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Capitolo 4
Cariche elettriche in moto e
fenomenologie connesse
4.1 Grandezze descriventi il moto di cariche
Nella precedente sezione abbiamo trattato delle forze e dei campi connessi alla presenza di cariche
elettriche la cui localizzazione spaziale, vista dal sistema di riferimento scelto, fosse indipendente dal
tempo.
Per poter estendere la trattazione al caso generale di cariche in moto, le cui traiettorie saranno descritte
da generiche funzioni del tempo ri = ri (t), dobbiamo prima introdurre delle grandezze che servano a
descrivere i moti di carica.
Ovviamente una grandezza fisica rilevante sarà, per ogni particella di carica qi il vettore velocità vi (t)
con esplicitata la sua eventuale dipendenza dal tempo.
Ovviamente l’attribuzione esplicita ad ogni singola particella del corrispondente vettore velocità sarà
possibile solo in un limitato numero di casi, quando cioè si abbia a che fare con un set discreto di cariche
finite e singolarmente ben individuabili.
Molto spesso non si è in tale situazione, basti pensare ad un metallo ove si ha un numero enorme di
particelle in moto, per di più localizzate in volumi che dal punto di vista macroscopico sono indistinguibili
da punti.
In simili casi non si può introdurre, in quanto sperimentalmente inaccessibile, la velocità di ogni
singola particolare carica.
Ciò su cui possiamo avere informazioni è il valor medio < vi (r, t) > della velocità delle cariche che,
istante per istante, si trovino all’interno di volumi, piccoli a livello macroscopico ma sufficientemente
grandi da contenere un numero enorme di particelle. Detto valor medio prende il nome di velocità di
125
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 126
deriva vd del sistema di cariche. Si ha:
vd (r, t) =< vi (r, t) >=
˚
velocita
η (r,v, t)v dv3 (4.1)
ove η (r,v, t) è la densità di probabilità che nel punto r ed all’istante t la velocità della particella por-
tatatrice di carica, detta anche semplicemente “portatore”, sia v. Nella eq. 4.1 l’integrazione è effettuata
sullo spazio delle velocità.
Se la densità di probabilità η non dipende dal tempo allora la velocità di deriva è stazionaria.
Per descrivere, dal punto di vista macroscopico, il moto di cariche elettriche, si introducono due
grandezze, legate tra loro, che prendono rispettivamente il nome di Intensità di Corrente Elettrica o,
semplicemente, Corrente Elettrica ed di Vettore Densità di Corrente.
La prima è una grandezza scalare mentre la seconda ha carattere vettoriale e descrive in modo
completo, dal punto di vista macroscopico, il moto delle particelle.
Partiamo da questo ultimo. Esso si indica normalmente con j (r, t) ed è definito dal un campo scalare
ρ (r, t)vd (r, t), ove ρ (r, t) e vd (r, t) sono rispettivamente la densità di carica e la velocità di deriva relative
al punto ed istante considerato.
j (r, t) = ρ (r, t)vd (r, t) (4.2)
Nel caso in cui si abbia a che fare con un sistema composto da un set di portatori, diversi tra loro per
carica qi, velocità di deriva vid e numero per unità di volume ni, avremo anche:
j (r, t) =
i
niqi vid (4.3)
Sv
n
Figura 4.1: Rappresentazione di un moto di cariche.Le linee continue sono le linee di forza del vettoredensità di corrente j. La superficie è una generica su-perficie aperta immersa nella zona ove sono presentile cariche in moto
La figura 4.1 mostra il campo del vettore densi-
tà di corrente ed una superficie S aperta immersa
nella zona ove sono presenti le cariche in moto.
La figura mostra anche la normale alla superficie
scelta.
Possiamo valutare il flusso del vettore j attra-
verso la superficie S. Si definisce in questo modo
la Intensità di corrente elettrica; in formule:
i = ΦS
j=
ˆ
S
j (r, t) · nds (4.4)
Ovviamente, essendo la corrente elettrica definita tramite un integrale, si perde con essa informazione
a riguardo dell’effettivo moto delle cariche.
È utile descrivere il moto di cariche tramite la corrente i quando questo sia comunque confinato in
strutture filiformi di cui si possano trascurare le sezioni rispetto a lunghezze o distanze in gioco.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 127
n
v dt
v n dt.
Figura 4.2: La carica che in un secondo attraversa lasuperficie è solo quella contenuta nel volume indicato
Affinchè della carica attraversi una superficie
conta solo la componente della velocità delle par-
ticelle parallela alla normale a questa. La figu-
ra 4.2 mostra come la carica, che in un tempu-
scolo dt attraversa la superficie di destra nel sen-
so indicato dalla normale, sia quella che dista da
essa meno di (vd · n) dt e che è quindi contenu-
ta nel volume dV = (vd · n) dt ds. Si ha per-
tanto dq = ρ (vd · n) dt ds ove al secondo mem-
bro si riconosce il flusso infinitesimo del vettore
j moltiplicato per l’intervallo temporale dt.
Si ha pertanto
di =dq
dt
da cui l’affermazione che la corrente è numericamente uguale al valore della carica elettrica che comples-
sivamente attraversa la superficie S nell’unità di tempo nel senso indicato dalla normale scelta.
L’unità di misura della corrente è l’Ampere, definito come Coulomb/Secondo, ed è stato scelto come
una delle unità fondamentali del sistema MKSA; vedi figura pagina 9. Vedi inoltre pagina 161 per la sua
definizione operativa.
La direzione della normale alla superficie S potrà essere scelta in modo arbitrario; ne consegue che il
valore della corrente che descrive il fluire delle cariche potrà essere sia positivo che negativo a seconda
della scelta effettuata.
Più precisamente:
• nel caso di cariche in moto positive, la corrente sarà positiva se la superficie viene attraversata in
senso concorde con la normale scelta, negativa nel caso contrario
• se invece le cariche elettriche in moto fossero di segno negativo, avremmo l’esatto contrario.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 128
4.2 Conservazione della carica elettrica
Avendo introdotto le grandezze che descrivono il moto di cariche elettriche, siamo in grado di scrivere,
in forma locale, una delle più importanti leggi di conservazione: quella della carica elettrica.
Le basi sperimentali di questa legge sono vastissime. In ultima analisi esse derivano dal fatto che le
forze elettriche sono enormi rispetto a quelle gravitazionali. Vedi quanto riportato a pagina 11.
Come precedentemente detto, le leggi di conservazione si possono esprimere sia sotto forma globale
che in forma locale. Questo è il primo esempio che incontriamo di legge di conservazione espressa in forma
locale, espresa cioè secondo la formulazione indicata a pagina 117. Per esprimere in forma locale la legge
di conservazione relativa ad una data grandezza fisica abbiamo infatti bisogno di due informazioni. La
prima è relativa alla evoluzione temporale della densità spaziale. La seconda consiste nella conoscenza di
un campo vettoriale che indichi come detta grandezza si muove nello spazio.
n
!(r,t)
J(r,t)
Figura 4.3: Volume V, delimitato dalla superficieS, immerso in una regione interessata al moto dicariche.
Nel presente caso, esse sono la densità di cari-
ca ρ (r, t) ed il vettore densità di corrente j (r, t);
entrambi espressi in funzione sia del punto dello
spazio che del tempo.
Se la carica si conserva, allora una eventuale va-
riazione della sua quantità complessivamente pre-
sente all’interno del generico volume, come quello
mostrato in figura 4.3, può essere dovuta solo al-
l’attraversamento, da parte delle cariche in moto,
della superficie che delimita detto volume.
Che la carica elettrica si conservi localmente
significa quindi che il flusso di j uscente attraver-
so una qualunque superficie chiusa deve eguagliare
la diminuizione della carica contenuta all’interno
della superficie.
Matematicamente questo si esprime con la seguente relazione:
ˆ
S
j · nds = − d
dtQint = − d
dt
ˆ
V
ρ dv (4.5)
ove n è la normale esterna alla superficie e Qint è la carica complessiva interna, esprimibile tramite un
integrale di volume della funzione densità.
Ovviamente la legge suddetta si può esprimere anche in forma differenziale.
Infatti, riscrivendo tramite il teorema di Gauss, riportato a pagina 32, l’integrale sulla superficie chiusa
S come un integrale sul volume interno ad essa e considerando che l’egualianza deve valere qualunque sia
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 129
il dominio di integrazione, si ha:
∇ ·j = d
dtρ (4.6)
Questa scrittura esprime in forma differenziale la legge di conservazione della carica elettrica espressa in
forma locale.
4.3 Conduzione nei metalli
Per avere moti di carica dovremo avere delle particelle libere di muoversi. Si è visto che questo avviene,
ad esempio, per le cariche presenti all’interno di materiali che abbiamo chiamato, per questo “conduttori”.
Prendiamo ad esempio un materiale metallico, tipico esempio di conduttore. Potremo porci le seguenti
domande:
• In quali condizioni avremo correnti elettriche?
• Il valore delle correnti a quali parametri fisici è correlato?
• Come possiamo identificare la particella responsabile del passaggio di corrente?
Veniamo alla prima delle domande
S
Figura 4.4: Moti delle particelle cariche in asssenzadi agenti esterni
In generale non avremo nel materiale corren-
ti elettriche in quanto, se consideriamo una qua-
lunque superficie ds interna al materiale, tanti so-
no i portatori che la attraversano in una direzio-
ne quanti quelli che la attraversano nella direzione
opposta, vedi figura 4.4.
In altri termini, anche se i singoli portatori si
muovessero all’interno del materiale con velocità
diversa da zero, non essendoci direzioni privilegia-
te la funzione di distribuzione delle velocità dei portatori sarà caratterizzata da simmetria sferica rispetto
al vettore velocità o, quantomeno sarà simmetrica per inversione η (v) = η (−v) e quindi la velocità di
deriva vd sarà necessariamente nulla.
a
bi
Figura 4.5: Al chiudersi dell’interruttore, unacorrente elettrica si instaura nel filo conduttore.
Si avrà quindi in generale j = 0.
Domandiamoci adesso: Come si può produrre
un moto di deriva di portatori di carica?
Come si potrà ottenete una vd = 0 e quindi una
corrente elettrica?
Dovremo introdurre una anisotropia spaziale.
Se ad esempio consideriamo un filo conduttore,
l’esperienza ci dice che perché esso sia percorso da corrente elettrica basta collegarne gli estremi a due
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 130
punti tra i quali esista una differenza di potenziale ( ad esempio ad i due poli di una batteria o di un
condensatore carico). Facendo riferimento alla figura 4.5, si vede come, chiudendo l’interruttore, una
corrente elettrica i prenda a fluire lungo il filo.
Domandiamoci: Come può accadere questo?
Il moto dei portatori di carica è determinato dai campi elettrici. Come può accadere che la chiusura
dell’interruttore modifichi i campi in punti del filo che possono essere anche a grande distanza dalla
batteria?
Se consideriamo poi i due punti (a) e (b) di figura, il campo elettrico dipolare generato dalla batteria
non dovrebbe essere praticamente lo stesso in entrambi? Come mai allora i portatori di carica si muovono
nei due punti in verso opposto?
Figura 4.6: Effetto “domino”
Quello che accade è che, chiudendo l’interrutto-
re, forniamo una via di fuga alle cariche che prima
erano obbligate a restare sul bottone della batte-
ria. Una parte di esse si porterà quindi sul filo
addossandosi alle altre qui presenti. Queste ulti-
me saranno respinte da quelle in arrivo e saran-
no consequentemente costrette a trasferirsi lungo
il filo, generando così spostamenti per altre cariche
localizzate nell’adiacente tratto di filo.
Si genera quindi una specie di effetto “domino”
che mette in moto tutte le cariche.
Quanto sopra descrive qualitativamente il fenomeno ma le cariche sono messe in moto da un campo
elettrico. Ho modo di valutarne il valore?
dl
! !+"!
Figura 4.7: Singolo elemento dl del filo di figura 4.5.Sono evidenziati i diversi valori della densità di caricaagli estremi, se l’elemento è percorso da corrente dasinistra a destra δρ deve essere negativo
Si può ragionare nel seguente modo. I due
poli della batteria saranno caratterizzati da lievi
accumuli di cariche di opposto segno.
Se si collega un filo metallico ovunque neutro
a detti poli carichi, esso non manterrà la perfetta
neutralità in ogni suo punto. A regime dovremo
avere, lungo il filo, una densità di carica che pas-
serà con continuità dal valore relativo al polo po-
sitivo fino a quello relativo al negativo. Se consideriamo quindi un elemento del filo, la densità di carica
immediatamente a monte differisce da quella immediatamente a valle.
Si viene per questo ad avere, all’interno del filo, un campo elettrico E locale per il quale dovrà
necessariamente valere
−ˆ
Γ
E · dl = V0 (4.7)
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 131
ove V0 è, nel nostro esempio, la d.d.p. fornita dalla batteria e la linea Γ è definita dal filo stesso.
Vediamo di calcolare il valore del campo elettrico1.
Esso in generale potrà variare da punto a punto del filo. In condizioni di equilibrio dinamico che,
puntualizziamo, sono caratterizzate dalla indipendenza dal tempo di tutti i parametri fisici2 il campo
elettrico intero dovrà avere invece identico modulo in ogni punto del conduttore, qualora quest’ultimo
fosse di sezione costante.
Riferiamoci all’elemento di filo di figura (4.7); se la velocità dei portatori in entrata differisse da quella
in uscita, si avrebbe nell’elemento di filo una variazione temporale della carica contenuta e non si sarebbe
quindi in condizioni di equilibrio dinamico.
Se la velocità non cambia, l’accelerazione del generico portatore risulterà nulla ed avremo quindi ove
E il campo elettrico interno.
Dall’uniformità della velocità di deriva discende quindi immediatamente quella del campo elettrico
all’interno del filo conduttore omogeneo e di sezione costante.
Andando oltre, l’indipendenza del campo dal particolare punto comporta che a parità di dl. si debbano
avere identici δρ o, più semplicemente che la derivata della densità di carica lungo il conduttore sia
costante.
Domanda: nel ragionamento precedente dove si sono usate le ipotesi di omogenità chimica e di
conduttore a sezione costante?
Nel semplice caso che il filo sia costituito da materiale omogeneo, potremo quindi scrivere per il modulo
del vettore campo elettrico la relazione:
E =V0
L(4.8)
ove L è la lunghezza del filo.
Quale è l’effetto di detto campo elettrico?
L’effetto sarà quello di accelerare i portatori producendo quindi una corrente.
Se riportiamo in grafico il valore della corrente in funzione del tempo per vari valori della d.d.p
applicata ( e quindi del campo elettrico interno) si trovano sovente andamenti come descritti in figura
4.8.
La corrente, e quindi il vettore densità di corrente, all’inizio aumenta rapidamente nel tempo con de-
rivata proporzionale alla d.d.p. applicata. Dopo il rapido aumento iniziale, dette grandezze si stabilizzano
ad un valore costante, proporzionale alla d.d.p. applicata e quindi anche al campo elettrico interno al filo.
t
i
V=V0
V=2V0
Figura 4.8: Andamento della corrente in funzione deltempo per due valori della d.d.p. applicata
In tali casi si dice che il conduttore segue la
legge di Ohm.1Ci riferiamo nel seguito alla sola componente lungo il filo, quella che determina il fluire delle cariche all’interno dell’og-
getto. Vi è infatti pure una componente del campo normale al filo; essa è presente nelle regioni di curvatura e dà originealla forza necessaria a modificare le traiettorie delle particelle interne al conduttore.
2Il potenziale, il campo elettrico, la densità di carica, la velocità di deriva dei portatori potrà dipendere da punto a puntoma, in ogni punto, sarà indipendente dal tempo.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 132
Evidentemente, perché ciò possa accadere, oc-
corre che il generico portatore di carica sia sogget-
to ad un’altra forza oltre a quella dovuta al campo
elettrico. Solo in queste condizioni si può pervenire
ad un equilibrio dinamico descritto da
J = σ E (4.9)
Nella espressione scritta, σ = σ (T, · · · , = E, = J)
prende il nome di conducibilità elettrica. Esso è un
parametro dipendente, oltre che dal materiale, dalla temperatura ed altro ancora ma, per un conduttore
Ohmmico, non dal campo elettrico E o dal vettore densità di corrente J .
I dati sperimentali si possono interpretare pensando che sul portatore di carica agisca una forza di
tipo viscoso F = −k v che si opponga al suo moto lungo il filo.
In tale ipotesi si può quindi scrivere per i portatori la seguente equazione di moto
mx = qE − k v
lungo la direzione del campo elettrico E.
Risolvendo la precedente si perviene, come è ben noto, ad una velocità di regime costante per il
portatore data da:
vd = v (t = ∞) =q
kE
per cui si trova infine
J =
i
niqiki
E = σ E (4.10)
ove la sommatoria corre sui vari tipi di portatori di carica eventualmente presenti.
Dalla equazione 4.10 si ricava immediatamente per la conducibilità elettrica:
σ =
i
niqiki
(4.11)
Consideriamo il generico elemento di filo mostrato in figura 4.7. Integrando nel volume da esso definito
entrambi i membri eq. 4.9 si ottiene:
i dl = σ S dV (4.12)
ove S dl e dV sono rispettivamente la sezione, la lunghezza e la differenza infinitesima di potenziale ai
capi dell’elemento di filo.
Per un conduttore composto da un set di N elementi di spessore molto piccolo rispetto alla sezione,
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 133
Materiale ResistivitàArgento 1.59 10−8
Rame 1.7 10−8
Oro 2.44 10−8
Alluminio 2.82 10−8
Tungsteno 5.6 10−8
Ferro 10 10−8
Platino 11 10−8
Piombo 22 10−8
Tabella 4.1: Resistività in Ωm per vari materiali
interessati tutti al passaggio della medesima corrente i, si ha dalla precedente per la differenza di potenziale
V presente ai capi della serie
V =
k
dVk = i
k
dlkσkSk
= i R (4.13)
Nel caso particolare in cui l’insieme degli elementi formi un filo omogeneo a sezione costante S e di
lunghezza totale L si ottiene
V =
L
σS
i = i R (4.14)
Nelle due precedenti si è introdotto un parametro, che prende il nome di Resistenza Elettrica espresso,
nel semplice caso di un conduttore omogeneo a sezione costante, da
R =1
σ
L
A=
L
A(4.15)
L’unità di misura della resistenza prende il nome di Ohm. Come ovvio dalla eq. 4.15, la resistenza
dipende non solo dal tipo di materiale ma anche dalla forma geometrica dell’oggetto.
Noterete che nella equazione 4.15 è stato introdotto il parametro , definito come l’inverso della
conducibilità, che prende il nome di resistività elettrica.
Nella tabella 4.1sono riportati i valori, a temperatura ambiente, per la resistività di alcuni metalli.
Tutti sappiamo che in un metallo i portatori di carica sono elettroni, ma come si è pervenuti a tale
scoperta?
Esperimento di Tolman e Stewart (1916) ( di Papaleksi secondo i russi)
Tutte le particelle sono cartterizzate da specifici valori per la carica elettrica q e la massa m. Sebbene
vi siano varie particelle dotate di identico valore per la carica, esse si differenziano in quanto a massa.
Per questo motivo il rapporto q/m identifica in modo univoco la particella.
L’esperimento di Tolman ha permesso di misurare il rapporto q/m del portatore di carica in un metallo
identificando quindi il portatore.
In figura è mostrato un cilindro di raggio R su cui è avvolto un filo di lunghezza L e di sezione S. Gli
estremi del filo sono fissati a due anelli metallici posti sugli assi, i quali, per mezzo di contatti striscianti,
sono collegati ad un galvanometro balistico3.3Strumento in grado di misurare il valore della carica Q complessivamente associata ad un impulso di corrente: Q =
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 134
Il cilindro è posto in rapida rotazione ed Ω è la sua velocità angolare.
Improvvisamente esso viene bloccato. In un tempuscolo molto piccolo la sua velocità angolare va
quindi a zero.
Cosa accadrà?
G
Figura 4.9: Schematico disegno dell’apparatosperimentale di Tolman e Stewart
Supponiamo che il filo sia costituito da una
struttura rigida e da un mare di portatori di carica
liberi di muoversi attraverso detta struttura, da lo-
ro vista come un mezzo viscoso. Mentre il cilindro
ruota, i portatori di carica e la struttura rigida del
filo si muoveranno assieme: la velocità media dei
portatori di carica relativa alla struttura del filo
sarà quindi nulla. In tali condizioni, non passerà
corrente attraverso il galvanometro. Quando il ci-
lindro viene improvvisamente bloccato, verrà bloc-
cata pure la struttura rigida che costituisce il filo
ma i portatori di carica continueranno per inerzia
a muoversi come prima.
Ciò significa che si avrà una corrente elettrica
lungo il filo.
Muovendosi rispetto al filo, i portatori saranno adesso affetti dalla forza viscosa che, in un breve lasso
di tempo, li riporterà in quiete rispetto al mezzo. Da qui il carattere impulsivo della corrente la cui carica
totale associata Q è rivelata dal galvanometro.
Come prima cosa possiamo determinare il segno della carica trasportata dai portatori.
Infatti la direzione in cui i portatori si muovono è determinata dal senso di rotazione del cilindro
prima dell’arresto e quindi, se il galvanometro indicherà una corrente concorde a tale direzione, vorrà dire
che i portatori di carica sono positivi e viceversa.
La corrente che percorre il filo va, come detto, rapidamente a zero permettendoci così di misurare solo
il valore della carica totale Q =´∞0 i (t) dt che attraversa una sezione del filo.
Dobbiamo quindi scrivere una espressione per Q in termini della carica q e della massa m del singolo
portatore di carica.
L’equazione di moto per il portatore, dopo che il cilindro è stato bloccato, sarà data da:
F = −k v = md
dtv
´∞0 i (t) dt. Ogni galvanometro può, in teoria, misurare la carica associata ad impulsi di corrente. Iniziando a fluire corrente,
l’indice del galvanometro acquista velocità; tuttavia, a causa dell’immediato cessare del flusso di particelle, la deviazionedell’indice raggiungerà un massimo per poi ritornare sullo zero. Il valore della carica Q è legato al valore della deviazionemassima dell’indice dello strumento.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 135
Da essa si ricava la velocità dei portatori di carica in funzione del tempo:
v (t) = v0 exp
− k
mt
Dalla velocità si ricava facilmente la corrente e da questa, integrando, il valore della carica Q.
Dalla J (t) = nq v (t) = ΩRnq exp− k
m t
si ha infatti
Q = S
∞
0
J (t) dt = S ΩRnq
∞
0
exp
− k
mt
dt = S ΩR
nmq
k
Come si vede la carica totale Q che ha attraversato il galvanometro balistico è esprimibile in termini della
carica e della massa del portatore. Nella espressione trovata compare tuttavia il rapporto incognito nk
tra il numero di portatori per unità di volume e la costante viscosa.
Per poter risolvere il problema occorrerà quindi acquisire altre informazioni. Questo rapporto nk
compare anche nell’espressione della conducibilità elettrica, vedi eq. 4.11, e determina quindi il valore
della resistenza elettrica del filo usato.
O si conosce la conducibilità del materiale di cui è costituito il filo oppure si dovrà procedere alla
misura della resistenza totale dell’avvolgimento, basandoci sulla eq. 4.14 ed utilizzando i metodi di cui
al corso di Laboratorio.
Una volta nota la resistenza, per mezzo della eq. 4.15 si ottiene la conducibilità.
Supponendo che la conduzione sia dovuta ad un unico tipo di portatore, si ha nk = σ
q per cui,
sostituendo si trova infine:q
m=
ΩR
QS σ
Usando tale relazione, fu ricavato sperimentalmente che qm −1.8 · 108Coulomb/grammo.
Valore questo caratteristico dell’elettrone.
Si è parlato di velocità di deriva dei portatori di carica, adesso abbiamo visto che in un metallo i
portatori di carica sono gli elettroni.
Non tutti gli elettroni partecipano però alla conduzione in quanto quelli interni sono fortemente legati
ai rispettivi nuclei.
Solo quelli di valenza, gli stessi che in una molecola sono responsabili del legame, sono in condizione
di potersi allontanare dall’atomo originario. Premesso questo, ci possiamo domandare quale sia l’ordine
di grandezza della velocità di deriva.
Prendiamo ad esempio il rame.
Se in un filo di 1mm2di sezione facciamo passare una corrente di 10A, si avrà una densità di corrente
J = 1010−6 = 107.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 136
Otterremo quindi nqvd = 107. Il numero di portatori per unità di volume n sarà dato da
n =δNA
Mnc
con ncnumero di elettroni che ogni atomo manda in conduzione ( =1 per il rame ), NA 6. 1023 atomi
per mole numero di Avogadro, δ 9 g/cm3 densità ed M = 64 g/mole peso atomico.
Si trova quindi :
vd 10764 10−6
9 6 10231.6 10−19≈ 10−3m/sec
Sembrerebbe quindi di poter dire che correnti anche relativamente elevate siano causate da velocità di
deriva molto piccole ( dell’ordine del millimetro al secondo) dei portatori.
In realtà per dire se dette velocità di deriva sono piccole o grandi occorre paragonarle con le velocità
che i portatori hanno, in media, nel conduttore in assenza di campi esterni.
Figura 4.10: Potenziale dovuto ai “core” atomici inuna molecola biatomica. A causa del valore negativodella carica dell’elettrone, l’energia di interazione èdi segno opposto.
Per rispondere a domande come questa occorre
andare un pò più nei dettagli di ciò che accade
all’interno del metallo.
Qual’è la dinamica degli elettroni in un metallo
in assenza di campi elettrici esterni?
Cerchiamo di rispondere avendo in mente ciò
che accade in una molecola.
Il generico elettrone di valenza è soggetto a:
• Interazione con i due “core” ( i due nuclei
schermati dagli elettroni interni).In figura
4.10è schematicamente rappresentato il po-
tenziale di interazione lungo l’asse di una molecola biatomica. Le posizioni dei nuclei sono pure
indicate.
• Interazione con gli altri elettroni di valenza
Data la forma del potenziale, l’energia degli elettroni è in parte cinetica ed in parte potenziale. Identiche
considerazioni valgono anche per gli elettroni in un metallo, che può pure essere visto come una gigantesca
molecola.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 137
4.4 Modello degli elettroni liberi
Molte proprietà dei metalli più semplici possono essere spiegate mediante un modello in cui si introducono
ipotesi semplificatrici riguardo la forma del potenziale visto dagli elettroni e le possibili interazioni tra
questi ultimi.
Sotto queste ipotesi che possono, come vedremo, sembrare a prima vista drastiche si determinano gli
stati ( l’analogo degli orbitali molecolari di una molecola) e le relative energie.
Per ottenere lo stato fondamentale del sistema si passa quindi al riempimento dei livelli con gli elettroni
a disposizione.
In altri termini, si procede in modo perfettamente analogo a quando si voglia trovare lo stato
fondamentale di una molecola.
Ipotesi semplificatrici:
1. Gli elettroni di valenza, in seguito chiamati “elettroni di conduzione” sono perfettamente liberi di
muoversi dentro l’intero volume del metallo ma non possono uscire da esso.
Si suppone, in altri termini, che il potenziale, all’interno del metallo sia uniforme e che le interazioni
con i “core”4 diano luogo unicamente ad una barriera di potenziale infinitamente alta, localizzata
sulla superficie del metallo. L’effetto di questa barriera consiste semplicemente nell’impedire agli
elettroni di abbandonare il conduttore.
2. Si trascurano le interazioni tra i vari elettroni di conduzione. Anche sapendo che sono tutti
negativamente carichi, supponiamo che, di fatto, non si respingano.
La prima delle due ipotesi suona subito ragionevole.
Ricordiamo che in Fisica un “punto” è una regione di spazio avente dimensioni lineari molto piccole
rispetto a quelle caratterizzanti il sistema o la parte di esso affetta dalla grandezza di interesse. Nel
caso particolare siamo interessati a ricavare l’espressione per orbitali che si estendono spazialmente per
centimetri se non per metri, e non per pochi Å come nel caso di una molecola. Il valore del potenziale
in un “punto” fisico interno al metallo sarà quindi ben descritto, per il nostro scopo, dal suo valor medio
relativo ad una regione che, sebbene piccola rispetto alle dimensioni lineari dell’ “orbitale”, conterrà
tuttavia un numero enorme di atomi. È chiaro quindi come tale media non dipenda dal “punto” e che
pertanto il potenziale possa essere considerato uniforme. Dato poi che il potenziale è definito a meno
di una costante additiva arbitraria, esso potrà essere assunto nullo. Ciò implica il considerare l’energia
totale del sistema di tipo unicamente cinetico5.
Per capire la logica fisica della seconda ipotesi occorre aver chiaro cosa significhi “interazione” e come
possiamo, sempre da un punto di vista fisico, dire se e quando due particelle abbiano interagito.4Insieme costituito dal nucleo atomico e dagli elettroni non di valenza5Questa approssimazione sarebbe del tutto errata per una molecola. In questo caso infatti l’orbitale si estende solo per
pochi Å e quindi un “punto” fisico ha dimensioni molto minori delle interdistanze atomiche e risente pertanto della suaposizione relativa rispetto ai nuclei.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 138
Metalli semplici Metalli più complessiAlcalini: Litio, Sodio ... Metalli nobili: rame, argento, oro
Be, Mg, Ca, Sr, Ba, Al, Ga, In, Tl, Pb Metalli delle serie di transizione: Lantanidi ed actinidi
Tabella 4.2: Applicabilità del modello degli elettroni liberi. Esso è adatto solo per i metalli semplici
Premessa indispensabile all’affermazione che “due particelle hanno interagito” è infatti l’osservazione
di un contemporaneo cambiamento delle variabili dinamiche di entrambe le particelle.
Se detto contemporaneo cambiamento non ha luogo, le suddette particelle non hanno interagito. Essa
quindi si basa su dati sperimentali di cui parleremo al termine della sezione.
Come risulta chiaro, il modello degli elettroni liberi potrà descrivere solo quei meccanismi che dipen-
dono dalla sola energia cinetica degli elettroni. Esso risulta adeguato in molti casi di metalli semplici. In
particolare, ciò avviene per quei metalli i cui elettroni di valenza sono di tipo “s” o “p”.
Al contrario, allorchè intervengano elettroni derivanti da shell “d” ed “f” ( gli elettroni “d” tendono a
restare sempre un pò localizzati e risultano meno mobili degli elettroni “s” e “p” ), i risultati ottenibili
con detto modello non sono altrettanto buoni.
Come descrivere un sistema di elettroni, una volta specificata la situazione fisica in cui si trovano?
Figura 4.11: Spettro di emissione di una lampadaal deuterio. Le righe indicate con Dα e Dβ corri-spondono alla serie di Balmer per transizioni m → nrispettivamente date da 3 → 2 e 4 → 2
Occorre aprire una breve parentesi6.
La fenomenologia riguardante gli elettroni mo-
stra caratteristiche peculiari: compaiono sempre
numeri interi.
Ad esempio, l’energia fornita ad un atomo di
idrogeno, in pratica al suo elettrone, ci viene resti-
tuita sotto forma di onde elettromagnetiche ( vedi
capitoli relativi) aventi lunghezze d’onda esprimi-
bili tramite una semplice relazione ove compaiono
i numeri interi n ed m. Vale1
λn,m= R∞ ·
1
n2− 1
m2
ove R∞ = 1.0973 · 107m−1 prende il nome di Costante di Rydberg ed m > n 7.
Per farci venire una idea su come descrivere sistemi di elettroni è quindi utile domandarsi:
In quali altri campi della fisica compaiono grandezze esprimibili in maniera semplice tramite numeri
interi?
Questo accade in acustica o, in generale, nello studio delle oscillazioni di corpi elastici.
Come esempio riporto la figura (4.12), schematicamente rappresentante i modi vibrazionali di una
corda tesa di lunghezza L inizialmente deformata come indicato dalle frecce. La corda è diretta in6La risposta esauriente la troverete nei corsi di Meccanica Quantistica. Voglio qui solo introdurre fenomenologie ed
alcune linee guida di meccanica classica che hanno portato al modello interpretativo7Per n = 1 si ha la serie ultravioletta detta di Lyman. per n = 2 quella di Balmer che cade invece nel visibile. Altre
importanti serie sono poi quelle infrarosse di Paschen e Brackett rispettivamente per n = 3 ed n = 4
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 139
direzione dell’asse delle ascisse con estremi nei punti di coordinate 0 ed L; essa inoltre vibra nel piano di
figura, indicato in seguito come piano “xy”.
L
L
L
1
2
3
Figura 4.12: Modi vibrazionali di una corda fissa-ta alle estremità. Ogni punto della corda vibra confrequenza definita ma con differente ampiezza. Lafigura mostra possibili aspetti visivi della corda; laregione ombreggiata è dovuta alla scarsa risoluzionetemporale dell’immagine retinica. Ogni modo puòessere identificato fornendo il numero corrisponden-te di antinodi riportato sulla sinistra, a fianco di ognipossibile aspetto visivo.
È evidente come ogni modo possa essere
individuato tramite il numero intero n, degli
antinodi.
Ciascun punto della corda si muoverà di moto
armonico caratterizzato da una ampiezza dipen-
dente dalla posizione. Quindi la coordinata y di
ciascun elemento della corda può essere espressa,
vedi primo corso di Fisica, tramite la funzione della
posizione e del tempo
y (x, t) = φ (x) · cos (ω t)
Dato poi che gli estremi della corda sono sempre fermi, si trova che
φ (x) = φ0 sin (k x) (4.16)
con k che può assumere solo i valori dati da
k =π
Ln (4.17)
con n intero maggiore od uguale ad uno. In altri termini i valori possibili di k sono quantizzati.
La stessa funzione seno presente nella eq. (4.16) garantisce infatti che, qualunque sia il tempo t, il
primo estremo della corda sia fermo: y (0, t) = 0.
La regola di quantizzazione fa sì che pure l’altro estremo della corda sia sempre fermo; sostituendo si
ha infatti
φ (L) = φ0 sin (k L) = φ0 sin (nπ) = 0
In meccanica, tutto deriva dalla soluzione di equazioni differenziali.
Domandiamoci quindi: la funzione φ (x) = φ0 sin (k x) di quale equazione differenziale è soluzione?
La risposta è evidentemente:d2
dx2φ (x) = −k2 · φ (x) (4.18)
in quanto una funzione seno è riprodotta, cambiata di segno, dall’operatore derivata seconda.
L’equazione scritta è un caso particolare di equazione della forma
O φ = Aφ (4.19)
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 140
comunemente detta ‘equazione agli autovalori ’ ove A è una costante ed O è un operatore che, operando
su di una generica funzione ψ, la trasforma secondo una data regola.
Risolvere la equazione (4.19) significa cercare quelle particolari funzioni che, a seguito della trasfor-
mazione, vengono riprodotte dall’operatore in questione moltiplicate semplicemente per una costante.
Nel caso particolare di eq. (4.18) O = d2
dx2 ed A = −k2 = −πL
2n2.
Come detto, i sistemi atomici sono caratterizzati pure loro da numeri interi.
È quindi ragionevole attendersi che siano descrivibili tramite funzioni che siano soluzioni di un’equa-
zione differenziale matematicamente simile alla (4.18).
Senza entrare in considerazioni che sono oltre lo scopo del presente corso, si vede che questa strada è
percorribile e si arriva a scrivere l’equazione differenziale che prende il nome di Equazione di Schroedinger8
ed avente la struttura della eq. (4.19).
L’operatore al primo membro corrisponde, per lo scopo della presente descrizione, alla Energia Totale
del Sistema, per cui la costante moltiplicativa A al secondo membro rappresenta l’energia di un elettrone
eventualmente descritto dalla autofunzione φ.
Riassumendo, l’equazione di Schroedinger prende quindi la forma:
Hφn = En φn
ove H è un operatore , detto Hamiltoniana, composto dalla somma di due termini rappresentanti ri-
spettivamente l’energia cinetica e potenziale della particella. La funzione incognita φn descrive lo stato
(l’orbitale) nmo, infine En è il valore dell’energia che compete ad una particella qualora posta in detto
stato φn.
L’equazione di Schroedinger è quindi un caso particolare di equazione agli autovalori.
Quale sarà la forma esplicita per l’Hamiltoniana che compare al primo membro in detta equazione?
La sua identificazione obbedisce alla regola generale, nota anche come “principio di corrispondenza”,
asserente che ad ogni grandezza classica misurabile corrisponda in meccanica quantistica un diverso
operatore. Se due grandezze classiche sono poi esprimibili l’una in funzione dell’altra tramite una data
espressione, la stessa espressione lega tra loro gli operatori quantistici corrispondenti.
Ad esempio, dato che l’energia cinetica T è esprimibile in termini dell’impulso p tramite la T = p2
2m ,
avremo che i rispettivi operatori quantistici sono legati da
OT =1
2mO2
p
Ricordiamo adesso che vogliamo arrivare ad una equazione differenziale tipo la eq. (4.18), caratterizzata
dal fatto che i due membri sono di segno opposto. Dato che l’energia cinetica è definita positiva, l’unico8Si dice che Schroedinger ebbe la “vampata di energia” per scrivere la sua equazione durante la settimana galante, passata
con una delle sue amiche ad Arosa nelle Alpi Svizzere, per il fine anno 1925
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 141
modo per ottenere una equazione matematicamente simile a quella delle corde vibranti è di ammettere
che l’operatore impulso sia proporzionale al coefficiente i dell’immaginario.
Come vedrete in altri corsi, si trova che l’operatore differenziale corrispondente all’impulso di una
particella è
Op = −i∇
con i coefficiente immaginario ed 1.054 10−34Js.
Avremo pertanto che l’operatore corrispondente all’energia cinetica è
OT = − 22m
∇2
Quindi nel caso più semplice di una particella libera per la quale l’energia potenziale sia ovunque nulla:
− 22m
∇2φn = Enφn
che, come riconoscete, possiede la stessa struttura matematica della eq. (4.18).
Cosa dire infine delle funzioni φn?
Nei casi più semplici esse hanno ovviamente la struttura matematica descritta in eq. (4.16).
Per chiarirne il significato fisico occorre notare un ulteriore dato sperimentale che caratterizza i sistemi
quantistici.
In meccanica classica si può misurare contemporaneamente e con precisione limitata solo dagli apparati
sperimentali sia la posizione r (t) che l’impulso p (t) di una particella. Si vede che per un elettrone questo
non è possibile e che, indipendentemente dalla bontà degli apparati sperimentali e dalla strategia di
misura, il prodotto delle rispettive indeterminazioni deve essere maggiore di una costante che si indica
con .
Vale il cosiddetto Principio di Indeterminazione, esprimibile tramite espressioni del tipo:
∆r ·∆p ≥ (4.20)
Se è teoricamente impossibile misurare una grandezza con precisione arbitraria, significa che la stessa
definizione fisica di quella grandezza è soggetta a limitazioni. Senza voler entrare nello specifico di altri
corsi, dico che ciò determina il significato fisico della funzione φn chiamata Autofunzione, od anche Orbitale
nel caso di atomi e complessi molecolari, e descrivente un possibile stato elettronico. In particolare il suo
modulo quadro fornisce la densità di probabilità di trovare, a seguito di una misura, la particella nei vari
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 142
punti dello spazio9:
ρ (r) =| φ (r) |2 (4.21)
Chiusa la parentesi torniamo all’argomento principale.
In un metallo semplice, gli elettroni di conduzione derivano dagli stati di valenza dell’atomo.
Ad esempio il Sodio ha 11 elettroni di cui solo uno di valenza ( il 3s ). In questo metallo l’elettrone 3s
perde memoria dell’atomo di origine e diviene un elettrone di conduzione. Se quindi nel nostro campione
ci sono N ∼ 1023 atomi avremo N elettroni che si muovono liberamente o quasi dentro di esso.
Si tratta di trovare gli stati di un sistema formato da 1023 elettroni.
Concettualmente non è una cosa molto diversa da quella di trovare gli stati possibili per un elettrone
in una molecola.
Facciamo un caso semplice.
! !
x
E
0
0 L
Figura 4.13: Buca unidimensionale infinita a fondopiatto.
Supponiamo di avere una catena unidimensio-
nale di atomi lunga L metri come mostrato in
figura (4.13).
Potremo trovare, attraverso la meccanica quan-
tistica, i possibili stati per un elettrone delocaliz-
zato. Supponiamo, per la prima delle ipotesi fatte
a pagina 137, che esso si venga a trovare all’interno
di una buca di potenziale a fondo piatto, larga L
e delimitata da pareti infinitamente alte.
La soluzione esterna alla buca è veramente semplice. Dato che | Ψn (x) |2 rappresenta l’ampiezza di
probabilità di trovare l’elettrone nel punto di coordinata pari ad x, non potendo l’elettrone trovarsi al di
fuori del metallo, la funzione d’onda deve essere nulla esternamente al tratto (0÷ L).
Per quanto riguarda la soluzione interna alla buca, per motivi di continuità con la soluzione ester-
na, identicamente nulla, l’ampiezza di probabilità per i punti interni alla catena deve tendere a zero
avvicinandoci agli estremi.
Dovranno valere quindi le seguenti condizioni al contorno:
Ψn (0) = Ψn (L) = 0 (4.22)
Nel nostro caso, ricordo inoltre, l’Hamiltoniana interna si riduce al solo operatore energia cinetica.9Può sembrare veramente strano che lo studio delle vibrazioni di una corda possa fornire la adeguata struttura matematica
per comprendere i comportamenti quantistici delle particelle. A mio avviso, questo fatto non deve sorprendere in quantoin natura esistono particelle di due tipi: i Fermioni ed i Bosoni. Dato che per i Bosoni non vale il Principio di esclusionedi Pauli, le proprietà quantistiche di dette particelle possono talvolta emergere anche a livello macroscopico. È dallo studiodi sistemi, riconosciuti a posteriori come costituiti da grandi numeri di Bosoni, che l’uomo si è costruito quel bagaglioosservativo e matematico risultato poi utile per comprendere il comportamento quantistico di tutte le particelle, sia Bosoniche Fermioni. Uno di questi sistemi è il Campo Elettromagnetico di cui tratta il presente corso.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 143
Essendo il problema caratterizzato da una sola dimensione, avremo:
H =p2
2m=
−i d
dx
2
2m= − 2
2m
d2
dx2
Dovremo quindi risolvere l’equazione
− 22m
d2
dx2Ψn (x) = EnΨn (x) (4.23)
identica a quella di eq. (4.18) relativa alla corda vibrante e con identiche condizioni al contorno.
Le soluzioni della (4.23) saranno quindi funzioni di tipo sinusoidale
Ψn (x) = Ψ0 sin (kn x) (4.24)
con la condizione di quantizzazione
kn = nπ
L(4.25)
ove n ∈ 1 · · ·∞ è un intero positivo.
Per trovare le energie En, sostituendo l’espressione esplicita della funzione d’onda nella equazione di
Schroedinger, si ottiene immediatamente
En =22m
nπ
L
2(4.26)
Per cui, al variare di n abbiamo quindi tutte le funzioni d’onda e le energie degli orbitali.
9
4
1
0 L
Figura 4.14: Primi tre stati quantici di una bu-ca infinita. Sono rappresentate le funzioni d’ondaposizionate verticalmente in base al corrispondenteautovalore dell’energia.
In figura (4.14) sono rappresentate qualitativa-
mente le prime tre soluzioni, per n rispettivamente
uguale ad 1, 2 e 3.
Occorre adesso riempire gli stati, utilizzando
l’ipotesi semplificatrice che gli elettroni di condu-
zione interagiscano solo debolmente tra di loro;
seconda ipotesi di pagina 137. Questo significa
supporre che la funzione d’onda e l’energia di uno
stato non dipendano da quanti elettroni di condu-
zione sono effettivamente presenti e che quindi le
soluzioni di eq. (4.24) ed eq. (4.26) valgano per
ciascuna particella.
Dato che gli elettroni obbediscono al Principio
di esclusione di Pauli e considerando che N atomi
monovalenti danno luogo ad N elettroni di conduzione, lo stato fondamentale del sistema sarà ottenuto
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 144
riempiendo con 2 e− tutti i primi N2 stati e lasciando vuoti tutti i successivi.
Ciò conduce alla introduzione della così detta Energia di Fermi che è l’energia del più alto livello
elettronico riempito per il sistema nel suo stato fondamentale. Si avrà:
EF =22m
N
2
π
L
2
=22m
k2F (4.27)
Concettualmente, l’energia di Fermi è analoga all’Energia di Ionizzazione di un atomo o di una
molecola.
Entrambe indicano infatti l’energia dell’ultimo stato elettronico occupato. Ciò che differisce è solo il
riferimento rispetto al quale nei due casi si valutano le energie.
Ora, osservando la eq. (4.27), si nota che NL non è altro che la densità lineare di atomi lungo la catena.
Ne discende che l’energia di Fermi non dipende dal numero di atomi presenti ma solo dalla loro densità
lineare ηL = NL , che è una caratteristica del particolare metallo.
Si può riscrivere:
EF =22m
π2ηL
2
Domandiamoci:
In quali situazioni potremo aspettarci che il sistema si trovi nello stato fondamentale, in cui tutti gli
stati di energia inferiore ad EF sono occupati con due elettroni mentre tutti gli stati superiori sono vuoti?
Allo zero assoluto il sistema si troverà nel suo stato fondamentale ma ad una temperatura finita quale
sarà la situazione?
Per rispondere a questa domanda occorre considerare una differenza esistente tra un sistema molecola-
re, che è formato da un numero relativamente limitato di atomi, ed un sistema metallico, che è costituito
da un numero di atomi dell’ordine del numero di Avogadro.
Essa riguarda la differenza in energia tra stati contigui.
La differenza di energia tra due stati successivi si può ottenere differenziando rispetto ad n l’espressione
per l’energia del generico stato data dalla eq. (4.26) e valutandone il valore per n = N2 . A rigore ciò non
sarebbe lecito essendo n un numero intero, ma dato che in corrispondenza con l’energia di Fermi assume
valori molto alti, si può considerare n alla stregua di una variabile continua. Si ottiene quindi:
∆E 22m
π
L
22n =
22m
π2 ηLL
che, come vedete, dipende dalla lunghezza della catena.
Diamo una valutazione numerica.
Per una catena lunga 10 cm, in cui gli atomi siano distanti 1.2Å, si trova:
∆E 1.054 10−34
2
2 · 9.11 10−313.142
1
1.2 10−10
1
0.1 5.0 10−27joule 3.1 10−8eV
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 145
Abbiamo trovato, come potete vedere, un valore molto piccolo rispetto a KBT a temperature ambiente,
che, ricordo, vale circa un quarantesimo di ElettronVolt.
f(E)
E
E F
1
K TB
Figura 4.15: Probabilità di occupazione degli statielettronici di diversa energia data dalla distribuzio-ne di Fermi-Dirac. In verde la situazione allo ZeroAssoluto, in rosso quella a temperatura finita T.
Da ciò segue che a temperature finite saran-
no occupati alcuni livelli sopra l’energia di Fermi
che erano vuoti allo zero assoluto. Corrisponden-
temente altrettanti stati, che erano occupati allo
zero assoluto, saranno adesso vuoti.
La figura (4.15) mostra, per varie temperature,
la probabilità di occupazione f (E, T ) degli stati
di energia E allo zero assoluto ed ad una tempe-
ratura finita T. La distribuzione mostrata pren-
de il nome di distribuzione di Fermi Dirac ed è
matematicamente espressa da
f (E, T ) =1
exp
E−µKBT
+ 1
(4.28)
ove µ è un parametro lievemente dipendente dalla temperatura che allo zero assoluto coincide con l’energia
di Fermi.
In altri termini a temperatura finita il sistema non sarà nel suo stato fondamentale.
La situazione appena descritta non è affatto tipica dei sistemi molecolari. Anche dalla semplice
constatazione che normalmente le molecole sono strutture stabili, e che, nella gran parte dei casi, a
temperatura ambiente le molecole sono tutte nel loro stato fondamentale, si deduce che la differenza
di energia tra i vari orbitali in una molecola è grande rispetto a KBT . in genere sono riportati valori
dell’ordine di 0.1÷1 eV per le differenze di energia tra gli stati elettronici delle molecole.
Dovrebbe quindi sorgere la domanda.
Qual’è quindi il motivo fisico in base al quale otteniamo invece, nel caso del solido, differenze di
energia enormemente piccole rispetto all’energia termica relativa a temperatura ambiente?
La risposta è semplice.
!+
!"
!2!1
Figura 4.16: Orbitali molecolari della coppia X2 edella catena X4 formata avvicinando due coppie X2
Supponiamo di costruire la catena partendo
da atomi singoli e procediamo nel modo sotto
indicato.
Costruiamo dapprima con essi tante “ molecole
biatomiche” X2. Permettiamo poi che si instauri
il legame tra coppie di molecole, ottenendo così
catene di quattro atomi che indichiamo con X4.
Colleghiamo poi a due a due tali catene in modo
da formare catene di otto atomi e proseguiamo così fino alla completa formazione della nostra catena.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 146
Partiamo dalla costruzione di X2.
Indicando con Φ1 e Φ2 gli orbitali atomici della coppia, gli orbitali di legame e quello di antilegame
della “molecola biatomica” saranno dati rispettivamente dalle loro due combinazioni simmetriche ed
antisimmetriche
Φ+ =1√2(Φ1 + Φ2)
Φ− =1√2(Φ1 + Φ2)
alle quali corrisponde un diverso valore dell’energia.
Domandiamoci dapprima a cosa è dovuta la differenza di energia tra gli orbitali di legame e di
antilegame nella molecola biatomica.
Dovremo per questo considerare le distribuzioni di carica associate all’occupazione dei due orbitali e
valutare le rispettive energie di interazione elettrostatica con le cariche nucleari.
Le densità di carica associate sono proporzionali, punto per punto, dal modulo quadro delle funzioni
d’onda (orbitali) relative ai due stati.
In formule, supponendo le funzioni reali e non complesse
ρ+ = −e1
2| Φ1 + Φ2 |2= −e
2
Φ2
1 + Φ22 + 2Φ1Φ2
ρ− = −e1
2| Φ1 − Φ2 |2= −e
2
Φ2
1 + Φ22 − 2Φ1Φ2
Ciò che differenzia le due distribuzioni è il segno davanti al terzo termine in parentesi; il quale è peraltro
diverso da zero solo in misura della sovrapposizione degli orbitali atomici originari. Questo termine de-
scrive un contributo alla densità di carica localizzato nella regione intermedia tra i nuclei atomici ove il
potenziale elettrostatico φ, dovuto a questi, è particolarmente alto. Nel caso della combinazione simme-
trica il valore assoluto della densità di carica elettronica subisce un incremento nella regione intermedia
tra i nuclei, mentre l’opposto avviene nel caso dell’altra combinazione.
Un semplice calcolo fornisce le energie e quindi la differenza di energia tra i due stati molecolari:
E+ =
ˆρ+φ dv = E0 − e
ˆΦ1Φ2φ dv
E− =
ˆρ−φ dv = E0 + e
ˆΦ1Φ2φ dv
∆E2 = E− − E+ = 2e
ˆΦ1Φ2φ dv
Come si vede, lo stato di minore energia è quello dato dalla combinazione simmetrica degli orbitali atomici;
esso prende per questo il nome di “orbitale di legame”.
Come dovrebbe essere chiaro dalle espressioni scritte, la differenza di energia tra gli orbitali di legame
e di antilegame è tanto maggiore quanto maggiore è la sovrapposizione degli orbitali e quindi quanto
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 147
maggiore è il valore del così detto integrale di overlap definito da
S =
ˆΦ1Φ2 dv
Supponiamo quindi che, a motivo della sovrapposizione degli orbitali atomici, le energie degli stati di
legame ed antilegame differiscano di ∆E2 = A.
Prendiamo adesso due “molecole” e costruiamo una catena di quattro atomi.
Avremo quattro orbitali, due di legame Φ(1, 2)+ e due di antilegame Φ(1, 2)
− che si mescoleranno tra
loro per dar luogo agli orbitali della nuova “molecola” di quattro atomi. Come è evidente, gli overlap
relativi agli orbitali delle due molecole saranno sensibilmente inferiori a quelli tra gli orbitali atomici
precedentemente descritti.
Ne segue che le separazioni in energia introdotte dal nuovo legame saranno più piccole di ∆E2 , come
mostrato nella parte destra di figura (4.16).
In particolare, essendo gli orbitali di legame e di antilegame rispettivamente localizzati essenzialmente
nelle regioni intermedie ed esterne agli atomi, si vede con qualche semplice calcolo che
ˆΦ(1)
− Φ(2)− dv 1
2
ˆΦ1Φ2 dvˆ
Φ(1)+ Φ(2)
+ dv ˆ
Φ1Φ2 dv
Questo significa che la massima differenza di energia tra gli orbitali della catena di quattro atomi sarà
∆Emax4 ∼ 3
2∆E2 = 32A.
A noi interessa l’energia media di separazione media < ∆E4 > tra gli orbitali. Avendo 4 orbitali
avremo che
< ∆E4 >=1
3∆Emax
4 ∼ 1
2A
cioè la metà della separazione energetica tra gli orbitali della coppia.
Procedendo nella costruzione della catena,ad ogni passaggio, raddoppiando il numero degli orbitali,
la media delle differenze di energia tra orbitali contigui continuerà a dimezzarsi. Si comprende quindi
come mai, per una catena formata da un numero enorme di atomi detta differenza media sia molti ordini
di grandezza inferiore all’energia termica a temperatura ambiente.
Che cosa accadrà nel caso tridimensionale?
Solo un rapido cenno.
Dato che l’elettrone potrà muoversi in tutte e tre le direzioni, dovremo considerare tutte le componenti
dell’impulso della particella.
L’equazione da risolvere sarà quindi:
− 22m
∇2Ψn (r) = EnΨn (r)
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 148
Invece che in termini di seni o coseni, conviene adesso cercare soluzioni nella forma di esponenziali con
argomento immaginario. Questa scelta è equivalente a quella adottata per la catena unidimensionale
in quanto ogni funzione seno è esprimibile, come sapete, in termini di esponenziali aventi argomento
immaginario.
Si arriva a soluzioni del tipo
Ψn (r) = expikn · r
(4.29)
con autovalori
En =22m
k2n (4.30)
Come nel caso unidimensionale, non tutti i valori di kn sono possibili. Se prendiamo ad esempio un cubo
di lato L si può vedere come le singole componenti x, y e z del vettore kn debbono obbedire alla regola
di quantizzazione precedentemente trovata ed espressa dalla eq. (4.25).
Il vantaggio della scelta per gli autostati di equazioni tipo (4.29) invece di funzioni sinusoidali consiste
nel fatto che le autofunzioni così costruite sono pure autofunzioni dell’impulso p e descrivono quindi
particelle che si muovono nello spazio con impulso definito.
Si può infatti facilmente verificare che per le funzioni suddette vale anche
−i∇Ψn (r) = knΨn (r)
Esse pertanto descrivono elettroni dotati di impulso
pn = kn
muoventesi nella direzione data dal vettore kn con velocità vn = knm .
Quale sarà lo stato fondamentale del mio sistema di elettroni?
Osserviamo l’espressione (4.30) appena trovata per l’energia degli stati monoelettronici.
Dipendendo dal modulo quadro del vettore kn avremo adesso una elevata degenerazione dei livelli.
Per quanto riguarda lo stato fondamentale del sistema, saranno doppiamente occupati tutti, e solo, gli
stati a cui competa un vettore kn di modulo minore od uguale ad un determinato valore. Detto valore,
generalmente indicato con KF , dove la F sta per Fermi, si determina imponendo che il numero totale di
stati occupati sia uguale alla metà del numero di elettroni a disposizione.
Voi sapete che quando si vogliono identificare gli orbitali di un atomo non si scrive, in generale,
l’espressione matematica dell’orbitale, ma si forniscono pochi numeri che lo caratterizzano pienamente.
Si parla quindi di orbitali “2p”, “3d”,”4s” ed altro ancora.
In perfetta analogia con gli orbitali di un atomo, qualora ci si voglia riferire ad un determinato stato
monoelettronico del nostro metallo, invece di scrivere la funzione, peraltro semplice, di eq. (4.29) si
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 149
Valenza Metallo Concentrazione elettronica Energia di Fermi Velocità di Fermi1 Sodio 2.65 1028 m−3 3.23 eV 1.07 · 106 ms−1
1 Rame 8.45 1028 m−3 7.00 eV 1.57 · 106 ms−1
2 Zinco 13.10 1028 m−3 9.39 eV 1.82 · 106 ms−1
3 Alluminio 18.06 1028 m−3 11.63 eV 2.02 · 106 ms−1
4 Piombo 13.20 1028 m−3 9.37 eV 1.82 · 106 ms−1
Tabella 4.3: Energia e velocità di Fermi per alcuni metalli
specifica ciò che la caratterizza e che la differenzia da tutte le altre. Si fornisce cioè il valore del vettore
kn.
Ora un vettore è una terna ordinata di numeri: in ultima analisi un punto in uno spazio opportuno.
Si viene quindi a stabilire una corrispondenza biunivoca tra punti nello spazio dell’impulso e orbitali
monoelettronici.
Allo zero assoluto, tutti gli stati monoelettronici occupati sono quelli i cui punti rappresentativi sono
posti all’interno di una sfera di raggio KF .
Tale sfera prende il nome di Sfera di Fermi e la sua superficie quello di Superficie di Fermi.
Velocità di Fermi che è la velocità con cui si muove un elettrone la cui energia è pari all’Energia di
Fermi.
In analogia con il caso unidimensionale si può vedere che KF dipende solo dal numero di atomi per
unità di volume ηv. Si trova:
KF = 3
3π2ηv
Da cui le espressioni per la Energia di Fermi e per la Velocità di Fermi.
EF =22m
3π2ηv
23
vF =m
3
3π2ηv
In tabella (4.3) sono riportati i dati per alcuni metalli.
Ci eravamo chiesti la ragione per la quale molti materiali seguano la legge di Ohm, o, in altre parole, per
quale motivo la forza viscosa, a cui classicamente sono soggetti gli elettroni, debba essere schematizzata
come proporzionale alla velocità di deriva.
Abbiamo adesso la risposta. Come si vede le velocità degli elettroni, in assenza di campo applicato,
sono dell’ordine del centesimo di quella della luce.
La velocità di deriva, il cui ordine di grandezza è di pochi mm/sec, risulta al confronto un qualche
cosa di veramente trascurabile.
In pratica il moto degli elettroni e quindi le loro interazioni con l’ambiente non sono modificati dalla
presenza del campo elettrico esterno. Consequentemente la costante viscosa di eq (4.10) sarà indipendente
dal valore del campo applicato. È per questo che moltissimi materiali seguono la legge di Ohm.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 150
4.4.1 Origine microscopica della Conducibilità Elettrica
Va notato come l’ipotesi stessa di introdurre una distribuzione di equilibrio nello spazio dell’impulso, nella
fattispecie sferica, implichi necessariamente che gli elettroni non siano perfettamente liberi di muoversi.
Una distribuzione di equilibrio per un sistema non può infatti derivare altro che da interazioni tra le
particelle costituenti che faccia continuamente perdere loro memoria del proprio passato.
Questa osservazione sembra mettere in crisi il modello appena sviluppato. Occorre quindi valutare
quanto sia il tempo medio τ necessario alle particelle per perdere detta memoria. Se esso fosse “ragione-
volmente” lungo il modello degli elettroni liberi potrebbe essere considerato accettabile; in caso opposto
andrebbe scartato.
Il dato sperimentale che ci permette di valutare il tempo τ è il valore della conducibilità elettrica.
Vediamo come mai.
Figura 4.17: Sfera di Fermi in sezione. In rosso, altempo t = 0, in assenza di campo elettrico applica-to; in verde dopo che un campo elettrico E è statoapplicato per un tempo t ed in assenza di interazionitra le particelle. Nella figura è evidenziato il centrodella sfera traslata che migra a velocità costante percui la velocità di deriva vd (t) risulta proporzionaleal tempo.
La figura (4.17) mostra la sfera di Fermi, per
motivi di semplicità grafica disegnata in uno spazio
a due dimensioni.
La traccia rossa rappresenta la situazione al-
lorché non è applicato alcun campo elettrico; la
velocità media degli elettroni è nulla e non passa
corrente.
Applichiamo, all’istante t = 0, un campo
elettrico.
Se gli elettroni non interagissero tra loro,
avremo, dalla F = ma = ddtp la
p (t) = p(0)− e E t (4.31)
per la dipendenza dal tempo t dell’impulso di
ciascun elettrone.
In altri termini, il punto rappresentativo nello spazio dell’impulso di ciascun elettrone si muoverebbe
a velocità costante − eE e la sfera di Fermi traslerebbe indefinitamente nel tempo. La velocità di deriva
è connessa con il punto centrale della distribuzione ed avremo quindi
vd (t) = −e E
mt (4.32)
Vediamo quindi che, se non intervenissero fatti nuovi la velocità media degli elettroni crescerebbe
indefinitivamente nel tempo e con essa la densità di corrente.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 151
e-
t
x
!
Figura 4.18: Diagramma di Feynman rappresentan-te processi di scattering per un elettrone in unastruttura unidimensionale. La linea verde rappresen-ta l’elettrone mentre quelle rosse rappresentano entiscatteratori. Sono rappresentati due eventi separatitemporalmente del tempo τ .
Come ricordato ed evidenziato in figura (4.8),
l’esperienza ci dice che questo non accade e che
quindi gli elettroni non sono perfettamente liberi.
Difatti essi si muovono in un mezzo. Potre-
mo pertanto supporre che, similmente a quanto
avviene per le particelle di un gas, gli elettroni si
muovano per un dato tempo come particelle libere
per poi collidere, vuoi con altri e−, vuoi con gli io-
ni costituenti il reticolo cristallino od altro ancora
descrivente il mezzo in cui sono immersi.
Supponiamo quindi che due successive collisio-
ni di una particella con l’ambiente siano, in media, separate da un intervallo di tempo < ∆t >= τ , come
graficato nello schema di figura (4.18).
A seguito di una collisione10 le particelle interagenti si distribuiscono in media in modo uguale l’energia
complessivamente posseduta, perdendo con ciò memoria del loro passato. Questo significa che in un
ipotetico urto tra due elettroni viaggianti in direzione opposta, quello dei due che aveva acquistato
energia dal campo elettrico cederà in media quanto acquisito all’altra particella. In tal modo entrambe
le particelle si riporteranno nelle condizioni precedenti l’accensione del campo elettrico.
Si torna con questo ad una distribuzione isotropa degli impulsi dei vari elettroni.
Quanto detto ci permette quindi di esprimere la velocità di deriva in termini del tempo medio τ che
separa due successive collisioni ottenendo dalla equazione (4.32) la
vd = −e τ
mE (4.33)
Da questa, potremo scrivere per il vettore densità di corrente
J = nqvd =
ne2τ
m
E (4.34)
che non è altro che la legge di Ohm.
In questo modello la conducibilità elettrica σ viene ad essere espressa da:
σ =ne2τ
m(4.35)
Come si vede contribuiscono a σ i seguenti fattori:
• densità di carica dei portatori per unità di volume: −ne
• accelerazione della particella in un campo elettrico unitario: − em
10Corso di Fisica 1
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 152
• tempo di vita medio del portatore come particella libera: τ
Un materiale segue la legge di Ohm quando nessuno dei tre parameti sopradetti dipende dal campo elettrico
applicato. Non inficiano invece la legge di Ohm possibili dipendenze dei tre elementi menzionati da altri
parametri come ad esempio la temperatura; questo in effetti sempre accade per τ .
A titolo di esempio riportiamo in figura 4.19 una tabella contenente i valori della resistività elettrica
per alcuni metalli a temperatura ambiente T0 = 20Celtius. In tabella è riportato pure il coefficiente
α (T0) =1
ρ(T0)
ddT ρ (T )
T=T0
esprimente la dipendenza con la temperatura della resistività.
Metallo ρ [Ωm] αK−1
Cu 1.72 10−8 0.0039
Ag 1.59 10−8 0.0038
Au 2.44 10−8 0.0034
Al 2.82 10−8 0.0039
Fe 1.0 10−7 0.005
Pb 2.2 10−7 0.0039
Bi 1.07 10−6
Ni 6.99 10−8
Figura 4.19: Tabella riportante per alcuni metalli laconducibilità elettrica a T0 = 20Cº ed il coefficientelineare termico α utilizzabile per valutare ρ a tem-perature prossime all’ambiente tramite la ρ (T ) =ρ (T0) · (1 + α (T − T0)). La tabella è tratta dahttp://en.wikipedia.org/wiki/Electrical_resistivity
Dalle misure di conducibilità o resistività elet-
trica possiamo quindi ricavare il valore del tempo
di vita medio τ dell’elettrone di conduzione come
particella libera.
Prendiamo ad esempio il rame a temperatura
ambiente. Si ha:
τT=20C =m
ne21
ρ 9.1 10−31
8.45 1028 · 1.62 10−38
1
1.72 10−8
∼ 2.5 10−14sec
È possibile, adoperando materiale estrema-
mente puro, quale quello elettrolitico, ed andando
a temperature dell’ordine di quella dell’elio liquido
(∼ 4K), ottenere per la resistività del rame valo-
ri cinque ordini di grandezza inferiori a quelli di
tabella (4.19). Ciò significa che:
τT=4Kº ∼ 2 10−9sec
Potrebbe superficialmente sembrare che i nostri elettroni abbiano tempi di vita media estremamente brevi
e che quindi l’approssimazione degli elettroni liberi cada in difetto. L’impressione è sbagliata in quanto
non abbiamo ancora stabilito un termine di paragone per il tempo valutato.
Moltiplichiamo per questo il tempo trovato per la velocità di Fermi, ottenendo il libero cammino medio
dell’elettrone: lo spazio percorso in media tra due successivi urti.
Si trova:
λ = vF τ ∼ 1.57 108 · 2 10−9 ∼ 3mm
Come vedete, si tratta di un libero cammino medio enorme se confrontato con le interdistanze atomiche,
che sono pure, per la particella in moto, le interdistanze medie tra i possibili bersagli.
In alcuni casi si trovano addirittura liberi cammini medi dell’ordine della decina di centimetri. Ogni
elettrone ha quindi una probabilità dell’ordine dei 10−7 ÷ 10−8 di interagire con un’altra particella
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 153
presente.
Il modello degli elettroni liberi sembra quindi essere corretto ben al di là di ogni ragionevole previsione.
Sorge quindi la domanda opposta:
Come mai la materia è così trasparente agli elettroni di conduzione? Deve esserci un motivo fisico !
Secondo la meccanica quantistica una particella può interagire con un’altra solo se ha a disposizione
degli stati liberi su cui trasferirsi. Va inoltre puntualizzato che più elettroni, essendo Fermioni, non
possono condividere un medesimo stato.
Ora, nel nostro caso, la massima parte degli elettroni di conduzione, tutti meno quelli prossimi alla
superficie di Fermi, non ha stati liberi vicini in energia su cui potersi trasferire.
La massima parte degli elettroni è quindi obbligata a non interagire con nulla. Da qui il grosso valore
del cammino libero medio.
CAPITOLO 4. CARICHE ELETTRICHE IN MOTO E FENOMENOLOGIE CONNESSE 154
4.5 Elettroni Quasi Liberi
Riferimenti da verifiche sperimentali legge gauss
4.6 Circuiti resistivi e Circuiti R-C
Capitolo 5
Magnetostatica
Si era detto che la forza agente su cariche elettriche è descritta dalla legge di Coulomb.
Notiamo tuttavia come nelle esperienze che ci hanno condotto a tale legge intervenissero solo cariche
in quiete. Quello che ci interessa esaminare è se, per cariche elettriche in moto, valga sempre tale legge
o se debba essere corretta.
Un semplice modo per ottenere cariche elettriche in moto consiste nel passare corrente in fili metallici.
Per verificare la validità della legge di Coulomb anche per cariche in moto si può quindi andare a vedere
se si instaurano forze tra fili metallici elettricamente neutri percorsi da corrente.
Come sappiamo, non si hanno forze tra due fili conduttori non percorsi da corrente.
Essendo essi costituiti da oggetti ( atomi) complessivamente neutri, la forza totale agente su di una
carica interna ad un filo sarà infatti data dalla somma di due contributi uguali ed opposti; rispettivamente
dovuti alle cariche di segno opposto presenti sul secondo conduttore.
Ammettiamo che il campo sia di tipo Coulombiano solo se dovuto a cariche ferme. Si avrebbero in
tale ipotesi dei termini aggiuntivi dipendenti dalla velocità delle particelle.
Ora se, facendovi scorrere corrente, mettiamo in moto i portatori di carica presenti nel primo dei due
fili, i due contributi non sarebbero più uguali ed opposti. Consequentemente sperimenteremmo una forza
netta agente sul secondo filo proporzionale ai termini correttivi non Coulombiani.
Dato che le forze elettrostatiche sono enormi rispetto a quelle gravitazionali, potrebbero facilmente
essere evidenziate deviazioni relative nella forza elettrica rispetto alla Coulombiana dell’ordine dei 10−39.
Se valesse sempre la legge di Coulomb, non si dovrebbe invece misurare alcuna forza.
Cosa dice l’eperienza?
• Se si fa scorrere corrente solo su uno dei due conduttori non si osserva alcuna forza.
• La situazione muta se la corrente viene fatta scorrere in entrambi i conduttori.
Semplici esperienze come quelle schematizzate nella figura (5.1) mostrano chiaramente come la legge di
Coulomb valga solo nei casi statici.
155
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 156
i
i
ii
Figura 5.1: Forze tra fili paralleli. I fili si attraggonose sono percorsi in senso concorde dalla corrente; sirespingono nella situazione opposta
Esse ci dicono che due fili percorsi da corren-
te in senso concorde si attraggono mentre due fili
percorsi in senso discorde si respingono.
Dato che per ottenere una forza netta occorre
che siano in moto i portatori di carica presenti in
entrambi i conduttori, i termini correttivi cercati
∆F devono dipendere, oltre che dal valore delle ca-
riche e dalla posizione relativa, anche dalle velocità
di entrambe le particelle, sia quella che produce il
campo che quella che lo subisce.
F (q1, v1) = q1 · EC (q2, r2,1) +
∆F (q1, q2, r2,1, v1, v2)
Come vediamo, il termine correttivo deve dipendere da tre grandezze vettoriali e non da una sola come
il termine Coulombiano. Questo lascia intuire che ci si possa trovare di fronte a situazioni molto varie e
differenti, a seconda della orientazione relativa dei tre vettori.
Ad esempio, fino ad questo momento, si sono trovate solo forze la cui direzione è data dal vettore che
unisce gli oggetti interagenti ( gli esempi di fig. (5.1) in questo non fanno eccezione).
i
i
F
Figura 5.2: Filo rettileneo percorso da corrente po-sto sopra un solenoide ( conduttore avvolto su di uncilindro) percorso da corrente. La forza agente sulfilo non è diretta verso il solenoide.
Consideriamo adesso il caso mostrato in figu-
ra (5.2), in cui un filo percorso da corrente è po-
sto sopra un avvolgimento, detto solenoide, pure
percorso da corrente.
L’esperienza ci dice che la forza agente sul fi-
lo non è diretta verso l’avvolgimento ma in una
direzione perpendicolare.
Questa ed altre esperienze ci fanno capire co-
me la forza che si instaura tra cariche elettriche in
moto sia non interpretabile in modo immediato1.
Si comprende quindi come solo attraverso varie
e complementari esperienze potremo metterne in
luce i diversi aspetti.
Dopo queste considerazioni qualitative vediamo di ricavare, tramite delle esperienze, le caratteristiche
di questo tipo di forze.1L’ipotesi che le forze agenti su due oggetti in interazione reciproca siano ugali ed opposte e che abbiano inoltre la stessa
retta di applicazione è stata usata per la derivazione delle Equazioni Cardinali della meccanica. Ci troviamo adesso di frontea fenomenologie che appaiono contraddire quanto fino ad ora supposto.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 157
Analogamente a quanto si è fatto in altri casi, si cercherà di descrivere i fenomeni attraverso l’intro-
duzione di un nuovo campo che, come si vedrà, dovrà avere carattere vettoriale. A tale campo si dà il
nome di Campo Magnetico e lo si indica generalmente con il simbolo B.
In altri termini, si cerca di scrivere la correzione ∆F (q1, q2, r2,1, v1, v2) come:
∆F (q1, q2, r2,1, v1, v2) = ∆Fq1, v1, B
(5.1)
ove
B = B (q2, r2,1, v2) (5.2)
Se l’impostazione è corretta, dovremo essere in grado di ricavare espressioni per ∆Fq1, v1, B
e
B (q2, r2,1, v2), in termini delle relative variabili, che siano consistenti con i dati sperimentali.
Possiamo tuttavia già da ora ricavare, tramite semplici considerazioni a riguardo delle esperienze
riportate in figura(5.1), alcune informazioni a riguardo delle dipendenze funzionali di ∆Fq1, v1, B
e
B (q2, r2,1, v2) .
r2,12q
1q
v1
2B v2
F1
r2,1 2q
1q
v1
2B v2
F1
Figura 5.3: Schema mostrante possibile interpreta-zione delle correzioni non Coulombiane alle forze tracariche in moto. Nella parte superiore il caso di parti-celle cariche muoventesi con velocità discorde; in bas-so il caso opposto caratterizzato da velocità parallele.Le cariche sono supposte entrambe positive.
Il fatto che sia necessario far scorrere corren-
te in entrambi i fili attesta che il contributo non
Coulombiano alla forza è unicamente dovuto al-
l’interazione tra gli elettroni di conduzione presen-
ti nei due conduttori. Il carattere repulsivo della
forza tra fili percorsi da corrente in senso opposto
suggerisce poi che la correzione di eq. (5.1) per le
due particelle cariche dello stesso segno, mostra-
te nella parte superiore di figura (5.3) e viaggian-
ti in direzioni opposte, sia in direzione concorde
al vettore di posizione relativa r2,1. In formule:
∆Fq1, v1, B
∝ r2,1.
Se invece le velocità fossero parallele, l’espe-
rienza suggerisce una direzione del vettore ∆F
antiparallela ad r2,1 come mostrato nella parte inferiore della figura. In formule : ∆Fq1, v1, B
∝ −r2,1.
Come si osserva, la forza è perpendicolare alla velocità e si inverte con questa. Dal punto di vista
matematico questa è una proprietà del prodotto vettoriale il cui risultato è perpendicolare al vettori dati
e si inverte invertendone uno di essi.
Questo suggerisce quindi che la forza agente sulla carica q1 possa essere interpretata tramite una
semplice funzione del tipo
∆Fq1, v1, B
= q1 · v1 × B = q1 · v1 × B (q2, r2,1, v2) (5.3)
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 158
ove la proporzionalità a q1 è stata esplicitata per tener conto dell’additività delle forze ed il vettore B è
diretto come in figura.
Ora la correzione ∆F si inverte pure invertendo la velocità della seconda particella. Ne consegue che
si dovrà invertire anche il campo B da essa prodotto. Come poi si osserva, esso è perpendicolare sia alla
velocità v2 che al vettore di posizione relativa r2,1. Sulla base di considerazioni del tutto simili a quelle
precedentemente esposte, si può quindi supporre che la sua direzione sia esprimibile tramite il prodotto
vettoriale v2 × r2,1.
In formule quindi:
B (q2, r2,1, v2) = q2 · fv2
,r2,1
, θ· v2 × r2,1 (5.4)
ove compare la funzione scalare incognita fv2
,r2,1
, θ
dipendente dai moduli dei due vettori v2 e
r2,1 ed inoltre dall’angolo tra essi formato. Per rispettare l’additività dei campi, il valore q2 della carica
è stato scritto a fattore .
Per vedere se queste ipotesi sono corrette e per la determinazione della funzione fv2
,r2,1
, θ
occorre analizzare in dettaglio tutta una serie di esperienze.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 159
5.1 Dati sperimentali
Uno dei maggiori scienziati che si è interessato alla descrizione ed interpertazione delle interazioni tra
circuiti percorsi da corrente è stato Ampere.
Figura 5.4: André-Marie Ampère (1775-1836)
Ovviamente, dato il periodo, la formulazione
delle leggi cercata da Ampere non era in termini
di campi ma di interazioni a distanza. Tuttavia il
suo contributo fu determinante.
Pure importante è sottolineare la motivazione
e la finalità del suo studio.
Egli infatti riteneva che, in analogia a quan-
to era accaduto con lo studio dei moti dei pianeti
e la legge della gravitazione, premessa per qual-
siasi spiegazione ed interpretazione teorica doves-
se essere una dettagliata analisi sperimentale dei
fenomeni che conducesse a leggi empiriche.
La comprensione dei fenomeni elettromagnetici
avrebbe successivamente dovuto spiegare il perché di quelle particolari leggi empiriche ( come era accaduto
con le leggi di Keplero sul moto dei pianeti e la succssiva legge di gravitazione universale dovuta a Newton).
Innanzi tutto Ampere dovette affrontare alcuni problemi sperimentali
• Egli non aveva a disposizione generatori di corrente stabili nel tempo e riproducibili. Come fare
quindi per mettere in relazione le forze con le correnti?
Ampere ricorse spesso a misure di zero. Sovrapponendo gli effetti di varie correnti, cercò di mettersi
in condizioni tali che i loro effetti meccanici su di un circuito libero di muoversi si compensassero
esattamente. Dall’osservazione delle condizioni per cui tale compensazione aveva luogo dedusse
quindi le proprietà delle interazioni “magnetiche”.
• Occorreva inoltre eliminare l’influsso della Terra ( oggi diremmo del campo magnetico terrestre ).
Per ottenere ciò progettò i suoi strumenti in modo che fossero sensibili solo agli effetti di correnti
elettriche poste in vicinanza. Gli strumenti erano progettati in modo che che gli effetti di campi
magnetici uniformi, come quello terrestre all’interno del laboratorio, si elidessero tra loro. Un tipico
esempio è la cosiddetta Bilancia di Ampere schematicamente rappresentata in figura (5.5). Essa
è costituita da un doppio quadro di filo che può solo ruotare rispetto all’asse verticale indicato.
Nella figura le frecce indicano il verso di percorrenza della corrente. Come si vede, per motivi di
simmetria, il momento assiale delle forze dovute al campo terrestre non può che essere nullo. Lo
stesso non varrà, in generale, per il momento assiale delle forze dovute a fili percorsi da corrente
posti nelle vicinanze. Essi saranno infatti, di norma, più vicini ad un quadro che all’altro.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 160
• Non avendo a disposizione strumenti atti a misurare correnti con la necessaria precisione, occorreva
pure svincolarsi dalla necessità di tali misure.
Per questo il circuito che generava il campo e quello che lo doveva misurare ( bilancia ) erano collegati
in serie in modo da essere attraversati dalla stessa corrente. Questa disposizione sperimentale, in
connessione con la esecuzione di misure di zero, permette di trarre conclusioni indipendenti dal
valore effettivo delle correnti. Ciò avvene in quanto detto valore si fattorizza.
Ampere dovette pure fare intelligente uso di considerazioni generali come ad esempio quelle relative alla
simmetria degli apparati sperimentali.
ii
Figura 5.5: Rappresentazione schematica di una Bi-lancia di Ampere. I terminali del circuito sono im-mersi in pozzetti contenenti mercurio a loro voltacollegati ad una batteria ed ad un circuito esterno.La bilancia può solamente ruotare attorno all’assebaricentrico verticale mostrato.
Egli dovette inoltre, come vediamo subito, po-
stulare che queste nuove forze fossero additive ( co-
me del resto lo sono tutte le forze finora incontrate
).
L’additività delle forze ha due conseguenze:
1. La forza che si esercita su di un tratto dl
di filo percorso da corrente è proporzionale
alla lunghezza del dl stesso. Come si vede
nella parte destra di figura (5.6) la forza to-
tale agente sui due elementi di filo in serie,
essendo la somma di quelle separatamente
agenti su ciascun elemento, dovrà essere dop-
pia rispetto a quella agente su ciascun tratto
componente. I due elementi di filo in serie
possono essere considerati come un unico elemento di lunghezza 2 dl, quindi F 2dl (i) = 2 Fdl (i)
2. La forza è proporzionale alla corrente i che
percorre il filo. Come si può, infatti, ot-
tenere una corrente esattamente doppia di
una corrente data? Semplicemente ponen-
do a contatto del primo, un secondo circuito
identico e collegando in serie i due elemen-
ti. la parte sinistra di figura (5.6) mostra
due tratti dl affiancati dei due circuiti. È
evidente come i due tratti di filo adiacenti
percorsi dalla stessa corrente siano comples-
sivamente equivalenti ad un tratto solo per-
corso da corrente doppia. Si vede quindi che
Fdl (2 i) = 2 Fdl (i)
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 161
Detta additività è alla base della definizione dell’unità di misura della corrente.
Si dice infatti che due fili sono percorsi da una corrente unitaria ( 1 Ampere ) quando, se posti
parallelamente l’uno dall’altro ad un metro di distanza, essi si attraggono (o si respingono) con una forza
pari a 2 10−7N per ogni metro di lunghezza.
dl
iids
ds
dl
i
i
ds
dl
Figura 5.6: Due elementi di filo dl interessati dallamedesima corrente i posti in parallelo ed in serie traloro
Il motivo del particolare valore numerico lo
vedremo in seguito.
Vediamo adesso di descrivere delle esperienze
tramite le quali si possano caratterizzare le forze
agenti su fili percorsi da corrente.
5.1.1 Direzione della Forza
Come prima domanda chiediamoci in quali dire-
zioni può essere diretta la forza agente su di un
filo percorso da corrente.
i
i
dl
c
o
dFtdFr
Figura 5.7: Archetto di cerchio percorso da correnteposto in un piano orizzontale e vincolato a ruotareattorno ad un asse verticale. Sulla sinistra schemadell’insieme, a destra l’archetto visto dall’alto
Per rispondere a questa domanda prendiamo
un circuito a forma di arco di cerchio giacente su
di un piano orizzontale e che possa solo ruotare
attorno ad un asse verticale; vedi figura (5.7). Ta-
le arco è collegato, tramite i pozzetti “p” e “p’ ”
contenenti mercurio, ad una matassa M di filo, la
cui posizione può essere variata a piacere. Pure la
posizione dei pozzetti di mercurio è variabile.
Si osservano i seguenti fatti:
1. Se il centro “c” dell’arco di cerchio non coin-
cide con il centro di sospensione “o”, generalmente l’arco di cerchio ruota attorno all’asse. Solo per
opportune posizioni della matassa M e dei pozzetti di mercurio l’archetto non ruota.
2. Se invece il centro dell’arco coincide con “o”
l’arco resta sempre immobile qualunque sia
la posizione di M e dei pozzetti “p” e “p’ ”.
Cosa si può dedurre da questo dato sperimentale?
La forza dF agente su di ogni elemento di filo dl è perpendicolare al dl stesso.
Solo in questo caso, infatti, non può mai esservi momento assiale quando “o” e “c” coincidono.
Scomponiamo infatti il dF agente su di un genetrico tratto dl del filo nelle tre componenti sotto
descritte. Una diretta come il dl ed indicata in figura (5.7) con dF t, l’altra parallela all’asse di rotazione
e la terza, dF r, diretta perpendicolarmente alle prime due e cioè verso il centro dell’arco di cerchio.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 162
Vediamo facilmente come, la eventuale componente parallela al dl darebbe sempre luogo ad un
momento assiale diverso da zero, indipendentemente dal fatto che “c” ed “o” coincidano o meno.
L’annullarsi del momento sarebbe attribuibile solo a compensazioni, le quali potrebbero avvenire solo
ponendo la matassa M ed i pozzetti in posizioni ben particolari.
Delle altre due componenti, una non da mai luogo a momento assiale, mentre l’altra, quella diretta
verso il centro dell’archetto, da luogo a momento solo se “c” ed “o” non cioncidono.
Il dato sperimentale indica quindi che l’eventuale rotazione è dovuta al momento associato a dF r e
che la componente dF t, parallela al dl, non esiste.
Non esistendo la componente parallela, la forza sarà necessariamente perpendicolare all’elemento di
filo.
5.1.2 Espressione della forza in termini del campo magnetico
Quindi la forza è perpendicolare al dl, ma per il resto come sarà?
Noi vogliamo descrivere questi fenomeni pensando che esista una modificazione dello spazio nel punto
ove è posto l’elemento di filo e che tale modificazione sia descrivibile tramite un campo vettoriale B. La
forza deriverà dalla interazione locale tra elemento di filo e campo.
Se ci poniamo in questo schema, dobbiamo supporre fisicamente esistere, nel punto dello spazio occu-
pato dall’elemento di filo oltre al vettore dl, anche il vettore campo B avente modulo, direzione e verso
definiti, anche se per il momento incogniti.
Le direzioni di questi due vettori determinano un piano π su cui entrambi giacciono e si può scrivere
la direzione della normale a questo piano come n = versdl × B
. Detta normale sarà ovviamente
perpendicolare all’elemento dl di filo. Una seconda direzione sempre normale all’elemento di filo e normale
pure ad n giacerà nel piano π e sarà data da m = versdl ×
dl × B
.
9090
90
n
B
dl
m dF
Figura 5.8: Scomposizione della forza agente su diun elemento di filo dl
In base a quanto detto, la forza che agisce sul
dl sarà esprimibile come
dF = i fdl, B, θ
ove f è una incognita funzione vettoriale e θ, an-
golo tra i due vettori dl e B , è l’unico parametro
geometrico che caratterizza il problema.
Per l’additività delle forze, la corrente appare a
fattore. Per lo stesso motivo la funzione f dovrà essere lineare in dl e, se vogliamo che ad una modificazione
doppia dello spazio corrisponda una forza doppia sull’elemento di corrente, dovrà essere lineare pure in
B.
L’esperienza appena discussa ci dice poi che dF giace nel piano definito dai due versori n ed m; vedi
figura (5.8).
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 163
Solo l’esperienza ci potrà dare informazioni sul valore delle componenti lungo le due orientazioni del
piano.
Procediamo quindi come segue.
i
i
ii
Figura 5.9: Bilancia di Ampere, con rami vertica-li costituiti da fili rettilinei, posta simmetricamenterispetto a due fili paralleli percorsi da corrente. Ilmomento assiale è nullo per motivi di simmetria
Prendiamo ad esempio, come mostrato in figu-
ra (5.9), due fili molto lunghi e poniamoli vicino
ai tratti verticali di una bilancia di Ampere, ad
uguale distanza da essi e dallo stesso lato dei qua-
dri. Colleghiamo in serie circuiti in modo che, alla
chiusura dell’interruttore, la corrente scorra come
indicato. Sperimentalmente si vede che la bilancia
non ruota, come ci si aspetta vista la simmetria
del sistema.
Sostituiamo adesso la bilancia con una avente
un lato seghettato come quella della figura (5.10).
Dato che il filo costituente un braccio è ora
molto più lungo dell’altro e dato che le forze sono
proporzionali alla lunghezza dei fili, ci si aspetterebbe che la bilancia non sia adesso in equilibrio. Si
vede invece sperimentalmente che la bilancia resta ugualmente in equilibrio ( ovviamente occorre che
l’ampiezza delle anse del filo siano molto più piccole della distanza che le separa dal filo rettilineo).
i
i
ii
Figura 5.10: Stessa disposizione sperimentale diquella di figura (5.9), ma con un braccio dellabilancia sostituito con un filo seghettato
Si può anche facilmente vedere che quanto tro-
vato non è dovuto a compensazioni. Ad esempio,
ripetendo l’esperienza con bilance aventi tratti se-
ghettati e tratti rettilinei disposti nel modo più
vario si perviene sempre allo stesso risultato.
Questo dato sperimentale non era prevedibile a
priori sulla base di argomentazioni di simmetria e
dipende quindi dalle caratteristiche della forza di
interazione che stiamo studiando.
Quello che possiamo concludere è che le for-
ze agenti su di un tratto di filo rettilineo e su di
un tratto seghettato, che parta e termini ove par-
te e termina il filo rettilineo, sono esattamente le
stesse. Questo deve valere non solo per i fili nel loro complesso, ma anche a livello della singola ansa.
In altre parole, facendo riferimento alla figura (5.11), si può dire che la forza che agisce sul tratto
di filo dl è uguale alla somma delle forze che agiscono rispettivamente sui tratti dl1 e dl2 formanti una
singola ansa, e questo indipendentemente dalla particolare direzione locale di B.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 164
Dal paragone di questa evidenza sperimentale con le regole matematiche della somma vettoriale, si
ricavano informazioni sulla struttura dell’interazione.
dl
dl1
dl 2B
!
!1
!2
Figura 5.11: Tratto di filo dl ed ansa costituita dallasuccessione dei due tratti dl1 e dl2. Le forze agentisul tratto rettilineo e sull’ansa sono identiche.
Dato che l’uguaglianza è sperimentalmente
sempre valida, lo sarà anche se il campo giace nel
piano definito dai tre vettori come per semplicità
riportato in fig. (5.11).
Consideriamo dapprima la componente del
dF diretta come n = versdl × B
, cioè
perpendicolarmente al piano del disegno.
In base a quanto detto, il suo modulo dovrà
essere una funzione dell’angolo θ e lineare in dl e
B.
Si può quindi scrivere in tutta generalità come
dFn = i · g (θ) dl × B ove g (θ) è una incognita
funzione dell’angolo.
L’ esperienza ci dice che:
dFn = i · g (θ) dl × BFisica= i · g (θ1) dl1 × B + i · g (θ2) dl2 × B
mentre invece, dato che vale dl = dl1 + dl2, potremo pure scrivere:
dFn = i · g (θ) dl × BMatematica
= i · g (θ) dl1 × B + i · g (θ) dl2 × B
dldl1
dl 2
BF
1F
Figura 5.12: Caso particolare in cui il campo siadiretto parallelamente a dl2
Come potranno le due uguaglianze valere
entrambe?
Evidentemente ciò può accadere solo se la fun-
zione g (θ) non dipende dall’angolo θ. In altre
parole se g è una costante.
Si perviene ad identica conclusione pure suppo-
nendo che il campo magnetico sia perpendicolare
al piano di figura (5.11). Quindi l’indipendenza di
g da θ vale in generale.
Consideriamo adesso la componente della forza
diretta nell’altra direzione.
Potremo ragionare in modo analogo, ma è più semplice considerare il caso particolare descritto dalla
figura (5.12) ove si suppone inoltre che il campo B sia parallelo a dl2.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 165
Per motivi di continuità, la forza che agisce su dl2 sarebbe necessariamente nulla in questo caso. Essa
infatti si deve invertire in direzione per piccole rotazioni del campo rispetto alla normale alla figura.
Al contrario, le forze che agiscono sui restanti due tratti non sarebbero necessariamente nulle. Esse
giacerebbero nel piano di figura e sarebbero dirette perpendicolarmente ai rispettivi tratti.
Ne consegue che esse avrebbero direzione diversa e quindi non potrebbero essere uguali a meno che
non fossero di modulo esattamente nullo.
Da ciò segue che la forza di origine magnetica agente su di un tratto di filo dl non può avere componente
nella direzione m = versdl ×
dl × B
per cui si potrà scrivere in tutta generalità:
dF = i fdl, B, θ
= i dl × B (5.5)
Come si noterà si è omessa la costante g ( il che equivale a porla uguale ad uno ).
Questo in quanto il suo valore numerico dipenderà dalla scelta delle unità di misura di corrente e
Campo Magnetico.
Definito l’Ampere come unità di misura della corrente, la posizione g = 1 definisce l’Unità di Misura
del Campo Magnetico.
Nel sistema MKSA essa prende il nome di “Tesla” e si indica con la lettera “T ”.
Esso è quindi quel campo che determina, su di un conduttore percorso da una corrente di un Ampere,
una forza di un Newton per unità di lunghezza.
Come inoltre noterete, l’ipotizzata espressione (5.3) è sperimentalmente verificata.
5.1.3 Orientazione del campo dovuto ad un elemento di corrente
ii
i
i
Figura 5.13: Bilancia di Ampere con un braccioposto ad uguale distanza da due conduttori verticali
Siamo adesso a metà strada.
Quello che dobbiamo ora determinare è la rela-
zione tra le correnti ed i campi magnetici da esse
generati.
Anche a questa domanda non potremo
rispondere se non facendo ricorso a delle misure.
Prendiamo due conduttori verticali molto lun-
ghi. Interponiamo tra essi uno dei fili verticali di
un braccio di una bilancia di Ampere, in modo
che esso giaccia nel piano definito dai due con-
duttori, sia ad essi parallelo e posto ad uguale
distanza da entrambi. La figura (5.13) mostra
schematicamente la configurazione.
Colleghiamo in serie circuiti in modo che, alla chiusura dell’interruttore, la corrente scorra come
indicato.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 166
ii
i
i
Figura 5.14: Configurazione simile a quella di figura(5.13) ma con un conduttore vericale sostituito conuno seghettato.
Sperimentalmente si vede che la bilancia non
ruota.
Questo era prevedibile a priori, data la
simmetria esistente nella disposizione dei fili.
Sostituiamo adesso uno dei conduttori latera-
li con un filo seghettato come mostrato in figura
(5.14).
Il piano definito dalla bilancia non è più un
piano di simmetria e i non vi è quindi motivo per
dire a priori che la bilancia non debba ruotare al
chiudersi dell’interruttore.
L’esperienza dice però che anche in questo caso
la bilancia resta in equilibrio.
Questo significa che il filo seghettato, anche se molto più lungo, genera lo stesso campo del filo rettilineo
che ha sostituito.
Figura 5.15: Conduttore formato da un tratto retti-lineo di andata ed un tratto di ritorno che si avvolgesu quello di andata
Analogamente a prima si può verificare che
ciò non è dovuto a compensazioni ma che, a tut-
ti gli effetti, un elemento dl di filo percorso da
corrente può essere sostituito da due elementi dl1
e dl2 percorsi dalla stessa corrente purché valga
dl = dl1 + dl2.
Per chiarire ulteriormente la cosa si può verificare come il circuito mostrato in figura (5.15) non sia
in grado di produrre alcun effetto su di una bilancia di Ampere.
dB
dli
x
y
z
! r"
Figura 5.16: Simmetria del campo generato da unelemento di filo percorso da corrente
In altri termini: due fili percorsi dalla stessa
corrente in senso inverso generano un campo ma-
gnetico nullo. La stessa cosa accade se il filo di
ritorno è seghettato invece che dritto.
Prima di proseguire, facendo ricorso ad ulte-
riori esperienze, cerchiamo di fare alcune conside-
razioni riguardo il campo magnetico generato da
un elemento di filo percorso da corrente.
Ovviamente, come è chiaro dalla figura (5.16),
il campo dovrà possedere simmetria di rotazione
rispetto all’asse definito dall’elemento di filo. Dato il campo in un punto della circonferenza di figura, si
può ottenere facilmente, tramite una rotazione, il campo in qualsiasi altro punto appartenente alla stessa
circonferenza.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 167
dli
x
y
z
!r
dBt
dB r
dBp
Figura 5.17: Scomposizione lungo tre direzionimutuamente ortogonali del campo infinitesimo dBpresente nel generico punto del semispazio superiore.
Vediamo un pò meglio la struttura del campo
generato dal dl.
In un generico punto dello spazio potremo
scomporre il dB secondo tre direzioni tra loro orto-
gonali. Converrà evidentemente scegliere una di-
rezione parallela al dl, un’altra tangente alla cir-
conferenza passante per il punto e centrata sul
prolungamento del dl stesso e la terza diretta
normalmente alle prime due.
In figura (5.17) è mostrato il generico vettore
dB scomposto lungo le tre direzioni per due punti appartenenti ad una stessa circonferenza posta nel
semispazio superiore rispetto al dl. Evidentemente, vista la simmetria del problema, nei due punti le
rispettive componenti avranno da essere uguali.
dli
x
y
z
!r
dBt
dB r
dBp
Figura 5.18: Scomposizione del campo negli stessipunti di figura (5.17) per corrente invertita
Cosa si può dire del dB in punti posti nel
semispazio inferiore?
Tali punti non sono raggiungibili attraverso
operazioni di simmetria da quelli posti nel semi-
spazio superiore, per cui solo l’esperienza ci potrà
dire qualche cosa.
Si è appena visto come il campo dovuto a due
elementi di filo molto vicini percorsi dalla corrente
in senso inverso è nullo.
dli
x
y
z
!
r
dBtdB r
dBp
Figura 5.19: La rotazione della figura (5.18) mo-stra come deve essere strutturato il campo dB nelsemispazio inferiore di figura (5.17)
Quindi, invertendo la direzione della corrente,
il campo nei due punti mostrati in figura (5.17)
dovrà essere come indicato nella figura (5.18).
Se adesso immaginiamo di ruotare questa di
180 gradi rispetto all’asse “x”, otteniamo quan-
to riportato in figura (5.19) vediamo come es-
sa descriva il campo magnetico in quei punti del
semispazio inferiore della figura (5.17) non di-
rettamente raggiungibili attraverso operazioni di
simmetria.
Si deduce quindi che il campo magnetico gene-
rato da un dl percorso da corrente deve avere nel semispazio inferiore una struttura del tipo di quella
indicata nella figura (5.19).
Individuate le direzioni ed i versi, dobbiamo adesso cercare di determinare i moduli delle singole
componenti.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 168
irBt
Bp
Figura 5.20: Campo di un filo infinito percorso dacorrente ottenuto tramite integrazione dei contributidei singoli elementi
Detti moduli dipenderanno ovviamente dalle
coordinate polari r e θ ma non dalla coordinata
φ .
Per predisporre delle misure, domandiamoci
quali saranno le caratteristiche del campo dovuto
ad un filo rettilineo infinitamente lungo.
Dovremo integrare tutti i dB dovuti ai vari dl.
Le componenti radiali si elideranno vicendevol-
mente nell’integrazione, per cui il campo di un filo infinito sarà caratterizzato al massimo dalle due
componenti parallela e trangenziale come mostrato in figura (5.20) .
Possiamo attraverso una esperienza dire qualche cosa sulla componente parallela Bp.
Bp
Bp
F
F
i
i
i
i
Figura 5.21: Bilancia posta tra due fili paralleli conl’asse ortogonale ad essi. La componente del campoparallela ai fili dovrebbe farla ruotare.
Nella figura (5.21) è mostrata, vista dall’alto,
una bilancia il cui asse di rotazione è equidistante
da due fili paralleli percorsi da corrente in senso
discorde. L’asse è inoltre normale al piano definito
dai due conduttori.
Evidentemente solo la componente del campo
magnetico parallela ai fili potrà dare luogo ad un
momento assiale diverso da zero. Chiudendo l’in-
terruttore, non si osserva la bilancia muoversi. Questo indica che la componente di B parallela al filo non
esiste.
dl
dB
dB1
dl2
dB2
dl1
Figura 5.22: Campo dovuto alla somma delle com-ponenti radiali di due tratti di un’ansa di filo. Essosarebbe diretto lungo il vettore dl1 + dl2
Questa esperienza, ed altre simili, ci portano
a concludere che il campo magnetico generato dal
singolo dl non ha componente parallela.
Che cosa si può dire della componente radiale
del dB?
Facendo riferimento alla struttura del dB gene-
rato da un dl percorso da corrente, riportato nelle
due figure (5.17) e (5.19) si vede facilmente come
una singola ansa di filo darebbe luogo, attraverso
le componenti radiali, ad un campo magnetico diretto parallelamente al vettore dl1 + dl2. Nella figura
(5.22) sono mostrati i due dl consecutivi dell’ansa, le rispettive componenti radiali di dB in un dato punto
e la somma vettoriale di queste.
L’esistenza delle componenti radiali è contraria al dato sperimentale in quanto, ad esempio, si potrebbe
sostituire nell’ultima esperienza descritta uno dei fili rettilinei di figura (5.21) con uno avente tratti diritti
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 169
e tratti seghettati. Se la componente radiale esistesse, la bilancia dovrebbe adesso ruotare. Si vede invece
che, anche in questo caso, la bilancia resta ferma.
dB
dli
x
y
z
! r
Figura 5.23: Campo generato da un elemento dl difilo percorso da corrente. Esso ha solo componentetangente a circonferenze tipo quella rappresentata.
Si può quindi concludere che il campo magneti-
co generato da un elemento di corrente dl ha solo
componente tangenziale come mostrato in figura
(5.23). Dal punto di vista matematico essa è indi-
viduata dal versore versdl × r
la cui direzione
è ottenuta, da quella dei due vettori moltiplicati,
tramite la regola della mano destra. Inoltre da-
to che il campo sarà, per la proprietà additiva,
proporzionale sia alla corrente che alla lunghezza
dell’elemento di filo scriveremo
dB = i ·dl
· fr
, θ· vers
dl × r
(5.6)
ove fr
, θ
è una incognita funzione dei parametri caratterizzanti la posizione del punto dello spazio
rispetto al dl .
5.1.4 Moduli dei campi dovuti ad un elemento di corrente e ad un
Figura 5.24: Jean Baptiste Biot
Resta da vedere quale sarà il modulo del campo
magnetico generato da un elemento di corrente dl.
Anche per questo dovremo fare ricorso a dati
sperimentali.
Osserviamo il disegno di figura (5.25)rappresentante
lo schema di un’esperienza dovuta a Biot.
Come si vede, un filo rettilineo è posto paral-
lelamente a due tratti di filo di diversa lunghezza
facenti parte di un doppio quadro libero di ruota-
re attorno all’asse. La figura (5.25) mostra una
vista laterale ed una dall’alto della disposizione
sperimentale.
Quando si chiude l’interruttore, facendo scor-
rere corrente nel doppio quadro e nel filo rettilineo
interposto, in genere il doppio quadro ruota attorno all’asse. Si trova tuttavia che esso non ruota qualora
il filo rettilineo sia posizionato in modo che valga una ben precisa relazione tra le lunghezze L1, L2 e le
distanze R1ed R2 di figura (5.25).
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 170
L1
L2
b
b
i
i
b
b
Vista dall’alto
R1
R2
Figura 5.25: Schema di esperimento dovuto a Biot.A sinistra una vista complessiva del circuito, a destrauna dall’alto.
Perché si abbia equilibrio si vede sperimental-
mente che deve valere
R1
R2=
L1
L2(5.7)
D’altra parte per l’equilibrio occorre che sia nullo
il momento assiale delle forze agenti sul quadro
legate al campo magnetico generato dal filo.
Per quanto riguarda quest’ultimo, esso è dato
dalla somma vettoriale di tutti i contributi dovu-
ti ai vari elementi di filo. Essendo questi, in un
generico punto dello spazio, tutti concordi tra lo-
ro, la direzione del campo sarà esprimibile come
vers (el × r) ove il versore el indica la comune direzione di tutti i dl del filo infinito.
Per quanto riguarda il modulo del campo totale, l’unico parametro fisico che differenzia un punto
dello spazio da un altro è la distanza R dal conduttore. Si avrà quindi
Bfilo = B (R) vers (el × r)
Per l’equilibrio occorre, come detto, che Mext = 0. Data l’ugualianza dei bracci delle forze, la condizione
conduce, dopo alcune semplificazioni algebriche, alla:
L1 ·B (R1) = L2 ·B (R2) (5.8)
Le due relazioni (5.7) e (5.8) devono valere contemporaneamente per cui, sostituendo la (5.7) nella
(5.8), si deduce facilmente che il modulo del campo magnetico generato da un filo infinito è inversamente
proporzionale alla distanza dal filo stesso.
Tutto questo si può riassumere scrivendo che il campo, in un punto p generico dello spazio, dovuto
ad un filo infinito percorso da corrente è dato da
B (r) ∝ i
Rvers (el × r) (5.9)
ove r è il vettore di posizione di p riferito ad un punto generico sul filo, ed i è la corrente che abbiamo
messa a fattore per evidenziare l’additività dei campi.
Il valore della costante di proporzionalità sottintesa nella (5.9) dipende dalla scelta dell’unità di misura
della corrente elettrica.
Prima di definire la costante di proporzionalità domandiamoci se, da quanto trovato, possiamo ricavare
una espressione per il dB prodotto da un dl percorso da corrente; cioè di ricavare la forma esplicita della
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 171
funzione fr
, θ
presente nella (5.6).
Il campo prodotto da un filo sarà ovviamente dato dalla sommatoria ( integrale ) dei campi prodotti
dai singoli elementi del filo espressi dalla (5.6). In un dato punto dello spazio, tutti detti campi infinitesimi
hanno direzione e verso concordi. Sarà quindi sufficiente sommare semplicemente i moduli.
Si avrà quindi dalle eq. (5.6) e (5.9) che
B (r) = i · vers (el × r) ·+∞ˆ
−∞
fr
, θ· dl ∝ i
Rvers (el × r)
Questo significa che la funzione fr
, θ
deve obbedire alla condizione:
+∞ˆ−∞
fr
, θ· dl ∝ 1
R(5.10)
Quanto scritto ci permette di poter esplicitare la dipendenza funzionale di fr
, θ
dar e θ?
Tenendo conto dei dati sperimentali più volte ricordati lo potremmo pure fare.
Giudico tuttavia più semplice ed interessante domandarci se si è già incontrata in precedenza una
situazione formalmente simile a quella di eq. (5.10).
La risposta è positiva.
Come ricorderete in elettrostatica si era trovato una dipendenza analoga del tipo 1R per il campo
elettrico di un filo infinito uniformemente carico. Vedi pagina 57 e seguenti.
In quel caso i vari contributi dE non avevano la stessa direzione e quello che sopravviveva nell’inte-
grazione era la sola componente del campo normale al filo.
Invece di usare la legge di Gauss, potevamo calcolarci il campo elettrico effettuando l’integrale delle
componenti del campo normali al filo.
Seguendo questa procedura la funzione integranda era data dal modulo del campo moltiplicato per
sin (θ) e si perveniva all’integrale (3.20) che qui riscriviamo
+∞ˆ−∞
sin (θ)
R2 + l2dl =
+∞ˆ−∞
sin (θ)
r2dl =
2
R
Può essere che la dipendenza della funzione fr
, θ
dai parametri sia la stessa della funzione integranda
di eq. (3.20)?
Si può mostrare che le cose stanno realmente in questo modo.
Mi preme soltanto dire che, mentre nel caso del campo elettrico il sin (θ) derivava dal dover prendere
una componente del campo, adesso tale funzione dovrà necessariamente far parte dell’espressione del dB
in quanto tutti i contributi hanno la stessa direzione.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 172
Scriveremo quindi per la (5.6):
dB = α · i · sin (θ)r2
·dl
· versdl × r
ove si è introdotta la costante α dipendente dall’unità di misura della corrente e che, a priori, può essere
sia di segno positivo che negativo.
Dal punto di vista matematico, osserviamo adesso come la funzione sin (θ) sia contenuta nel modulo
del prodotto vettoriale per cui la precedente si può scrivere in modo compatto come
dB = α · i ·dl × r
r3
Con tale scrittura, ci siamo inoltre svincolati da qualsivoglia sistema di coordinate.
Quello che resta da determinare è il valore della costante moltiplicativa in funzione della scelta fatta
per l’unità di misura della corrente, vedi pagina 161.
Per questo basta ricavare l’espressione per la forza per unità di lunghezza tra due fili percorsi da
corrente unitaria ed uguagliare il risultato a 2 10−7N .
In termini di α il modulo del campo magnetico prodotto da un filo infinito sarà dato da
Bfilo = B (R) vers (el × r) = i · vers (el × r) ·+∞ˆ
−∞
fr
, θ· dl
= α · i · vers (el × r) ·+∞ˆ
−∞
sin (θ)
r2· dl = 2α · i
R· vers (el × r)
La forza agente su di un tratto l di un secondo filo parallelo al primo e percorso dalla medesima corrente
i sarà quindi data da:
F2 = il2 × B1 = 2α · i2
Rl2 × vers (el × r1,2)
= −2α · i2
R· l2 · e1,2 (5.11)
ove r1,2 è il vettore che da un punto del primo filo porta nel più vicino punto del secondo ed e1,2 è il
relativo versore.
Il fatto che la forza sia attrattiva indica che la costante α è positiva. Inoltre il fatto che si scelga
l’unità di corrente in modo che per l = R = 1m la forza valga in modulo 2 10−7N significa che la scelta
dell’Ampere come unità di misura deriva dal porre arbitrariamente
α = 10−7
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 173
Riassumendo si ha quindi per il campo di un filo infinito l’espressione dovuta a Biot
Bfilo = 2 · 10−7 · i
R· vers (el × r) (5.12)
Mentre per il campo dovuto ad un elemento di filo dl avremo:
dB = 10−7 · i ·dl × r
r3
Si introduce a volte la costante µ0 definita come µ0 = 4π · 10−7 per cui la precedente si trova scritta
pure come
dB =µ0
4π· i ·
dl × r
r3
5.1.5 Relazione tra le costanti della elettrostatica e della magnetostatica
Supponiamo ad esempio di raddoppiare l’unità di misura della corrente elettrica. Ne consegue che i valori
numerici da associare a ogni corrente dovranno ovviamente dimezzare.
Inoltre, osservando il primo membro della eq. (5.11), per fare sì che il numero rappresentante la forza
con cui un filo è attratto da un altro rimanga invariato si deve scegliere per α un numero quattro volte
maggiore del precedente.
Ma, raddoppiare l’unità di misura della corrente, implica pure raddoppiare l’unità di misura della
carica elettrica.
Identica argomentazione, applicata questa volta alla legge di Coulomb, ci porta a concludere che
occorre scegliere per la costante 14πε0
un nuovo valore pure esso quattro volte superiore a quello standard.
In altre parole le due costanti della elettrostatica e della magnetostatica sono tra loro "proporzionali".
Questo si esprime matematicamente scrivendo:
α =1
4πε0β
dove β è una costante il cui valore non dipende dall’unità di misura scelta per la corrente elettrica.
Quali sono le dimensioni di β?
Evidentemente confrontando la legge di Coulomb e l’espressione trovata per la forza di interazione tra
due fili percorsi da corrente potremo rispettivamente scrivere:
[F ] = [ε0]−1 ([i] [t])2 [l]−2
[F ] = [i · l ·B] = [ε0]−1 [β] [i]2
per cui ricaviamo:
[β] = [t]2 [l]−2
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 174
in altre parole β ha le dimensioni di un inverso di una velocità al quadrato.
Per esprimere questo fatto si scrive comunemente
β =1
c2
ove c ha le dimensioni di una velocità.
Quanto vale numericamente c?
Occorre confrontare tra loro sperimentalmente le forze elettrostatiche e quelle magnetiche. Quello che
si ricava è circa c 2.9979 · 108m/s.
Quanto trovato si può quindi riassumere attraverso le due leggi
dF = i dl × B (5.13)
dB =1
4πε0c2idl × r
r3(5.14)
rispettivamente per la forza agente su di un elemento di filo dl percorso da corrente e per il campo
magnetico infinitesimo dovuto ad un elemento di corrente.
Questa ultima legge viene detta Legge di Biot-Savart.
Il campo di un filo infinito sarà quindi riscritto come:
Bfilo =1
2πε0c2· i
R· vers (el × r) (5.15)
5.1.6 Forza di Lorentz e campo generato da una particella in moto
Va notato come le due equazioni (5.13) e (5.14), al contrario della eq. (5.15), non abbiano in realtà
significato fisico.
Infatti l’elemento di filo dl percorso da corrente i non esiste fisicamente come entità isolata.
Si aprono quindi due strade:
1. Derivare dalle eq. (5.13) e (5.14) le forze ed i campi magnetici rispettivamente agenti e prodotti da
circuiti elettrici nel loro complesso. Un esempio di questo è la (5.15) che descrive il campo dovuto
ad un filo molto lungo percorso da corrente.
2. Vedere se le espressioni ricavate si possono interpretare, tramite il principio di sovrapposizione,
in termini delle forze e dei campi rispettivamente agenti e prodotti dalle singole cariche in moto
presenti nel generico tratto di filo dl.
È evidente che se si segue la prima strada arriveremo a scrivere forze tra circuiti e si perderà il concetto
di campo, in quanto un circuito occupa una regione estesa di spazio. Per questo motivo si preferisce oggi
seguire la seconda strada.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 175
In entrambe le equazioni (5.13) e (5.14) compare a fattore il prodotto i dl. Vediamo quindi come si
possa riscrivere.
Avremo, indicando con dS una qualunque sezione del filo percorso da corrente e con e la sua normale:
i dl = dl
ˆ
dS
J · e ds
= n q dl
ˆ
dS
vd · e ds
Dato che dl , vd ed e sono paralleli e considerando che il prodotto dl · dS non è altro che il volume dV
occupato dall’elemento di filo avremo ancora:
i dl = n q vd dV
= q vd dN
ove dN è il numero totale di portatori persenti nell’elemento di filo.
Usando l’additività delle forze e dei campi si possono quindi interpretare le eq. (5.13) e (5.14) come
dovute alla somma delle forze e dei campi connessi alla presenza delle singole cariche in moto.
La forza agente ed il campo magnetico prodotto dalla singola carica saranno quindi rispettivamente
dati da:
dF = q v × B (5.16)
dB =1
4πε0c2qv × r
r3(5.17)
Queste equazioni hanno significato fisico in quanto sappiamo cosa intendere e come ottenere una
carica in moto.
Inoltre, potendo la carica essere di dimensioni molto piccole, si può mantenere il concetto di Interazione
Locale e di Campo.
La eq. (5.16) prende il nome di Forza di Lorentz ed avremo da tornare su di essa per una discussione
delle sue caratteristiche.
Notiamo infine che le espressioni appena trovate hanno proprio la struttura delle equazioni(5.3) e (5.4)
che le più semplici esperienze facevano supporre.
Quanto trovato è, dal punto di vista logico, equivalente alla coppia di espressioni F = q · E e E =
14πε0
Qr2 e rispettivamente descriventi la forza agente su di una carica ed il campo elettrico di una carica
puntiforme.
Attraverso le leggi (5.16) e (5.17), ed usando l’additività di campi e forze, si può anche adesso risolvere
qualsiasi problema.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 176
Tuttavia, al pari dell’elettrostatica, invece di usare direttamente la (5.17), conviene ricavare delle
equazioni differenziali o, in alternativa, integrali, la cui soluzione ci dia il valore del campo magnetico.
Prima di trattare tale argomento, interrompiamo un attimo il discorso per parlare di un effetto fisico
che ha notevoli applicazioni sia nella metodologia di misura del Campo Magnetico sia come metodo
sperimentale di indagine di proprietà di materiali.
5.1.7 Effetto Hall (1879)
Questo effetto, il cui nome deriva da quello del suo scopritore, ha importanza sia in quanto permette di
ricavare informazioni fisiche su materiali, sia in quanto è alla base del funzionamento di strumenti di
misura per campi magnetici.
J
B
1
2
l
V
Figura 5.26: Effetto Hall. Lastrina conduttrice per-corsa da corrente ed immersa in un campo magneti-co. Lo strumento segna una differenza di potenzialetra i lati opposti della lastina
Si abbia una stretta e lunga lastrina di ma-
teriale conduttore avente larghezza l, percorsa da
corrente i.
Il vettore densità di corrente sarà dato da J =
nqv.
Poniamo detta lastrina in un campo magnetico
B come mostrato in figura (5.26).
Sui portatori di carica agirà una forza data da
F = q v × B =1
nJ × B
per cui, nel caso di figura, tenderanno a spostarsi
verso il lato posteriore della lastra indicato con “2”.
Detti portatori, spostandosi, genereranno un
campo elettrico E che si opporrà ad ulteriori
migrazioni. L’equilibrio sarà raggiunto allorchè il campo elettrico generato varrà in ogni punto
E = − 1
nqJ × B
Si viene allora ad avere tra i punti “2” ed “1” indicati in figura una differenza di potenziale V data da
V = −2ˆ
1
E · dl = 1
nq
2ˆ1
J × B
· dl
che viene misurata tramite apposito strumento.
Nel caso particolare, essendo tutti i vettori ortogonali tra loro, avremo semplicemente
V =l
nqJ B
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 177
Tale differenza di potenziale sarà positiva se i portatori di carica sono positivi, negativa se i portatori di
carica sono negativi.
Come vedete, qualora sia noto il campo e la corrente, dalla misura di V si possono quindi ricavare il
valore del prodotto nq tra la carica ed il numero di portatori per unità di volume.
Se le caratteristiche fisiche del materiale sono invece note, dalla differenza di potenziale misurata si
può ricavare il valore del Campo Magnetico B.
Questo effetto è per questo sovente usato per la determinazione sperimentale del valore del Campo
Magnetico.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 178
5.2 Leggi della Magnetostatica, legge di Ampere
Vediamo adesso di procedere in modo simile a quanto fatto in elettrostatica, ove si erano ricavate equazioni
differenziali ed integrali equivalenti alla legge di Coulomb.
Dal punto di vista concettuale, si procederà in modo identico cercando di scrivere una prima equazione
che dipenda dalle proprietà di simmetria del campo magnetico ed una seconda che esprima la particolare
dipendenza del campo con la distanza.
Bv
q
x
y
z
! r
R
Figura 5.27: Campo magnetico dovuto ad una caricain moto
Dato però che la situazione fisica è differen-
te dalla precedente, l’identico percorso concettuale
si strutturerà in modo diverso da quanto visto in
elettrostatica.
Scriviamo dapprima l’equazione che dipende
dalle proprietà di simmetria del campo magnetico.
La figura (5.27) rappresenta il campo magne-
tico prodotto da una carica in moto, matematica-
mente descritto dalla eq. (5.17). Dalle proprietà
di simmetria del campo discende subito che il suo
flusso, attraverso una qualsiasi superficie chiusa S,
è nullo.
Per mostrare questa proprietà si procede in modo simile a quanto fatto in elettrostatica per la de-
duzione della legge di Gauss suddividendo la superficie S in tante superfici chiuse infinitesime dS per le
quali sia evidente l’annullarsi del flusso infinitesimo.
Bv
q
x
y
z
!r
R
Figura 5.28: Flusso infinitesimo attraverso unasuperficie chiusa a forma di porzione di toro
Come in elettrostatica, sceglieremo delle super-
fici “ filiformi” fatte in modo che solo le superfici
di “base” contribuiscano al flusso mentre la laterale
dia contributo nullo. Data la simmetria del campo
magnetico, differentemente dal caso elettrostatico,
dette superfici saranno costruite a partire da tori
infinitesimi invece che da coni, come mostrato nel-
la figura (5.28). Dato che una qualunque superficie
chiusa può essere suddivisa in tante superfici aventi
la suddetta forma, sommando su tutti i contributi
si ha che il flusso uscente, attraverso la generica
superficie chiusa S, del campo magnetico dovuto ad una carica un moto è nullo.
Dato che un qualunque sistema di correnti elettriche è costituito da cariche in moto avremo, per
l’additività dei campi, che varrà
ΦS
B= 0 (5.18)
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 179
qualunque sia la situazione fisica.
Bv
q
x
y
z
!r
R
S
Figura 5.29: Flusso del campo magnetico di unacarica puntiforme in moto attraverso una genericasuperficie chiusa S
Tramite il teorema di Gauss, si può scrivere
questa legge sotto forma di equazione differenziale
ottenendo
∇ · B = 0 (5.19)
Veniamo adesso alla seconda equazione, quel-
la che contiene la dipendenza esplicita del campo
magnetico dalla distanza dalle cariche.
Prendiamo in considerazione un filo rettilineo
infinito percorso da corrente ed una linea chiusa Γ che si concateni con esso, come mostrato in figura
(5.30)
Bdl
dlpdlt
dlr
i
!
Figura 5.30: Linea chiusa che si concatena con unfilo infinito percorso da corrente
Ricordando che:
• nel caso di un filo rettilineo percorso da cor-
rente, il modulo di B è lo stesso su tutti i pun-
ti di circonferenze aventi il centro in punti del
filo
• contrariamente a quello che accadeva per
il campo elettrico, le linee di B si chiudo-
no su se stesse ( nel caso particolare sono
circonferenze )
calcoliamo la circolazione del campo magnetico
lungo la linea Γ.
L’integrale è dato dalla somma di tutti i pro-
dotti infinitesimi B · dl ciascuno relativo ad un
particolare elemento dl della linea chiusa Γ.
Vediamo come poter scrivere ciascun termine
della “sommatoria” avendo in mente la direzione ed il verso del campo.
Riferendoci sempre alla figura (5.30), il generico elemento di linea dl può essere scomposto nelle tre
componenti ortogonali dlp dlt e dlr, rispettivamente dirette parallelamente al filo, tangentemente alla
circonferenza ed in direzione radiale.
Dovendo calcolare B · dl , sarà di nostro interesse solo la componente dlt, tangente alla circonferenza.
Potremo scrivere il modulo di detta componente come r dΩ dove r è la distanza dal filo e dΩ è l’angolo,
espresso in radianti, di cui ruotiamo attorno al filo quando ci spostiamo di dl lungo Γ.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 180
Si ha quindi che B · dl = B r dΩ, per cui si trova che, per una qualunque linea Γ che si concateni con
il filo ˛
Γ
B · dl =2πˆ0
B r dΩ =i
2πε0c2
2πˆ0
dΩ =i
ε0c2
Il valore 2π dell’estremo superiore dell’integrale deriva dal fatto che, percorrendo una volta l’intera linea
Γ ruotiamo attorno al filo di un angolo giro.
Se invece la curva non si concatenasse con il filo, percorrendola tutta torniamo al punto di partenza
senza aver ruotato attorno al filo. In tale caso l’integrale in dΩ sarà nullo e quindi
˛
Γ
B · dl = 0
Si può mostrare che detti risultati valgono anche se il filo non è rettilineo.
Passando al caso generale di una molteplicità di conduttori percorsi da corrente, di cui solo alcuni si
“concatenino” con la linea Γ, si perviene quindi alla:
˛
Γ
B · dl = 1
ε0c2
ic (5.20)
ove con ic si è indicata la generica corrente concatenata con il circuito Γ. Nella eq. (5.20) le correnti
sono sommate con i loro segni, ottenuti in base alla regola della mano destra. Sono positive le correnti
che scorrano in direzioni che si accordino al senso di percorrenza della linea tramite detta regola, negative
le altre.
i3
i1
i2
i4
!
Figura 5.31: Linea chiusa Γ ed alcune correnti. Diesse solo alcune si concatenano con la linea
Ad esempio, nel caso di figura (5.31) la corren-
te i2 non si concatena e quindi non compare nella
sommatoria, la i1 e la i4 vanno inserite e conside-
rate come positive mentre la i3 è negativa. Si avrà
quindi
ic = i1 + i4 − i3
Come si potrà scrivere in generale la sommato-
ria al secondo membro della (5.20)?
Prendiamo una qualunque superficie S aperta
che si appoggi sul contorno Γ e consideriamo co-
me positiva la normale che si accorda al senso di
percorrenza su Γ tramite la regola della mano destra. Avremo ovviamente che
ΦS
J=
ic
con J vettore densità di corrente.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 181
Si trova quindi ˛
Γ
B · dl = 1
ε0c2ΦS
J
(5.21)
Ove, ripetiamo, il senso di percorrenza della linea Γ ed il verso della normale alla superficie aperta S sono
connessi tramite la regola della mano destra.
Attraverso il teorema di Stokes la(5.21) si può scrivere in forma differenziale.
Infatti da ˛
Γ
c · dl =ˆ
S
∇× c
· nds = ΦS
∇× c
segue che
∇× B =J
ε0c2(5.22)
Questa legge, espressa in forma integrale come in eq. (5.21) od in quella differenziale di eq. (5.22) prende
il nome di Legge di Ampere.
Riepilogando, si trovano per il campo magnetico statico le equazioni:
∇ · B = 0 (5.23)
∇× B =J
ε0c2(5.24)
Da confrontare con le analoghe dell’elettrostatica
∇ · E =ρ
ε0∇× E = 0
Soffermiamoci un attimo su quanto trovato ponendoci le tre seguenti domande:
• confrontando le due copie di equazioni, cosa si può osservare?
• in particolare, cosa fisicamente significa che la divergenza di B è nulla?
• per ottenere campi magnetici occorre che vi siano cariche elettriche in moto. Cosa vi è quindi di
“statico” in Magnetostatica?
Osserviamo inoltre l’equazione per il rotore del campo magnetico.
Ricordando che la divergenza di un rotore è nulla si scrive:
0 = ∇ ·∇× B
=
1
ε0c2∇ · J
Da cui segue che la divergenza del vettore densità di corrente è nulla, quindi ∇ · J = 0.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 182
Una relazione per la divergenza di J si era già trovata. La conservazione della carica elettrica si
esprime matematicamente attraverso l’espressione ∇ · J = −dρdt , ove compare la divergenza del vettore
densità di corrente.
Sorgono quindi le ulteriori domande:
• le due espressioni per ∇ · J sono tra loro in contraddizione? Vi sono casi in cui esse coincidono? Si
possono fare esempi di situazioni fisiche in cui differiscano?
• in queste ultime situazioni, in quale delle due espressioni dobbiamo porre più fiducia? Per quale
motivo?
• cosa possiamo concludere?
Ricordiamo l’esistenza di queste espressioni discrepanti in quanto torneremo sull’argomento.
5.2.1 Semplici applicazioni delle leggi della magnetostatica
Per la soluzione di un qualunque problema di Magnetostatica dobbiamo necessariamente applicare en-
trambe le leggi per la divergenza ed il rotore del campo magnetico.
Siamo tuttavia in una situazione concettualmente identica a quella già trovata in Elettrostatica.
Infatti una delle due equazioni dipende da proprietà di simmetria del campo magnetico generato da una
particella in moto, mentre l’altra dipende dal suo andamento con la distanza.
Quindi, qualora la geometria del problema sia particolarmente semplice, possiamo dedurre da consi-
derazioni geometriche le direzioni ed il verso del campo nei vari punti dello spazio. Consequentemente
può essere possibile individuare linee chiuse su cui sia particolarmente semplice valutare la circolazione
del campo magnetico. In pratica, nei vari punti della linea B · dl, deve essere nullo oppure assumere valore
costante.
J
Figura 5.32: Campo interno ed esterno ad un filoconduttore percorso da corrente
Siamo quindi in una situazione concettualmen-
te identica a quando in elettrostica si usava “solo”
la legge di Gauss per risolvere un problema. In
questo caso usiamo “solo” la legge di Ampere.
Vediamo di applicare quanto sopra ad alcuni
casi.
Campo magnetico di un filo rettilineo
infinito a sezione circolare di raggio R0
percorso dalla corrente i.
Il campo magnetico dipende da come è distri-
buita la corrente all’interno del conduttore. Parti-
colarmente semplice è il caso in cui il vettore densità di corrente sia in ogni punto parallelo all’asse del
filo ed abbia modulo dipendente solo dalla distanza r dall’asse.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 183
In questo caso si possono utilizzare considerazioni di simmetria e dire che, a causa della simmetria
cilindrica, le linee del campo magnetico B devono esssere, sia internamente che esternamente al filo,
delle circonferenze coassiali al filo stesso come mostrato in figura (5.32). Inoltre, per quanto riguarda il
valore del modulo del campo, esso dovrà risultare identico per tutti i punti appartenenti alla medesima
circonferenza.
Scegliendo come linea chiusa su cui valutare la circolazione una qualunque di tali circonferenze avremo
per la eq. (5.21) che1
ε0c2ΦS
J=
˛
Γ
B · dl = 2πRB (R)
ove R è il raggio della circonferenza, B (R) il modulo del campo sulla stessa ed infine S è una superficie
aperta che ha per contorno la circonferenza Γ.
Se adesso applichiamo la precedente per ricavare il campo magnetico all’esterno del conduttore cioè
per R ≥ R0 avremo che ΦS
J= i per cui, indipendentemente dal valore di R0,
B (R) =1
2πε0
i
R
come per un filo sottile.
Se, al contrario, volessimo ricavare il campo all’interno dovremmo sapere come la corrente è distribuita
nel conduttore in quanto da questo dipende il valore di ΦS
J.
Ad esempio, se la corrente fosse uniformemente distribuita, avremo J = iπR2
0n per cui ΦS
J= iR
2
R20
Da cui:
B (R) =1
2πε0
i
R20
R (5.25)
Rb
Ra
R
Figura 5.33: Campo magnetico interno ad un toro
Se invece la corrente fosse solo superficiale
otterremmo ΦS
J= 0 e quindi
B (R) = 0
Un altro semplice caso consiste nel calcolo del
campo magnetico nella regione di spazio
interna ad un circuito a forma toroidale.
La figura (5.33) indica la sezione di una tale
regione, di raggio interno ed esterno rispettivamente Ra ed Rb, delimitata da un avvolgimento di filo
conduttore. Per semplicità è mostrata solo una parte dell’avvolgimento.
L’avvolgimento è approssimabile come una serie di N spire piane percorse dalla stessa corrente che
si succedano l’una all’altra. Ciascuna spira ha asse diretto in modo lievente diverso da quella che
immediatamente la precede.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 184
Nel piano di una spira il campo, per la legge di Biot-Savart ( vedi eq. (5.14)) deve essere diretto
come la normale alla stessa. Ne consegue che in ogni punto interno del toro, il campo deve essere diretto
tangentemente a circonferenze aventi centro nel centro di questo. La figura (5.33) mostra una di queste
circonferenze.
Ovviamente, sempre sulla base di considerazioni di simmetria, dobbiamo ammettere che il modulo del
campo non possa dipendere dal particolare punto sulla circonferenza. Queste considerazioni ci portano a
scegliere, per le linee chiuse su cui applicare la legge di Ampere, circonferenze del tipo di quelle di figura
(5.33). Si scrive quindi: ˛
Γ
B · dl = 2πRB (R) =1
ε0c2ΦS
J=
1
ε0c2N i
Per cui infine
B (R) =1
2πε0c2N i
R(5.26)
Se il toro è molto stretto il diametro interno differisce poco da quello esterno. In questi casi, in tutti
i punti interni R ∼= Ra∼= Rb e quindi il campo interno è praticamente costante.
Esso vale
B ∼= n i
ε0c2(5.27)
dove n = N2πR è il numero di spire avvolte per unità di lunghezza.
All’esterno il campo è nullo in quanto la corrente concatenata è ovviamente nulla.
Figura 5.34: Solenoide
Solenoide infinito
Il solenoide è costituito da un lungo avvolgi-
mento di filo conduttore stretto attorno ad uno
sottile supporto cilindrico. Esso rappresenta evi-
dentemente il caso limite del toro quando i suoi
diametri interno ed esterno tendano all’infinito.
In questo caso limite chiaramente l’ espressione (5.27) non è più una approssimazione e si avrebbe
esattamente
B =n i
ε0c2(5.28)
Per un solenoide reale, di lunghezza finita, l’espressione (5.28) torna ad essere approssimata ed è
applicabile solo alla regione interna centrale dell’oggetto. Avvicinandosi agli estremi, il valore del campo
tende a diminuire e si può facilmente ricavarne il valore al livello dell’ultima spira usando la seguente
considerazione.
Supponiamo di prolungare il solenoide avvicinando ad una delle sue estremità un secondo avvolgimento
identico al primo. Così facendo, il punto estremo del primo solenoide si verrà a trovare esattamente al
centro di un nuovo solenoide lungo esattamente il doppio del precedente. Il campo assumerà quindi in
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 185
detto punto il valore n iε0c2
che sarà dovuto per metà al primo solenoide e per l’altra metà al secondo
aggiunto. Quindi il campo dovuto al primo vale 12
n iε0c2
.
In altre parole il campo di un solenoide al livello dell’ultima spira vale esattamente la metà del campo
presente nella regione centrale.
5.3 Caratteristiche della forza di Lorentz
Dopo queste semplici applicazioni a casi concreti e prima di sviluppare la teoria, come già fatto per le
interazioni elettriche, conviene soffermarci ad analizzare la legge di forza di eq. (5.16) che prende il nome
di Forza di Lorentz e che qui riscriviamo.
FL = q v × B (5.29)
Come si vede la Forza di Lorentz è sempre perpendicolare sia alla velocità che alla direzione del Campo
Magnetico.
Dalla perpendicolarità alla velocità, segue subito che la forza di Lorentz non può compiere lavoro.
Osserviamo poi un’altra peculiarità della espressione che dovrebbe lasciare perplessi: come può una
forza essere proporzionale ad una velocità?
Tutti i sistemi di riferimento inerziali sono equivalenti2 il che implica, tra l’altro, che nella comune
Relatività Galileiana, i valori delle forze non debbano cambiare passando da un sistema inerziale ad un
altro.
Se così non fosse, dato che a forze diverse corrispondono accelerazioni diverse, l’evoluzione dei sistemi
fisici sarebbe vista dipendere dal sistema di riferimento scelto dall’osservatore. In altri termini, il principio
di relatività non varrebbe.
Ciò significa che le forze non devono dipendere dalle velocità, in quanto queste ultime dipendono dal
sistema di riferimento.
Vi è tuttavia una eccezione; infatti nel primo corso di Fisica avete trattato le forze viscose, le quali
dipendono dalla velocità.
In quei casi però si trattava di velocità relative ( ad esempio la velocità relativa tra barca ed acqua
del fiume).
È chiaro che, in quanto differenze tra due velocità assolute, le velocità relative non dipendono dal
particolare sistema di riferimento e quindi le accelerazioni da esse prodotte sono quindi le stesse in tutti
i sistemi inerziali.
Qui la situazione sembra essere diversa: nella (5.16) la v è la velocità assoluta della particella.2Primo corso di Fisica
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 186
Si potrebbe obiettare: se cambiamo sistema di riferimento cambia v, ma cambiano pure le correnti che
originano B. Potrebbe darsi che il prodotto vettoriale sia invariante rispetto al cambiamento di sistema
di riferimento?
Possiamo accorgerci subito che le cose non sono così semplici mettendoci in un sistema di riferimento
solidale con ( che si muova come ) la carica q che subisce la forza. In tale sistema v = 0, per cui FL = 0
indipendentemente dal valore assunto da B.
i
v
S F traiettoria
i
vS’ F=0
!’+
!’"
!"!
+
v
-v
e-
e-
Figura 5.35: Elettrone posto nei pressi di un filo per-corso da corrente e che si muova concordemente aiportatori di carica. Nella parte superiore come vi-sto in un sistema di riferimento solidale con il filo:è mostrata la forza di Lorentz ed il suo effetto sul-la traiettoria della particella. Nella sezione inferiorecome visto nel sistema solidale con la particella: laforza di Lorentz è nulla.
Per fissare le idee consideriamo un elettrone che
si muova parallelamente ad un filo in cui circoli
corrente.
Per semplificare supponiamo che la velocità
dell’elettrone sia uguale alla velocità di deriva dei
portatori di carica (sempre elettroni) nel filo.
Nella parte superiore della figura (5.35)è
rappresentato quanto vediamo guardando dal
riferimento di laboratorio S.
Nel filo avremo due distribuzioni di carica so-
vrapposte: la prima positiva, rappresentante gli
ioni costituenti la struttura rigida del filo, di den-
sità ρ+ ed in quite (v+ = 0); la seconda negativa,
dovuta agli elettoni di conduzione, descritta tra-
mite una densità di carica ρ− in moto ( v− = v).
Nella figura è pure indicato il verso della corrente nel filo .
Quale sarà il moto dell’elettrone?
Vedremo la sua traiettoria curvarsi verso il filo. L’elettrone preciperà su di esso!
Che spiegazione diamo di questo fenomeno? C’è bisogno di una forza agente diretta verso il filo!
La corrente circolante nel filo genera, nel punto ove è presente la particella, un Campo Magnetico
entrante nel piano di figura (5.35). Per questo, in virtù della (5.29) diciamo che la forza agente è quella
di Lorentz che, in questo caso, è diretta verso il filo.
Mettiamoci adesso in un sistema di riferimento S che si muova rispetto ad S con velocità pari a v.
In tale sistema l’elettrone è fermo, come pure ferma è la distribuzione di carica negativa nel filo.
In questo sistema vedremo invece le cariche positive muoversi verso sinistra con velocità pari a −v.
Avremo quindi sempre una corrente i verso sinistra ed un campo B diretto allo stesso modo di prima.
In S tuttavia la velocità dell’elettrone è nulla e quindi v × B = 0 e non avremo forza di Lorentz agente
su di esso.
In S non si dovrebbe quindi vedere l’elettrone cadere verso il filo.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 187
Come è possibile? Che la particella cada o non cada sul filo deve essere un fatto oggettivamente
valido. Tutti gli osservatori, indipendentemente dal sistema di riferimento ad essi associato, devono
vedere accadere la stessa cosa!
Il principio di relatività sarebbe violato se ciò accadesse!
Se si andasse a verificare sperimentalmente cosa si vede in S’, vedremmo l’elettrone cadere verso il
filo.
Il principio di relatività è sperimentalmente valido, ma a noi resta la domanda: che tipo di forza agisce
sull’elettrone?
Da quanto si è visto la forza che agisce su di una carica q può essere scritta sotto la forma
F = qE + v × B
Se B è nullo, e se diamo per corretta l’espressione per la forza sopra riportata, vuole dire che in S
l’elettrone sarà soggetto ad una forza di natura elettrostatica diretta verso il filo. Dovremmo, in altri
termini, supporre l’esistenza, in S, di un campo elettrico E, non “esistente” in S, diretto radialmente dal
filo verso l’infinito.
Ma come può esservi questo campo elettrico?
Bisogna che il filo in S appaia positivamente carico, sebbene sia neutro se visto da S.
Varie possibilità possono venire in mente.
Potrebbe il valore di una carica elettrica dipendere dalla velocità? Ad esempio come il valore della
massa di una particella dipende dalla velocità?3
Solo dati sperimentali possono convalidare o confutare detta ipotesi. Se detta interpretazione fosse
corretta cosa dovremmo attenderci a seguito di una qualunque reazione chimica?
Il motivo reale è legato alla Contrazione di Lorentz delle lunghezze.
La lunghezza L (v) di un oggetto in moto è più piccola di quanto misurabile in un sistema in cui detto
oggetto sia fermo. Si ha:
L (v) = L0
1− v2
c2(5.30)
ove L0 è la lunghezza a riposo, v è la velocità con cui si muove l’oggetto nel primo sistema, ed infine c è
la velocità della luce.
Vediamo di applicare quanto sopra al nostro caso.
Mettiamoci nel sistema di laboratorio S in cui il filo è in quiete e marchiamo il conduttore in due punti
distanti tra loro L0. Veniamo così a definire un cilindro di area di base A data dalla sezione del conduttore
ed altezza L0 all’interno del quale avremo localizzati un ben determinato numero di ioni metallici carichi
a cui competerà una carica totale positiva Q. Dal punto di vista macroscopico introdurremo quindi una3La teoria di Einstein della relatività prevede che la massa di una particella dipenda dalla sua velocità tramite la legge
m (v) = m01− v2
c2
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 188
densità di carica positiva
ρ+ =Q
A L0
Mettiamoci adesso nel sistema S. In esso il conduttore si muove e quidi, per la eq. (5.30), una misura
dell’interdistanza tra i segni sul conduttore non darà più come risultato L0 ma L (v) = L0
1− v2
c2 . Quindi
in S giudicheremo l’dentica carica Q essere contenuta nel volume A L0
1− v2
c2 e quindi descrivibile
tramite la densità
ρ+ =Q
A L0
1− v2
c2
=ρ+1− v2
c2
Quindi in S vedremo una densità di carica più grande che in S.
Si arriva quindi alla seguente conclusione
Le densità di carica si trasformano come le masse nel passaggio tra sistemi di riferimento.
In S il filo appariva neutro in quanto presenti anche gli elettoni di conduzione che danno luogo ad
una densità di carica esattamente opposta a quella degli ioni positivi. In formule:
ρ− = −ρ+
Come sarà giudicata in S la densità di carica negativa? Per rispondere basta ripetere il ragionamento
appena fatto ricordando che gli elettroni di conduzione soni in quiete in S mentre si muovono se visti da
S. Avremo quindi
ρ− =ρ−1− v2
c2
Per cui il filo, che appariva neutro in S, sarà giudicato carico in S4.
La densità di carica in S sarà infatti data da:
ρ = ρ+ + ρ− =ρ+1− v2
c2
+ ρ−
1− v2
c2= ρ+
v2
c21− v2
c2
= ρ+β2
1− β2
ove con β si è indicato il rapporto vc .
Ci dovremo attendere quindi nel punto ove si trova la particella un campo elettrico E radialmente
uscente dato da
E(r) =1
2πε0
λ
rer =
A ρ+2πε0
β2
1− β2
err
E quindi una forza agente sulla particella diretta verso il filo
F (r) = −eA ρ+2πε0
β2
1− β2
err
4Così come (x, y, z, t) formano un quadrivettore e (px, py , pz , U) ne formano un’altro, così pure (jx, jy , jz , ρ) ne formanoun terzo e si trasformano, passando da un sistema di riferimento ad un altro in moto rispetto al primo in direzione dell’asse
delle ascisse, secondo le Jx = Jx−v ρ√
1−β2, J
y = Jy , J z = Jz e ρ
=ρ− β Jx
c√1−β2
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 189
responsabile della caduta dell’elettrone sul filo.
Paragoniamo adesso tale valore a quello della forza di Lorentz vista in S ; dalla eq. (5.29) abbiamo:
F (r) = −evB er = −ev1
4πε0c22i
rer = −ev
A ρ+2πε0c2
verr
= −eA ρ+2πε0
β2err
Come si vede le due forze sono all’incirca uguali, ma non esattamente.
Cosa significa questo?
Secondo la formulazione Einsteniana del principio di relatività anche le forze cambiano quando si
passa da un sistema di riferimento ad un’altro.
L’energia e le tre componenti dell’impulso formano il quadrivettore Energia-Impulso.
Quindi le componenti di p perpendicolari al moto relativo di due sistemi di riferimento restano inal-
terate passando da un riferimento all’altro, mentre cambiano i valori dell’energia e della componente
parallela dell’impulso. Nel nostro caso la variazione dell’impulso è normale al moto relativo dei due
sistemi e quindi deve essere giudicata la stessa nei due sistemi e quindi ∆p = ∆p.
Ora le variazioni dell’impuso sono dovute all’applicazione, per un dato tempo, di forze: ∆p = F ∆t.
Scriveremo quindi per le variazioni delle componenti radiali dell’impulso ∆p = F ∆t = ∆p = F ∆t.
Dato che il tempo è visto scorrerre diversamente nei due sistemi, la identica variazione di impulso
sarà attribuita all’azione di forze di differente valore.
Nel caso particolare, l’elettrone è in quiete in S e quindi ∆tsarà il suo “tempo proprio” per cui deve
valere: ∆t = ∆t√1−β2
Quindi si deve avere che F = F 1√1−β2
come effettivamente si è ricavato.
Che cosa ci porta a concludere questo discorso
Anche se le equazioni del campo elettrico sono "indipendenti" da quelle per il campo magnetico, i
due campi sono intimamente connessi. Le forze elettriche e quelle magnetiche fanno parte di un unico
fenomeno fisico.
È a seconda di come noi guardiamo un certo fenomeno che sembra prevalere l’interazione elettri-
ca o quella magnetica. Dette in altri termini le interazioni magnetiche non sono altro che correzioni
relativistiche alle interazioni elettriche.
Esse si possono mettere in evidenza molto facilmente solo perché gli oggetti neutri sono costituiti da
cariche elettriche positive e negative in uguale quantità e separate da distanze atomiche. Ne consegue
che le forze che esse generano su altre cariche si compensano quasi esattamente. Quello che possiamo
macroscopicamente osservare solo le piccole differenze tra le forze attrattive e quelle repulsive.
Dato che le forze elettriche sono enormi, anche tali piccolissime differenze possono essere grosse rispetto
a quelle gravitazionali e quindi per noi facilmente osservabili.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 190
5.4 Potenziale Vettore
Riepiloghiamo i risultati trovati:
Legge di Ampere¸ΓB · dl = i
ε0c2
Legge di Biot-Savart: dB = 14πε0c2
idl×rr3 ove c 3 · 108m/s
Campo magnetico dovuto ad un filo infinito: B
= 14πε0c2
2iR
Campo all’interno di un solenoide: B ∼= n iε0c2
ove n è il numero di spire per unità di lunghezza
Equazioni per Campo Magnetico B:
∇ · B = 0 ∇× B =J
ε0c2
da paragonare con le analoghe per il campo elettrico:
∇ · E =ρ
ε0∇× E = 0
Il fatto che la divergenza di B sia nulla dipende unicamente, come ricorderete, dalle proprietà di
simmetria del campo prodotto da un generico elemento di corrente. Invece la legge di Ampere riflette
la esplicita dipendenza dal punto del campo prodotto dall’elemento di corrente. Siamo quindi in una
situazione simile a quella trovata in elettrostatica.
Per risolvere problemi particolarmente semplici potremo usare per i calcoli la sola legge di Ampere.
Questo quando, sulla base di considerazioni di simmetria, potessimo avere informazioni sulla direzione ed
il modulo del campo magnetico che ci permettano di scegliere linee chiuse lungo le quali sia costante la
componente del campo.
Un esempio di questo tipo riguarda la determinazione del campo dovuto ad una densità di corrente
a simmetria cilindrica. Ulteriori esempi riguardano i campi in un toro o in un solenoide. In generale
dovremo tuttavia risolvere le equazioni differenziali sopra scritte.
In elettrostatica si era trovato utile introdurre un potenziale scalare φ tale che E = −∇φ. Si era pure
scritta l’equazione differenziale ∇2φ = − ρε0
la cui soluzione φ(1) = 14πε0
´V
ρ(2) dV2
r21permette di valutare
il valore del potenziale una volta dato il sistema di cariche.
In Magnetostatica è possibile procedere in modo analogo?
Il rotore di B non è in generale nullo; invece la divergenza di B è sempre nulla.
Questa considerazione ci permette di effettuare subito un’integrazione e di scrivere B come il rotore
di un altro campo vettoriale. Esso è detto “Potenziale Vettore” ed è usualmente indicato con il simbolo
A.
Una volta noto il Potenziale Vettore, si può risalire al Campo Magnetico attraverso delle operazioni
di derivazione. La connessione è più complicata che nel caso elettrostatico, si tratta infatti di calcolare
un rotore invece che un gradiente. Comunque, una volta noto A, si può ottenere B attraverso delle
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 191
derivazioni.
Bx =d
dyAz −
d
dzAy
By =d
dzAx − d
dxAz (5.31)
Bz =d
dxAy −
d
dyAx
Analogamente a quanto trovato per il potenziale elettrostatico, si ha arbitrarietà di scelta anche per
A.
In elettrostatica, il potenziale era definito a meno di una costante “c”.
Detta costante “c” come andava scelta? Andava scelta in modo da semplificare la risoluzione del
particolare problema a cui si era di fronte; in genere questo significava sceglierla in modo che φ si annullasse
all’infinito.
Tenendo questo a mente, vediamo che cosa succede per A. Evidentemente l’aggiunta ad A di una
costante non altererà B.
Oltre a ciò, va pure notato che se ad A si aggiungesse il gradiente ∇ψ di un qualsiasi campo scalare si
otterrebbe un nuovo Potenziale Vettore che permette di ricavare il Campo Magnetico esattamente come
l’originario.
Infatti, detto A = A+ ∇ψ, si ottiene: ∇× A = ∇× A+ ∇× ∇ψ = ∇× A
Quindi sia A che A danno luogo allo stesso campo magnetico B.
Ora se A ed A hanno lo stesso rotore non è detto che abbiano la stessa divergenza, infatti ∇ · A =
∇ · A+∇2ψ.
In Magnetostatica in generale, vedremo in seguito il perché, i problemi si semplificano se si sceglie A
in modo tale che sia ∇ · A = 0. Questa posizione viene detta Calibro di Poisson. Utilizzeremo quindi i
suddetti gradi di libertà per scegliere potenziali vettori a divergenza nulla.
Si perviene quindi alle equazioni
B = ∇× A (5.32)
∇ · A = 0 (5.33)
A questo punto occorre una ulteriore equazione che ci permetta di ricavare A una volta date le correnti
elettriche; saremo così in grado di risolvere ogni problema.
Un esempio di Potenziale Vettore
Prima di ricavare l’equazione che connette Potenziale e Correnti; per familiarizzare un pò con A,
vediamo di ricavare il Potenziale Vettore che generi un Campo Magnetico uniforme diretto nella direzione
dell’asse z.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 192
Dovremo imporre che
Bx =d
dyAz −
d
dzAy = 0
By =d
dzAx − d
dxAz = 0
Bz =d
dxAy −
d
dyAx = B0
Vi saranno infinite soluzioni, cerchiamo tuttavia le più semplici espressioni per A che soddisfino le
precedenti.
Le prime due equazioni saranno sicuramente soddisfatte se:
• Az = 0
• Ax ed Ay non dipendono da z
Si potrebbe addirittura prendere, per semplificare al massimo, Ax = 0.
Nel qual caso si avrebbe
Bz =d
dxAy = B0 =⇒ Ay = B0x
Si è quindi trovato che il nostro campo magnetico può essere generato dal potenziale vettore
A = (0, B0x, 0)
Un’altra possibile scelta consiste nel supporre invece Ay = 0. In questo caso si otterrebbe Bz = − ddyAx =
B0 =⇒ Ax = −B0y e quindi A = (−B0y, 0, 0).
Evidentemente pure una qualsiasi combinazione lineare dei due potenziali, opportunamente norma-
lizzata, andrà ugualmente bene.
r
r’
B
Figura 5.36: Potenziale vettore A = B02 (−y, x, 0)
relativo ad un campo magnetico uniforme B =(0. 0, B0)
La più semplice tra queste è
A =B0
2(−y, x, 0) (5.34)
Come si vede ci sono infinite possibili scelte per
A e tutte vanno ugualmente bene in quanto danno
luogo allo stesso campo magnetico. Soffermiamoci
sull’ultima trovata e vediamo di disegnare le cor-
rispondenti linee di A. Esse formano circonferen-
ze parallele al piano xy ed aventi centro in punti
dell’asse z infatti, facendo riferimento alla figura
(5.36), il prodotto scalare r · A , con r = (x, y, 0), è nullo. Inoltre il modulo di A è uniforme lungo tutta
la linea di campo, vale A
= B02
x2 + y2 = B0
2 r sin (θ) ed infine la direzione del vettore è correlata a
quella di B dalla regola della mano destra. In termini vettoriali si può pure scrivere il risultato sopra
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 193
detto con
A =1
2B × r (5.35)
Notiamo pure che l’asse z deve essere parallelo a B ma per il resto è arbitrario. Avremo quindi potuto
scegliere un altro sistema di coordinate con l’asse z traslato rispetto al primo. Avremmo ottenuto, in
questo secondo caso, un potenziale vettore A le cui linee di forza formano circonferenze centrate nei
punti del nuovo asse z. In particolare, quindi, in molti punti i due potenziali saranno diretti in opposte
direzioni; tuttavia essi daranno luogo allo stesso campo magnetico. Notiamo pure come tutti i potenziali
introdotti siano a divergenza nulla.
Avremmo potuto ottenere il nostro campo magnetico da potenziali vettore a divergenza non nulla?
La risposta è ovviamente positiva. Ad esempio A = B02 (−y, x, kx), con k costante arbitraria, possiede
divergenza finita e dà luogo sempre allo stesso campo magnetico.
Notiamo una proprietà del potenziale vettore A.
Se calcoliamo la circolazione di A lungo una linea chiusa Γ , otteniamo per il Teorema di Stokes e per
la definizione di Potenziale Vettore
˛
Γ
A · dl =ˆ
S
∇× A
· nds = ΦS( B) (5.36)
ove S è una qualunque superficie chiusa avente Γ come contorno.
Proviamo, per esercizio, ad usare questa relazione per valutare il Potenziale Vettore relativo ad un
campo magnetico uniforme.
Facendo riferimento alla figura (5.36) e scegliendo come linea Γ una circonferenza avremo¸ΓA · dl =
A 2πr, ed ancora ΦS( B) = B0πr2 . Per cui, si ottiene A = B0r2 per il modulo del Potenziale Vettore. Si
ritrova quindi lo stesso risultato di eq. (5.35). Noterete poi come il calcolo effettuato lascia indeterminata
una eventuale componente parallela al campo.
Potenziale Vettore e Correnti
Quanto sopra è stato riportato per fare "vedere" un po’ A. Ovviamente se si ha un problema da
risolvere, prima si ricava A e poi da questo B.
Vediamo quindi di trovare l’equazione che connettendo A alle correnti, permette di ricavarci il Poten-
ziale.
Per introdurre A si è adoperata la relazione ∇ · B = 0. Quindi, per ottenere l’espressione esplicita del
Potenziale Vettore, dovremo usare l’altra equazione: ∇× B =J
ε0c2.
Sostituendo in essa il Campo Magnetico in termini del Potenziale, otteniamo:
∇×∇× A
=
J
ε0c2
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 194
Domandiamoci: come potremo riscrivereo il doppio prodotto vettoriale che compare al primo membro?
Se avessimo a che fare con dei normali vettori (a, b e c) avremmo che il doppio prodotto a×b× c
è
un vettore normale sia ad a che alla normale al piano definito da b e c. Da questa ultima considerazione,
si deduce che giace nel piano definito da b e da c.
In particolare si trova: a ×b× c
= b (a · c) − c
a ·b
. Per cui, supponendo di poter estendere la
validità della relazione al caso di operatori a carattere vettoriale, scriveremo: ∇×∇× A
= ∇
∇ · A
−
A∇ · ∇
. In effetti si può verificare che vale:
∇×∇× A
= ∇
∇ · A
−∇2 A
È chiaro, a questo punto, il vantaggio che abbiamo nell’imporre che il Potenziale Vettore sia a divergenza
nulla. Con la scelta di calibro di Poisson l’equazione da risolvere si semplifica divenendo:
∇2 A = −J
ε0c2(5.37)
Essendo la (5.37) una relazione tra grandezze vettoriali, essa consisterà in tre equazioni differenziali
leganti rispettivamente Ax con Jx, Ay con Jy e Az con Jz. Notiamo come ciascuna di queste equazioni
sia formalmente identica all’equazione di Poisson per il potenziale elettrico; vedi eq. (3.15).
Dato che equazioni differenziali simili danno luogo a soluzioni simili; si deduce che, se per il potenziale
elettrostatico valeva la (3.9), la soluzione della (5.37) sarà:
A (r2) =1
4πε0c2
ˆ
V
J (r1)
r12dv1 (5.38)
A parole si può quindi dire che la componente x del potenziale vettore A dovuto a correnti descritte
dal campo vettoriale J è data dalla stessa relazione che fornisce il potenziale elettrico dovuto alla densità
di carica ρequiv (r1) =Jx(r1)
c2 ed è quindi ad esso numericamente uguale.
Analoghe corrispondenze varranno per le componenti y e z di A.
Nota: Applicando la (5.38)al caso di un sottile circuito elettrico, in cui scorra la corrente i, descrivibile
attraverso dalla linea chiusa Γ avremo dv1 = ds dl. Per cui potremo scrivere A (r2) =1
4πε0c2
´V
J(r1)r12
ds dl =
i4πε0c2
´Γ
1rdl ove dl è il generico elemento della linea Γ ed r la sua distanza dal punto r2.
Nel caso in cui si abbia tutta una serie di circuiti percorsi da correnti elettriche, per l’additività dei
potenziali avremo:
A (r2) =1
4πε0c2
k
ik
ˆ
Γk
1
rdlk
Esempio
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 195
Tanto per fissare le idee vediamo di valutare, attraverso il calcolo del potenziale vettore, il campo
magnetico dovuto ad un filo rettilineo infinito percorso da corrente.
Scegliamo l’asse coordinato k in direzione della corrente. In questo caso J ha solo componente z, per
cui la sola componente Az (r2) =i
4πε0c2
´Γ
1rdl di Asarà diversa da zero.
Potremmo anche calcolarci l’integrale che definisce tale componente. Notiamo tuttavia che questo
problema è formalmente analogo alla valutazione del potenziale elettrico dovuto ad un filo uniformemente
carico con densità di carica lineare λeiquv = ic2 . In quel caso si perveniva infatti alla φ = λ
4πε0
´Γ
1rdl.
In elettrostatica, per calcolare il potenziale dovuto al filo carico, si poteva anche valutare direttamente
l’integrale, tuttavia era conveniente, data la simmetria del sistema calcolare il campo elettrico tramite la
legge di Gauss e poi integrare.
Si era tovato, vedi eq. (3.18), E = λ2πε0
1r da cui integrando dall’infinito fino al punto in considerazione
φ = λ2πε0
(ln (∞)− ln (r)). Da cui infine φ = − λ2πε0
ln (r).
Per analogia avremo quindi nel nostro caso
Az (r2) = − i
2πε0c2ln (r) = − i
2πε0c2ln
x2 + y2
Derivando si trova infine per il campo magnetico :
Bx =d
dyAz = − i
2πε0c21
r
d
dy
x2 + y2 = − i
2πε0c2y
r2
By = − d
dxAz =
i
2πε0c21
r
d
dx
x2 + y2 =
i
2πε0c2x
r2
Bz = 0
Si ritrova quindi quanto già sapevamo: vedi equazione (5.15).
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 196
5.5 Dipolo Magnetico
Vediamo adesso di calcolare il campo prodotto da una piccola spira percorsa da corrente.
Domanda: Cosa si intende per “piccola spira”?
i
p
x
y
z
a
b
Figura 5.37: Generico punto dello spazio posto a di-stanza da una spira rettangolare percorsa da correntei
Quello che troveremo è che il campo prodotto
da una tale spira è formalmente simile al campo
prodotto da un dipolo elettrico; per questo si di-
ce usualmente che una piccola spira percorsa da
corrente costituisce un Dipolo Magnetico.
Detto risultato lo si può ricavare molto facil-
mente sfruttando l’analogia formale tra le espres-
sioni per i Potenziali Vettore A ed Elettrostatico
φ in termini delle rispettive sorgenti.
Consideriamo ad esempio la piccola spira piana
rettangolare di lati rispettivamente a e b percorsa
dalla corrente i come indicato in figura (5.37). Calcoliamo il Potenziale Vettore usando l’eq. (5.38).
i
p
x
y
z
a
b
i
p
x
y
z
a
b
!+
!"
!"
!+
p
p
Figura 5.38: Sistemi di sbarrette cariche danti luo-go a potenziali elettrostatici aventi rispettivamente lestesse espressioni della componente x ( parte superio-re della figura) ed y (parte inferiore ) del PotenzialeVettore duvuto alla spira di figura (5.37)
Se si sceglie un sistema di coordinate come
quello di figura (5.37), non avendo mai correnti
dirette come “z”, si ha evidentemente che Az (r) =
0.
Consideriamo adesso la componente x che è
data da
Ax (r) =1
4πε0c2
ˆ
V
Jx (r1)
r2dv1
ove r è la distanza del generico elemento dv1 dal
punto “p” in r = (x, y, z). Osserviamo che il vo-
lume di integrazione comprende solo due dei quat-
tro lati della spira, in quanto solo in essi la cor-
rente fluisce in direzione x. Inoltre, in uno delle
due conduttori Jx è positivo mentre nell’altro è
negativo.
Si vede quindi come, per l’analogia formale tra
le espressioni dei potenziali Elettrostatico e Vettore riportata a pag. 194, la componente x di quest’ultimo
è numericamente uguale al potenziale elettrico relativo a due sbarrette uniformemente cariche con densità
di carica rispettivamente date da λ = ± ic2 come mostrato nella parte superiore della figura (5.38). In
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 197
particolare, a grande distanza queste due sbarrette si comportano come un dipolo elettrico di momento
dipolare px = − |λ| baj. Il potenziale in r dovuto a tale dipolo è dato da φ (r) = 14πε0
px·err2 = − 1
4πε0λ ba y
r3 .
Per cui, nel nostro caso:
Ax (r) = − 1
4πε0
i
c2ba
y
r3
In modo analogo, vedi parte inferiore di fig. (5.38), ci possiamo ricavare l’altro momento di dipolo
per l’equivalente problema elettrostatico py = + |λ| bai. Ripetendo il ragionamento, è quindi evidente
che Ay: Ay (r) =1
4πε0ic2 ba
xr3
x
y
z
r
A
!
Figura 5.39: Linee del Potenziale Vettore a grandedistanza da una piccola spira percorsa da corrente
Osserviamo adesso che sia in Ax che in Ay
compare il prodotto i ba.
Esso costituisce l’unica grandezza sulla quale si
possano ottenere informazioni tramite misure fisi-
che; per questo indicheremo tale prodotto con un
simbolo, µ = i ba , e daremo ad esso un nome come
vedremo nel seguito.
Si scriverà quindi
Ax = − 1
4πε0c2µy
r3
Ay =1
4πε0c2µx
r3(5.39)
Az = 0
per le componenti del PotenzialeVettore. Inoltre il
suo modulo sarà dato da A
=1
4πε0c2µ
x2 + y2
r3=
1
4πε0c2µsin (θ)
r2
Ancora una volta, come in eq. (5.34), Ax ∼ −y ed Ay ∼ x, per cui le linee di A sono delle circonferenze,
come mostrato nella figura (5.39). Esse giacciono in piani paralleli al piano xy ed hanno i loro centri in
punti dell’asse z.
Per generalizzare il risultato procediamo come al solito.
Notiamo come il piano xy sia quello su cui giace la spira. Se quindi diamo a µ carattere vettoriale,
considerandolo diretto normalmente al piano della spira e con verso correlato al senso di circolazione della
corrente attraverso la regola della mano destra, si può scrivere:
A (r) =1
4πε0c2µ× r
r3(5.40)
Ove
µ = i S n (5.41)
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 198
è espresso in termini del valore della corrente e dell’area S = ab della spira ed è diretto come sopra
specificato.
Vediamo adesso di ricavare l’espressione dalle eq. (5.39) per il Campo Magnetico B.
Per le (5.31) si ha:
Bx =d
dyAz −
d
dzAy = − 1
4πε0c2µd
dz
x
r3
By =d
dzAx − d
dxAz = − 1
4πε0c2µd
dz
y
r3
Bz =d
dxAy −
d
dyAx =
1
4πε0c2µ
d
dx
x
r3
+
d
dy
y
r3
e, tenendo conto che ddz r
−3 = −3r−4 ddz
x2 + y2 + z2 = −3 z
r5 si ha ddx
xr3
= r−3 − 3x2
r5 e ddy
yr3
=
r−3 − 3y2
r5
Da cui infine:
Bx = − 1
4πε0c2µ3zx
r5
By =1
4πε0c2µ3zy
r5(5.42)
Bz =1
4πε0c2µ3z2 − r2
r5
Come noterete, le espressioni trovate sono formalmente identiche a quelle per il campo Elettrico di
un dipolo elettrico p ; vedi eq. (3.26). L’unica differenza è la sostituzione p =⇒ µc2
Per questo motivo alla grandezza fisica µ si dà il nome di Momento Dipolare Magnetico
Il risultato trovato è stato calcolato nel caso di una spira rettangolare.
Se la spira avesse avuto forma diversa cosa sarebbe cambiato?
Avremmo ottenuto gli stessi risultati usando per S, in eq.(5.41) e (5.42), l’appropriata espressione
dell’area della spira.
Se la spira non fosse stata piana?
Avremmo dovuto pensare di appoggiare sulla spira una rete sufficientemente fitta da poter considerare
ogni maglia come piana. Per ogni maglia valgono i risultati trovati, per cui il calcolo per il Potenziale
Vettore e per il momento dipolare magnetico si riducono ai seguenti integrali.
A (r) =1
4πε0c2i
ˆ
S
n× r
r3ds 1
4πε0c2
i´S nds
× r
r3
µ = i
ˆ
S
nds
Va notato come si parla di "dipolo" ma i "poli" non ci sono.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 199
Per questo, sebbene a grandi distanze il campo magnetico abbia caratteristiche identiche a quelle del
campo dipolare elettrico, a brevi distanze i due campi sono completamente diversi.
Come mai a grandi distanze i due campi tendono ad essere simili? Perché, in tale condizione, per la
maggior parte dello spazio sia E che B sono due vettori a divergenza e rotare nulli.
Momento di forza agente su di una spira
Si è visto che ad una spira percorsa da corrente è associabile un dipolo magnetico di momento dato
dalla eq. (5.41). Ora una spira percorsa da corrente non solo genera dei campi magnetici, ma pure è
soggetta a forze, se posta in zone in cui è presente un campo B esterno.
B
n
x
y
z
!
FF
a
b
Figura 5.40: Spira rettangolare percorsa da correnteposta in un Campo Magnetico uniforme. La dire-zione coordinata k è scelta coincidere con quella delcampo esterno mentre con n si è indicata la normalealla spira giacente nel piano yz.
Consideriamo il caso di una spira rettangolare,
di lati a e b, posta in un campo magnetico uni-
forme B = B0k come mostrato in figura (5.40).
Nella figura n giace nel piano yz e forma un an-
golo θ con la direzione del campo magnetico B.
Dato che su lati opposti della spira le correnti cir-
colano in senso opposto, mentre è identico il valore
del campo magnetico, le rispettive forze agenti sa-
ranno opposte le une alle altre,come mostrato in
figura.
Le due forze dirette lungo l’asse delle ascisse
hanno la stessa retta di applicazione e quindi si
compensano esattamente. Invece le due dirette co-
me “y” danno luogo ad un momento risultante τ
diretto come −i dato da τ = (a sin (θ)) i bB0
−i
= −µB0 sin (θ) i .
Si ha quindi
τ = µ× B (5.43)
ove ci siamo svincolati dal particolare sistema di coordinate ottenendo quindi l’espressione a validità
generale.
Notiamo come l’eq. (5.43) sia formalmente identica alla analoga elettrostatica. Il momento di forze
agente su di un dipolo elettrico vale infatti τ = p× E; vedi eq. (3.37).
Energia del dipolo magnetico
L’esistenza di un momento di forza implica che le varie possibili orientazioni della spira rispetto ad
un campo magnetico esterno non sono energeticamente equivalenti.
Ad esempio la spira, se lasciata libera di ruotare, tenderà a portarsi con la normale n parallela al
campo B ( cioè con l’angolo θ di figura (5.40) uguale a zero).
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 200
Si pone quindi il problema di trovare l’energia della spira allorchè è posta in un campo magnetico
esterno.
Essa dipenderà, a parte una costante additiva arbitraria, dalle variabili che definiscono il sistema e
cioè i moduli dei vettori µ e B e dall’angolo θ da questi definito.
Il criterio che scegliamo per determinare il valore dell’energia è lo stesso di quello adottato in analoghi
casi. Essa deve eguagliare il lavoro fatto per portare la spira dall’infinito, ove il campo esterno B è nullo,
fino alla regione finale e per orientarla in una definita direzione rispetto al campo.
Supponiamo di procedere secondo le seguenti tre fasi successive
• orientare la spira in modo tale che µ sia parallelo al campo B esistente nella zona finale
• portare la spira nel campo
• orientare la spira nel modo voluto
e calcoliamo il lavoro che dobbiamo compiere in ognuna di esse.
Per quanto concerne la prima operazione non si compie alcun lavoro: nella zona da cui partiamo il
campo magnetico è nullo.
F1
F2
(1)
(4)
(3)
(2)
B
n
x
yz
Figura 5.41: Trascinamento della spira dall’infinitofino alla regione finale.
Veniamo adesso alla seconda fase.
Anche se nella regione finale il campo è unifor-
me ed ha direzione definita, trascinando la spira,
dovremo attraversare zone a campo non uniforme
e di varia orientazione. In tali zone le forze agenti
sui vari lati della spira non sono uguali in modu-
lo. Riferendosi alla figura (5.41) e scegliendo come
direzione positiva delle ascisse quella del moto, si
possono non considerare sia le forze agenti sui lati
(3) e (4) della spira sia quelle dovute alle componenti di B giacenti sul piano xy. Dato che il moto avviene
lungo l’asse delle ascisse, non si deve infatti fare lavoro contro di esse.
Calcoliamo il lavoro L1 fatto contro la forza F1 agente sul lato (1) e dovuta alla componente z del
campo.
Si ottiene L1 = −´ x1
−∞ F1dx = −´ x1
−∞ i aBz(x) dx = −i a´ x1
−∞ Bz(x) dx ove a è la lunghezza comune
dei lati (1) e (2) della spira ed x1 il valore della ascissa relativa alla posizione finale del lato (1).
Per l’analogo lavoro L2 si ha L2 = −´ x1
−∞ F2dx =´ x2
−∞ i aBz(x) dx = i a´ x2
−∞ Bz(x) dx, per cui il
lavoro totale in questa seconda fase sarà dato da
LII = L1 + L2 = i a
x2ˆ
−∞
Bz(x) dx−x1ˆ
−∞
Bz(x) dx
= i a
x2ˆx1
Bz(x) dx
Nella zona finale il campo è uniforme e quindi l’integrale si calcola agevolmente ottenendo (x2 − x1)B0.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 201
Quanto vale (x2 − x1)?
Riferendosi alla figura(5.41) si vede che (x2 − x1) = −b con b lunghezza comune dei tratti (3) e (4).
Si ha quindi che il lavoro eseguito nella seconda fase è LII = −iabB0 = −µB0
Dovremo adesso considerare la rotazione in loco. Per variare l’angolo θ tra la normale ed il Campo
Magnetico di una quantità dθ dovremo intervenire con un momento di forze esterno. Verrà quindi fatto
un lavoro dL = τextx dθ = −τx dθ = µB0 sin(θ) dθ.
Integrando otterremo LIII = µB0
´ θ0 sin(θ) dθ = −µB0 [cos(θ)− 1] = −µ · B + µB0
Sommando i vari contributi avremo quindi:
L = LI + LII + LIII = 0 + (−µB0) +−µ · B + µB0
= −µ · B (5.44)
Questo risultato è analogo a quanto trovato nel caso del dipolo elettrico, vedi eq.(3.38), e saremmo tentati
di interpretarlo come energia del sistema.
Vi è tuttavia una importante differenza: un dipolo magnetico è molto più facilmente modificabile
di un dipolo elettrico. Nel calcolo appena fatto si è supposto che il valore del momento dipolare fosse
costante in tutte le tre fasi. Questo è vero solo se la corrente i che percorre la spira resta costante.
vf
vf
B
i
Figura 5.42: Spira che ruota in campo magneticoesterno. Ogni portatore partecipa al moto del filomentre fluisce lungo il conduttore.
Può darsi che la corrente tenda a variare quan-
do noi muoviamo la spira? Se così fosse il no-
stro calcolo sarebbe errato e quanto ricavato non
corrisponderebbe all’energia del sistema.
Il dubbio di aver trascurato qualche cosa do-
vrebbe venire pure dalla considerazione che le forze
magnetiche non compiono lavoro. Dato che que-
sto è vero, come abbiamo potuto trovare valori non
nulli?
Riferiamoci alla figura (5.42)che mostra di ta-
glio la spira mentre viene fatta ruotare nella zona
ove è presente il campo magnetico. Il lavoro fatto
in totale sarà uguale alla somma dei lavori fatti sui singoli portatori di carica. La forza agente su ciascun
portatore, dovuta al campo esterno, è data da q v× B per cui dovrò calcolare i lavori fatti da forze esterne
uguali e contrarie alle forze di Lorentz.
Per ogni particella, v è dato dalla somma di due termini. Il primo, che indichiamo con vd, è la velocità
dei portatori di carica lungo il filo ed è connesso al valore della corrente elettrica. Il secondo, indicato
con vf , deriva dal moto del filo stesso.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 202
Si ha quindi che q v × B = q (vd + vf ) × B. Il lavoro per unità di tempo contro le forze del campo
sarà dato da −q v ·v × B
= −q (vd + vf ) ·
(vd + vf )× B
che, con semplici passaggi, si riduce a
−q vd ·vf × B
− q vf ·
vd × B
.
Il secondo termine, integrato su tutti i portatori presenti in un elemento dl di filo, dà −vf ·i dl × B
.
Esso rappresenta il lavoro meccanico per unità di tempo che viene fatto dall’esterno e che abbiamo
utilizzato per ricavare la eq. (5.44).
Il primo termine rappresenta invece un lavoro che deve essere fatto contro una forza avente in generale
componente non nulla nella direzione del filo e che quindi tenderà a far variare la velocità di deriva dei
portatori e, con essa, la corrente ed il momento magnetico della spira.
Per mantenere invariata la corrente che fluisce nella spira è quindi necessario l’intervento di un qualche
apparato ( generatore di corrente) che, scambi pure esso energia con i portatori di carica e garantisca il
valore costante del momento magnetico della spira mentre essa viene spostata.
Per calcolare la energia del sistema dovremo sommare tutti i lavori e non limitarci a considerare il
solo lavoro di tipo meccanico. È d’altra parte evidente che la somma del lavoro meccanico più quello
fatto dal generatore dovrà in totale essere nulla.
Si ha quindi
Lmecc + Lgen−spira = 0 (5.45)
.
Sembrerebbe quindi che la variazione di energia totale del sistema sia nulla. Non abbiamo tuttavia
ancora terminato in quanto la spira percorsa da corrente genera pure essa un campo magnetico Bspira.
Con esso interagiscono le correnti presenti nei circuiti dell’apparato che genera il campo magnetico
principale B.
Per questo motivo, in assenza di un secondo generatore di corrente, connesso ai circuiti che generano
il campo magnetico principale, lo spostamento della spira causerà variazioni di detto campo.
Nel computo dell’energia del sistema dovremo includere anche il lavoro fatto da un secondo generatore
che provveda a mantenere costante la corrente nel circuito che produce il campo B.
Per valutare tale lavoro supponiamo quindi, invece di spostare la spira, di spostare il macchinario che
produce il campo magnetico principale. Per il principio di azione-reazione il lavoro di tipo meccanico
dovrà essere uguale a quello necessario per spostare la spira per cui potrò scrivere, in perfetta analogia
con la eq. (5.45) Lmecc + Lgen−B = 0 .
Sommando le due relazioni, si trova 2Lmecc+Lgen−spira+Lgen−B = 0 od anche Lmecc+Lgen−spira+
Lgen−B = −Lmecc
Al primo membro di questa ultima espressione compare la somma dei lavori compiuti dai tre soggetti
intervenenti; esso costituirà quindi l’energia totale del sistema.
CAPITOLO 5. MAGNETOSTATICA 203
Concludendo, l’energia della spira posta nel campo magnetico sarà data da
U = µ · B (5.46)
mentre Lmecc = −µ · B rappresenta solo il lavoro di tipo meccanico che si deve compiere, prescindendo
da quello fatto dai generatori, e non l’energia del sistema.
Termino notando che troverete casi in cui per valutare l’energia di un momento magnetico in campo
esterno si torna ad usare l’espressione −µ · B.
Ciò accade quando si trattano sistemi quantistici. Senza entrare in dettagli, si può capire l’origine
dell’espressione con il segno opposto considerando che in tali sistemi vi sono motivi fisici, riassunti nelle
cosiddette regole di quantizzazione, che provvedono a mantenere costanti i momenti magnetici od i campi.
Non è quindi necessario l’intervento sussidiario di alcun generatore.