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Capitolo 4 Cariche elettriche in moto e fenomenologie connesse 4.1 Grandezze descriventi il moto di cariche Nella precedente sezione abbiamo trattato delle forze e dei campi connessi alla presenza di cariche elettriche la cui localizzazione spaziale, vista dal sistema di riferimento scelto, fosse indipendente dal tempo. Per poter estendere la trattazione al caso generale di cariche in moto, le cui traiettorie saranno descritte da generiche funzioni del tempo r i = r i (t), dobbiamo prima introdurre delle grandezze che servano a descrivere i moti di carica. Ovviamente una grandezza fisica rilevante sarà, per ogni particella di carica q i il vettore velocità v i (t) con esplicitata la sua eventuale dipendenza dal tempo. Ovviamente l’attribuzione esplicita ad ogni singola particella del corrispondente vettore velocità sarà possibile solo in un limitato numero di casi, quando cioè si abbia a che fare con un set discreto di cariche finite e singolarmente ben individuabili. Molto spesso non si è in tale situazione, basti pensare ad un metallo ove si ha un numero enorme di particelle in moto, per di più localizzate in volumi che dal punto di vista macroscopico sono indistinguibili da punti. In simili casi non si può introdurre, in quanto sperimentalmente inaccessibile, la velocità di ogni singola particolare carica. Ciò su cui possiamo avere informazioni è il valor medio <v i ( r,t) > della velocità delle cariche che, istante per istante, si trovino all’interno di volumi, piccoli a livello macroscopico ma sufficientemente grandi da contenere un numero enorme di particelle. Detto valor medio prende il nome di velocità di 125

Cariche elettriche in moto e fenomenologie connesse · CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 128 4.2 Conservazione della carica elettrica Avendo introdotto le grandezze

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Capitolo 4

Cariche elettriche in moto e

fenomenologie connesse

4.1 Grandezze descriventi il moto di cariche

Nella precedente sezione abbiamo trattato delle forze e dei campi connessi alla presenza di cariche

elettriche la cui localizzazione spaziale, vista dal sistema di riferimento scelto, fosse indipendente dal

tempo.

Per poter estendere la trattazione al caso generale di cariche in moto, le cui traiettorie saranno descritte

da generiche funzioni del tempo ri = ri (t), dobbiamo prima introdurre delle grandezze che servano a

descrivere i moti di carica.

Ovviamente una grandezza fisica rilevante sarà, per ogni particella di carica qi il vettore velocità vi (t)

con esplicitata la sua eventuale dipendenza dal tempo.

Ovviamente l’attribuzione esplicita ad ogni singola particella del corrispondente vettore velocità sarà

possibile solo in un limitato numero di casi, quando cioè si abbia a che fare con un set discreto di cariche

finite e singolarmente ben individuabili.

Molto spesso non si è in tale situazione, basti pensare ad un metallo ove si ha un numero enorme di

particelle in moto, per di più localizzate in volumi che dal punto di vista macroscopico sono indistinguibili

da punti.

In simili casi non si può introdurre, in quanto sperimentalmente inaccessibile, la velocità di ogni

singola particolare carica.

Ciò su cui possiamo avere informazioni è il valor medio < vi (r, t) > della velocità delle cariche che,

istante per istante, si trovino all’interno di volumi, piccoli a livello macroscopico ma sufficientemente

grandi da contenere un numero enorme di particelle. Detto valor medio prende il nome di velocità di

125

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 126

deriva vd del sistema di cariche. Si ha:

vd (r, t) =< vi (r, t) >=

˚

velocita

η (r,v, t)v dv3 (4.1)

ove η (r,v, t) è la densità di probabilità che nel punto r ed all’istante t la velocità della particella por-

tatatrice di carica, detta anche semplicemente “portatore”, sia v. Nella eq. 4.1 l’integrazione è effettuata

sullo spazio delle velocità.

Se la densità di probabilità η non dipende dal tempo allora la velocità di deriva è stazionaria.

Per descrivere, dal punto di vista macroscopico, il moto di cariche elettriche, si introducono due

grandezze, legate tra loro, che prendono rispettivamente il nome di Intensità di Corrente Elettrica o,

semplicemente, Corrente Elettrica ed di Vettore Densità di Corrente.

La prima è una grandezza scalare mentre la seconda ha carattere vettoriale e descrive in modo

completo, dal punto di vista macroscopico, il moto delle particelle.

Partiamo da questo ultimo. Esso si indica normalmente con j (r, t) ed è definito dal un campo scalare

ρ (r, t)vd (r, t), ove ρ (r, t) e vd (r, t) sono rispettivamente la densità di carica e la velocità di deriva relative

al punto ed istante considerato.

j (r, t) = ρ (r, t)vd (r, t) (4.2)

Nel caso in cui si abbia a che fare con un sistema composto da un set di portatori, diversi tra loro per

carica qi, velocità di deriva vid e numero per unità di volume ni, avremo anche:

j (r, t) =

i

niqi vid (4.3)

Sv

n

Figura 4.1: Rappresentazione di un moto di cariche.Le linee continue sono le linee di forza del vettoredensità di corrente j. La superficie è una generica su-perficie aperta immersa nella zona ove sono presentile cariche in moto

La figura 4.1 mostra il campo del vettore densi-

tà di corrente ed una superficie S aperta immersa

nella zona ove sono presenti le cariche in moto.

La figura mostra anche la normale alla superficie

scelta.

Possiamo valutare il flusso del vettore j attra-

verso la superficie S. Si definisce in questo modo

la Intensità di corrente elettrica; in formule:

i = ΦS

j=

ˆ

S

j (r, t) · nds (4.4)

Ovviamente, essendo la corrente elettrica definita tramite un integrale, si perde con essa informazione

a riguardo dell’effettivo moto delle cariche.

È utile descrivere il moto di cariche tramite la corrente i quando questo sia comunque confinato in

strutture filiformi di cui si possano trascurare le sezioni rispetto a lunghezze o distanze in gioco.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 127

n

v dt

v n dt.

Figura 4.2: La carica che in un secondo attraversa lasuperficie è solo quella contenuta nel volume indicato

Affinchè della carica attraversi una superficie

conta solo la componente della velocità delle par-

ticelle parallela alla normale a questa. La figu-

ra 4.2 mostra come la carica, che in un tempu-

scolo dt attraversa la superficie di destra nel sen-

so indicato dalla normale, sia quella che dista da

essa meno di (vd · n) dt e che è quindi contenu-

ta nel volume dV = (vd · n) dt ds. Si ha per-

tanto dq = ρ (vd · n) dt ds ove al secondo mem-

bro si riconosce il flusso infinitesimo del vettore

j moltiplicato per l’intervallo temporale dt.

Si ha pertanto

di =dq

dt

da cui l’affermazione che la corrente è numericamente uguale al valore della carica elettrica che comples-

sivamente attraversa la superficie S nell’unità di tempo nel senso indicato dalla normale scelta.

L’unità di misura della corrente è l’Ampere, definito come Coulomb/Secondo, ed è stato scelto come

una delle unità fondamentali del sistema MKSA; vedi figura pagina 9. Vedi inoltre pagina 161 per la sua

definizione operativa.

La direzione della normale alla superficie S potrà essere scelta in modo arbitrario; ne consegue che il

valore della corrente che descrive il fluire delle cariche potrà essere sia positivo che negativo a seconda

della scelta effettuata.

Più precisamente:

• nel caso di cariche in moto positive, la corrente sarà positiva se la superficie viene attraversata in

senso concorde con la normale scelta, negativa nel caso contrario

• se invece le cariche elettriche in moto fossero di segno negativo, avremmo l’esatto contrario.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 128

4.2 Conservazione della carica elettrica

Avendo introdotto le grandezze che descrivono il moto di cariche elettriche, siamo in grado di scrivere,

in forma locale, una delle più importanti leggi di conservazione: quella della carica elettrica.

Le basi sperimentali di questa legge sono vastissime. In ultima analisi esse derivano dal fatto che le

forze elettriche sono enormi rispetto a quelle gravitazionali. Vedi quanto riportato a pagina 11.

Come precedentemente detto, le leggi di conservazione si possono esprimere sia sotto forma globale

che in forma locale. Questo è il primo esempio che incontriamo di legge di conservazione espressa in forma

locale, espresa cioè secondo la formulazione indicata a pagina 117. Per esprimere in forma locale la legge

di conservazione relativa ad una data grandezza fisica abbiamo infatti bisogno di due informazioni. La

prima è relativa alla evoluzione temporale della densità spaziale. La seconda consiste nella conoscenza di

un campo vettoriale che indichi come detta grandezza si muove nello spazio.

n

!(r,t)

J(r,t)

Figura 4.3: Volume V, delimitato dalla superficieS, immerso in una regione interessata al moto dicariche.

Nel presente caso, esse sono la densità di cari-

ca ρ (r, t) ed il vettore densità di corrente j (r, t);

entrambi espressi in funzione sia del punto dello

spazio che del tempo.

Se la carica si conserva, allora una eventuale va-

riazione della sua quantità complessivamente pre-

sente all’interno del generico volume, come quello

mostrato in figura 4.3, può essere dovuta solo al-

l’attraversamento, da parte delle cariche in moto,

della superficie che delimita detto volume.

Che la carica elettrica si conservi localmente

significa quindi che il flusso di j uscente attraver-

so una qualunque superficie chiusa deve eguagliare

la diminuizione della carica contenuta all’interno

della superficie.

Matematicamente questo si esprime con la seguente relazione:

ˆ

S

j · nds = − d

dtQint = − d

dt

ˆ

V

ρ dv (4.5)

ove n è la normale esterna alla superficie e Qint è la carica complessiva interna, esprimibile tramite un

integrale di volume della funzione densità.

Ovviamente la legge suddetta si può esprimere anche in forma differenziale.

Infatti, riscrivendo tramite il teorema di Gauss, riportato a pagina 32, l’integrale sulla superficie chiusa

S come un integrale sul volume interno ad essa e considerando che l’egualianza deve valere qualunque sia

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 129

il dominio di integrazione, si ha:

∇ ·j = d

dtρ (4.6)

Questa scrittura esprime in forma differenziale la legge di conservazione della carica elettrica espressa in

forma locale.

4.3 Conduzione nei metalli

Per avere moti di carica dovremo avere delle particelle libere di muoversi. Si è visto che questo avviene,

ad esempio, per le cariche presenti all’interno di materiali che abbiamo chiamato, per questo “conduttori”.

Prendiamo ad esempio un materiale metallico, tipico esempio di conduttore. Potremo porci le seguenti

domande:

• In quali condizioni avremo correnti elettriche?

• Il valore delle correnti a quali parametri fisici è correlato?

• Come possiamo identificare la particella responsabile del passaggio di corrente?

Veniamo alla prima delle domande

S

Figura 4.4: Moti delle particelle cariche in asssenzadi agenti esterni

In generale non avremo nel materiale corren-

ti elettriche in quanto, se consideriamo una qua-

lunque superficie ds interna al materiale, tanti so-

no i portatori che la attraversano in una direzio-

ne quanti quelli che la attraversano nella direzione

opposta, vedi figura 4.4.

In altri termini, anche se i singoli portatori si

muovessero all’interno del materiale con velocità

diversa da zero, non essendoci direzioni privilegia-

te la funzione di distribuzione delle velocità dei portatori sarà caratterizzata da simmetria sferica rispetto

al vettore velocità o, quantomeno sarà simmetrica per inversione η (v) = η (−v) e quindi la velocità di

deriva vd sarà necessariamente nulla.

a

bi

Figura 4.5: Al chiudersi dell’interruttore, unacorrente elettrica si instaura nel filo conduttore.

Si avrà quindi in generale j = 0.

Domandiamoci adesso: Come si può produrre

un moto di deriva di portatori di carica?

Come si potrà ottenete una vd = 0 e quindi una

corrente elettrica?

Dovremo introdurre una anisotropia spaziale.

Se ad esempio consideriamo un filo conduttore,

l’esperienza ci dice che perché esso sia percorso da corrente elettrica basta collegarne gli estremi a due

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 130

punti tra i quali esista una differenza di potenziale ( ad esempio ad i due poli di una batteria o di un

condensatore carico). Facendo riferimento alla figura 4.5, si vede come, chiudendo l’interruttore, una

corrente elettrica i prenda a fluire lungo il filo.

Domandiamoci: Come può accadere questo?

Il moto dei portatori di carica è determinato dai campi elettrici. Come può accadere che la chiusura

dell’interruttore modifichi i campi in punti del filo che possono essere anche a grande distanza dalla

batteria?

Se consideriamo poi i due punti (a) e (b) di figura, il campo elettrico dipolare generato dalla batteria

non dovrebbe essere praticamente lo stesso in entrambi? Come mai allora i portatori di carica si muovono

nei due punti in verso opposto?

Figura 4.6: Effetto “domino”

Quello che accade è che, chiudendo l’interrutto-

re, forniamo una via di fuga alle cariche che prima

erano obbligate a restare sul bottone della batte-

ria. Una parte di esse si porterà quindi sul filo

addossandosi alle altre qui presenti. Queste ulti-

me saranno respinte da quelle in arrivo e saran-

no consequentemente costrette a trasferirsi lungo

il filo, generando così spostamenti per altre cariche

localizzate nell’adiacente tratto di filo.

Si genera quindi una specie di effetto “domino”

che mette in moto tutte le cariche.

Quanto sopra descrive qualitativamente il fenomeno ma le cariche sono messe in moto da un campo

elettrico. Ho modo di valutarne il valore?

dl

! !+"!

Figura 4.7: Singolo elemento dl del filo di figura 4.5.Sono evidenziati i diversi valori della densità di caricaagli estremi, se l’elemento è percorso da corrente dasinistra a destra δρ deve essere negativo

Si può ragionare nel seguente modo. I due

poli della batteria saranno caratterizzati da lievi

accumuli di cariche di opposto segno.

Se si collega un filo metallico ovunque neutro

a detti poli carichi, esso non manterrà la perfetta

neutralità in ogni suo punto. A regime dovremo

avere, lungo il filo, una densità di carica che pas-

serà con continuità dal valore relativo al polo po-

sitivo fino a quello relativo al negativo. Se consideriamo quindi un elemento del filo, la densità di carica

immediatamente a monte differisce da quella immediatamente a valle.

Si viene per questo ad avere, all’interno del filo, un campo elettrico E locale per il quale dovrà

necessariamente valere

−ˆ

Γ

E · dl = V0 (4.7)

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 131

ove V0 è, nel nostro esempio, la d.d.p. fornita dalla batteria e la linea Γ è definita dal filo stesso.

Vediamo di calcolare il valore del campo elettrico1.

Esso in generale potrà variare da punto a punto del filo. In condizioni di equilibrio dinamico che,

puntualizziamo, sono caratterizzate dalla indipendenza dal tempo di tutti i parametri fisici2 il campo

elettrico intero dovrà avere invece identico modulo in ogni punto del conduttore, qualora quest’ultimo

fosse di sezione costante.

Riferiamoci all’elemento di filo di figura (4.7); se la velocità dei portatori in entrata differisse da quella

in uscita, si avrebbe nell’elemento di filo una variazione temporale della carica contenuta e non si sarebbe

quindi in condizioni di equilibrio dinamico.

Se la velocità non cambia, l’accelerazione del generico portatore risulterà nulla ed avremo quindi ove

E il campo elettrico interno.

Dall’uniformità della velocità di deriva discende quindi immediatamente quella del campo elettrico

all’interno del filo conduttore omogeneo e di sezione costante.

Andando oltre, l’indipendenza del campo dal particolare punto comporta che a parità di dl. si debbano

avere identici δρ o, più semplicemente che la derivata della densità di carica lungo il conduttore sia

costante.

Domanda: nel ragionamento precedente dove si sono usate le ipotesi di omogenità chimica e di

conduttore a sezione costante?

Nel semplice caso che il filo sia costituito da materiale omogeneo, potremo quindi scrivere per il modulo

del vettore campo elettrico la relazione:

E =V0

L(4.8)

ove L è la lunghezza del filo.

Quale è l’effetto di detto campo elettrico?

L’effetto sarà quello di accelerare i portatori producendo quindi una corrente.

Se riportiamo in grafico il valore della corrente in funzione del tempo per vari valori della d.d.p

applicata ( e quindi del campo elettrico interno) si trovano sovente andamenti come descritti in figura

4.8.

La corrente, e quindi il vettore densità di corrente, all’inizio aumenta rapidamente nel tempo con de-

rivata proporzionale alla d.d.p. applicata. Dopo il rapido aumento iniziale, dette grandezze si stabilizzano

ad un valore costante, proporzionale alla d.d.p. applicata e quindi anche al campo elettrico interno al filo.

t

i

V=V0

V=2V0

Figura 4.8: Andamento della corrente in funzione deltempo per due valori della d.d.p. applicata

In tali casi si dice che il conduttore segue la

legge di Ohm.1Ci riferiamo nel seguito alla sola componente lungo il filo, quella che determina il fluire delle cariche all’interno dell’og-

getto. Vi è infatti pure una componente del campo normale al filo; essa è presente nelle regioni di curvatura e dà originealla forza necessaria a modificare le traiettorie delle particelle interne al conduttore.

2Il potenziale, il campo elettrico, la densità di carica, la velocità di deriva dei portatori potrà dipendere da punto a puntoma, in ogni punto, sarà indipendente dal tempo.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 132

Evidentemente, perché ciò possa accadere, oc-

corre che il generico portatore di carica sia sogget-

to ad un’altra forza oltre a quella dovuta al campo

elettrico. Solo in queste condizioni si può pervenire

ad un equilibrio dinamico descritto da

J = σ E (4.9)

Nella espressione scritta, σ = σ (T, · · · , = E, = J)

prende il nome di conducibilità elettrica. Esso è un

parametro dipendente, oltre che dal materiale, dalla temperatura ed altro ancora ma, per un conduttore

Ohmmico, non dal campo elettrico E o dal vettore densità di corrente J .

I dati sperimentali si possono interpretare pensando che sul portatore di carica agisca una forza di

tipo viscoso F = −k v che si opponga al suo moto lungo il filo.

In tale ipotesi si può quindi scrivere per i portatori la seguente equazione di moto

mx = qE − k v

lungo la direzione del campo elettrico E.

Risolvendo la precedente si perviene, come è ben noto, ad una velocità di regime costante per il

portatore data da:

vd = v (t = ∞) =q

kE

per cui si trova infine

J =

i

niqiki

E = σ E (4.10)

ove la sommatoria corre sui vari tipi di portatori di carica eventualmente presenti.

Dalla equazione 4.10 si ricava immediatamente per la conducibilità elettrica:

σ =

i

niqiki

(4.11)

Consideriamo il generico elemento di filo mostrato in figura 4.7. Integrando nel volume da esso definito

entrambi i membri eq. 4.9 si ottiene:

i dl = σ S dV (4.12)

ove S dl e dV sono rispettivamente la sezione, la lunghezza e la differenza infinitesima di potenziale ai

capi dell’elemento di filo.

Per un conduttore composto da un set di N elementi di spessore molto piccolo rispetto alla sezione,

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 133

Materiale ResistivitàArgento 1.59 10−8

Rame 1.7 10−8

Oro 2.44 10−8

Alluminio 2.82 10−8

Tungsteno 5.6 10−8

Ferro 10 10−8

Platino 11 10−8

Piombo 22 10−8

Tabella 4.1: Resistività in Ωm per vari materiali

interessati tutti al passaggio della medesima corrente i, si ha dalla precedente per la differenza di potenziale

V presente ai capi della serie

V =

k

dVk = i

k

dlkσkSk

= i R (4.13)

Nel caso particolare in cui l’insieme degli elementi formi un filo omogeneo a sezione costante S e di

lunghezza totale L si ottiene

V =

L

σS

i = i R (4.14)

Nelle due precedenti si è introdotto un parametro, che prende il nome di Resistenza Elettrica espresso,

nel semplice caso di un conduttore omogeneo a sezione costante, da

R =1

σ

L

A=

L

A(4.15)

L’unità di misura della resistenza prende il nome di Ohm. Come ovvio dalla eq. 4.15, la resistenza

dipende non solo dal tipo di materiale ma anche dalla forma geometrica dell’oggetto.

Noterete che nella equazione 4.15 è stato introdotto il parametro , definito come l’inverso della

conducibilità, che prende il nome di resistività elettrica.

Nella tabella 4.1sono riportati i valori, a temperatura ambiente, per la resistività di alcuni metalli.

Tutti sappiamo che in un metallo i portatori di carica sono elettroni, ma come si è pervenuti a tale

scoperta?

Esperimento di Tolman e Stewart (1916) ( di Papaleksi secondo i russi)

Tutte le particelle sono cartterizzate da specifici valori per la carica elettrica q e la massa m. Sebbene

vi siano varie particelle dotate di identico valore per la carica, esse si differenziano in quanto a massa.

Per questo motivo il rapporto q/m identifica in modo univoco la particella.

L’esperimento di Tolman ha permesso di misurare il rapporto q/m del portatore di carica in un metallo

identificando quindi il portatore.

In figura è mostrato un cilindro di raggio R su cui è avvolto un filo di lunghezza L e di sezione S. Gli

estremi del filo sono fissati a due anelli metallici posti sugli assi, i quali, per mezzo di contatti striscianti,

sono collegati ad un galvanometro balistico3.3Strumento in grado di misurare il valore della carica Q complessivamente associata ad un impulso di corrente: Q =

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 134

Il cilindro è posto in rapida rotazione ed Ω è la sua velocità angolare.

Improvvisamente esso viene bloccato. In un tempuscolo molto piccolo la sua velocità angolare va

quindi a zero.

Cosa accadrà?

G

Figura 4.9: Schematico disegno dell’apparatosperimentale di Tolman e Stewart

Supponiamo che il filo sia costituito da una

struttura rigida e da un mare di portatori di carica

liberi di muoversi attraverso detta struttura, da lo-

ro vista come un mezzo viscoso. Mentre il cilindro

ruota, i portatori di carica e la struttura rigida del

filo si muoveranno assieme: la velocità media dei

portatori di carica relativa alla struttura del filo

sarà quindi nulla. In tali condizioni, non passerà

corrente attraverso il galvanometro. Quando il ci-

lindro viene improvvisamente bloccato, verrà bloc-

cata pure la struttura rigida che costituisce il filo

ma i portatori di carica continueranno per inerzia

a muoversi come prima.

Ciò significa che si avrà una corrente elettrica

lungo il filo.

Muovendosi rispetto al filo, i portatori saranno adesso affetti dalla forza viscosa che, in un breve lasso

di tempo, li riporterà in quiete rispetto al mezzo. Da qui il carattere impulsivo della corrente la cui carica

totale associata Q è rivelata dal galvanometro.

Come prima cosa possiamo determinare il segno della carica trasportata dai portatori.

Infatti la direzione in cui i portatori si muovono è determinata dal senso di rotazione del cilindro

prima dell’arresto e quindi, se il galvanometro indicherà una corrente concorde a tale direzione, vorrà dire

che i portatori di carica sono positivi e viceversa.

La corrente che percorre il filo va, come detto, rapidamente a zero permettendoci così di misurare solo

il valore della carica totale Q =´∞0 i (t) dt che attraversa una sezione del filo.

Dobbiamo quindi scrivere una espressione per Q in termini della carica q e della massa m del singolo

portatore di carica.

L’equazione di moto per il portatore, dopo che il cilindro è stato bloccato, sarà data da:

F = −k v = md

dtv

´∞0 i (t) dt. Ogni galvanometro può, in teoria, misurare la carica associata ad impulsi di corrente. Iniziando a fluire corrente,

l’indice del galvanometro acquista velocità; tuttavia, a causa dell’immediato cessare del flusso di particelle, la deviazionedell’indice raggiungerà un massimo per poi ritornare sullo zero. Il valore della carica Q è legato al valore della deviazionemassima dell’indice dello strumento.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 135

Da essa si ricava la velocità dei portatori di carica in funzione del tempo:

v (t) = v0 exp

− k

mt

Dalla velocità si ricava facilmente la corrente e da questa, integrando, il valore della carica Q.

Dalla J (t) = nq v (t) = ΩRnq exp− k

m t

si ha infatti

Q = S

0

J (t) dt = S ΩRnq

0

exp

− k

mt

dt = S ΩR

nmq

k

Come si vede la carica totale Q che ha attraversato il galvanometro balistico è esprimibile in termini della

carica e della massa del portatore. Nella espressione trovata compare tuttavia il rapporto incognito nk

tra il numero di portatori per unità di volume e la costante viscosa.

Per poter risolvere il problema occorrerà quindi acquisire altre informazioni. Questo rapporto nk

compare anche nell’espressione della conducibilità elettrica, vedi eq. 4.11, e determina quindi il valore

della resistenza elettrica del filo usato.

O si conosce la conducibilità del materiale di cui è costituito il filo oppure si dovrà procedere alla

misura della resistenza totale dell’avvolgimento, basandoci sulla eq. 4.14 ed utilizzando i metodi di cui

al corso di Laboratorio.

Una volta nota la resistenza, per mezzo della eq. 4.15 si ottiene la conducibilità.

Supponendo che la conduzione sia dovuta ad un unico tipo di portatore, si ha nk = σ

q per cui,

sostituendo si trova infine:q

m=

ΩR

QS σ

Usando tale relazione, fu ricavato sperimentalmente che qm −1.8 · 108Coulomb/grammo.

Valore questo caratteristico dell’elettrone.

Si è parlato di velocità di deriva dei portatori di carica, adesso abbiamo visto che in un metallo i

portatori di carica sono gli elettroni.

Non tutti gli elettroni partecipano però alla conduzione in quanto quelli interni sono fortemente legati

ai rispettivi nuclei.

Solo quelli di valenza, gli stessi che in una molecola sono responsabili del legame, sono in condizione

di potersi allontanare dall’atomo originario. Premesso questo, ci possiamo domandare quale sia l’ordine

di grandezza della velocità di deriva.

Prendiamo ad esempio il rame.

Se in un filo di 1mm2di sezione facciamo passare una corrente di 10A, si avrà una densità di corrente

J = 1010−6 = 107.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 136

Otterremo quindi nqvd = 107. Il numero di portatori per unità di volume n sarà dato da

n =δNA

Mnc

con ncnumero di elettroni che ogni atomo manda in conduzione ( =1 per il rame ), NA 6. 1023 atomi

per mole numero di Avogadro, δ 9 g/cm3 densità ed M = 64 g/mole peso atomico.

Si trova quindi :

vd 10764 10−6

9 6 10231.6 10−19≈ 10−3m/sec

Sembrerebbe quindi di poter dire che correnti anche relativamente elevate siano causate da velocità di

deriva molto piccole ( dell’ordine del millimetro al secondo) dei portatori.

In realtà per dire se dette velocità di deriva sono piccole o grandi occorre paragonarle con le velocità

che i portatori hanno, in media, nel conduttore in assenza di campi esterni.

Figura 4.10: Potenziale dovuto ai “core” atomici inuna molecola biatomica. A causa del valore negativodella carica dell’elettrone, l’energia di interazione èdi segno opposto.

Per rispondere a domande come questa occorre

andare un pò più nei dettagli di ciò che accade

all’interno del metallo.

Qual’è la dinamica degli elettroni in un metallo

in assenza di campi elettrici esterni?

Cerchiamo di rispondere avendo in mente ciò

che accade in una molecola.

Il generico elettrone di valenza è soggetto a:

• Interazione con i due “core” ( i due nuclei

schermati dagli elettroni interni).In figura

4.10è schematicamente rappresentato il po-

tenziale di interazione lungo l’asse di una molecola biatomica. Le posizioni dei nuclei sono pure

indicate.

• Interazione con gli altri elettroni di valenza

Data la forma del potenziale, l’energia degli elettroni è in parte cinetica ed in parte potenziale. Identiche

considerazioni valgono anche per gli elettroni in un metallo, che può pure essere visto come una gigantesca

molecola.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 137

4.4 Modello degli elettroni liberi

Molte proprietà dei metalli più semplici possono essere spiegate mediante un modello in cui si introducono

ipotesi semplificatrici riguardo la forma del potenziale visto dagli elettroni e le possibili interazioni tra

questi ultimi.

Sotto queste ipotesi che possono, come vedremo, sembrare a prima vista drastiche si determinano gli

stati ( l’analogo degli orbitali molecolari di una molecola) e le relative energie.

Per ottenere lo stato fondamentale del sistema si passa quindi al riempimento dei livelli con gli elettroni

a disposizione.

In altri termini, si procede in modo perfettamente analogo a quando si voglia trovare lo stato

fondamentale di una molecola.

Ipotesi semplificatrici:

1. Gli elettroni di valenza, in seguito chiamati “elettroni di conduzione” sono perfettamente liberi di

muoversi dentro l’intero volume del metallo ma non possono uscire da esso.

Si suppone, in altri termini, che il potenziale, all’interno del metallo sia uniforme e che le interazioni

con i “core”4 diano luogo unicamente ad una barriera di potenziale infinitamente alta, localizzata

sulla superficie del metallo. L’effetto di questa barriera consiste semplicemente nell’impedire agli

elettroni di abbandonare il conduttore.

2. Si trascurano le interazioni tra i vari elettroni di conduzione. Anche sapendo che sono tutti

negativamente carichi, supponiamo che, di fatto, non si respingano.

La prima delle due ipotesi suona subito ragionevole.

Ricordiamo che in Fisica un “punto” è una regione di spazio avente dimensioni lineari molto piccole

rispetto a quelle caratterizzanti il sistema o la parte di esso affetta dalla grandezza di interesse. Nel

caso particolare siamo interessati a ricavare l’espressione per orbitali che si estendono spazialmente per

centimetri se non per metri, e non per pochi Å come nel caso di una molecola. Il valore del potenziale

in un “punto” fisico interno al metallo sarà quindi ben descritto, per il nostro scopo, dal suo valor medio

relativo ad una regione che, sebbene piccola rispetto alle dimensioni lineari dell’ “orbitale”, conterrà

tuttavia un numero enorme di atomi. È chiaro quindi come tale media non dipenda dal “punto” e che

pertanto il potenziale possa essere considerato uniforme. Dato poi che il potenziale è definito a meno

di una costante additiva arbitraria, esso potrà essere assunto nullo. Ciò implica il considerare l’energia

totale del sistema di tipo unicamente cinetico5.

Per capire la logica fisica della seconda ipotesi occorre aver chiaro cosa significhi “interazione” e come

possiamo, sempre da un punto di vista fisico, dire se e quando due particelle abbiano interagito.4Insieme costituito dal nucleo atomico e dagli elettroni non di valenza5Questa approssimazione sarebbe del tutto errata per una molecola. In questo caso infatti l’orbitale si estende solo per

pochi Å e quindi un “punto” fisico ha dimensioni molto minori delle interdistanze atomiche e risente pertanto della suaposizione relativa rispetto ai nuclei.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 138

Metalli semplici Metalli più complessiAlcalini: Litio, Sodio ... Metalli nobili: rame, argento, oro

Be, Mg, Ca, Sr, Ba, Al, Ga, In, Tl, Pb Metalli delle serie di transizione: Lantanidi ed actinidi

Tabella 4.2: Applicabilità del modello degli elettroni liberi. Esso è adatto solo per i metalli semplici

Premessa indispensabile all’affermazione che “due particelle hanno interagito” è infatti l’osservazione

di un contemporaneo cambiamento delle variabili dinamiche di entrambe le particelle.

Se detto contemporaneo cambiamento non ha luogo, le suddette particelle non hanno interagito. Essa

quindi si basa su dati sperimentali di cui parleremo al termine della sezione.

Come risulta chiaro, il modello degli elettroni liberi potrà descrivere solo quei meccanismi che dipen-

dono dalla sola energia cinetica degli elettroni. Esso risulta adeguato in molti casi di metalli semplici. In

particolare, ciò avviene per quei metalli i cui elettroni di valenza sono di tipo “s” o “p”.

Al contrario, allorchè intervengano elettroni derivanti da shell “d” ed “f” ( gli elettroni “d” tendono a

restare sempre un pò localizzati e risultano meno mobili degli elettroni “s” e “p” ), i risultati ottenibili

con detto modello non sono altrettanto buoni.

Come descrivere un sistema di elettroni, una volta specificata la situazione fisica in cui si trovano?

Figura 4.11: Spettro di emissione di una lampadaal deuterio. Le righe indicate con Dα e Dβ corri-spondono alla serie di Balmer per transizioni m → nrispettivamente date da 3 → 2 e 4 → 2

Occorre aprire una breve parentesi6.

La fenomenologia riguardante gli elettroni mo-

stra caratteristiche peculiari: compaiono sempre

numeri interi.

Ad esempio, l’energia fornita ad un atomo di

idrogeno, in pratica al suo elettrone, ci viene resti-

tuita sotto forma di onde elettromagnetiche ( vedi

capitoli relativi) aventi lunghezze d’onda esprimi-

bili tramite una semplice relazione ove compaiono

i numeri interi n ed m. Vale1

λn,m= R∞ ·

1

n2− 1

m2

ove R∞ = 1.0973 · 107m−1 prende il nome di Costante di Rydberg ed m > n 7.

Per farci venire una idea su come descrivere sistemi di elettroni è quindi utile domandarsi:

In quali altri campi della fisica compaiono grandezze esprimibili in maniera semplice tramite numeri

interi?

Questo accade in acustica o, in generale, nello studio delle oscillazioni di corpi elastici.

Come esempio riporto la figura (4.12), schematicamente rappresentante i modi vibrazionali di una

corda tesa di lunghezza L inizialmente deformata come indicato dalle frecce. La corda è diretta in6La risposta esauriente la troverete nei corsi di Meccanica Quantistica. Voglio qui solo introdurre fenomenologie ed

alcune linee guida di meccanica classica che hanno portato al modello interpretativo7Per n = 1 si ha la serie ultravioletta detta di Lyman. per n = 2 quella di Balmer che cade invece nel visibile. Altre

importanti serie sono poi quelle infrarosse di Paschen e Brackett rispettivamente per n = 3 ed n = 4

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 139

direzione dell’asse delle ascisse con estremi nei punti di coordinate 0 ed L; essa inoltre vibra nel piano di

figura, indicato in seguito come piano “xy”.

L

L

L

1

2

3

Figura 4.12: Modi vibrazionali di una corda fissa-ta alle estremità. Ogni punto della corda vibra confrequenza definita ma con differente ampiezza. Lafigura mostra possibili aspetti visivi della corda; laregione ombreggiata è dovuta alla scarsa risoluzionetemporale dell’immagine retinica. Ogni modo puòessere identificato fornendo il numero corrisponden-te di antinodi riportato sulla sinistra, a fianco di ognipossibile aspetto visivo.

È evidente come ogni modo possa essere

individuato tramite il numero intero n, degli

antinodi.

Ciascun punto della corda si muoverà di moto

armonico caratterizzato da una ampiezza dipen-

dente dalla posizione. Quindi la coordinata y di

ciascun elemento della corda può essere espressa,

vedi primo corso di Fisica, tramite la funzione della

posizione e del tempo

y (x, t) = φ (x) · cos (ω t)

Dato poi che gli estremi della corda sono sempre fermi, si trova che

φ (x) = φ0 sin (k x) (4.16)

con k che può assumere solo i valori dati da

k =π

Ln (4.17)

con n intero maggiore od uguale ad uno. In altri termini i valori possibili di k sono quantizzati.

La stessa funzione seno presente nella eq. (4.16) garantisce infatti che, qualunque sia il tempo t, il

primo estremo della corda sia fermo: y (0, t) = 0.

La regola di quantizzazione fa sì che pure l’altro estremo della corda sia sempre fermo; sostituendo si

ha infatti

φ (L) = φ0 sin (k L) = φ0 sin (nπ) = 0

In meccanica, tutto deriva dalla soluzione di equazioni differenziali.

Domandiamoci quindi: la funzione φ (x) = φ0 sin (k x) di quale equazione differenziale è soluzione?

La risposta è evidentemente:d2

dx2φ (x) = −k2 · φ (x) (4.18)

in quanto una funzione seno è riprodotta, cambiata di segno, dall’operatore derivata seconda.

L’equazione scritta è un caso particolare di equazione della forma

O φ = Aφ (4.19)

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 140

comunemente detta ‘equazione agli autovalori ’ ove A è una costante ed O è un operatore che, operando

su di una generica funzione ψ, la trasforma secondo una data regola.

Risolvere la equazione (4.19) significa cercare quelle particolari funzioni che, a seguito della trasfor-

mazione, vengono riprodotte dall’operatore in questione moltiplicate semplicemente per una costante.

Nel caso particolare di eq. (4.18) O = d2

dx2 ed A = −k2 = −πL

2n2.

Come detto, i sistemi atomici sono caratterizzati pure loro da numeri interi.

È quindi ragionevole attendersi che siano descrivibili tramite funzioni che siano soluzioni di un’equa-

zione differenziale matematicamente simile alla (4.18).

Senza entrare in considerazioni che sono oltre lo scopo del presente corso, si vede che questa strada è

percorribile e si arriva a scrivere l’equazione differenziale che prende il nome di Equazione di Schroedinger8

ed avente la struttura della eq. (4.19).

L’operatore al primo membro corrisponde, per lo scopo della presente descrizione, alla Energia Totale

del Sistema, per cui la costante moltiplicativa A al secondo membro rappresenta l’energia di un elettrone

eventualmente descritto dalla autofunzione φ.

Riassumendo, l’equazione di Schroedinger prende quindi la forma:

Hφn = En φn

ove H è un operatore , detto Hamiltoniana, composto dalla somma di due termini rappresentanti ri-

spettivamente l’energia cinetica e potenziale della particella. La funzione incognita φn descrive lo stato

(l’orbitale) nmo, infine En è il valore dell’energia che compete ad una particella qualora posta in detto

stato φn.

L’equazione di Schroedinger è quindi un caso particolare di equazione agli autovalori.

Quale sarà la forma esplicita per l’Hamiltoniana che compare al primo membro in detta equazione?

La sua identificazione obbedisce alla regola generale, nota anche come “principio di corrispondenza”,

asserente che ad ogni grandezza classica misurabile corrisponda in meccanica quantistica un diverso

operatore. Se due grandezze classiche sono poi esprimibili l’una in funzione dell’altra tramite una data

espressione, la stessa espressione lega tra loro gli operatori quantistici corrispondenti.

Ad esempio, dato che l’energia cinetica T è esprimibile in termini dell’impulso p tramite la T = p2

2m ,

avremo che i rispettivi operatori quantistici sono legati da

OT =1

2mO2

p

Ricordiamo adesso che vogliamo arrivare ad una equazione differenziale tipo la eq. (4.18), caratterizzata

dal fatto che i due membri sono di segno opposto. Dato che l’energia cinetica è definita positiva, l’unico8Si dice che Schroedinger ebbe la “vampata di energia” per scrivere la sua equazione durante la settimana galante, passata

con una delle sue amiche ad Arosa nelle Alpi Svizzere, per il fine anno 1925

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 141

modo per ottenere una equazione matematicamente simile a quella delle corde vibranti è di ammettere

che l’operatore impulso sia proporzionale al coefficiente i dell’immaginario.

Come vedrete in altri corsi, si trova che l’operatore differenziale corrispondente all’impulso di una

particella è

Op = −i∇

con i coefficiente immaginario ed 1.054 10−34Js.

Avremo pertanto che l’operatore corrispondente all’energia cinetica è

OT = − 22m

∇2

Quindi nel caso più semplice di una particella libera per la quale l’energia potenziale sia ovunque nulla:

− 22m

∇2φn = Enφn

che, come riconoscete, possiede la stessa struttura matematica della eq. (4.18).

Cosa dire infine delle funzioni φn?

Nei casi più semplici esse hanno ovviamente la struttura matematica descritta in eq. (4.16).

Per chiarirne il significato fisico occorre notare un ulteriore dato sperimentale che caratterizza i sistemi

quantistici.

In meccanica classica si può misurare contemporaneamente e con precisione limitata solo dagli apparati

sperimentali sia la posizione r (t) che l’impulso p (t) di una particella. Si vede che per un elettrone questo

non è possibile e che, indipendentemente dalla bontà degli apparati sperimentali e dalla strategia di

misura, il prodotto delle rispettive indeterminazioni deve essere maggiore di una costante che si indica

con .

Vale il cosiddetto Principio di Indeterminazione, esprimibile tramite espressioni del tipo:

∆r ·∆p ≥ (4.20)

Se è teoricamente impossibile misurare una grandezza con precisione arbitraria, significa che la stessa

definizione fisica di quella grandezza è soggetta a limitazioni. Senza voler entrare nello specifico di altri

corsi, dico che ciò determina il significato fisico della funzione φn chiamata Autofunzione, od anche Orbitale

nel caso di atomi e complessi molecolari, e descrivente un possibile stato elettronico. In particolare il suo

modulo quadro fornisce la densità di probabilità di trovare, a seguito di una misura, la particella nei vari

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 142

punti dello spazio9:

ρ (r) =| φ (r) |2 (4.21)

Chiusa la parentesi torniamo all’argomento principale.

In un metallo semplice, gli elettroni di conduzione derivano dagli stati di valenza dell’atomo.

Ad esempio il Sodio ha 11 elettroni di cui solo uno di valenza ( il 3s ). In questo metallo l’elettrone 3s

perde memoria dell’atomo di origine e diviene un elettrone di conduzione. Se quindi nel nostro campione

ci sono N ∼ 1023 atomi avremo N elettroni che si muovono liberamente o quasi dentro di esso.

Si tratta di trovare gli stati di un sistema formato da 1023 elettroni.

Concettualmente non è una cosa molto diversa da quella di trovare gli stati possibili per un elettrone

in una molecola.

Facciamo un caso semplice.

! !

x

E

0

0 L

Figura 4.13: Buca unidimensionale infinita a fondopiatto.

Supponiamo di avere una catena unidimensio-

nale di atomi lunga L metri come mostrato in

figura (4.13).

Potremo trovare, attraverso la meccanica quan-

tistica, i possibili stati per un elettrone delocaliz-

zato. Supponiamo, per la prima delle ipotesi fatte

a pagina 137, che esso si venga a trovare all’interno

di una buca di potenziale a fondo piatto, larga L

e delimitata da pareti infinitamente alte.

La soluzione esterna alla buca è veramente semplice. Dato che | Ψn (x) |2 rappresenta l’ampiezza di

probabilità di trovare l’elettrone nel punto di coordinata pari ad x, non potendo l’elettrone trovarsi al di

fuori del metallo, la funzione d’onda deve essere nulla esternamente al tratto (0÷ L).

Per quanto riguarda la soluzione interna alla buca, per motivi di continuità con la soluzione ester-

na, identicamente nulla, l’ampiezza di probabilità per i punti interni alla catena deve tendere a zero

avvicinandoci agli estremi.

Dovranno valere quindi le seguenti condizioni al contorno:

Ψn (0) = Ψn (L) = 0 (4.22)

Nel nostro caso, ricordo inoltre, l’Hamiltoniana interna si riduce al solo operatore energia cinetica.9Può sembrare veramente strano che lo studio delle vibrazioni di una corda possa fornire la adeguata struttura matematica

per comprendere i comportamenti quantistici delle particelle. A mio avviso, questo fatto non deve sorprendere in quantoin natura esistono particelle di due tipi: i Fermioni ed i Bosoni. Dato che per i Bosoni non vale il Principio di esclusionedi Pauli, le proprietà quantistiche di dette particelle possono talvolta emergere anche a livello macroscopico. È dallo studiodi sistemi, riconosciuti a posteriori come costituiti da grandi numeri di Bosoni, che l’uomo si è costruito quel bagaglioosservativo e matematico risultato poi utile per comprendere il comportamento quantistico di tutte le particelle, sia Bosoniche Fermioni. Uno di questi sistemi è il Campo Elettromagnetico di cui tratta il presente corso.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 143

Essendo il problema caratterizzato da una sola dimensione, avremo:

H =p2

2m=

−i d

dx

2

2m= − 2

2m

d2

dx2

Dovremo quindi risolvere l’equazione

− 22m

d2

dx2Ψn (x) = EnΨn (x) (4.23)

identica a quella di eq. (4.18) relativa alla corda vibrante e con identiche condizioni al contorno.

Le soluzioni della (4.23) saranno quindi funzioni di tipo sinusoidale

Ψn (x) = Ψ0 sin (kn x) (4.24)

con la condizione di quantizzazione

kn = nπ

L(4.25)

ove n ∈ 1 · · ·∞ è un intero positivo.

Per trovare le energie En, sostituendo l’espressione esplicita della funzione d’onda nella equazione di

Schroedinger, si ottiene immediatamente

En =22m

L

2(4.26)

Per cui, al variare di n abbiamo quindi tutte le funzioni d’onda e le energie degli orbitali.

9

4

1

0 L

Figura 4.14: Primi tre stati quantici di una bu-ca infinita. Sono rappresentate le funzioni d’ondaposizionate verticalmente in base al corrispondenteautovalore dell’energia.

In figura (4.14) sono rappresentate qualitativa-

mente le prime tre soluzioni, per n rispettivamente

uguale ad 1, 2 e 3.

Occorre adesso riempire gli stati, utilizzando

l’ipotesi semplificatrice che gli elettroni di condu-

zione interagiscano solo debolmente tra di loro;

seconda ipotesi di pagina 137. Questo significa

supporre che la funzione d’onda e l’energia di uno

stato non dipendano da quanti elettroni di condu-

zione sono effettivamente presenti e che quindi le

soluzioni di eq. (4.24) ed eq. (4.26) valgano per

ciascuna particella.

Dato che gli elettroni obbediscono al Principio

di esclusione di Pauli e considerando che N atomi

monovalenti danno luogo ad N elettroni di conduzione, lo stato fondamentale del sistema sarà ottenuto

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 144

riempiendo con 2 e− tutti i primi N2 stati e lasciando vuoti tutti i successivi.

Ciò conduce alla introduzione della così detta Energia di Fermi che è l’energia del più alto livello

elettronico riempito per il sistema nel suo stato fondamentale. Si avrà:

EF =22m

N

2

π

L

2

=22m

k2F (4.27)

Concettualmente, l’energia di Fermi è analoga all’Energia di Ionizzazione di un atomo o di una

molecola.

Entrambe indicano infatti l’energia dell’ultimo stato elettronico occupato. Ciò che differisce è solo il

riferimento rispetto al quale nei due casi si valutano le energie.

Ora, osservando la eq. (4.27), si nota che NL non è altro che la densità lineare di atomi lungo la catena.

Ne discende che l’energia di Fermi non dipende dal numero di atomi presenti ma solo dalla loro densità

lineare ηL = NL , che è una caratteristica del particolare metallo.

Si può riscrivere:

EF =22m

π2ηL

2

Domandiamoci:

In quali situazioni potremo aspettarci che il sistema si trovi nello stato fondamentale, in cui tutti gli

stati di energia inferiore ad EF sono occupati con due elettroni mentre tutti gli stati superiori sono vuoti?

Allo zero assoluto il sistema si troverà nel suo stato fondamentale ma ad una temperatura finita quale

sarà la situazione?

Per rispondere a questa domanda occorre considerare una differenza esistente tra un sistema molecola-

re, che è formato da un numero relativamente limitato di atomi, ed un sistema metallico, che è costituito

da un numero di atomi dell’ordine del numero di Avogadro.

Essa riguarda la differenza in energia tra stati contigui.

La differenza di energia tra due stati successivi si può ottenere differenziando rispetto ad n l’espressione

per l’energia del generico stato data dalla eq. (4.26) e valutandone il valore per n = N2 . A rigore ciò non

sarebbe lecito essendo n un numero intero, ma dato che in corrispondenza con l’energia di Fermi assume

valori molto alti, si può considerare n alla stregua di una variabile continua. Si ottiene quindi:

∆E 22m

π

L

22n =

22m

π2 ηLL

che, come vedete, dipende dalla lunghezza della catena.

Diamo una valutazione numerica.

Per una catena lunga 10 cm, in cui gli atomi siano distanti 1.2Å, si trova:

∆E 1.054 10−34

2

2 · 9.11 10−313.142

1

1.2 10−10

1

0.1 5.0 10−27joule 3.1 10−8eV

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 145

Abbiamo trovato, come potete vedere, un valore molto piccolo rispetto a KBT a temperature ambiente,

che, ricordo, vale circa un quarantesimo di ElettronVolt.

f(E)

E

E F

1

K TB

Figura 4.15: Probabilità di occupazione degli statielettronici di diversa energia data dalla distribuzio-ne di Fermi-Dirac. In verde la situazione allo ZeroAssoluto, in rosso quella a temperatura finita T.

Da ciò segue che a temperature finite saran-

no occupati alcuni livelli sopra l’energia di Fermi

che erano vuoti allo zero assoluto. Corrisponden-

temente altrettanti stati, che erano occupati allo

zero assoluto, saranno adesso vuoti.

La figura (4.15) mostra, per varie temperature,

la probabilità di occupazione f (E, T ) degli stati

di energia E allo zero assoluto ed ad una tempe-

ratura finita T. La distribuzione mostrata pren-

de il nome di distribuzione di Fermi Dirac ed è

matematicamente espressa da

f (E, T ) =1

exp

E−µKBT

+ 1

(4.28)

ove µ è un parametro lievemente dipendente dalla temperatura che allo zero assoluto coincide con l’energia

di Fermi.

In altri termini a temperatura finita il sistema non sarà nel suo stato fondamentale.

La situazione appena descritta non è affatto tipica dei sistemi molecolari. Anche dalla semplice

constatazione che normalmente le molecole sono strutture stabili, e che, nella gran parte dei casi, a

temperatura ambiente le molecole sono tutte nel loro stato fondamentale, si deduce che la differenza

di energia tra i vari orbitali in una molecola è grande rispetto a KBT . in genere sono riportati valori

dell’ordine di 0.1÷1 eV per le differenze di energia tra gli stati elettronici delle molecole.

Dovrebbe quindi sorgere la domanda.

Qual’è quindi il motivo fisico in base al quale otteniamo invece, nel caso del solido, differenze di

energia enormemente piccole rispetto all’energia termica relativa a temperatura ambiente?

La risposta è semplice.

!+

!"

!2!1

Figura 4.16: Orbitali molecolari della coppia X2 edella catena X4 formata avvicinando due coppie X2

Supponiamo di costruire la catena partendo

da atomi singoli e procediamo nel modo sotto

indicato.

Costruiamo dapprima con essi tante “ molecole

biatomiche” X2. Permettiamo poi che si instauri

il legame tra coppie di molecole, ottenendo così

catene di quattro atomi che indichiamo con X4.

Colleghiamo poi a due a due tali catene in modo

da formare catene di otto atomi e proseguiamo così fino alla completa formazione della nostra catena.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 146

Partiamo dalla costruzione di X2.

Indicando con Φ1 e Φ2 gli orbitali atomici della coppia, gli orbitali di legame e quello di antilegame

della “molecola biatomica” saranno dati rispettivamente dalle loro due combinazioni simmetriche ed

antisimmetriche

Φ+ =1√2(Φ1 + Φ2)

Φ− =1√2(Φ1 + Φ2)

alle quali corrisponde un diverso valore dell’energia.

Domandiamoci dapprima a cosa è dovuta la differenza di energia tra gli orbitali di legame e di

antilegame nella molecola biatomica.

Dovremo per questo considerare le distribuzioni di carica associate all’occupazione dei due orbitali e

valutare le rispettive energie di interazione elettrostatica con le cariche nucleari.

Le densità di carica associate sono proporzionali, punto per punto, dal modulo quadro delle funzioni

d’onda (orbitali) relative ai due stati.

In formule, supponendo le funzioni reali e non complesse

ρ+ = −e1

2| Φ1 + Φ2 |2= −e

2

Φ2

1 + Φ22 + 2Φ1Φ2

ρ− = −e1

2| Φ1 − Φ2 |2= −e

2

Φ2

1 + Φ22 − 2Φ1Φ2

Ciò che differenzia le due distribuzioni è il segno davanti al terzo termine in parentesi; il quale è peraltro

diverso da zero solo in misura della sovrapposizione degli orbitali atomici originari. Questo termine de-

scrive un contributo alla densità di carica localizzato nella regione intermedia tra i nuclei atomici ove il

potenziale elettrostatico φ, dovuto a questi, è particolarmente alto. Nel caso della combinazione simme-

trica il valore assoluto della densità di carica elettronica subisce un incremento nella regione intermedia

tra i nuclei, mentre l’opposto avviene nel caso dell’altra combinazione.

Un semplice calcolo fornisce le energie e quindi la differenza di energia tra i due stati molecolari:

E+ =

ˆρ+φ dv = E0 − e

ˆΦ1Φ2φ dv

E− =

ˆρ−φ dv = E0 + e

ˆΦ1Φ2φ dv

∆E2 = E− − E+ = 2e

ˆΦ1Φ2φ dv

Come si vede, lo stato di minore energia è quello dato dalla combinazione simmetrica degli orbitali atomici;

esso prende per questo il nome di “orbitale di legame”.

Come dovrebbe essere chiaro dalle espressioni scritte, la differenza di energia tra gli orbitali di legame

e di antilegame è tanto maggiore quanto maggiore è la sovrapposizione degli orbitali e quindi quanto

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 147

maggiore è il valore del così detto integrale di overlap definito da

S =

ˆΦ1Φ2 dv

Supponiamo quindi che, a motivo della sovrapposizione degli orbitali atomici, le energie degli stati di

legame ed antilegame differiscano di ∆E2 = A.

Prendiamo adesso due “molecole” e costruiamo una catena di quattro atomi.

Avremo quattro orbitali, due di legame Φ(1, 2)+ e due di antilegame Φ(1, 2)

− che si mescoleranno tra

loro per dar luogo agli orbitali della nuova “molecola” di quattro atomi. Come è evidente, gli overlap

relativi agli orbitali delle due molecole saranno sensibilmente inferiori a quelli tra gli orbitali atomici

precedentemente descritti.

Ne segue che le separazioni in energia introdotte dal nuovo legame saranno più piccole di ∆E2 , come

mostrato nella parte destra di figura (4.16).

In particolare, essendo gli orbitali di legame e di antilegame rispettivamente localizzati essenzialmente

nelle regioni intermedie ed esterne agli atomi, si vede con qualche semplice calcolo che

ˆΦ(1)

− Φ(2)− dv 1

2

ˆΦ1Φ2 dvˆ

Φ(1)+ Φ(2)

+ dv ˆ

Φ1Φ2 dv

Questo significa che la massima differenza di energia tra gli orbitali della catena di quattro atomi sarà

∆Emax4 ∼ 3

2∆E2 = 32A.

A noi interessa l’energia media di separazione media < ∆E4 > tra gli orbitali. Avendo 4 orbitali

avremo che

< ∆E4 >=1

3∆Emax

4 ∼ 1

2A

cioè la metà della separazione energetica tra gli orbitali della coppia.

Procedendo nella costruzione della catena,ad ogni passaggio, raddoppiando il numero degli orbitali,

la media delle differenze di energia tra orbitali contigui continuerà a dimezzarsi. Si comprende quindi

come mai, per una catena formata da un numero enorme di atomi detta differenza media sia molti ordini

di grandezza inferiore all’energia termica a temperatura ambiente.

Che cosa accadrà nel caso tridimensionale?

Solo un rapido cenno.

Dato che l’elettrone potrà muoversi in tutte e tre le direzioni, dovremo considerare tutte le componenti

dell’impulso della particella.

L’equazione da risolvere sarà quindi:

− 22m

∇2Ψn (r) = EnΨn (r)

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 148

Invece che in termini di seni o coseni, conviene adesso cercare soluzioni nella forma di esponenziali con

argomento immaginario. Questa scelta è equivalente a quella adottata per la catena unidimensionale

in quanto ogni funzione seno è esprimibile, come sapete, in termini di esponenziali aventi argomento

immaginario.

Si arriva a soluzioni del tipo

Ψn (r) = expikn · r

(4.29)

con autovalori

En =22m

k2n (4.30)

Come nel caso unidimensionale, non tutti i valori di kn sono possibili. Se prendiamo ad esempio un cubo

di lato L si può vedere come le singole componenti x, y e z del vettore kn debbono obbedire alla regola

di quantizzazione precedentemente trovata ed espressa dalla eq. (4.25).

Il vantaggio della scelta per gli autostati di equazioni tipo (4.29) invece di funzioni sinusoidali consiste

nel fatto che le autofunzioni così costruite sono pure autofunzioni dell’impulso p e descrivono quindi

particelle che si muovono nello spazio con impulso definito.

Si può infatti facilmente verificare che per le funzioni suddette vale anche

−i∇Ψn (r) = knΨn (r)

Esse pertanto descrivono elettroni dotati di impulso

pn = kn

muoventesi nella direzione data dal vettore kn con velocità vn = knm .

Quale sarà lo stato fondamentale del mio sistema di elettroni?

Osserviamo l’espressione (4.30) appena trovata per l’energia degli stati monoelettronici.

Dipendendo dal modulo quadro del vettore kn avremo adesso una elevata degenerazione dei livelli.

Per quanto riguarda lo stato fondamentale del sistema, saranno doppiamente occupati tutti, e solo, gli

stati a cui competa un vettore kn di modulo minore od uguale ad un determinato valore. Detto valore,

generalmente indicato con KF , dove la F sta per Fermi, si determina imponendo che il numero totale di

stati occupati sia uguale alla metà del numero di elettroni a disposizione.

Voi sapete che quando si vogliono identificare gli orbitali di un atomo non si scrive, in generale,

l’espressione matematica dell’orbitale, ma si forniscono pochi numeri che lo caratterizzano pienamente.

Si parla quindi di orbitali “2p”, “3d”,”4s” ed altro ancora.

In perfetta analogia con gli orbitali di un atomo, qualora ci si voglia riferire ad un determinato stato

monoelettronico del nostro metallo, invece di scrivere la funzione, peraltro semplice, di eq. (4.29) si

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 149

Valenza Metallo Concentrazione elettronica Energia di Fermi Velocità di Fermi1 Sodio 2.65 1028 m−3 3.23 eV 1.07 · 106 ms−1

1 Rame 8.45 1028 m−3 7.00 eV 1.57 · 106 ms−1

2 Zinco 13.10 1028 m−3 9.39 eV 1.82 · 106 ms−1

3 Alluminio 18.06 1028 m−3 11.63 eV 2.02 · 106 ms−1

4 Piombo 13.20 1028 m−3 9.37 eV 1.82 · 106 ms−1

Tabella 4.3: Energia e velocità di Fermi per alcuni metalli

specifica ciò che la caratterizza e che la differenzia da tutte le altre. Si fornisce cioè il valore del vettore

kn.

Ora un vettore è una terna ordinata di numeri: in ultima analisi un punto in uno spazio opportuno.

Si viene quindi a stabilire una corrispondenza biunivoca tra punti nello spazio dell’impulso e orbitali

monoelettronici.

Allo zero assoluto, tutti gli stati monoelettronici occupati sono quelli i cui punti rappresentativi sono

posti all’interno di una sfera di raggio KF .

Tale sfera prende il nome di Sfera di Fermi e la sua superficie quello di Superficie di Fermi.

Velocità di Fermi che è la velocità con cui si muove un elettrone la cui energia è pari all’Energia di

Fermi.

In analogia con il caso unidimensionale si può vedere che KF dipende solo dal numero di atomi per

unità di volume ηv. Si trova:

KF = 3

3π2ηv

Da cui le espressioni per la Energia di Fermi e per la Velocità di Fermi.

EF =22m

3π2ηv

23

vF =m

3

3π2ηv

In tabella (4.3) sono riportati i dati per alcuni metalli.

Ci eravamo chiesti la ragione per la quale molti materiali seguano la legge di Ohm, o, in altre parole, per

quale motivo la forza viscosa, a cui classicamente sono soggetti gli elettroni, debba essere schematizzata

come proporzionale alla velocità di deriva.

Abbiamo adesso la risposta. Come si vede le velocità degli elettroni, in assenza di campo applicato,

sono dell’ordine del centesimo di quella della luce.

La velocità di deriva, il cui ordine di grandezza è di pochi mm/sec, risulta al confronto un qualche

cosa di veramente trascurabile.

In pratica il moto degli elettroni e quindi le loro interazioni con l’ambiente non sono modificati dalla

presenza del campo elettrico esterno. Consequentemente la costante viscosa di eq (4.10) sarà indipendente

dal valore del campo applicato. È per questo che moltissimi materiali seguono la legge di Ohm.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 150

4.4.1 Origine microscopica della Conducibilità Elettrica

Va notato come l’ipotesi stessa di introdurre una distribuzione di equilibrio nello spazio dell’impulso, nella

fattispecie sferica, implichi necessariamente che gli elettroni non siano perfettamente liberi di muoversi.

Una distribuzione di equilibrio per un sistema non può infatti derivare altro che da interazioni tra le

particelle costituenti che faccia continuamente perdere loro memoria del proprio passato.

Questa osservazione sembra mettere in crisi il modello appena sviluppato. Occorre quindi valutare

quanto sia il tempo medio τ necessario alle particelle per perdere detta memoria. Se esso fosse “ragione-

volmente” lungo il modello degli elettroni liberi potrebbe essere considerato accettabile; in caso opposto

andrebbe scartato.

Il dato sperimentale che ci permette di valutare il tempo τ è il valore della conducibilità elettrica.

Vediamo come mai.

Figura 4.17: Sfera di Fermi in sezione. In rosso, altempo t = 0, in assenza di campo elettrico applica-to; in verde dopo che un campo elettrico E è statoapplicato per un tempo t ed in assenza di interazionitra le particelle. Nella figura è evidenziato il centrodella sfera traslata che migra a velocità costante percui la velocità di deriva vd (t) risulta proporzionaleal tempo.

La figura (4.17) mostra la sfera di Fermi, per

motivi di semplicità grafica disegnata in uno spazio

a due dimensioni.

La traccia rossa rappresenta la situazione al-

lorché non è applicato alcun campo elettrico; la

velocità media degli elettroni è nulla e non passa

corrente.

Applichiamo, all’istante t = 0, un campo

elettrico.

Se gli elettroni non interagissero tra loro,

avremo, dalla F = ma = ddtp la

p (t) = p(0)− e E t (4.31)

per la dipendenza dal tempo t dell’impulso di

ciascun elettrone.

In altri termini, il punto rappresentativo nello spazio dell’impulso di ciascun elettrone si muoverebbe

a velocità costante − eE e la sfera di Fermi traslerebbe indefinitamente nel tempo. La velocità di deriva

è connessa con il punto centrale della distribuzione ed avremo quindi

vd (t) = −e E

mt (4.32)

Vediamo quindi che, se non intervenissero fatti nuovi la velocità media degli elettroni crescerebbe

indefinitivamente nel tempo e con essa la densità di corrente.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 151

e-

t

x

!

Figura 4.18: Diagramma di Feynman rappresentan-te processi di scattering per un elettrone in unastruttura unidimensionale. La linea verde rappresen-ta l’elettrone mentre quelle rosse rappresentano entiscatteratori. Sono rappresentati due eventi separatitemporalmente del tempo τ .

Come ricordato ed evidenziato in figura (4.8),

l’esperienza ci dice che questo non accade e che

quindi gli elettroni non sono perfettamente liberi.

Difatti essi si muovono in un mezzo. Potre-

mo pertanto supporre che, similmente a quanto

avviene per le particelle di un gas, gli elettroni si

muovano per un dato tempo come particelle libere

per poi collidere, vuoi con altri e−, vuoi con gli io-

ni costituenti il reticolo cristallino od altro ancora

descrivente il mezzo in cui sono immersi.

Supponiamo quindi che due successive collisio-

ni di una particella con l’ambiente siano, in media, separate da un intervallo di tempo < ∆t >= τ , come

graficato nello schema di figura (4.18).

A seguito di una collisione10 le particelle interagenti si distribuiscono in media in modo uguale l’energia

complessivamente posseduta, perdendo con ciò memoria del loro passato. Questo significa che in un

ipotetico urto tra due elettroni viaggianti in direzione opposta, quello dei due che aveva acquistato

energia dal campo elettrico cederà in media quanto acquisito all’altra particella. In tal modo entrambe

le particelle si riporteranno nelle condizioni precedenti l’accensione del campo elettrico.

Si torna con questo ad una distribuzione isotropa degli impulsi dei vari elettroni.

Quanto detto ci permette quindi di esprimere la velocità di deriva in termini del tempo medio τ che

separa due successive collisioni ottenendo dalla equazione (4.32) la

vd = −e τ

mE (4.33)

Da questa, potremo scrivere per il vettore densità di corrente

J = nqvd =

ne2τ

m

E (4.34)

che non è altro che la legge di Ohm.

In questo modello la conducibilità elettrica σ viene ad essere espressa da:

σ =ne2τ

m(4.35)

Come si vede contribuiscono a σ i seguenti fattori:

• densità di carica dei portatori per unità di volume: −ne

• accelerazione della particella in un campo elettrico unitario: − em

10Corso di Fisica 1

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 152

• tempo di vita medio del portatore come particella libera: τ

Un materiale segue la legge di Ohm quando nessuno dei tre parameti sopradetti dipende dal campo elettrico

applicato. Non inficiano invece la legge di Ohm possibili dipendenze dei tre elementi menzionati da altri

parametri come ad esempio la temperatura; questo in effetti sempre accade per τ .

A titolo di esempio riportiamo in figura 4.19 una tabella contenente i valori della resistività elettrica

per alcuni metalli a temperatura ambiente T0 = 20Celtius. In tabella è riportato pure il coefficiente

α (T0) =1

ρ(T0)

ddT ρ (T )

T=T0

esprimente la dipendenza con la temperatura della resistività.

Metallo ρ [Ωm] αK−1

Cu 1.72 10−8 0.0039

Ag 1.59 10−8 0.0038

Au 2.44 10−8 0.0034

Al 2.82 10−8 0.0039

Fe 1.0 10−7 0.005

Pb 2.2 10−7 0.0039

Bi 1.07 10−6

Ni 6.99 10−8

Figura 4.19: Tabella riportante per alcuni metalli laconducibilità elettrica a T0 = 20Cº ed il coefficientelineare termico α utilizzabile per valutare ρ a tem-perature prossime all’ambiente tramite la ρ (T ) =ρ (T0) · (1 + α (T − T0)). La tabella è tratta dahttp://en.wikipedia.org/wiki/Electrical_resistivity

Dalle misure di conducibilità o resistività elet-

trica possiamo quindi ricavare il valore del tempo

di vita medio τ dell’elettrone di conduzione come

particella libera.

Prendiamo ad esempio il rame a temperatura

ambiente. Si ha:

τT=20C =m

ne21

ρ 9.1 10−31

8.45 1028 · 1.62 10−38

1

1.72 10−8

∼ 2.5 10−14sec

È possibile, adoperando materiale estrema-

mente puro, quale quello elettrolitico, ed andando

a temperature dell’ordine di quella dell’elio liquido

(∼ 4K), ottenere per la resistività del rame valo-

ri cinque ordini di grandezza inferiori a quelli di

tabella (4.19). Ciò significa che:

τT=4Kº ∼ 2 10−9sec

Potrebbe superficialmente sembrare che i nostri elettroni abbiano tempi di vita media estremamente brevi

e che quindi l’approssimazione degli elettroni liberi cada in difetto. L’impressione è sbagliata in quanto

non abbiamo ancora stabilito un termine di paragone per il tempo valutato.

Moltiplichiamo per questo il tempo trovato per la velocità di Fermi, ottenendo il libero cammino medio

dell’elettrone: lo spazio percorso in media tra due successivi urti.

Si trova:

λ = vF τ ∼ 1.57 108 · 2 10−9 ∼ 3mm

Come vedete, si tratta di un libero cammino medio enorme se confrontato con le interdistanze atomiche,

che sono pure, per la particella in moto, le interdistanze medie tra i possibili bersagli.

In alcuni casi si trovano addirittura liberi cammini medi dell’ordine della decina di centimetri. Ogni

elettrone ha quindi una probabilità dell’ordine dei 10−7 ÷ 10−8 di interagire con un’altra particella

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 153

presente.

Il modello degli elettroni liberi sembra quindi essere corretto ben al di là di ogni ragionevole previsione.

Sorge quindi la domanda opposta:

Come mai la materia è così trasparente agli elettroni di conduzione? Deve esserci un motivo fisico !

Secondo la meccanica quantistica una particella può interagire con un’altra solo se ha a disposizione

degli stati liberi su cui trasferirsi. Va inoltre puntualizzato che più elettroni, essendo Fermioni, non

possono condividere un medesimo stato.

Ora, nel nostro caso, la massima parte degli elettroni di conduzione, tutti meno quelli prossimi alla

superficie di Fermi, non ha stati liberi vicini in energia su cui potersi trasferire.

La massima parte degli elettroni è quindi obbligata a non interagire con nulla. Da qui il grosso valore

del cammino libero medio.

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CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 154

4.5 Elettroni Quasi Liberi

Riferimenti da verifiche sperimentali legge gauss

4.6 Circuiti resistivi e Circuiti R-C

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Capitolo 5

Magnetostatica

Si era detto che la forza agente su cariche elettriche è descritta dalla legge di Coulomb.

Notiamo tuttavia come nelle esperienze che ci hanno condotto a tale legge intervenissero solo cariche

in quiete. Quello che ci interessa esaminare è se, per cariche elettriche in moto, valga sempre tale legge

o se debba essere corretta.

Un semplice modo per ottenere cariche elettriche in moto consiste nel passare corrente in fili metallici.

Per verificare la validità della legge di Coulomb anche per cariche in moto si può quindi andare a vedere

se si instaurano forze tra fili metallici elettricamente neutri percorsi da corrente.

Come sappiamo, non si hanno forze tra due fili conduttori non percorsi da corrente.

Essendo essi costituiti da oggetti ( atomi) complessivamente neutri, la forza totale agente su di una

carica interna ad un filo sarà infatti data dalla somma di due contributi uguali ed opposti; rispettivamente

dovuti alle cariche di segno opposto presenti sul secondo conduttore.

Ammettiamo che il campo sia di tipo Coulombiano solo se dovuto a cariche ferme. Si avrebbero in

tale ipotesi dei termini aggiuntivi dipendenti dalla velocità delle particelle.

Ora se, facendovi scorrere corrente, mettiamo in moto i portatori di carica presenti nel primo dei due

fili, i due contributi non sarebbero più uguali ed opposti. Consequentemente sperimenteremmo una forza

netta agente sul secondo filo proporzionale ai termini correttivi non Coulombiani.

Dato che le forze elettrostatiche sono enormi rispetto a quelle gravitazionali, potrebbero facilmente

essere evidenziate deviazioni relative nella forza elettrica rispetto alla Coulombiana dell’ordine dei 10−39.

Se valesse sempre la legge di Coulomb, non si dovrebbe invece misurare alcuna forza.

Cosa dice l’eperienza?

• Se si fa scorrere corrente solo su uno dei due conduttori non si osserva alcuna forza.

• La situazione muta se la corrente viene fatta scorrere in entrambi i conduttori.

Semplici esperienze come quelle schematizzate nella figura (5.1) mostrano chiaramente come la legge di

Coulomb valga solo nei casi statici.

155

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 156

i

i

ii

Figura 5.1: Forze tra fili paralleli. I fili si attraggonose sono percorsi in senso concorde dalla corrente; sirespingono nella situazione opposta

Esse ci dicono che due fili percorsi da corren-

te in senso concorde si attraggono mentre due fili

percorsi in senso discorde si respingono.

Dato che per ottenere una forza netta occorre

che siano in moto i portatori di carica presenti in

entrambi i conduttori, i termini correttivi cercati

∆F devono dipendere, oltre che dal valore delle ca-

riche e dalla posizione relativa, anche dalle velocità

di entrambe le particelle, sia quella che produce il

campo che quella che lo subisce.

F (q1, v1) = q1 · EC (q2, r2,1) +

∆F (q1, q2, r2,1, v1, v2)

Come vediamo, il termine correttivo deve dipendere da tre grandezze vettoriali e non da una sola come

il termine Coulombiano. Questo lascia intuire che ci si possa trovare di fronte a situazioni molto varie e

differenti, a seconda della orientazione relativa dei tre vettori.

Ad esempio, fino ad questo momento, si sono trovate solo forze la cui direzione è data dal vettore che

unisce gli oggetti interagenti ( gli esempi di fig. (5.1) in questo non fanno eccezione).

i

i

F

Figura 5.2: Filo rettileneo percorso da corrente po-sto sopra un solenoide ( conduttore avvolto su di uncilindro) percorso da corrente. La forza agente sulfilo non è diretta verso il solenoide.

Consideriamo adesso il caso mostrato in figu-

ra (5.2), in cui un filo percorso da corrente è po-

sto sopra un avvolgimento, detto solenoide, pure

percorso da corrente.

L’esperienza ci dice che la forza agente sul fi-

lo non è diretta verso l’avvolgimento ma in una

direzione perpendicolare.

Questa ed altre esperienze ci fanno capire co-

me la forza che si instaura tra cariche elettriche in

moto sia non interpretabile in modo immediato1.

Si comprende quindi come solo attraverso varie

e complementari esperienze potremo metterne in

luce i diversi aspetti.

Dopo queste considerazioni qualitative vediamo di ricavare, tramite delle esperienze, le caratteristiche

di questo tipo di forze.1L’ipotesi che le forze agenti su due oggetti in interazione reciproca siano ugali ed opposte e che abbiano inoltre la stessa

retta di applicazione è stata usata per la derivazione delle Equazioni Cardinali della meccanica. Ci troviamo adesso di frontea fenomenologie che appaiono contraddire quanto fino ad ora supposto.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 157

Analogamente a quanto si è fatto in altri casi, si cercherà di descrivere i fenomeni attraverso l’intro-

duzione di un nuovo campo che, come si vedrà, dovrà avere carattere vettoriale. A tale campo si dà il

nome di Campo Magnetico e lo si indica generalmente con il simbolo B.

In altri termini, si cerca di scrivere la correzione ∆F (q1, q2, r2,1, v1, v2) come:

∆F (q1, q2, r2,1, v1, v2) = ∆Fq1, v1, B

(5.1)

ove

B = B (q2, r2,1, v2) (5.2)

Se l’impostazione è corretta, dovremo essere in grado di ricavare espressioni per ∆Fq1, v1, B

e

B (q2, r2,1, v2), in termini delle relative variabili, che siano consistenti con i dati sperimentali.

Possiamo tuttavia già da ora ricavare, tramite semplici considerazioni a riguardo delle esperienze

riportate in figura(5.1), alcune informazioni a riguardo delle dipendenze funzionali di ∆Fq1, v1, B

e

B (q2, r2,1, v2) .

r2,12q

1q

v1

2B v2

F1

r2,1 2q

1q

v1

2B v2

F1

Figura 5.3: Schema mostrante possibile interpreta-zione delle correzioni non Coulombiane alle forze tracariche in moto. Nella parte superiore il caso di parti-celle cariche muoventesi con velocità discorde; in bas-so il caso opposto caratterizzato da velocità parallele.Le cariche sono supposte entrambe positive.

Il fatto che sia necessario far scorrere corren-

te in entrambi i fili attesta che il contributo non

Coulombiano alla forza è unicamente dovuto al-

l’interazione tra gli elettroni di conduzione presen-

ti nei due conduttori. Il carattere repulsivo della

forza tra fili percorsi da corrente in senso opposto

suggerisce poi che la correzione di eq. (5.1) per le

due particelle cariche dello stesso segno, mostra-

te nella parte superiore di figura (5.3) e viaggian-

ti in direzioni opposte, sia in direzione concorde

al vettore di posizione relativa r2,1. In formule:

∆Fq1, v1, B

∝ r2,1.

Se invece le velocità fossero parallele, l’espe-

rienza suggerisce una direzione del vettore ∆F

antiparallela ad r2,1 come mostrato nella parte inferiore della figura. In formule : ∆Fq1, v1, B

∝ −r2,1.

Come si osserva, la forza è perpendicolare alla velocità e si inverte con questa. Dal punto di vista

matematico questa è una proprietà del prodotto vettoriale il cui risultato è perpendicolare al vettori dati

e si inverte invertendone uno di essi.

Questo suggerisce quindi che la forza agente sulla carica q1 possa essere interpretata tramite una

semplice funzione del tipo

∆Fq1, v1, B

= q1 · v1 × B = q1 · v1 × B (q2, r2,1, v2) (5.3)

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 158

ove la proporzionalità a q1 è stata esplicitata per tener conto dell’additività delle forze ed il vettore B è

diretto come in figura.

Ora la correzione ∆F si inverte pure invertendo la velocità della seconda particella. Ne consegue che

si dovrà invertire anche il campo B da essa prodotto. Come poi si osserva, esso è perpendicolare sia alla

velocità v2 che al vettore di posizione relativa r2,1. Sulla base di considerazioni del tutto simili a quelle

precedentemente esposte, si può quindi supporre che la sua direzione sia esprimibile tramite il prodotto

vettoriale v2 × r2,1.

In formule quindi:

B (q2, r2,1, v2) = q2 · fv2

,r2,1

, θ· v2 × r2,1 (5.4)

ove compare la funzione scalare incognita fv2

,r2,1

, θ

dipendente dai moduli dei due vettori v2 e

r2,1 ed inoltre dall’angolo tra essi formato. Per rispettare l’additività dei campi, il valore q2 della carica

è stato scritto a fattore .

Per vedere se queste ipotesi sono corrette e per la determinazione della funzione fv2

,r2,1

, θ

occorre analizzare in dettaglio tutta una serie di esperienze.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 159

5.1 Dati sperimentali

Uno dei maggiori scienziati che si è interessato alla descrizione ed interpertazione delle interazioni tra

circuiti percorsi da corrente è stato Ampere.

Figura 5.4: André-Marie Ampère (1775-1836)

Ovviamente, dato il periodo, la formulazione

delle leggi cercata da Ampere non era in termini

di campi ma di interazioni a distanza. Tuttavia il

suo contributo fu determinante.

Pure importante è sottolineare la motivazione

e la finalità del suo studio.

Egli infatti riteneva che, in analogia a quan-

to era accaduto con lo studio dei moti dei pianeti

e la legge della gravitazione, premessa per qual-

siasi spiegazione ed interpretazione teorica doves-

se essere una dettagliata analisi sperimentale dei

fenomeni che conducesse a leggi empiriche.

La comprensione dei fenomeni elettromagnetici

avrebbe successivamente dovuto spiegare il perché di quelle particolari leggi empiriche ( come era accaduto

con le leggi di Keplero sul moto dei pianeti e la succssiva legge di gravitazione universale dovuta a Newton).

Innanzi tutto Ampere dovette affrontare alcuni problemi sperimentali

• Egli non aveva a disposizione generatori di corrente stabili nel tempo e riproducibili. Come fare

quindi per mettere in relazione le forze con le correnti?

Ampere ricorse spesso a misure di zero. Sovrapponendo gli effetti di varie correnti, cercò di mettersi

in condizioni tali che i loro effetti meccanici su di un circuito libero di muoversi si compensassero

esattamente. Dall’osservazione delle condizioni per cui tale compensazione aveva luogo dedusse

quindi le proprietà delle interazioni “magnetiche”.

• Occorreva inoltre eliminare l’influsso della Terra ( oggi diremmo del campo magnetico terrestre ).

Per ottenere ciò progettò i suoi strumenti in modo che fossero sensibili solo agli effetti di correnti

elettriche poste in vicinanza. Gli strumenti erano progettati in modo che che gli effetti di campi

magnetici uniformi, come quello terrestre all’interno del laboratorio, si elidessero tra loro. Un tipico

esempio è la cosiddetta Bilancia di Ampere schematicamente rappresentata in figura (5.5). Essa

è costituita da un doppio quadro di filo che può solo ruotare rispetto all’asse verticale indicato.

Nella figura le frecce indicano il verso di percorrenza della corrente. Come si vede, per motivi di

simmetria, il momento assiale delle forze dovute al campo terrestre non può che essere nullo. Lo

stesso non varrà, in generale, per il momento assiale delle forze dovute a fili percorsi da corrente

posti nelle vicinanze. Essi saranno infatti, di norma, più vicini ad un quadro che all’altro.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 160

• Non avendo a disposizione strumenti atti a misurare correnti con la necessaria precisione, occorreva

pure svincolarsi dalla necessità di tali misure.

Per questo il circuito che generava il campo e quello che lo doveva misurare ( bilancia ) erano collegati

in serie in modo da essere attraversati dalla stessa corrente. Questa disposizione sperimentale, in

connessione con la esecuzione di misure di zero, permette di trarre conclusioni indipendenti dal

valore effettivo delle correnti. Ciò avvene in quanto detto valore si fattorizza.

Ampere dovette pure fare intelligente uso di considerazioni generali come ad esempio quelle relative alla

simmetria degli apparati sperimentali.

ii

Figura 5.5: Rappresentazione schematica di una Bi-lancia di Ampere. I terminali del circuito sono im-mersi in pozzetti contenenti mercurio a loro voltacollegati ad una batteria ed ad un circuito esterno.La bilancia può solamente ruotare attorno all’assebaricentrico verticale mostrato.

Egli dovette inoltre, come vediamo subito, po-

stulare che queste nuove forze fossero additive ( co-

me del resto lo sono tutte le forze finora incontrate

).

L’additività delle forze ha due conseguenze:

1. La forza che si esercita su di un tratto dl

di filo percorso da corrente è proporzionale

alla lunghezza del dl stesso. Come si vede

nella parte destra di figura (5.6) la forza to-

tale agente sui due elementi di filo in serie,

essendo la somma di quelle separatamente

agenti su ciascun elemento, dovrà essere dop-

pia rispetto a quella agente su ciascun tratto

componente. I due elementi di filo in serie

possono essere considerati come un unico elemento di lunghezza 2 dl, quindi F 2dl (i) = 2 Fdl (i)

2. La forza è proporzionale alla corrente i che

percorre il filo. Come si può, infatti, ot-

tenere una corrente esattamente doppia di

una corrente data? Semplicemente ponen-

do a contatto del primo, un secondo circuito

identico e collegando in serie i due elemen-

ti. la parte sinistra di figura (5.6) mostra

due tratti dl affiancati dei due circuiti. È

evidente come i due tratti di filo adiacenti

percorsi dalla stessa corrente siano comples-

sivamente equivalenti ad un tratto solo per-

corso da corrente doppia. Si vede quindi che

Fdl (2 i) = 2 Fdl (i)

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 161

Detta additività è alla base della definizione dell’unità di misura della corrente.

Si dice infatti che due fili sono percorsi da una corrente unitaria ( 1 Ampere ) quando, se posti

parallelamente l’uno dall’altro ad un metro di distanza, essi si attraggono (o si respingono) con una forza

pari a 2 10−7N per ogni metro di lunghezza.

dl

iids

ds

dl

i

i

ds

dl

Figura 5.6: Due elementi di filo dl interessati dallamedesima corrente i posti in parallelo ed in serie traloro

Il motivo del particolare valore numerico lo

vedremo in seguito.

Vediamo adesso di descrivere delle esperienze

tramite le quali si possano caratterizzare le forze

agenti su fili percorsi da corrente.

5.1.1 Direzione della Forza

Come prima domanda chiediamoci in quali dire-

zioni può essere diretta la forza agente su di un

filo percorso da corrente.

i

i

dl

c

o

dFtdFr

Figura 5.7: Archetto di cerchio percorso da correnteposto in un piano orizzontale e vincolato a ruotareattorno ad un asse verticale. Sulla sinistra schemadell’insieme, a destra l’archetto visto dall’alto

Per rispondere a questa domanda prendiamo

un circuito a forma di arco di cerchio giacente su

di un piano orizzontale e che possa solo ruotare

attorno ad un asse verticale; vedi figura (5.7). Ta-

le arco è collegato, tramite i pozzetti “p” e “p’ ”

contenenti mercurio, ad una matassa M di filo, la

cui posizione può essere variata a piacere. Pure la

posizione dei pozzetti di mercurio è variabile.

Si osservano i seguenti fatti:

1. Se il centro “c” dell’arco di cerchio non coin-

cide con il centro di sospensione “o”, generalmente l’arco di cerchio ruota attorno all’asse. Solo per

opportune posizioni della matassa M e dei pozzetti di mercurio l’archetto non ruota.

2. Se invece il centro dell’arco coincide con “o”

l’arco resta sempre immobile qualunque sia

la posizione di M e dei pozzetti “p” e “p’ ”.

Cosa si può dedurre da questo dato sperimentale?

La forza dF agente su di ogni elemento di filo dl è perpendicolare al dl stesso.

Solo in questo caso, infatti, non può mai esservi momento assiale quando “o” e “c” coincidono.

Scomponiamo infatti il dF agente su di un genetrico tratto dl del filo nelle tre componenti sotto

descritte. Una diretta come il dl ed indicata in figura (5.7) con dF t, l’altra parallela all’asse di rotazione

e la terza, dF r, diretta perpendicolarmente alle prime due e cioè verso il centro dell’arco di cerchio.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 162

Vediamo facilmente come, la eventuale componente parallela al dl darebbe sempre luogo ad un

momento assiale diverso da zero, indipendentemente dal fatto che “c” ed “o” coincidano o meno.

L’annullarsi del momento sarebbe attribuibile solo a compensazioni, le quali potrebbero avvenire solo

ponendo la matassa M ed i pozzetti in posizioni ben particolari.

Delle altre due componenti, una non da mai luogo a momento assiale, mentre l’altra, quella diretta

verso il centro dell’archetto, da luogo a momento solo se “c” ed “o” non cioncidono.

Il dato sperimentale indica quindi che l’eventuale rotazione è dovuta al momento associato a dF r e

che la componente dF t, parallela al dl, non esiste.

Non esistendo la componente parallela, la forza sarà necessariamente perpendicolare all’elemento di

filo.

5.1.2 Espressione della forza in termini del campo magnetico

Quindi la forza è perpendicolare al dl, ma per il resto come sarà?

Noi vogliamo descrivere questi fenomeni pensando che esista una modificazione dello spazio nel punto

ove è posto l’elemento di filo e che tale modificazione sia descrivibile tramite un campo vettoriale B. La

forza deriverà dalla interazione locale tra elemento di filo e campo.

Se ci poniamo in questo schema, dobbiamo supporre fisicamente esistere, nel punto dello spazio occu-

pato dall’elemento di filo oltre al vettore dl, anche il vettore campo B avente modulo, direzione e verso

definiti, anche se per il momento incogniti.

Le direzioni di questi due vettori determinano un piano π su cui entrambi giacciono e si può scrivere

la direzione della normale a questo piano come n = versdl × B

. Detta normale sarà ovviamente

perpendicolare all’elemento dl di filo. Una seconda direzione sempre normale all’elemento di filo e normale

pure ad n giacerà nel piano π e sarà data da m = versdl ×

dl × B

.

9090

90

n

B

dl

m dF

Figura 5.8: Scomposizione della forza agente su diun elemento di filo dl

In base a quanto detto, la forza che agisce sul

dl sarà esprimibile come

dF = i fdl, B, θ

ove f è una incognita funzione vettoriale e θ, an-

golo tra i due vettori dl e B , è l’unico parametro

geometrico che caratterizza il problema.

Per l’additività delle forze, la corrente appare a

fattore. Per lo stesso motivo la funzione f dovrà essere lineare in dl e, se vogliamo che ad una modificazione

doppia dello spazio corrisponda una forza doppia sull’elemento di corrente, dovrà essere lineare pure in

B.

L’esperienza appena discussa ci dice poi che dF giace nel piano definito dai due versori n ed m; vedi

figura (5.8).

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 163

Solo l’esperienza ci potrà dare informazioni sul valore delle componenti lungo le due orientazioni del

piano.

Procediamo quindi come segue.

i

i

ii

Figura 5.9: Bilancia di Ampere, con rami vertica-li costituiti da fili rettilinei, posta simmetricamenterispetto a due fili paralleli percorsi da corrente. Ilmomento assiale è nullo per motivi di simmetria

Prendiamo ad esempio, come mostrato in figu-

ra (5.9), due fili molto lunghi e poniamoli vicino

ai tratti verticali di una bilancia di Ampere, ad

uguale distanza da essi e dallo stesso lato dei qua-

dri. Colleghiamo in serie circuiti in modo che, alla

chiusura dell’interruttore, la corrente scorra come

indicato. Sperimentalmente si vede che la bilancia

non ruota, come ci si aspetta vista la simmetria

del sistema.

Sostituiamo adesso la bilancia con una avente

un lato seghettato come quella della figura (5.10).

Dato che il filo costituente un braccio è ora

molto più lungo dell’altro e dato che le forze sono

proporzionali alla lunghezza dei fili, ci si aspetterebbe che la bilancia non sia adesso in equilibrio. Si

vede invece sperimentalmente che la bilancia resta ugualmente in equilibrio ( ovviamente occorre che

l’ampiezza delle anse del filo siano molto più piccole della distanza che le separa dal filo rettilineo).

i

i

ii

Figura 5.10: Stessa disposizione sperimentale diquella di figura (5.9), ma con un braccio dellabilancia sostituito con un filo seghettato

Si può anche facilmente vedere che quanto tro-

vato non è dovuto a compensazioni. Ad esempio,

ripetendo l’esperienza con bilance aventi tratti se-

ghettati e tratti rettilinei disposti nel modo più

vario si perviene sempre allo stesso risultato.

Questo dato sperimentale non era prevedibile a

priori sulla base di argomentazioni di simmetria e

dipende quindi dalle caratteristiche della forza di

interazione che stiamo studiando.

Quello che possiamo concludere è che le for-

ze agenti su di un tratto di filo rettilineo e su di

un tratto seghettato, che parta e termini ove par-

te e termina il filo rettilineo, sono esattamente le

stesse. Questo deve valere non solo per i fili nel loro complesso, ma anche a livello della singola ansa.

In altre parole, facendo riferimento alla figura (5.11), si può dire che la forza che agisce sul tratto

di filo dl è uguale alla somma delle forze che agiscono rispettivamente sui tratti dl1 e dl2 formanti una

singola ansa, e questo indipendentemente dalla particolare direzione locale di B.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 164

Dal paragone di questa evidenza sperimentale con le regole matematiche della somma vettoriale, si

ricavano informazioni sulla struttura dell’interazione.

dl

dl1

dl 2B

!

!1

!2

Figura 5.11: Tratto di filo dl ed ansa costituita dallasuccessione dei due tratti dl1 e dl2. Le forze agentisul tratto rettilineo e sull’ansa sono identiche.

Dato che l’uguaglianza è sperimentalmente

sempre valida, lo sarà anche se il campo giace nel

piano definito dai tre vettori come per semplicità

riportato in fig. (5.11).

Consideriamo dapprima la componente del

dF diretta come n = versdl × B

, cioè

perpendicolarmente al piano del disegno.

In base a quanto detto, il suo modulo dovrà

essere una funzione dell’angolo θ e lineare in dl e

B.

Si può quindi scrivere in tutta generalità come

dFn = i · g (θ) dl × B ove g (θ) è una incognita

funzione dell’angolo.

L’ esperienza ci dice che:

dFn = i · g (θ) dl × BFisica= i · g (θ1) dl1 × B + i · g (θ2) dl2 × B

mentre invece, dato che vale dl = dl1 + dl2, potremo pure scrivere:

dFn = i · g (θ) dl × BMatematica

= i · g (θ) dl1 × B + i · g (θ) dl2 × B

dldl1

dl 2

BF

1F

Figura 5.12: Caso particolare in cui il campo siadiretto parallelamente a dl2

Come potranno le due uguaglianze valere

entrambe?

Evidentemente ciò può accadere solo se la fun-

zione g (θ) non dipende dall’angolo θ. In altre

parole se g è una costante.

Si perviene ad identica conclusione pure suppo-

nendo che il campo magnetico sia perpendicolare

al piano di figura (5.11). Quindi l’indipendenza di

g da θ vale in generale.

Consideriamo adesso la componente della forza

diretta nell’altra direzione.

Potremo ragionare in modo analogo, ma è più semplice considerare il caso particolare descritto dalla

figura (5.12) ove si suppone inoltre che il campo B sia parallelo a dl2.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 165

Per motivi di continuità, la forza che agisce su dl2 sarebbe necessariamente nulla in questo caso. Essa

infatti si deve invertire in direzione per piccole rotazioni del campo rispetto alla normale alla figura.

Al contrario, le forze che agiscono sui restanti due tratti non sarebbero necessariamente nulle. Esse

giacerebbero nel piano di figura e sarebbero dirette perpendicolarmente ai rispettivi tratti.

Ne consegue che esse avrebbero direzione diversa e quindi non potrebbero essere uguali a meno che

non fossero di modulo esattamente nullo.

Da ciò segue che la forza di origine magnetica agente su di un tratto di filo dl non può avere componente

nella direzione m = versdl ×

dl × B

per cui si potrà scrivere in tutta generalità:

dF = i fdl, B, θ

= i dl × B (5.5)

Come si noterà si è omessa la costante g ( il che equivale a porla uguale ad uno ).

Questo in quanto il suo valore numerico dipenderà dalla scelta delle unità di misura di corrente e

Campo Magnetico.

Definito l’Ampere come unità di misura della corrente, la posizione g = 1 definisce l’Unità di Misura

del Campo Magnetico.

Nel sistema MKSA essa prende il nome di “Tesla” e si indica con la lettera “T ”.

Esso è quindi quel campo che determina, su di un conduttore percorso da una corrente di un Ampere,

una forza di un Newton per unità di lunghezza.

Come inoltre noterete, l’ipotizzata espressione (5.3) è sperimentalmente verificata.

5.1.3 Orientazione del campo dovuto ad un elemento di corrente

ii

i

i

Figura 5.13: Bilancia di Ampere con un braccioposto ad uguale distanza da due conduttori verticali

Siamo adesso a metà strada.

Quello che dobbiamo ora determinare è la rela-

zione tra le correnti ed i campi magnetici da esse

generati.

Anche a questa domanda non potremo

rispondere se non facendo ricorso a delle misure.

Prendiamo due conduttori verticali molto lun-

ghi. Interponiamo tra essi uno dei fili verticali di

un braccio di una bilancia di Ampere, in modo

che esso giaccia nel piano definito dai due con-

duttori, sia ad essi parallelo e posto ad uguale

distanza da entrambi. La figura (5.13) mostra

schematicamente la configurazione.

Colleghiamo in serie circuiti in modo che, alla chiusura dell’interruttore, la corrente scorra come

indicato.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 166

ii

i

i

Figura 5.14: Configurazione simile a quella di figura(5.13) ma con un conduttore vericale sostituito conuno seghettato.

Sperimentalmente si vede che la bilancia non

ruota.

Questo era prevedibile a priori, data la

simmetria esistente nella disposizione dei fili.

Sostituiamo adesso uno dei conduttori latera-

li con un filo seghettato come mostrato in figura

(5.14).

Il piano definito dalla bilancia non è più un

piano di simmetria e i non vi è quindi motivo per

dire a priori che la bilancia non debba ruotare al

chiudersi dell’interruttore.

L’esperienza dice però che anche in questo caso

la bilancia resta in equilibrio.

Questo significa che il filo seghettato, anche se molto più lungo, genera lo stesso campo del filo rettilineo

che ha sostituito.

Figura 5.15: Conduttore formato da un tratto retti-lineo di andata ed un tratto di ritorno che si avvolgesu quello di andata

Analogamente a prima si può verificare che

ciò non è dovuto a compensazioni ma che, a tut-

ti gli effetti, un elemento dl di filo percorso da

corrente può essere sostituito da due elementi dl1

e dl2 percorsi dalla stessa corrente purché valga

dl = dl1 + dl2.

Per chiarire ulteriormente la cosa si può verificare come il circuito mostrato in figura (5.15) non sia

in grado di produrre alcun effetto su di una bilancia di Ampere.

dB

dli

x

y

z

! r"

Figura 5.16: Simmetria del campo generato da unelemento di filo percorso da corrente

In altri termini: due fili percorsi dalla stessa

corrente in senso inverso generano un campo ma-

gnetico nullo. La stessa cosa accade se il filo di

ritorno è seghettato invece che dritto.

Prima di proseguire, facendo ricorso ad ulte-

riori esperienze, cerchiamo di fare alcune conside-

razioni riguardo il campo magnetico generato da

un elemento di filo percorso da corrente.

Ovviamente, come è chiaro dalla figura (5.16),

il campo dovrà possedere simmetria di rotazione

rispetto all’asse definito dall’elemento di filo. Dato il campo in un punto della circonferenza di figura, si

può ottenere facilmente, tramite una rotazione, il campo in qualsiasi altro punto appartenente alla stessa

circonferenza.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 167

dli

x

y

z

!r

dBt

dB r

dBp

Figura 5.17: Scomposizione lungo tre direzionimutuamente ortogonali del campo infinitesimo dBpresente nel generico punto del semispazio superiore.

Vediamo un pò meglio la struttura del campo

generato dal dl.

In un generico punto dello spazio potremo

scomporre il dB secondo tre direzioni tra loro orto-

gonali. Converrà evidentemente scegliere una di-

rezione parallela al dl, un’altra tangente alla cir-

conferenza passante per il punto e centrata sul

prolungamento del dl stesso e la terza diretta

normalmente alle prime due.

In figura (5.17) è mostrato il generico vettore

dB scomposto lungo le tre direzioni per due punti appartenenti ad una stessa circonferenza posta nel

semispazio superiore rispetto al dl. Evidentemente, vista la simmetria del problema, nei due punti le

rispettive componenti avranno da essere uguali.

dli

x

y

z

!r

dBt

dB r

dBp

Figura 5.18: Scomposizione del campo negli stessipunti di figura (5.17) per corrente invertita

Cosa si può dire del dB in punti posti nel

semispazio inferiore?

Tali punti non sono raggiungibili attraverso

operazioni di simmetria da quelli posti nel semi-

spazio superiore, per cui solo l’esperienza ci potrà

dire qualche cosa.

Si è appena visto come il campo dovuto a due

elementi di filo molto vicini percorsi dalla corrente

in senso inverso è nullo.

dli

x

y

z

!

r

dBtdB r

dBp

Figura 5.19: La rotazione della figura (5.18) mo-stra come deve essere strutturato il campo dB nelsemispazio inferiore di figura (5.17)

Quindi, invertendo la direzione della corrente,

il campo nei due punti mostrati in figura (5.17)

dovrà essere come indicato nella figura (5.18).

Se adesso immaginiamo di ruotare questa di

180 gradi rispetto all’asse “x”, otteniamo quan-

to riportato in figura (5.19) vediamo come es-

sa descriva il campo magnetico in quei punti del

semispazio inferiore della figura (5.17) non di-

rettamente raggiungibili attraverso operazioni di

simmetria.

Si deduce quindi che il campo magnetico gene-

rato da un dl percorso da corrente deve avere nel semispazio inferiore una struttura del tipo di quella

indicata nella figura (5.19).

Individuate le direzioni ed i versi, dobbiamo adesso cercare di determinare i moduli delle singole

componenti.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 168

irBt

Bp

Figura 5.20: Campo di un filo infinito percorso dacorrente ottenuto tramite integrazione dei contributidei singoli elementi

Detti moduli dipenderanno ovviamente dalle

coordinate polari r e θ ma non dalla coordinata

φ .

Per predisporre delle misure, domandiamoci

quali saranno le caratteristiche del campo dovuto

ad un filo rettilineo infinitamente lungo.

Dovremo integrare tutti i dB dovuti ai vari dl.

Le componenti radiali si elideranno vicendevol-

mente nell’integrazione, per cui il campo di un filo infinito sarà caratterizzato al massimo dalle due

componenti parallela e trangenziale come mostrato in figura (5.20) .

Possiamo attraverso una esperienza dire qualche cosa sulla componente parallela Bp.

Bp

Bp

F

F

i

i

i

i

Figura 5.21: Bilancia posta tra due fili paralleli conl’asse ortogonale ad essi. La componente del campoparallela ai fili dovrebbe farla ruotare.

Nella figura (5.21) è mostrata, vista dall’alto,

una bilancia il cui asse di rotazione è equidistante

da due fili paralleli percorsi da corrente in senso

discorde. L’asse è inoltre normale al piano definito

dai due conduttori.

Evidentemente solo la componente del campo

magnetico parallela ai fili potrà dare luogo ad un

momento assiale diverso da zero. Chiudendo l’in-

terruttore, non si osserva la bilancia muoversi. Questo indica che la componente di B parallela al filo non

esiste.

dl

dB

dB1

dl2

dB2

dl1

Figura 5.22: Campo dovuto alla somma delle com-ponenti radiali di due tratti di un’ansa di filo. Essosarebbe diretto lungo il vettore dl1 + dl2

Questa esperienza, ed altre simili, ci portano

a concludere che il campo magnetico generato dal

singolo dl non ha componente parallela.

Che cosa si può dire della componente radiale

del dB?

Facendo riferimento alla struttura del dB gene-

rato da un dl percorso da corrente, riportato nelle

due figure (5.17) e (5.19) si vede facilmente come

una singola ansa di filo darebbe luogo, attraverso

le componenti radiali, ad un campo magnetico diretto parallelamente al vettore dl1 + dl2. Nella figura

(5.22) sono mostrati i due dl consecutivi dell’ansa, le rispettive componenti radiali di dB in un dato punto

e la somma vettoriale di queste.

L’esistenza delle componenti radiali è contraria al dato sperimentale in quanto, ad esempio, si potrebbe

sostituire nell’ultima esperienza descritta uno dei fili rettilinei di figura (5.21) con uno avente tratti diritti

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 169

e tratti seghettati. Se la componente radiale esistesse, la bilancia dovrebbe adesso ruotare. Si vede invece

che, anche in questo caso, la bilancia resta ferma.

dB

dli

x

y

z

! r

Figura 5.23: Campo generato da un elemento dl difilo percorso da corrente. Esso ha solo componentetangente a circonferenze tipo quella rappresentata.

Si può quindi concludere che il campo magneti-

co generato da un elemento di corrente dl ha solo

componente tangenziale come mostrato in figura

(5.23). Dal punto di vista matematico essa è indi-

viduata dal versore versdl × r

la cui direzione

è ottenuta, da quella dei due vettori moltiplicati,

tramite la regola della mano destra. Inoltre da-

to che il campo sarà, per la proprietà additiva,

proporzionale sia alla corrente che alla lunghezza

dell’elemento di filo scriveremo

dB = i ·dl

· fr

, θ· vers

dl × r

(5.6)

ove fr

, θ

è una incognita funzione dei parametri caratterizzanti la posizione del punto dello spazio

rispetto al dl .

5.1.4 Moduli dei campi dovuti ad un elemento di corrente e ad un

Figura 5.24: Jean Baptiste Biot

Resta da vedere quale sarà il modulo del campo

magnetico generato da un elemento di corrente dl.

Anche per questo dovremo fare ricorso a dati

sperimentali.

Osserviamo il disegno di figura (5.25)rappresentante

lo schema di un’esperienza dovuta a Biot.

Come si vede, un filo rettilineo è posto paral-

lelamente a due tratti di filo di diversa lunghezza

facenti parte di un doppio quadro libero di ruota-

re attorno all’asse. La figura (5.25) mostra una

vista laterale ed una dall’alto della disposizione

sperimentale.

Quando si chiude l’interruttore, facendo scor-

rere corrente nel doppio quadro e nel filo rettilineo

interposto, in genere il doppio quadro ruota attorno all’asse. Si trova tuttavia che esso non ruota qualora

il filo rettilineo sia posizionato in modo che valga una ben precisa relazione tra le lunghezze L1, L2 e le

distanze R1ed R2 di figura (5.25).

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 170

L1

L2

b

b

i

i

b

b

Vista dall’alto

R1

R2

Figura 5.25: Schema di esperimento dovuto a Biot.A sinistra una vista complessiva del circuito, a destrauna dall’alto.

Perché si abbia equilibrio si vede sperimental-

mente che deve valere

R1

R2=

L1

L2(5.7)

D’altra parte per l’equilibrio occorre che sia nullo

il momento assiale delle forze agenti sul quadro

legate al campo magnetico generato dal filo.

Per quanto riguarda quest’ultimo, esso è dato

dalla somma vettoriale di tutti i contributi dovu-

ti ai vari elementi di filo. Essendo questi, in un

generico punto dello spazio, tutti concordi tra lo-

ro, la direzione del campo sarà esprimibile come

vers (el × r) ove il versore el indica la comune direzione di tutti i dl del filo infinito.

Per quanto riguarda il modulo del campo totale, l’unico parametro fisico che differenzia un punto

dello spazio da un altro è la distanza R dal conduttore. Si avrà quindi

Bfilo = B (R) vers (el × r)

Per l’equilibrio occorre, come detto, che Mext = 0. Data l’ugualianza dei bracci delle forze, la condizione

conduce, dopo alcune semplificazioni algebriche, alla:

L1 ·B (R1) = L2 ·B (R2) (5.8)

Le due relazioni (5.7) e (5.8) devono valere contemporaneamente per cui, sostituendo la (5.7) nella

(5.8), si deduce facilmente che il modulo del campo magnetico generato da un filo infinito è inversamente

proporzionale alla distanza dal filo stesso.

Tutto questo si può riassumere scrivendo che il campo, in un punto p generico dello spazio, dovuto

ad un filo infinito percorso da corrente è dato da

B (r) ∝ i

Rvers (el × r) (5.9)

ove r è il vettore di posizione di p riferito ad un punto generico sul filo, ed i è la corrente che abbiamo

messa a fattore per evidenziare l’additività dei campi.

Il valore della costante di proporzionalità sottintesa nella (5.9) dipende dalla scelta dell’unità di misura

della corrente elettrica.

Prima di definire la costante di proporzionalità domandiamoci se, da quanto trovato, possiamo ricavare

una espressione per il dB prodotto da un dl percorso da corrente; cioè di ricavare la forma esplicita della

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 171

funzione fr

, θ

presente nella (5.6).

Il campo prodotto da un filo sarà ovviamente dato dalla sommatoria ( integrale ) dei campi prodotti

dai singoli elementi del filo espressi dalla (5.6). In un dato punto dello spazio, tutti detti campi infinitesimi

hanno direzione e verso concordi. Sarà quindi sufficiente sommare semplicemente i moduli.

Si avrà quindi dalle eq. (5.6) e (5.9) che

B (r) = i · vers (el × r) ·+∞ˆ

−∞

fr

, θ· dl ∝ i

Rvers (el × r)

Questo significa che la funzione fr

, θ

deve obbedire alla condizione:

+∞ˆ−∞

fr

, θ· dl ∝ 1

R(5.10)

Quanto scritto ci permette di poter esplicitare la dipendenza funzionale di fr

, θ

dar e θ?

Tenendo conto dei dati sperimentali più volte ricordati lo potremmo pure fare.

Giudico tuttavia più semplice ed interessante domandarci se si è già incontrata in precedenza una

situazione formalmente simile a quella di eq. (5.10).

La risposta è positiva.

Come ricorderete in elettrostatica si era trovato una dipendenza analoga del tipo 1R per il campo

elettrico di un filo infinito uniformemente carico. Vedi pagina 57 e seguenti.

In quel caso i vari contributi dE non avevano la stessa direzione e quello che sopravviveva nell’inte-

grazione era la sola componente del campo normale al filo.

Invece di usare la legge di Gauss, potevamo calcolarci il campo elettrico effettuando l’integrale delle

componenti del campo normali al filo.

Seguendo questa procedura la funzione integranda era data dal modulo del campo moltiplicato per

sin (θ) e si perveniva all’integrale (3.20) che qui riscriviamo

+∞ˆ−∞

sin (θ)

R2 + l2dl =

+∞ˆ−∞

sin (θ)

r2dl =

2

R

Può essere che la dipendenza della funzione fr

, θ

dai parametri sia la stessa della funzione integranda

di eq. (3.20)?

Si può mostrare che le cose stanno realmente in questo modo.

Mi preme soltanto dire che, mentre nel caso del campo elettrico il sin (θ) derivava dal dover prendere

una componente del campo, adesso tale funzione dovrà necessariamente far parte dell’espressione del dB

in quanto tutti i contributi hanno la stessa direzione.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 172

Scriveremo quindi per la (5.6):

dB = α · i · sin (θ)r2

·dl

· versdl × r

ove si è introdotta la costante α dipendente dall’unità di misura della corrente e che, a priori, può essere

sia di segno positivo che negativo.

Dal punto di vista matematico, osserviamo adesso come la funzione sin (θ) sia contenuta nel modulo

del prodotto vettoriale per cui la precedente si può scrivere in modo compatto come

dB = α · i ·dl × r

r3

Con tale scrittura, ci siamo inoltre svincolati da qualsivoglia sistema di coordinate.

Quello che resta da determinare è il valore della costante moltiplicativa in funzione della scelta fatta

per l’unità di misura della corrente, vedi pagina 161.

Per questo basta ricavare l’espressione per la forza per unità di lunghezza tra due fili percorsi da

corrente unitaria ed uguagliare il risultato a 2 10−7N .

In termini di α il modulo del campo magnetico prodotto da un filo infinito sarà dato da

Bfilo = B (R) vers (el × r) = i · vers (el × r) ·+∞ˆ

−∞

fr

, θ· dl

= α · i · vers (el × r) ·+∞ˆ

−∞

sin (θ)

r2· dl = 2α · i

R· vers (el × r)

La forza agente su di un tratto l di un secondo filo parallelo al primo e percorso dalla medesima corrente

i sarà quindi data da:

F2 = il2 × B1 = 2α · i2

Rl2 × vers (el × r1,2)

= −2α · i2

R· l2 · e1,2 (5.11)

ove r1,2 è il vettore che da un punto del primo filo porta nel più vicino punto del secondo ed e1,2 è il

relativo versore.

Il fatto che la forza sia attrattiva indica che la costante α è positiva. Inoltre il fatto che si scelga

l’unità di corrente in modo che per l = R = 1m la forza valga in modulo 2 10−7N significa che la scelta

dell’Ampere come unità di misura deriva dal porre arbitrariamente

α = 10−7

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 173

Riassumendo si ha quindi per il campo di un filo infinito l’espressione dovuta a Biot

Bfilo = 2 · 10−7 · i

R· vers (el × r) (5.12)

Mentre per il campo dovuto ad un elemento di filo dl avremo:

dB = 10−7 · i ·dl × r

r3

Si introduce a volte la costante µ0 definita come µ0 = 4π · 10−7 per cui la precedente si trova scritta

pure come

dB =µ0

4π· i ·

dl × r

r3

5.1.5 Relazione tra le costanti della elettrostatica e della magnetostatica

Supponiamo ad esempio di raddoppiare l’unità di misura della corrente elettrica. Ne consegue che i valori

numerici da associare a ogni corrente dovranno ovviamente dimezzare.

Inoltre, osservando il primo membro della eq. (5.11), per fare sì che il numero rappresentante la forza

con cui un filo è attratto da un altro rimanga invariato si deve scegliere per α un numero quattro volte

maggiore del precedente.

Ma, raddoppiare l’unità di misura della corrente, implica pure raddoppiare l’unità di misura della

carica elettrica.

Identica argomentazione, applicata questa volta alla legge di Coulomb, ci porta a concludere che

occorre scegliere per la costante 14πε0

un nuovo valore pure esso quattro volte superiore a quello standard.

In altre parole le due costanti della elettrostatica e della magnetostatica sono tra loro "proporzionali".

Questo si esprime matematicamente scrivendo:

α =1

4πε0β

dove β è una costante il cui valore non dipende dall’unità di misura scelta per la corrente elettrica.

Quali sono le dimensioni di β?

Evidentemente confrontando la legge di Coulomb e l’espressione trovata per la forza di interazione tra

due fili percorsi da corrente potremo rispettivamente scrivere:

[F ] = [ε0]−1 ([i] [t])2 [l]−2

[F ] = [i · l ·B] = [ε0]−1 [β] [i]2

per cui ricaviamo:

[β] = [t]2 [l]−2

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 174

in altre parole β ha le dimensioni di un inverso di una velocità al quadrato.

Per esprimere questo fatto si scrive comunemente

β =1

c2

ove c ha le dimensioni di una velocità.

Quanto vale numericamente c?

Occorre confrontare tra loro sperimentalmente le forze elettrostatiche e quelle magnetiche. Quello che

si ricava è circa c 2.9979 · 108m/s.

Quanto trovato si può quindi riassumere attraverso le due leggi

dF = i dl × B (5.13)

dB =1

4πε0c2idl × r

r3(5.14)

rispettivamente per la forza agente su di un elemento di filo dl percorso da corrente e per il campo

magnetico infinitesimo dovuto ad un elemento di corrente.

Questa ultima legge viene detta Legge di Biot-Savart.

Il campo di un filo infinito sarà quindi riscritto come:

Bfilo =1

2πε0c2· i

R· vers (el × r) (5.15)

5.1.6 Forza di Lorentz e campo generato da una particella in moto

Va notato come le due equazioni (5.13) e (5.14), al contrario della eq. (5.15), non abbiano in realtà

significato fisico.

Infatti l’elemento di filo dl percorso da corrente i non esiste fisicamente come entità isolata.

Si aprono quindi due strade:

1. Derivare dalle eq. (5.13) e (5.14) le forze ed i campi magnetici rispettivamente agenti e prodotti da

circuiti elettrici nel loro complesso. Un esempio di questo è la (5.15) che descrive il campo dovuto

ad un filo molto lungo percorso da corrente.

2. Vedere se le espressioni ricavate si possono interpretare, tramite il principio di sovrapposizione,

in termini delle forze e dei campi rispettivamente agenti e prodotti dalle singole cariche in moto

presenti nel generico tratto di filo dl.

È evidente che se si segue la prima strada arriveremo a scrivere forze tra circuiti e si perderà il concetto

di campo, in quanto un circuito occupa una regione estesa di spazio. Per questo motivo si preferisce oggi

seguire la seconda strada.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 175

In entrambe le equazioni (5.13) e (5.14) compare a fattore il prodotto i dl. Vediamo quindi come si

possa riscrivere.

Avremo, indicando con dS una qualunque sezione del filo percorso da corrente e con e la sua normale:

i dl = dl

ˆ

dS

J · e ds

= n q dl

ˆ

dS

vd · e ds

Dato che dl , vd ed e sono paralleli e considerando che il prodotto dl · dS non è altro che il volume dV

occupato dall’elemento di filo avremo ancora:

i dl = n q vd dV

= q vd dN

ove dN è il numero totale di portatori persenti nell’elemento di filo.

Usando l’additività delle forze e dei campi si possono quindi interpretare le eq. (5.13) e (5.14) come

dovute alla somma delle forze e dei campi connessi alla presenza delle singole cariche in moto.

La forza agente ed il campo magnetico prodotto dalla singola carica saranno quindi rispettivamente

dati da:

dF = q v × B (5.16)

dB =1

4πε0c2qv × r

r3(5.17)

Queste equazioni hanno significato fisico in quanto sappiamo cosa intendere e come ottenere una

carica in moto.

Inoltre, potendo la carica essere di dimensioni molto piccole, si può mantenere il concetto di Interazione

Locale e di Campo.

La eq. (5.16) prende il nome di Forza di Lorentz ed avremo da tornare su di essa per una discussione

delle sue caratteristiche.

Notiamo infine che le espressioni appena trovate hanno proprio la struttura delle equazioni(5.3) e (5.4)

che le più semplici esperienze facevano supporre.

Quanto trovato è, dal punto di vista logico, equivalente alla coppia di espressioni F = q · E e E =

14πε0

Qr2 e rispettivamente descriventi la forza agente su di una carica ed il campo elettrico di una carica

puntiforme.

Attraverso le leggi (5.16) e (5.17), ed usando l’additività di campi e forze, si può anche adesso risolvere

qualsiasi problema.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 176

Tuttavia, al pari dell’elettrostatica, invece di usare direttamente la (5.17), conviene ricavare delle

equazioni differenziali o, in alternativa, integrali, la cui soluzione ci dia il valore del campo magnetico.

Prima di trattare tale argomento, interrompiamo un attimo il discorso per parlare di un effetto fisico

che ha notevoli applicazioni sia nella metodologia di misura del Campo Magnetico sia come metodo

sperimentale di indagine di proprietà di materiali.

5.1.7 Effetto Hall (1879)

Questo effetto, il cui nome deriva da quello del suo scopritore, ha importanza sia in quanto permette di

ricavare informazioni fisiche su materiali, sia in quanto è alla base del funzionamento di strumenti di

misura per campi magnetici.

J

B

1

2

l

V

Figura 5.26: Effetto Hall. Lastrina conduttrice per-corsa da corrente ed immersa in un campo magneti-co. Lo strumento segna una differenza di potenzialetra i lati opposti della lastina

Si abbia una stretta e lunga lastrina di ma-

teriale conduttore avente larghezza l, percorsa da

corrente i.

Il vettore densità di corrente sarà dato da J =

nqv.

Poniamo detta lastrina in un campo magnetico

B come mostrato in figura (5.26).

Sui portatori di carica agirà una forza data da

F = q v × B =1

nJ × B

per cui, nel caso di figura, tenderanno a spostarsi

verso il lato posteriore della lastra indicato con “2”.

Detti portatori, spostandosi, genereranno un

campo elettrico E che si opporrà ad ulteriori

migrazioni. L’equilibrio sarà raggiunto allorchè il campo elettrico generato varrà in ogni punto

E = − 1

nqJ × B

Si viene allora ad avere tra i punti “2” ed “1” indicati in figura una differenza di potenziale V data da

V = −2ˆ

1

E · dl = 1

nq

2ˆ1

J × B

· dl

che viene misurata tramite apposito strumento.

Nel caso particolare, essendo tutti i vettori ortogonali tra loro, avremo semplicemente

V =l

nqJ B

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 177

Tale differenza di potenziale sarà positiva se i portatori di carica sono positivi, negativa se i portatori di

carica sono negativi.

Come vedete, qualora sia noto il campo e la corrente, dalla misura di V si possono quindi ricavare il

valore del prodotto nq tra la carica ed il numero di portatori per unità di volume.

Se le caratteristiche fisiche del materiale sono invece note, dalla differenza di potenziale misurata si

può ricavare il valore del Campo Magnetico B.

Questo effetto è per questo sovente usato per la determinazione sperimentale del valore del Campo

Magnetico.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 178

5.2 Leggi della Magnetostatica, legge di Ampere

Vediamo adesso di procedere in modo simile a quanto fatto in elettrostatica, ove si erano ricavate equazioni

differenziali ed integrali equivalenti alla legge di Coulomb.

Dal punto di vista concettuale, si procederà in modo identico cercando di scrivere una prima equazione

che dipenda dalle proprietà di simmetria del campo magnetico ed una seconda che esprima la particolare

dipendenza del campo con la distanza.

Bv

q

x

y

z

! r

R

Figura 5.27: Campo magnetico dovuto ad una caricain moto

Dato però che la situazione fisica è differen-

te dalla precedente, l’identico percorso concettuale

si strutturerà in modo diverso da quanto visto in

elettrostatica.

Scriviamo dapprima l’equazione che dipende

dalle proprietà di simmetria del campo magnetico.

La figura (5.27) rappresenta il campo magne-

tico prodotto da una carica in moto, matematica-

mente descritto dalla eq. (5.17). Dalle proprietà

di simmetria del campo discende subito che il suo

flusso, attraverso una qualsiasi superficie chiusa S,

è nullo.

Per mostrare questa proprietà si procede in modo simile a quanto fatto in elettrostatica per la de-

duzione della legge di Gauss suddividendo la superficie S in tante superfici chiuse infinitesime dS per le

quali sia evidente l’annullarsi del flusso infinitesimo.

Bv

q

x

y

z

!r

R

Figura 5.28: Flusso infinitesimo attraverso unasuperficie chiusa a forma di porzione di toro

Come in elettrostatica, sceglieremo delle super-

fici “ filiformi” fatte in modo che solo le superfici

di “base” contribuiscano al flusso mentre la laterale

dia contributo nullo. Data la simmetria del campo

magnetico, differentemente dal caso elettrostatico,

dette superfici saranno costruite a partire da tori

infinitesimi invece che da coni, come mostrato nel-

la figura (5.28). Dato che una qualunque superficie

chiusa può essere suddivisa in tante superfici aventi

la suddetta forma, sommando su tutti i contributi

si ha che il flusso uscente, attraverso la generica

superficie chiusa S, del campo magnetico dovuto ad una carica un moto è nullo.

Dato che un qualunque sistema di correnti elettriche è costituito da cariche in moto avremo, per

l’additività dei campi, che varrà

ΦS

B= 0 (5.18)

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 179

qualunque sia la situazione fisica.

Bv

q

x

y

z

!r

R

S

Figura 5.29: Flusso del campo magnetico di unacarica puntiforme in moto attraverso una genericasuperficie chiusa S

Tramite il teorema di Gauss, si può scrivere

questa legge sotto forma di equazione differenziale

ottenendo

∇ · B = 0 (5.19)

Veniamo adesso alla seconda equazione, quel-

la che contiene la dipendenza esplicita del campo

magnetico dalla distanza dalle cariche.

Prendiamo in considerazione un filo rettilineo

infinito percorso da corrente ed una linea chiusa Γ che si concateni con esso, come mostrato in figura

(5.30)

Bdl

dlpdlt

dlr

i

!

Figura 5.30: Linea chiusa che si concatena con unfilo infinito percorso da corrente

Ricordando che:

• nel caso di un filo rettilineo percorso da cor-

rente, il modulo di B è lo stesso su tutti i pun-

ti di circonferenze aventi il centro in punti del

filo

• contrariamente a quello che accadeva per

il campo elettrico, le linee di B si chiudo-

no su se stesse ( nel caso particolare sono

circonferenze )

calcoliamo la circolazione del campo magnetico

lungo la linea Γ.

L’integrale è dato dalla somma di tutti i pro-

dotti infinitesimi B · dl ciascuno relativo ad un

particolare elemento dl della linea chiusa Γ.

Vediamo come poter scrivere ciascun termine

della “sommatoria” avendo in mente la direzione ed il verso del campo.

Riferendoci sempre alla figura (5.30), il generico elemento di linea dl può essere scomposto nelle tre

componenti ortogonali dlp dlt e dlr, rispettivamente dirette parallelamente al filo, tangentemente alla

circonferenza ed in direzione radiale.

Dovendo calcolare B · dl , sarà di nostro interesse solo la componente dlt, tangente alla circonferenza.

Potremo scrivere il modulo di detta componente come r dΩ dove r è la distanza dal filo e dΩ è l’angolo,

espresso in radianti, di cui ruotiamo attorno al filo quando ci spostiamo di dl lungo Γ.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 180

Si ha quindi che B · dl = B r dΩ, per cui si trova che, per una qualunque linea Γ che si concateni con

il filo ˛

Γ

B · dl =2πˆ0

B r dΩ =i

2πε0c2

2πˆ0

dΩ =i

ε0c2

Il valore 2π dell’estremo superiore dell’integrale deriva dal fatto che, percorrendo una volta l’intera linea

Γ ruotiamo attorno al filo di un angolo giro.

Se invece la curva non si concatenasse con il filo, percorrendola tutta torniamo al punto di partenza

senza aver ruotato attorno al filo. In tale caso l’integrale in dΩ sarà nullo e quindi

˛

Γ

B · dl = 0

Si può mostrare che detti risultati valgono anche se il filo non è rettilineo.

Passando al caso generale di una molteplicità di conduttori percorsi da corrente, di cui solo alcuni si

“concatenino” con la linea Γ, si perviene quindi alla:

˛

Γ

B · dl = 1

ε0c2

ic (5.20)

ove con ic si è indicata la generica corrente concatenata con il circuito Γ. Nella eq. (5.20) le correnti

sono sommate con i loro segni, ottenuti in base alla regola della mano destra. Sono positive le correnti

che scorrano in direzioni che si accordino al senso di percorrenza della linea tramite detta regola, negative

le altre.

i3

i1

i2

i4

!

Figura 5.31: Linea chiusa Γ ed alcune correnti. Diesse solo alcune si concatenano con la linea

Ad esempio, nel caso di figura (5.31) la corren-

te i2 non si concatena e quindi non compare nella

sommatoria, la i1 e la i4 vanno inserite e conside-

rate come positive mentre la i3 è negativa. Si avrà

quindi

ic = i1 + i4 − i3

Come si potrà scrivere in generale la sommato-

ria al secondo membro della (5.20)?

Prendiamo una qualunque superficie S aperta

che si appoggi sul contorno Γ e consideriamo co-

me positiva la normale che si accorda al senso di

percorrenza su Γ tramite la regola della mano destra. Avremo ovviamente che

ΦS

J=

ic

con J vettore densità di corrente.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 181

Si trova quindi ˛

Γ

B · dl = 1

ε0c2ΦS

J

(5.21)

Ove, ripetiamo, il senso di percorrenza della linea Γ ed il verso della normale alla superficie aperta S sono

connessi tramite la regola della mano destra.

Attraverso il teorema di Stokes la(5.21) si può scrivere in forma differenziale.

Infatti da ˛

Γ

c · dl =ˆ

S

∇× c

· nds = ΦS

∇× c

segue che

∇× B =J

ε0c2(5.22)

Questa legge, espressa in forma integrale come in eq. (5.21) od in quella differenziale di eq. (5.22) prende

il nome di Legge di Ampere.

Riepilogando, si trovano per il campo magnetico statico le equazioni:

∇ · B = 0 (5.23)

∇× B =J

ε0c2(5.24)

Da confrontare con le analoghe dell’elettrostatica

∇ · E =ρ

ε0∇× E = 0

Soffermiamoci un attimo su quanto trovato ponendoci le tre seguenti domande:

• confrontando le due copie di equazioni, cosa si può osservare?

• in particolare, cosa fisicamente significa che la divergenza di B è nulla?

• per ottenere campi magnetici occorre che vi siano cariche elettriche in moto. Cosa vi è quindi di

“statico” in Magnetostatica?

Osserviamo inoltre l’equazione per il rotore del campo magnetico.

Ricordando che la divergenza di un rotore è nulla si scrive:

0 = ∇ ·∇× B

=

1

ε0c2∇ · J

Da cui segue che la divergenza del vettore densità di corrente è nulla, quindi ∇ · J = 0.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 182

Una relazione per la divergenza di J si era già trovata. La conservazione della carica elettrica si

esprime matematicamente attraverso l’espressione ∇ · J = −dρdt , ove compare la divergenza del vettore

densità di corrente.

Sorgono quindi le ulteriori domande:

• le due espressioni per ∇ · J sono tra loro in contraddizione? Vi sono casi in cui esse coincidono? Si

possono fare esempi di situazioni fisiche in cui differiscano?

• in queste ultime situazioni, in quale delle due espressioni dobbiamo porre più fiducia? Per quale

motivo?

• cosa possiamo concludere?

Ricordiamo l’esistenza di queste espressioni discrepanti in quanto torneremo sull’argomento.

5.2.1 Semplici applicazioni delle leggi della magnetostatica

Per la soluzione di un qualunque problema di Magnetostatica dobbiamo necessariamente applicare en-

trambe le leggi per la divergenza ed il rotore del campo magnetico.

Siamo tuttavia in una situazione concettualmente identica a quella già trovata in Elettrostatica.

Infatti una delle due equazioni dipende da proprietà di simmetria del campo magnetico generato da una

particella in moto, mentre l’altra dipende dal suo andamento con la distanza.

Quindi, qualora la geometria del problema sia particolarmente semplice, possiamo dedurre da consi-

derazioni geometriche le direzioni ed il verso del campo nei vari punti dello spazio. Consequentemente

può essere possibile individuare linee chiuse su cui sia particolarmente semplice valutare la circolazione

del campo magnetico. In pratica, nei vari punti della linea B · dl, deve essere nullo oppure assumere valore

costante.

J

Figura 5.32: Campo interno ed esterno ad un filoconduttore percorso da corrente

Siamo quindi in una situazione concettualmen-

te identica a quando in elettrostica si usava “solo”

la legge di Gauss per risolvere un problema. In

questo caso usiamo “solo” la legge di Ampere.

Vediamo di applicare quanto sopra ad alcuni

casi.

Campo magnetico di un filo rettilineo

infinito a sezione circolare di raggio R0

percorso dalla corrente i.

Il campo magnetico dipende da come è distri-

buita la corrente all’interno del conduttore. Parti-

colarmente semplice è il caso in cui il vettore densità di corrente sia in ogni punto parallelo all’asse del

filo ed abbia modulo dipendente solo dalla distanza r dall’asse.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 183

In questo caso si possono utilizzare considerazioni di simmetria e dire che, a causa della simmetria

cilindrica, le linee del campo magnetico B devono esssere, sia internamente che esternamente al filo,

delle circonferenze coassiali al filo stesso come mostrato in figura (5.32). Inoltre, per quanto riguarda il

valore del modulo del campo, esso dovrà risultare identico per tutti i punti appartenenti alla medesima

circonferenza.

Scegliendo come linea chiusa su cui valutare la circolazione una qualunque di tali circonferenze avremo

per la eq. (5.21) che1

ε0c2ΦS

J=

˛

Γ

B · dl = 2πRB (R)

ove R è il raggio della circonferenza, B (R) il modulo del campo sulla stessa ed infine S è una superficie

aperta che ha per contorno la circonferenza Γ.

Se adesso applichiamo la precedente per ricavare il campo magnetico all’esterno del conduttore cioè

per R ≥ R0 avremo che ΦS

J= i per cui, indipendentemente dal valore di R0,

B (R) =1

2πε0

i

R

come per un filo sottile.

Se, al contrario, volessimo ricavare il campo all’interno dovremmo sapere come la corrente è distribuita

nel conduttore in quanto da questo dipende il valore di ΦS

J.

Ad esempio, se la corrente fosse uniformemente distribuita, avremo J = iπR2

0n per cui ΦS

J= iR

2

R20

Da cui:

B (R) =1

2πε0

i

R20

R (5.25)

Rb

Ra

R

Figura 5.33: Campo magnetico interno ad un toro

Se invece la corrente fosse solo superficiale

otterremmo ΦS

J= 0 e quindi

B (R) = 0

Un altro semplice caso consiste nel calcolo del

campo magnetico nella regione di spazio

interna ad un circuito a forma toroidale.

La figura (5.33) indica la sezione di una tale

regione, di raggio interno ed esterno rispettivamente Ra ed Rb, delimitata da un avvolgimento di filo

conduttore. Per semplicità è mostrata solo una parte dell’avvolgimento.

L’avvolgimento è approssimabile come una serie di N spire piane percorse dalla stessa corrente che

si succedano l’una all’altra. Ciascuna spira ha asse diretto in modo lievente diverso da quella che

immediatamente la precede.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 184

Nel piano di una spira il campo, per la legge di Biot-Savart ( vedi eq. (5.14)) deve essere diretto

come la normale alla stessa. Ne consegue che in ogni punto interno del toro, il campo deve essere diretto

tangentemente a circonferenze aventi centro nel centro di questo. La figura (5.33) mostra una di queste

circonferenze.

Ovviamente, sempre sulla base di considerazioni di simmetria, dobbiamo ammettere che il modulo del

campo non possa dipendere dal particolare punto sulla circonferenza. Queste considerazioni ci portano a

scegliere, per le linee chiuse su cui applicare la legge di Ampere, circonferenze del tipo di quelle di figura

(5.33). Si scrive quindi: ˛

Γ

B · dl = 2πRB (R) =1

ε0c2ΦS

J=

1

ε0c2N i

Per cui infine

B (R) =1

2πε0c2N i

R(5.26)

Se il toro è molto stretto il diametro interno differisce poco da quello esterno. In questi casi, in tutti

i punti interni R ∼= Ra∼= Rb e quindi il campo interno è praticamente costante.

Esso vale

B ∼= n i

ε0c2(5.27)

dove n = N2πR è il numero di spire avvolte per unità di lunghezza.

All’esterno il campo è nullo in quanto la corrente concatenata è ovviamente nulla.

Figura 5.34: Solenoide

Solenoide infinito

Il solenoide è costituito da un lungo avvolgi-

mento di filo conduttore stretto attorno ad uno

sottile supporto cilindrico. Esso rappresenta evi-

dentemente il caso limite del toro quando i suoi

diametri interno ed esterno tendano all’infinito.

In questo caso limite chiaramente l’ espressione (5.27) non è più una approssimazione e si avrebbe

esattamente

B =n i

ε0c2(5.28)

Per un solenoide reale, di lunghezza finita, l’espressione (5.28) torna ad essere approssimata ed è

applicabile solo alla regione interna centrale dell’oggetto. Avvicinandosi agli estremi, il valore del campo

tende a diminuire e si può facilmente ricavarne il valore al livello dell’ultima spira usando la seguente

considerazione.

Supponiamo di prolungare il solenoide avvicinando ad una delle sue estremità un secondo avvolgimento

identico al primo. Così facendo, il punto estremo del primo solenoide si verrà a trovare esattamente al

centro di un nuovo solenoide lungo esattamente il doppio del precedente. Il campo assumerà quindi in

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 185

detto punto il valore n iε0c2

che sarà dovuto per metà al primo solenoide e per l’altra metà al secondo

aggiunto. Quindi il campo dovuto al primo vale 12

n iε0c2

.

In altre parole il campo di un solenoide al livello dell’ultima spira vale esattamente la metà del campo

presente nella regione centrale.

5.3 Caratteristiche della forza di Lorentz

Dopo queste semplici applicazioni a casi concreti e prima di sviluppare la teoria, come già fatto per le

interazioni elettriche, conviene soffermarci ad analizzare la legge di forza di eq. (5.16) che prende il nome

di Forza di Lorentz e che qui riscriviamo.

FL = q v × B (5.29)

Come si vede la Forza di Lorentz è sempre perpendicolare sia alla velocità che alla direzione del Campo

Magnetico.

Dalla perpendicolarità alla velocità, segue subito che la forza di Lorentz non può compiere lavoro.

Osserviamo poi un’altra peculiarità della espressione che dovrebbe lasciare perplessi: come può una

forza essere proporzionale ad una velocità?

Tutti i sistemi di riferimento inerziali sono equivalenti2 il che implica, tra l’altro, che nella comune

Relatività Galileiana, i valori delle forze non debbano cambiare passando da un sistema inerziale ad un

altro.

Se così non fosse, dato che a forze diverse corrispondono accelerazioni diverse, l’evoluzione dei sistemi

fisici sarebbe vista dipendere dal sistema di riferimento scelto dall’osservatore. In altri termini, il principio

di relatività non varrebbe.

Ciò significa che le forze non devono dipendere dalle velocità, in quanto queste ultime dipendono dal

sistema di riferimento.

Vi è tuttavia una eccezione; infatti nel primo corso di Fisica avete trattato le forze viscose, le quali

dipendono dalla velocità.

In quei casi però si trattava di velocità relative ( ad esempio la velocità relativa tra barca ed acqua

del fiume).

È chiaro che, in quanto differenze tra due velocità assolute, le velocità relative non dipendono dal

particolare sistema di riferimento e quindi le accelerazioni da esse prodotte sono quindi le stesse in tutti

i sistemi inerziali.

Qui la situazione sembra essere diversa: nella (5.16) la v è la velocità assoluta della particella.2Primo corso di Fisica

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 186

Si potrebbe obiettare: se cambiamo sistema di riferimento cambia v, ma cambiano pure le correnti che

originano B. Potrebbe darsi che il prodotto vettoriale sia invariante rispetto al cambiamento di sistema

di riferimento?

Possiamo accorgerci subito che le cose non sono così semplici mettendoci in un sistema di riferimento

solidale con ( che si muova come ) la carica q che subisce la forza. In tale sistema v = 0, per cui FL = 0

indipendentemente dal valore assunto da B.

i

v

S F traiettoria

i

vS’ F=0

!’+

!’"

!"!

+

v

-v

e-

e-

Figura 5.35: Elettrone posto nei pressi di un filo per-corso da corrente e che si muova concordemente aiportatori di carica. Nella parte superiore come vi-sto in un sistema di riferimento solidale con il filo:è mostrata la forza di Lorentz ed il suo effetto sul-la traiettoria della particella. Nella sezione inferiorecome visto nel sistema solidale con la particella: laforza di Lorentz è nulla.

Per fissare le idee consideriamo un elettrone che

si muova parallelamente ad un filo in cui circoli

corrente.

Per semplificare supponiamo che la velocità

dell’elettrone sia uguale alla velocità di deriva dei

portatori di carica (sempre elettroni) nel filo.

Nella parte superiore della figura (5.35)è

rappresentato quanto vediamo guardando dal

riferimento di laboratorio S.

Nel filo avremo due distribuzioni di carica so-

vrapposte: la prima positiva, rappresentante gli

ioni costituenti la struttura rigida del filo, di den-

sità ρ+ ed in quite (v+ = 0); la seconda negativa,

dovuta agli elettoni di conduzione, descritta tra-

mite una densità di carica ρ− in moto ( v− = v).

Nella figura è pure indicato il verso della corrente nel filo .

Quale sarà il moto dell’elettrone?

Vedremo la sua traiettoria curvarsi verso il filo. L’elettrone preciperà su di esso!

Che spiegazione diamo di questo fenomeno? C’è bisogno di una forza agente diretta verso il filo!

La corrente circolante nel filo genera, nel punto ove è presente la particella, un Campo Magnetico

entrante nel piano di figura (5.35). Per questo, in virtù della (5.29) diciamo che la forza agente è quella

di Lorentz che, in questo caso, è diretta verso il filo.

Mettiamoci adesso in un sistema di riferimento S che si muova rispetto ad S con velocità pari a v.

In tale sistema l’elettrone è fermo, come pure ferma è la distribuzione di carica negativa nel filo.

In questo sistema vedremo invece le cariche positive muoversi verso sinistra con velocità pari a −v.

Avremo quindi sempre una corrente i verso sinistra ed un campo B diretto allo stesso modo di prima.

In S tuttavia la velocità dell’elettrone è nulla e quindi v × B = 0 e non avremo forza di Lorentz agente

su di esso.

In S non si dovrebbe quindi vedere l’elettrone cadere verso il filo.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 187

Come è possibile? Che la particella cada o non cada sul filo deve essere un fatto oggettivamente

valido. Tutti gli osservatori, indipendentemente dal sistema di riferimento ad essi associato, devono

vedere accadere la stessa cosa!

Il principio di relatività sarebbe violato se ciò accadesse!

Se si andasse a verificare sperimentalmente cosa si vede in S’, vedremmo l’elettrone cadere verso il

filo.

Il principio di relatività è sperimentalmente valido, ma a noi resta la domanda: che tipo di forza agisce

sull’elettrone?

Da quanto si è visto la forza che agisce su di una carica q può essere scritta sotto la forma

F = qE + v × B

Se B è nullo, e se diamo per corretta l’espressione per la forza sopra riportata, vuole dire che in S

l’elettrone sarà soggetto ad una forza di natura elettrostatica diretta verso il filo. Dovremmo, in altri

termini, supporre l’esistenza, in S, di un campo elettrico E, non “esistente” in S, diretto radialmente dal

filo verso l’infinito.

Ma come può esservi questo campo elettrico?

Bisogna che il filo in S appaia positivamente carico, sebbene sia neutro se visto da S.

Varie possibilità possono venire in mente.

Potrebbe il valore di una carica elettrica dipendere dalla velocità? Ad esempio come il valore della

massa di una particella dipende dalla velocità?3

Solo dati sperimentali possono convalidare o confutare detta ipotesi. Se detta interpretazione fosse

corretta cosa dovremmo attenderci a seguito di una qualunque reazione chimica?

Il motivo reale è legato alla Contrazione di Lorentz delle lunghezze.

La lunghezza L (v) di un oggetto in moto è più piccola di quanto misurabile in un sistema in cui detto

oggetto sia fermo. Si ha:

L (v) = L0

1− v2

c2(5.30)

ove L0 è la lunghezza a riposo, v è la velocità con cui si muove l’oggetto nel primo sistema, ed infine c è

la velocità della luce.

Vediamo di applicare quanto sopra al nostro caso.

Mettiamoci nel sistema di laboratorio S in cui il filo è in quiete e marchiamo il conduttore in due punti

distanti tra loro L0. Veniamo così a definire un cilindro di area di base A data dalla sezione del conduttore

ed altezza L0 all’interno del quale avremo localizzati un ben determinato numero di ioni metallici carichi

a cui competerà una carica totale positiva Q. Dal punto di vista macroscopico introdurremo quindi una3La teoria di Einstein della relatività prevede che la massa di una particella dipenda dalla sua velocità tramite la legge

m (v) = m01− v2

c2

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 188

densità di carica positiva

ρ+ =Q

A L0

Mettiamoci adesso nel sistema S. In esso il conduttore si muove e quidi, per la eq. (5.30), una misura

dell’interdistanza tra i segni sul conduttore non darà più come risultato L0 ma L (v) = L0

1− v2

c2 . Quindi

in S giudicheremo l’dentica carica Q essere contenuta nel volume A L0

1− v2

c2 e quindi descrivibile

tramite la densità

ρ+ =Q

A L0

1− v2

c2

=ρ+1− v2

c2

Quindi in S vedremo una densità di carica più grande che in S.

Si arriva quindi alla seguente conclusione

Le densità di carica si trasformano come le masse nel passaggio tra sistemi di riferimento.

In S il filo appariva neutro in quanto presenti anche gli elettoni di conduzione che danno luogo ad

una densità di carica esattamente opposta a quella degli ioni positivi. In formule:

ρ− = −ρ+

Come sarà giudicata in S la densità di carica negativa? Per rispondere basta ripetere il ragionamento

appena fatto ricordando che gli elettroni di conduzione soni in quiete in S mentre si muovono se visti da

S. Avremo quindi

ρ− =ρ−1− v2

c2

Per cui il filo, che appariva neutro in S, sarà giudicato carico in S4.

La densità di carica in S sarà infatti data da:

ρ = ρ+ + ρ− =ρ+1− v2

c2

+ ρ−

1− v2

c2= ρ+

v2

c21− v2

c2

= ρ+β2

1− β2

ove con β si è indicato il rapporto vc .

Ci dovremo attendere quindi nel punto ove si trova la particella un campo elettrico E radialmente

uscente dato da

E(r) =1

2πε0

λ

rer =

A ρ+2πε0

β2

1− β2

err

E quindi una forza agente sulla particella diretta verso il filo

F (r) = −eA ρ+2πε0

β2

1− β2

err

4Così come (x, y, z, t) formano un quadrivettore e (px, py , pz , U) ne formano un’altro, così pure (jx, jy , jz , ρ) ne formanoun terzo e si trasformano, passando da un sistema di riferimento ad un altro in moto rispetto al primo in direzione dell’asse

delle ascisse, secondo le Jx = Jx−v ρ√

1−β2, J

y = Jy , J z = Jz e ρ

=ρ− β Jx

c√1−β2

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 189

responsabile della caduta dell’elettrone sul filo.

Paragoniamo adesso tale valore a quello della forza di Lorentz vista in S ; dalla eq. (5.29) abbiamo:

F (r) = −evB er = −ev1

4πε0c22i

rer = −ev

A ρ+2πε0c2

verr

= −eA ρ+2πε0

β2err

Come si vede le due forze sono all’incirca uguali, ma non esattamente.

Cosa significa questo?

Secondo la formulazione Einsteniana del principio di relatività anche le forze cambiano quando si

passa da un sistema di riferimento ad un’altro.

L’energia e le tre componenti dell’impulso formano il quadrivettore Energia-Impulso.

Quindi le componenti di p perpendicolari al moto relativo di due sistemi di riferimento restano inal-

terate passando da un riferimento all’altro, mentre cambiano i valori dell’energia e della componente

parallela dell’impulso. Nel nostro caso la variazione dell’impulso è normale al moto relativo dei due

sistemi e quindi deve essere giudicata la stessa nei due sistemi e quindi ∆p = ∆p.

Ora le variazioni dell’impuso sono dovute all’applicazione, per un dato tempo, di forze: ∆p = F ∆t.

Scriveremo quindi per le variazioni delle componenti radiali dell’impulso ∆p = F ∆t = ∆p = F ∆t.

Dato che il tempo è visto scorrerre diversamente nei due sistemi, la identica variazione di impulso

sarà attribuita all’azione di forze di differente valore.

Nel caso particolare, l’elettrone è in quiete in S e quindi ∆tsarà il suo “tempo proprio” per cui deve

valere: ∆t = ∆t√1−β2

Quindi si deve avere che F = F 1√1−β2

come effettivamente si è ricavato.

Che cosa ci porta a concludere questo discorso

Anche se le equazioni del campo elettrico sono "indipendenti" da quelle per il campo magnetico, i

due campi sono intimamente connessi. Le forze elettriche e quelle magnetiche fanno parte di un unico

fenomeno fisico.

È a seconda di come noi guardiamo un certo fenomeno che sembra prevalere l’interazione elettri-

ca o quella magnetica. Dette in altri termini le interazioni magnetiche non sono altro che correzioni

relativistiche alle interazioni elettriche.

Esse si possono mettere in evidenza molto facilmente solo perché gli oggetti neutri sono costituiti da

cariche elettriche positive e negative in uguale quantità e separate da distanze atomiche. Ne consegue

che le forze che esse generano su altre cariche si compensano quasi esattamente. Quello che possiamo

macroscopicamente osservare solo le piccole differenze tra le forze attrattive e quelle repulsive.

Dato che le forze elettriche sono enormi, anche tali piccolissime differenze possono essere grosse rispetto

a quelle gravitazionali e quindi per noi facilmente osservabili.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 190

5.4 Potenziale Vettore

Riepiloghiamo i risultati trovati:

Legge di Ampere¸ΓB · dl = i

ε0c2

Legge di Biot-Savart: dB = 14πε0c2

idl×rr3 ove c 3 · 108m/s

Campo magnetico dovuto ad un filo infinito: B

= 14πε0c2

2iR

Campo all’interno di un solenoide: B ∼= n iε0c2

ove n è il numero di spire per unità di lunghezza

Equazioni per Campo Magnetico B:

∇ · B = 0 ∇× B =J

ε0c2

da paragonare con le analoghe per il campo elettrico:

∇ · E =ρ

ε0∇× E = 0

Il fatto che la divergenza di B sia nulla dipende unicamente, come ricorderete, dalle proprietà di

simmetria del campo prodotto da un generico elemento di corrente. Invece la legge di Ampere riflette

la esplicita dipendenza dal punto del campo prodotto dall’elemento di corrente. Siamo quindi in una

situazione simile a quella trovata in elettrostatica.

Per risolvere problemi particolarmente semplici potremo usare per i calcoli la sola legge di Ampere.

Questo quando, sulla base di considerazioni di simmetria, potessimo avere informazioni sulla direzione ed

il modulo del campo magnetico che ci permettano di scegliere linee chiuse lungo le quali sia costante la

componente del campo.

Un esempio di questo tipo riguarda la determinazione del campo dovuto ad una densità di corrente

a simmetria cilindrica. Ulteriori esempi riguardano i campi in un toro o in un solenoide. In generale

dovremo tuttavia risolvere le equazioni differenziali sopra scritte.

In elettrostatica si era trovato utile introdurre un potenziale scalare φ tale che E = −∇φ. Si era pure

scritta l’equazione differenziale ∇2φ = − ρε0

la cui soluzione φ(1) = 14πε0

´V

ρ(2) dV2

r21permette di valutare

il valore del potenziale una volta dato il sistema di cariche.

In Magnetostatica è possibile procedere in modo analogo?

Il rotore di B non è in generale nullo; invece la divergenza di B è sempre nulla.

Questa considerazione ci permette di effettuare subito un’integrazione e di scrivere B come il rotore

di un altro campo vettoriale. Esso è detto “Potenziale Vettore” ed è usualmente indicato con il simbolo

A.

Una volta noto il Potenziale Vettore, si può risalire al Campo Magnetico attraverso delle operazioni

di derivazione. La connessione è più complicata che nel caso elettrostatico, si tratta infatti di calcolare

un rotore invece che un gradiente. Comunque, una volta noto A, si può ottenere B attraverso delle

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 191

derivazioni.

Bx =d

dyAz −

d

dzAy

By =d

dzAx − d

dxAz (5.31)

Bz =d

dxAy −

d

dyAx

Analogamente a quanto trovato per il potenziale elettrostatico, si ha arbitrarietà di scelta anche per

A.

In elettrostatica, il potenziale era definito a meno di una costante “c”.

Detta costante “c” come andava scelta? Andava scelta in modo da semplificare la risoluzione del

particolare problema a cui si era di fronte; in genere questo significava sceglierla in modo che φ si annullasse

all’infinito.

Tenendo questo a mente, vediamo che cosa succede per A. Evidentemente l’aggiunta ad A di una

costante non altererà B.

Oltre a ciò, va pure notato che se ad A si aggiungesse il gradiente ∇ψ di un qualsiasi campo scalare si

otterrebbe un nuovo Potenziale Vettore che permette di ricavare il Campo Magnetico esattamente come

l’originario.

Infatti, detto A = A+ ∇ψ, si ottiene: ∇× A = ∇× A+ ∇× ∇ψ = ∇× A

Quindi sia A che A danno luogo allo stesso campo magnetico B.

Ora se A ed A hanno lo stesso rotore non è detto che abbiano la stessa divergenza, infatti ∇ · A =

∇ · A+∇2ψ.

In Magnetostatica in generale, vedremo in seguito il perché, i problemi si semplificano se si sceglie A

in modo tale che sia ∇ · A = 0. Questa posizione viene detta Calibro di Poisson. Utilizzeremo quindi i

suddetti gradi di libertà per scegliere potenziali vettori a divergenza nulla.

Si perviene quindi alle equazioni

B = ∇× A (5.32)

∇ · A = 0 (5.33)

A questo punto occorre una ulteriore equazione che ci permetta di ricavare A una volta date le correnti

elettriche; saremo così in grado di risolvere ogni problema.

Un esempio di Potenziale Vettore

Prima di ricavare l’equazione che connette Potenziale e Correnti; per familiarizzare un pò con A,

vediamo di ricavare il Potenziale Vettore che generi un Campo Magnetico uniforme diretto nella direzione

dell’asse z.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 192

Dovremo imporre che

Bx =d

dyAz −

d

dzAy = 0

By =d

dzAx − d

dxAz = 0

Bz =d

dxAy −

d

dyAx = B0

Vi saranno infinite soluzioni, cerchiamo tuttavia le più semplici espressioni per A che soddisfino le

precedenti.

Le prime due equazioni saranno sicuramente soddisfatte se:

• Az = 0

• Ax ed Ay non dipendono da z

Si potrebbe addirittura prendere, per semplificare al massimo, Ax = 0.

Nel qual caso si avrebbe

Bz =d

dxAy = B0 =⇒ Ay = B0x

Si è quindi trovato che il nostro campo magnetico può essere generato dal potenziale vettore

A = (0, B0x, 0)

Un’altra possibile scelta consiste nel supporre invece Ay = 0. In questo caso si otterrebbe Bz = − ddyAx =

B0 =⇒ Ax = −B0y e quindi A = (−B0y, 0, 0).

Evidentemente pure una qualsiasi combinazione lineare dei due potenziali, opportunamente norma-

lizzata, andrà ugualmente bene.

r

r’

B

Figura 5.36: Potenziale vettore A = B02 (−y, x, 0)

relativo ad un campo magnetico uniforme B =(0. 0, B0)

La più semplice tra queste è

A =B0

2(−y, x, 0) (5.34)

Come si vede ci sono infinite possibili scelte per

A e tutte vanno ugualmente bene in quanto danno

luogo allo stesso campo magnetico. Soffermiamoci

sull’ultima trovata e vediamo di disegnare le cor-

rispondenti linee di A. Esse formano circonferen-

ze parallele al piano xy ed aventi centro in punti

dell’asse z infatti, facendo riferimento alla figura

(5.36), il prodotto scalare r · A , con r = (x, y, 0), è nullo. Inoltre il modulo di A è uniforme lungo tutta

la linea di campo, vale A

= B02

x2 + y2 = B0

2 r sin (θ) ed infine la direzione del vettore è correlata a

quella di B dalla regola della mano destra. In termini vettoriali si può pure scrivere il risultato sopra

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 193

detto con

A =1

2B × r (5.35)

Notiamo pure che l’asse z deve essere parallelo a B ma per il resto è arbitrario. Avremo quindi potuto

scegliere un altro sistema di coordinate con l’asse z traslato rispetto al primo. Avremmo ottenuto, in

questo secondo caso, un potenziale vettore A le cui linee di forza formano circonferenze centrate nei

punti del nuovo asse z. In particolare, quindi, in molti punti i due potenziali saranno diretti in opposte

direzioni; tuttavia essi daranno luogo allo stesso campo magnetico. Notiamo pure come tutti i potenziali

introdotti siano a divergenza nulla.

Avremmo potuto ottenere il nostro campo magnetico da potenziali vettore a divergenza non nulla?

La risposta è ovviamente positiva. Ad esempio A = B02 (−y, x, kx), con k costante arbitraria, possiede

divergenza finita e dà luogo sempre allo stesso campo magnetico.

Notiamo una proprietà del potenziale vettore A.

Se calcoliamo la circolazione di A lungo una linea chiusa Γ , otteniamo per il Teorema di Stokes e per

la definizione di Potenziale Vettore

˛

Γ

A · dl =ˆ

S

∇× A

· nds = ΦS( B) (5.36)

ove S è una qualunque superficie chiusa avente Γ come contorno.

Proviamo, per esercizio, ad usare questa relazione per valutare il Potenziale Vettore relativo ad un

campo magnetico uniforme.

Facendo riferimento alla figura (5.36) e scegliendo come linea Γ una circonferenza avremo¸ΓA · dl =

A 2πr, ed ancora ΦS( B) = B0πr2 . Per cui, si ottiene A = B0r2 per il modulo del Potenziale Vettore. Si

ritrova quindi lo stesso risultato di eq. (5.35). Noterete poi come il calcolo effettuato lascia indeterminata

una eventuale componente parallela al campo.

Potenziale Vettore e Correnti

Quanto sopra è stato riportato per fare "vedere" un po’ A. Ovviamente se si ha un problema da

risolvere, prima si ricava A e poi da questo B.

Vediamo quindi di trovare l’equazione che connettendo A alle correnti, permette di ricavarci il Poten-

ziale.

Per introdurre A si è adoperata la relazione ∇ · B = 0. Quindi, per ottenere l’espressione esplicita del

Potenziale Vettore, dovremo usare l’altra equazione: ∇× B =J

ε0c2.

Sostituendo in essa il Campo Magnetico in termini del Potenziale, otteniamo:

∇×∇× A

=

J

ε0c2

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 194

Domandiamoci: come potremo riscrivereo il doppio prodotto vettoriale che compare al primo membro?

Se avessimo a che fare con dei normali vettori (a, b e c) avremmo che il doppio prodotto a×b× c

è

un vettore normale sia ad a che alla normale al piano definito da b e c. Da questa ultima considerazione,

si deduce che giace nel piano definito da b e da c.

In particolare si trova: a ×b× c

= b (a · c) − c

a ·b

. Per cui, supponendo di poter estendere la

validità della relazione al caso di operatori a carattere vettoriale, scriveremo: ∇×∇× A

= ∇

∇ · A

A∇ · ∇

. In effetti si può verificare che vale:

∇×∇× A

= ∇

∇ · A

−∇2 A

È chiaro, a questo punto, il vantaggio che abbiamo nell’imporre che il Potenziale Vettore sia a divergenza

nulla. Con la scelta di calibro di Poisson l’equazione da risolvere si semplifica divenendo:

∇2 A = −J

ε0c2(5.37)

Essendo la (5.37) una relazione tra grandezze vettoriali, essa consisterà in tre equazioni differenziali

leganti rispettivamente Ax con Jx, Ay con Jy e Az con Jz. Notiamo come ciascuna di queste equazioni

sia formalmente identica all’equazione di Poisson per il potenziale elettrico; vedi eq. (3.15).

Dato che equazioni differenziali simili danno luogo a soluzioni simili; si deduce che, se per il potenziale

elettrostatico valeva la (3.9), la soluzione della (5.37) sarà:

A (r2) =1

4πε0c2

ˆ

V

J (r1)

r12dv1 (5.38)

A parole si può quindi dire che la componente x del potenziale vettore A dovuto a correnti descritte

dal campo vettoriale J è data dalla stessa relazione che fornisce il potenziale elettrico dovuto alla densità

di carica ρequiv (r1) =Jx(r1)

c2 ed è quindi ad esso numericamente uguale.

Analoghe corrispondenze varranno per le componenti y e z di A.

Nota: Applicando la (5.38)al caso di un sottile circuito elettrico, in cui scorra la corrente i, descrivibile

attraverso dalla linea chiusa Γ avremo dv1 = ds dl. Per cui potremo scrivere A (r2) =1

4πε0c2

´V

J(r1)r12

ds dl =

i4πε0c2

´Γ

1rdl ove dl è il generico elemento della linea Γ ed r la sua distanza dal punto r2.

Nel caso in cui si abbia tutta una serie di circuiti percorsi da correnti elettriche, per l’additività dei

potenziali avremo:

A (r2) =1

4πε0c2

k

ik

ˆ

Γk

1

rdlk

Esempio

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 195

Tanto per fissare le idee vediamo di valutare, attraverso il calcolo del potenziale vettore, il campo

magnetico dovuto ad un filo rettilineo infinito percorso da corrente.

Scegliamo l’asse coordinato k in direzione della corrente. In questo caso J ha solo componente z, per

cui la sola componente Az (r2) =i

4πε0c2

´Γ

1rdl di Asarà diversa da zero.

Potremmo anche calcolarci l’integrale che definisce tale componente. Notiamo tuttavia che questo

problema è formalmente analogo alla valutazione del potenziale elettrico dovuto ad un filo uniformemente

carico con densità di carica lineare λeiquv = ic2 . In quel caso si perveniva infatti alla φ = λ

4πε0

´Γ

1rdl.

In elettrostatica, per calcolare il potenziale dovuto al filo carico, si poteva anche valutare direttamente

l’integrale, tuttavia era conveniente, data la simmetria del sistema calcolare il campo elettrico tramite la

legge di Gauss e poi integrare.

Si era tovato, vedi eq. (3.18), E = λ2πε0

1r da cui integrando dall’infinito fino al punto in considerazione

φ = λ2πε0

(ln (∞)− ln (r)). Da cui infine φ = − λ2πε0

ln (r).

Per analogia avremo quindi nel nostro caso

Az (r2) = − i

2πε0c2ln (r) = − i

2πε0c2ln

x2 + y2

Derivando si trova infine per il campo magnetico :

Bx =d

dyAz = − i

2πε0c21

r

d

dy

x2 + y2 = − i

2πε0c2y

r2

By = − d

dxAz =

i

2πε0c21

r

d

dx

x2 + y2 =

i

2πε0c2x

r2

Bz = 0

Si ritrova quindi quanto già sapevamo: vedi equazione (5.15).

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 196

5.5 Dipolo Magnetico

Vediamo adesso di calcolare il campo prodotto da una piccola spira percorsa da corrente.

Domanda: Cosa si intende per “piccola spira”?

i

p

x

y

z

a

b

Figura 5.37: Generico punto dello spazio posto a di-stanza da una spira rettangolare percorsa da correntei

Quello che troveremo è che il campo prodotto

da una tale spira è formalmente simile al campo

prodotto da un dipolo elettrico; per questo si di-

ce usualmente che una piccola spira percorsa da

corrente costituisce un Dipolo Magnetico.

Detto risultato lo si può ricavare molto facil-

mente sfruttando l’analogia formale tra le espres-

sioni per i Potenziali Vettore A ed Elettrostatico

φ in termini delle rispettive sorgenti.

Consideriamo ad esempio la piccola spira piana

rettangolare di lati rispettivamente a e b percorsa

dalla corrente i come indicato in figura (5.37). Calcoliamo il Potenziale Vettore usando l’eq. (5.38).

i

p

x

y

z

a

b

i

p

x

y

z

a

b

!+

!"

!"

!+

p

p

Figura 5.38: Sistemi di sbarrette cariche danti luo-go a potenziali elettrostatici aventi rispettivamente lestesse espressioni della componente x ( parte superio-re della figura) ed y (parte inferiore ) del PotenzialeVettore duvuto alla spira di figura (5.37)

Se si sceglie un sistema di coordinate come

quello di figura (5.37), non avendo mai correnti

dirette come “z”, si ha evidentemente che Az (r) =

0.

Consideriamo adesso la componente x che è

data da

Ax (r) =1

4πε0c2

ˆ

V

Jx (r1)

r2dv1

ove r è la distanza del generico elemento dv1 dal

punto “p” in r = (x, y, z). Osserviamo che il vo-

lume di integrazione comprende solo due dei quat-

tro lati della spira, in quanto solo in essi la cor-

rente fluisce in direzione x. Inoltre, in uno delle

due conduttori Jx è positivo mentre nell’altro è

negativo.

Si vede quindi come, per l’analogia formale tra

le espressioni dei potenziali Elettrostatico e Vettore riportata a pag. 194, la componente x di quest’ultimo

è numericamente uguale al potenziale elettrico relativo a due sbarrette uniformemente cariche con densità

di carica rispettivamente date da λ = ± ic2 come mostrato nella parte superiore della figura (5.38). In

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 197

particolare, a grande distanza queste due sbarrette si comportano come un dipolo elettrico di momento

dipolare px = − |λ| baj. Il potenziale in r dovuto a tale dipolo è dato da φ (r) = 14πε0

px·err2 = − 1

4πε0λ ba y

r3 .

Per cui, nel nostro caso:

Ax (r) = − 1

4πε0

i

c2ba

y

r3

In modo analogo, vedi parte inferiore di fig. (5.38), ci possiamo ricavare l’altro momento di dipolo

per l’equivalente problema elettrostatico py = + |λ| bai. Ripetendo il ragionamento, è quindi evidente

che Ay: Ay (r) =1

4πε0ic2 ba

xr3

x

y

z

r

A

!

Figura 5.39: Linee del Potenziale Vettore a grandedistanza da una piccola spira percorsa da corrente

Osserviamo adesso che sia in Ax che in Ay

compare il prodotto i ba.

Esso costituisce l’unica grandezza sulla quale si

possano ottenere informazioni tramite misure fisi-

che; per questo indicheremo tale prodotto con un

simbolo, µ = i ba , e daremo ad esso un nome come

vedremo nel seguito.

Si scriverà quindi

Ax = − 1

4πε0c2µy

r3

Ay =1

4πε0c2µx

r3(5.39)

Az = 0

per le componenti del PotenzialeVettore. Inoltre il

suo modulo sarà dato da A

=1

4πε0c2µ

x2 + y2

r3=

1

4πε0c2µsin (θ)

r2

Ancora una volta, come in eq. (5.34), Ax ∼ −y ed Ay ∼ x, per cui le linee di A sono delle circonferenze,

come mostrato nella figura (5.39). Esse giacciono in piani paralleli al piano xy ed hanno i loro centri in

punti dell’asse z.

Per generalizzare il risultato procediamo come al solito.

Notiamo come il piano xy sia quello su cui giace la spira. Se quindi diamo a µ carattere vettoriale,

considerandolo diretto normalmente al piano della spira e con verso correlato al senso di circolazione della

corrente attraverso la regola della mano destra, si può scrivere:

A (r) =1

4πε0c2µ× r

r3(5.40)

Ove

µ = i S n (5.41)

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 198

è espresso in termini del valore della corrente e dell’area S = ab della spira ed è diretto come sopra

specificato.

Vediamo adesso di ricavare l’espressione dalle eq. (5.39) per il Campo Magnetico B.

Per le (5.31) si ha:

Bx =d

dyAz −

d

dzAy = − 1

4πε0c2µd

dz

x

r3

By =d

dzAx − d

dxAz = − 1

4πε0c2µd

dz

y

r3

Bz =d

dxAy −

d

dyAx =

1

4πε0c2µ

d

dx

x

r3

+

d

dy

y

r3

e, tenendo conto che ddz r

−3 = −3r−4 ddz

x2 + y2 + z2 = −3 z

r5 si ha ddx

xr3

= r−3 − 3x2

r5 e ddy

yr3

=

r−3 − 3y2

r5

Da cui infine:

Bx = − 1

4πε0c2µ3zx

r5

By =1

4πε0c2µ3zy

r5(5.42)

Bz =1

4πε0c2µ3z2 − r2

r5

Come noterete, le espressioni trovate sono formalmente identiche a quelle per il campo Elettrico di

un dipolo elettrico p ; vedi eq. (3.26). L’unica differenza è la sostituzione p =⇒ µc2

Per questo motivo alla grandezza fisica µ si dà il nome di Momento Dipolare Magnetico

Il risultato trovato è stato calcolato nel caso di una spira rettangolare.

Se la spira avesse avuto forma diversa cosa sarebbe cambiato?

Avremmo ottenuto gli stessi risultati usando per S, in eq.(5.41) e (5.42), l’appropriata espressione

dell’area della spira.

Se la spira non fosse stata piana?

Avremmo dovuto pensare di appoggiare sulla spira una rete sufficientemente fitta da poter considerare

ogni maglia come piana. Per ogni maglia valgono i risultati trovati, per cui il calcolo per il Potenziale

Vettore e per il momento dipolare magnetico si riducono ai seguenti integrali.

A (r) =1

4πε0c2i

ˆ

S

n× r

r3ds 1

4πε0c2

i´S nds

× r

r3

µ = i

ˆ

S

nds

Va notato come si parla di "dipolo" ma i "poli" non ci sono.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 199

Per questo, sebbene a grandi distanze il campo magnetico abbia caratteristiche identiche a quelle del

campo dipolare elettrico, a brevi distanze i due campi sono completamente diversi.

Come mai a grandi distanze i due campi tendono ad essere simili? Perché, in tale condizione, per la

maggior parte dello spazio sia E che B sono due vettori a divergenza e rotare nulli.

Momento di forza agente su di una spira

Si è visto che ad una spira percorsa da corrente è associabile un dipolo magnetico di momento dato

dalla eq. (5.41). Ora una spira percorsa da corrente non solo genera dei campi magnetici, ma pure è

soggetta a forze, se posta in zone in cui è presente un campo B esterno.

B

n

x

y

z

!

FF

a

b

Figura 5.40: Spira rettangolare percorsa da correnteposta in un Campo Magnetico uniforme. La dire-zione coordinata k è scelta coincidere con quella delcampo esterno mentre con n si è indicata la normalealla spira giacente nel piano yz.

Consideriamo il caso di una spira rettangolare,

di lati a e b, posta in un campo magnetico uni-

forme B = B0k come mostrato in figura (5.40).

Nella figura n giace nel piano yz e forma un an-

golo θ con la direzione del campo magnetico B.

Dato che su lati opposti della spira le correnti cir-

colano in senso opposto, mentre è identico il valore

del campo magnetico, le rispettive forze agenti sa-

ranno opposte le une alle altre,come mostrato in

figura.

Le due forze dirette lungo l’asse delle ascisse

hanno la stessa retta di applicazione e quindi si

compensano esattamente. Invece le due dirette co-

me “y” danno luogo ad un momento risultante τ

diretto come −i dato da τ = (a sin (θ)) i bB0

−i

= −µB0 sin (θ) i .

Si ha quindi

τ = µ× B (5.43)

ove ci siamo svincolati dal particolare sistema di coordinate ottenendo quindi l’espressione a validità

generale.

Notiamo come l’eq. (5.43) sia formalmente identica alla analoga elettrostatica. Il momento di forze

agente su di un dipolo elettrico vale infatti τ = p× E; vedi eq. (3.37).

Energia del dipolo magnetico

L’esistenza di un momento di forza implica che le varie possibili orientazioni della spira rispetto ad

un campo magnetico esterno non sono energeticamente equivalenti.

Ad esempio la spira, se lasciata libera di ruotare, tenderà a portarsi con la normale n parallela al

campo B ( cioè con l’angolo θ di figura (5.40) uguale a zero).

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 200

Si pone quindi il problema di trovare l’energia della spira allorchè è posta in un campo magnetico

esterno.

Essa dipenderà, a parte una costante additiva arbitraria, dalle variabili che definiscono il sistema e

cioè i moduli dei vettori µ e B e dall’angolo θ da questi definito.

Il criterio che scegliamo per determinare il valore dell’energia è lo stesso di quello adottato in analoghi

casi. Essa deve eguagliare il lavoro fatto per portare la spira dall’infinito, ove il campo esterno B è nullo,

fino alla regione finale e per orientarla in una definita direzione rispetto al campo.

Supponiamo di procedere secondo le seguenti tre fasi successive

• orientare la spira in modo tale che µ sia parallelo al campo B esistente nella zona finale

• portare la spira nel campo

• orientare la spira nel modo voluto

e calcoliamo il lavoro che dobbiamo compiere in ognuna di esse.

Per quanto concerne la prima operazione non si compie alcun lavoro: nella zona da cui partiamo il

campo magnetico è nullo.

F1

F2

(1)

(4)

(3)

(2)

B

n

x

yz

Figura 5.41: Trascinamento della spira dall’infinitofino alla regione finale.

Veniamo adesso alla seconda fase.

Anche se nella regione finale il campo è unifor-

me ed ha direzione definita, trascinando la spira,

dovremo attraversare zone a campo non uniforme

e di varia orientazione. In tali zone le forze agenti

sui vari lati della spira non sono uguali in modu-

lo. Riferendosi alla figura (5.41) e scegliendo come

direzione positiva delle ascisse quella del moto, si

possono non considerare sia le forze agenti sui lati

(3) e (4) della spira sia quelle dovute alle componenti di B giacenti sul piano xy. Dato che il moto avviene

lungo l’asse delle ascisse, non si deve infatti fare lavoro contro di esse.

Calcoliamo il lavoro L1 fatto contro la forza F1 agente sul lato (1) e dovuta alla componente z del

campo.

Si ottiene L1 = −´ x1

−∞ F1dx = −´ x1

−∞ i aBz(x) dx = −i a´ x1

−∞ Bz(x) dx ove a è la lunghezza comune

dei lati (1) e (2) della spira ed x1 il valore della ascissa relativa alla posizione finale del lato (1).

Per l’analogo lavoro L2 si ha L2 = −´ x1

−∞ F2dx =´ x2

−∞ i aBz(x) dx = i a´ x2

−∞ Bz(x) dx, per cui il

lavoro totale in questa seconda fase sarà dato da

LII = L1 + L2 = i a

x2ˆ

−∞

Bz(x) dx−x1ˆ

−∞

Bz(x) dx

= i a

x2ˆx1

Bz(x) dx

Nella zona finale il campo è uniforme e quindi l’integrale si calcola agevolmente ottenendo (x2 − x1)B0.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 201

Quanto vale (x2 − x1)?

Riferendosi alla figura(5.41) si vede che (x2 − x1) = −b con b lunghezza comune dei tratti (3) e (4).

Si ha quindi che il lavoro eseguito nella seconda fase è LII = −iabB0 = −µB0

Dovremo adesso considerare la rotazione in loco. Per variare l’angolo θ tra la normale ed il Campo

Magnetico di una quantità dθ dovremo intervenire con un momento di forze esterno. Verrà quindi fatto

un lavoro dL = τextx dθ = −τx dθ = µB0 sin(θ) dθ.

Integrando otterremo LIII = µB0

´ θ0 sin(θ) dθ = −µB0 [cos(θ)− 1] = −µ · B + µB0

Sommando i vari contributi avremo quindi:

L = LI + LII + LIII = 0 + (−µB0) +−µ · B + µB0

= −µ · B (5.44)

Questo risultato è analogo a quanto trovato nel caso del dipolo elettrico, vedi eq.(3.38), e saremmo tentati

di interpretarlo come energia del sistema.

Vi è tuttavia una importante differenza: un dipolo magnetico è molto più facilmente modificabile

di un dipolo elettrico. Nel calcolo appena fatto si è supposto che il valore del momento dipolare fosse

costante in tutte le tre fasi. Questo è vero solo se la corrente i che percorre la spira resta costante.

vf

vf

B

i

Figura 5.42: Spira che ruota in campo magneticoesterno. Ogni portatore partecipa al moto del filomentre fluisce lungo il conduttore.

Può darsi che la corrente tenda a variare quan-

do noi muoviamo la spira? Se così fosse il no-

stro calcolo sarebbe errato e quanto ricavato non

corrisponderebbe all’energia del sistema.

Il dubbio di aver trascurato qualche cosa do-

vrebbe venire pure dalla considerazione che le forze

magnetiche non compiono lavoro. Dato che que-

sto è vero, come abbiamo potuto trovare valori non

nulli?

Riferiamoci alla figura (5.42)che mostra di ta-

glio la spira mentre viene fatta ruotare nella zona

ove è presente il campo magnetico. Il lavoro fatto

in totale sarà uguale alla somma dei lavori fatti sui singoli portatori di carica. La forza agente su ciascun

portatore, dovuta al campo esterno, è data da q v× B per cui dovrò calcolare i lavori fatti da forze esterne

uguali e contrarie alle forze di Lorentz.

Per ogni particella, v è dato dalla somma di due termini. Il primo, che indichiamo con vd, è la velocità

dei portatori di carica lungo il filo ed è connesso al valore della corrente elettrica. Il secondo, indicato

con vf , deriva dal moto del filo stesso.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 202

Si ha quindi che q v × B = q (vd + vf ) × B. Il lavoro per unità di tempo contro le forze del campo

sarà dato da −q v ·v × B

= −q (vd + vf ) ·

(vd + vf )× B

che, con semplici passaggi, si riduce a

−q vd ·vf × B

− q vf ·

vd × B

.

Il secondo termine, integrato su tutti i portatori presenti in un elemento dl di filo, dà −vf ·i dl × B

.

Esso rappresenta il lavoro meccanico per unità di tempo che viene fatto dall’esterno e che abbiamo

utilizzato per ricavare la eq. (5.44).

Il primo termine rappresenta invece un lavoro che deve essere fatto contro una forza avente in generale

componente non nulla nella direzione del filo e che quindi tenderà a far variare la velocità di deriva dei

portatori e, con essa, la corrente ed il momento magnetico della spira.

Per mantenere invariata la corrente che fluisce nella spira è quindi necessario l’intervento di un qualche

apparato ( generatore di corrente) che, scambi pure esso energia con i portatori di carica e garantisca il

valore costante del momento magnetico della spira mentre essa viene spostata.

Per calcolare la energia del sistema dovremo sommare tutti i lavori e non limitarci a considerare il

solo lavoro di tipo meccanico. È d’altra parte evidente che la somma del lavoro meccanico più quello

fatto dal generatore dovrà in totale essere nulla.

Si ha quindi

Lmecc + Lgen−spira = 0 (5.45)

.

Sembrerebbe quindi che la variazione di energia totale del sistema sia nulla. Non abbiamo tuttavia

ancora terminato in quanto la spira percorsa da corrente genera pure essa un campo magnetico Bspira.

Con esso interagiscono le correnti presenti nei circuiti dell’apparato che genera il campo magnetico

principale B.

Per questo motivo, in assenza di un secondo generatore di corrente, connesso ai circuiti che generano

il campo magnetico principale, lo spostamento della spira causerà variazioni di detto campo.

Nel computo dell’energia del sistema dovremo includere anche il lavoro fatto da un secondo generatore

che provveda a mantenere costante la corrente nel circuito che produce il campo B.

Per valutare tale lavoro supponiamo quindi, invece di spostare la spira, di spostare il macchinario che

produce il campo magnetico principale. Per il principio di azione-reazione il lavoro di tipo meccanico

dovrà essere uguale a quello necessario per spostare la spira per cui potrò scrivere, in perfetta analogia

con la eq. (5.45) Lmecc + Lgen−B = 0 .

Sommando le due relazioni, si trova 2Lmecc+Lgen−spira+Lgen−B = 0 od anche Lmecc+Lgen−spira+

Lgen−B = −Lmecc

Al primo membro di questa ultima espressione compare la somma dei lavori compiuti dai tre soggetti

intervenenti; esso costituirà quindi l’energia totale del sistema.

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CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 203

Concludendo, l’energia della spira posta nel campo magnetico sarà data da

U = µ · B (5.46)

mentre Lmecc = −µ · B rappresenta solo il lavoro di tipo meccanico che si deve compiere, prescindendo

da quello fatto dai generatori, e non l’energia del sistema.

Termino notando che troverete casi in cui per valutare l’energia di un momento magnetico in campo

esterno si torna ad usare l’espressione −µ · B.

Ciò accade quando si trattano sistemi quantistici. Senza entrare in dettagli, si può capire l’origine

dell’espressione con il segno opposto considerando che in tali sistemi vi sono motivi fisici, riassunti nelle

cosiddette regole di quantizzazione, che provvedono a mantenere costanti i momenti magnetici od i campi.

Non è quindi necessario l’intervento sussidiario di alcun generatore.