m ]
[V]
G 1 P 0
G 1 P 1
Figura .63 Sezione delle risposte del pixel centrale, delle due matrici in corrispondenza della caduta di
tensione massima.
77
Figura .64 Caduta di tensione sul pixel centrale e sui limitrofi per le matrici G1P0 e G1P1 @ 470nm
Esaminando i confronti delle due matrici a diverse lunghezze d’onda, la differenza tra le
risposte prodotte risulta in questo caso più elevata rispetto agli altri.
78
ConclusioniA questo punto della caratterizzazione del sensore RAPS02 si sono ottenuti
dei risultati estremamente interessanti: innanzitutto tramite lo sviluppo
hardware e software si è riuscito a semplificare e ad affinare sia la fase di
acquisizione dati, che quella di elaborazione.
L’analisi sulle differenze delle risposte delle matrici, in dipendenza della
topologia dei pixel, ha evidenziato come la spaziatura adottata non
comprometta la possibilità di rilevare il punto di passaggio di una particella
ionizzante. Va anche considerato che nello studio in esame, laddove si usino
sorgenti laser estremamente focalizzate per test in cui si vogliano simulare
MIP, probabilmente la lunghezza d’onda più indicata risulta quella a 783nm,
in quanto ha una profondità di penetrazione nel silicio sufficiente per questo
scopo dato lo spessore sensibile limitato del rilevatore. Inoltre è caratterizzata
da una divergenza spaziale dello spot inferiore rispetto a quella della sorgente
a 1060nm, per cui il numero di pixel colpiti simula abbastanza bene quello
che si può ottenere usando una particella carica che attraversi il silicio come
evidenziato dai risultati.
Per quanto concerne i diversi profili di drogaggio analizzati tramite il
confronto tra le risposte delle matrici G1P0 e G1P1, la seconda risulta
migliore per la capacità di raccolta di carica.
Sulla base dei risultati ottenuti, in ogni caso, l’ambito di impiego del sensore
sarà il fulcro fondamentale per decidere come svilupparlo tramite i diversi
approcci analizzati.
79
Sviluppi futuriSulla base dei risultati ottenuti si dovranno ripetere le misure effettuate, sul
nuovo sensore RAPS03 per poter confrontare le nuove risposte.
Le misure effettuate tramite il banco ottico permettono di evidenziare alcuni
limiti dello stesso, ciò nonostante la caratterizzazione del sensore RAPS02 è
arrivata a buon punto.
Tuttavia il banco ottico, per quanto si possano raggiungere ottime prestazioni
in termini di velocità di esecuzione delle misure, andrebbe modificato per
ottenere una migliore qualità, effettuando alcune modifiche sul cammino
ottico e con un’adeguata struttura di supporto della board dove è presente il
sensore. Una prima possibilità e di eliminare la distanza che separa lente
collimatrice e obiettivo ponendo i due oggetti sullo stesso supporto questo
minimizza i fattori di incertezza relativi all'allineamento della lente con
l'obiettivo. Risulta necessario, come verificato durante le misure, un supporto
per la connessione della fibra che impedisca il movimento del core della fibra,
in modo da avere con buona approssimazione il core della fibra nella stessa
posizione rispetto alla lente ogni volta che è necessario rimontarla. L'utilizzo
di collimatori dedicati alla specifica lunghezza d'onda sarebbe opportuno, è
possibile infatti trovare una soluzione per cui il collimatore, l'obiettivo e il
supporto della fibra siano tutti inglobati su un unico supporto.
Un nuovo fronte per la ricerca sarà inoltre valutare la risposta dei sensori
irradiati con fasci ad incidenza obliqua.
A questo scopo è pronto un nuovo stage traslatorio in grado di rotare su sé per
il quale è già stata ideata la modalita di innesto nel banco e a breve verrà resa
effettiva.
80
Bibliografia
[1] Tommaso Bianchi, “Caratterizzazione di sensori di radiazione a pixel
attivi in tecnologia CMOS mediante laser e raggi X” Università degli Studi di
Perugia, Facoltà di Ingegneria, 2006.
[2]Alessandro Della Rocca, "Sviluppo di un banco ottico ad elevata
risoluzione spaziale per il test di sensori CMOS mediante radiazione laser",
A.A. 2005/2006.
[3] Daniele Biagetti, “Caratterizzazione elettrica e funzionale di sensori di
radiazione a pixel attivi integrati in tecnologia CMOS da 0.18μm” A.A.
2005/2006.
[4] F. Rastrello, ” Sviluppo di un setup ottico con laser ad elevata risoluzione
per la caratterizzazione di un sensore di radiazione” Master’s thesis
Università degli Studi di Perugia, Facoltà di Ingegneria,2004.
[5] G. Cannistraro, ” Sviluppo di un sistema di caratterizzazione per sensori di
radiazione (basato su interfaccia USB)” Master’s thesis Università degli Studi
di Perugia, Facoltà di Ingegneria,2004.
[6] National Instruments: http://www.ni.com.
[7] D. De Angelis, “Sviluppo di un setup laser ad elevata risoluzione spaziale
per la caratterizzazione di sensori di radiazione” Università degli Studi di
Perugia, Facoltà di Ingegneria, 2006.
81
[8] Wikipedia:
http://en.wikipedia.org/wiki/Gaussian_beam#Beam_width_or_.22spot_size.2
2
82
RingraziamentiIl ringraziamento più grande va doverosamente a tutta la mia famiglia, che in questi anni
mi ha supportato e sopportato, in tutti i sensi, nei momenti migliori, ma soprattutto in
quelli peggiori. Senza tutto questo non sarei mai arrivato dove sono e spero che quella
pazienza che avete avuto con me, sia ora almeno in parte ripagata.
Grazie anche al Professor Daniele Passeri, a suo modo, anche senza di lei non avrei potuto
vivere questa esperienza. Posso assicurarle che tutti gli sforzi fatti in questi mesi, nottate
passate fino a tardi in laboratorio per ottenere alcuni risultati che tardavano ad arrivare
incluse, sono stati ampiamente ripagati dal suo continuo sostegno, dalla sua stima espressa
e ribadita elogiando ogni volta il lavoro da me svolto.
Anche lei Professor Leonello Servoli è stato prezioso: l’uomo giusto al momento giusto. È
riuscito a farmi apprezzare e a conoscere ancora di più questo ambito della fisica, che fino
a qualche tempo fa a momenti ignoravo.
Daniele Biagetti: l’Ingegnere fatto persona. Daniele sei stato semplicemente fondamentale.
Non sono riuscito a trovare un limite alla tua conoscenza in materia e al tuo ingegno,
lavorando insieme a te mi sono trovato benissimo.
Non posso omettere l’Ingegner Daniele De Angelis. Il passaggio del testimone credo abbia
funzionato alla grande, hai saputo darmi le giuste direttive per poter affrontare questo
percorso, spero di non essere stato troppo assillante a volte.
Grazie anche a te Stefano Meroli: il mago del MATLAB.
Ringrazio infine tutte le persone che mi sono state vicine sempre e gli amici con cui ho
passato dei momenti che difficilmente dimenticherò.
…vivi e lascia vivere
…e pensa che ricordando non capisci, ma capendo ricordi!
83