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Università degli Studi di Perugia
Facoltà di Ingegneria
Corso di Laurea in Ingegneria dell’Informazione
TESI DI LAUREA
Caratterizzazione sperimentale di sensori
a pixel attivi CMOS integrati in
tecnologia UMC da 90 nm
Laureanda
Giorgia Calisti
Relatore
Prof. Daniele Passeri
Correlatore
Dott. Leonello Servoli
Anno Accademico 2010-2011
2
3
4
Introduzione ...................................................................................................................................................... 6
1. Sensori di radiazione...................................................................................................................................... 9
1.1 Principio di funzionamento ................................................................................................................... 10
1.2 Monolithic Active Pixel Sensors (MAPS) ................................................................................................ 13
1.3 Vantaggi e svantaggi dello scaling ......................................................................................................... 17
1.4 Il sensore RAPS03 .................................................................................................................................. 20
2. Il sensore RAPS06 ........................................................................................................................................ 23
2.1 RAPS06 ................................................................................................................................................... 24
2.1.1 Struttura del sensore ..................................................................................................................... 26
2.1.2 Funzionamento del sensore ........................................................................................................... 32
2.2 Il setup all’INFN ...................................................................................................................................... 33
2.2.1 Hardware ........................................................................................................................................ 34
2.2.2 Software ......................................................................................................................................... 36
2.3 Board di adattamento per RAPS06 ........................................................................................................ 42
3. Sorgenti ionizzanti ....................................................................................................................................... 48
3.1 L’interazione radiazione-materia .......................................................................................................... 49
3.1.1 Interazione delle particelle cariche con la materia ............................................................................ 50
3.1.1.1 Interazione tra particelle cariche pesanti e materia ............................................................... 51
3.1.1.2 Interazione tra elettroni e positroni (particelle β±) e materia ................................................. 57
3.1.2 Interazione della radiazione elettromagnetica con la materia ...................................................... 60
3.1.3 Principali tipi di radiazione ionizzante ............................................................................................ 66
3.1.3.1 I raggi X .................................................................................................................................... 69
4. Test del buffer, test elettrici, prove di buio ................................................................................................. 74
4.1 Test board per il buffer .......................................................................................................................... 75
4.2 Test del buffer ....................................................................................................................................... 78
4.2.1 Analisi in DC .................................................................................................................................... 79
4.2.2 Analisi transient .............................................................................................................................. 82
4.3 Verifica dei segnali forniti alla daughterboard ...................................................................................... 86
4.4 Range e test di buio ............................................................................................................................... 94
4.4.1 Calcolo del numero di frame per le medie ..................................................................................... 96
4.4.2 Range .............................................................................................................................................. 97
4.4.3 Prove al variare del tempo di integrazione .................................................................................. 100
4.4.4 Analisi Matlab di alcune acquisizioni di buio ................................................................................ 106
4.5 Test qualitativi con il laser rosso ......................................................................................................... 109
5. Test funzionali............................................................................................................................................ 117
5
5.1 Le particelle α ...................................................................................................................................... 117
5.2 I raggi X ................................................................................................................................................ 124
Conclusioni .................................................................................................................................................... 128
APPENDICE A – Tabelle .................................................................................................................................. 130
APPENDICE B – Formule ................................................................................................................................ 142
Bibliografia ..................................................................................................................................................... 143
6
Introduzione
Da ormai molti anni, nell’ambito della rivelazione di radiazioni per usi commerciali,
medicali o destinati agli esperimenti di fisica delle alte energie i sensori a semiconduttore
hanno assunto un ruolo fondamentale. Oltre alle famiglie “classiche” come i CCD (Charged
Coupled Devices), gli SDD (Silicon Drift Detectors) ed i rivelatori a pixel ibridi hanno
guadagnato una posizione di rilievo anche i sensori in tecnologia CMOS, già ampiamente
diffusi nelle applicazioni del visibile. A questo sviluppo hanno portato considerazioni di tipo
tecnologico, economico e prestazionale che definiscono una serie di vantaggi dei dispositivi
CMOS rispetto alle altre tecnologie.
Sulla scia di questo processo innovativo già nel 2002 si inseriva il progetto RAPS (Radiation
Active Pixel Sensor), mirato alla progettazione e caratterizzazione di sensori di radiazione.
Questo lavoro di tesi si è sviluppato all’interno del progetto INFN To_asIC (Toward
advanced submicron IC) [1] con l’obiettivo di caratterizzare un prototipo realizzato in
tecnologia UMC da denominato RAPS06/To_asIC01. Esso ospita al suo interno un
sensore di radiazione monolitico a pixel attivi (Monolithic Active Pixel Sensor, MAPS) di
128x128 pixel in grado di ricostruire il punto di incidenza di una particella ionizzante,
corredato della relativa circuiteria di controllo e lettura dei dati. Accanto alla matrice è
stata inoltre inserita un’unica struttura di test che riproduce il buffer che fornisce l’output
dei dati raccolti dal sensore, per permettere una caratterizzazione separata di quello che è
un componente chiave del sistema.
Il percorso di indagine prospettato inizialmente comprendeva la verifica delle funzionalità
elettriche di base del sensore sia tramite una board custom che tramite il setup dell’INFN,
per poi passare ad una caratterizzazione della risposta al buio e ad un’indagine preliminare
della reazione agli stimoli con diverse sorgenti.
Nel Capitolo 1 viene riportata una breve introduzione ai sensori di radiazione, con
particolare attenzione alle motivazioni che hanno generato il crescente interesse nei
confronti della tecnologia CMOS come alternativa ai tradizionali CCD. Di seguito viene
7
descritta l’architettura APS (Active Pixel Sensor) impiegata nei sensori RAPS. Poiché una
delle caratteristiche di pregio della tecnologia CMOS è la possibilità di avere sempre la
possibilità di realizzare dispositivi allo stato dell’arte, si è poi fatto un riassunto dei vantaggi
e degli svantaggi che si hanno nel passare da un nodo tecnologico all’altro in visione di un
confronto tra RAPS06 e il suo predecessore RAPS03, di cui viene accennata la struttura.
Il sensore RAPS06 è invece descritto nel Capitolo 2, sia per quanto riguarda la realizzazione
che il funzionamento. Esso viene poi inserito nel contesto dell’INFN, dove si trova il setup
comune a tutti i RAPS che viene utilizzato per acquisire i dati raccolti. L’interfaccia tra il
setup e i sensori di ogni generazione è fornita da una scheda, la daughterboard, specifica
per ciascuno di essi; in questo capitolo si riportano le caratteristiche salienti della versione
per RAPS06.
Alla base del funzionamento di qualsiasi sensore di radiazione ci sono i meccanismi di
interazione tra particelle e materia: nel Capitolo 3 se ne fa una panoramica abbastanza
dettagliata con un breve riferimento ai tipi più comuni di sorgenti di radiazione ionizzante.
Il Capitolo 4 descrive la prima parte delle operazioni di test effettuate su RAPS06. Il
sensore dispone di una board dedicata, progettata appositamente per verificare il
funzionamento di base del dispositivo (l’assorbimento di corrente) e per provare il buffer
di test indipendentemente dal setup presente all’INFN. Questo va invece adoperato per
caratterizzare il sensore in condizioni di buio e di saturazione, anche nell’ottica del
confronto con RAPS03. Nel capitolo sono riportati tutti i risultati ottenuti in entrambe le
situazioni.
La seconda parte delle operazioni di test ha visto lo svolgimento di alcune prove
preliminari con le sorgenti di radiazione ionizzante disponibili nei laboratori dell’INFN, da
cui potrà in futuro ripartire un lavoro di caratterizzazione completa della risposta del
sensore agli stimoli. Il tutto è descritto nel Capitolo 5.
L’ultima sezione raccoglie le considerazioni conclusive sul lavoro effettuato su RAPS06,
prospettandone i possibili sviluppi futuri.
8
9
1. Sensori di radiazione
Un sensore di radiazione è un dispositivo il cui scopo è quello di ricavare informazioni su
una particella come la posizione, l’energia e la velocità anche con il fine di determinarne la
natura, se ignota.
I campi di applicazione dei sensori di radiazione sono molteplici, e spaziano dall’ambito
medicale (dosimetria), a quelli commerciale (fotocamere, automotive, elettronica di
consumo), militare e della fisica delle particelle.
Il processo fondamentale alla base della rivelazione è il trasferimento di energia tra la
radiazione incidente ed il mezzo colpito (cfr. Capitolo 3): nella maggior parte dei materiali
tuttavia la carica elettrica che viene generata in questo modo non può essere trasferita per
distanze sufficienti per poterla raccogliere ed elaborare. Tra i solidi c’è però una categoria
che fa eccezione, quella dei semiconduttori, di cui il silicio ed il germanio sono gli esempi
più importanti. In questi materiali le cariche create dalla radiazione possono essere
raccolte in maniera efficiente anche lungo distanze di alcuni centimetri.
I rivelatori basati su semiconduttori, in seguito al grande impulso che negli anni ha avuto
l’industria in questo ambito, hanno gradualmente sostituito gli altri tipi di sensore (come
quelli a stato gassoso ad esempio) anche in ambiti per cui non erano stati considerati
all’inizio adatti (come la rivelazione al di fuori del visibile), supportati largamente
dall’ottima conoscenza dei processi fisici che avvengono al loro interno e dalla matura
tecnologia di lavorazione.
In particolare i sensori di radiazione CMOS standard, pure se il loro funzionamento era
noto dai primi anni ’80, hanno iniziato ad affermarsi e ad essere competitivi rispetto alle
altre tecnologie solo in epoche relativamente recenti. Infatti all’inizio, rispetto a CCD
(Charged Coupled Devices), SDD (Silicon Drift Detectors) e altre tipologie, presentavano una
serie di problematiche dovute all’immaturità della tecnologia che ne sminuivano i vantaggi.
Grazie al costante progresso delle tecnologie CMOS, spinto dall’ampio impiego che se ne
fa nell’elettronica di consumo, è stato possibile correggere questi difetti aggiungendo
10
dell’elettronica di condizionamento all’interno del singolo pixel che, per merito
all’integrazione sempre più spinta, non va a discapito del fill factor.
Nel contempo nell’ambito della fisica delle alte energie i progressi fatti nello studio della
struttura della materia hanno portato alla necessità di specifiche più stringenti per i
rivelatori, ed i limiti dei CCD (protagonisti fino a quel momento) sono iniziati ad emergere:
oltre alle basse frequenze operative hanno una bassa resistenza al danno da radiazione e il
loro costo è elevato, poiché richiedono dei processi di fabbricazione specifici.
I sensori a pixel attivi monolitici (MAPS, Monolithic Active Pixel Sensors) CMOS sono
dunque ora considerati alternative molto promettenti ai CCD, per la possibilità di realizzare
sullo stesso substrato del sesore anche l’elettronica analogica e digitale di controllo e
processing tramite processi ad alta integrazione e basso consumo di potenza, disponibili
con tecnologie commerciali CMOS a basso costo.
1.1 Principio di funzionamento
Sia che le particelle cariche che compongono una radiazione incidente abbiano massa sia
che non l’abbiano, il meccanismo che permette la rilevazione è la creazione di coppie
elettrone-lacuna. Le diverse modalità di interazione sono descritte nel dettaglio nel
Capitolo 3. Nel caso dei CCD la struttura sensibile si chiama photogate, nei dispositvi CMOS
è un fotodiodo.
Per spiegare il meccanismo di generazione di coppie elettrone-lacuna è necessario far
riferimento al modello a bande di energia. I semiconduttori hanno una struttura
elettronica tale che, a temperature ordinarie, praticamente tutti gli elettroni sono collocati
in specifiche posizioni all’interno del reticolo cristallino; questa condizione si definisce
dicendo che essi hanno energia in banda di valenza. Se un elettrone riceve abbastanza
energia da potersi liberare dal legame che lo tiene fermo nel reticolo allora si dice che esso
è passato in banda di conduzione. Al suo posto lascia una lacuna (cioè uno stato energetico
libero nella banda di valenza): ecco che è avvenuta la generazione di una coppia. Perché
questo si verifichi è necessario che l’energia trasferita all’elettrone sia superiore all’energy
11
gap, una delle bande proibite, che è la distanza tra la banda di conduzione e la banda di
valenza, come rappresentato in Figura 1.1.
L’energy gap, che è quindi il valore minimo di energia richiesto per generare una coppia,
nel silicio vale .
Figura 1.1 Andamento qualitativo della struttura a bande nel silicio.
Come si può vedere dall’immagine il silicio è un semiconduttore a gap indiretto, cioè per
poter effettuare il salto con un’energia pari solo a un elettrone deve anche
cambiare quantità di moto, fatto che si verifica quando il reticolo cristallino subisce delle
deformazioni che portano il minimo della banda di conduzione ad allinearsi con il massimo
della banda di valenza. Poiché è difficile che ciò accada, si assume come energy gap la
differenza di energia tra il massimo della banda di valenza e la corrispondente posizione in
banda di conduzione, cioè .
Normalmente, a seguito della generazione di una coppia elettone-lacuna, dopo
un certo tempo si ha la ricombinazione dei due portatori di carica perché il silicio tende in
assenza di altri fenomeni a ritornare nello stato di equilibrio.
Per evitare ciò i fotodiodi impiegati nella tecnologia CMOS vengono polarizzati
inversamente in maniera che si venga a formare lungo la giunzione una regione
svuotata di carica all’interno della quale si trova un forte campo elettrico. In queste
condizioni quando una radiazione incidente deposita una certa quantità di energia
nell’area sensibile del fotodiodo le coppie elettrone-lacuna create nel processo vengono
subito separate dal campo elettrico e raggiungono per diffusione o trascinamento gli
elettrodi di raccolta. Il passaggio di una radiazione allora diventa rilevabile sotto forma di
12
una corrente prodotta nel pixel. La quantità di coppie generate è direttamente
proporzionale alla quantità di energia rilasciata nel reticolo:
La fotocorrente così generata viene misurata (direttamente o indirettamente come
differenza di potenziale ai capi dei diodi) al momento della lettura per ottenere
informazione sulle particelle incidenti.
Poiché questo processo tende a ridurre la regione svuotata e quindi a degradare la
sensibilità del rivelatore è necessario intervenire per riportare il fotodiodo in inversione.
13
1.2 Monolithic Active Pixel Sensors (MAPS) [2]
I sensori RAPS utilizzano un’architettura di tipo APS (Active Pixel Sensor) mostrata in Figura
1.2.
Figura 1.2 Architettura di un pixel di tipo APS.
Figura 1.3 Schema di una matrice di 3x3 pixel.
14
All’interno di ogni pixel sono disposti tre transistor che costituiscono tutta l’elettronica di
lettura ad esso necessaria, controllati dai segnali di RESET (comune a tutta la matrice) e
SELECT (fornito in maniera sequenziale tramite una circuiteria esterna):
, transistor di reset;
, transistor in configurazione common drain (source follower);
, transistor di selezione.
Per come è costruita, questa architettura prende anche il nome di architettura 3T (dove
“T” sta per “transistor”).
Gli elementi sensibili, i fotodiodi, sono delle regioni di tipo n+ (n-well) realizzate su un
substrato di tipo p-, da cui segue che i portatori che vengono raccolti e misurati sono
elettroni, mentre le lacune si disperdono nel bulk. Questa preferenza dipende dal fatto che
la mobilità degli elettroni è quasi tre volte maggiore di quella delle lacune, cosa che rende
la rivelazione del segnale più veloce ed efficiente.
In realtà poi tipicamente nei sensori CMOS la zona svuotata occupa solo una parte del
volume sensibile, a causa dei drogaggi relativamente poco elevati (
) e dei limiti sulle
tensioni impiegabili ( - ): di conseguenza la carica generata non raggiunge la n-well
per trascinamento ma per diffusione termica. Questo penalizza la velocità di raccolta, che
risulta circa pari al tempo di vita medio dei portatori di carica ( ). Esso è
proporzionale alla mobilità: ecco che la scelta di misurare gli elettroni raccolti costituisce
ancora un vantaggio.
Una conseguenza di questo fatto è la necessità di limitare la tipologia dei transistor che
circondano il fotodiodo ai soli dispositivi di tipo n: un dispositivo di tipo p necessiterebbe
infatti di una n-well per essere ospitato, la quale si comporterebbe da centro parassita di
raccolta di carica, riducendo l’efficienza del sensore.
Nell’architettura che stiamo considerando il metodo utilizzato per quantificare la
fotocorrente consiste in una misura in tensione. Poiché il fotodiodo viene mantenuto in
inversione tramite l’impulso periodico di RESET, è conveniente nella fase di lettura andare
a misurare la differenza di tensione ai suoi capi tra il valore imposto dal RESET e quello
raggiunto in caso di passaggio di particelle ionizzanti.
15
L’attivazione di tramite l’impulso polarizza inversamente il diodo con una tensione al
nodo indicato da pari a , il valore è degradato di una soglia a causa del fatto
che si tratta di un nMOS.
Al termine dell’operazione di reset il fotodiodo viene lasciato floating per un intervallo di
tempo che viene denominato tempo di integrazione, durante il quale si attende
l’interazione con una particella. Se questa avviene la fotocorrente che viene generata
restringe la regione svuotata e quindi genera una netta caduta di potenziale ai capi del
diodo. In assenza di interazioni invece la carica accumulata alla giunzione decade
lentamente per effetto della corrente di buio fino al successivo impulso di RESET.
Il segnale presente al nodo viene trasferito a valle dal transistor , che essendo in
configurazione source follower si comporta da buffer: il guadagno di tensione circa unitario
non modifica sostanzialmente il segnale trasferito ma l’alta impedenza d’ingresso e la
bassa impedenza di uscita garantiscono un assorbimento di corrente pressoché nullo,
disaccoppiando il fotodiodo dal bus di lettura.
Esaurito il tempo di integrazione, tramite il segnale di SELECT si accende il transistor
che abilita la lettura del pixel. La differenza tra la tensione misurata al momento della
lettura e quella presente al termine dell’intervallo di RESET è proporzionale all’integrale
della carica generata dalla radiazione che ha colpito il fotodiodo.
Fase
Reset ON OFF Il fotodiodo viene ripolarizzato in inversa portando il catodo a
.
Integrazione OFF OFF
Il fotodiodo, lasciato floating, inizia a scaricarsi per effetto della
corrente di buio o in proporzione all’intensità della radiazione
incidente. Non c’è consumo di potenza.
Lettura OFF ON Il pixel è collegato al proprio bus di colonna e è attivo: il valore
del pixel è disponibile per la lettura.
Tabella 1.1 Riassunto delle fasi di funzionamento di un pixel APS.
Un sensore nella sua interezza è costituito da una serie di repliche del pixel finora descritto
disposte in una matrice in cui ogni colonna ed ogni riga hanno in comune un bus.
16
L’insieme di queste linee connette il tutto ad una circuiteria esterna che implementa i
decoder che servono a gestire l’operazione di lettura sequenziale della matrice, come
mostrato in Figura 1.4.
Figura 1.4 Schema di principio di un sensore APS.
In fondo ad ogni colonna inoltre è presente un transistor che polarizza ciascun source
follower nel momento in cui viene attivato per la lettura, questo minimizza il rumore,
migliora il fill factor (che verrebbe ridotto includendo un transistor di polarizzazione in ogni
pixel) e riduce il consumo di corrente (perché in ogni istante in ogni colonna c’è un solo
pixel il cui transistor è in grado di condurre).
A fare da interfaccia tra il sensore e l’esterno si trova poi un buffer a cui è associato il
piedino di uscita dell’intera matrice.
17
1.3 Vantaggi e svantaggi dello scaling
Nel 1974 Robert Dennard scrisse, insieme ad alcuni suoi colleghi dell’IBM T. J. Watson
Research Center, un articolo [3] che gettò le fondamenta su cui è cresciuta l’industria dei
semiconduttori degli ultimi 35 anni, formulando la teoria che ha permesso in pratica di
continuare a seguire la legge di Moore. Egli suggerì che scalando le tensioni dei dispositivi
integrati al pari delle dimensioni fotolitografiche si sarebbero potuti ottenere
simultaneamente quei benefici che oggi sono dati per scontato: velocità, risparmio di
potenza, costi ridotti.
Figura 1.5 Regole di scaling tratte dall’articolo originale di Dennard del 1974.
Tuttavia, con l’avvicinarsi di quelli che sembrano i limiti di questo trend che per tanto
tempo ha dominato la scena dei semiconduttori, hanno iniziato ad avere peso certe
problematiche che in passato erano meno rilevanti.
Il sensore che è oggetto di analisi in questo lavoro, denominato RAPS06, è stato progettato
in tecnologia UMC da con pixel in architettura APS. Esso continua un percorso
iniziato dal sensore RAPS03, che è strutturato in maniera simile ma è stato realizzato in
tecnologia UMC da , conservando in particolare nell’evoluzione una dimensione
dell’area sensibile all’interno di ogni pixel pari a .
La scelta di passare da un nodo tecnologico all’altro porta con sé, per quanto detto prima,
una serie di considerazioni di cui tenere conto, in particolare nell’ottica di confrontare le
prestazioni tra i due sensori.
I benefici primari di questa scelta sono una maggiore densità di dispositivi per unità di area
ed un ridotto consumo di potenza, conseguente alla diminuzione delle tensioni di
18
alimentazione (da di RAPS03 a di RAPS06 per le varie sezioni analogiche
e digitali).
Inoltre una delle conseguenze fondamentali dello scaling di un dispositivo è la diminuzione
delle capacità parassite che lo caratterizzano, e ciò è di particolare interesse per quelle che
afferiscono al nodo in cui è conservata la carica raccolta dal fotodiodo. Facendo
riferimento ai contenuti del Paragrafo 1.2, questa definizione comprende essenzialmente
la capacità di gate del source follower e le capacità geometriche del transistor di reset. Una
minore capacità in cui conservare la carica raccolta comporta di conseguenza una scarica
più rapida, e quindi la possibilità di ottenere performance superiori lavorando a frequenze
maggiori.
Come precisato poco più indietro, nel sensore RAPS06 le dimensioni del fotodiodo non
sono state scalate. Questo porta ad una serie di vantaggi, in quanto è dimostrato che oltre
un certo livello di integrazione lo scaling dei pixel non risulta più conveniente [4], e per
ottenere risultati soddisfacenti bisogna modificare l’architettura del pixel per inserire della
logica supplementare. Le caratteristiche del fotodiodo però non sono esattamente le
stesse, perché nel passare da una tecnologia all’altra uno degli obiettivi che si cerca di
perseguire è quello di mantenere costanti gli effetti di campo [5, p. 124]: ciò si ottiene
tramite un aumento del doping del substrato su cui il diodo è costruito.
Poiché la capacità di svuotamento per unità di area di una giunzione pn è proporzionale
alla relazione [5, p. 82]
√
(
)
dove ed sono le concentrazioni dei droganti, è la costante dielettrica del silicio e
è la carica elementare dell’elettrone, a parità di area del diodo ( ) un doping maggiore
implica un aumento della capacità totale.
Nei riguardi delle prestazioni del sensore questo si può tradurre in una minor sensibilità
agli stimoli (la risposta diminuisce a parità di illuminazione1) ed una maggiore stabilità agli
effetti del rumore termico.
1 , a parità di carica raccolta si ottengono variazioni di tensione minori.
19
Se il rumore termico migliora, il fixed pattern noise (cfr. Paragrafo 4.4) al contrario subisce
un peggioramento, perché la variazione dei parametri dei dispositivi nominalmente identici
tende a farsi sempre più marcata.
Uno svantaggio caratteristico degli APS nello scaling dei dispositivi è la progressiva
diminuzione del range dinamico del sensore. Questo ha come estremo superiore il valore
, come descritto nel Paragrafo 1.2; dunque già per la presenza di dispositivi di
tipo nMOS quale che sia la tecnologia impiegata lo swing non può essere il massimo
possibile. A ciò si aggiunge che mentre la diminuzione della tensione di alimentazione
tende ad essere circa proporzionale allo scaling, si cha che le tensioni di soglia non seguono
lo stesso trend. L’insieme di questi due andamenti porta ad una sempre maggiore
restrizione del range utile del segnale.
Un ragionamento che si può fare a prescindere dalla valutazione delle prestazioni del nodo
tecnologico in sé invece riguarda la longevità nell’ambito della fabbricazione dei circuiti
integrati. Ad esempio la tecnologia a è stata scelta ormai una decina di anni fa agli
albori del progetto RAPS tra quelle relativamente più nuove, in modo da garantire (come
poi è effettivamente stato) una certa continuità nello sviluppo dei prototipi. Quando essa
non sarà più disponibile, nelle valutazioni complessive delle nuove alternative bisognerà
anche tenere conto delle prospettive della loro permanenza in produzione. A questo
riguardo, i risultati ottenuti con uno studio approfondito del sensore RAPS06 potranno
fornire un utile termine di paragone.
Tra i fattori da considerare nella scelta di una tecnologia c’è anche il costo dei run:
consultando il listino fornito alle Università dal programma Europractice2 [6] si può
verificare ad esempio che il prezzo per un blocco di area di in tecnologia
UMC da (RAPS03) è di , che sale a per un blocco di
per il nodo a (RAPS06), cioè (a parità di area) quasi quattro volte
di più.
2 Il programma Europractice ha come finalità quella di facilitare l’accesso di Università ed aziende nell’ambito della
realizzazione di circuiti integrati, sia per quanto riguarda i costi da sostenere che per il training e la fornitura di CAD per la progettazione.
20
1.4 Il sensore RAPS03
Il sensore RAPS03 è stato fabbricato in tecnologia CMOS UMC da con sei livelli di
Metal ed uno di Poly, ed ha un’area complessiva di . Esso è costituito da un
insieme di elementi dalle diverse funzionalità [2, pp. 106-108]:
quattro matrici di 128x128 pixel implementate con due strutture di pixel differenti,
per un totale di 256x256 pixel;
una sezione di elettronica di lettura ed un’uscita analogica dedicata (buffer) per
ciascuna matrice;
tre matrici di test di 32x32 pixel con le stesse caratteristiche delle matrici principali
ma differenti nelle tipologie di pixel (small, G1P0,G1P0L);
una struttura ultradiode composta di circa 8.000 diodi del pixel small connessi in
parallelo;
una struttura di 2x11 pixel indirizzabili mediante un decoder;
due matrici 3x3 in cui ogni pixel è collegato direttamente ad un pad di uscita;
una serie di strutture formate da singoli pixel collegati all’esterno senza elettronica
di indirizzamento;
tre buffer;
una serie di singoli transistor.
21
Figura 1.6 Layout di RAPS03.
I segnali digitali di reset e lettura delle matrici sono generati internamente al chip e
controllati per mezzo di appositi registri. Sui connettori della scheda madre arrivano i
segnali delle quattro matrici principali e delle strutture di test.
Le quattro matrici sono indicate, per sottolineare la differente struttura dei pixel, come
ESA-Large (o ESA-L) destra e sinistra e ESA-Small (o ESA-S) destra e sinistra.
In Figura 1.7 sono riportati i due layout.
Figura 1.7 Layout del pixel L (sinistra) ed S (destra).
Entrambi i pixel hanno una dimensione di x ed utilizzano l’architettura APS
descritta nel Paragrafo 1.2. La differenza evidente che li caratterizza sta nella superficie del
22
fotodiodo, che nei pixel large è la massima possibile, pari a , e nei pixel small è
invece di . A queste superfici corrispondono rispettivamente fill factor del e
.
Le ridotte dimensioni dell’area attiva nei pixel small hanno come conseguenza una minore
capacità associata alla giunzione pn del fotodiodo, e questo si traduce in un rapporto di
conversione carica-tensione più elevato, una maggiore velocità di lettura del pixel e
prestazioni in termini di rumorosità peggiori. Proprietà duali valgono per i pixel large; una
trattazione più approfondita a questo riguardo si può trovare in [3].
La tipologia di pixel più di interesse per questo lavoro di tesi è la small, perché è la stessa
impiegata nell’unica matrice 128x128 del sensore RAPS06 che è stato oggetto di test.
Dal punto di vista delle prestazioni, le matrici ESA-S hanno un’efficienza maggiore per
quanto riguarda la capacità di contare il numero di fotoni incidenti, visto che il miglior
rapporto di conversione carica-tensione, nonostante la rumorosità di singolo pixel sia più
elevata, fa sì che anche particelle poco energetiche possano essere tradotte in una
variazione significativa del segnale di uscita. D’altra parte, avendo un’area sensibile più
piccola, esse forniscono prestazioni inferiori relativamente alla quantità di carica che sono
in grado di raccogliere, specialmente nei casi in cui una radiazione investa il bordo di un
pixel: la carica generata si divide tra pixel adiacenti, ma la percentuale che viene persa a
causa di fenomeni di ricombinazione è molto più elevata che nelle matrici L.
23
2. Il sensore RAPS06
In questo capitolo viene prima descritto a livello strutturale e funzionale il sensore che è
stato oggetto di analisi in questo lavoro di tesi, esso viene poi contestualizzato nell’ambito
dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) di Perugia dove si trova l’insieme delle
risorse hardware e software che permettono di gestirlo e testarlo.
Il progetto di cui RAPS06 fa parte, denominato To_asIC (Toward advanced submicron IC),
nasce con l’obiettivo di sviluppare e caratterizzare sistemi di rivelazione di radiazione APS
monolitici (cfr. Paragrafo 1.2) integrati in tecnologia CMOS standard.
Nel corso degli anni, a partire dal 2002 con il primo RAPS, si sono succeduti sui banchi dei
laboratori dell’INFN diversi prototipi, ciascuno dei quali ha selezionato e sviluppato gli
aspetti migliori dei suoi predecessori restando contemporaneamente fedele a delle linee
guida fondamentali stabilite fin dall’inizio:
basso costo;
basso consumo;
alta configurabilità;
assenza della necessità di chip di supporto separati;
resistenza al danno da radiazione.
I primi tre sensori, da RAPS01 a RAPS03, hanno utilizzato tecnologie da ed hanno
portato avanti un processo di valutazione di diverse opzioni come le caratteristiche del
fotodiodo, delle matrici e dell’elettronica di controllo.
RAPS04 invece ha deviato significativamente dal percorso dei chip precedenti poiché
implementa una tecnologia verticale da , mentre RAPS06 torna ad una struttura
più consueta tentando però il passaggio ad un nodo tecnologico più spinto.
24
2.1 RAPS06
Il chip RAPS06 è stato realizzato nell’ambito del progetto INFN To_asIC (Toward advanced
submicron IC) presso il Dipartimento di Ingegneria Elettronica e dell’Informazione (DIEI)
dell’Università degli Studi di Perugia in collaborazione con il Dipartimento di Fisica, la
sezione di Perugia dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), l’Università di Parma e
l’Università di Catania.
La tecnologia scelta è la CMOS UMC L90N 1P9M2T1F 1.0V/2.5V lowK Logic/Mixed-
Mode/RF, preferita ad altre perché permette la scelta di un substrato in proporzione meno
drogato. Questa caratteristica è fondamentale per l’ottenimento di un’efficienza maggiore,
in quanto alla maggior resistività del substrato consegue una minor ricombinazione dei
portatori e quindi è più probabile che si riesca a raccogliere tutta la carica generata da una
radiazione.
Le caratteristiche di questa tecnologia sono riportate nella Tabella 2.1.
UMC L90N 1P9M 1.0V/2.5V lowK Logic/MixedMode
Process technology
specifications units Standard Performance (SP) Low Leakage (LL)
Application ASIC - Consumer - Network Portable - Wireless
LVT RVT HVT LVT RVT HVT
Substrate Type P-substrate
Nwell - Non salicide (N+
P+ N+Poly P+Poly)
Ohm/sq
370 - 82 95 100 240
Wafer size (6) - available
die thicknesses 12 Inch - 29 Mils or 11 Mils
Core devices SP_Lvt
(1.0V)
SP_Rvt
(1.0V)
SP_Hvt
(1.0V)
LL_Lvt
(1.2V)
LL_Rvt
(1.2V)
LL_Hvt
(1.2V)
Core devices Tox - Min
gate length Å - µm 15.5 - 0.08
15.5 -
0.08 15.5 - 0.08
22 -
0.09 22 - 0.09 22 - 0.09
Core devices Ioff Amp/um 50n 10n 400p 400p 30p 10p
Core devices Delay ps/stage 9.8 10.6 16.1 15.5 20.5 21.3
Core devices VtON N/P V 0.26/-0.22 0.33/-
0.277 0.457/-0.39
0.49/-
0.394
0.562/-
0.502
0.648/-
0.54
Core device overdrive V 1.2V 1.2V 1.2V - - -
25
(OD) feasibility
Core device overdrive
(OD) Ioff
Amp/um
N/P 60n/100n 5n/12n 400p/600p - - -
Core device overdrive
(OD) Delay
ps/stage 7.7
8.6
11.9 - - -
Core device overdrive
(OD) VtSAT N/P V
0.137/-
0.09
0.227/-
0.167
0.362/-
0.287 - - -
IO devices V 1.8V 2.5V(default) 3.3V
IO devices Tox_gl (VG=-
2V, VB=0V) - Min gate
length
Å - µm 31 - 0.18 52 - 0.24 65 - 0.34
IO devices Ioff Amp/um
N/P 10p/400p 15p/15p 10p/10p
IO devices Delay ps/stage 26 24.7 39.4
IO devices VtON N/P V 0.527/-0.413 0.548/-0.5 0.57/-0.566
IO device underdrive
(UD) feasibilty
1.8V at Gox52 Ioff N/P 8p/8p delay 34.5 ps/stage Vtsat N/P 0.462/-0.432
min gate length 0.4µ
IO device overdrive (OD)
feasibility
3.3V at Gox52 Ioff N/P 15p/52p delay 70 ps/stage Vtsat N/P0.45/-0.436
min gate length 0.7µ
High Ohmic Resistor
(HR) Ohm/sq 1012
Metal Metal Cap (MiM
cap)
fF/µm² 1.544
NCAP fF/µm² 15.3 @ 1.0V thin oxide - 11.7 @1.2V medium oxide - 8.9 @1.8V thick oxide
- 5.8 @2.5V thick oxide - 4.8 @3.3V thick oxide
Native threshold voltage
NFET SP_NVT 1.0_1.2V OD LL_NVT 1.2V NVT 1.8V NVT 2.5V NVT 3.3V
Number of Poly/Metal
Layers # 1 Poly - 9 Metals : M1 M2->M6(1X) - M7->M8(2X) - M9(4X)
Metal pitch µm M1(0.12) M2->M6(0.14) - M7->M8(0.28) - M9(0.56)
Metal Resistivity mOhm/sq M1(115) M2->M6(105) - M7->M8(44) - M9(27)
Cadence Design Kit Yes
Tabella 2.1 Riassunto delle principali caratteristiche della tecnologia UMC scelta per progettare RAPS06.
26
Nel nome della tecnologia scelta sono evidenziate le informazioni fondamentali: il nodo
tecnologico è , per la progettazione sono a disposizione un livello di Poly e nove di
Metal (di cui metal7 e metal8 sono “thick”, cioè spessi il doppio degli altri, e metal9 è “fat”,
spesso quattro volte gli altri), le tensioni di alimentazione disponibili sono e . Lo
spessore del wafer di silicio su cui il sensore è prodotto è, inoltre, pari a . Questo è
un parametro molto importante da considerare trattandosi di un rivelatore, poiché ciascun
tipo di radiazione cui è esposto un materiale può penetrare al suo interno a profondità
differenti, e dunque in casi particolari il sensore può anche essere attraversato
completamente. Nel nostro caso, ad esempio, questo è ciò che accade se esso viene
investito da un flusso di particelle β (cfr. Paragrafo 3.1.1.1), per il quale bisogna tener
conto dell’impossibilità di assorbire tutta l’energia della radiazione incidente.
2.1.1 Struttura del sensore
Il chip di RAPS06 ospita al suo interno alcune strutture fondamentali:
il rivelatore vero e proprio, costituito dalla matrice di 256x256 (=16384) pixel APS;
la rete di polarizzazione analogica associata alla matrice;
un multiplexer analogico che si occupa della gestione delle operazioni di lettura;
un buffer di uscita che porta i valori letti ad una pad;
una sezione digitale che controlla tutte le attività del sensore;
una replica del buffer di uscita con input ed output collegati a due pad per
permetterne la caratterizzazione.
27
Figura 2.1 Schema a blocchi delle strutture interne di RAPS06; quelle analogiche sono bordate di nero, la sezione digitale in viola.
Come si può vedere dallo schema di principio in Figura 2.1, il sensore è controllato tramite
una serie di segnali digitali ed analogici che esso riceve dall’esterno; sia questi che le uscite
che fornisce passano attraverso delle opportune pad distribuite su due lati del chip (Figura
2.2). Inoltre, secondo le specifiche della tecnologia UMC da 90 nm, al chip è fornita una
doppia alimentazione di 1.0 V (per il core, comune alle parti analogica e digitale) e di 2.5 V
(per le celle di I/O3).
Il buffer di test, in particolare, si interfaccia con l’esterno tramite le due pad segnate come
IN_BUFFER ed OUT_BUFFER.
3 Le celle di I/O hanno la funzione di garantire il transito dei segnali analogici e digitali, delle tensioni di alimentazione
e della massa da e verso il core; in altre parole costituiscono l’interfaccia tra il core e le pad. Sono fondamentalmente costituite da piste di metallo con dei diodi di protezione. Se la cella di I/O ha la funzione di far passare un segnale digitale, al suo interno è presente anche un buffer che trasla i livelli logici da ad [9, p. 101].
28
Figura 2.2 Layout della sezione esterna del chip RAPS06. Disposte ad L per massimizzare l’area sensibile si vedono le pad di connessione dei segnali (rosse) e le celle di I/O (in blu). È
evidenziato, in basso a sinistra, il buffer di test.
L’insieme dei segnali di ingresso ed uscita è riassunto in Tabella 2.2.
#
PIN Segnale Tipo di segnale, range atteso
Descrizione del segnale
1 POL Input, analogico, - Tensione di gate del pull-down di colonna
2 IN_BUFFER Input, analogico, - Ingresso del buffer di test
3 (I/O cells) , Alimentazione delle celle di I/O
5 GND (core) GND, analogico ( ) Massa delle celle di I/O
6 CLOCK Input, digitale, - Segnale di temporizzazione
7 RESET Input, digitale, - Reset sincrono della logica
8 START_TRIGGERED Input, digitale, - Avvio scansione singola
9 START_AUTO Input, digitale, - Avvio modalità automatica
10 , core , Alimentazione del core
11 OUT Output, analogico, - Uscita della matrice
25 GND (I/O cells) GND, digitale ( ) Massa del core
26 READING_DATA
Output, digitale, -
Segnale di sincronismo: comunica all’esterno
che il sistema è in fase di lettura della matrice
27 RESET_ROW Input, digitale, - Reset della matrice (riporta i diodi in inversa)
28 OUT_BUFFER Output, analogico, - Uscita del buffer di test
Tabella 2.2 Elenco dei segnali di ingresso ed uscita di RAPS06 [4].
29
POL è un segnale che viene portato al gate di tutti i transistor che fungono da pull-down di
colonna, e determina la possibile escursione e la velocità di risposta del segnale in uscita: al
crescere del valore di questa tensione l’uscita guadagna in velocità ma vede la propria
escursione diminuire e viceversa. L’uscita di ciascuna colonna a valle del pull-down è
collegata poi tramite il multiplexer ad una stessa linea che conduce al buffer.
La temporizzazione di tutto il sistema è data dal segnale di CLOCK, che può avere una
frequenza massima di , il RESET invece ha il ruolo di reinizializzare la macchina a
stati .
Il segnale RESET_ROW è comune a tutti i pixel ed accende, quando è a livello logico alto, i
transistor che connettono i fotodiodi a . Poiché si tratta di un segnale sincrono,
l’effettivo intervallo di carica inizia non quando il pad di reset viene portato alto ma al
primo fronte di salita del clock successivo alla transizione di RESET_ROW.
START_TRIGGERED e START_AUTO danno il via a due modalità diverse di lettura descritte
con più precisione nel paragrafo successivo; in ogni caso l’inizio della lettura viene
segnalato all’esterno dalla salita del segnale READING_DATA.
Il chip è alloggiato in un package ceramico Dual-In-Line4 a 28 piedini con coperchio
rimovibile (taped lid); in Figura 2.3 si può vedere il diagramma delle connessioni al package
accanto alla realizzazione fisica, mentre nella successiva è mostrato il package con il chip
montato con e senza lid.
4 DIP (Dual-In-Line Package) o anche DIL o CERDIP (Ceramic Dual In-line Package).
30
Figura 2.3 Schema delle connessioni del chip di RAPS06 al DIP28 che lo ospita e loro realizzazione pratica.
Figura 2.4 RAPS06 nel suo package.
Come spiegato alla fine del Paragrafo 1.4 l’unica matrice di RAPS06 implementa dei pixel di
tipo small, già ampiamente caratterizzati in RAPS03, tuttavia nel passaggio dal nodo
tecnologico a a quello a le sole dimensioni che sono rimaste invariate sono
quelle dell’area sensibile, quindi del fotodiodo. Tutti i transistor dell’architettura APS sono
invece stati scalati opportunamente, e quindi ci si aspetta di trovare delle differenze nel
comportamento rispetto a RAPS03.
La matrice è inoltre circondata da due righe di pixel che non sono letti e che servono a
garantire una certa uniformità agli altri elementi sensibili, in maniera che quelli più esterni
non abbiano comportamenti anomali dovuti alla brusca variazione nella struttura del
sensore.
31
Un pixel ha dimensioni complessive di x mentre il fotodiodo ha un’area di
, ne segue che il fill factor è pari al 4%.
Figura 2.5 Layout di un pixel di RAPS06. Si può notare nella zona al centro il fotodiodo.
Due dei chip arrivati dalla fonderia e montati su DIP28 sono stati portati all’INFN; sono
distinguibili per essere marcati come #1 e #2, e questa è la convenzione che verrà utilizzata
nel resto del testo per riferirsi all’uno o all’altro.
È di importanza fondamentale sottolineare che si tratta di chip provenienti dal secondo
ciclo di produzione di RAPS06: i sensori appartenenti al primo, per un’inconguenza tra le
librerie utilizzate per il progetto e quelle impiegate nel processo di fabricazione del chip,
erano stati realizzati con un livello di metallizzazione in meno nella zona di I/O. Di
conseguenza ogni chip non era connesso in alcun modo verso l’esterno: non poteva
ricevere segnali di controllo e non assorbiva potenza, né tantomeno era possibile ottenere
qualcosa in uscita [5, p. 104]. Per questo motivo una volta arrivati i nuovi sensori (gennaio
2012) le prime analisi sono andate verso la ricerca di conferme della correzione di tali
anomalie.
32
2.1.2 Funzionamento del sensore
Il sensore è caratterizzato da due differenti modalità di funzionamento che si attivano
inviando un segnale al piedino START_TRIGGERED o al piedino START_AUTO. La prima fa
riferimento ad una situazione in cui ogni ciclo di lettura è avviato solo quando il sensore
riceve un segnale al piedino specificato, mentre nella seconda parte una procedura di
lettura automatica che prosegue finché non viene attivato il segnale di RESET, che azzera
tutti i registri della macchina a stati [4].
In realtà attualmente RAPS06 viene controllato soltanto con la prima modalità, che viene
gestita in maniera da simulare un comportamento analogo alla seconda: in pratica viene
avviata continuamente la lettura singola tramite l’uso periodico di START_TRIGGERED. Il
firmware dell’FPGA che controlla i segnali da inviare al sensore non è al momento in grado
di utilizzare la procedura automatica.
La lettura della matrice procede in maniera sequenziale a partire dal pixel in basso a
sinistra, e la scansione interessa tutti i pixel in un percorso che si muove da sinistra verso
destra e dal basso verso l’alto. Durante questo processo ciascun pixel resta collegato
all’uscita della matrice per quattro cicli di clock, dunque una lettura completa termina
dopo cicli. Il tempo di attesa tra una lettura e l’altra prende il nome
di tempo di integrazione, ed indica la finestra temporale in cui si attende che una
radiazione colpisca il sensore.
Quando viene iniziata una scansione singola al piedino START_TRIGGERED viene inviato un
segnale alto: dopo il primo fronte di salita del clock successivo a tale transizione inizia la
lettura ed il segnale READING_DATA indica questa situazione assumendo valore logico alto.
Trascorso il tempo necessario READING_DATA torna basso e la matrice rimane in attesa di
una nuova scansione; ogni procedura di lettura deve necessariamente essere iniziata da un
ripristino della macchina a stati e da una ripolarizzazione dei diodi per avere un
funzionamento corretto.
La modalità automatica compie le stesse operazioni appena descritte in maniera ciclica, ed
una volta avviata nessuno dei segnali, ad eccezione del RESET della logica che la
interrompe, ha più alcuna influenza sul comportamento del sensore. Nel momento in cui il
33
segnale START_AUTO passa ad un valore logico alto la logica resetta i fotodiodi della
matrice per cicli di clock, poi attende per un tempo di integrazione pari
alla durata della successiva fase di lettura (sempre cicli di clock) durante la quale
anche READING_DATA va alto per informare l’esterno della presenza di dati validi in uscita.
In questa modalità il segnale RESET_ROW non proviene dall’esterno, ma è generato
internamente dalla logica.
2.2 Il setup all’INFN
Tutti i prototipi RAPS dallo 01 ad oggi sono stati caratterizzati (anche) presso il Laboratorio
Semiconduttori dell’INFN di Perugia, dove si trova un complesso setup di test che è stato
progettato fin dall’inizio per potersi adattare ad un numero di situazioni piuttosto vario.
Prima di tutto è in grado di interfacciarsi non solo con i vari RAPS, tramite le schede
apposite, ma anche con sensori commerciali che vengono testati nell’ambito di altri
progetti.
In secondo luogo è realizzato in maniera da essere facilmente trasportabile in altri
laboratori (come quelli del CERN di Ginevra, gli LNF di Frascati o gli LNS di Catania) dove è
possibile utilizzare sorgenti di particelle note di diversa natura ed energia per ampliare
ulteriormente la caratterizzazione di un sensore.
Fondamentalmente il setup si compone di due parti:
una sezione hardware, che comprende il cuore del sistema, composto da una
motherboard, un FPGA e quattro ADC più un sistema di alimentatori ed il computer
necessario a coordinare il tutto;
una componente software, che gestisce l’FPGA per controllare il funzionamento del
sensore connesso ed acquisire i segnali che esso produce.
Ogni sensore è poi dotato di una propria scheda, denominata daughterboard, che funge da
interfaccia con tutto il resto. La daughter progettata per connettere RAPS06 al setup è
descritta nel Paragafo 2.3.
È da notare che in realtà il setup è in grado di ospitare e controllare fino a quattro sensori
contemporaneamente, quindi se quando ce n’è uno solo il fine è quello di raccogliere
34
informazioni sulla radiazione incidente, quando sono più di uno si può provare a
ricostruirne la traiettoria.
Una struttura complementare al setup è il banco ottico che si trova nello stesso
laboratorio, il cui uso può essere coordinato assieme al resto per testare i sensori con
diverse sorgenti laser effettuando scansioni di precisione submicrometrica.
2.2.1 Hardware
Le componenti hardware fondamentali sono la motherboard, su cui si innestano le schede
che ospitano i sensori, ed una scheda di acquisizione che contiene gli ADC e l’FPGA.
Un’immagine di insieme è riportata in Figura 2.6.
Figura 2.6 Insieme di motherboard e scheda di acquisizione (a destra) con gli alimentatori che vi portano le tensioni (a sinistra), cuore del setup all’INFN.
La motherboard ha lo scopo di ospitare fino a quattro schede daughter in parallelo,
occupandosi di gestire tutti i segnali che transitano tra queste e la scheda di acquisizione.
Su di essa si possono distinguere sei aree funzionali principali.
Prima di tutto abbiamo la zona dei connettori, in posizione centrale, su cui trovano posto le
daughterboard con i sensori. Ciascun sensore, tramite opportune piste, è collegato a
connettori LEMO ( in totale) posizionati nella parte frontale della scheda: da qui
vengono prelevate le uscite analogiche. In particolare, RAPS06 è caratterizzato da una sola
uscita che arriva al connettore LEMO contrassegnato dall’etichetta ESA_S_DX, ma prototipi
35
precedenti ne avevano di più. Un gruppo di amplificatori si occupa di contrastare il
degrado che i segnali subiscono nel passare attraverso piste e connettori fino ai LEMO.
L’area di gestione delle alimentazioni, che è la più estesa, riceve tensioni da tre
alimentatori duali e le ridistribuisce alla scheda di acquisizione ed ai connettori delle
daughter. Le tre tensioni sono pari a per la parte digitale della scheda di acquisizione,
per la sua parte analogica e per i RAPS. Tramite dei regolatori quest’ultima
tensione viene poi ridotta a (digitale) e (analogica).
Una sezione di isolatori permette di separare i segnali digitali in due domini indipendenti
rispetto a due coppie separate alimentazione/massa, in modo da renderli meno soggetti a
forme di disturbi condotti.
Vi sono poi dei sistemi che convertono le tensioni da Single-Ended (SE) a Low Voltage
Differential Signaling (LVDS) e viceversa che consentono di prevenire eventuali fenomeni di
accoppiamento elettromagnetico tra cavi che trasportano più segnali molto vicini tra loro.
La scheda di acquisizione è costituita da due blocchi.
Il primo è una scheda Opal Kelly XEM3050-4000p [6] con a bordo un FPGA Spartan 3 della
Xilinx modello XC3S4000 e un’interfaccia USB 2.0 per connettere tutto al computer che
controlla le acquisizioni. L’FPGA si occupa della gestione dei segnali di controllo destinati ai
sensori ed effettua la trasmissione al computer dei dati da salvare operando la sottrazione
dei piedistalli e gestendo le operazioni di trigger.
Il secondo blocco della scheda di acquisizione consiste di due evaluation board
AD9238BCP-65EBZ della Analog Devices, ciascuna delle quali ha a bordo due ADC [7] da 65
MSPS e 12 bit di risoluzione. Essi permettono di convertire in digitale i segnali analogici
acquisiti da quattro sensori contemporaneamente.
Il sistema fin qui descritto viene in genere ospitato all’interno di una grossa box di
alluminio che contiene anche il banco ottico. Essa ha il duplice fine di schermare il setup
dalla luce esterna e dalle interferenze elettromagnetiche, creando così le migliori
condizioni di buio possibili, ed inoltre di proteggere coloro che utilizzano il laser o sorgenti
radioattive.
36
Figura 2.7 La box metallica chiusa. Nell’immagine si può vedere il telo nero che viene calato sullo sportello per impedire il filtraggio della luce dai bordi.
Sulla destra della struttura si apre un foro che permette il passaggio dei cavi per il controllo
dell’FPGA e dei motori del banco ottico.
2.2.2 Software
Il compito della componente software del sistema è quello di fornire un’interfaccia grafica
che permetta di
gestire il sensore sotto test in maniera opportuna, inviandogli i segnali di controllo;
acquisire e visualizzare la risposta del sensore in varie modalità attraverso
l’impostazione di una serie di parametri (come la scelta di un trigger, il calcolo dei
bad pixel);
salvare i dati raccolti in un formato successivamente rielaborabile con altri
strumenti software.
Il tutto è stato realizzato in LabView e la sua struttura si è evoluta nel corso del tempo per
adattarsi alle diverse necessità.
37
All’avvio del software, la prima operazione che esso svolge automaticamente è quella di
programmare l’FPGA tramite un firmware in formato bitstream che viene caricato da una
cartella specifica nel computer.
Per tutti i RAPS, escluso RAPS06, il sensore è progettato in modo da lasciare attivo in
uscita, durante la fase di lettura, il segnale proveniente da ciascun pixel per la durata di un
solo ciclo di clock. Questo viene poi campionato per almeno quattro volte in posizioni
opportune e mediato per ottenere il valore finale: questa è una delle tante operazioni che
vengono effettuate dall’FPGA in conseguenza alle istruzioni presenti nel firmware.
Durante la lettura di RAPS06 invece ciascun pixel viene lasciato connesso in uscita per
quattro cicli di clock, per cui prima di iniziare le operazioni di acquisizione è necessario
caricare uno dei firmware sostitutivi5 (brevemente discussi più avanti) realizzati dall’ Ing.
Daniel Magalotti affinché questa differenza sia gestita correttamente.
La parte di controllo dell’acquisizione si gestisce dal primo pannello che si apre all’avvio del
programma, come si può notare in Figura 2.8 sono raccolti tutti insieme i campi che
permettono di impostare la frequenza operativa6, il tempo di integrazione e quello di
reset.
5 Operando il sensore con il firmware adatto agli altri RAPS si ottiene un comportamento fortemente anomalo, dovuto
al fatto che nel passaggio da una lettura all’altra si perde la sincronia con i segnali necessaria al funzionamento . Il sistema di acquisizione visualizza comunque dei risultati, ma si tratta di dati non corretti. 6 Al momento l’unica frequenza utilizzabile, in attesa di una riconfigurazione del programma di acquisizione, è pari ad .
38
Figura 2.8 Screenshot del pannello delle impostazioni iniziali per le acquisizioni in LabView.
La visualizzazione degli eventi acquisiti avviene in una sezione in cui sono disponibili tre
visuali principali: la modalità oscilloscopio e due rappresentazioni in forma di matrice, 2D e
3D.
Figura 2.9 Visualizzazione di un’acquisizione in LabView in modalità oscilloscopio (tempo di integrazione di , tempo di reset ). I pixel sono rappresentati dalle righe rosse, ed il
punto bianco indica il valore associato.
39
Figura 2.10 Visualizzazione di un’acquisizione in LabView in modalità 3D (tempo di integrazione di , tempo di reset ).
Per permettere di rappresentare i dati in una maniera più comprensibile il programma si
occupa di operare un cambiamento di segno su tutti i valori dei pixel che vengono letti: in
questo modo un calo di tensione su uno di essi dovuto al passaggio di una radiazione viene
visualizzato con un picco positivo in corrispondenza del pixel. L’unità di misura con cui
vengono riportati i dati è l’ (dato che essi provengono dai convertitori
analogico-digitali).
Come si vede dalle immagini l’insieme dei pixel letti ad un dato istante, detto frame, è
visualizzato in riga nell’ordine di lettura nella modalità oscilloscopio (Figura 2.9) e con la
propria distribuzione spaziale nella visualizzazione 3D (Figura 2.10).
Un’altra sezione del programma di acquisizione (Figura 2.11) permette di calcolare e
sottrarre all’intero frame il valor medio (detto piedistallo), che è un tipo di rumore tempo-
invariante (cfr. Paragrafo 4.4).
40
Figura 2.11 Screenshot del pannello per le impostazioni dei parametri di acquisizione. In alto si può vedere la sezione dedicata al calcolo del piedistallo e del rumore (la deviazione
standard) per ciascuno dei canali acquisiti.
La sottrazione del piedistallo fornisce la visualizzazione di un segnale a valor medio nullo le
cui variazioni possono essere di tipo statistico (rumore) oppure dovute al passaggio di
radiazione nel sensore: per distinguere i due tipi di eventi si può allora intervenire in una
sezione in cui è possibile impostare una soglia (il trigger), il superamento della quale
determina con una certa sicurezza7 la presenza di un dato utile.
Volendo salvare una certa quantità di dati in presenza di una radiazione che colpisce il
sensore, è opportuno, dopo aver sottratto il piedistallo ed impostato un trigger, intervenire
nella sezione dedicata al calcolo dei bad pixel (in basso in Figura 2.11); essa si occupa di
rimuovere dai frame tramite un particolare algoritmo quei pixel che rispondono in maniera
eccessiva. Questo può essere dovuto ad un malfunzionamento fisso (causato dal processo
di fabbricazione del chip) oppure temporaneo dei pixel, in ogni caso essi vanno scartati per
non registrare false letture di eventi.
7 Le soglie minime si possono determinare in condizione di buio, cfr. Paragrafo 4.4.4, anche se poi vengono stimate
come un certo numero di volte il valore della deviazione standard.
41
Il pannello dedicato al salvataggio dei dati (Figura 2.12), infine, permette di selezionare
una cartella di destinazione e si occupa di generare tutte le sottocartelle necessarie; a
seconda del tipo di acquisizione che si intende fare è possibile scegliere di salvare tutti i
frame acquisiti (per fare analisi di buio) oppure soltanto quelli in cui si registra il
superamento del trigger.
Figura 2.12 Screenshot del pannello per le impostazioni dei salvataggi.
Per una descrizione più dettagliata del funzionamento del software di acquisizione si
rimanda a [8, p. 81].
Per gestire RAPS06 sono stati realizzati tre firmware, due dei quali permettono di acquisire
dati sull’intera matrice scartando tre valori su quattro ed uno che permette di acquisire
tutti i valori prodotti da ciascun pixel, ma solo per quanto riguarda l’ultimo quarto della
matrice.
Questo tipo di scelta è dovuto al fatto che, come detto prima, RAPS06 è progettato in
maniera da fornire una lettura di ciascuno dei pixel che compongono la matrice per una
durata complessiva di quattro cicli di clock. Ciò significa che, in termini di valori acquisiti
dall'FPGA ogni ciclo di clock, si dovrebbe arrivare a 16.384x4 campioni: al momento la
42
profondità di memoria disponibile nell’FPGA permette di acquisirne soltanto 16.384, per
cui, in un modo o nell’altro, tre quarti dell’informazione prodotta vanno scartati.
Dei firmware che acquisiscono l’intera matrice uno considera il valore del pixel proposto
nel primo dei quatto intervalli di clock disponibili, l’altro considera il terzo.
La logica di funzionamento consiste semplicemente nel ridurre la frequenza di
campionamento ad un quarto, considerando un nuovo dato valido ogni quattro cicli di
clock.
Sono stata effettuate ripetute prove del comportamento delle due versioni del firmware e
sembra che a livello di piedistallo e deviazione standard non vi siano differenze di alcun
tipo: per questo nel resto del testo non si fa riferimento all’uso dell’una o dell’altra.
L’altra tipologia di firmware invece, che è stata solo brevemente testata (ma non sono stati
ancora elaborati risultati a riguardo), ignora il passaggio dei primi tre quarti dei valori in
uscita al sensore ed inizia a scrivere soltanto quando inizia l’ultimo.
Figura 2.13 Particolare dei primi 100 pixel che risultano dalla lettura dell’ultimo quarto della matrice con il secondo tipo di firmware. Come ci si aspettava, sono uguali a gruppi di
quattro.
2.3 Board di adattamento per RAPS06
La daughterboard ha lo scopo di ospitare il chip, fornendogli un supporto fisico e gestendo
dal punto di vista elettrico il collegamento dei segnali da e verso il sensore. La connessione
43
alla motherboard avviene tramite un connettore DIN a 96 pin, ciascuno di questi pin è
sempre dedicato agli stessi segnali di controllo per tutti i RAPS in maniera da garantire la
compatibilità con il setup. Come ogni prototipo, anche RAPS06 ha la sua particolare
daughterboard.
44
Figura 2.14 Schema della daughterboard di RAPS06.
La scheda è stata realizzata dalla ditta Artel di Arezzo. Nel suo schematico, riportato in
Figura 2.14, si possono individuare i seguenti blocchi costitutivi:
Il componente U2 che rappresenta il chip RAPS06, disposto al centro della scheda;
45
due traslatori di livello della Texas Instruments SN74AVC4T245 (U1 e U3) [9], che
servono ad adattare la dinamica dei segnali di ingresso da - a - ;
un connettore DIN a 96 pin (U4) dove viaggiano i segnali di ingresso e uscita del
chip;
due regolatori di tensione, LD49150PT10R della ST Microelectronics (U5) [10] e
LT196A-2.5 della Linear Technology (U6) [11], che convertono le tensioni di
alimentazione rispettivamente da ad e da a ;
due connettori BNC per l’ingresso e l’uscita del buffer di test del chip;
condensatori con diversi valori di capacità che operano un filtraggio della tensione
di alimentazione, nel caso in cui abbia andamenti indesiderati o presenti delle
interferenze.
Un’immagine della scheda stampata e corredata di tutti i componenti (escluso il sensore,
che va inserito con il suo package nel socket apposito) è riportata in Figura 2.15.
Figura 2.15 Scheda daughter di RAPS06 con tutti i componenti saldati.
46
Nelle immagini seguenti sono riportati gli schematici dei circuiti di regolazione delle due
alimentazioni. Si può vedere che, mentre il regolatore che converte la tensione da a
(Figura 2.16) ha l’ingresso e l’uscita disposti in maniera convenzionale (il primo a
sinistra, la seconda a destra), l’altro regolatore li presenta invertiti (Figura 2.17).
Figura 2.16 Schematico del circuito di regolazione della tensione di alimentazione a .
Figura 2.17 Schematico del circuito di regolazione della tensione di alimentazione ad .
Al momento del montaggio dei componenti sulle daughter, a causa di questa disposizione
particolare, il secondo regolatore è stato connesso con ingresso ed uscita scambiati tra
loro: la gestione di questo problema è stata oggetto di un altro lavoro di tesi [5, pp. 56-61].
47
Nella Figura 2.15 si può vedere il componente in questione (indicato con U5) ancora
invertito; per poter utilizzare le schede il problema è stato corretto manualmente
dissaldando i pin di ingresso ed uscita ed introducendo delle nuove connessioni (cfr.
Paragrafo 4.3).
48
3. Sorgenti ionizzanti
L’interazione radiazione-materia costituisce il presupposto per tutte le tecniche di
rivelazione.
Il fenomeno chiave è il trasferimento di energia tra radiazione incidente e mezzo
attraversato: l’energia persa viene convertita in segnali elettrici che possono descrivere
diverse grandezze fisiche (come posizione, energia, intensità); acquisendo questi segnali ed
elaborandoli opportunamente si ottiene il tipo di informazione cercato.
Per capire come tutto questo dipenda dal materiale e dalle caratteristiche della sorgente è
necessario comprendere i diversi processi che possono avere luogo.
Una radiazione ionizzante ha la caratteristica di essere composta da particelle che sono in
grado di trasferire abbastanza energia ad un atomo o ad una molecola in modo tale da
liberare un suo elettrone, producendo così uno ione, cioè un’entità con carica elettrica
netta.
Tra le particelle ionizzanti possiamo distinguere
radiazione elettromagnetica ad altissima frequenza, come i raggi γ e i raggi X;
particelle elementari cariche, come elettroni e positroni (che costituiscono i raggi
β±) e protoni;
particelle elementari neutre, come i neutroni;
aggregati di particelle elementari, come la radiazione α.
Altre forme includono neutrini, muoni, pioni.
Tra i diversi tipi di radiazione elencati possiamo trovare sia particelle corpuscolari (cioè
dotate di massa) sia onde di natura elettromagnetica, cioè flussi di energia costituiti da
fotoni (che non sono altro che le unità di scambio energetico che caratterizzano la
radiazione), e il processo di ionizzazione risulta sostanzialmente differente.
49
Tipo di
radiazione Massa Energia Velocità
Particella
carica
Particella
neutra
Protone (p)
1,6726231 × 10-27 kg
(circa 1836 volte la massa
dell’elettrone)
v (<c)
Neutrone (n) 1.6749273 × 10−27 kg
Particelle α 6.6446567 ×10−27 kg
Particelle β± 9.109382 × 10−31 kg
Raggi γ 0 8 c
Raggi X 0
Tabella 3.1 Caratteristiche delle radiazioni ionizzanti
Ogni radiazione, interagendo con la materia, cede energia alla struttura atomica o
molecolare del materiale che sta attraversando. A ciascun tipo di particella è associata una
differente energia ed un diverso potere di penetrazione nella materia, sarà quindi
differente il tipo di interazione che si può avere. In generale, una radiazione viene
cosiderata ionizzante quando possiede energia ≥ 100 eV.
3.1 L’interazione radiazione-materia [12] [3] [13] [14]
Consideriamo una particella carica che transiti attraverso un certo materiale: nel suo
percorso essa può urtare uno degli elettroni atomici del mezzo, quando questo si verifica la
radiazione cede a tale elettrone una certa frazione ΔE dell’energia E che trasporta.
Dall’interazione dunque emergono uno ione, un elettrone libero che ha acquisito
un’energia pari a ΔE e la particella con energia E- ΔE, che prosegue nel suo percorso. In
questo caso si parla di radiazioni direttamente ionizzanti.
Nel caso di radiazioni composte da particelle neutre o prive di massa, esse possono solo
cedere parte della propria energia a particelle secondarie direttamente ionizzanti che sono
8 è la costante di Planck; ν è la frequenza del fotone.
50
in grado di dare inizio al processo descritto sopra; allora si parla di radiazioni
indirettamente ionizzanti.
Il transito di una radiazione direttamente ionizzante in un mezzo è caratterizzato da un
elevato numero di eventi di ionizzazione ed eccitazione9 che si verificano in sequenza
durante il percorso di attraversamento, e quindi può essere visto come un processo
continuo, mentre i fotoni di una radiazione elettromagnetica sono assorbiti o diffusi in
eventi singoli caratterizzati da una probabilità di interazione puntuale.
Ne segue che le modalità di interazione con la materia possono essere di natura molto
varia e differente.
3.1.1 Interazione delle particelle cariche con la materia
I due aspetti principali che caratterizzano il passaggio di una particella carica attraverso
uno spessore di materiale sono la perdita di energia subita dalla particella e la deflessione
della sua traiettoria.
Tali comportamenti sono dovuti ad un insieme di processi che si ripetono e si
sovrappongono durante il transito, in maniera variabile a seconda dell’energia, della massa
e della carica della particella incidente e anche in relazione alle caratteristiche del mezzo
colpito.
I meccanismi di interazione più rilevanti sono
collisioni anelastiche con gli elettroni atomici;
collisioni elastiche con i nuclei.
Oltre a questi possono avere luogo altri processi quali
emissione di radiazione Cherenkov;
reazioni nucleari;
bremsstrahlung (radiazione di frenamento).
9 Si ha ionizzazione di un atomo quando l’energia trasferita dalla particella ad uno dei suoi elettroni è sufficiente per
separarli, mentre si parla di eccitazione quando l’elettrone in questione passa soltanto ad un livello energetico superiore senza lasciare l’atomo.
51
Una collisione anelastica produce una perdita di energia, che viene trasferita all’elettrone
strappato all’atomo, mentre le collisioni elastiche, che sono molto meno frequenti e
interessate da uno scambio energetico trascurabile, contribuiscono con piccole deviazioni
alla traiettoria della particella.
Per descrivere la perdita di energia subita dalle particelle cariche è opportuno distinguerle
in due categorie, una che annoveri le particelle più leggere (elettroni e positroni, cioè
particelle β±) e l’altra quelle più pesanti, aventi cioè massa maggiore di quella
dell’elettrone (adroni).
3.1.1.1 Interazione tra particelle cariche pesanti e materia
Per la classe delle particelle cariche pesanti (particelle α, protoni, muoni) il meccanismo di
interazione che più contribuisce alla perdita di energia è quello delle collisioni anelastiche
con gli elettroni atomici, durante le quali l’atomo viene ionizzato (collisioni hard) o eccitato
(collisioni soft) da una piccola frazione dell’energia totale della particella. Il numero delle
collisioni per unità di percorso è però talmente grande che tale energia si esaurisce in
spessori molto sottili di materiale, e a causa della difficoltà nel descrivere tutte le possibili
interazioni per ciascuno degli stati di carica in cui si trova una particella si preferisce
utilizzare una funzione che esprime la perdita di energia media per unità di lunghezza del
mezzo (electronic stopping power) ( )
descritta (nella forma più nota)
dall’equazione di Bethe-Bloch (riportata in Appendice B). Il segno negativo permette di
ottenere complessivamente un valore positivo per
In minor misura anche lo scattering elastico è un meccanismo che contribuisce alla perdita
di frazioni di energia, in quantità variabile a seconda del rapporto tra la massa del nucleo
degli atomi del materiale e quella della particella incidente: più il nucleo è grande rispetto
alla particella minore sarà il trasferimento energetico. Similmente a quanto visto prima, se
è noto il potenziale di repulsione tra i nuclei si può calcolare il nuclear stopping power
( ).
Pertanto, complessivamente, lo stopping power è dato dalla somma di due termini:
( ) ( ) ( )
52
Nei seguenti grafici si può apprezzare come effettivamente il contributo dello scattering
elastico sia pressoché trascurabile rispetto a quello delle collisioni anelastiche nel caso di
particelle cariche pesanti.
Figura 3.1 Stopping power in funzione dell’energia di un protone che transita all’interno del
silicio. [15]
Figura 3.2 Stopping power in funzione dell’energia di una particella α che transita
all’interno del silicio [16].
Assumendo un mezzo caratterizzato da una perdita di energia continua, per tutte le
particelle dello stesso tipo che lo attraversano con uguale energia iniziale si ottiene circa la
53
medesima distanza massima di penetrazione. Più precisamente si definisce range10 della
particella il percorso totale medio che essa compie prima di fermarsi, inteso come somma
dei tratti non allineati lungo cui avviene lo spostamento, mentre con il termine profondità
di penetrazione si intende la misura della proiezione del percorso lungo la direzione iniziale
del moto. La differenza tra le due quantità dipende dunque dall’angolazione dello
scattering subito dalla radiazione durante l’attraversamento del materiale, e in particolare
per le particelle cariche pesanti con alte velocità iniziali (pari a frazioni non trascurabili
della velocità della luce) essa è generalmente trascurabile, in quanto le traiettorie percorse
sono praticamente rettilinee [17].
Figura 3.3 CSDA range11 e profondità di penetrazione (Projected Range) in funzione
dell’energia di un protone che transita all’interno del silicio. [15]
10
E’ evidente che la definizione di un range in una data condizione implica la dipendenza da un insieme di fattori, quali il tipo di materiale attraversato, il tipo di particelle e l’energia iniziale da esse posseduta; al variare di ciascuno di questi si ottengono andamenti del range specifici per quella situazione. 11
“CSDA Range: a very close approximation to the average path length traveled by a charged particle as it slows down to rest, calculated in the continuous-slowing-down approximation. In this approximation, the rate of energy loss at every point along the track is assumed to be equal to the total stopping power. Energy-loss fluctuations are neglected. The CSDA range is obtained by integrating the reciprocal of the total stopping power with respect to energy.” [18]
54
Figura 3.4 CSDA range e profondità di penetrazione (Projected Range) in funzione
dell’energia di una particella α che transita all’interno del silicio [16].
Data la natura aleatoria delle interazioni subite dalle particelle, il numero di collisioni
necessarie per portarne una al punto di arresto e la quantità di energia in gioco in ogni
evento variano leggermente da un caso all’altro, dunque è possibile avere percorsi di
lunghezza differente a partire dalla stessa energia iniziale. Questo fenomeno di
distribuzione statistica del range delle particelle cariche che attraversano la materia
prende il nome di range straggling, e siccome è diretta conseguenza della fluttuazione
della perdita di energia si parla analogamente di energy loss straggling.
Entrambe le distribuzioni sono centrate attorno ad un valor medio, e la forma che
assumono dipende dal mezzo attraversato. Per grandi spessori e materiali ad alta densità
tutte le particelle incidenti nel mezzo vengono assorbite e quindi il numero complessivo
delle collisioni è molto elevato; di conseguenza (per il Teorema del Limite Centrale) la
distribuzione è gaussiana. All’assottigliarsi dello spessore attraversato (e al diminuire della
densità del materiale), invece, parte della radiazione riesce a riemergere senza essere
assorbita completamente e quindi il numero totale delle collisioni cala. Ne segue la
comparsa di una coda a destra della curva dovuta alla probabilità non nulla del
trasferimento di una grande quantità di energia in una singola collisione; nel complesso il
tutto assume un andamento asimmetrico descritto dalla distribuzione di Landau-Vavilov
(riportata in Appendice B).
55
Figura 3.5 Distribuzione della perdita di energia da parte di protoni da 10 MeV in rivelatori in silicio da 100, 10 e 2 µm. Si vede bene come per le fluttuazioni nella perdita di energia la
curva si sposta da gaussiana a Landau al decrescere dello spessore. [17]
In Figura 3.6 si può vedere cosa ci si può aspettare di ottenere da un esperimento per la
determinazione del range di particelle cariche dotate di una certa energia. L’esperimento si
svolge ponendo spessori diversi di materiale tra una sorgente monoenergetica di
particelle nota ed un rivelatore.
Figura 3.6 Schema di principio di un esperimento per la determinazione del range di
particelle.
Tipicamente, fino ad un certo spessore il numero di particelle trasmesse (cioè rilevate oltre
il materiale) rimane pressoché costante, dopo di che cala bruscamente (Figura 3.7). Questo
è legato all’energy loss straggling: quando lo spessore raggiunge il livello richiesto per
fermare le particelle ad energia minore di quella distribuzione la curva della quantità di
radiazione rilevata inizia a decrescere. La distanza percorsa dal 50% delle particelle prende
il nome di range medio , mentre con si indica il valore raggiunto dall’estrapolazione
56
lineare della curva dal punto di flesso. Per effetto dello straggling l’andamento che si rileva
sperimentalmente presenta una coda che va abbastanza oltre .
Figura 3.7 Andamento tipico del range di una particella che attraversa un materiale.
Poiché lo stopping power per definizione è descritto in funzione del range, è molto
importante considerare un particolare tipo di curve, dette curve di Bragg, che mostrano
appunto la dipendenza di
dalla distanza percorsa nel mezzo. Sperimentalmente si può
vedere che la perdita di energia aumenta al crescere della profondità raggiunta nella
materia. In particolare essa raggiunge un picco in prossimità della distanza massima dopo il
quale decresce molto rapidamente a zero: a questo punto del suo percorso la particella si
lega ad un elettrone del mezzo e non ionizza più. Il punto di massimo, che nelle
applicaizioni mediche delle radiazioni ha un ruolo di primaria importanza (campo
dell’adroterapia), prende il nome di picco di Bragg12. È importante tenere presente che
una curva di Bragg, in quanto derivante da una media su un grande numero di particelle,
include l’effetto del range straggling. Quindi, osservando una di queste curve (Figura 3.9),
si nota una coda pronunciata che non compare nel grafico dello stopping power di una
singola particella (Figura 3.8).
12
L’adroterapia è un’alternativa alla radioterapia convenzionale nella cura dei tumori profondi. La probabilità di collisione con gli elettroni atomici del corpo umano e quindi la quantità di energia cinetica rilasciata da una radiazione aumentano al crescere della distanza percorsa. Un fascio di ioni carichi perde la maggior parte della propria energia al livello del picco di Bragg, che è una regione piuttosto stretta relativamente al percorso totale delle particelle: andando a variare l’energia fornita al fascio è possibile andare a variare la profondità in cui si raggiunge il picco ed anche la sua larghezza. In questo modo si riesce ad irradiare un tumore con precisione millimetrica, riducendo i danni alle cellule sane circostanti proprio in virtù dei bassi livelli di rilascio energetico presenti intorno al picco. [20]
57
Figura 3.8 Stopping power di una particella α con energia di 5.49 MeV in aria in funzione
del range. È evidente il picco di Bragg.
Figura 3.9 Esempio di curva di Bragg in cui è possibile notare la coda che va oltre il valore
calcolato mediante estrapolazione lineare.
3.1.1.2 Interazione tra elettroni e positroni (particelle β±) e materia
Per elettroni e positroni le collisioni anelastiche con gli elettroni atomici restano ancora il
principale meccanismo di interazione con la materia, mentre perdono di importanza gli urti
elastici. In compenso a causa della piccola massa di queste particelle entra in gioco un altro
fenomeno, che prende il nome di irraggiamento o bremsstrahlung (in tedesco “radiazione
di frenamento”).
Secondo la fisica classica, quando una particella carica viene deviata dal suo percorso o
subisce una variazione di velocità essa emette radiazione elettromagnetica di ampiezza
proporzionale all’accelerazione.
58
Un elettrone, essendo molto leggero, subisce numerose decelerazioni e deviazioni dovute
all’attrazione del campo elettromagnetico dei nuclei degli atomi del mezzo che attraversa
e di conseguenza perde energia cinetica, che viene convertita in fotoni per il principio di
conservazione dell’energia. Questo processo è responsabile dello spettro continuo dei
raggi X: tanto più un elettrone viene rallentato tanto maggiore è l’energia che cede, per cui
la quantità di energia minima liberabile non può essere associata ad un valore finito di
frequenza (ricordando che ) e lo spettro si azzera asintoticamente a valore
infinito; la massima energia che invece può essere ceduta è ovviamente quella totale
posseduta in origine dalla particella.
Figura 3.10 Emissione di un fotone per bremsstrahlung in seguito ad una collisione
anelastica.
Per energie dell’ordine di qualche decina di MeV la perdita di energia per bremsstrahlung è
già ampiamente confrontabile con quella per collisione, per cui nel calcolo dell’energia
totale è necessario considerare sia il contributo dovuto all’irraggiamento (radiative
stopping power) ( ) che quello dovuto alla ionizzazione:
( ) ( ) ( )
59
Figura 3.11 Stopping power in funzione dell’energia di un elettrone che transita all’interno
del silicio. [18]
Nell’immagine precedente si può notare un valore di energia (denominato energia critica
) in corrispondenza del quale l’energia persa per ionizzazione è uguale a quella persa per
bremsstrahlung: per valori il fenomeno dominante è l’irraggiamento e si sviluppa
nel materiale una cascata elettrofotonica.
Poiché si tratta di particelle di massa molto piccola rispetto alle altre in gioco, gli urti
continui con atomi, elettroni e nucleo producono notevoli deviazioni che rendono più
difficile la definizione di range, dati mezzo ed energia. In genere si usa definire come range
lo spessore massimo di penetrazione raggiunto dalle particelle, bisogna però tenere
presente che la lunghezza effettiva percorsa va da 1.2 a 4 volte la dimensione dello
spessore di materiale [19, p. 611].
60
Figura 3.12 CSDA range in funzione dell’energia di un elettrone che transita all’interno del
silicio [18].
3.1.2 Interazione della radiazione elettromagnetica con la
materia
Al contrario delle altre particelle finora descritte, i fotoni, essendo privi di carica, possono
attraversare grandi spessori di materia senza interagire in maniera significativa. Quando si
verifica un’interazione però essa è sempre molto importante, e può variare drasticamente
l’energia e la traiettoria del fotone o addirittura farlo scomparire completamente.
L’elettrone o gli elettroni coinvolti nel processo di assorbimento del fotone (elettroni
secondari) ricevono tutta o parte della sua carica e continuano a dissiparla nel mezzo con
le stesse modalità delle particelle direttamente ionizzanti.
Un fascio di fotoni prende il nome di raggi X quando viene emesso da atomi eccitati ed è
caratterizzato da energie tipicamente misurate tra 1 e 100 keV; quando deriva da
transizioni e decadimenti all'interno di un nucleo atomico o dall'annichilazione di un
positrone e di un elettrone si parla di raggi γ e le energie possono arrivare a parecchi MeV.
Le principali modalità attraverso cui la radiazione elettromagnetica interagisce con la
materia mettendo in moto altre particelle sono tre:
effetto fotoelettrico;
61
effetto Compton;
creazione di coppie.
Ciascuna di esse incide con peso diverso in funzione dell’energia del fotone e del
numero atomico Z del mezzo assorbente. In Figura 3.13 sono mostrate le zone del piano
E/Z in cui predomina ciascun effetto: le curve evidenziate rappresentano le condizioni in
cui due tipi di interazione sono equiprobabili. Dalla figura si può vedere come l’effetto
fotoelettrico è più importante alle basse energie, la creazione di coppie ad energie più alte
e nella zona centrale si trova l’effetto Compton, che domina in una fascia sempre più
stretta al crescere del numero atomico.
Figura 3.13 Predominanza delle modalità di interazione al variare del numero atomico e
dell’energia [21].
Essendo anche l’interazione della radiazione con la materia un fenomeno di tipo statistico
è utile definire alcune grandezze caratteristiche che servono per descriverla.
La sezione d’urto è una grandezza molto importante in fisica delle alte energie
che misura la probabilità del verificarsi dell’interazione di un fotone con un atomo
del mezzo che attraversa. Più precisamente è una grandezza che si può definire per
considerare la probabilità che un certo tipo di atomo produca su una qualsiasi
particella incidente un determinato effetto, ma nell’ambito delle radiazioni
elettromagnetiche ha interesse maggiore.
62
Fisicamente rappresenta l’area efficace, perpendicolare alla direzione del fascio di fotoni, da associare ad ogni nucleo bersaglio che si trova entro una sezione trasversale del fascio. Se un fotone incide su una di queste areee esso interagisce con l’atomo associato e viene rimosso dal fascio, in caso contrario viene trasmesso indisturbato attraverso la sezione di materiale.
Figura 3.14 Interpretazione geometrica della sezione d’urto: σ è la superficie
geometrica efficace di ciascun atomo bersaglio.
È da notare che la sezione d’urto non è caratteristica né del nucleo bersaglio né del
fascio incidente, ma dell’interazione tra i due: variando l’uno o l’altro cambia.
La sezione d’urto totale è data dalla somma delle sezioni d’urto relative ai tre tipi di
interazione descritti, ed essendo complessivamente molto più piccola di quella
delle particelle cariche si ha che i raggi X e i raggi γ sono in grado di penetrare nella
materia molto più in profondità.
Il coefficiente di attenuazione lineare ( ) [cm-1] esprime la probabilità per unità di
lunghezza che la radiazione interagisca con il materiale, e può essere calcolato
come la somma dei singoli coefficienti associati ai tre effetti prima elencati sulla
base dell’energia e del tipo di mezzo
( )
63
Esso è legato alla sezione d’urto dalla formula
dove indica il numero di atomi per unità di volume e è la sezione d’urto totale.
Tramite questo coefficiente si definiscono la frazione di fotoni incidenti assorbiti nel
passaggio attraverso un mezzo di spessore x
( )
e il cammino libero medio della radiazione nel mezzo, noto anche come lunghezza
di attenuazione
( )
( )
che indica lo spessore di materiale necessario affinché l’intensità risulti ridotta di un
fattore
rispetto a quella iniziale.
Un fascio di fotoni non viene degradato in energia, ma viene attenuato in intensità
man mano che i fotoni vengono sottratti secondo la formula
( )
dove indica l’intensità iniziale del fascio e x lo spessore attraversato.
Come si è visto prima, quando un fotone è caratterizzato da un’energia medio-bassa ha
maggior probabilità di interagire con la materia per effetto fotoelettrico. Esso cede tutta la
sua energia ad un elettrone (tipicamente) delle orbite più interne scomparendo
completamente, dunque l’elettrone viene espulso con un’energia cinetica pari a quella
che aveva il fotone meno l’energia che è stata spesa per spezzare il legame con l’atomo:
La ionizzazione provoca, a causa del posto lasciato libero, una ridistribuzione degli altri
elettroni cui segue l’emissione di radiazione X o l’espulsione di un ulteriore elettrone.
64
Figura 3.15 Effetto fotoelettrico.
L’espressione della sezione d’urto per effetto fotoelettrico può essere approssimata come
dove K è una costante. Dalla formula si può notare nuovamente come l’effetto
fotoelettrico risulti più importante al crescere del numero atomico e al calare dell’energia
.
Fotoni a media energia intergiscono principalmente con elettroni degli orbitali più esterni,
che vengono detti liberi perché debolmenti legati al nucleo, per effetto Compton. Esso è
anche noto con il nome di scattering incoerente proprio in riferimento al fatto che un
fotone interagisce con il singolo elettrone del mezzo e non con l’intero atomo. L’elettrone
viene emesso con una certa energia cinetica unitamente ad un nuovo fotone di energia
, deflesso di un angolo θ rispetto alla direzione del fotone incidente che varia
proporzionalmente ad . Dunque, indicando con l’energia del fotone incidente e con
l’energia spesa per spezzare il legame elettronico, si può quantificare l’energia del
nuovo fotone emesso come
( )
65
Figura 3.16 Effetto Compton.
La sezione d’urto per effetto Compton è data da
dove è la sezione d’urto totale di Klein-Nishina riportata in Appendice B.
Per fotoni di energia superiore a 1022 keV l’effetto dominante è la produzione di coppie,
chiamata anche effetto fotonucleare. è la quantità di energia a riposo
corrispondente alla somma delle masse delle due particelle che vengono generate dal
fotone. Esso interagendo con il campo coulombiano generato dal nucleo dell’atomo perde
tutta la sua energia e scompare, dando origine ad un elettrone e⁻ ed un positrone e⁺. Tutta
l’energia oltre la soglia di 1022keV viene distribuita (in misura non necessariamente
uguale) tra le due particelle sotto forma di energia cinetica, quindi l’equazione di
conservazione dell’energia è semplicemente
Il positrone può successivamente annichilire se si scontra con un elettrone (di cui è
l’antiparticella) trasformandosi nuovamente in energia elettromagnetica, più precisamente
generando una coppia di fotoni ciascuno di almeno 511 KeV (dove questa è ovviamente di
nuovo l’energia a riposo di un elettrone o di un positrone) che viaggiano nella stessa
direzione con verso opposto.
66
Figura 3.17 Produzione di coppie.
L’andamento della sezione d’urto d’interazione per la produzione di coppie varia con una
legge del tipo
( )
3.1.3 Principali tipi di radiazione ionizzante
Le particelle α, β, i raggi γ e X sono molto importanti per realizzare delle sorgenti la cui
caratterizzazione sia nota.
Figura 3.18 Proprietà di penetrazione delle principali tipologie di radiazione nella materia.
67
Una particella α è un tipo di radiazione ionizzante emessa dal nucleo di alcuni atomi
instabili. Il decadimento α si verifica solo in elementi pesanti con numero atomico
maggiore di 82, come l’uranio, il torio ed il radio, quando si trovano in una condizione in
cui il rapporto tra neutroni e protoni è troppo basso: per ristabilire l’equilibrio essi
emettono particelle formate da due protoni e due neutroni, identiche al nucleo di un
atomo di elio.
Poiché contengono due protoni, le particelle α hanno una carica positiva pari a due, inoltre
sono molto pesanti ed hanno un’alta energia (e quindi producono un’alta densità di
ionizzazione) paragonate ad altri comuni tipi di radiazione. Queste caratteristiche
permettono alle particelle di interagire molto facilmente con i materiali che attraversano,
generando però ionizzazione in aree molto ristrette; ciò avviene perché esse perdono
molto velocemente la loro energia e la profondità di penetrazione risulta piccola.
Ogni volta che produce uno ione la particella perde una frazione della sua energia, finché
alla fine del suo percorso non acquista una coppia di elettroni diventando così un atomo di
elio completo.
Il fascio di particelle α prodotto da una data reazione nucleare è monoenergetico e
caratterizzato da una traiettoria rettilinea, dovuta al fatto che la sua massa è circa 7000
volte quella di un elettrone e gli urti non provocano una deflessione sensibile, per cui la
profondità a cui tutte le particelle esauriscono la loro energia cinetica sarà all’incirca la
stessa.
Una particella β può essere positiva (β+, positrone) o negativa (β-, elettrone), nel primo
caso essa viene generata da un atomo che decade trasformando un protone in un
neutrone, nel secondo quando viene effettuata la trasformazione inversa (da neutrone a
protone).
Rispetto alle particelle α le β sono più piccole (hanno un decimo del potere ionizzante),
hanno una profondità di penetrazione maggiore (di circa un fattore dieci), uno spettro
energetico continuo ed una traiettoria che non è assolutamente rettilinea. Quando una
particella β ha esaurito tutta la sua energia può collidere con un elettrone annichilendo
con esso e generando due raggi γ (nel caso in cui si tratti di un positrone) oppure può
legarsi ad un atomo e diventare un elettrone ordinario (nell’altro caso).
68
Operativamente una sorgente ionizzante si può realizzare depositando su un metallo
isotopi radioattivi. Per illuminare un sensore con una di queste sorgenti è sufficiente
mettere i due oggetti a contatto.
I raggi γ sono radiazioni elettromagnetiche a spettro discreto emesse dal nucleo di un
atomo durante la transizione tra uno stato eccitato ed uno a più bassa energia, e sono
caratterizzati dall’essenza di massa e carica e dalla capacità di viaggiare per lunghe
distanze. Spesso questa emissione è successiva ad un altro decadimento, come l’emissione
α o β-, che lascia il nucleo in uno stato eccitato.
Nell’attraversare un corpo un raggio γ può colpire un atomo strappandogli un elettrone
tramite l’energia trasmessa durante la collisione, generando in tal modo uno ione.
L’elettrone liberato va a sua volta a colpire altri atomi, ripetendo lo stesso processo di
generazione elettronica finché non esaurisce la sua energia. Essendo un raggio γ un’entità
puramente energetica, quando ha distribuito tutta la sua energia collidendo con gli atomi
non ne rimane nulla.
I raggi X sono essenzialmente analoghi ai γ, ma sono caratterizzati da una minore energia e
vengono emessi anziché dal nucleo dagli elettroni al di fuori di esso.
Nelle applicazioni scientifiche e mediche se ne fa largo uso, per cui la loro generazione è
brevemente discussa nel sottoparagrafo seguente.
69
3.1.3.1 I raggi X
La maniera più semplice per ottenere i raggi X è quella di generarli tramite un tubo a raggi
catodici.
Figura 3.19 Schema di principio di un tubo a raggi X.
Esso è costituito da un’ampolla di vetro all’interno della quale viene fatto il vuoto,
contenuta a sua volta in una guaina metallica, generalmente di alluminio, con schermature
di piombo. La guaina ha il duplice scopo di fornire protezione meccanica al tubo e di
assorbire alcune delle lunghezze d'onda dei raggi X emessi che non sono utili agli scopi
preposti; essa è poi riempita di un olio che consente di dissipare il calore generato
dall’apparecchio in funzione ed agisce da dielettrico, migliorando l’isolamento
elettromagnetico.
L’emissione dei raggi X avviene solo attraverso una piccola apertura praticata nella guaina,
detta finestra, riempita generalmente di berillio.
L’ampolla di vetro contiene ad una delle due estremità un filamento, tipicamente di
tungsteno, detto catodo (polo negativo) che viene attraversato da una corrente intensa:
questa, riscaldando il filamento, provoca l’emissione di elettroni di conduzione per effetto
termoionico. L’intensità della corrente (quantificabile nell’ordine delle decine di ) è uno
dei parametri che si possono impostare per controllare il tubo, andando a variarla si agisce
sulla quantità di elettroni e di conseguenza sul numero di fotoni prodotti.
70
Il secondo parametro di controllo del tubo è la differenza di potenziale che può essere
applicata tra catodo e anodo; questa (elevata, varia tra e ) accelera gli elettroni
prodotti che vanno a collidere sull’anodo, un disco rotante costituito da un metallo
pesante (tungsteno, molibdeno o rodio), con velocità notevoli. La rotazione fa in modo che
il fascio di elettroni incida in punti diversi dell’anodo per evitarne l’eccessivo
riscaldamento: poiché meno dell’1% dell’energia trasportata dagli elettroni viene
convertita in fotoni, il calore prodotto per dissipare il restante 99% porta il bersaglio a
temperature molto alte.
Anche l’intensità della tensione impostata tra anodo e catodo influisce sul numero di
fotoni prodotti: la relazione tra le due grandezze è approssimativamente quadratica, per
cui l’efficienza della produzione di radiazione X è notevolmente maggiore per voltaggi più
elevati.
l bersaglio che costituisce l’anodo è poi in genere inclinato di circa 20°, in modo che l’area
su cui impattano gli elettroni (l’area focale) risulti rettangolare, mentre la dimensione dello
spot in uscita diventa quasi quadrata e molto piccola.
Dall’impatto degli elettroni con il metallo vengono emessi fotoni, che sono caratterizzati da
uno spettro energetico molto particolare rappresentato in Figura 3.20.
Figura 3.20 Spettro dei raggi X generati da un bersaglio di tungsteno con un fascio
elettronico da 100keV.
Nell’immagine si vede la sovrapposizione di uno spettro continuo, prodotto per
bremsstrahlung (cfr. Paragrafo 3.1.1.2) e di alcune righe discrete che prendono il nome di
radiazione caratteristica. Esse sono il risultato dell’interazione specifica degli elettroni
71
accelerati con il tungsteno: cambiando il materiale che costituisce il bersaglio si ottengono
dei picchi ad energie diverse.
Le righe sono poste a valori che corrispondono alle differenze tra le energie di legame dei
diversi livelli occupati dagli elettroni del bersaglio. Quando un elettrone accelerato dalla
differenza di potenziale del tubo va a colpire un elettrone degli strati più interni dell’atomo
di tungsteno, liberandolo, nella struttura atomica si crea una lacuna. Questa viene subito
riempita da un altro elettrone proveniente da una delle shell più esterne: nel farlo emette
un fotone di energia pari alla differenza tra i due livelli energetici interessati.
Ovviamente il massimo valore raggiunto complessivamente dallo spettro è pari all’energia
che aveva il fascio di elettroni generato nel tubo.
Già a causa dell’interazione con il vetro, l’olio e la finestra di berillio lo spettro del fascio di
fotoni che si presenta fuori dal tubo a raggi X non ha più l’andamento lineare decrescente
discusso prima: questi materiali assorbono i fotoni appartenenti principalmente alle fasce
più basse di energia, e l’energia media del fascio uscente risulta di conseguenza maggiore.
In Figura 3.21 è rappresentata la forma complessiva che assume lo spettro della radiazione
X generata da un fascio di elettroni da quando esce dal tubo; si può notare come
nell’area sinistra una parte significativa di fotoni alle basse energie sia stata rimossa,
mentre le righe caratteristiche del tungsteno sono ancora presenti. Diminuendo la
tensione che controlla il tubo catodico, ad esempio a come nell’immagine, lo
spettro non solo diminuisce di intensità ma cambia anche forma. Questo accade perché la
differente energia che hanno gli elettroni del fascio si riflette sull’energia dei fotoni emessi.
72
Figura 3.21 Differenza tra lo spettro generato nel tubo e quelli in uscita da esso per un
fascio di elettroni da e da . Il fascio da non riesce a produrre la radiazione caratteristica, a causa dell’insufficiente energia.
Se invece si va a modificare la corrente che scorre nel filamento del tubo lo spettro varia
solo in ampiezza (Figura 3.22), perché questo parametro incide soltanto sul numero di
elettroni prodotti.
Figura 3.22 Una variazione della corrente che controlla il tubo a raggi X influisce solo
sull’ampiezza dello spettro prodotto.
Per produrre un fascio monocromatico di fotoni, necessario in varie applicazioni, ci sono
due modalità.
Nella modalità a trasmissione il fascio di fotoni è rivolto direttamente all’oggetto da
colpire, tra i due vengono interposti uno o più filtri metallici che hanno l’effetto di tagliare
man mano sempre di più i fotoni alle energie più basse restringendo la forma dello spettro.
Il nuovo fascio è diretto lungo la linea di propagazione di quello vecchio, ed ha come
73
energia minima quella necessaria affinché una frazione consistente di fotoni riesca a
superare il filtro.
Nella tecnica detta fluorescenza invece la monocromia si ottiene indirizzando il fascio,
inclinato di un certo angolo, su un bersaglio di metallo che abbia i picchi della radiazione
caratteristica alle energie di interesse. Il processo di produzione della radiazione è lo stesso
descritto parlando del tubo catodico con la differenza che, mentre prima erano gli elettroni
ad interagire con il metallo, ora sono i fotoni. Questi, essendo privi di massa, non
subiscono frenamento e dunque lo spettro complessivo presenta solo le righe discrete. Per
questo motivo il bersaglio viene anche chiamato “convertitore di fotoni”.
I fotoni prodotti per fluorescenza vengono riemessi isotropicamente nello spazio, con
intensità complessiva necessariamente inferiore a quella del fascio originario.
74
4. Test del buffer, test elettrici, prove di buio
Come già accennato alla fine del Paragrafo 2.1.1, i chip che sono oggetto di analisi in
questo lavoro di tesi sono frutto del secondo ciclo di produzione di RAPS06.
I primi sensori, sottomessi alla fonderia per il run dell’estate del 2010 e consegnati alla fine
dello stesso anno, ai primi test avevano mostrato di non assorbire corrente in condizioni
che dovevano essere invece operative. Per studiare le possibili cause di questo problema
era stata sviluppata una board ad hoc, descritta nel prossimo paragrafo, mirata alla verifica
del comportamento specifico del buffer di test presente a bordo del chip.
In seguito agli esiti negativi delle prove condotte con la board, la ricerca delle spiegazioni
del non funzionamento di RAPS06 è stata orientata verso un’attenta rianalisi delle
simulazioni e del layout del dispositivo, processo che da ultimo ha portato alla soluzione
del problema.
Il mancato assorbimento di corrente (e in effetti la totale assenza di comunicazione da e
verso il chip) era dovuto ad un errore nel processing di RAPS06, che era stato prodotto
senza l’ultimo layer di metallizzazione delle celle dell’I/O ring. In seguito al riconoscimento
dell’errore da parte della fonderia sono stati presi accordi per il reprocessing gratuito dei
sensori; all’inizio del 2012 sono stati consegnati i nuovi chip, due dei quali sono stati
oggetto delle analisi descritte di seguito.
Prima di iniziare la caratterizzazione funzionale di RAPS06 sono stati effettuati alcuni test
preliminari per controllare le funzionalità elettriche di base. In particolare, date le
problematiche riscontrate nei chip precedenti, la priorità è andata alla verifica
dell’assorbimento di corrente per poi passare all’analisi del buffer di test. Questa parte si è
svolta nel Laboratorio di Elettronica della facoltà di Ingegneria tramite l’utilizzo della board
custom nominata prima.
Una volta superati i controlli fondamentali la sede operativa è stata spostata al Laboratorio
Semiconduttori dell’INFN di Perugia, dove si trova tutto il setup per l’acquisizione dei dati
dai sensori RAPS. Per interfacciarsi al sistema RAPS06 dispone della propria board di
75
adattamento predisposta a fornirgli le alimentazioni e i segnali di controllo corretti, che
sono stati verificati accuratamente per completare il quadro dell’analisi delle condizioni
operative.
Nella seconda parte del capitolo sono descritti invece una caratterizzazione in condizioni di
buio ed uno studio qualitativo del comportamento del sensore nel passaggio da buio a
saturazione.
4.1 Test board per il buffer [5, pp. 81-82]
La scheda stand alone è stata appositamente progettata in collaborazione con il Servizio
Elettronica dell’INFN di Perugia per verificare il funzionamento del buffer di test presente
sul chip.
La board è stata costruita in maniera da permettere di visualizzare la presenza delle
tensioni di alimentazione e misurare la corrente che scorre in corrispondenza di ciascuna, e
ovviamente di testare il funzionamento del buffer con tutte le strumentazioni opportune
senza che queste interferiscano con le misure.
Di seguito viene riportato lo schematico della scheda in cui sono evidenziati i punti di
connessione con gli strumenti del setup di test e gli elementi di rilievo.
76
Figura 4.1 Schematico della test board del buffer.
Il chip è indicato al centro della figura dal riquadro blu contrassegnato dal simbolo del
buffer (U1), e riceve dalla board tramite opportuno filtraggio le due tensioni di
alimentazione di (per la parte analogica) e (per quella digitale) segnalate dai due
cerchi più grandi. Il filtraggio è necessario per impedire andamenti indesiderati delle
tensioni dovuti alla lunghezza dei cavi, ed è implementato alle basse frequenze con una
rete a π di tipo LC e per le frequenze più alte ( - ) con una ferrite.
I due LED in cascata ai filtri (D1 e D2) servono per monitorare la presenza delle tensioni di
alimentazione; in particolare prima di D1 è stato inserito il transistor Q1 corredato di
resistori di polarizzazione che permette di far scorrere nel diodo una corrente sufficiente
ad accenderlo. Infatti mentre su D2 c’è una tensione complessiva di , sull’altro si può
calcolare una caduta di , che è un valore esattamente al limite della soglia
necessaria per la conduzione. Pertanto il rischio era quello di una mancata accensione del
diodo anche in presenza di una tensione corretta. Questo ragionamento suggerisce inoltre
che l’accensione di D1 implica la presenza di entrambe le alimentazioni, mentre
77
l’accensione di D2 verifica solo la presenza della tensione a : attivando prima
l’alimentazione digitale e poi quella analogica è possibile circoscrivere un eventuale
malfunzionamento all’una o all’altra.
I due cerchi più piccoli in Figura 4.1 indicano la posizione di una coppia di jumper che, se
rimossi, permettono di verificare lo scorrimento di corrente nei due rami di alimentazione
inserendo i morsetti di un amperometro.
I filtri RC presenti nelle vicinanze del chip servono per controllare l’assorbimento
quiescente e dinamico delle tensioni di alimentazione e, grazie alle induttanze parassite dei
condensatori, gli equivalenti RLC si occupano di smorzare le oscillazioni eventualmente
presenti.
La scheda fisicamente realizzata è mostrata in Figura 4.2.
Figura 4.2 Immagine della test board per il buffer.
Nell’immagine si possono riconoscere i jumper (1), il socket in cui va inserito il chip (2), i
terminali cui sono connessi i fili per portare le alimentazioni alla scheda (3), i connettori
dell’uscita (4) e dell’ingresso (5) del buffer e la massa analogica riportata in un punto
facilmente accessibile con la strumentazione.
78
4.2 Test del buffer
Per prima cosa la test board è stata connessa ad un alimentatore duale, (il TTi CPX400DP
[22]) dopo aver controllato con un multimetro che le tensioni erogate fossero quelle
mostrate sul display, senza aver inserito il chip nel socket.
Figura 4.3 Alimentatore TTi CPX400DP impostato e connesso ai fili della board.
Abilitando le alimentazioni in sequenza come descritto nel paragrafo precedente si è
acceso prima il LED verde e poi quello giallo, ad indicare che la tensione viene
correttamente fornita a tutti i componenti della scheda. Come ci si può aspettare, andando
a rimuovere i jumper uno alla volta ed inserendo le sonde del multimetro viene sempre
misurata corrente praticamente nulla.
Una volta inserito il chip ci si aspetta di visualizzare un certo assorbimento di corrente, ed
in effetti la ripetizione della stessa operazione di misura ha fornito (J1) e
(J2).
Questa è stata la prima conferma che la causa del malfunzionamento dei chip prodotti nel
2011 è stata rimossa, dato che l’esito dello stesso test su di essi era stato sempre negativo;
si è potuto dunque proseguire con la caratterizzazione del buffer (cfr. Paragrafo 2.1.1).
79
Figura 4.4 Misura e lettura del valore di corrente su J1.
J1 (ramo ad ) J2 (ramo a )
Senza chip
Con il chip
Tabella 4.1 Riepilogo delle correnti misurate nei due rami di alimentazione.
4.2.1 Analisi in DC
L’obiettivo di questa analisi è stato quello di verificare come la tensione in uscita al buffer
segua quella in ingresso e di analizzare come il risultato ottenuto si rapporti alle
simulazioni precedentemente fatte [5, p. 70].
Per svolgere il test sono stati collegati al setup precedentemente descritto un ulteriore
alimentatore (il TTi PL310) che fornisse la tensione di ingresso ed un oscilloscopio
(Tektronix TDS340 [23]) per verificare l’andamento in uscita (lasciata a vuoto). La tensione
inviata al buffer è stata fatta variare tra e con step differenti per riuscire ad
apprezzare meglio le variazioni della transcaratteristica agli estremi, dove il
comportamento non è più lineare.
80
Figura 4.5 Segnale misurato dall’oscilloscopio in uscita al buffer per un ingresso pari a .
La tabella che raccoglie i valori misurati è riportata in Appendice A; da essa è stato
possibile ricavare la transcaratteristica rappresentata in Figura 4.6.
Tabella 4.2 Transcaratteristica del buffer di test di RAPS06 (curva in blu) cui è stata sovrapposta in verde la retta della tensione di ingresso.
Il risultato si può confrontare con il grafico delle simulazioni effettuate con Cadence
riportato di seguito: l’ottimo accordo tra andamento previsto ed andamento misurato si
può apprezzare in Figura 4.7.
81
Figura 4.6 Grafico della simulazione DC sweep del buffer di test di RAPS06.
Figura 4.7 Sovrapposizione della transcaratteristica simulata del buffer di test di RAPS06 e di quella misurata sperimentalmente.
Una caratterizzazione di questo tipo è stata effettuata alla fine del 2007 utilizzando una
delle analoghe strutture di test di RAPS03 [2, p. 128]; ne è risultata una transcaratteristica
82
del tutto similare a quelle appena mostrate con escursione da ad e con un
guadagno pari ad nella zona lineare.
4.2.2 Analisi transient
In questa parte del test con la custom board è è stata analizzata la risposta del buffer ad
una rampa d'ingresso con diversi tempi di salita/discesa. Il generatore di segnali che è stato
utilizzato è il 33220A della Agilent [24]; questo non consente di impostare tempi di salita
differenti da quelli di discesa, per cui tale parametro è unico e prende il nome di edge time.
Il resto del setup è rimasto invariato rispetto a quanto descritto prima tranne che per la
sostituzione dell’oscilloscopio con un modello che permettesse il salvataggio dei dati
acquisiti, il 54621A della Agilent [25].
Il generatore di segnale è stato impostato per produrre una forma d'onda impulsiva alla
frequenza di 10 kHz, con parametri
hi level (valore massimo);
low level (valore minimo);
width (larghezza della forma d’onda).
Il canale 1 dell'oscilloscopio è stato dedicato ad acquisire il segnale posto in ingresso al
buffer, mentre il canale 2 era connesso all'uscita. Le connessioni della strumentazione alla
scheda sono mostrate in Figura 4.8.
83
Figura 4.8 Setup per le analisi transient. Si possono distinguere i cavi che arrivano dall’alimentatore (1), il cavo a coccodrillo del generatore di segnali e la sonda
dell’oscilloscopio all’ingresso del buffer (2), la sonda dell’oscilloscopio all’uscita del buffer (3), il nodo di massa comune a tutti (4).
Sono state effettuate acquisizioni dei tempi di salita e discesa del segnale in uscita al buffer
nonché dei tempi di propagazione da alto a basso e viceversa tra input ed output. Per
valutare complessivamente la risposta del buffer tali operazioni sono state effettuate
impostando diversi valori di edge time scelti all'interno dell'intervallo permesso dal
generatore di segnali, che va da a 1 .
Come conseguenza dell’aver selezionato un impulso positivo di ampiezza pari ad si
vede che l'escursione del segnale di uscita varia tra e , condizione cui
segue il posizionamento delle soglie al 10% e al 90% per il calcolo dei tempo di salita e
discesa ai valori di 13 e 14, e di quella al 50% per il calcolo dei tempi
di propagazione a 15
Le seguenti immagini mostrano i grafici di alcuni dei set di dati acquisiti dall’oscilloscopio,
in cui sono evidenziati gli intervalli temporali misurati.
13
14
15
84
Figura 4.9 tRISE e tPLH del buffer di prova di RAPS06 per un edge time di .
Figura 4.10 tFALL e tPHL del buffer di prova di RAPS06 per un edge time di .
85
Figura 4.11 tRISE e tPLH del buffer di prova di RAPS06 per un edge time di .
Figura 4.12 tFALL e tPHL del buffer di prova di RAPS06 per un edge time di 100 .
Nella Tabella 4.3 sono riuniti i dati raccolti relativamente a ciascuna scelta del valore di
edge time.
86
Edge time tRISE tFALL tPLH tPHL
5 40
29
53
77
100
Tabella 4.3 Riepilogo dei tempi di rise, fall e propagazione del buffer di test di RAPS06 misurati al variare dell’edge time.
Al crescere dell’edge time si può dire in prima approssimazione che ci si aspetta di avere
dei tempi di propagazione, di rise e di fall che aumentano in maniera all’incirca lineare,
considerando di sommare i contributi del ritardo intrinseco del buffer e degli effetti di
carico. L’andamento inverso del solo tPLH rispetto al trend atteso, che si può notare nella
tabella precedente, può dipendere dal circuito di pull-up o dalle condizioni del circuito di
test; in futuro si potrà analizzare più approfonditamente la questione variando il carico per
cercare di capire come cambia il tempo di propagazione.
4.3 Verifica dei segnali forniti alla daughterboard
Come ogni versione di RAPS, anche RAPS06 dispone di una daughterboard che lo
interfaccia al resto del setup.
In Figura 4.13 si può vedere un’immagine della scheda senza componenti accanto ad una
completa.
87
Figura 4.13 Scheda daughter di RAPS06 con e senza componenti. È messo in evidenza il regolatore con le connessioni corrette.
Nella foto è evidenziato il regolatore ad , i cui i piedini di ingresso e di uscita sono stati
dissaldati ed invertiti manualmente in quanto il componente è stato montato male al
momento della realizzazione della board [5, p. 61].
La prima verifica effettuata è stata dunque quella di confermare che dopo la modifica a
tutti i piedini del regolatore, una volta collegata la board al setup, arrivano o partono le
tensioni attese (cfr. Paragrafo 2.3); l’operazione è stata ripetuta per entrambe le schede
disponibili e poi per tutti i componenti che in precedenza non avevano dato problemi.
Dopo aver appurato che anche i segnali di alimentazioni forniti dalle board sono corretti, e
che quindi si possono inserire i chip senza rischi, è arrivato il turno della verifica della
correttezza dei segnali di controllo che arrivano al socket in conseguenza alle impostazioni
selezionate via software in LabView16.
Pertanto è stato scelto tra la strumentazione del laboratorio l’oscilloscopio TDS3034B della
Tektronix [26] che ha la possiblità di utilizzare fino a quattro sonde contemporaneamente,
caratteristica che ha permesso di effettuare un’analisi completa dei segnali di interesse.
Nella seguente tabella sono riportati i pin a cui sono state connesse le sonde unitamente ai
segnali ad essi associati, con tipo e range atteso relativi.
16
I test con l’oscilloscopio sono stati eseguiti sul chip #1. La descrizione del funzionamento del programma di acquisizione in LabView si trova al Paragrafo 2.2.
88
# PIN Segnale Tipo di segnale, range atteso
1 POL Input, analogico, -
3 , I/O cells ,
5 GND, core GND, analogico ( )
6 CLOCK Input, digitale, -
7 RESET Input, digitale, -
8 START_TRIGGERED Input, digitale, -
10 , core ,
25 GND, I/O cells GND, digitale ( )
26 READING_DATA Output, digitale, -
27 RESET_ROW Input, digitale, -
Tabella 4.4 Riepilogo dei segnali verificati con l’oscilloscopio. I colori associano i segnali al rispettivo pin di ground.
L’oscilloscopio utilizzato dispone di un’utility di autocalibrazione che è stata subito
sfruttata per eliminare un evidente offset che disallineava il livello di massa di tutti e
quattro i canali.
Il gruppo dei segnali analogici (tensione di polarizzazione e alimentazioni) è stato
ricontrollato per primo per verificare che essi non presentassero comportamenti anomali
non individuabili con il multimetro allo step precedente.
Le tensioni visualizzate all’oscilloscopio sono riportate nelle immagini seguenti.
89
Figura 4.14 Tensione di polarizzazione. È evidenziato il valor medio.
Figura 4.15 Tensione di alimentazione digitale ( ).
90
Figura 4.16 Tensione di alimentazione analogica ( ).
I grafici non hanno evidenziato andamenti non attesi di queste tre tensioni, ma soltanto le
normali fluttuazioni intorno al valor medio.
Tensione misurata Valor medio Deviazione standard
Tabella 4.5 Riepilogo delle tensioni di polarizzazione e di alimentazione inviate al sensore.
I segnali di controllo veri e propri, il cui significato è descritto nel Paragrafo 2.1.1, sono
CLOCK, RESET, START_TRIGGERED, READING_DATA e RESET_ROW17. Per testarli nel
dettaglio sono state fatte diverse acquisizioni in cui i parametri impostati da LabView sono
stati variati in maniera opportuna, in modo da verificare l’esattezza delle corrispondenze.
Alcuni dei risultati sono riportati nelle seguenti immagini.
Nel primo esempio in Figura 4.17 si può vedere la relazione tra il segnale di
START_TRIGGERED, che ciclicamente avvia la lettura dei dati presenti nella matrice, e di
quello che comunica la leggibilità al sistema di acquisizione. La durata di questo secondo
17
Vengono tralasciati START_AUTO, che non è utilizzabile con il firmware attuale dell’FPGA, ed il RESET sincrono della logica.
91
segnale è sempre pari a circa , che è pari al valore di un ciclo di clock ( ), cioè il
tempo necessario per la lettura di un pixel, moltiplicato per quattro, che è il numero di
volte che il valore di uno stesso pixel viene fornito in uscita, moltiplicato per il numero di
pixel della matrice, che sono 16.384. Il totale fa
Figura 4.17 START_TRIGGERED e READING_DATA per .
Sempre con gli stessi parametri impostati nel grafico precedente in Figura 4.18 si evidenzia
la correttezza della durata del RESET e si può inoltre notare come tra il fronte di discesa di
tale segnale e l’inizio della lettura intercorrano cinque cicli di clock. Questo
comportamento si può riconfermare in Figura 4.21.
92
Figura 4.18 START_TRIGGERED, READING_DATA e RESET_ROW per .
La Figura 4.19 mostra gli stessi segnali dell’esempio precedente ma per e
. Il tempo di RESET si può verificare tramite i due marker inseriti nel
grafico; viene inoltre riconfermata una corretta durata dell’intervallo di lettura anche al
variare delle impostazioni di controllo.
Figura 4.19 START_TRIGGERED, READING_DATA e RESET_ROW per .
93
Nell’immagine seguente è riportato uno screenshot della sezione del pannello di LabView
in cui sono stati impostati gli intervalli di reset e di integrazione relativi a questa ultima
acquisizione.
Figura 4.20 Screenshot di un particolare del pannello di LabView in cui sono stati impostati per l’acquisizione precedente.
Nelle ultime due immagini si può calcolare per quanto tempo resta alto il segnale di
READING_DATA (nove cicli di clock) e grazie ai piccoli valori di e scelti è
immediato verificare le durate dei RESET, rispettivamente e , contando il numero
di cicli di clock che essi contengono.
Figura 4.21 CLOCK, START_TRIGGERED, READING_DATA e RESET_ROW per .
94
Figura 4.22 CLOCK, START_TRIGGERED, READING_DATA e RESET_ROW per .
4.4 Range e test di buio
Questo paragrafo contiene una serie di prove svolte con l’obiettivo di costruire un quadro
generale del comportamento del sensore in assenza di stimoli.
I valori di riferimento in questa sezione e nella seguente sono il piedistallo (termine
utilizzato per indicare il valor medio attorno a cui fluttuano i pixel) e la deviazione standard
ad esso associata. Essi vengono calcolati tramite LabView con un algoritmo che acquisisce
un certo numero di frame18 (in genere, salvo dove diversamente indicato, sono 100),
calcola la media di queste due grandezze in ciascun frame e poi media nuovamente tutti i
valori così ottenuti. L’unità di misura in cui sono espressi è l’ , che di per se non
è associabile ad un valore assoluto ma deve essere quantificato in termini di mV con un
fattore di conversione che sarà differente per ogni tipologia di sensore.
La caratterizzazione di un sensore in termini di piedistallo e deviazione standard, cioè in
termini di rumore in assenza di stimolo, permette di formare un insieme di nozioni sulle
quali basare l’interpretazione di un segnale che viene rivelato e anche le impostazioni più
adatte per impostare un’acquisizione corretta.
18
Un frame è l’insieme dei valori che ciascuno dei pixel di una matrice assume in un determinato istante di tempo.
95
Il piedistallo rappresenta un tipo di rumore che ha una componente spaziale, chiamata
Fixed Pattern Noise (FPN), ed una temporale, dovuta al fatto che il calcolo viene effettuato
acquisendo un certo numero di frame a partire da un dato istante. Il fixed pattern noise è
un contributo tempo-invariante dovuto alle differenze che i processi produttivi
inevitabilmente generano tra un pixel e l’altro.
È evidente come questo tipo di rumore non risulti molto problematico, in quanto è
possibile sottrarlo immediatamente via software rimuovendolo così completamente sia
dalla visualizzazione che dall’acquisizione dei dati.
La deviazione standard invece, di natura prevalentemente termica, è un tipo di rumore a
media nulla responsabile della variazione dei valori dei pixel in maniera differente e
casuale in ogni istante di tempo. Rispetto al rumore FPN può avere un peso molto più
marcato perché può diminuire la sensibilità del sensore ad un evento che generi piccole
escursioni di segnale.
Dunque quando viene calcolato il piedistallo si considera solo il contributo del rumore FPN
(essendo il rumore termico a media nulla), mentre considerando la distanza tra il valore
letto del pixel ed il valore di piedistallo si calcola soltanto il rumore termico.
Figura 4.23 Immagine 3D della matrice al buio; si distingue il piano che costituisce il piedistallo intorno a cui oscillano aleatoriamente i singoli i pixel.
96
Per cercare di ottenere un termine di paragone per i risultati di questa parte di
caratterizzazione ciascuna prova è stata ripetuta sia per RAPS06 che per RAPS03, anche se
un confronto esatto tra i due non è ancora possibile. Infatti per RAPS03 si può ricavare la
relazione tra ADC count e mV a partire dal fattore di conversione tra elettroni ed ADC
count ( ), mentre per RAPS06 ancora non lo si è potuto
determinare. Pertanto al momento il paragone è solo indicativo al fine di riconoscere delle
somiglianze nei comportamenti; quando sarà disponibile anche il fattore di conversione si
potranno tradurre i risultati che seguono in una stima più accurata di analogie e differenze.
4.4.1 Calcolo del numero di frame per le medie
Il piedistallo e la deviazione standard vengono calcolati su un numero di frame campione
che può essere variato a piacere. Chiaramente il tempo necessario ad ottenere i valori
risultanti dipende dal numero di frame selezionati, che non deve essere né troppo grande
per non rendere molto lunghe le procedure di analisi che richiedono calcoli ripetuti dei
parametri, né troppo piccolo per evitare il rischio di ottenere dati statisticamente poco
validi.
Per determinare un numero di frame adatto si è considerato il variare del rumore medio
dei pixel (cioè della deviazione standard) in funzione della crescita del numero di frame
stesso. Il software di controllo è stato impostato con un tempo di reset di ed un
intervallo di integrazione di ; inoltre sono stati utilizzati i chip marcati come #1 sia
per RAPS06 che per RAPS03.
Nell’Appendice A sono riportati i dati raccolti, che si possono visualizzare nella figura
seguente.
97
Figura 4.24 Andamento delle deviazioni standard di RAPS06 e delle due matrici small di RAPS03 al variare del numero di frame. È evidenziata la posizione a 50 frame.
Dal grafico si vede che i valori delle deviazioni standard, anche se non sono paragonabili tra
loro perché gli ADC count che le descrivono appartengono a scale diverse, arrivano tutti a
raggiungere un valore piuttosto costante da 50 frame in poi. Si è dunque ipotizzato che
frame possa essere un valore ottimale, ma in caso di analisi che richiedano la
ripetizione del calcolo di piedistalli e deviazione standard un numero molto elevato di volte
la scelta di un totale di 50 frame può ridurre il tempo complessivo di attesa e considerarsi
ancora corretta.
4.4.2 Range
Una prima idea del range di RAPS06 la si può avere verificando il valore di piedistallo in
condizioni di buio assoluto e di saturazione e facendone la differenza. È stato adoperato il
sensore marcato come #2, il tempo di reset e quello di integrazione sono stati posti
rispettivamente pari a e .
In condizioni di buio completo, con il sensore con il lid chiuso inserito nel setup a sua volta
posizionato nella box di alluminio con il telo abbassato (cfr. Paragrafo 2.2.1), il
comportamento dei pixel della matrice è quello riportato nello screenshot
98
dell’oscilloscopio del software di acquisizione (cfr. Paragrafo 2.2.2) di Figura 4.25. Il valore
di piedistallo misurato tramite LabView è pari a .
Figura 4.25 Screenshot in LabView della risposta di RAPS06 in condizioni di buio. Il piedistallo è pari a .
Aprendo la box ed iniziando ad avvicinare al sensore una sorgente luminosa19 si vede che
esso inizia a mano a mano a rispondere; nell’immagine seguente si può osservare una
situazione molto prossima alla saturazione in cui una parte dei pixel si distingue ancora da
quelli che non rispondono più, e il piedistallo è sceso a .
Figura 4.26 Screenshot in LabView della risposta di RAPS06 in condizioni di parziale saturazione. Il piedistallo è pari a 2201 ADC count.
19
Banalmente il flash di un cellulare.
99
Avvicinando ancora di più la sorgente al sensore si arriva alla condizione in cui nessuno dei
pixel risponde più e la saturazione è completa; il calcolo del piedistallo fornisce un valore di
.
Figura 4.27 Screenshot in LabView della risposta di RAPS06 con tutti i pixel saturati. Il piedistallo è pari a .
Complessivamente dunque si ricava un range di 246 ADC count.
Stato del sensore Piedistallo
[ ]
Deviazione standard
[ ]
Condizione di buio completo, non ci sono stimoli
esterni; si vede solo il rumore dei pixel.
Parziale saturazione, solo una parte dei pixel
risponde ancora.
Saturazione completa.
Tabella 4.6 Riepilogo dei valori misurati per RAPS06 nel calcolo del range; la tabella contiene anche i valori di deviazione standard associati ai piedistalli, che calano al
restringersi della dinamica dei singoli pixel e del numero d pixel che ancora rispondono.
A partire dalle stesse condizioni operative è stata ripetuta la stessa prova con il sensore
RAPS03, in particolare quello contrassegnato come #4. I risultati per entrambe le matrici di
pixel small sono riportati in Tabella 4.7, da cui si evince che la matrice small destra ha un
range di e la small sinistra di .
100
Stato del sensore
Piedistallo
ESA_S_DX
[ ]
Deviazione
standard
ESA_S_DX
[ ]
Piedistallo
ESA_S_SX
[ ]
Deviazione
standard
ESA_S_SX
[ ]
Condizione di buio
completo, non ci sono
stimoli esterni; si vede
solo il rumore dei pixel.
Saturazione completa.
Tabella 4.7 Riepilogo dei valori misurati per le due matrici small di RAPS03 nel calcolo del range; la tabella contiene anche i valori di deviazione standard associati ai piedistalli, che
calano al restringersi della dinamica dei singoli pixel e del numero d pixel che ancora rispondono.
È interessante sottolineare che mentre RAPS06 ha bisogno, per essere saturato, di essere
illuminato molto da vicino con una sorgente, per saturare RAPS03 è sufficiente esporlo alla
sola luce ambientale. Da ciò si potrebbe evincere che RAPS06 sia meno sensibile di
RAPS03, idea che verrà poi in effetti confermata nelle analisi del range descritte nel
prossimo paragrafo. Alla luce del fatto che la capacità del fotodiodo di RAPS06 è maggiore
di quella di RAPS03 queste considerazioni sembrano essere giustificate.
Sensore Range
RAPS06 246
RAPS03 811 (matrice small destra) 978 (matrice small sinistra)
Tabella 4.8 Riepilogo dei range (approssimati per eccesso) di RAPS06 e RAPS03 calcolati nel passaggio da buio a saturazione.
4.4.3 Prove al variare del tempo di integrazione
Il tempo di integrazione è uno dei parametri che si possono impostare da LabView per
controllare il sensore (cfr. Paragrafo 2.2.2). Esso descrive la durata dell’intervallo che
intercorre tra il reset della matrice e l’inizio della sua lettura, quindi in pratica indica il
tempo durante il quale i pixel rimangono in attesa di una eventuale interazione. Al crescere
101
del tempo di integrazione ci si aspetta che, a causa di fenomeni come la corrente di
leakage, il piedistallo e la deviazione standard presentino delle variazioni.
In particolare il piedistallo, e quindi il range, essendo direttamente interessato dal
fenomeno della scarica dovuta alla corrente di leakage dovrebbe presentare una
decrescita lineare in funzione dell’aumento della distanza temporale tra un reset e l’altro.
Ad una prima verifica del comportamento di RAPS06 per bassissimi tempi di integrazione è
stato possibile riconoscere un accoppiamento con il segnale di reset, per cui si vedono i
primi pixel della matrice in ordine di lettura che si discostano dalla posizione mediamente
occupata dagli altri (il piedistallo). Questo succede a causa della presenza della capacità di
parassita tra il gate del transistor di reset ed il catodo dei fotodiodi (cfr. Paragrafo 1.2, 1.3).
Infatti dopo che il segnale di reset ha riportato il valore di tensione al catodo al valore
massimo (VDD – Vth), per la presenza di questa capacità lo spegnimento del transistor di
reset provoca un calo repentino della tensione accumulata al nodo (Figura 4.28).
Figura 4.28 Comportamento della tensione al catodo di un fotodiodo durante il tempo di reset. La scarica è dovuta allo spegnimento del transistor di reset, che viene avvertito
tramite la capacità di feedthrough.
Se il tempo di integrazione è sufficientemente piccolo da far iniziare la lettura quando
ancora la tensione al catodo dei vari fotodiodi sta scendendo, si ha come risultato che i
primi pixel letti hanno un valore superiore agli altri, i quali riescono nel frattempo a
scaricarsi fino a raggiungere il piedistallo.
Per RAPS06 (chip #1) si è verificato che scegliendo un tempo di integrazione pari ad ci
vogliono circa 100 pixel affinché l’effetto si esaurisca. Considerando che la lettura di ogni
pixel richiede , si può calcolare che dopo la scarica dei catodi di
102
tutti i fotodiodi dovrebbe essere terminata. Ed in effetti, come si può vedere in Figura 4.29,
passando da a e poi a e l’effetto si attenua rapidamente e praticamente
scompare, a di tempo di integrazione è completamente assente.
Figura 4.29 Sovrapposizione della lettura di parte della matrice di RAPS06 per diversi (e molto piccoli) valori del tempo di integrazione. Si può vedere come l’effetto dovuto
all’accoppiamento con il segnale di reset scompare dopo .
Nei test successivi è stato utilizzato per RAPS06 il chip #120, per RAPS03 il #1 con un tempo
di reset sempre pari ad .
Per verificare l’andamento del range sono stati acquisiti per i due sensori quattro valori del
piedistallo in condizioni di saturazione e sei in condizioni di buio, tutti ovviamente con
diversi tempi di integrazione. Poi i valori di saturazione sono stati mediati ed il risultato è
stato sottratto agli altri sei. In Tabella 4.9 sono riportati i valori dei range così ottenuti,
mentre le tabelle riassuntive dei dati acquisiti si possono consultare in Appendice A.
20
Il valore del range misurato nel sottoparagrafo precedente è differente da questo perché non si tratta dello stesso chip.
103
TINT RAPS06 RAPS03 ESA_S_DX RAPS03 ESA_S_SX
512 218 848 1030
5000 218 848 1030
30000 219 845 1027
100000 219 838 1017
500000 219 797 969
1000000 219 738 919
Tabella 4.9 Variazione dei valori del range (approssimati per eccesso) di RAPS06 e RAPS03 all’aumentare del tempo di integrazione.
Gli andamenti di entrambi i sensori sono sostanzialmente costanti, in particolare questo
comportamento per RAPS06 è stato verificato fino ad un tempo di integrazione pari a
senza che si evidenziassero deviazioni significative; viene ancora rafforzata l’idea che
si tratti di un sensore molto meno sensibile dell’altro.
Considerando che la capacità del fotodiodo di RAPS06 è più grande di quella di RAPS03 (cfr.
Paragrafo 1.3) un simile trend è giustificabile, anche se l’assenza di segnali della scarica
dovuta alla corrente di buio per intervalli tanto lunghi merita sicuramente un’ulteriore
indagine. Questo anche alla luce delle dimensioni ridotte, rispetto a RAPS03, dei transistor
che circondano il fotodiodo, fatto che implica che la capacità al nodo di uscita risulti in
confronto minore.
Nelle immagini che seguono sono rappresentati i fitting lineari dei dati ottenuti.
104
Figura 4.30 Andamento del range di RAPS06 in funzione del tempo di integrazione.
Figura 4.31 Andamento del range delle matrici di pixel small di RAPS03 in funzione del tempo di integrazione.
Anche per quanto riguarda la deviazione standard vediamo per RAPS06 un andamento
praticamente costante ed invece uno monotono (crescente) per le matrici di RAPS03. Di
nuovo, i valori raccolti sono riportati in Appendice A e graficati qui di seguito.
105
Figura 4.32 Andamento della deviazione standard di RAPS06 in funzione del tempo di integrazione.
Figura 4.33 Andamento della deviazione standard di RAPS03 in funzione del tempo di integrazione.
La deviazione standard della matrice di RAPS06 resta sempre praticamente invariata
(oscillano solo le cifre a partire dalla seconda dopo la virgola) ad , mentre di
nuovo RAPS03 ha una variazione molto lineare e con un’escursione pari a circa 1
per entrambe le matrici. Questo si spiega ancora con la presenza della
corrente di leakage, che causa una perdita di carica che non solo aumenta
proporzionalmente con il tempo di integrazione, ma è anche differente in ogni pixel, per
cui nel complesso la rumorosità sale.
106
4.4.4 Analisi Matlab di alcune acquisizioni di buio
Un’ analisi più accurata del contributo del rumore termico descritto all’inizio del Paragrafo
4.4 si può svolgere a partire dall’elaborazione di alcuni run di dati acquisiti in completa
assenza di stimolo. Sottraendo dalla risposta completa della matrice la componente
tempo-invariante (il piedistallo) è possibile creare un istogramma delle variazioni dei pixel
attorno al valor medio che dia una stima globale del rumore termico. Esso è di tipo
gaussiano a media nulla, andamento che si riflette sovrapponendo ai vari grafici ottenuti il
relativo fit.
Per entrambi i sensori sono state fatte numerose acquisizioni variando, soprattutto per
RAPS06, il tempo di integrazione in un ampio range. Nel seguito sono riportati alcuni grafici
a titolo d’esempio.
Figura 4.34 Risposta al buio di RAPS06 per un tempo di integrazione di , con relativo fit dei dati.
107
Figura 4.35 Risposta al buio della matrice ESA_S_DX di RAPS03 per un tempo di integrazione di , con relativo fit dei dati.
Come si può vedere dalle immagini l’andamento del rumore termico è, come ci si attende,
gaussiano. Se si assume che gli ADC count riferiti all’uno e all’altro sensore siano in prima
approssimazione comparabili, si può notare un comportamento piuttosto uniforme a
livello di rumorosità che non è esattamente quello previsto. Infatti considerando che la
capacità del fotodiodo è maggiore in RAPS06 (cfr. Paragrafo 1.3) teoricamente la
robustezza al rumore di tipo termico dovrebbe aumentare:
21 diminuisce al crescere della capacità .
Al peggioramento del comportamento complessivo potrebbero però partecipare altri
fattori, dipendenti dallo scaling di tutti i dispositivi circostanti il fotodiodo.
Una buona conoscenza delle caratteristiche di rumore termico in condizioni di buio è la
base per effettuare in seguito delle operazioni di acquisizione ottimali. Infatti quando il
sensore è sottoposto ad uno stimolo in genere si imposta il sistema di acquisizione in modo
21
è il valor medio quadratico del rumore generato, è la costante di Boltzmann e T è la temperatura in Kelvin.
108
che salvi soltanto i frame che contengono (in teoria) l’informazione relativa ad almeno
un’interazione. Il meccanismo utilizzato per discriminare un frame da salvare da uno da
scartare consiste nel predisporre una soglia con cui confrontare i valori dei pixel: se essa
viene superata il frame viene scritto. La soglia deve essere dunque scelta la più bassa
possibile per riuscire a rilevare anche i segnali deboli, ma non tanto bassa da far sì che il
rumore provochi falsi positivi.
La probabilità di avere un falso positivo, fissata una soglia, può essere stimata come il
rapporto tra il numero di frame che hanno superato tale soglia ed il totale dei frame salvati
durante un’acquisizione di buio, condizione in cui siamo certi dell’assenza di segnale e
quindi dell’impossibilità di verificarsi di un evento positivo genuino.
Come si può notare per entrambi i sensori, la probabilità di avere eventi falsi impostando
una soglia superiore a 6 ADC count è trascurabile.
Figura 4.36 Grafico che rappresenta il numero di pixel che si trovano sopra soglia al variare della soglia stessa (RAPS06, tempo di integrazione = ). Sulla destra, fissata la soglia,
si può leggere la probabilità di errore corrispondente.
109
Figura 4.37 Grafico che rappresenta il numero di pixel che si trovano sopra soglia al variare
della soglia stessa (RAPS03, matrice ESA_S_DX , tempo di integrazione = ). Sulla destra, fissata la soglia, si può leggere la probabilità di errore corrispondente.
4.5 Test qualitativi con il laser rosso
Per avere una stima della reazione del sensore al crescere di uno stimolo esterno si può
fare un test qualitativo che consiste nel misurare la variazione del piedistallo riferendola ad
una scala arbitraria di intensità.
Uno strumento utile a tale proposito è il laser rosso che si trova nel Laboratorio
Semiconduttori dell’INFN, il cui driver dispone di una manopola di regolazione con
risoluzione sufficientemente fine da permettere facilmente la mappatura di quattrocento
valori di intensità.
110
Figura 4.38 Driver del laser utilizzato nel test qualitativo. Nella figura è evidenziata la manopola di regolazione: si possono vedere le tacche per il settaggio dell’intensità.
Il sistema è composto dall’unione del driver, il PDL 800-B della PicoQuant [27], e di una
testa laser a [26]. Il pannello frontale del driver include, oltre al controllo per la
potenza e la larghezza d’impulso (la manopola dell’intensità) quello per la frequenza di
ripetizione, una sezione con connettore BNC per utilizzare un trigger esterno, l’output
(connettore multi-pin) che va alla testa laser e lo switch di accensione con la chiavetta di
sicurezza e i led di ON/STANDBY.
La frequenza di ripetizione (repetition frequency) è fornita da un clock ad , e come
si può vedere anche nell’immagine precedente questo valore può essere diviso per un
fattore , , o . Sono state eseguite due prove con l’ausilio del laser: per la prima,
comparativa tra RAPS06 e RAPS03, la manopola è stata impostata al valore intermedio (4)
per cui la frequenza di ripetizione relativa è , mentre nella seconda è stato provato
di nuovo solo RAPS06 lasciando la frequenza di ripetizione ad .
Il componente attivo del laser è un particolare tipo di diodo che, avendo per definizione un
comportamento non lineare, non permette di mettere direttamente in relazione
l’impostazione dell’intensità con la potenza del raggio in uscita. Per questo non solo
tipicamente è complicato effettuare delle calibrazioni di sensori con il laser, ma in
111
particolare nel caso del test di seguito descritto cercare di fare considerazioni accurate di
tipo quantitativo avrebbe una complessità eccessiva.
Per svolgere le prove la fibra ottica che nel banco ottico porta il laser rosso al beam splitter
(Figura 4.39) è stata rimossa e posizionata direttamente davanti al sensore, in modo da
colpirlo interamente con un raggio il più perpendicolare ed uniforme possibile.
Figura 4.39 Particolare del banco ottico. Nel cerchio è evidenziato il punto in cui la fibra
ottica si innesta nel beam splitter.
Per tenere ferma la fibra senza danneggiarla è stato scelto uno dei componenti meccanici
disponibili in laboratorio, esso è stato poi appoggiato sopra una piccola pila di oggetti
analoghi che è servita ad allineare la direzione del laser con la parte sensibile di RAPS06.
112
Figura 4.40 Dettaglio dell’alloggiamento della fibra ottica nel supporto metallico (la ghiera posta intorno alla fibra si colloca perfettamente nel foro centrale) (a sinistra) e visione
laterale dell’unione dei due componenti (a destra).
Il risultato complessivo del posizionamento della fibra davanti ai sensori, visto dal retro del
setup, è rappresentato in Figura 4.41.
Figura 4.41 Risultato complessivo del posizionamento della fibra ottica davanti ai sensori. Nel cerchio è evidenziato il punto dove si trova la fibra.
Una volta collocata la sorgente davanti ai sensori è stata rimossa la protezione di quello
direttamente esposto al laser e poi il tutto è stato chiuso e coperto con il telo (cfr. cfr.
Paragrafo 2.2.1), creando in questo modo (a laser spento) le condizioni di buio.
Il sistema di acquisizione è stato poi avviato impostando un tempo di reset di ed un
tempo di integrazione di . È da sottolineare che, essendo stata impostata una
113
frequenza di ripetizione di , durante un tempo di integrazione arrivano al sensore
circa dieci milioni di impulsi, cifra che è ben più che sufficiente per compensare il rumore
che si introduce per colpa dell’asincronia tra forma pulsata e finestra di osservazione.
Per ottenere l’andamento del piedistallo e della deviazione standard si è fatta variare
l’intensità del laser da a a passi più o meno ridotti a seconda della risposta del
sensore sotto test, calcolando questi parametri su un totale di frame ogni volta. I dati
raccolti per entrambi i dispositivi sono graficati nelle immagini seguenti, le tabelle relative
compaiono in Appendice A.
Figura 4.42 Andamento di piedistallo e deviazione standard in funzione dell’intensità del laser per RAPS06 con un tempo di integrazione di ed una frequenza di ripetizione
degli impulsi di .
114
Figura 4.43 Andamento di piedistallo e deviazione standard in funzione dell’intensità del laser per le matrici small di RAPS03 con un tempo di integrazione di ed una
frequenza di ripetizione degli impulsi di .
Per quanto si tratti di un confronto qualitativo è interessante andare a misurare,
posizionando dei marker nei punti opportuni dei grafici dei piedistalli, le differenze tra gli
intervalli di intensità coperti durante il percorso verso la saturazione. Anche se non si può a
rigore fare un confronto diretto si può pensare di ipotizzare a grandi linee la
corrispondenza che tipicamente viene osservata a livello
sperimentale. Ne risulta (Tabella 4.10) che l’andamento della scarica di RAPS06 ha una
pendenza minore di quelle di RAPS03, cioè è più lento, anche se poi deve coprire un
intervallo in più breve rispetto all’altro sensore.
Intervallo di intensità Salto in ADC count ADC count per unità
RAPS06
RAPS03 ESA_S_DX
RAPS03 ESA_S_SX
Tabella 4.10 Riepilogo degli intervalli di intensità del laser e ADC count coperti dai piedistalli delle matrici dei due sensori nel passare da buio a saturazione. Supponendo
fattori di conversione / confrontabili, RAPS06 satura più lentamente ma in un range più breve.
Questo tende a confermare le prime osservazioni fatte andando a stimare il range dei
sensori: è sufficiente uno stimolo minore per portare RAPS03 a saturare, mentre RAPS06 è
più restio a scaricarsi.
115
Al di là di questi ragionamenti, dai grafici risulta una forte uniformità nella risposta dei due
sensori, che scendono seguendo curve dello stesso tipo con transizioni nelle vicinanze dello
stesso valore di intensità.
Lo spike che ha la deviazione standard delle matrici di RAPS03 poco prima di arrivare alla
saturazione, che in RAPS06 è assente, è indice della disomogeneità dei pixel di questo
sensore. Nella transizione che si ha tra il buio e la saturazione le dinamiche dei singoli pixel
differiscono notevolmente (ce ne sono alcuni che si scaricano prima degli altri) e quindi la
variazione complessiva all’interno di una matrice si fa più netta. La distanza di un
tra i valori di deviazione standard alla saturazione delle due matrici può essere
dovuta sia alle differenze che i processi produttivi inevitabilmente creano in strutture
formalmente identiche sia ad una differente intensità del laser nei due punti.
RAPS06 sembra invece mostrare una maggiore uniformità tra i pixel della matrice, ed
oltretutto arriva alla saturazione con un valore di circa : con tutta
probabilità questo è da attribuire al solo errore di quantizzazione degli ADC, mentre
RAPS03 mostra di essere soggetto ad altre forme di rumore aggiuntivo che lasciano la
deviazione standard intorno ad e .
I risultati dello stesso test ripetuto con RAPS06 impostando il tempo di integrazione ad
e la frequenza di ripetizione ad sono mostrati di seguito, mentre le tabelle
che li raccolgono sono riportate in Appendice A.
Figura 4.44 Andamento di piedistallo e deviazione standard in funzione dell’intensità del laser per RAPS06 con un tempo di integrazione di ed una frequenza di ripetizione
degli impulsi di .
116
Rispetto a prima la finestra temporale di esposizione al laser è stata ridotta di cinquecento
volte, mentre il numero di impulsi è aumentato di un fattore due: complessivamente al
sensore arriva una frazione di segnale pari ad
di quello precedente. In termini di
intensità l’intervallo richiesto per arrivare alla saturazione è di unità per un “salto”
complessivo di , per cui il piedistallo mediamente scende di circa
ogni unità. Mentre il segnale inviato è duecentocinquanta volte più piccolo,
il calo di per unità è inferiore di circa .
117
5. Test funzionali
In conclusione di questo lavoro di tesi si è iniziato il lavoro di caratterizzazione di RAPS06
che ha come fine ultimo quello di ottenere la sua calibrazione.
Per valutare la sensibilità del chip alle radiazioni ionizzanti sono state utilizzati due tipi di
sorgenti:
a) particelle α, che si utilizzano ponendole a diretto contatto con il sensore all’interno
del setup;
b) raggi X, che vengono prodotti con la tecnica a fluorescenza (cfr. Paragrafo 3.1.3.1)
nell’ambiente protetto della camera climatica.
5.1 Le particelle α
Tra le particelle in grado di interagire con la materia le α hanno un ruolo di rilievo, in
quanto sono caratterizzate da una massa e da un’energia relativamente grandi. Grazie a
queste caratteristiche, transitando nello spessore di silicio di RAPS06 una particella α riesce
a perdere tutta la sua energia e a trasformarsi in un atomo di elio (cfr. Paragrafo 3.1.3): c’è
quindi una ragionevole probabilità di raccogliere (quasi) tutta la carica prodotta durante la
ionizzazione; ci si aspetta di conseguenza che la distribuzione di carica abbia un andamento
gaussiano. Tipicamente inoltre le zone colpite da questo tipo di particelle in un sensore
come RAPS06 dovrebbero corrispondere a cluster di alcuni pixel di diametro.
Ad esempio invece a causa del relativamente piccolo spessore di silicio del sensore
( ) se si fossero impiegate delle particelle β esse lo avrebbero attraversato
completamente, non cedendo quindi tutta la loro energia al materiale. In questo caso la
quantità di carica raccolta sarebbe stata caratterizzata da una distribuzione di Landau-
Vavilov.
Una sorgente di particelle α si può realizzare depositando su uno strato di metallo degli
isotopi radioattivi, che decadono molto lentamente nel tempo producendo una fonte
118
continua di radiazione. In particolare quella utilizzata per le acquisizioni è una sortenge
multi-alfa con attività complessiva di 22 (3.000 disintegrazioni al secondo), dovuta
alla presenza di
241Am ( );
244Cm ( );
239Pu ( ).
Figura 5.1 La sorgente α utilizzata per le acquisizioni.
In genere il sensore viene illuminato con le particelle portandolo fuori dal setup tramite un
cavo piatto, in modo da poterlo tenere orizzontale, e ponendovi sopra la sorgente. Poiché
l’impiego del cavo ha dimostrato di produrre delle forti interferenze con il sensore l’intero
setup è stato invece poggiato di fianco, così da portare la superficie della daughterboard
parallela al suolo.
22
Il becquerel (simbolo Bq) è un’unità di misura derivata del Sistema Internazionale. È definita come l'attività di un radionuclide che ha un decadimento al secondo. Dimensionalmente equivale a s
−1.
119
Figura 5.2 La sorgente di particelle multi-alfa poggiata sopra RAPS06. Il setup è stato girato di lato per permettere il posizionamento della sorgente.
Le acquisizioni sono state fatte con il chip #1, impostando il trigger a e
variando il tempo di integrazione in un intervallo da a (la durata del reset è
sempre pari ad come nella maggior parte dei casi).
Il sensore ha mostrato di rispondere a questo stimolo con un insieme di comportamenti
inattesi.
Già nella visualizzazione in LabView si sono individuati due trend piuttosto strani: il
comportamento atteso prevedeva in caso di hit la comparsa di uno o due pixel molto più
colpiti degli altri, ad indicare il punto in cui doveva essere stata raccolta la maggior parte
della carica, circondati da una serie di ulteriori pixel disposti intorno simmetricamente e
caratterizzati da ampiezze man mano più ridotte. In realtà nella visuale in modalità
oscilloscopio si è notata una spiccata tendenza ad avere questi pixel meno stimolati
sempre disposti alla destra di quello principale (Figura 5.3), mentre passando in 3D
addirittura è sembrato che in aggiunta a questo tutti i pixel colpiti fossero distribuiti lungo
una stessa riga (Figura 5.4).
120
Figura 5.3 Esempio di hit di una particella α nella visuale in modalità oscilloscopio. L’insieme dei pixel colpiti di meno rispetto a quello principale si trova sempre sulla destra.
Sensore: RAPS06.
Figura 5.4 Esempio di hit di due particelle α nella visuale 3D, con proiezione sui piani x ed y. Si riesce a vedere come sembrino illuminarsi pixel lungo una sola direzione. Sensore:
RAPS06.
Dopo un’analisi più attenta dei dati acquisiti in Matlab si è potuto notare che in effetti i
pixel colpiti non sono tutti disposti lungo una sola riga come sembrava, ma parallelamente
121
a questa se ne trovano altre due di ampiezza media molto inferiore (motivo per cui nella
visuale in 3D, che ha un’ampia scala, non risultavano visibili).
Figura 5.5 Distribuzione della carica dovuta all’esposizione alle particelle α per un tempo di integrazione di . Nei grafici sono mostrati i due lati della distribuzione. Sensore:
RAPS06.
Figura 5.6 Distribuzione della carica dovuta all’esposizione alle particelle α per un tempo di integrazione di . Nei grafici sono mostrati i due lati della distribuzione. Sensore:
RAPS06.
122
Figura 5.7 Distribuzione della carica dovuta all’esposizione alle particelle α per un tempo di integrazione di . Nei grafici sono mostrati i due lati della distribuzione. Sensore:
RAPS06.
Questa ulteriore scoperta toglie dal campo delle possibili spiegazioni al fenomeno la
possibilità che in qualche modo si stesse resettando la matrice dopo la lettura di ogni riga,
rendendo però nel contempo più difficile la soluzione del problema. Infatti si dovrà
giustificare una asimmetria nella distribuzione della carica nel substrato che sembrerebbe
non avere spiegazioni fisiche.
Ad ogni modo l’ipotesi più avvalorata al momento è che l’informazione che non si vede
comparire in una delle due direzioni sia mancante a causa di qualche problema a livello di
acquisizione/gestione dei dati, se la motivazione fosse da ricercarsi a livello fisico (fatto
meno probabile) ci si troverebbe davanti ad un problema veramente arduo da risolvere.
Un altro comportamento controintuitivo lo si è avuto andando a calcolare la variazione del
numero di hit al minuto al crescere del tempo di integrazione: ci si aspetterebbe di vedere,
aumentando la durata della finestra temporale in cui il sensore è colpito dalle particelle, un
corrispondente aumento del numero di hit sia nella frequenza temporale (più hit al
minuto) sia in quella spaziale (più hit in un solo frame). Come mostra la seguente tabella
invece, l’andamento è inizialmente quasi costante fino ad un tempo di integrazione di
, per poi assumere un trend decrescente piuttosto netto. In realtà però, nel
continuare l’esperimento, tornando man mano a valori dell’intervallo di integrazione più
piccoli non si è osservato lo stesso tipo di comportamento a ritroso, il che potrebbe far
123
pensare più ad un fenomeno di saturazione di qualche tipo che ad una caratteristica fissa
del sensore.
Tempo di integrazione [μs] Due hit in un frame Hit/minuto
1
50
100 x
500 x
1000 x
1500 x
5000 x
10000 x
50000 x
100000 x
500000 x
Tabella 5.1 Risultato dei conteggi delle hit di particelle α per diversi tempi di integrazione. Sensore: RAPS06.
Effettuando lo stesso tipo di test con il sensore RAPS03 si ottiene invece la distribuzione di
carica attesa, come si può vedere nella seguente figura.
Figura 5.8 Distribuzione della carica dovuta all’esposizione alle particelle α per un tempo di integrazione di . Nei grafici sono mostrati i due lati della distribuzione. Sensore:
RAPS03, matrice small destra.
124
5.2 I raggi X
Per avere un’ulteriore idea del tipo di risposta di RAPS06 agli stimoli si è provato ad
illuminarlo con una sorgente di fotoni da , nel tentativo di vedere se fosse
possibile effettuare una calibrazione anche senza aver ancora compreso il motivo dei
fenomeni descritti nel paragrafo precedente. L’idea è la seguente: poiché in teoria tutta la
carica generata da un fotone viene raccolta con buona probabilità da un solo pixel, il
problema della distribuzione preferenziale lungo una certa direzione non dovrebbe
influenzare più di tanto i dati acquisiti con questa sorgente. Nel caso peggiore in cui la
carica possa considerarsi distribuita in parte anche nei quattro pixel circostanti quello più
colpito, se viene persa l’informazione associata ad una direzione si tratta comunque di
pochi punti percentuali sul totale.
La calibrazione del sensore si realizza graficando il numero di occorrenze dell’ampiezza
raggiunta dal pixel più colpito di un cluster in funzione del valore di ampiezza stesso; se
nella distribuzione che si ricava c’è un picco evidente allora il numero di ad
esso associato equivale all’energia in delle particelle utilizzate.
Il bersaglio utilizzato per produrre in fluorescenza (XRF, X-Ray Fluorescence)i fotoni a
è un blocchetto di molibdeno (Mo). Per evitare di utilizzare il cavo che produce le
interferenze già menzionate al paragrafo precedente si è deciso di alloggiare tutto il setup
con il sensore all’interno della camera climatica che contiene anche il tubo a raggi X,
posizionando poi degli spessori opportuni per allineare la sorgente al livello del sensore.
125
Figura 5.9 Prove di posizionamento del tubo a raggi X davanti al setup con RAPS06.
Il tubo a raggi X disponibile in laboratorio è il Mini-X della Amptek [33], che viene
controllato via computer tramite porta USB. Il software che lo gestisce permette di
impostare il voltaggio e la corrente desiderati, e di avviare il funzionamento
dell’apparecchio una volta che è stato chiuso nella camera climatica.
Figura 5.10 Tubo Mini-X della Amptek. Si può vedere sulla destra l’alloggiamento per i bersagli.
126
Figura 5.11 Interfaccia grafica del programma di controllo del tubo a raggi X.
Il comportamento del tubo è controllato costantemente tramite uno spettrometro (l’ X-
123 della Amptek [34]) ed il relativo software.
Anche per quanto riguarda i raggi X il sensore dimostra una chiara sensibilità; in Figura 5.12
è mostrata l’hit prodotta da un singolo fotone.
Figura 5.12 Hit di un fotone a prodotto con un bersaglio di Mo.
Per quanto non sia ancora stato possibile effettuare la calibrazione del sensore, è
importante osservare come la differenza tra la risposta cumulativa dei pixel in condizioni di
buio e quella in presenza di sorgenti sia ben evidente (i grafici sovrapposti sono mostrati in
Figura 5.13), cosa che fa ben sperare per la riuscita di tentativi futuri.
127
Figura 5.13 Sovrapposizione dei grafici della risposta di singolo pixel di RAPS06 in condizioni di buio e con sorgenti in fluorescenza (Cu) e relativo fitting gaussiano.
128
Conclusioni
Le grandi potenzialità che le tecnologie CMOS per i sensori del visibile offrono nel campo
del rilevamento di particelle alle alte energie stanno spingendo la ricerca, da alcuni anni a
questa parte, verso il progetto di rilevatori competitivi con gli standard di questo ambito.
In questa ottica si inserisce il progetto To_asIC, al cui interno si è sviluppato il presente
lavoro di tesi.
Il sensore RAPS06/To_asIC01 è stato oggetto di una serie di analisi mirate a verificarne il
funzionamento elettrico di base e a darne una prima caratterizzazione, anche con il fine di
iniziare un confronto con il suo “predecessore” (a livello strutturale) RAPS03. In
particolare, parlando di confronto con RAPS03 si intende il paragone con le due matrici
small che esso ospita, che sono costruite con pixel delle stesse dimensioni di quelli di
RAPS06. La differenza sostanziale tra i due sensori è nella tecnologia con cui sono stati
realizzati: UMC da per RAPS06 e UMC da per RAPS03.
La verifica delle funzionalità elettriche e della compatibilità del nuovo sensore con il setup
preesistente comune a tutti i chip del progetto RAPS ha dato esito immediatamente
positivo, aprendo la strada alla caratterizzazione vera e propria.
La misura di grandezze di riferimento come la deviazione standard ed il range al variare del
tempo di integrazione ha riportato un comportamento sostanzialmente omogeneo dei due
sensori; la maggiore capacità che caratterizza i fotodiodi di RAPS06 può spiegare bene la
minor sensibilità che esso ha mostrato di avere in più occasioni.
Per avere un’idea qualitativa della modalità della scarica dei pixel il sensore è stato
irradiato da vicino con una sorgente laser non collimata, in grado quindi di colpire uno spot
ampio in maniera piuttosto uniforme. Esso ha mostrato di passare da un valore costante di
buio, che permane circa invariato anche esponendolo alla luce ambientale, alla saturazione
in circa undici decimi di unità di intensità. Per quanto si tratti di un confronto fatto su scala
arbitraria, è interessante vedere come l’andamento della scarica di RAPS06 abbia una
129
pendenza minore di quelle di RAPS03, cioè sia più lento, anche se poi deve coprire un
intervallo in più breve rispetto all’altro sensore.
Con l’intento di iniziare il percorso che porterà in futuro ad ottenere una calibrazione, si è
poi valutata la sensibilità di RAPS06 allo stimolo con radiazioni ionizzanti: a tal scopo sono
state impiegate una sorgente di particelle α ed una di fotoni (raggi X).
In questa ultima parte di test il confronto con RAPS03 ha rivelato una certa divergenza, in
particolare nelle modalità con cui viene raccolta la carica generata dalle radiazioni. La
risposta agli stimoli forniti è comunque presente e ben evidente.
Nel complesso questo lavoro ha gettato le basi per una caratterizzazione più completa ed
approfondita di un sensore che è ancora lontano dall’essere compreso, e gli spunti che si
potranno seguire in futuro sono molteplici.
Per quantificare in maniera tangibile la descrizione dei comportamenti di buio di RAPS06
ed interpretare il suo confronto con RAPS03 sarà sicuramente di primaria importanza la
ricerca di un fattore di conversione che permetta di esprimere gli ADC count in termini di
carica raccolta.
Inoltre può essere di interesse effettuare delle prove con diverse sorgenti laser, per testare
la risposta complessiva del sensore ad uno stimolo molto localizzato e controllato. A monte
di questo dovrà essere svolta un’analisi di alcune problematiche che al momento
impediscono a RAPS06 di interfacciarsi con il banco ottico dell’INFN, in modo da poter
trovare una soluzione o una valida alternativa per svolgere i test.
Sulle motivazioni dei comportamenti anomali mostrati in risposta agli stimoli sono state
fatte diverse ipotesi, ma per capire a quale livello è situato il problema sarà necessario
acquisire molta statistica ed elaborare i dati ottenuti; tutto questo anche nell’ottica di
procedere ad una calibrazione del sensore con la sorgente a raggi X.
130
APPENDICE A – Tabelle
Ingresso buffer Uscita buffer [mV]
Tabella 1 Valori impostati (Ingresso buffer) e valori letti (Uscita buffer) per l’analisi in DC del buffer di test.
131
Numero di frame Deviazione standard [ ]
Tabella 2 Valori della deviazione standard di RAPS06 al variare del numero di frame su cui viene effettuato il calcolo.
Numero di
frame
Deviazione standard della matrice
ESA_S_DX [ ]
Deviazione standard della matrice
ESA_S_SX [ ]
Tabella 3 Valori della deviazione standard delle due matrici di RAPS03 al variare del numero di frame su cui viene effettuato il calcolo.
TINT [ ] Piedistallo [ ]
Tabella 4 Valori di piedistallo acquisiti con RAPS06 in condizioni di saturazione per calcolare la variazione del range al crescere del tempo di integrazione.
132
TINT [ ] Piedistallo [ ]
Tabella 5 Valori di piedistallo acquisiti con RAPS06 in condizioni di buio per calcolare la variazione del range al crescere del tempo di integrazione.
TINT [ ] Piedistallo della matrice ESA_S_DX
[ ]
Piedistallo della matrice ESA_S_SX
[ ]
Tabella 6 Valori di piedistallo acquisiti con RAPS03 in condizioni di saturazione per calcolare la variazione del range al crescere del tempo di integrazione.
TINT [ ]
Piedistallo della matrice ESA_S_DX
[ ]
Piedistallo della matrice ESA_S_SX
[ ]
Tabella 7 Valori di piedistallo acquisiti con RAPS03 in condizioni di buio per calcolare la variazione del range al crescere del tempo di integrazione.
133
TINT [ ] Deviazione standard [ ]
Tabella 8 Valori di deviazione standard acquisiti con RAPS06 in condizioni di buio per calcolarne la variazione al crescere del tempo di integrazione.
TINT [ ] Deviazione standard della matrice
ESA_S_DX [ ]
Deviazione standard della matrice
ESA_S_SX [ ]
Tabella 9 Valori di deviazione standard acquisiti con RAPS03 in condizioni di buio per calcolarne la variazione al
crescere del tempo di integrazione.
134
Intensità Piedistallo [ADC count] Deviazione standard [ADC count]
135
136
Tabella 10 Acquisizione dei valori di piedistallo e deviazione standard in funzione dell’intensità del
laser per RAPS06 con un tempo di integrazione di ed una frequenza di ripetizione degli impulsi di .
137
Intensità
Piedistallo della
matrice ESA_S_DX
[ ]
Deviazione standard
della matrice
ESA_S_DX
[ ]
Piedistallo della
matrice ESA_S_SX
[ ]
Deviazione standard
della matrice
ESA_S_SX
[ ]
138
139
Tabella 11 Acquisizione dei valori di piedistallo e deviazione standard in funzione dell’intensità del laser per le matrici small di RAPS03 con un tempo di integrazione di
ed una frequenza di ripetizione degli impulsi di .
140
141
Tabella 12 Acquisizione dei valori di piedistallo e deviazione standard in funzione dell’intensità del laser per RAPS06 con un tempo di integrazione di ed una frequenza
di ripetizione degli impulsi di .
142
APPENDICE B – Formule
Formula di Bethe-Bloch:
(
)
è la carica delle particelle che che attraversano un bersaglio che ha una densità
elettronica per unità di volume , per una distanza ;
ed sono la massa ed i raggio classico dell’elettrone;
è il potenziale di ionizzazione della struttura atomica del bersaglio;
è una correzione di densità;
è il rapporto tra la velocità della particella e quella della luce.
Distribuzione di Landau-Vavilov:
( )
∫ ( ) ( )
Sezione d’urto totale di Klein-Nishina:
(
)
(
)
( ( ))
è la massa a riposo dell’elettrone;
è il raggio classico dell’elettrone.
143
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