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1 Carta delle vocazioni faunistiche della Regione Emilia Romagna aggiornamento 2006 Status e distribuzione di specie di Uccelli e Mammiferi di interesse faunistico, gestionale e conservazionistico

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Carta delle vocazioni faunistiche

della Regione Emilia Romagna aggiornamento 2006

Status e distribuzione di specie di Uccelli e

Mammiferi di interesse faunistico, gestionale e conservazionistico

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UCCELLI

a cura di Pier Paolo Ceccarelli, Mario Bonora, Stefano Gellini

STATUS E DISTRIBUZIONE DI SPECIE NIDIFICANTI DI INTERESSE

FAUNISTICO, GESTIONALE E CONSERVAZIONISTICO

INTRODUZIONE

La relazione che segue include le specie di uccelli trattate nella precedente edizione della Carta

delle vocazioni (Toso et al. 1999) ed inoltre tutte le altre specie di uccelli di ambiente terrestre

riportate nella Direttiva Uccelli presenti nel territorio della Regione Emilia-Romagna.

L’aggiornamento delle informazioni relative a status e distribuzione degli uccelli in oggetto è

stato attuato disponendo di nuove conoscenze ricavate in particolare da:

Atlante degli uccelli nidificanti nelle province di Forlì-Cesena e Ravenna (Gellini e Ceccarelli

2000); dati relativi al triennio 1995-1997.

Atlante degli uccelli nidificanti nella provincia di Bologna (Tinarelli et al. 2002); periodo 1995-

1999.

Atlante degli uccelli nidificanti nel Piacentino (Ambrogio et al. 2001); periodo 1995-2000.

Atlante degli uccelli nidificanti a Reggio Emilia, Uccelli in città (Gustin 2002); biennio 1999-

2000.

Atlante degli uccelli nidificanti nella provincia di Ravenna (Provincia di Ravenna e Sterna,

relazione inedita); triennio 2004-2006.

Atlante degli uccelli nidificanti nella provincia di Forlì-Cesena (in elaborazione) (Provincia di

Forlì-Cesena e Sterna); triennio 2004-2006.

Resoconto ornitologico dell’Emilia-Romagna; anni 2002-2003-2004 (Giannella e Tinarelli 2003,

2004, 2006).

Check-list degli uccelli dell’Emilia-Romagna dal 1900 al giugno 2003 (Bagni et al. 2003).

Riviste ornitologiche: Rivista Italiana di Ornitologia, Avocetta, Picus.

Schede della Rete Natura 2000 in Emilia-Romagna (Tinarelli 2005).

Sono stati utilizzati anche dati inediti di Sterna (in particolare per Rimini e Ferrara) e Asoer.

Per le province di Piacenza, Bologna, Forlì-Cesena, Ravenna, Rimini e parte di Ferrara si

dispone quindi di una situazione riferita nel complesso all’ultimo decennio (1995-2006).

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Non sono invece disponibili al momento informazioni aggiornate per parte delle province di

Parma, Reggio Emilia, Modena e Ferrara; per queste province sono stati recuperati i dati della

Carta del 1999 che si riferiscono praticamente al decennio precedente (1980-1995); in particolare

le informazioni sono quelle ricavate da:

L’avifauna nidificante nella provincia di Parma (Ravasini 1995); periodo 1980-1995.

Atlante degli uccelli nidificanti in provincia di Modena (Giannella e Rabacchi 1992); periodo

1982-1990.

Le categorie fenologiche riportate sono relative al territorio regionale e sono tratte da Bagni et al.

2003.

ACCIPITRIFORMI

FALCO PECCHIAIOLO Pernis apivorus

Nidificante estivo, migratore regolare.

In Regione l’areale appare oggi leggermente ampliato rispetto a quello del 1999 con il numero

delle tavole occupate che passa dalle 51 di allora a 59 (pari al 34,3% del totale). Sono migliorate

le informazioni sulla certezza della nidificazione che riguarda attualmente 48 tavole (27,9%),

grazie soprattutto ad una più precisa ricerca nel Bolognese dove gran parte delle indicazioni

precedenti, quasi unicamente di eventualità, diventano ora certe.

Non sono confermate le presenze (eventuali) nella fascia orientale della Regione, ovvero

nell’Appennino riminese e nelle zone ferraresi del Parco del Delta.

La carta mostra una prevalente distribuzione nelle zone centrali ed occidentali dell’Appennino

dove la specie risulta nidificante anche a quote basse: 100 m nel Bolognese (Tinarelli et al.

2002), 152 m nel Parmense (Ravasini 1995), 145 nella Vena del Gesso ravennate (Bonora

inedito); la maggior parte delle coppie è comunque distribuita ad altitudini medio-alte, dai 500 m

al crinale; nel Forlivese solo la parte alta dell’Appennino risulta frequentata.

Nel valutare la distribuzione va tenuto presente che l’epoca tardiva del movimento migratorio

(maggio-inizio giugno) può portare ad una sovrapposizione fra individui migranti e coppie

nidificanti, creando possibilità di errate valutazione della presenza riproduttiva; tenuto conto di

questo è tuttavia molto probabile una reale minore diffusione nella parte orientale

dell’Appennino.

In Italia è stimata una popolazione di 600-1000 coppie (Brichetti e Fracasso 2003); quella

regionale era stimata in 100-300 coppie (Chiavetta 1992) con un valore massimo forse troppo

ottimistico; per i nuclei più consistenti le valutazioni più recenti indicano 40 coppie nel

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Parmense (Ravasini 1995), 25-50 coppie nel Bolognese con possibile tendenza all’aumento

(Tinarelli et al. 2002).

La Regione è interessata da un discreto movimento migratorio che può riguardare svariate

migliaia di individui (Chiavetta 1992); il transito avviene su fronte ampio, senza particolari rotte

migratorie; in qualche caso però sono stati individuati percorsi autunnali con discreti passaggi

come quello che risalendo il Savio valica il Passo dei Mandrioli (FC): qui il massimo giornaliero

è stato osservato il 24/8/02 con 63 individui (Premuda et al. 2006).

Nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) la specie è dichiarata vulnerabile, in quella della

Regione (Gustin et al. 1997) è a status indeterminato. Al momento tuttavia non sembrano

esistere particolari minacce in ambito regionale, a parte quelle derivanti da elettrocuzione o

collisione con linee elettriche, come documentato anche localmente (Tinarelli e Tirelli 2003); i

rischi potrebbero derivare soprattutto dalle eventuali future installazione di impianti eolici che

rappresentano gravi pericoli per tutti i grandi rapaci. In campo nazionale i rischi per la specie

derivano principalmente come noto dall’attività venatoria illegale durante il passo nelle regioni

italiane meridionali.

NIBBIO BRUNO Milvus migrans

Popolazione italiana con fluttuazioni o in deciso decremento, stimata tra 700 e 1200 coppie,

distribuite in particolare nelle regioni settentrionali intorno ai laghi prealpini e principali aste

fluviali, nelle Maremme toscane e laziali, in Puglia e Basilicata (Brichetti e Fracasso 2003).

Poco comune nella Pianura Padana a sud del Po (Meschini e Frugis 1993; Brichetti e Fracasso

2003). Definito migratore regolare e nidificante irregolare dalla check-list dell’Emilia-Romagna

(Bagni et al. 2003), è specie ad Alta priorità di conservazione secondo la Lista Rossa regionale

(Gustin et al. 1997).

I dati storici disponibili per la Pianura padana (Aldrovandi 1599; Ginanni 1774), pur nella

difficoltà di confronto delle denominazioni di epoche antecedenti la tassonomia attuale, fanno

credere che la specie non sia mai stata comune negli ultimi secoli.

Popolazione dell’Emilia-Romagna già stimata intorno a 5-30 coppie (Chiavetta 1992); la

consistenza attuale è sicuramente inferiore (1-10 coppie).

Nidifica nelle aree planiziali, particolarmente nelle golene e in prossimità dei principali corpi

idrici. In assenza di vegetazione igrofila spontanea può utilizzare anche pioppeti coltivati.

Dati sufficientemente documentati riportano sporadiche e irregolari nidificazioni in varie

province. A Piacenza è stato osservato nidificante lungo il Po nel 1984 (Battaglia, com.pers). A

Parma è riportato nidificante irregolare con un numero massimo di 1-3 coppie per anno

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(Ravasini 1995). A Reggio Emilia nel 2005 ha nidificato in un pioppeto coltivato,

successivamente abbattuto. Una nidificazione si è avuta anche l’anno successivo a qualche

chilometro di distanza. A Bologna una coppia negli anni ’80 ha nidificato per più stagioni

successive nella golena del Reno presso Sasso Marconi (Leoni, com.pers). Individui quantomeno

estivanti sono osservati frequentemente intorno alle zone umide di Molinella. A Ferrara una

coppia ha nidificato nel Bosco della Mesola presso la foce del Po di Volano (Passarella 1996). A

Ravenna è documentata una nidificazione del 1954 nella Pineta di S.Vitale (Brandolini 1961)

Nel Riminese negli anni ‘80 sono riferiti casi ripetuti di estivazione che potrebbero essere

interpretabili come nidificazione eventuale (Foschi e Gellini 1987).

La presenza di individui estivanti di cui non si accerta l’attività riproduttiva è più consistente

nelle province occidentali della Regione e in prossimità del Po per la maggior vicinanza alla

popolazione nidificante presente in Lombardia e Veneto. Per altre aree, tra cui la provincia di

Bologna, il fenomeno è in regresso rispetto a uno-due decenni fa probabilmente in conseguenza

della contrazione delle vicine popolazioni della pianura lombarda (Mason et al. 1999).

Gli individui in migrazione sono stimati da Chiavetta (1992) in alcune migliaia. Tuttavia finora

non sono state evidenziate vie importanti per questo rapace in Emilia-Romagna. Pochi individui

osservati lungo la costa adriatica nel corso di un campo di osservazione primaverile nel 2005

presso Volano (Premuda, in stampa) ed altri nelle valli a sud di Parma e di Bologna (Premuda et

al. 2006). Osservazioni mirate alla migrazione post nuziale dei rapaci in vallate dell’Appennino

romagnolo (Bonora et al. 2005) non hanno evidenziato il passaggio di questo migratore.

Vi sono infine rari casi di svernamento avvenuti nella Bonifica del Mezzano (FE) e nell’Oasi

della ex risaia di Bentivoglio (BO).

Le aree golenali in cui nidifica sono soggette a frequenti lavori idraulico-forestali e

trasformazioni con l’eliminazione della vegetazione naturale per l’impianto di pioppeti artificiali

soggetti a pratiche colturali. In un caso nel 2005 si è ottenuto di differire l’abbattimento di un

pioppeto fino all’involo dei pulli (Bagni, com.pers). In un caso una coppia che nidificava in una

proprietà demaniale è stata definitivamente allontanata a causa della costruzione di strutture

recettive per l’accesso dei visitatori.

La frequentazione di discariche di rifiuti urbani espone gli individui ad avvelenamento da

prodotti impiegati in tali impianti per il controllo dei roditori.

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BIANCONE Circaetus gallicus

Definito migratore regolare e nidificante dalla check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni et al.

2003), è specie rara, con coppie isolate distribuite in pochi siti secondo la Lista Rossa regionale

(Gustin et al. 1997).

In Emilia-Romagna è stimata una popolazione inferiore alle 20 coppie (Chiavetta 1992) o di 5-

10 coppie (Gustin et al. 1997) che nidificano ad altitudini tra 200 e 800 m. slm.

L’areale di nidificazione è limitato alle province occidentali. A Parma sono state individuate due

coppie nel 1990 in rimboschimenti di Pinus nigra a quote di 800-1000 m. s.l.m;

successivamente si sono localizzati fino a 7 territori riproduttivi in comprensori di media

montagna (Ravasini 1995). A Piacenza è riferita la presenza di 2-7 coppie in ambienti collinari e

di bassa montagna. I rimboschimenti artificiali di Pinus nigra rappresentano il sito di

nidificazione usuale (Ambrogio et al. 2001; Battaglia 2002). Queste coppie si possono

considerare una propaggine della popolazione ligure e toscana, considerando che in Emilia-

Romagna la presenza di altre certamente nidificanti più a est non è riportata in letteratura.

La popolazione italiana è stimata in 350-400 coppie concentrate particolarmente nell’Appennino

ligure ed Alpi Occidentali, Prealpi venete, regioni Tirreniche centrali, Calabria e Basilicata.

(Brichetti et al. 1992; Brichetti e Fracasso 2003).

L’intera fascia collinare dell’Emilia-Romagna tra Reggio e Rimini è interessata dalla presenza di

estivanti, per lo più subadulti, di cui non si è accertata finora attività riproduttiva (Premuda e

Bagni 2003; Ceccarelli 2003). In provincia di Bologna sono presenti mediamente oltre 10

individui che frequentano vallate aperte caratterizzate da calanchi e pascoli tra il torrente Idice e

il fiume Santerno. Si possono osservare voli territoriali e apparenti comportamenti di

corteggiamento, senza che siano state riscontrate nidificazioni. Sono stati osservati fino a 7

individui, prevalentemente immaturi, in un dormitorio comune occupato per più anni successivi

(Premuda 2004). Più ad est la presenza è regolare tra le valli di Senio-Marzeno-Samoggia ed

ancora più ad est nelle basse colline tra Bidente-Savio e Marecchia.

I flussi migratori attraverso la regione sono definiti scarsi e dell’ordine di 300 individui

(Chiavetta, 1992), valore probabilmente sovrastimato. Le vie principali di migrazione infatti

interessano l’Italia peninsulare lungo la costa Tirrenica con un passaggio di molte centinaia di

individui (Agostini et al. 2004) mentre il flusso che segue l’Adriatico è trascurabile

(Borioni1993; Pandolfi e Sonet 2006).

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ALBANELLA MINORE Circus pygargus

Nidificante estiva, migratrice regolare.

L’areale regionale appare sostanzialmente sovrapponibile rispetto alla Carta del 1999, con un

aumento delle tavole che passano da 60 a 75 (43,6% del totale); l’incremento, che interessa in

particolare le aree di pianura bolognese e ferrarese, può rientrare nella dinamica fluttuante delle

popolazioni nidificanti che caratterizza questa specie. Le tavole con indicazione certa di

riproduzione (49 pari al 28,5%) risultano concentrate nel basso Appennino (soprattutto da Rimini

a Bologna, e Parma), nella zone umide costiere e nell’immediato retroterra (Ravenna, Ferrara), in

zone golenali del Po (Parma, Piacenza); è probabile che le ricerche in corso per gli atlanti di

Modena e Reggio possano riempire i vuoti che attualmente appaiono nell’Appennino di quelle

province.

La popolazione italiana è stimata in 260-380 coppie con andamento fluttuante (Brichetti e

Fracasso 2003). Le stime per la Regione vanno da 70-140 (Chiavetta 1992) a 85-110 (Gustin et

al. 1997) a 70-140 (Marchesi e Tinarelli 2007), contingenti che risultano di importanza nazionale

in quanto rappresentano circa il 40% della popolazione italiana; a livello locale vengono indicate

20-30 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002), 15-18 nel Parmense (Ravasini 1995). Il

movimento migratorio interessa la Regione con importanti contingenti ipotizzati in 2-3.000

individui (Chiavetta 1992).

Nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) la specie figura fra quelle vulnerabili; a livello

regionale viene considerata “altamente vulnerabile” (Gustin et al. 1997) essendo infatti esposta

ad una serie importante di minacce: quella principale deriva dalla sua abitudine di deporre anche

nei seminativi con il rischio di perdita delle nidiate durante le operazioni di falciatura meccanica;

sono auspicabili al riguardo interventi gestionali con operazioni di salvaguardia dei nidi durante

il lavoro delle macchine operatrici, interventi già attuati felicemente in passato con finanziamenti

regionali (Chiavetta 1992). Altri rischi sono di origine ecologica per la perdita di siti riproduttivi

causata dal rimboschimento naturale di ambienti aperti collinari, o per predazione dei nidiacei da

parte di carnivori; altri derivano da azioni umane dirette e indirette: caccia illegale,

contaminazione da pesticidi, elettrocuzione, alterazioni dell’habitat e disturbo nelle zone

golenali.

ASTORE Accipiter gentilis

Sedentario nidificante, migratore regolare e svernante secondo la Check-list dell’Emilia-

Romagna (Bagni et al. 2003); la Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997) la considera specie

rara le cui coppie isolate sono distribuite in pochi siti.

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Confrontando i dati attuali con quelli della precedente Carta delle Vocazioni, la specie risulta

certamente nidificante in 29 tavolette che ospitano una o più coppie (più 4 con nidificazioni

eventuali) contro le precedenti 21 (più 7 eventuali). Ciò in parte riflette conoscenze più

approfondite ottenute soprattutto nell’Appennino romagnolo dove recentemente sono state

intraprese ricerche specifiche, e nell’Appennino bolognese.

La specie, che necessita di formazioni forestali ad alto fusto (Kerward 2006), è fortemente

limitata in tutto il comprensorio di pianura dall’assenza di boschi strutturalmente idonei e non

disturbati, mentre colonizza in modo pressoché continuo tutta la zona dell’alto Appennino.

Generalmente legata nella nostra zona alla presenza di conifere, è stata notevolmente

avvantaggiata dai programmi di rimboschimento condotti nei decenni scorsi ad opera delle

amministrazioni pubbliche. E’ riscontrata infatti in rimboschimenti di Pino nero, Abete bianco,

Abete rosso, Douglasia. Nelle Foreste Casentinesi non nidifica, salvo eccezioni, nei versanti ad

Abietifagetum ma seleziona i rimboschimenti artificiali puri di conifere. Occasionalmente lo si è

trovato nidificante in boschi di latifoglie a bassa quota o in castagneti abbandonati (Colombari,

oss.pers).

La popolazione della regione è stata stimata inferiore alle 50 coppie (Chiavetta 1992; Gustin et

al. 1997). Dai dati attuali questa stima può essere elevata a 50-80 coppie. Favoriscono la specie il

generale miglioramento del patrimonio forestale e la diminuita pressione venatoria che, anche

una volta cessata la deliberata persecuzione dei predatori, abbastanza spesso è vittima di

abbattimenti illegali.

La popolazione italiana è stimata in 500-800 coppie (Brichetti e Fracasso 2003) distribuite

sull’arco alpino e nell’Italia continentale dove è presente la sottospecie nominale, e in Sardegna

con 50-70 coppie appartenenti alla sottospecie A.gentilis arrigonii endemica di Corsica e

Sardegna oggetto di un Piano di Azione dell’Unione Europea.

Fattori di minaccia per la specie sono rappresentati dalla frammentazione dell’habitat forestale

ad alto fusto, dagli abbattimenti o lavori forestali in stagione riproduttiva, dall’eccessiva

rimozione dei rinnovi e alberi morti che limita il numero delle prede potenziali, dal disturbo

causato da attività del tempo libero in prossimità dei nidi (ricerca prodotti del sottobosco,

escursionismo, motocross), intrappolamenti accidentali in pollai, colombaie o altre strutture di

allevamento.

Si deve anche ricordare che un considerevole numero di rapaci, tra cui particolarmente gli astori,

viene accidentalmente catturato (e legalmente deve essere rilasciato) in trappole autorizzate per il

controllo selettivo dei Corvidi.

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SPARVIERE Accipiter nisus

In parte sedentario, migratore regolare, svernante.

L’attuale distribuzione regionale appare ampliata decisamente rispetto ai dati della Carta del

1999.

La specie risulta presente in 98 tavole (57% del totale) contro le 73 di allora, con un aumento

percentuale del 34,2%; in particolare appare molto migliorata la distribuzione nelle province di

Piacenza, di Forlì-Cesena ed in parte di Bologna.

L’ampliamento può essere in parte determinato da una più precisa e capillare ricerca per gli

ultimi atlanti provinciali, ma è opinione diffusa che la specie sia in espansione, soprattutto nelle

zone collinari che risultano in pratica completamente occupate; l’espansione riguarda anche

nuove zone di pianura (in gran parte tuttavia senza prove certe di nidificazione), in una vasta

zona di campagna a nord di Modena e Bologna, e con due casi isolati nell’ambito del Parco del

Delta; da segnalare la nidificazione nella periferia urbana di Reggio Emilia (Gustin 2002).

La nidificazione appare accertata in 82 tavole (47,7%); in particolare viene riportato

l’accertamento della riproduzione anche nel Forlivese (che non figurava nella precedente

indagine) con 14 tavole. La completa assenza di segnalazioni lungo l’asta del Po, dal Reggiano

alla costa adriatica, è probabilmente da imputare a carenza di informazioni, visto che nella parte

occidentale del corso del fiume la presenza è pressoché continua.

La popolazione italiana è stimata in 2.000-4.000 coppie con tendenza all’incremento (Brichetti e

Fracasso 2003); è probabilmente da rivedere in aumento, almeno nel valore minimo, la

valutazione regionale di 300-800 coppie (Chiavetta 1992); stime parziali più recenti indicano

110-130 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e 60-100 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al.

2002). Vengono stimati in Regione alcune centinaia di individui svernanti e diverse migliaia di

migratori (Chiavetta 1992).

Anche a livello nazionale viene indicata una generale tendenza all’incremento numerico e

all’espansione territoriale negli ultimi due decenni (Brichetti e Fracasso 2003).

Come tutte le specie dei rapaci, lo Sparviere è esposto a minacce derivanti da azioni dirette

(caccia illegale, in particolare per gli individui svernanti) o indirette dell’uomo (uso di pesticidi,

elettrocuzione, collisione con cavi aerei o impianti eolici).

POIANA Buteo buteo

In parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.

E’ probabilmente la specie dei rapaci diurni più comune nella Regione ed appare in espansione

rispetto alla carta del 1999: la presenza riproduttiva viene indicata in 127 tavole (73,8% del

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totale) contro le precedenti 95 (+33,6%); l’accertamento della nidificazione riguarda 111 tavole

(64,5%).

Il confronto fra le due carte mostra una distribuzione sostanzialmente immutata a monte della

Via Emilia, salvo una migliore copertura nell’Appennino piacentino che appariva disertato

nell’indagine precedente, probabilmente per un difetto di informazione. L’espansione riguarda

quindi le zone di pianura, in particolare il Bolognese, il Ravennate, le zone costiere ferraresi, le

adiacenze del Po piacentino; nella pianura orientale esistevano già alcune segnalazioni, limitate

però ad indicazioni di eventuale riproduzione, mentre attualmente figurano nidificazioni certe

localizzate nelle aree protette costiere (Pineta di Classe, Punte Alberete) e nella pianura

antropizzata bolognese. Va detto che l’insediamento nella pianura riguarda al momento poche

coppie isolate, essendo l’espansione limitata dalla scarsità degli alberi adatti ad accogliere il

nido; possono sopperire grandi alberi o boschetti isolati e i boschi fluviali.

Le massime densità si riscontrano nella bassa e media collina con sufficiente copertura arborea

alternata agli spazi aperti necessari alla caccia; nel Parco dei Gessi bolognesi ad esempio sono

state registrate 12 coppie in 50 kmq (Colombari in Tinarelli et al. 2002), densità (24 cp/100 kmq)

che appare tra le più alte anche a livello nazionale. A quote prossime al crinale appenninico le

densità si riducono notevolmente a causa della estesa copertura boschiva.

In Italia sono stimate 4.000-8.000 coppie con trend in aumento (Brichetti e Fracasso 2003); in

Regione sono valutate 500-1000 coppie (Chiavetta 1992), con stime locali di 90-95 nel Parmense

(Ravasini 1995) e 150-200 nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). I contingenti svernanti nella

Regione possono essere di un migliaio di individui, quelli migratori di diverse migliaia

(Chiavetta 1992).

Lo status della popolazione è da considerarsi buono, con relative minacce rappresentate dalle

uccisioni illegali (da lamentare purtroppo la pratica ancora attiva delle esche avvelenate,

pericolose anche per questa specie), dalle collisioni con cavi aerei, dall’elettrocuzione; in

particolare la mortalità dovuta alle linee elettriche è documentata anche localmente (Tinarelli e

Tirelli 2003; Chiozzi e Marchetti 2000), mortalità che potrebbe essere ridotta con interventi di

messa in sicurezza, ad esempio mediante sostituzione dei conduttori con cavi Elicord. Per i

grandi veleggiatori come la Poiana un grave pericolo può inoltre essere rappresentato da impianti

eolici posti sulle rotte migratorie.

AQUILA REALE Aquila chrysaetos

Definita sedentaria nidificante dalla check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni et al. 2003), è specie

ad Alta priorità di conservazione secondo la Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997).

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Rispetto alla precedente carta delle Vocazioni del 1999 si nota una presenza più diffusa sul

territorio. Ciò in parte è attribuibile a un precedente difetto delle conoscenze.

La popolazione italiana presenta attualmente un trend positivo. Le stime più aggiornate

considerano presenti 476-541 coppie, per due terzi concentrate sull’arco alpino dove la specie ha

praticamente saturato la capacità portante (Fasce e Fasce 2003; Brichetti e Fracasso 2003). In

Appennino sono stimate 57-69 coppie. E’ verosimile che la maggiore antropizzazione, la minore

disponibilità di ungulati selvatici e il bracconaggio mantengano la popolazione appenninica al di

sotto delle potenzialità. In Appennino Tosco-Emiliano sono conosciute 16-22 coppie nidificanti

di cui 9 nei confini dell’Emilia-Romagna (Bonora et al. in stampa). I siti potenzialmente idonei

alla specie sono stimabili per l’Appennino Tosco-Emiliano in un terzo in più rispetto a quelli

occupati. Le coppie sono più concentrate nelle parte ovest della regione e più isolate

nell’Appennino romagnolo, fenomeno analogo a quanto accade sul versante toscano, attribuibile

alle differenti caratteristiche orografiche del territorio.

Una coppia possiede generalmente più nidi all’interno del proprio territorio riproduttivo che

vengono utilizzati con rotazioni irregolari. Possono essere distanziati da poche decine di metri a

molti chilometri (oltre dieci nel caso di due coppie in Emilia-Romagna). La rappresentazione

topografica per la specie risente di questo fenomeno, in quanto non è possibile rappresentare i

nidi alternativi di una stessa coppia che ricadono in elementi cartografici diversi.

La produttività risulta nella norma, mediamente di 0,5 giovani involati per coppia ogni anno con

estremi tra 0,15 e 1,0 nell’arco di 15 anni per le due coppie rispettivamente più e meno

produttive. Non sono eccezionali i casi di due giovani involati per coppia.

Oltre agli adulti nidificanti, sono presenti giovani dell’anno e subadulti di cui è nota la grande

facilità di spostamento, nati localmente o provenienti da altre aree, che frequentano in particolare

le zone collinari caratterizzate da vasti spazi aperti e calanchi. La presenza di immaturi,

difficilmente quantificabile con precisione, è stimabile intorno a 7-10 individui (Bonora et al. in

stampa). In alcuni casi si sono osservati immaturi che hanno frequentato la stessa area per diversi

anni e si sono successivamente spostati una volta assunto l’abito riproduttivo.

Le praterie di crinale, sfruttate per l’alimentazione, ricadono inoltre nell’home range di almeno 7

coppie nidificanti sul versante toscano.

Per questi motivi l’areale frequentato dalla specie (coppie riproduttive e immaturi) deve essere

considerato coincidente con le zone aperte collinari e montane specialmente a minore grado di

antropizzazione.

I fattori di minaccia per l’aquila sono rappresentati dal disturbo in prossimità del nido in stagione

riproduttiva per lavori forestali o attività legate al tempo libero (escursionismo, raccolta di

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prodotti del sottobosco, fotografia naturalistica). Si verificano ancora sporadici ma significativi

episodi di bracconaggio.

La collisione con elettrodotti è altro fattore documentato che incide particolarmente sui giovani

appena dopo l’involo. L’installazione sui crinali di generatori eolici, di grandi dimensioni e in

serie anche di decine di elementi, costituisce il principale pericolo per la conservazione della

specie.

FALCONIFORMI

GRILLAIO Falco naumanni

Migratore regolare e nidificante irregolare secondo la Check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni et

al. 2003), non è classificato dalla Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997).

Specie a distribuzione europea e centroasiatica, la popolazione europea attuale è di 12-18000

coppie, la metà circa delle quali localizzate nella penisola iberica dove tuttavia sarebbero state

presenti oltre centomila coppie fino agli anni ’60 (Cramp e Simmons 1980). In Italia la

popolazione è inferiore a 4000 coppie, delle quali 3000 insediate nelle regioni meridionali

(Basilicata e Puglia) e nelle principali isole: 200 in Sardegna, 500 in Sicilia (Brichetti e Fracasso

2003). Sono sporadiche le presenze in altre regioni meridionali; è estinto in Italia centrale dove

sono riportate nidificazioni in Toscana, all’Isola d’Elba e all’Argentario, fino agli anni ’80

(Massa 1992).

Nel panorama di contrazione dell’areale riproduttivo e del numero di coppie, la specie è stata

segnalata nidificante per la prima volta in Emilia-Romagna in provincia di Parma nel 1990

(Bagni et al. 2003). Nel Ferrarese, nella bonifica del Mezzano, nel 2003 una coppia ha nidificato

senza successo in un nido di Gazza (Tinarelli 2004); il tentativo non si è ripetuto negli anni

successivi. Nelle Valli di Mirandola (MO) una coppia ha nidificato nel 2005; nella stagione

successiva a questa se ne sono aggiunte altre per un totale di 6 coppie riproduttive (Giannella

com.pers).

La regione è interessata da un passaggio di migratori già definito scarso ed irregolare (Chiavetta

1992) che è diventato più consistente negli ultimi anni. Presenze prolungate a tarda estate di

diverse decine di individui sono state segnalate nella zona collinare a sud di Bologna (Fusini et

al. 2006) e nella fascia calanchiva del Forlivese (Ceccarelli et al. 2006).

I fattori di minaccia per la specie sono rappresentati, in gran parte dell’areale riproduttivo e di

svernamento, dall’intensificazione delle pratiche agricole, con il passaggio a forme di

conduzione diversa di aree adibite a pascolo o a colture estensive; ciò comporta oltre alla minor

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disponibilità di territori di caccia anche una riduzione degli invertebrati. L’afforestazione

spontanea o artificiale causa ugualmente una perdita di habitat. La disponibilità di cavità idonee

per la nidificazione è ridotta dal recupero e ristrutturazione di edifici rurali tradizionali. Infine

nella nostra regione dove il Grillaio nidifica in nidi di Gazza, pratiche non consentite quali lo

sparo al nido per il contenimento dei Corvidi può comportare la perdita dei pochi riproduttori

presenti. Il Grillaio è oggetto di un Piano di Azione della Unione Europea.

GHEPPIO Falco tinnunculus

In parte sedentario, migratore regolare, svernante.

L’areale riproduttivo regionale è in notevole ampliamento verso le zone pianeggianti che

apparivano evitate nella Carta del 1999. E’ evidente infatti l’occupazione di tanti nuovi territori

di pianura, anche ad agricoltura intensiva: tutta la provincia di Ravenna appare coperta, ed anche

le zone litorali del Ferrarese, tutta la bassa bolognese; rimangono scoperte alcune zone di pianura

del Ferrarese, Modenese e Reggiano, probabilmente solo per mancanza di informazioni recenti.

Peraltro l’incremento deve ritenersi reale e non determinato da una maggiore intensità della

ricerca ornitologica, trattandosi di una specie di facile rilevamento e che nidifica in siti ben

evidenti (cavità in abitazioni abbandonate, nidi vecchi di Corvidi) e che pertanto non poteva

sfuggire alle osservazioni nei decenni scorsi. Si tratta di un trend positivo che inverte la

situazione di drastico calo nella Pianura Padana iniziato a metà del secolo scorso (Brichetti e

Fracasso 2003).

E’ confermata la copertura continua dell’Appennino, che appare completata anche nella

provincia di Piacenza.

Le tavole occupate, che erano 98, sono attualmente 144 (83,7% del totale) con un incremento del

47%; le indicazioni di nidificazione certa riguardano 127 tavole (73,8%).

Questa situazione può far ritenere in aumento la popolazione nidificante in Regione, la cui ultima

stima è di 500-1000 coppie (Chiavetta 1992); stime locali indicano nel Parmense 100-110 coppie

(Ravasini 1995) e nel Bolognese 180-250 coppie (Tinarelli et al. 2002); la stima del Modenese di

30-40 coppie (Giannella e Rabacchi 1992) appare oggi certamente inadeguata.

La popolazione italiana è stimata in 8.000-12.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2003).

Il transito migratorio nella Regione viene stimato in svariate migliaia di individui, il contingente

svernante in alcune centinaia (Chiavetta 1992); la valutazione degli svernanti va probabilmente

aggiornata in aumento.

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In Europa è specie considerata in declino, classificata SPEC3 ovvero specie con status di

conservazione sfavorevole e popolazione non concentrata nel continente, mentre in ambito

italiano risulta in ripresa (BirdLife International 2004).

Localmente le minacce per la specie sono rappresentate dalla caccia illegale, da elettrocuzione e

impatti con cavi aerei, dalla riduzione di aree aperte collinari e montane, dalla ristrutturazione

delle abitazioni abbandonate. A beneficio della specie potrebbero essere utilizzati speciali nidi

artificiali a cassetta da installare in ambienti agrari, pratica attuata con successo in molti paesi

europei ed anche in Toscana, Lazio e nel Modenese (Rabacchi 1999).

FALCO CUCULO Falco vespertinus

Nidificante estivo, migratore regolare secondo la Check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni et al.

2003)

Specie nidificante di recente acquisizione, la prima riproduzione è stata osservata vicino a Parma

nel 1995 (Ravasini 1996). A questa hanno fatto seguito nel Parmense altre segnalazioni di

piccole colonie di consistenza inferiore a 10 coppie (Sponza et al. 2002). L’insediamento ha

interessato successivamente le Province di Modena e di Ferrara (Tinarelli 1997) e di Piacenza

(Ambrogio et al. 2001). In Provincia di Bologna si è avuta una nidificazione nel 1998

probabilmente ripetutasi nella stagione successiva senza che a questi casi sporadici sia seguita

una colonizzazione permanente (Tinarelli et al. 2002).

La popolazione più consistente, circa 60-70 coppie, occupa attualmente la Bonifica del Mezzano

nel Ferrarese ove è favorita da ampi spazi a seminativi, presenza di argini non coltivati lungo i

canali di bonifica ed interventi di ripristino ambientale. Le nidificazioni avvengono

principalmente lungo le siepi frangivento ove sono disponibili numerosi nidi di Gazza

abbandonati che vengono occupati dalla specie. (Tinarelli 2004). La popolazione regionale è

stimabile intorno alle 80-100 coppie.

In Italia al di fuori dell’Emilia-Romagna sono segnalati pochi casi di nidificazione in Veneto e

Toscana (Brichetti e Fracasso 2003) quindi la specie è considerata dalla Lista Rossa regionale

(Gustin et al. 1997) rara e al limite dell’areale e la popolazione dell’Emilia-Romagna di

importanza nazionale.

Il movimento migratorio interessa un numero variabile di individui secondo gli anni, più intenso

nel periodo primaverile e generalmente scarso o nullo in autunno, stimato da alcune centinaia a

diverse migliaia di individui (Chiavetta 1992) che sostano abitualmente su posatoi elevati come

ad esempio elettrodotti in ambienti aperti di pianura o di collina, frequentemente presso zone

umide.

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I fattori di minaccia per la specie sono attribuibili a perdita di habitat nelle bonifiche per

trasformazione di colture a seminativo in altri tipi di conduzione agricola intensiva,

particolarmente vivai di specie arboree. Pratiche di controllo dei Corvidi, condotte

frequentemente con metodi non selettivi ed illegali come lo sparo al nido, provocano la perdita di

riproduttori di questa ed altre specie di rapaci che utilizzano nidi di Gazza.

LODOLAIO Falco subbuteo

Nidificante estivo, migratore regolare.

I recenti dati degli atlanti provinciali di Piacenza, Bologna, Forlì-Cesena e Ravenna hanno

comportato una rappresentazione distributiva molto più estesa rispetto alla Carta del 1999: le

tavole con indicazione di presenza passano infatti da 55 a 86 (50% del totale delle tavole), con

un incremento percentuale del 56,4%. L’areale precedente era prevalentemente centrato sulla

provincia di Parma con altre poche e frammentarie segnalazioni, peraltro quasi tutte di eventuale

nidificazione, nel resto della Regione; la nuova carta mostra una copertura quasi totale, e con

molti accertamenti di riproduzione, per Piacenza e Forlì-Cesena; aumenta la copertura anche per

Bologna, Ravenna e Ferrara (in queste ultime due province nelle zone umide e nelle pinete

costiere). Rimangono vaste aree scoperte nella pianura centrale e orientale e nella fascia alto-

collinare.

L’accertamento riproduttivo riguarda 60 tavole (34,9%).

Il quadro è indice di un incremento generalizzato della popolazione regionale la cui consistenza

attuale è certamente superiore alla stima di 50-100 coppie (Chiavetta 1992) e forse anche a

quella del 2001-03 di 80-150 coppie (Marchesi e Tinarelli 2007); solo per una parte

dell’Appennino forlivese sono stati riscontrati ad esempio 20 siti riproduttivi nel triennio 2004-

06 (Ceccarelli inedito); stime per altre province indicano 22 coppie nel Parmense (Ravasini

1995), 20-40 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). Per la popolazione italiana, valutata in

500-1000 coppie, viene indicato un trend positivo nella Pianura Padana (Brichetti e Fracasso

2003).

Gli individui in migrazione in Regione, sono valutabili in centinaia o anche migliaia, a seconda

degli anni (Chiavetta 1992).

Le conoscenze sulla distribuzione potrebbero certamente essere ancora migliorate con una

indagine espressamente dedicata a questa specie intensificando le ricerche nel periodo di involo

dei giovani che avviene, trattandosi di specie molto tardiva, a fine agosto-inizio settembre.

Il Lodolaio è dichiarato vulnerabile nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWW 1999) e a status

indeterminato in quella regionale (Gustin et al. 1997); al momento non sembrano esserci

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localmente minacce particolarmente gravi; i rischi possono derivare dall’attività venatoria per

episodi di caccia illegale (l’abbattimento di adulti all’apertura della caccia può significare la

perdita di tutta la nidiata) e per l’attività di controllo dei Corvidi (con lo sparo ai nidi di

Cornacchia riutilizzati dal Lodolaio); altri rischi derivano dall’uso dei pesticidi (la specie è

soprattutto entomofaga) e dal taglio dei pioppeti golenali (Ravasini 1995).

LANARIO Falco biarmicus

Sedentario nidificante irregolare, migratore, svernante regolare secondo la Check-list

dell’Emilia-Romagna (Bagni et al. 2003).

La presenza del Lanario nell’Appennino Tosco-emiliano è stata riportata in letteratura da Bonora

e Chiavetta (1975) dopo il ritrovamento di alcune coppie nidificanti nel Bolognese, che

rappresenta l’estremo settentrionale dell’areale. Riprodottosi da tale periodo regolarmente in

provincia di Bologna ed occasionalmente in altre aree limitrofe con 1-3 coppie in totale, è

scomparso poi alla fine degli anni 80 (Chiavetta e Martelli 1991) per cui è risultato estinto dopo

il 1980 al momento della compilazione della Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997). Nel

1999 una coppia si è nuovamente insediata e riprodotta con successo nel Bolognese su una parete

già occupata negli anni 80 (Tinarelli et al. 2002). L’utilizzazione di questa parete è proseguita

negli anni successivi ed altre 2 o 3 coppie si sono poi nuovamente insediate per cui attualmente

la specie nidifica con regolarità nella Regione seppure con un basso numero di coppie ed un

successo riproduttivo ridotto, coerente con la marginalità nell’areale (Martelli e Rigacci 2003).

La presenza del Lanario in passato ha riguardato per un breve periodo il Modenese (Giannella e

Rabacchi 1992); in Romagna la notizia di una coppia nidificante eventuale nella valle del

Marecchia è riferita ma non confermata da Foschi e Gellini (1987). Nel Bolognese dove si sono

verificate le nidificazioni più numerose pur se con una certa irregolarità, si è assistito a frequenti

cambi del sito di nidificazione, che ha interessato in questo modo 7 tavolette.

La popolazione regionale è stata stimata da Chiavetta (1992) inferiore a 5 coppie; il dato da

allora non pare essersi modificato significativamente.

La popolazione italiana è di circa 160-200 coppie la metà delle quali in Sicilia, (Brichetti e

Fracasso 2003) appartenenti alla sottospecie feldeggii che colonizza l’Europa meridionale.

L’Italia ospita l’80% degli effettivi appartenenti alla sottospecie.

Il Lanario nella Regione è particolarmente vulnerabile in quanto è ai limiti dell’areale, ed è

inoltre soggetto a fattori di minaccia di vario ordine. Tra le cause naturali, una certa

competizione con il Pellegrino, che risulta dominante nell’occupazione delle pareti, benché in

passato in provincia di Bologna coppie di entrambe le specie si siano riprodotte

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contemporaneamente su uno stesso balzo di medie dimensioni. La predazione da parte del Gufo

reale è stata accertata (Rigacci e Scaravelli 1995) ma ha perso importanza nell’Appennino

Tosco-Emiliano data l’estrema rarefazione di questo predatore. Le cause antropiche rivestono

maggiore significato. Fino a tempi recenti i nidi di Lanario sono stati depredati illegalmente da

falconieri. Anche gli abbattimenti durante la stagione venatoria sono relativamente frequenti.

Come per altre specie rupicole, in periodo di cova possono costituire un fattore di disturbo grave

e sufficiente a provocare il fallimento riproduttivo attività ricreative, se praticate senza

precauzioni, quali escursionismo e arrampicata sportiva, birdwatching e fotografia, ricerca di

fossili e minerali.

La collisione con ostacoli quali cavi aerei e pale di generatori eolici installati in prossimità dei

territori riproduttivi rappresenta un fattore di minaccia potenziale molto grave.

Il Lanario è oggetto di un Piano di Azione dell’Unione Europea recentemente recepito a livello

nazionale (Andreotti e Leonardi 2007).

PELLEGRINO Falco peregrinus

Sedentario nidificante, migratore regolare e svernante secondo la check-list dell’Emilia-

Romagna (Bagni et al. 2003), è classificato dalla Lista Rossa regionale specie rara le cui coppie

isolate sono distribuite in pochi siti (Gustin et al. 1997).

La popolazione ha toccato i minimi storici intorno agli anni ’60 in Emilia-Romagna come del

resto in tutto l’emisfero settentrionale, in conseguenza dell’uso in agricoltura di insetticidi

organoclorati (DDT) che riducevano fortemente il successo riproduttivo. Nell’impossibilità di

agire su vasta scala, in questo periodo nella regione una collaborazione tra enti locali ed

associazioni ambientaliste portò all’istituzione di oasi di protezione nei siti ancora frequentati o

storicamente frequentati dal Pellegrino.

Nell’ultima parte del XX secolo si è assistito a una fase di recupero ed espansione, tuttora in

corso, che oltre alla ricolonizzazione di ambienti rupicoli tradizionali da cui il Pellegrino era

scomparso interessa anche ambienti antropizzati come centri storici e periferie industriali.

La carta attuale mostra 39 tavole occupate (22,7% del totale) contro le 24 della Carta 1999; le

indicazioni di nidificazione certa sono 30 (17,4%).

La popolazione regionale è stata stimata di 10 coppie dalla Lista Rossa del 1997 e di 13 nella

precedente Carta delle Vocazioni del 1999. Sempre secondo dati di letteratura revisionati più

recentemente (Brichetti e Fracasso 2003) nell’Appennino tosco-emiliano sarebbero presenti 25-

30 coppie, stima anche questa largamente in difetto, corretta successivamente a 45-60 coppie nel

2004 (Bonora et al., in corso di stampa) dato anche questo non più attuale perché ulteriormente

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superato dall’espansione della popolazione. Pur in mancanza di ricerche sistematiche coordinate,

con l’eccezione di poche province, si può considerare verosimile la presenza di 50-70 coppie

nidificanti.

La popolazione italiana è stimata intorno alle 800-1000 coppie, per un terzo localizzate nelle

isole maggiori.

Fatto nuovo e molto significativo la riproduzione in ambienti urbani. A Bologna una coppia

nidifica regolarmente nel quartiere fieristico, dove è stata installata anche una webcam. Una

seconda coppia è insediata nel centro storico cittadino. A Ferrara una coppia è probabilmente

nidificante in zona industriale della periferia. A Piacenza una coppia si è insediata in una centrale

elettrica, favorita da un nido artificiale appositamente collocato, e successivamente ha nidificato

in un nido di Corvidi su un traliccio dell’alta tensione e quindi nuovamente in un nido artificiale.

A Modena una coppia si riproduce presumibilmente nel centro storico. Una coppia frequenta,

fino ad ora senza evidenza di riproduzione, il centro storico di Forlì.

Nei mesi invernali giungono nella regione i pellegrini delle popolazioni del nord Europa; in

questo periodo è frequente osservarli in ambienti di pianura ancora poco frequentati in periodo

riproduttivo, su posatoi elevati come i tralicci degli elettrodotti e specialmente in prossimità di

zone umide e canneti dove si raccolgono grandi concentrazioni di Uccelli.

La specie presenta oggi uno stato di conservazione soddisfacente. Fattori di minaccia locali sono

rappresentati dal disturbo in prossimità dei nidi (escursionismo, arrampicata sportiva, fotografia

e birdwatching), abbattimenti illegali che avvengono ancora, prelievi illegali di pulli al nido da

parte di falconieri, fenomeno attenuato rispetto al passato grazie alla disponibilità di individui

nati in cattività allevati appositamente, trasmissione di malattie infettive o parassitarie da parte

dei Colombi domestici particolarmente predati dalle coppie che nidificano in prossimità di

ambienti urbani. Si deve ricordare infine che se gli insetticidi organoclorati per uso agricolo non

sono più utilizzati in Europa (ma lo sono ancora nei paesi emergenti), altri composti come i PCB

(bifenili policlorurati) che pur non essendo insetticidi hanno alcuni effetti simili a quelli del DDT

sugli Uccelli, sono usati come plastificanti in vari tipi di produzioni industriali (vernici, isolanti,

lubrificanti) e sono dispersi largamente nell’ambiente.

GALLIFORMI

QUAGLIA Coturnix coturnix

Nidificante estiva, migratrice regolare, svernante irregolare.

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L’areale attuale risulta più ampio di quello del 1999 con un aumento delle tavole occupate da

101 a 136 (79,1% del totale), in gran parte (132) con indicazione certa di riproduzione.

L’ampliamento (che riguarda in particolare il territorio piacentino, buona parte della pianura

bolognese e le tavole costiere di Ravenna e Ferrara) sembrerebbe indicare una fase espansiva di

questa specie per la quale sono indicate fluttuazioni notevoli sia sul breve termine sia in tempi

lunghi (Brichetti et al. 1992). Un incremento quantitativo importante è stato riscontrato ad

esempio nella provincia di Forlì-Cesena negli ultimi 10 anni; il confronto fra i censimenti

effettuati nel 1995-97 e quelli ripetuti nel 2004-06 evidenziano un forte aumento, con indici di

densità relativa praticamente raddoppiati (Sterna inedito).

La stima della popolazione italiana è di 15.000-30.000 covate (Brichetti e Fracasso 2004), quella

regionale è di 1.600-4.000 con trend fluttuante (Marchesi e Tinarelli 2007). Le stime locali

sembrano influenzate dalle probabili fluttuazioni annuali: per il Parmense la stima di 80 coppie

(Ravasini 1992) appare molto riduttiva rispetto alle 300-660 coppie valutate nel Bolognese

(Tinarelli et al. 2002).

Diffusa prevalentemente nella pianura e nella bassa collina; l’altitudine non sembra tuttavia un

fattore limitante per la sua presenza, vincolata piuttosto alla disponibilità di vasti pascoli ed aree

aperte (Gellini e Ceccarelli 2002); la specie è segnalata infatti a 1250 m nel Forlivese (M.

Fumaiolo), ai 1200 m nel Piacentino.

In Europa è classificata SPEC3 a causa dello status sfavorevole (BirdLife International 2004) e

nella Lista Rossa italiana è inserita fra le specie a basso rischio (LIPU e WWF 1999); i fattori

limitanti sono legati alle modificazioni del paesaggio agrario, alla meccanizzazione agricola,

all’uso dei pesticidi; l’attività venatoria, che non ha più un forte impatto diretto con i nuovi

calendari venatori che risparmiano i flussi migratori importanti, può rappresentare un pericolo

indiretto a causa dell’inquinamento genetico con la Quaglia giapponese immessa.

CARADRIFORMI

BECCACCIA Scolopax rusticola

Nidificante estiva, migratrice regolare, svernante.

La Carta del 1999 indicava 12 tavole di presenza tutte incluse nella provincia di Parma con 8

tavole di nidificazione accertata; nel periodo 1985-1990 erano state verificate 11 nidificazioni

nell’area appenninica parmense ad altitudini compresa fra 270 e 1090 m (Ravasini 1995).

Nello stesso periodo, non cartografati, figurano due casi di riproduzione nel Modenese, nella

fascia pedemontana ad altitudini attorno ai 400 m (Giannella e Rabacchi 1992); in precedenza

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sempre nel Modenese era stato citato un caso nei pressi di Lama Mocogno nel 1981 (Spanò 1987

citato in Toso et al. 1999); successivamente un’altra nidificazione è stata verificata nel

Piacentino a 1.375 m nel 2001 (Ambrogio et al. 2001).

La carta attuale comprende 13 tavole (7,6% del totale) 10 delle quali con accertamento della

riproduzione. Si tratta comunque in gran parte di dati privi di conferme recenti.

Viene ribadita pertanto la scarsa presenza in Regione con areale limitato all’Appennino

occidentale e con una popolazione, la cui stabilità è da verificare, probabilmente di poche decine

di coppie; del resto tutta la popolazione nazionale è stimata in 50-150 nidiate (Brichetti e

Fracasso 2004).

Per il settore orientale sono citate vecchie segnalazioni: una in Appennino nel 1967 presso M.

Battaglia (RA) a 5-600 m di altitudine (Toschi 1967); diverse nei boschi litoranei: nel 1974-

1977-1978 nella Riserva Mangelli (RA) (Foschi 1986), nel 1977 e nel 1979 nel Bosco della

Mesola (Ortali 1978 e 1984), nel 1979 nella Pineta di S.Vitale (Ortali 1984).

La specie è molto diffusa come svernante; normalmente si tratta di individui singoli, ma non

mancano segnalazione di piccole concentrazioni in siti favorevoli: 7 esemplari all’Ortazzino, in

provincia di Ravenna (Giannella e Tinarelli 2003).

E’ specie che presenta problemi di conservazione riconosciuti a livello continentale con la

classificazione a SPEC3 (BirdLife International 2004) con status sfavorevole e popolazione non

concentrata in Europa; nella Lista Rossa italiana è inclusa nelle specie in pericolo (LIPU e WWF

1999) ed in quella regionale è dichiarata a status indeterminato (Gustin et al. 1997).

In periodo riproduttivo i problemi sono legati soprattutto alla esiguità della popolazione

regionale. I rischi maggiori riguardano gli individui svernanti a causa naturalmente

dall’eccessivo prelievo venatorio che dovrebbe essere limitato come carniere e come giornate; le

stime recenti indicano ancor oggi circa 500.000 abbattimenti per stagione in Italia (Brichetti e

Fracasso 2004).

COLUMBIFORMI

COLOMBACCIO Columba palumbus

In parte sedentario, migratore regolare, svernante.

E’ in una fase di forte espansione distributiva e quantitativa; la carta distributiva attuale, pur con

un amento del 62% delle tavole occupate rispetto alla Carta del 1999 (da 50 alle attuali 81 tavole

pari al 47,1% del totale, con 72 tavole di accertamento riproduttivo), rende solo in parte evidente

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il fenomeno. Il miglioramento deriva infatti dagli atlanti di Piacenza e Bologna (che sono ancora

relativi agli anni ’90), ma soprattutto dalle ricerche in corso nelle province romagnole (Sterna

inedito). La provincia di Forlì-Cesena ad esempio passa dalle 5 tavole di allora (peraltro senza

accertamento riproduttivo) alle 15 tavole attuali; le tavole costiere di Ravenna e Ferrara passano

da 2 a 7 tavole. Anche in termini quantitativi i recenti censimenti forlivesi e ravennati indicano

un aumento degli indici chilometrici di abbondanza dell’ordine di 5-10 volte rispetto al triennio

1995-97.

E’ verosimile pensare che la disponibilità di informazioni recenti anche per altre province, in

particolare l’area di Modena e Reggio, potrebbe aumentare notevolmente la copertura regionale.

L’espansione nel settore orientale riguarda sia l’Appennino sia le zone planiziali; in montagna

l’areale, limitato negli anni ’80 alle Foreste Casentinesi (Foschi e Gellini 1987) e in aumento già

negli anni ’90 verso quote medie (Gellini e Ceccarelli 2000), copre attualmente tutto il territorio

dalle zone pedecollinari al crinale; nelle zone costiere l’ampliamento interessa tutte le tavole,

dalla Pineta di Classe al Bosco della Mesola.

La fase espansiva è del resto generalizzata anche a livello nazionale ed europeo (Brichetti e

Fracasso 2006).

Nella scelta dell’habitat la specie appare molto eclettica utilizzando ogni formazione boschiva

disponibile: le formazioni estese e mature del crinale e della costa, i boschi cedui collinari, i

boschi fluviali, i pioppeti artificiali, le siepi arboree, i boschi relitti (Ambrogio et al. 2001;

Ravasini 1995).

La popolazione italiana è stimata in 40.000-80.000 coppie in incremento (Brichetti e Fracasso

2006); non sono disponibili stime della popolazione regionale; le uniche valutazioni, peraltro

troppo datate vista l’evoluzione in corso, sono di 80-100 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e

di 30-50 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002); alti valori di densità riguardano i Boschi di

Carrega e i calanchi parmensi dove sono indicate stime di 5,4 coppie/kmq (Ravasini 1995).

La regione è interessata da forti movimenti migratori con concentrazioni autunnali di migliaia di

esemplari nelle zone costiere del delta, ad esempio nel Bosco della Mesola (Brichetti e Fracasso

2006).

Non sembrano esistere al momento gravi fattori di rischio per la specie: la pressione venatoria,

che era un tempo il più pesante fattore limitante, risulta oggi ridotta dall’abolizione della caccia

primaverile; permangono i rischi dovuti alle collisioni con cavi aerei e all’uso dei pesticidi:

vengono riportati ad esempio episodi di avvelenamento da semi trattati con sostanze tossiche per

campagne rodenticide (Meda 1980).

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TORTORA SELVATICA Streptopelia turtur

Nidificante estiva, migratrice regolare.

L’aggiornamento della carta di distribuzione con i dati delle province di Piacenza (Ambrogio et

al. 2001), Bologna (Tinarelli et al. 2002), e delle province romagnole (Sterna inedito) ha

consentito di migliorare ulteriormente la Carta del 1999 che indicava già 142 tavole, passate

attualmente a 167 (97,1% del totale) con 156 tavole di nidificazione certa (90,7%).

La copertura interessa in pratica tutto il territorio regionale; restano scoperte solo 5 tavole per

probabile carenza di dati recenti in pianura o per reale assenza in alta montagna (la specie è

molto rara oltre gli 800 m di altitudine).

Stimate in Italia 150.000-300.000 coppie con trend fluttuante (Brichetti e Fracasso 2006); le

stime locali della popolazione sembrano abbastanza divergenti: circa 1000 coppie per la

provincia di Parma con le densità massime di 3 cp/kmq nel Parco del Taro (Ravasini 1995);

4000-6000 coppie per Bologna (Tinarelli et al. 2002). La popolazione regionale può considerarsi

tendenzialmente stabile o in leggero aumento; i censimenti recenti per Forlì-Cesena e Ravenna

confermano questo status.

Per la Regione sono riportate anche osservazioni occasionali di singoli individui in inverno

(Brichetti e Fracasso 2006).

Ritenuta in declino a livello europeo e classificata SPEC3 ossia specie con status sfavorevole e

popolazione non concentrata nel continente (BirdLife International 2004), la Tortora non risulta

esposta a particolari pericoli nella Regione; nei territori agricoli può essere sfavorita dalle

monocolture intensive mentre i rischi che possono derivare dai trattamenti antiparassitari delle

colture potrebbero essere attenuati con il diffondersi delle tecniche di lotta biologica; la pressione

venatoria appare attualmente limitata dal calendario venatorio che ha ridotto il periodo utile alla

caccia.

TORTORA DAL COLLARE Streptopelia decaocto

Sedentaria.

Proveniente dalle regioni dell’Asia centro-meridionale, la specie ha colonizzato con una

espansione esplosiva l’Europa dall’inizio del XX secolo. Le prime segnalazioni nell’Emilia-

Romagna risalgono al 1949 e riguardano zone di pianura; da allora si è distribuita

progressivamente su tutta la Regione e la fase espansiva è ancora in atto come dimostra il

confronto fra la Carta del 1999 e la distribuzione attuale. Le tavole occupate sono aumentate di

1/3 passando da 115 a 152 (88,4% del totale), tutte in pratica con indicazione di nidificazione

certa. In pianura sono rimaste 3 tavole scoperte per probabile difetto di informazione, mentre le

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tavole scoperte in montagna sembrano indicare che l’espansione verso monte sia al momento

rallentata da fattori altitudinali.

I primi insediamenti hanno interessato i grandi centri di pianura dove la specie ha trovato

condizioni ottimali ed ha raggiunto densità molto elevate, come a Reggio Emilia con 55,2

cp/kmq per una popolazione cittadina di 1187 coppie (Gustin 2003); nella periferia di Parma è

indicata una densità simile: 25 coppie su 50 ha pari a 50 cp/kmq (Ravasini 1995).

Successivamente ha colonizzato anche centri minori e zone rurali, ed infine le vallate collinari

raggiungendo al momento centri montani posti ad altitudini di 700 m nel Piacentino (Ambrogio

et al. 2001), 800 m nel Parmense e nel Forlivese (Ravasini 1995; Sterna inedito), 920 m nel

Bolognese (Tinarelli et al. 2002).

Sono disponibili due stime di popolazioni locali: per il Parmense la stima di 1500-1600 coppie

(Ravasini 1995) appare oggi certamente anacronistica; quella di 40.000-70.000 coppie nel

Bolognese (Tinarelli et al. 2002) sembra troppo ottimistica in quanto rappresenterebbe il 10% di

tutta la popolazione nazionale valutata in 400.000-600.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2006).

Particolari concentrazioni possono verificarsi per scopi alimentari come quella di 2-3000

individui registrata in periodo autunnale in un oleificio da semi presso Faenza (Brichetti e

Fracasso 2006).

Negli ultimi 10 anni per la provincia di Ravenna il trend indica stabilità, per quella di Forlì-

Cesena una fase di aumento (Sterna inedito).

Lo stato di salute della popolazione è dovuta anche all’assenza di particolari minacce per la

specie; i rischi potrebbero derivare da azioni dirette dell’uomo come gli eventuali interventi di

controllo della popolazione per motivi igienico-sanitari e l’attività venatoria (la specie è stata

recentemente inserita fra quelle cacciabili).

STRIGIFORMI

BARBAGIANNI Tyto alba

In parte sedentario, migratore regolare, svernante.

Il confronto fra la distribuzione attuale e la Carta del 1999 sembrerebbe indicare una situazione

di stabilità: vengono riportate 122 tavole (70,9% del totale) di presenza riproduttiva, con 96

tavole di nidificazione certa (55,8%). In realtà la situazione della specie è molto grave, con stato

di declino diffuso; a titolo di esempio si riporta la situazione delle province di Forlì-Cesena e

Ravenna (Sterna inedito) riscontrata in seguito alle nuove ricerche confrontate con i dati degli

atlanti del 1995-97: tenuto come base un reticolo più fine (le sezioni CTR 1:10.000), la

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distribuzione a Ravenna appare ridotta di oltre il 50% (da 37 sezioni a 17), a Forlì-Cesena la

riduzione è del 22% (da 23 a 18 sezioni). Il confronto fra le due province lascia già intendere

come la situazione in pianura appaia molto più grave rispetto a quella collinare. E’ probabile che

l’andamento, che pure veniva valutato con segni di ripresa negli anni ’90 rispetto alle gravi

perdite determinate dall’inverno rigidissimo del 1985 (Rigacci in Tinarelli et al. 2002), sia al

momento fortemente negativo anche nelle altre province, per le quali non sono disponibili dati

recenti; anche nell’Atlante di Piacenza (Ambrogio et al. 2001) relativo al periodo 1995-2000

viene indicata una forte flessione.

In Italia sono stimate 6.000-13.000 coppie con trend negativo (Brichetti e Fracasso 2006); la

popolazione regionale veniva stimata in qualche centinaia di coppie (Chiavetta 1992), in

particolare circa 100 coppie nel Parmense, con densità di 0,26-0,3 cp/kmq in pianura e 0,24

cp/kmq in collina (Ravasini 1995), 40-80 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). I migranti

e gli svernanti erano valutati in centinaia o migliaia a seconda degli anni (Chiavetta 1992) a

causa delle forti fluttuazioni; durante la stagione invernale possono verificarsi movimenti erratici

con raggruppamenti nei dormitori, ad esempio di 15 e 12 individui nel Parmense (Ravasini

1995).

Il Barbagianni è in declino a livello europeo, classificato SPEC3 (BirdLife International 2004)

ovvero specie con status di conservazione sfavorevole e popolazione non concentrata in Europa;

nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) è inserito nelle specie a basso rischio, mentre

nella Lista Rossa regionale (Gustin et al. 2002) è considerato a status indeterminato. Svariati i

rischi che determinano questo quadro; a livello locale possono essere indicati quelli riportati

nell’Atlante di Bologna (Rigacci in Tinarelli et al. 2002)): inverni rigidi e nevosi (eventi forse

non più così importanti negli ultimi anni), perdita dei siti riproduttivi per ristrutturazione di case

abbandonate (7 casi documentati), avvelenamento da rodenticidi (2 casi), collisioni con veicoli

(2 casi) e con linee elettriche (1 caso). Interventi di protezione possono essere attuati con

installazione di cassette-nido nelle zone agrarie, pratica da tempo utilmente applicata in molti

paesi europei (Rabacchi 1999).

ASSIOLO Otus scops

Nidificante estivo, migratore regolare, svernante irregolare.

Dal confronto fra le carte di distribuzione si evidenzia una espansione, con l’aumento del 23%

delle tavole di presenza riproduttiva: da 91 a 112 (65,1% del totale), delle quali 108 (62,8%) con

accertamento della nidificazione. E’ da ritenere tuttavia che la distribuzione sia in realtà più

ampia e che interessi in parte anche quelle aree di Ferrara, Modena e Reggio che risultano

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attualmente scoperte. C’è da considerare al riguardo come la diffusione di tutte le specie

notturne, per i loro stili di vita, venga sottovalutata nelle ricerche ornitologiche; sono indicativi

in merito i risultati ottenuti con le recenti ricerche nelle province romagnole (Sterna inedito)

attraverso la ricerca sistematica dei notturni col metodo del playback: in pratica tutto il reticolo

1:25.000 della porzione orientale della Regione è risultato coperto, con esclusione di alcun tavole

di montagna, probabilmente disertate perché poste oltre i limiti altitudinali della specie (è più

comune nella fascia di bassa e media collina fino ai 600 m di altitudine, localizzata invece nelle

aree di alta collina e di pianura).

Censimenti locali effettuati lungo strade di fondovalle di Bologna, Ravenna, Forlì-Cesena (Asoer

inedito), con richiami registrati ad intervalli di 1 km, hanno consentito di ricavare indici relativi

di densità; singolari concentrazioni sono state rilevate lungo il T.Sillaro (BO) con 13 maschi

cantori in 13 km di tragitto e lungo il T. Borello (FC) con 23 maschi su 12 km.

A livello europeo è una specie con problemi di conservazione, classificata SPEC2 (BirdLife

International 2004) e cioè specie con popolazione concentrata nel continente e con status di

conservazione sfavorevole; in Italia è fra le specie a basso rischio (LIPU e WWF 1999); in

Regione, dove lo status è considerato indeterminato (Gustin et al. 1999), la situazione può

apparire meno critica, con popolazione probabilmente stabile; questa era stimata inferiore alle

500 coppie (Chiavetta 1992), con valori locali di 150 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e di

30-60 coppie nel Bolognese (Tinarelli at al. 2002). Densità di 1,2 cp/kmq sono riferite al Parco

fluviale regionale dello Stirone (Brichetti e Fracasso 2006). La popolazione italiana è valutata in

5.000-11.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2006).

Fattori di minaccia sono rappresentati dai mutamenti nelle attività agricole, in particolare per

l’abbattimento di piantate e vecchi alberi cavi, dei quali andrebbe invece stimolato il

mantenimento per favorire le specie che nidificano in cavità arboree; si potrebbe sopperire al

problema con l’apposizione dei nidi artificiali; altra minaccia nelle zone agrarie deriva dall’uso

dei pesticidi. Importanza hanno anche i rischi di impatto con autoveicoli, e l’abbattimento, per il

contenimento dei Corvidi, dei nidi di Gazza che l’Assiolo può riutilizzare per deporre.

Per contro le probabili modificazioni climatiche in atto verso un clima più caldo potrebbero

favorire questa specie tipica di ambiente xerotermico.

GUFO REALE Bubo bubo

Sedentario nidificante e migratore irregolare secondo la Check-list dell’Emilia-Romagna (Bagni

et al.. 2003); i giovani compiono movimenti di dispersione una volta emancipati dai genitori.

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E’ una specie difficile, ovviamente per le abitudini notturne ma anche per l’habitat frequentato e

il comportamento elusivo per gran parte dell’anno ad eccezione del breve periodo in pieno

inverno in cui le coppie manifestano il comportamento più intensamente territoriale. Il

rilevamento, che essenzialmente si fa al canto, è possibile solo per un tempo limitato intorno al

crepuscolo, prima che le coppie partano per la caccia. Questo comporta che sia possibile

esplorare un solo sito riproduttivo potenziale per ogni sera. Quindi in presenza di popolazioni

estremamente rarefatte come è il caso dell’Emilia-Romagna, lo sforzo di ricerca è molto elevato

e poco remunerativo e non meraviglia che la specie sia scarsamente studiata. Frequenta ambienti

di collina e montagna caratterizzati da ampi spazi aperti scarsamente boscati, a seminativi,

pascoli ed incolti (particolarmente idonea è la fascia dei calanchi) con rupi emergenti sulle quali

o alla base delle quali sceglie una nicchia per nidificare. Sono particolarmente adatti comprensori

come il Contrafforte Pliocenico nel Bolognese o la Vena dei Gessi Romagnoli ove fino agli anni

’80 erano presenti intorno a 5-7 coppie.

La Carta delle Vocazioni del 1999 considerava la possibilità di nidificazione in oltre 20 tavolette:

tuttavia ad eccezione d’alcune aree dove erano stati condotti studi continuativi, in particolare tra

Bologna e la Romagna, i rilevamenti erano per lo più basati su dati aneddotici e dovuti in gran

parte a segnalazione d’individui trovati morti o in evidente difficoltà. Quindi la consistenza

effettiva della popolazione era largamente ignota.

Rispetto ad allora la situazione della specie si è sicuramente aggravata. Estinto nel Bolognese,

dove l’ultima coppia è scomparsa a metà anni ‘90 si è mantenuto per alcuni anni nel basso

Appennino ravennate e forlivese, ove al momento sono noti pochi individui isolati anziché

coppie riproduttive.

La situazione è relativamente migliore nel comprensorio del Parco Nazionale delle Foreste

Casentinesi dove sono presenti due coppie almeno una delle quali si riproduce regolarmente, e si

sono avuti anche recentemente indizi più o meno consistenti di presenza in altri potenziali

territori. In tempi recenti si sono avute osservazioni nel Modenese e nel Reggiano; un individuo

è stato trovato morto nell’Appennino Parmense dove già la presenza era segnalata in 10 tavolette

(Ravasini 1996). La possibilità di conservazione della popolazione regionale, rappresentata nel

migliore dei casi da coppie isolate con densità inferiori a quelle considerate critiche (Glutz von

Blotzeim et al. 1980), a meno di fatti nuovi come ad esempio apporti esterni di individui

provenienti dalle Alpi, è assolutamente ridotta.

In Italia la consistenza della specie è intorno alle 250-340 coppie, con trend negativo in molte

aree peninsulari ma con segni di espansione delle popolazioni dell’arco alpino. Nella Lista Rossa

dell’Emilia-Romagna è considerata specie minacciata di estinzione con popolazione stimata

inferiore a 10 coppie (Gustin et al. 1997).

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I fattori di minaccia per questa specie sono rappresentati dal disturbo in prossimità del territorio

riproduttivo (arrampicata sportiva, escursionismo, fotografia e birdwatcing) dagli abbattimenti

illegali in periodo venatorio tutt’ora non infrequenti, dalla collisione con cavi aerei di elettrodotti

od altro, dagli investimenti sulle strade. Sono stati documentati casi di individui rimasti

intrappolati in pollai o allevamenti di selvaggina. Avvelenamenti dovuti alla cattura di roditori

che avevano assunto rodenticidi sono stati documentati in alcuni casi e costituiscono

probabilmente un rischio elevato in prossimità di allevamenti e discariche di rifiuti condotte con

criteri moderni.

ALLOCCO Strix aluco

Sedentario, migratore irregolare.

L’acquisizione dei dati dell’Atlante di Piacenza (Ambrogio et al. 2001) ha consentito di coprire

la zona di quella provincia che risultava scoperta nella Carta del 1999; aggiungendo a ciò il

miglioramento della copertura nella parte orientale della provincia di Bologna, il numero delle

tavole complessive passa da 108 a 126 (73,3 % del totale), quello delle tavole certe risulta di 122

(70,9 %).

A parte i cambiamenti riportati sopra, le due carte di distribuzione sono praticamente

sovrapponibili; rimangono vuote tante tavole di pianura coltivata in gran parte del Ferrarese (per

le quali non si dispone ancora di sufficienti informazioni) e del Ravennate, altre lungo l’asta del

Po, e quelle delle zone rivierasche di Forlì-Cesena e Rimini. Sono zone caratterizzate da estese

coltivazioni o da intensa urbanizzazione, con scarse possibilità di insediamento dell’Allocco,

specie tipicamente forestale; ove siano presenti invece formazioni boschive mature, anche la

pianura viene colonizzata da questa specie, come appare nelle tavole corrispondenti al Bosco

della Mesola e alle pinete ravennati. Da notare tuttavia che nelle zone occidentali della pianura

coltivata, da Bologna a Piacenza, viene segnalata una discreta presenza in boschi ripari e parchi

(Ravasini 1995; Giannella e Rabacchi 1992); nel Bolognese in particolare però viene evidenziata

una minore diffusione nella porzione orientale della pianura verso quelle zone di Ferrara e

Ravenna che risultano disertate sulla carta (Tinarelli et al. 2002).

L’Appennino è caratterizzato da una distribuzione continua, dalle zone pedecollinari al crinale.

La stima della popolazione italiana è di 30.000-50.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2006), quella

regionale è di oltre 1000 coppie per Chiavetta (1992), valutazione probabilmente difettosa;

localmente vengono indicate 235 coppie nel Parmense (Ravasini 1995), 400-1000 coppie nel

Bolognese (Tinarelli et al. 2002). I più alti valori di densità sono registrati nei boschi maturi: 5,4

cp/kmq alla Mesola (Boldreghini et al. 1987), 1,4-2,7 cp/kmq nei castagneti secolari (Ravasini

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1995); valori bassi (0,16-0,3 cp/kmq) sono riportati per la pianura coltivata parmense con parchi

e boschi ripari (Ravasini 1995).

La distribuzione praticamente invariata nell’ultimo decennio può far supporre una certa stabilità

della popolazione regionale.

L’habitat forestale rende questa specie meno esposta ai rischi che riguardano in genere tutti i

notturni; in particolare risultano meno frequenti le collisioni con autoveicoli o cavi aerei; negli

ambienti di pianura permane elevato il rischio derivato dall’uso dei rodenticidi.

CIVETTA Athene noctua

In parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.

La carta distributiva attuale appare leggermente ampliata rispetto a quella del 1999 con la

migliore copertura nella provincia di Piacenza; sono interessate 152 tavole (88,4% del totale)

contro le 140 di allora, con nidificazione accertata in 144 tavole (83,7%); tali numeri confermano

la capillare distribuzione della specie su tutto il territorio regionale con esclusione di alcune

tavole di crinale dove l’assenza è probabilmente reale, mentre nelle poche tavole scoperte di

pianura l’assenza può essere dovuta a carenza di informazione.

Dal quadro risulta evidente come la Civetta sia la specie dei rapaci notturni più comune in

Regione con una popolazione di alcune migliaia di coppie soggetta peraltro a fluttuazioni

(Chiavetta 1992); localmente sono stimate 300-350 coppie nel Parmense (Ravasini 1995), 500-

1000 nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). In provincia di Parma sono state registrate densità

medie di 0,9 cp/kmq nella pianura intensamente coltivata e valori variabili da 1,8 a 4,1 cp/kmq

nell’alta pianura dove i coltivi si presentano molto diversificati (Ravasini 1995). In Italia sono

stimate 40.000-70.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2007).

E’ diffusa in ogni ambiente purchè sufficientemente aperto, in particolare di pianura e di bassa

collina, con limite altitudinale intorno ai 700-800 m; nidifica comunemente anche nei grandi

centri urbani.

A livello europeo viene indicata una fase di declino che ha determinato la classificazione della

specie nella categoria SPEC3 (status di conservazione sfavorevole e popolazione non concentrata

nel continente). E’ probabile che anche in Regione l’agricoltura intensiva e le sue moderne

tecniche (abbattimento di piantate, uso massiccio di pesticidi) abbia determinato in passato una

diminuzione della popolazione; al momento tuttavia la situazione sembra di stabilità, se non di

recupero.

I rischi per la specie derivano, oltre che dalle modificazioni citate nell’attività agricola,

soprattutto dagli impatti con autoveicoli (fra i notturni è la specie più esposta a questo rischio),

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ed anche dalle ristrutturazioni di case rurali e delle loro pertinenze (fienili, stalle) che riducono la

disponibilità di siti riproduttivi; a quest’ultima causa si può sopperire con l’apposizione di

cassette-nido, facilmente utilizzati dalla Civetta.

GUFO COMUNE Asio otus

In parte sedentario, migratore regolare, svernante.

La distribuzione attuale indica un deciso miglioramento della copertura in Regione rispetto alla

Carta del 1999: le tavole di presenza complessiva mostrano un incremento di 1/3 passando da 86

a 116 (67,4% del totale), con indicazione di nidificazione certa in 104 tavole (60,5%).

Questo miglioramento è in buona parte da imputare all’acquisizione di nuovi dati forniti dagli

atlanti di Piacenza (Ambrogio et al. 2001), di Bologna (Tinarelli et al. 2002) e delle ricerche

nelle province romagnole (Sterna inedito); soprattutto in queste ultime una ricerca capillare

dedicata a tutti i notturni ha consentito di coprire i vasti vuoti della precedente carta.

Pur tenendo conto di questo, è opinione diffusa che la specie sia in una fase di vera espansione e

di recupero dopo la crisi degli anni ‘60-‘70 provocata dall’allora legale e incentivata lotta ai

“nocivi” che prevedeva l’abbattimento dei nidi dei Corvidi, pratica che comportava la perdita

delle nidiate dei gufi comuni insediati nei nidi vecchi di Cornacchia o Gazza.

La mancanza di dati aggiornati potrebbe giustificare le vaste zone di pianura ancora scoperte nel

Ferrarese, Modenese e Reggiano, mentre i vuoti nel medio ed alto Appennino potrebbero

derivare da un’assenza reale; la presenza è infatti molto localizzata sopra i 500-600 m s.l.m.

In Italia sono stimate 6.000-12.000 coppie con trend positivo (Brichetti e Fracasso 2006);

l’ultima stima di alcune centinaia di coppie per la popolazione regionale (Chiavetta 1992) appare

riduttiva, considerando le valutazioni di 300-350 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e di 150-

400 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002). Su 450 kmq della bassa ferrarese sono state

censite 85 coppie, con densità media di 0,18 coppie/kmq ed estremi nelle varie zone da 0,06 a

0,35 coppie/ kmq, variazioni che dipendono verosimilmente dalla disponibilità dei nidi di Gazza

(Martelli e Sandri 2005). Nel Parmense, in zone golenali del Po con impianti di pioppeti, sono

state registrate densità di 0,19-0,4 coppie/kmq (Ravasini 1995). Nel periodo invernale la

popolazione viene aumentata dai migratori che svernano soprattutto nella pianura e nella zona

pedecollinare, con contingenti che possono raggiungere le migliaia di individui a seconda degli

anni (Chiavetta 1992); particolari raggruppamenti nei dormitori si possono osservare in questi

periodi: ad esempio 80 individui assieme nella zona di Zibello (PR) (Ravasini 1995).

Fattori di rischio sono rappresentati dall’uso dei rodenticidi, da elettrocuzione e collisioni con

linee aeree, da impatti con autoveicoli, da abbattimenti illegali; in particolare la mortalità dovuta

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alle linee elettriche vede localmente questa specie come la più colpita (Tinarelli e Tirelli 2003).

Il controllo dei nocivi con la pratica di sparare ai nidi dei Corvidi riduce la disponibilità di siti

riproduttivi a questa specie che depone comunemente nei nidi vecchi di Cornacchia.

CAPRIMULGIFORMI

SUCCIACAPRE Caprimulgus europaeus

Nidificante estivo di abitudini crepuscolari e notturne, migratore regolare.

Nella Regione appare presente in 102 tavole (59,3% del totale), 94 delle quali (54,6%) con

indicazione di riproduzione certa.

La distribuzione risulta continua in tutta l’area appenninica dalle zone pedecollinari ad altitudini

elevate: 1050 m riscontrati nel Forlivese (Sterna inedito), 1560 m nel Parmense (Ravasini 1995).

Tutta la pianura risulta disertata ad eccezione delle zone di costa ravennati e ferraresi e della

fascia lungo il Po nel tratto occidentale di Parma e Piacenza.

L’habitat riproduttivo è rappresentato in collina da zone di bosco rado alternate a spazi aperti,

calanchi, incolti cespugliati, coltivi con conduzione agricola tradizionale, in pianura da boschi

litoranei e boschi fluviali, da aree golenali.

In Italia sono stimate 10.000-30.000 coppie (Brichetti e Fracasso 2006); la valutazione della

popolazione è ardua, come per tutti i notturni; nel Bolognese sono stimate 150-300 coppie

(Tinarelli et al. 2002), nel Parmense 220-250 coppie (Ravasini 1995).

Anche le valutazioni sul trend appaiono problematiche; apparenti ampliamenti dell’areale nelle

province romagnole (Sterna inedito) sembrano dovute più ad un miglioramento della ricerca,

effettuata con il metodo dei richiami registrati, che ad un reale aumento distributivo.

La situazione regionale non si presenta tuttavia tanto critica come in Europa nel suo complesso

dove la specie è considerata SPEC2 (BirdLife International 2004) e cioè con una popolazione in

declino e concentrata nel continente; è inserita anche nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF

1999) con il grado di specie a basso rischio ed è citata in quella regionale come specie a status

indeterminato (Gustin et al. 1997)..

I rischi per la specie derivano soprattutto dalla scomparsa degli habitat adatti e dall’uso di

pesticidi; oltre a incentivare i metodi di lotta biologica, nelle zone di pianura sarebbero necessari

interventi di ripristino ambientale per ricostituire isole di naturalità soppresse dalle moderne

tecniche colturali; la presenza lungo la aree costiere e golenali dimostra appunto che la

distribuzione non è limitata da fattori altimetrici ma dalle trasformazioni ambientali.

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CORACIFORMI

MARTIN PESCATORE Alcedo atthis

In Regione la specie è in parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.

La distribuzione è ampia e riguarda 114 tavole (66,3% del totale), in 97 delle quali (56,4%) sono

riportate indicazioni di nidificazione certa. E’ strettamente legata agli ambienti acquatici sia per

motivi alimentari che per il reperimento di scarpate sabbiose adatte allo scavo delle gallerie in

cui depone; frequenta quindi fiumi, canali, paludi, cave, vasche di decantazione. E’

maggiormente distribuita nelle zone di pianura e pedecollinari: sotto i 100 m di altitudine ricade

l’80% delle segnalazioni in provincia di Bologna (Tinarelli et al. 2002), oltre il 90% nelle

province di Forlì-Cesena e Ravenna (Sterna inedito); risulta comunque presente anche nella

media collina, con valori massimi registrati a 430 m s.l.m. nel Forlivese (Sterna inedito), 850 m

nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002).

La popolazione italiana è stimata in 5.000-10.000 coppie con trend di stabilità; le stime locali

indicano 85-90 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e 200-280 coppie nel Bolognese (Tinarelli

et al. 2002).

A livello europeo il Martin pescatore è inserito nell’elenco SPEC3 (BirdLife International 2004),

cioè specie in declino ma non concentrata nel continente; anche in Regione, dove lo status risulta

indeterminato (Gustin et al. 1997), è ipotizzabile una fase di regresso. Nella provincia di

Ravenna ad esempio, la situazione attuale confrontata con quella del 1995-97 sembra indicare

una forte diminuzione (Volponi inedito).

I fattori di minaccia sono rappresentati principalmente dalle alterazioni degli argini naturali, in

particolare dalla cementificazione delle sponde dei canali, e dalla possibilità di inquinamento

delle acque. Come azioni di salvaguardia sono auspicabili interventi di tutela degli argini dove

sono ubicate le gallerie-nido o di ripristino di pareti artificiali in zone di cava adiacenti i corsi

d’acqua, azioni che interessano anche specie ecologicamente affini (Gruccione, Topino). I

ripristini ambientali con creazione di zone umide nelle zone agricole di pianura possono risultare

fondamentali per il recupero di popolazioni estinte localmente.

GHIANDAIA MARINA Coracias garrulus

Specie migratrice regolare e nidificante irregolare secondo la Check-list dell’Emilia-Romagna

(Bagni et al. 2003); estinta dal 1956 secondo la Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997).

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Specie politipica distribuita in Europa meridionale,Turchia, Nord Africa, Paesi Baltici, Russia ed

Ucraina, Medio Oriente e Nord-Est della Cina. In Europa è presente la sottospecie nominale

garrulus.

Negli ultimi anni nell'areale di nidificazione si è assistito a un marcato declino della specie,

anche in regioni geografiche che ospitavano le popolazioni di maggiore consistenza come la

Turchia e la Russia. E’stata classificata da Birdlife International specie vulnerabile. La

popolazione europea si sarebbe ridotta complessivamente del 30%, in sole tre generazioni (15

anni).

Occupa generalmente aree di pianura o di bassa collina con boschi radi di Quercia e Pini,

mosaici agrari, cespuglieti, aree con bassa vegetazione erbacea o incolti. Nidifica in cavità

naturali presenti in pareti di roccia o alberi cavi ed anche in cavità artificiali, come fori e nicchie

in muri a secco, ruderi, cave e costruzioni rurali. Nella nostra zona diverse nidificazioni

avvengono in cabine monopalo di trasformazione da media a bassa tensione, che recano un foro

ellittico per il passaggio di cavi elettrici, sufficientemente grande da permettere l’accesso della

Ghiandaia marina alla cavità interna.

In Emilia-Romagna ha nidificato fino agli anni '60 nella pianura e lungo il litorale ravennate

(Gellini e Ceccarelli 2000) ma è scomparsa successivamente.

Nel 2003 è stata scoperta una prima coppia nidificante nella pianura ravennate vicino al litorale,

dopo anni di assenza (Plazzi 2006). Nel 2005 oltre alla precedente ancora nidificante, sono state

individuate una coppia in comune di Comacchio, due in Provincia di Bologna, 1-3 coppie in

Provincia di Parma.

Nel 2006 sono state scoperte due nuove coppie lungo il litorale ravennate. Una nidificazione

probabile nel Parmense riguarda il Parco dello Stirone dove si sono osservati adulti con

imbeccata in periodo riproduttivo, senza che sia stato scoperto il nido. Quindi si evidenzia

localmente una controtendenza rispetto al trend generale della popolazione con la comparsa di

più coppie nelle ultime stagioni riproduttive (Bonora 2006). La popolazione nidificante si può

stimare tra 10 e 20 coppie.

Fattori di minaccia per la specie sono rappresentati dalla ridotta disponibilità di

macroinvertebrati in zone ad agricoltura intensiva e dalla mancata reperibilità di cavità naturali

in alberi o artificiali in muri a secco, ruderi, pali di linee elettriche. In particolare la

ristrutturazione di edifici rurali semi abbandonati con conseguente chiusura di cavità utili e

l’obliterazione dei fori di ingresso dei cavi elettrici nelle cabine monopalo può ridurre le

opportunità di nidificazione. Per i motivi accennati in questa prima fase di reinsediamento della

specie è quanto mai opportuna la collocazione di nidi artificiali idonei.

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PICIFORMI

PICCHIO NERO Dryocopus martius

E’ il più grande picchio europeo distribuito in Italia ampiamente sulle Alpi e con piccole

popolazioni isolate nell’Appennino meridionale e centrale: Calabria, Basilicata, Campania,

Abruzzo e Molise. La popolazione italiana è stimata in 1.000-4.000 coppie con trend positivo

(BirdLife International 2004).

Per l’Emilia-Romagna era indicato storicamente nidificante nelle Pinete Ravennati (Ginanni

1774); successivamente viene citato per una cattura del 1889 a Casola Valsenio nel Ravennate

(Zangheri 1938) e per un’osservazione del 1984 nei Boschi di Faeto nel Modenese (Bertarelli

com.pers.).

Dall’anno 2000 risulta regolarmente presente nel versante romagnolo delle Foreste Casentinesi

(Ceccarelli et al. 2003) dove è attualmente presente una piccola popolazione di 3-4 coppie in

probabile espansione (Ceccarelli et al. inedito). I siti territoriali sono distribuiti nella foresta

matura di Abete bianco e Faggio, ad altitudini di 900-1200 m, ed occupano una fascia di foresta

lunga circa 10 km; recenti informazioni indicano un possibile ampliamento dell’areale verso il

versante toscano delle foreste.

Questa nuova presenza riveste notevole importanza biogeografia rappresentando l’unico

insediamento in tutto l’Appennino settentrionale.

Al momento non sussistono gravi rischi per la specie, favorita dal regime di protezione

ambientale vigente nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna

ed in particolare nella R. N. I. di Sasso Fratino; la gestione forestale, in particolare la

conservazione in piedi delle piante morte, assicura ampiamente le risorse alimentari e i siti

riproduttivi necessari al mantenimento della piccola popolazione. Come per tutte le specie rare e

prestigiose, dovrebbe tuttavia essere scoraggiata l’attività dei fotografi naturalisti nel periodo

della nidificazione per evitare disturbo durante il ciclo riproduttivo.

PASSERIFORMI

CALANDRELLA Calandrella brachydactyla

Nidificante estiva tipica degli ambienti aperti xerotermici, comune nell’Italia meridionale,

localizzata nelle regioni centrali e settentrionali, migratrice regolare; stimate in Italia 15.000-

30.000 coppie con trend negativo (BirdLife International 2004).

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La distribuzione regionale è frammentaria ed interessa 24 tavole (14% del totale) tutte con

indicazione certa. Appare più diffusa nelle province centrali ed occidentali da Bologna a

Piacenza dove frequenta i greti ciottolosi e sabbiosi con rada vegetazione xerofila dei fiumi; dal

Panaro al Trebbia, nei loro tratti di alta pianura e bassa collina, tutti i fiumi risultano occupati

(Ambrogio et al. 2001; Ravasini 1995; Giannella e Rabacchi 1992); non sono note invece

presenze nell’Appennino romagnolo. Nelle province orientali è presente nelle zone di pianura

ferraresi e ravennati dove frequenta le zone vallive e la campagna adiacente; in questo caso

l’habitat è situato negli incolti e nelle coltivazioni con seminativi a sviluppo tardivo; altre isolate

presenze in pianura sono riportate nel Bolognese lungo l’asta del Reno nei coltivi di soia, mais,

barbabietole (Tinarelli et al. 2002).

Per il Parmense la stima della popolazione è di 110 coppie con le densità più elevate (2cp/kmq)

lungo il Taro (Ravasini 1995). Lo status regionale risulta indeterminato (Gustin et al. 1997) a

causa delle difficoltà di individuare coppie molto localizzate in vaste aree potenzialmente

idonee; è probabile tuttavia che il trend sia negativo almeno nella porzione orientale; nel

Forlivese e nel Riminese ad esempio negli ultimi 20 anni è segnalata una riduzione dell’areale: le

presenze note negli anni ’80 in zone litoranee e lungo il Marecchia (Foschi e Gellini 1987) non

sono attualmente confermate (Sterna inedito); nel Ravennate la presenza rimane estremamente

localizzata lungo il Reno, nell’Ortazzo e nei campi adiacenti alla Salina di Cervia (Borghesi

inedito).

La Calandrella è del resto in declino a livello europeo, classificata SPEC3 (BirdLife International

2004) cioè con status sfavorevole e popolazione non concentrata nel continente.

Localmente le minacce possono derivare dal disturbo delle attività umane nelle zone delle golene

fluviali e litoranee (coltivazioni, escavazioni, pascolo, traffico dei fuoristrada, presenza dei cani,

tutte attività che andrebbero regolamentate nel periodo riproduttivo), nonchè dall’uso dei

pesticidi nelle coltivazioni.

TOTTAVILLA Lullula arborea

Specie con popolazioni parzialmente sedentarie, migratrice regolare, svernante parziale; tipica di

ambienti aperti collinari e montani.

La distribuzione regionale copre tutto l’Appennino (con qualche vuoto nel Riminese e nel

Modenese-Reggiano) e interessa 76 tavole (44,2% del totale), quasi tutte (75) con indicazione di

riproduzione certa. L’intervallo altitudinale va dalle zone pedecollinari, con valori minimi di 150

m s.l.m., al crinale con massimo di 1600 m nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002); le densità più

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alte ricadono tuttavia nell’intervallo di 300-800 m. L’habitat è quello dei prati, pascoli, incolti,

aree erbacee ai margini dei boschi, radure.

In Italia sono stimate 50.000-100.000 coppie con trend di stabilità (BirdLife International 2004);

le stime locali di popolazione indicano 600-650 coppie in provincia di Parma (Ravasini 1995),

400-1000 coppie in quella di Bologna (Tinarelli et al. 2002). Il trend sembra al momento di

stabilità, come confermato dalle recenti ricerche nelle province romagnole che indicano, per

l’ultimo decennio, una situazione stabile nel Forlivese, addirittura un aumento nel Ravennate

(Sterna inedito).

Questo contesto appare in controtendenza rispetto a quanto rilevato a livello europeo dove lo

status sfavorevole della popolazione, concentrata nel continente, ha determinato per la specie la

classificazione di SPEC2 (BirdLife International 2004).

In effetti, nell’ambito regionale, la Tottavilla non ha subito il tracollo che ha colpito gran parte

delle specie ecologicamente simili, in particolare l’Allodola; la riduzione delle aree aperte

collinari, conseguente all’abbandono di attività pastorali ed agricole, non pare ancora influire in

maniera così negativa sulle popolazioni della Tottavilla; il suo adattamento a spazi aperti anche

molto ridotti e la tolleranza per elementi alberati e arbusti sparsi può sopperire al momento alla

progressiva perdita di habitat determinata dalla fase di rimboschimento spontaneo; certamente la

situazione è destinata ad aggravarsi a lungo termine ed in questa prospettiva sono importanti gli

interventi gestionali tesi a conservare e mantenere le zone aperte collinari per favorire tutte le

specie rare e minacciate ospitate da questi ambienti (Tellini 1998).

CALANDRO Anthus campestris

Nidificante estivo e migratore, tipico di ambienti aperti xerotermici con vegetazione scarsa come

calanchi, pietraie, garighe, pascoli degradati, terreni di cava, greti secchi e pietrosi di corsi

d’acqua. In Italia sono stimate 15.000-40.000 coppie con trend negativo (BirdLife International

2004).

La carta distributiva mostra 49 tavole occupate (28,5% del totale) delle quali 47 (27,3%) con

indicazione certa di nidificazione, ed un areale limitato alle zone collinari e montane. La

distribuzione appare concentrata e quasi continua nei settori centrale e occidentale, da Bologna a

Piacenza; i vuoti che appaiono nelle province di Reggio e Modena sono probabilmente dovuti a

carenza di informazioni; molto localizzata invece la presenza in Romagna, dove le lacune vanno

ascritte a reali assenze.

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L’intervallo altitudinale va dai 100 m delle aree pedecollinari alle zone montane, con massime

altitudini di 950 m (BO), 1050 m (FC), 1300 m (PC), 1350 m (PR); per la pianura non vi sono

segnalazioni neppure in aree potenzialmente adatte come zone incolte o dune costiere.

Le popolazioni locali sono stimate in 120-150 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e 100-200

coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002), mentre è molto più scarsa la presenza nelle province

romagnole dove viene valutata in alcune decine di coppie (Gellini e Ceccarelli 2000) e sono

attualmente noti solo 6 siti riproduttivi (Sterna inedito).

Nel complesso lo status, considerato indeterminato nella Lista Rossa regionale (Gustin et

al.1997), sembra mostrare una relativa stabilità o un contenuto regresso.

A livello europeo viene indicata una situazione di declino per la specie, inserita nella categoria

SPEC3, ossia a status sfavorevole e popolazione non concentrata in Europa (BirdLife

International 2004).

Le minacce possono derivare dalla perdita di habitat adatti a causa di trasformazioni ambientali

per l’apertura di cave o per il rimboschimento spontaneo o artificiale degli ambienti aperti

collinari.

FORAPAGLIE CASTAGNOLO Acrocephalus melanopogon

In Italia è specie parzialmente sedentaria, rara e localizzata, distribuita in sole 4 regioni: Toscana,

Emilia-Romagna, Umbria e Puglia; l’habitat è rappresentato da zone d’acqua dolce con

alternanza di vegetazione elofitica (fragmiteti, tifeti, falascheti) e acque libere. Stimate 600-1.000

coppie in Italia con trend negativo (BirdLife International 2004).

Per gli anni 1996-2000 esiste una valutazione dettagliata della popolazione regionale

(Quaglierini 2001); in totale erano stimate 57-89 coppie (circa 8% della popolazione italiana),

distribuite nelle province di Ravenna, Ferrara e Bologna. Nel Ravennate il sito riproduttivo più

importante era Valle Mandriole con 30-40 coppie nel 1999-2000, in diminuzione rispetto alle 60-

80 coppie stimate nel 1997 (Costa in Gellini e Ceccarelli 2000); altri siti minori a Punte Alberete,

Bardello, Volta Scirocco. Nel Ferrarese erano citati Campotto-Valle Santa, Valle Umana, Valle

di Gorino, mentre nel Bolognese erano citati Vallazza di Molinella e Cassa del Quadrone.

Tranne Mandriole, in tutti i siti la popolazione era stimata da 2 a max 8 coppie. Nello stesso

periodo per il Bolognese la stima complessiva era di 20 coppie (Tinarelli et al. 2002).

Nella carta sono rappresentate 8 tavole; 6 corrispondono all’ubicazione dei siti riportati sopra, 2

ad altre zone del Bolognese con osservazioni di maschi in canto (Tinarelli et al. 2002). L’areale

regionale si presenta pertanto circoscritto e limitato ad alcune zone della pianura orientale.

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Va detto che per Bologna e Ferrara non sono disponibili informazioni più recenti, mentre per

Ravenna è stata riscontrata negli ultimi anni una forte diminuzione della popolazione che appare

ridotta a 10-15 coppie (Costa inedito) dalle 60-80 degli anni ’90. In particolare si è verificato il

drastico abbandono di Valle Mandriole a causa della scomparsa dei folti canneti misti, provocata

dalla crescente salinità dell’acqua della valle, deleteria per le piante palustri d’acqua dolce;

questa situazione ha probabilmente determinato la parziale colonizzazione di altre zone vicine

(Risarina, Volta Scirocco). Altri piccoli insediamenti di 1-2 coppie, nelle vasche dello

zuccherificio di Mezzano (Costa 1995) e in un canale interno della pianura lughese (Costa in

Gellini e Ceccarelli 2000), non sono stati confermati.

L’aumento del contenuto salino delle acque è uno dei fattori di minaccia più gravi, almeno per i

siti in vicinanza del mare; altri rischi possono derivare dalla riduzione dei canneti per falciatura o

incendio e da sfavorevole gestione dei livelli dell’acqua, operazioni queste negative anche per

altre specie acquatiche e che vanno evitate nel periodo riproduttivo.

La specie rientra fra le specie vulnerabili nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF 1999) ed è

definita a status indeterminato nella Lista Rossa regionale (Gustin et al. 1997).

BIGIA PADOVANA Sylvia nisoria

Specie nidificante estiva, la cui distribuzione in Italia (Meschini e Frugis 1993) risultava limitata

negli anni ’80 essenzialmente alla Pianura Padana settentrionale, con localizzate presenze in aree

prealpine e in Emilia-Romagna. In Italia stimate 1.000-2.000 coppie (BirdLife International

2004).

Nella Regione la nidificazione è sempre stata rara; in Romagna, nella prima metà del ‘900, era

considerata scarsissima (Brandolini 1961) o eccezionale (Zangheri 1938); nel Parmense poco

comune e molto localizzata (Tornielli 1982).

Nella carta figurano 9 tavole occupate (5,2 del totale); l’accertamento riproduttivo riguarda 8

tavole ed è riferito ad informazioni ormai datate (dal 1985 al 1997).

In quel periodo sono riportati i seguenti casi di nidificazione: nel Parmense 2 nidi nel 1989 in

aree golenali del Po (Ravasini 1995); nel Modenese 2-6 coppie nel 1991-92 lungo il tratto di alta

pianura del Panaro (Giannella et al. 1996); nel Forlivese una piccola colonia trovata nel 1976 a

Magliano, nei meandri del Fiume Ronco (Pazzucconi 1977) risultava ancora in parte presente nel

1997 (Gellini e Ceccarelli 2000); un’altra coppia nel 1984 lungo il Fiume Montone, nei dintorni

di Forlì (Foschi e Gellini 1987); nel Ravennate una coppia nel 1996 in zona agricola presso

Conselice (Gellini e Ceccarelli 2000); nel basso Ferrarese una coppia nel 1976 (Pazzucconi

1977), non cartografata per assenza di riferimenti topografici sufficienti. La presenza riproduttiva

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è inoltre segnalata nel SIC riminese del F. Marecchia (Tinarelli 2005). In gran parte dei casi

l’habitat è rappresentato da ambienti golenali con boschi riparali accompagnati da ricca

copertura arbustiva.

Per le province occidentali non si dispone di una situazione aggiornata, mentre nelle province

romagnole la presenza della specie non è stata verificata negli ultimi anni (Sterna inedito),

circostanza che lascia supporre l’estinzione nella parte orientale della Regione.

Nella Lista Rossa italiana è fra le specie a basso rischio (LIPU e WWF 1999), in quella regionale

viene elencata fra le specie rare con una popolazione stimata in 30-50 coppie (Gustin et al.

1997), valutazione probabilmente oggi ottimistica.

La permanenza della specie come nidificante in Emilia-Romagna, pur tenendo presente che lo

status non è aggiornato, appare al momento critica; va ricordato peraltro che la nostra Regione

rappresenta un territorio marginale rispetto all’areale europeo che interessa principalmente le

zone centrali ed orientali del continente.

Il fattore di minaccia principale può derivare appunto da questa situazione di marginalità che

rende di per se vulnerabile la specie; localmente i rischi possono derivare dalle alterazioni

dell’ambiente fluviale, dall’abbattimento delle siepi e dall’uso dei pesticidi.

BALIA DAL COLLARE Ficedula albicollis

Specie nidificante estiva a distribuzione molto frammentaria e localizzata in Italia; l’Atlante

italiano degli anni ’80 (Meschini e Frugis 1993) evidenziava i nuclei principali nell’Appennino

centrale (Abruzzo, Molise) e meridionale (Calabria), altre piccole colonie nell’Appennino

settentrionale (Romagna, Liguria), nelle Alpi centrali (Val d’Aosta e Comasco), in Basilicata e

Gargano. In ogni caso l’habitat era costituito da boschi maturi collinari o montani.

Stimate in Italia 2.000-4.000 coppie con trend di stabilità (BirdLife International 2004).

La carta di distribuzione regionale rappresenta la situazione nota in base agli ultimi dati

disponibili riferiti al periodo 1985-2000: le tavole con indicazione di presenza riproduttiva sono

12 (7% del totale), 10 delle quali con accertamento della nidificazione.

Queste nel dettaglio le informazioni: nel Parmense (Ravasini 1995) 7 nidificazioni nel 1989,

altre 2 nel 1990, tutte in castagneti secolari ad altitudini comprese fra 700 e 950 m; nel

Modenese (Giannella e Rabacchi 1992) una coppia nidificante ai margini di un bosco di

latifoglie e conifere a 1200 m sul Monte Nuda; nel Forlivese (Foschi e Gellini 1987) una coppia

nidificante dal 1986 al 1990 (Gellini e Ceccarelli 2000) nell’abetina di Campigna a 1300 m.

Un’altra segnalazione, di eventuale nidificazione per l’osservazione di un maschio in canto in un

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castagneto montano, proviene dal Piacentino (Ambrogio et al. 2002). La presenza riproduttiva è

inoltre segnalata nella ZPS M. Rondinaio-M. Giovo nel Modenese (Tinarelli 2005).

Per la coppia del Forlivese va segnalata la particolare ubicazione del sito riproduttivo, posto in

un’abetina matura, situazione insolita per una specie considerata tipicamente legata ai boschi di

latifoglie; sempre in quel sito era stato peraltro segnalato un precedente caso di nidificazione nel

1941 (Foschi 1986).

La popolazione regionale, sulla cui stabilità non esistono conferme recenti, poteva essere

valutata a fine ‘900 in 10-15 coppie; va tenuto presente tuttavia che l’esiguità della popolazione e

l’estrema localizzazione dei siti rendono problematico il reperimento delle coppie. La specie è

sempre risultata comunque rara anche in tempi storici.

Qualsiasi considerazione protezionistica e gestionale è subordinata ad una migliore conoscenza

dello status che è dichiarato indeterminato in Regione (Gustin et al. 1997); il mantenimento dei

boschi maturi, in particolare i castagneti secolari, pare comunque una misura estremamente

favorevole alla conservazione di questa e tante altre specie nidificanti in cavità arboree.

AVERLA PICCOLA Lanius collurio

E’ specie nidificante estiva, migratrice regolare.

Ampiamente distribuita nella regione con 149 tavole occupate (86,7% del totale); di queste 144

(83,7%) indicano certezza di nidificazione. I vuoti che appaiono nel Ferrarese e nel Reggiano

sono dovuti indubbiamente alla mancata disponibilità degli atlanti delle due province. L’ampia

distribuzione non deve però trarre in inganno perché l’Averla piccola è in grave declino in tutta

la Regione; considerata molto comune in tempi storici, la specie ha iniziato una fase regressiva

già a partire dalla metà del ‘900. Brandolini (1961) e Foschi (1986) ad esempio ne denunciano

una forte riduzione nelle campagne romagnole. Più recentemente il declino viene dichiarato in

tutti gli atlanti provinciali: nel Piacentino (Ambrogio et al. 2001), nel Parmense (Ravasini 1995),

nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002); in entrambe le province di Forlì-Cesena e Ravenna le

popolazioni risultano pressoché dimezzate nell’ultimo decennio (Sterna inedito).

Anche a livello europeo viene indicato uno stato di sofferenza con la definizione di SPEC3,

indice di status sfavorevole con popolazione non concentrata nel continente (BirdLife

International 2004).

La popolazione italiana è stimata in 50.000-120.000 coppie con trend negativo (BirdLife

International 2004), quella regionale in 2.800-3.700 coppie con trend in diminuzione (Marchesi e

Tinarelli 2007). Stime locali indicano 500-550 coppie nel Parmense (Ravasini 1995) e 300-400

coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002).

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Le densità sono maggiori nelle fasce di pianura e prima collina, poi decrescono lungo il

gradiente altitudinale, con localizzate presenze riscontrate anche ad elevate altitudini: 1500 m

nella provincia di Bologna (Tinarelli et al. 2002), 1300 m a Parma (Ravasini 1995), 1150 m a

Forlì-Cesena (Sterna inedito).

L’habitat è costituito da ambienti aperti di vario tipo: pascoli e incolti con presenza di arbusti ed

alberi isolati, seminativi con siepi e filari alberati, frutteti.

I principali fattori di minaccia per la specie sono individuabili soprattutto nelle moderne tecniche

agrarie che hanno determinato nel recente passato l’abbattimento di ogni spazio naturale residuo

nell’ambiente agricolo (siepi, filari e boschetti, tare agricole); sono da incentivare in merito

interventi di ripristino agroambientale per salvaguardare e ricostituire questi spazi verdi. A ciò va

aggiunto l’uso pesante dei pesticidi che potrebbe vedersi ridotto con il diffondersi dei metodi di

lotta biologica. In collina l’abbandono di gran parte dei pascoli determina la perdita di aree

aperte per il progressivo imboschimento naturale (al riguardo sono auspicabili interventi di

pulizia e conservazione di queste aree). Altri fattori, difficilmente valutabili, possono dipendere

da problematiche riguardanti le zone di svernamento africane.

AVERLA CENERINA Lanius minor

Nidificante estiva, migratrice; in Italia sono stimate 1.000-2.500 coppie (BirdLife International

2004).

Le notizie storiche la davano molto comune nella pianura e collina modenese (Doderlein 1869;

Picaglia 1888), comune nel Parmense e nel Piacentino (Tornielli 1954); nella Romagna era

dichiarata “poco comune” (Imparati 1934), “frequente, non è comunissima” (Zangheri 1938).

Attualmente in Emilia-Romagna è considerata altamente vulnerabile con popolazione stimata in

20-50 coppie alla fine del secolo scorso (Gustin et al. 1997). Lo stato di grave declino riguarda

peraltro anche tutto il territorio nazionale ed europeo; nella Lista Rossa italiana (LIPU e WWF

1999) è inserita fra le specie in pericolo e nell’Europa è classificata SPEC2, ovvero con status

sfavorevole e popolazione concentrata nel continente (BirdLife International 2004).

La carta di distribuzione regionale mostra 19 tavole occupate (11% del totale), ma va precisato

che si tratta ormai in gran parte di dati della fine del ‘900 per i quali non si dispone di conferme

più recenti; inoltre sono solo 11 le tavole con riproduzione accertata; le altre 8 tavole di

eventualità sono verosimilmente da attribuire alla presenza di individui in migrazione tardiva e

non nidificanti.

L’accertamento riguarda nei particolari: circa 24 nidificazioni riportate nel Parmense tutte in

zone di pianura, con l’ultimo dato del 1995 e una popolazione stimata in 14-17 coppie (Ravasini

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1995); 2 nidificazioni nella pianura piacentina (Ambrogio et al. 2001); 3 coppie nidificanti

(1988) nella pianura modenese (Giannella e Rabacchi 1992); 3-5 coppie nella pianura bolognese

(Tinarelli et al. 2002).

Nel settore romagnolo, negli anni ’80, venivano indicati rari casi di riproduzione nei pressi delle

coste e pinete ravennati, mentre per il Forlivese veniva indicata solo l’eventualità della

nidificazione (Foschi e Gellini 1987); nell’atlante del 1995-97 (Gellini e Ceccarelli 2000) non

sono indicate presenze riproduttive in tutta la Romagna; l’unica segnalazione recente è riferita ad

una piccola colonia di 2-3 coppie ai margini di una cava nel Ravennate (Magnani inedito).

Per il Ferrarese è segnalata una nidificazione eventuale nel 2005 in Valle Pega (Borghesi

inedito).

L’habitat comune a tutte le segnalazioni è un ambiente di pianura aperto, con coltivazioni

diversificate, prevalentemente erbacee, ma con presenza vincolante di piante mature isolate,

alberi tutori delle viti, pali e linee aeree.

E’ problematico individuare le cause del declino; fra le concause (Gustin et al. 1997) sono

indicate: uso dei pesticidi e sostanze chimiche, meccanizzazione ed agricoltura intensiva,

riduzione delle siepi, problematiche legate alla siccità nei quartieri africani di svernamento, oltre

a cause sconosciute.

Gli interventi gestionali proponibili sono in pratica gli stessi indicati per l’Averla piccola e cioè

la salvaguardia e il ripristino di spazi naturali nell’ambiente agricolo, il mantenimento di aree

aperte nei pascoli abbandonati.

GHIANDAIA Garrulus glandarius

In parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.

Rispetto alla Carta del 1999 la distribuzione attuale mostra un forte ampliamento interessando

148 tavole (86% del totale) rispetto alle 105 di allora (+41%), tutte in pratica con nidificazione

accertata. L’ampliamento è dovuto in parte ad un recupero di dati per la provincia di Piacenza

(Ambrogio et al. 2001) che appariva allora carente di informazioni, ma soprattutto ad una reale

espansione verso le zone di pianura riscontrata nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002), nelle

province romagnole, in parte del Reggiano (Gustin 2003) e nella parte costiera del Ferrarese

(Sterna inedito). E’ probabile che la disponibilità di informazioni aggiornate possano confermare

per il resto del Reggiano ed il Modenese la fase di espansione anche verso quelle pianure.

Questa evoluzione riguarda l’ultimo decennio; prima di allora la pianura risultava occupata solo

nel Parmense e nel Piacentino, in particolare nei boschi golenali lungo il Po, ma anche in aree di

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campagna con siepi arboree ed in parchi cittadini; è indicata la presenza anche nelle città di

Piacenza e Parma, in quest’ultima con 30-45 coppie (Ravasini 1995).

Anche quantitativamente il fenomeno risulta importante; ad esempio nelle province di Forlì-

Cesena e Ravenna gli indici di densità relativa sono oggi raddoppiati rispetto al periodo 1995-97

(Sterna inedito). Altri centri capoluoghi sono attualmente frequentati: Reggio (Gustin 2003),

Bologna (Tinarelli et al. 2002) e Forlì (Ceccarelli et al. 2006); le vie di penetrazione verso città e

pianura sono rappresentate dai corsi fluviali e dai loro boschi ripariali.

Per l’Appennino si conferma la presenza su tutto il territorio fino alle altitudini massime, con

occupazione in pratica di ogni tipo di formazione boschiva.

La popolazione italiana è stimata in 200.000-400.000 coppie con trend positivo (BirdLife

International 2004); le stime locali delle popolazioni indicano 9.000-9.500 coppie nel Parmense

(Ravasini 1995), 10.000-20.000 coppie nel Bolognese (Tinarelli et al. 2002); per il Parmense

sono riportati anche valori di densità lungo il gradiente altitudinale: 1,42 cp/kmq in pianura, 3,89

cp/kmq in collina, 5,18 cp/kmq in montagna, con valore medio provinciale di 3,49 cp/kmq

(Ravasini 1995).

Lo status favorevole è consentito anche dalla mancanza di particolari minacce per la specie.

GAZZA Pica pica

Sedentaria, migratrice irregolare.

La distribuzione già ampia nella Carta del 1999 (133 tavole) è aumentata ulteriormente fino a

coprire quasi tutto il territorio regionale (158 tavole pari al 91,9% del totale, delle quali 152 con

accertamento riproduttivo). Sono rimaste scoperte 4 tavole marginali lungo il Po, per probabile

carenza di informazione, e 10 tavole lungo il crinale che possono essere veramente disertate

perché il limite altitudinale alla diffusione della Gazza è in genere intorno agli 800 m s.l.m.

Più che l’ampliamento dell’areale, è da rimarcare un aumento molto forte della popolazione;

nelle province romagnole ad esempio, per le quali era già indicata una fase di ripresa negli anni

’90 dopo la persecuzione subita nei decenni precedenti a causa della lotta ai nocivi (Gellini e

Ceccarelli 2000), è attualmente in atto un’esplosione demografica; gli indici di densità relativa

negli ultimi anni (2004-2006) sono più che raddoppiati rispetto a quelli del 1995-97: per

Ravenna un aumento del 161%, per Forlì-Cesena del 121% (Sterna inedito). I valori più alti nel

Ravennate, prevalentemente pianeggiante, sembrano indicare un aumento più sostenuto nelle

zone di pianura rispetto alla collina prevalente nel Forlivese.

Una fase di espansione viene genericamente indicata anche negli atlanti di Bologna, Modena e

Piacenza.

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A favorire il fenomeno è naturalmente l’opportunismo della Gazza, in grado di utilizzare le

maggiori disponibilità alimentari conseguenti ad attività umane come gli allevamenti e le

discariche; a ciò va aggiunta la ridotta persecuzione umana diretta.

E’ più comune in pianura e nelle zone pedecollinari; la densità si riduce lungo il gradiente

altitudinale con sporadiche presenze anche a quote elevate: 800 m nel Bolognese (Tinarelli et al.

2002), 1131 m nel Parmense (Ravasini 1995), 950 m nel Forlivese (Gellini e Ceccarelli 2000).

La specie è insediata anche all’interno delle città: a Parma (Ravasini 1995) e a Forlì (Ceccarelli

et al. 2006).

In Italia sono stimate 200.000-500.000 coppie con trend positivo (BirdLife International 2004).

La popolazione nel Bolognese è stimata in 1500-2500 coppie (Tinarelli et al. 2002), nel

Parmense in 5500-6000 coppie (Ravasini 1995); i dati sembrano mostrare maggiori densità verso

l’area occidentale della Regione.

L’assenza di particolari minacce per la specie è uno dei fattori che ne favorisce l’espansione. Va

ricordato che questa, come le altre specie dell’ordine, è un attivo predatore di uova e pulli nei

nidi degli altri uccelli; questa propensione, accompagnata dall’aumento dei contingenti, può

creare una richiesta di controllo della popolazione, soprattutto dall’ambiente venatorio che vede

in maniera generalizzata nella attività predatrice dei Corvidi una causa importante di riduzione

della selvaggina.

TACCOLA Corvus monedula

In parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.

L’insediamento della Taccola come nidificante regolare in Emilia-Romagna è recente risalendo

alla seconda metà del ‘900: nel 1961 sono state segnalate colonie nell’Appennino forlivese

(Foschi 1986), nel 1965 in quello ravennate (Toschi 1967), nel 1973 in quello parmense

(Tornielli 1979); successivamente è stato registrato l’insediamento anche nelle principali città: a

Bologna nel 1966 (Toschi 1967), a Forlì nel 1975 (Foschi 1986), a Parma nel 1979 (Tornielli

1979), a Ravenna nel 1981 (Ortali 1981), a Modena sul finire degli anni ‘70 (Fraissinet 1989).

Si è trattato quindi di una progressiva espansione che ormai interessa tutta la Regione; la

distribuzione attuale riguarda 105 tavole (61% del totale) delle quali 85 con indicazione certa di

riproduzione; nella Carta del 1999 le tavole complessive erano 82. L’aumento, più che ad una

fase di espansione ancora in corso, va forse ascritto ad una più puntuale segnalazione delle

colonie in particolare nel Piacentino e nel Bolognese. Nel settore orientale, dal confronto fra

l’Atlante di Forlì-Cesena e Ravenna del 1995-97 (Gellini e Ceccarelli 2000) e le ricerche recenti

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(2004-2006), appare una situazione di stabilità (Sterna inedito); in particolare non sono evidenti

nuovi insediamenti in tutta l’area della pianura intensamente coltivata.

Certamente per la specie non sono in atto nell’ultimo decennio notevoli incrementi quantitativi

come quelli segnalati invece per altri Corvidi (Ghiandaia e Gazza).

La popolazione italiana è considerata stabile con 50.000-100.000 coppie (BirdLife International

2004). Localmente sono valutate 1500-2000 coppie in provincia di Bologna (Tinarelli et al.

2002), 322-340 coppie nel 1994 in quella di Parma, in aumento rispetto alle 168-202 coppie del

1991 (Ravasini 1995).

E’ da segnalare l’importante dormitorio nell’Oasi di Magliano (FC) dove negli ultimi inverni si

sono radunati regolarmente 1000-2000 individui (Foschi inedito).

I siti riproduttivi sono rappresentati dalle cavità naturali nelle pareti rocciose, ma ancor più da

quelle artificiali nei manufatti umani: edifici storici, case rurali abbandonate, ponti e viadotti.

Proprio la ridotta disponibilità dei siti artificiali dovuta ad interventi di restauro degli edifici

monumentali (con la chiusura dei fori per i ponteggi allo scopo di allontanare le colonie di

piccioni), oppure al recupero delle case abbandonate, rappresenta al momento l’unico rischio

potenziale per la specie. Viene segnalata anche una possibile limitazione causata dall’espansione

del Pellegrino che può allontanare le colonie rupicole dai siti naturali (Tinarelli et al. 2002).

L’insediamento della Taccola nelle città poteva far pensare ad una conflittualità nei riguardi dei

piccioni; in realtà, pur esercitando un’attività di predazione dei nidi di questi ultimi, la presenza

della taccole non rappresenta un fattore limitante importante per la popolazione dei piccioni,

anche perché in genere le colonie cittadine delle taccole sono di modesta entità.

CORNACCHIA GRIGIA Corvus corone cornix

In parte sedentaria, migratrice regolare, svernante.

Le informazioni fornite dagli ultimi atlanti provinciali hanno consentito di estendere in pratica la

copertura a tutto il territorio della Regione; sono 168 le tavole occupate (97,7% del totale)

aumentate rispetto alle 154 della Carta del 1999, 159 sono quelle con riproduzione accertata;

nelle 4 tavole scoperte l’assenza non è probabilmente reale ma dovuta a carenza di informazione.

Specie ecologicamente molto versatile, occupa tutti gli ambienti disponibili con la sola presenza

vincolante di boschi radi o alberi sparsi necessari per la costruzione del nido (pioppeti coltivati,

boschi fluviali, coltivi e pascoli alberati, parchi) mentre evita le grandi formazioni forestali; il

limite altitudinale è in genere posto intorno a 800-900 m, ma non mancano segnalazioni a quote

più alte ad esempio ai 1175 m nel Forlivese (Sterna inedito).

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La popolazione italiana è stimata in 110.000-520.000 coppie con trend di stabilità (BirdLife

International 2004). Nel Parmense sono stimate 9-10.000 coppie riproduttive (Ravasini 1995); va

tenuto presente al riguardo che la popolazione complessiva è composta anche da molti immaturi

e adulti non impegnati in attività riproduttiva; nel Bolognese la stima delle coppie è di 1000-

2000 (Tinarelli et al. 2000). La sproporzione fra le due stime potrebbe indicare una maggiore

diffusione nell’area occidentale della Regione e in particolare nelle zone contigue al Po; infatti i

pioppeti nelle aree golenali rappresentano un habitat estremamente favorevole con densità di 5-

11 coppie/kmq registrate nel tratto lungo la provincia di Parma (Ravasini 1995).

Nelle province romagnole il trend della popolazione risulta stabile nell’ultimo decennio (Sterna

inedito).

Per la Cornacchia non esistono attualmente fattori di rischio particolari, anzi è favorita da

importanti fonti alimentari procurate indirettamente dall’uomo con le discariche e gli

allevamenti. Come per la Gazza, e ancor più di questa, la propensione a predare uova e pulli di

altri uccelli può costituire motivo di richiesta di controllo della popolazione, in particolare

dall’ambiente venatorio.

ORTOLANO Emberiza hortulana

E’ un tipico nidificante estivo delle zone aperte, migratore regolare.

Le tavole con indicazioni di presenza, tutte certe, sono 63 (pari al 36,6% del totale) distribuite

prevalentemente lungo tutta la fascia bassa e medio-collinare, con interruzioni nei settori

reggiano e modenese che vanno ascritte verosimilmente ad assenza di informazioni da quelle

zone. La maggior parte delle segnalazione ricade fra 100 e 300 m di altitudine, con rari casi più a

monte riportati negli atlanti provinciali: 700 m nel Modenese, 750 nel Forlivese, 800 nel

Bolognese, fino a 1000 nel Piacentino e 1200 nel Parmense.

Rare e localizzate le presenze in pianura, limitate alle aree umide o alle zone erbacee adiacenti:

nel Ravennate la Salina di Cervia e le zone a nord di Ravenna, nel Ferrarese le Valli di Argenta e

la bonifica del Mezzano, nel Bolognese le pianure di Malalbergo, Medicina e Molinella.

L’habitat è costituito da ambienti aperti e soleggiati con vegetazione arida o di tipo steppico, con

copertura arbustiva rada ed alberi isolati: in pianura le residue zone a vegetazione naturale in

prossimità di biotopi umidi, in collina i calanchi, gli incolti sterili, i pascoli degradati, le garighe.

La popolazione italiana è stimata in 4.000-16.000 coppie (BirdLife International 2004), quella

regionale in 500-650 coppie con trend negativo (Marchesi e Tinarelli 2007); in provincia di

Parma sono valutate 200 coppie (Ravasini 1995) con una stima che sembra oggi ottimistica, in

provincia di Bologna 50-70 coppie (Tinarelli et al. 2002).

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La specie, in forte regresso su scala nazionale ed europea, è classificata SPEC2 (BirdLife

International 2004) ovvero in declino con popolazione concentrata nel continente; nella Lista

Rossa italiana è inserita fra le specie a rischio (LIPU e WWF 1999). Anche in ambito regionale

la fase di declino è generalizzata e denunciata in tutte le province; in Romagna la regressione

appare decisamente grave: il declino, già segnalato nell’Atlante del 1995-97 (Gellini e Ceccarelli

2000), ha mostrato un ulteriore aggravamento negli ultimi anni con diminuzioni quantitative

della popolazione nell’ultimo decennio dell’ordine del 50% nel Forlivese e del 90% nel

Ravennate (Sterna inedito).

Le cause di questa situazione, che è comune a tante altre specie di ambienti aperti, vanno

ricercate localmente nelle trasformazioni agricole in pianura (scomparsa dei residui elementi di

vegetazione spontanea, meccanizzazione, uso dei fitofarmaci) e nella riduzione di zone aperte in

collina (abbandono dei pascoli e dei terreni agricoli con conseguente rimboschimento naturale).

Questa cause da sole tuttavia non sembrano tali da giustificare un regresso così marcato; è

probabile che la causa principale sia da ricercare in trasformazioni climatiche e ambientali nei

quartieri di svernamento.

Azioni di tutela locali riguardano naturalmente la salvaguardia o il ripristino degli habitat

favorevoli (messa a riposo dei terreno agricoli, conservazione dei pascoli abbandonati).

NOTE SULLE SPECIE NIDIFICANTI OCCASIONALI, MIGRATRICI O SVERNANTI

DI INTERESSE COMUNITARIO

Sono riportate segnalazioni riferite all’ultimo decennio, tralasciando quelle storiche.

Le categorie fenologiche sono tratte dalla Check-list degli uccelli dell’Emilia-Romagna (Bagni et

al. 2003), con la seguente Legenda:

B Nidificante; SB Sedentaria o Stazionaria nidificante; M Migratore o Migratrice; W Svernante,

presenza invernale; E Estivante, presenza estiva; A Accidentale (con numero delle segnalazioni);

reg Regolare; irr Irregolare; par Parziale, Parzialmente; ? dato incerto.

Viene riportato anche lo status di conservazione europeo con la valutazione del 1994 (Tucker e

Heath 1994) confrontata con quella più recente del 2004 (BirdLife International 2004), con le

seguenti codifiche:

SPEC1: Specie presente in Europa ed il cui Status di Conservazione le qualifica come

globalmente minacciate in tutto l’areale, anche per mancanza di informazioni.

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SPEC2: Specie con popolazione concentrata in Europa e con status sfavorevole nel continente.

SPEC3: Specie con popolazione non concentrata in Europa e con status sfavorevole nel

continente.

SPEC4: Specie con popolazione concentrata in Europa, ma con status favorevole nel continente.

FALCO PESCATORE Pandion haliaetus: M reg, W irr. Presente regolarmente nei passi

primaverile ed autunnale principalmente nelle zone umide di pianura orientali e centrali (RA-FE-

BO-MO); molto raro come svernante: 1 ind. negli anni 1998-1999-2000 nel comprensorio Valli

di Comacchio-Mezzano (Baccetti et al. 2002), 1 nel 2003 nelle Valli di Argenta (Picus 2004).

SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

NIBBIO REALE Milvus milvus: M reg, W, E irr. Regolare nei passi primaverile ed autunnale,

segnalato soprattutto in zone di pianura (PR-RE-MO-BO-FE-RA), ma anche collinari (MO-FC);

rari i casi di svernamento in pianura (RE-MO-RA) con una certa regolarità nelle Valli di

Mirandola (Giannella e Tinarelli 2003, 2004, 2006), eccezionali in collina: 3 ind. nelle colline

forlivesi (Brichetti et al. 1992). Accidentale come estivante nella Salina di Cervia (Giannella e

Tinarelli 2003) e nelle Valli di Mirandola (Giannella e Tinarelli 2004). SPEC4 (1994), SPEC2

(2004).

AQUILA DI MARE Haliaeetus albicilla: M irr, W irr. Sono note presenze accidentali di

giovani o immaturi: inverno 1994-95 due individui, uno dei quali giovane del primo anno, a

Manzolino in provincia di Modena (Giannella et al. 1996), 2/6/2003 un giovane nelle Valli di

Mortizzuolo, Mirandola-MO (Giannella e Tinarelli 2004), 11/1/06 un giovane sul Po ai confini

di Piacenza e Parma (Battaglia inedito).

SPEC3 (1994), SPEC1 (2004).

CAPOVACCAIO Neophron percnopterus : A-6. Accidentale. Da aggiungere una settima

segnalazione in data 19/10/04 nelle casse di espansione del Secchia (RE-MO) (Giannella e

Tinarelli 2006). SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

GRIFONE Gyps fulvus: M irr. Di comparsa irregolare; le ultime osservazioni sono del 31/8/04

a Ospitaletto-Marano s/P (MO) (Giannella e Tinarelli 2006) e del 22/7/05 in alta Val Parma

(Mendi inedito). SPEC3 (1994), Non SPEC (2004).

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ALBANELLA REALE Circus cyaneus: M reg, W, B irr. Regolarmente presente da ottobre a

marzo in zone di pianura (più frequentemente ai margini delle aree vallive orientali) e di bassa

collina; la popolazione svernante era valutata in 100-400 individui (Chiavetta 1992), con una

stima forse eccessiva; attualmente sono stimati 60-100 individui svernanti (Marchesi e Tinarelli

2007) con andamento fluttuante a seconda degli anni, risultando maggiore la presenza negli

inverni più freddi. Un caso eccezionale di nidificazione, unico in Italia in tempi recenti, è

segnalato nel Parmense in un’area golenale del Po nel 1998 (Brichetti et al. 1998), ripetutosi poi

nel 1999-2000 (Brichetti e Fracasso 2003). SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

ALBANELLA PALLIDA Circus macrouros: M irr. Rara come migratrice; un giovane

osservato in data 15/3/03 nella Valle Zavelea-Comacchio (Giannella e Tinarelli 2004); le

difficoltà di riconoscimento di femmine e giovani da quelli delle altre specie di albanelle

possono rendere sottostimata la presenza. SPEC3 (1994), SPEC1 (2004).

POIANA CODABIANCA Buteo rufinus : A-9. Specie accidentale, di passo o svernante in

ambienti aperti; alle 9 segnalazioni indicate nella chek-list regionale è da aggiungere la recente

osservazione del 7/1/07 nell’Oasi di Bentivoglio (BO) (Asoer inedito). Nell’elenco le precedenti

segnalazioni degli anni 2000: 21/7/01 2 ind. alla Cava Valle di Montechiarugolo (PR), dal 2/11

al 10/11/02 nelle Valli di Mortizzuolo-Mirandola (MO), 12/1/03 nelle Valli Le Partite-Mirandola

(MO), dal 20/5 al 1/7/03 nella Bonifica del Mezzano (FE) (Giannella e Tinarelli 2003, 2004;

Bagni et al. 2003). SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

AQUILA ANATRAIA MINORE Aquila pomarina : M irr. Molto rara; non sono note

segnalazioni recenti. SPEC3 (1994), SPEC2 (2004).

AQUILA ANATRAIA MAGGIORE Aquila clanga: M reg, W. Di passo e svernante nelle

zone umide di pianura. Presenze regolari sono state registrate nel triennio 2002-2004 nell’Oasi

di Torrile (PR) e nelle Valli di Mortizzuolo-Mirandola (MO); sempre in quegli anni altre

presenze sono state indicate in zone umide del Bolognese a Crevalcore, Bentivoglio, Molinella e

Medicina, del Ferrarese in Valle Umana e del Ravennate nelle Pialasse e all’Ortazzo (Giannella e

Tinarelli 2003, 2004, 2006; Asoer inedito); dei 9 individui per i quali sono indicate le classi di

età 6 sono risultati adulti e 3 giovani. Informazioni degli anni precedenti sono relative a: Foce del

Bevano (RA) nel 1997 e nel 2000; Fiume Po (PC) 2000; Valli d’Argenta (FE) 1997; Pialasse e

Valli ravennati 1997; Comacchio e Mezzano 1998 (Baccetti et al. 2002). Nel comprensorio

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Pineta di Classe-Ortazzo-Foce Bevano sono state registrate presenze primaverili negli anni 1992-

93-94 (Premuda 1997). SPEC1 (1994), SPEC1 (2004).

AQUILA MINORE Hieraaetus pennatus : M irr, W irr. Presente nei passi e in inverno, più

spesso in pianura presso le zone umide. Solitamente rara, ma numericamente molto fluttuante

negli anni; nell’autunno 2004 e nell’inverno 2004-05 in particolare la presenza è apparsa

eccezionale, a carattere di invasione (Premuda et al. 2006; Giannella e Tinarelli 2006), con

ripetute osservazioni in una quindicina di località nelle province di RE, PR, MO, BO, RA; queste

erano concentrate soprattutto in Val Taro, bassa bolognese, Valli Bertuzzi-Canneviè, Mesola,

Valli di Comacchio, Valle Mandriole, Ortazzo. Più recenti altre osservazioni invernali a Bosco

della Mesola (Passerella inedito) e Bertuzzi-Volano (18/1/07) (Bonora inedito). SPEC3 (1994),

SPEC3 (2004).

FALCO DELLA REGINA Falco eleonorae : A-6. Accidentale; segnalata un’ulteriore

osservazione del 24/8/06 nelle colline bolognesi (Premuda inedito). SPEC2 (1994), SPEC2

(2004).

SMERIGLIO Falco colombarius : M reg, W. Presente regolarmente, con una popolazione

svernante valutata in 100-200 individui in trend positivo dagli anni ’90 (Marchetti e Tinarelli

2007); frequenta prevalentemente i margini delle zone umide di pianura, mentre è raro nel basso

Appennino.

Nel corso di censimenti invernali lungo transetti automobilistici, negli anni 2000-2002 sono stati

rilevati: 1 individuo su 339 km (0,3/100 km) nelle bonifiche ferraresi, 6 ind su 337 km (1,8/100

km) nella pianura bolognese orientale, nessun individuo su 385 km nelle colline di BO-RA-FC

nella fascia 100-500 m. (Bonora e Melega 2003). Non SPEC (1994), Non SPEC (2004).

GALLINA PRATAIOLA Tetrax tetrax : M irr. Molto rara; non sono note segnalazioni recenti.

SPEC2 (1994), SPEC1 (2004).

PIVIERE TORTOLINO Charadrius morinellus : M reg. Di passo regolare nelle zone più alte

dell’Appennino, oltre il limite della vegetazione arborea. Segnalato nei SIC di M. Cusna e di M.

Prado (RE), M. Cimone (MO) e Corno alle Scale (BO) (Tinarelli 2005); in quest’ultima località

recenti osservazioni del 6/9/05 (gruppo di 5 individui) e del 29/8/06 (4 ind.) (Asoer inedito). Un

tempo citato comunemente in migrazione anche in zone di pianura (Foschi 1986). Non SPEC

(1994), Non SPEC (2004).

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GUFO DI PALUDE Asio flammeus : M reg, W par, E irr. Presenza regolare da ottobre ad

aprile; segnalazioni recenti di svernamento (Giannella e Tinarelli 2003, 2004) nelle Valli di

Mirandola (MO) e di Comacchio (FE), nell’Oasi di Bentivoglio (BO) e soprattutto nella Bonifica

del Mezzano (FE); in quest’ultima località si è verificata l’eccezionale presenza di 18-20

individui nell’inverno 2006-07 (Azzolini inedito). La popolazione svernante in Regione è di

alcune decine di individui (Marchetti e Tinarelli 2007). Sono segnalati anche casi insoliti di

estivazione nella Salina di Cervia (RA) e nell’Ortazzo (RA) ed in particolare la presenza da

aprile a luglio 2003 nel Mezzano (Giannella e Tinarelli 2003, 2004). SPEC3 (1994), SPEC3

(2004).

CALANDRA Melanocorypha calandra : M irr. Estinta come nidificante ai primi del 900

(Foschi 1986). Attualmente molto rara come migratrice; non sono note segnalazioni negli anni

2000. SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

PETTAZZURRO Luscinia svecica : M reg, W irr (reg?). Regolare nei passi in zone vallive. La

sua presenza è sempre stata probabilmente sottostimata; nella stazione ornitologica modenese “la

Tomina” ne vengono inanellati alcune decine per anno (Giannella e Gemmato 2004); un

esemplare di questi, preso in data 19/10/03, è stato attribuito alla sottospecie orientale

(L.s.svecica) (Giannella e Tinarelli 2004). In due occasioni il 3/8/05 e il 11/9/05 a Volta Scirocco

osservati gruppetti di 5-6 individui (RA) (Costa inedito). Rare presenze invernali segnalate nelle

Valli di Mortizzuolo il 5/1/02 (Giannella e Tinarelli 2003) e in Valle Umana-Comacchio (FE) il

10/2/96 con un esemplare della sottospecie occidentale (L.s.cyanecula) (Gemmato e Giannella

1998). La sottospecie occidentale appare più frequente di quella orientale (Foschi 1986;

Giannella e Gemmato 2004). Non SPEC (1994), Non SPEC (2004).

PAGLIAROLO Acrocephalus paludicola : M irr. Molto raro; una segnalazione del 15/8/02

nelle Valli di Mortizzuolo-Mirandola (MO) (Giannella e Tinarelli 2003). SPEC1 (1994), SPEC1

(2004).

MAGNANINA Sylvia undata : SB irr, M reg, W. La nidificazione di una coppia isolata è stata

accertata nel 1995 in un brugheto sommitale a Berceto (PR) a 900 m di altitudine (Ravasini

1995); nella stessa zona è stato osservato un maschio in canto il 30/6/02 (Giannella e Tinarelli

2003). SPEC1 (1994), SPEC1 (2004).

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GRACCHIO CORALLINO Pyrrhocorax pyrrhocorax : M irr? Molto raro; non sono note

segnalazioni recenti. SPEC3 (1994), SPEC3 (2004).

ELENCO DELLE SPECIE ACCIDENTALI DI INTERESSE COMUNITARIO

Informazioni tratte da Bagni et al. 2003; viene indicato il numero delle segnalazioni a partire dal

1900 assieme alla provincia e all’anno dell’osservazione.

GIPETO Gypaetus barbatus : A-1: MO1999

AVVOLTOIO MONACO Aegypius monachus : A-1: FC1904

AQUILA IMPERIALE Aquila heliaca : A-5: RA1942, MO1990, MO/BO 1993, FE1997,

PR1999

AQUILA DI BONELLI Hieraaetus fasciatus : A-2: RA1930, RA1950

UBARA AFRICANA Chlamydotis undulata : A-1: FC1965

OTARDA Otis tarda : A16: 13 segnalazioni ante 1950, FC1951, RA1969, RE1969

GRANDULE Pterocles alchata : A-1: MO1904

CIVETTA CAPOGROSSO Aegolius funereus : A-1: MO1989

PICCHIO CENERINO Picus canus : A-1: MO1981

PICCHIO ROSSO MEZZANO Picoides medius : A-3: RA1940, MO1982, MO1991

MONACHELLA NERA Oenanthe leucura : A-2: MO1977, RE2001

SILVIA DI RUPPELL Sylvia rueppelli : A-1: FC1965

PIGLIAMOSCHE PETTIROSSO Ficedula parva : A-3: FC1910, RN1972, MO1995

ORTOLANO GRIGIO Emberiza caesia : A-1: RA1954

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MAMMIFERI

a cura di Dino Scaravelli, Alessandra Palladini

STATUS E DISTRIBUZIONE DI SPECIE NIDIFICANTI DI INTERESSE

FAUNISTICO, GESTIONALE E CONSERVAZIONISTICO

CONIGLIO SELVATICO Oryctolagus cuniculus

Lunghezza testa-corpo: 34-45 cm; lunghezza coda 4-8 cm.

Peso medio: 1,3-2,2 kg.

Distribuzione: Europa occidentale e centrale, Isole Britanniche, localmente in Scandinavia. In

Italia è presente in maniera diffusa in Sicilia e Sardegna, localizzato altrove.

Caratteristiche generali

Colorazione uniformemente bruno-grigiastra con parti ventrali e parte inferiore della coda

biancastre. Capo rotondeggiante con orecchie piuttosto corte. Vive in colonie anche molto

numerose ma dove l’unità sociale è costituita dalla coppia. Gli habitat preferiti sono aree

litoranee, pianure e colline aperte e cespugliate, brughiere, ecc., generalmente non oltre 4-500 m

di altitudine. Le coppie devono scavare rifugi sotterranei che possono divenire complicati sistemi

di tane, garantendo una buona difesa dai predatori. Si localizzano quindi generalmente su suoli

adatti all’escavazione, drenati se non sabbiosi. L’alimentazione comprende una grande varietà di

vegetali. Molto attivo al crepuscolo, trascorre la maggior parte del giorno al riparo all’interno

della tana o nelle sue immediate vicinanze.

Status

Introdotto a scopo venatorio in molti paesi europei, spesso ha dato origine a esplosioni

demografiche incontrollabili, generalmente seguite da epidemie di mixomatosi che decimano le

popolazioni. In taluni paesi, come la Gran Bretagna, la malattia è stata localmente introdotta

artificialmente a scopo di controllo. In Italia le uniche popolazioni consistenti sono presenti nelle

isole maggiori. Altri nuclei di una certa importanza sono localizzati in Toscana, soprattutto lungo

il litorale tirrenico.

In Regione è stato immesso in varie località: nelle golene del Po nel piacentino, nella pianura

bolognese, in varie zone del litorale ferrarese e ravennate (Bertusi e Tosetti, 1986). Attualmente

la distribuzione nota è relativa alla presenza di piccoli nuclei localizzati sia in pianura sia nella

bassa collina dal litorale adriatico alla provincia di Piacenza. Ancora il più consistente di tali

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nuclei si trova sui dossi di Boscoforte, nella parte meridionale delle Valli di Comacchio, in

provincia di Ferrara, dove è stato introdotto nel 1969 (Bertusi e Tosetti, 1986; Leporati et al.,

1976). Studi sugli impatti che tale popolazione ha esercitato sul delicato equilibrio dell’ambiente

dunale hanno evidenziato effetti sia negativi sia positivi (Mantovani Gerdol e Gerdol, 1988). In

particolare sono stati rilevati danni alla stabilità meccanica dei cordoni dunosi causati dalla

imponente attività di escavazione operata dai conigli, la quale potrebbe potenzialmente condurre

nel lungo periodo alla scomparsa dell’habitat. Effetti positivi sono invece stati osservati dagli

stessi Autori sulla diversificazione floristica del sito, nonchè sull’avifauna nidificante, in quanto

la presenza della colonia di conigli ha creato le condizioni favorevoli alla comparsa di una

specie, la Volpoca, di notevole interesse naturalistico.

Oltre all’impatto sugli ambienti naturali, il coniglio selvatico può rappresentare una importante

fonte alimentare per vari predatori e il suo controllo e la gestione dei nuclei presenti, così come

la eventuale introduzione in nuove località, dovrebbe tenere conto anche di questo aspetto.

MARMOTTA Marmota marmota

Lunghezza testa-corpo: 50-60 cm; lunghezza coda 13-16 cm.

Peso medio: 4-8 kg.

Distribuzione: Arco alpino. Piccole popolazioni, introdotte, si trovano i Tatra nei Pirenei e

nell’Appennino settentrionale.

Caratteristiche generali

Caratteristico sciuride terrestre a corporatura massiccia con capo largo e orecchie cortissime,

zampe corte e coda di media lunghezza. Vive in colonie che si localizzano generalmente oltre il

limite della vegetazione arborea. Si nutre esclusivamente di erbe e altri vegetali. Scava sistemi di

tane profondi e complessi che utilizza per la riproduzione, il letargo e per sfuggire ai predatori.

Di abitudini diurne, durante i mesi estivi si può osservare facilmente in attività nei pressi delle

tane. Quando allarmata emette un breve caratteristico fischio.

Status

La specie è distribuita come specie autoctona quasi esclusivamente sull’arco alpino, mentre è

stata introdotta negli anni ‘50 nei Pirenei (Couturier, 1964 in Lenti Boero, 1988) e

nell’Appennino settentrionale (Bertusi e Tosetti, 1986). In regione lo status e la distribuzione

della marmotta sono stati oggetto di studio in particolare nell’area Modenese (Ferri et al., 1988-

1997). Nel decennio 1946-56 il corpo Forestale dello Stato ha rilasciato oltre 40 esemplari in

varie località della dorsale appenninica compresa tra il M. Cimone, il Libro Aperto, l’Abetone e

Maresca (PT). Ulteriori immissioni sono state effettuate negli anni ‘60 nel versante modenese del

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M. Rondinaio e probabilmente sul Corno alle Scale. Altre introduzioni sono state effettuate negli

anni ‘70 nell’Appennino parmense e reggiano e nel 1987 nei pressi del passo del Cerreto.

Ulteriori immissioni nell’alta Val d’Enza all’inizio degli anni ‘80 sono probabilmente da

ascrivere a privati. Attualmente la specie occupa un areale piuttosto vasto che comprende

numerose zone della dorsale appenninica dal Corno alle Scale al M. Giovo e M. Romecchio. Un

nucleo isolato si trova sul M. La Nuda. Altri nuclei sono presenti nell’alto Appennino reggiano

sui M. Cusna e Prato e nell’alto Appennino parmense. In provincia di Piacenza la specie è

presente al confine con la provincia di Alessandria, in prossimità dello spartiacque che divide le

valli Curone e Borbera. Per la provincia di Modena sono note inoltre, a partire dalla metà degli

anni ‘80, segnalazioni relative a individui isolati a basse quote e lontani dall’areale abituale, ad

es. alcuni esemplari osservati ad altitudini comprese tra 350 e 500 m., a volte anche per due anni

consecutivi, in varie località dei comuni di Pavullo, Sestola e Marano sul P.

La distribuzione oggi interessa un’areale sempre più vasto. L’espansione e il consolidamento

delle popolazioni di Marmotta in regione possono essere ricondotti all’assenza di prelievo

venatorio e agli interventi di protezione adottati, nonostante i numerosi casi di bracconaggio

segnalati.

Data la mancanza in regione di specifiche tradizioni venatorie e la pressochè totale assenza di

interferenze con le attività umane la specie non riveste particolare interesse dal punto di vista

gestionale, tuttavia va sottolineato il decisivo ruolo ecologico che essa riveste per

l’alimentazione di rapaci come l’Aquila reale (Fasce P. e Fasce L., 1992). Sarebbe quindi

auspicabile un intervento di censimento più accurato e lo studio dei trend di espansione e di

strutturazione dei popolamenti, anche come indicatore dei possibili mutamenti climatici e del

loro potenziale impatto sulle cenosi cacuminali.

ISTRICE Hystrix cristata

Lunghezza testa-corpo: 55-70 cm; lunghezza coda 4-9 cm.

Peso medio: 10-15 kg.

Distribuzione: Europa meridionale e nordafrica. In Europa è presente unicamente in Italia, dove

è oggi consolidato come sia non introdotto in epoca romana ma bensì un rimasto

dall’interglaciale caldo. In Italia è oggi diffuso ampiamente anche nel nord, avendo superato da

tempo lo spartiacque del Po. La sua diffusione nel meridione è più a mosaico. Manca dalla

Sardegna.

Caratteristiche generali

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L’Istrice è grande e inconfondibile roditore per la presenza su dorso e coda, di grossi e lunghi

aculei di colore nero con anulazioni bianche. Presenta capo massiccio, occhi piuttosto grandi e

orecchie piccole poco visibili in quanto ricoperte da setole, zampe piuttosto corte. Attivo quasi

esclusivamente di notte, trascorre il giorno riparato in tane che la femmina utilizza anche per

l’allevamento dei piccoli. Si nutre di vegetali, tuberi, frutta ecc. Predilige ambienti coltivati

alternati a boscaglie, incolti ecc., a clima mediterraneo, dal livello del mare fino a oltre 1000 m

di altitudine.

Status

Negli ultimi decenni, nell’Italia centro-settentrionale, si è osservato un sensibile incremento della

specie, che ha colonizzato nuove aree rispetto a quelle note fino agli anni ‘70 (Tedaldi e

Scaravelli, 1993). In regione la presenza storica dell’istrice, pur se in modo abbastanza

sporadico, è stata documentata con una certa regolarità solo in Romagna (Ginanni, 1774;

Zangheri, 1946, 1957, 1969; Silvestri, 1971). A partire almeno dagli anni ‘80 la specie ha

mostrato una chiara tendenza ad ampliare l’areale verso nord, dapprima colonizzando nuovi

territori nell’ambito dell’area romagnola (Bassi e Fabbri, 1985, 1987; Casini et al., 1988;

Zavalloni e Castellucci, 1991) e successivamente facendo la sua comparsa in aree del tutto

nuove, quali le province di Modena nel 1984 (Sala, 1987) e di Parma nel 1989 (Ferri e Sala,

1992). In provincia di Modena segnalazioni certe della presenza dell’istrice si susseguono con

regolarità negli anni successivi in numerose località della fascia appenninica, a conferma

dell’esistenza di una popolazione consolidata (Ferri e Sala, 1992). Per la provincia di Parma sono

note diverse segnalazioni per l’alto bacino dei torrenti Parma e Baganza (Ferri e Sala, 1992).

Attualmente la distribuzione nota interessa praticamente tutta la Regione e la specie si è spinta

fino alle prealpi lombarde e venete.

Considerando la termofilia della specie può risultare abbastanza sorprendente la sua capacità di

colonizzare anche aree dell’Appennino caratterizzate da clima di tipo continentale, tuttavia è

interessante osservare come in provincia di Modena la presenza dell’istrice nelle fasce collinare e

montana sia stata rilevata esclusivamente in versanti con esposizione sud sud-est (Ferri e Sala,

1992). L’espansione verso nord è stata documentata a partire dagli anni ‘90 anche nel settore

orientale della regione ed in particolare per il ravennate, il forlivese (Scaravelli, 1992 e 2001) e

successivamente per la provincia di Ferrara.

Le ragioni della rapida espansione verificatasi soprattutto nell’ultimo decennio vanno cercate nel

consolidamento delle popolazioni già esistenti, legato sia alla protezione legale accordata nel

1974, sia a possibili fluttuazioni cicliche (Santini, 1980 in Tedaldi e Scaravelli, 1993). Fattori

ambientali positivi correlabili all’espansione sono considerati sia l’abbandono generalizzato di

molte aree collinari un tempo estesamente coltivate, sia il susseguirsi di inverni particolarmente

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miti (Tedaldi e Scaravelli, 1993). Oggi è presenza consolidata e da molte aree giungono

segnalazioni anche consistenti di danni a colture, giardini e terrapieni, zone di interstrato ed

arginature dove l’animale va a ricavare le sue profonde tane.

NUTRIA Myocastor coypus

Lunghezza testa corpo: 47 -57 cm, lunghezza coda 34-40 cm.

Peso medio: 6 kg, maggiore nei maschi, con punte fino a 11 -12 kg.

Distribuzione: in origine Cile meridionale, Argentina fino al Paraguay, oggi presente in tutta

l’Europa continentale, Russia, Stati Uniti meridionali. In Italia è diffusa soprattutto nell’area

padana, Toscana, Umbria ed è segnalata in espansione in molte province di tutta la penisola,

Sicilia compresa.

Caratteristiche generali

La nutria ha le forme di un grande topo dal mantello generalmente beige-bruno. Caratteristici

sono i due grandi incisivi arancioni che emergono dal labbro superiore. La testa è grande, piatta,

con piccole e mobili orecchie. La coda è lunga e squamosa, con pochi radi peli. La pelliccia

presenta una densa e morbida borra sovrastata da lunghi peli scuri della giarra. La colorazione è

variabile, derivando le popolazioni da esemplari selezionati per la pellicceria, e va dal nero al

bianco. In natura l’animale appare a terra quasi goffo e spesso seduto, con la schiena inarcata a

brucare vegetali. Capace comunque di correre molto velocemente, nuota con vigore e velocità in

acqua, dove si rifugia al minimo pericolo. Può immergersi per alcuni minuti e scendere a vari

metri di profondità. Strettamente erbivoro, si nutre di una grandissima varietà di piante,

comprese molte coltivate. Diversi individui seguono sempre i medesimi percorsi, creando così

veri e propri sentieri assai visibili tra la vegetazione e sulle rive dei canali. La tana viene ricavata

nelle sponde con escavazione diretta di un tunnel che può essere di alcuni metri con camere

terminali per il riposo e alcune uscite secondarie. L’habitat tipico è costituito dalle aree

rivierasche delle acque dolci, paludi, laghi e fiumi a lento scorrimento. Si insedia preferibilmente

nelle zone con ricca vegetazione, spingendosi anche lontano dalle rive in cerca di cibo o durante

gli spostamenti tra diverse zone umide. Preferisce le zone di pianura ma può spingersi comunque

anche oltre i 1000 m di quota. Il sistema riproduttivo è a base poliginica, con i maschi che

tentano di sottomettere il maggior numero possibile di femmine che sono distribuite a mosaico

sul territorio in relazione alle caratteristiche ambientali (Woods et al., 1992).

Status

Fin dagli anni ’20 si sono diffusi in Italia come in molti altri Paesi del mondo numerosi

allevamenti di Nutria o castorino, generalmente a carattere familiare e quasi mai denunciati o

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sottoposti ad alcun controllo. A partire dalla seconda metà degli anni ’70 l’allevamento

commerciale della nutria entra in crisi, cessando di essere remunerativo e provocando di

conseguenza il deliberato rilascio degli animali o la loro fuga dagli allevamenti abbandonati. Si

formano in questo modo i primi piccoli gruppi che destano più curiosità che altro, consolidandosi

successivamente in popolazioni residenti e riproduttive (Santini, 1978). Se per il basso ferrarese

la presenza della nutria è nota fin dagli anni ‘80 (Bertusi e Tosetti, 1986), attualmente essa é

segnalata in buona parte della regione così come in molti fiumi, laghi e raccolte d’acqua del nord

e centro Italia. La plasticità che le permette di spostarsi dal pascolo alla raccolta delle idrofite a

quella dei rizomi, la grande abbondanza di cibo messo a disposizione dall’agricoltura, nonché la

mancanza di effettivi predatori, sono le ragioni che stanno alla base del considerevole aumento

della specie. L’abitudine di utilizzare come punto di vedetta qualunque oggetto galleggiante o

rialzato sulla superficie dell’acqua e in particolare i nidi di svariate specie di uccelli, produce

devastanti effetti su molti nidificanti, oltre a un forte disturbo a carico delle specie che sostano

regolarmente negli ambienti rivieraschi quali Ardeidi, Rallidi ecc. La Nutria è da tempo

riconosciuta come responsabile dell’impoverimento delle biocenosi acquatiche vegetali (cfr.

Ellis, 1963; Linscombe et al., 1981; Martignoni e Scaravelli, 1995) determinando così un danno

ulteriore alle già rare e spesso minacciate formazioni tipiche delle zone umide italiane. Inoltre la

specie è in grado di procurare danni a carico di varie essenze agricole di cui si nutre, così come

di danneggiare strutture idrauliche a causa dell’escavazione di tane. I danni maggiori sono a

carico delle colture orticole ma interessano anche cereali, barbabietole, semenzali e vivai. I danni

idraulici possono divenire notevoli in quanto proprio in vicinanza dei chiusini, dei ponticelli e di

altre opere le nutrie trovano maggior facilità di scavo e quindi vi insediano le proprie tane.

Per quanto riguarda la possibilità di un controllo "naturale" delle popolazioni, occorre

considerare che i predatori europei che possono cibarsi della Nutria sono ben pochi, sia per le

cospicue dimensioni del roditore sia per la fiera resistenza che essa può opporre. A parte la

Volpe, che può attaccare anche subadulti, le altre predazioni riferibili a uccelli da preda e a

carnivori terrestri sono a carico dei giovani.

In considerazione delle problematiche collegate e del fatto che si tratta di una specie esotica, la

Regione Emilia Romagna, con decreto 760 del 17 ottobre 1995, ha adottato una strategia

quantomeno di contenimento numerico, data la oggettiva impossibilità di eradicazione. A questo

scopo l’utilizzo di gabbie-trappola è sicuramente il più efficace sistema di controllo della Nutria

nel lungo periodo (Norris, 1967a, 1967b; Evans et al., 1971). Esse infatti non producono alcun

disturbo alla restante fauna, sono selettive e permettono un loro uso anche nelle aree protette

(Martignoni e Scaravelli, 1995). L’uso delle armi da fuoco può risultare efficace solo in

determinate circostanze, inoltre presenta aspetti negativi legati alla difficoltà di recupero delle

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carcasse. Occorre peraltro sottolineare che la gestione del problema richiede un approccio

integrato e interventi generalizzati e durevoli, in quanto solo quando la popolazione viene

costantemente mantenuta a densità compatibili si può ritenere di avere raggiunto l’obiettivo del

controllo (Gosling, 1989; Gosling et al., 1988; Velatta e Ragni, 1991; Reggiani et al., 1993;

Scaravelli e Martignoni, 1996). L’utilizzo delle gabbie, non richiedendo particolari

specializzazioni, può essere di solito affidato agli stessi proprietari dei fondi coinvolti, tuttavia è

necessario il supporto del personale degli Uffici Caccia e Pesca provinciali al fine di garantire la

corretta realizzazione dei programmi concordati (Scaravelli e Martignoni, 1996).

La realizzazione di un piano funzionale su scala medio-grande deve prevedere uno studio

preliminare delle presenze e delle aree a rischio, seguito da una accurata organizzazione

logistica, comprendente un centro operativo, personale e un’adatta campagna di informazione.

Occorre inoltre predisporre un controllo del catturato allo scopo di rilevare i parametri di

popolazione, i quali permettono di monitorarne l’andamento del programma di limitazione

numerica e di verificarne l’efficienza.

Nonostante i piani di contenimento messi in opera si va assistendo ad un continuo ampliarsi della

presenza della specie in molte aree come per esempio anche nelle zone appenniniche o

rivierasche. L’area ravennate per esempio è oggi colonizzata interamente dalla specie (Scaravelli

2001, 2002) così come va espandendosi nella zona forlivese (Scaravelli 2002) ma non mancano

nuove affermazioni anche in tutta l’Emilia. Il programma di eradicazione dovrà essere

reinterpretato e finanziato con nuovo impulso se si vuole dare un minimo di efficacia al sistema.

VOLPE Vulpes vulpes

Lunghezza testa-corpo: 57-78 cm; lunghezza coda 30-48 cm.

Peso medio: 6-10 kg.

Distribuzione: Regione Olartica. Introdotta in Oceania. In Italia manca solo dalle isole minori.

Caratteristiche generali

Colorazione del mantello piuttosto variabile a livello individuale e razziale, con tonalità

dominanti da bruno-grigiastre a rosse anche in dipendenza della stagione. Corpo piuttosto

allungato con arti relativamente brevi, capo e muso triangolari, coda lunga e folta con punta

biancastra. Di abitudini assai più sociali di quanto non si ritenesse in passato, vive in coppie o

nuclei familiari fortemente territoriali. Durante la stagione riproduttiva utilizza tane che scava

direttamente o sottrae ad altre specie. Estremamente adattabile, ha colonizzato la gran parte degli

ambienti, dal livello del mare fino a oltre 2000 m di altitudine.

Status

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Nonostante gli imponenti e regolari piani di controllo attuati in molti paesi la volpe è diffusa e

abbondante in gran parte dell’areale europeo. Le popolazioni, pur soggette a forti fluttuazioni più

o meno regolari, legate generalmente ai cicli dell’enzoozia rabica, mostrano elevatissime

capacità di recupero, con punte di incremento che raggiungono il 70% della popolazione dopo

solo un anno dalla cessazione del fattore di mortalità (Bogel et al., 1981). In Italia la rabbia

silvestre è oggi sostanzialmente assente grazie a una efficace campagna di vaccinazione della

popolazione volpina. In assenza di epizoozie le popolazioni italiane possono essere considerate

relativamente stabili e probabilmente mai lontane dalla capacità portante.

In Regione la distribuzione interessa pressochè l’intero territorio regionale senza soluzione di

continuità dalla pianura al crinale appenninico. A fronte di una omogenea distribuzione esistono

peraltro forti differenze tra la pianura, dove la volpe presenta generalmente basse densità, e la

fascia collinare e montana, dove si riscontrano densità medio-alte e localmente anche molto

elevate.

In provincia di Ferrara la volpe era scomparsa nel 1955, successivamente è ricomparsa all’inizio

degli anni ‘80, epoca dopo la quale si stima che sia andata costantemente aumentando (AA.VV.,

1994). In provincia Romagna la volpe, un tempo definita "abbastanza comune" da Zangheri

(1957), è oggi diffusa ovunque, comprese le aree litoranee, e localmente abbondante (Gellini et

al., 1992, Scaravelli et al 2001).

In provincia di Modena la volpe era scomparsa in pianura già nel secolo scorso ed era

considerata "non comunissima" anche in ambito collinare (Massa, 1884 in Ferri, 1992). Negli

ultimi decenni la specie ha mostrato un incremento generalizzato che ha portato alla

ricolonizzazione della pianura oggi sempre più massicciamente consolidata, specie in vicinanza

dei grandi agglomerati urbanizzati (Ferri 1992, Ferri in verbis). La volpe sembra in aumento

anche nelle provincia di Parma e Piacenza, dove risulta presente in tutto il territorio provinciale

dall’asta del Po al crinale appenninico. Nel corso di una ricerca specifica sulla distribuzione delle

tane in provincia di Piacenza, effettuata nel 1989, sono state rilevate un totale di 1451 tane, di cui

197 in pianura, 538 in bassa collina, 302 in alta collina e 414 in montagna. La densità media

sull’intero territorio provinciale è risultata di 0,67 tane/km2, con i valori più elevati nella fascia

collinare. La ricerca ha inoltre evidenziato una positiva correlazione tra la densità di tane e

alcune variabili ambientali, tra cui le più importanti sono risultate l’altitudine media e la

percentuale di coltivazioni arate a rotazione (Meriggi e Rosa, 1991; AA.VV., 1994).

I dati disponibili indicano per tutta la regione una chiara tendenza nel recente passato

all’espansione dell’areale verso la pianura, oltre a un aumento pressochè generalizzato degli

effettivi laddove l’areale è consolidato da decenni. Ciò va indubbiamente messo in relazione con

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l’aumentata disponibilità di risorse trofiche facilmente accessibili e probabilmente con la minore

pressione esercitata da parte dell’uomo anche con mezzi non selettivi.

Aspetti della biologia della volpe rilevanti ai fini gestionali

Organizzazione sociale e territorialismo

L’opportunismo e la grande adattabilità della volpe si manifestano non solo a livello trofico, ma

anche nella capacità di adattare l’organizzazione sociale, le strategie riproduttive ed il

territorialismo. Di norma l’organizzazione sociale prevede la formazione di coppie che utilizzano

e difendono un certo territorio, di dimensioni estremamente variabili a seconda principalmente

delle risorse alimentari disponibili. Una volta l’anno la coppia si riproduce dando luogo alla

formazione di un gruppo costituito dai genitori e dai piccoli. A questo nucleo possono

aggiungersi altri individui adulti o sub-adulti, generalmente imparentati, che cooperano

nell’allevamento dei piccoli e nella difesa del territorio. Il legame di coppia non corrisponde

necessariamente ad una vita in comune dei due partners, infatti il maschio e la femmina vivono a

stretto contatto, o comunque intensificano i rapporti, solo durante l’allevamento della prole,

mentre a partire dalla tarda estate e durante i mesi invernali i rapporti diventano più blandi, pur

continuando a condividere lo stesso territorio. In altri casi sono note aggregazioni costituite da un

maschio e alcune femmine che utilizzano lo stesso territorio, il quale in taluni casi può essere

condiviso con altre aggregazioni dello stesso tipo a formare veri e propri branchi.

L’organizzazione sociale della volpe, tendenzialmente solitaria o del tipo a "monogamia

temporanea", mostra quindi notevoli possibilità di modificazione verso altri sistemi, quali la

poligamia, il gruppo familiare o il branco vero e proprio. Elemento comune ai vari tipi di

organizzazione sembra peraltro essere la tendenza assai precoce dei giovani alla vita autonoma e

quindi alla dispersione. Già a partire dalla tarda estate o inizio dell’autunno i giovani, ad un’età

di appena 4-5 mesi, mostrano una chiara tendenza a staccarsi dai genitori e ad andare alla ricerca

di un proprio territorio. Iniziano quindi in questo periodo dell’anno i movimenti dispersivi che

possono portare i giovani a percorrere grandi distanze. La ricerca di un proprio territorio è

ovviamente fortemente ostacolata dalla presenza degli individui territoriali che, occupando di

fatto tutti i territori disponibili, impediscono ai giovani di stabilirsi in un’area precisa. Al di là

quindi del normale turn-over della popolazione, esiste un surplus di individui alla costante

ricerca di un territorio in cui riprodursi. Tale componente della popolazione viene definita

"itinerante" in contrapposizione a quella "residente", caratterizzata cioè da territorialismo e

attività riproduttiva. Nonostante la elevata mortalità naturale cui è soggetta la componente

itinerante, essa costituisce sempre una frazione significativa della popolazione.

Uso delle tane

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All’interno dei territori di ciascuna coppia o gruppo di volpi è presente un certo numero di tane

utilizzate per l’allevamento di piccoli. Le stesse tane vengono generalmente riutilizzate per più

anni consecutivi se non intervengono modificazioni dell’ambiente o fattori di disturbo. A partire

dal tardo inverno, in coincidenza con l’epoca degli accoppiamenti, la femmina comincia a

predisporre una o più tane in cui darà alla luce in marzo-aprile i piccoli. A partire dalla nascita

dei cuccioli e fino al momento in cui essi inizieranno a condurre vita autonoma, l’uso delle tane

può essere suddiviso in tre periodi principali, definibili come: pre-emergenza, uso ristretto, uso

allargato. Il primo periodo corrisponde al lasso di tempo che intercorre tra il parto e la prima

apparizione dei cuccioli all’esterno. Il secondo periodo corrisponde alla fase in cui la vita e

l’attività dei cuccioli si svolge nelle immediate vicinanze della tana. Il terzo periodo precede il

distacco dei cuccioli dai genitori ed è caratterizzato da un uso allargato delle tane, in cui spesso

più tane vengono usate contemporaneamente. La durata dei tre periodi è di circa 4-5 settimane

ciascuno. Nel corso di ciascun periodo le cucciolate, se necessario, possono essere spostate

alternativamente in più tane differenti. In altri casi la cucciolata può essere divisa in due tane o

più cucciolate possono essere riunite in una stessa tana. Tale "dinamismo" deve essere tenuto in

considerazione nel caso si intenda procedere al censimento delle tane attive, in quanto può

condurre a errori grossolani nella stima.

Alimentazione

Il successo e la grande diffusione della volpe è dovuto in gran parte alla sua capacità di utilizzare

una grande varietà di risorse alimentari. La volpe è di per sè un predatore assai eclettico, in grado

di catturare prede di piccole o medie dimensioni che vanno dagli invertebrati ai giovani ungulati.

A ciò si sono aggiunte le enormi potenzialità rappresentate da fonti alimentari rese disponibili

direttamente o indirettamente dalle attività umane: discariche di rifiuti, animali da cortile,

massicci ripopolamenti con selvaggina allevata che costituisce una facile preda ecc. La dieta

della volpe si presenta quindi estremamente variabile sia stagionalmente sia in aree diverse,

anche molto vicine. La possibilità di utilizzare alternativamente risorse localmente o

temporaneamente più abbondanti o accessibili comporta due conseguenze principali: la prima è

la possibilità per la volpe di mantenere spesso elevate densità anche in caso di drastica

diminuzione di una delle risorse normalmente disponibili; la seconda è la scomparsa dei processi

di compensazione della pressione predatoria che normalmente contraddistinguono in natura i

rapporti preda-predatore. Ciò significa che la densità di prede non determina, se non in misura

molto limitata, la densità del predatore, o anche, in altri termini, che il predatore può esercitare

una pressione elevatissima su una certa preda, diminuendone sensibilmente la densità, senza

ricavarne un danno neppure a medio o lungo termine. Ad esempio la predazione sui nidi può

divenire un importante fattore limitante per la specie preda, pur rivestendo complessivamente un

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ruolo marginale nella dieta del predatore. Le specie opportuniste si configurano pertanto come

predatori in grado di influenzare pesantemente, quantomeno a livello locale, la densità e la

dinamica di talune specie preda e ciò è tanto più probabile quanto maggiore è la disponibilità di

risorse alternative. In altri termini esiste la possibilità che tali specie, potendo contare su una

grande varietà di fonti alternative, siano in grado di esercitare "opportunisticamente" una

costante ed elevata pressione predatoria sulla selvaggina indipendentemente dalle oscillazioni

numeriche di quest’ultima. Tale pressione può risultare particolarmente elevata proprio perchè

non compensata dai normali meccanismi di "feedback".

Densità e struttura delle popolazioni

La densità di una popolazione naturale è soggetta sempre a modificazioni stagionali,

eventualmente anche di medio-lungo periodo, pertanto i confronti tra densità rilevate in aree

diverse hanno senso se riferiti al medesimo periodo stagionale. Le densità rilevate in natura

risultano estremamente variabili, come conseguenza delle caratteristiche di plasticità della specie

già evidenziate. Le risorse trofiche rivestono comunque un ruolo decisivo nel determinare la

dimensione dei territori vitali e, di conseguenza, la densità della popolazione. Il rapporto tra i

sessi, paritario alla nascita, subisce in seguito modificazioni che possono essere anche legate

all’andamento stagionale della mortalità. Il rapporto tra le classi di età vede in genere una elevata

percentuale di giovani dell’anno e subadulti, condizione che va collegata da un lato alla

mediamente alta produttività delle popolazioni di volpe, dall’altro all’elevato tasso di mortalità,

in gran parte da collegare al prelievo operato dall’uomo e a malattie infettive, come la rabbia, o

parassitosi, come la rogna sarcoptica, che le caratterizza.

Tassi elevati di mortalità e di produttività inducono evidentemente nella popolazione un elevato

turn-over annuale, stimabile mediamente attorno ai 2/3 dell’intera popolazione post-riproduttiva

(Lloyd et al., 1976) con conseguenze importanti dal punto di vista gestionale.

Meccanismi di autoregolazione della popolazione

Tutte le popolazioni animali possiedono meccanismi che tendono a mantenere il numero degli

individui in equilibrio con le risorse ambientali disponibili. In termini estremamente sintetici,

esiste un numero ottimale di individui a cui tende la popolazione in un dato territorio e che

resterà invariato una volta raggiunto l’equilibrio. Il numero di individui della popolazione può

diminuire drasticamente a seguito di eventi anormali di mortalità, quali epizoozie, eventi

climatici o prelievo da parte dell’uomo, tuttavia il numero tenderà a riassestarsi verso

l’equilibrio, una volta che cessi l’azione del fattore limitante. La velocità con cui la popolazione

ricostituisce le dimensioni ottimali dipende da numerose caratteristiche proprie delle varie specie

e delle varie popolazioni. Nel caso della volpe è stato più volte osservato come questa velocità

sia elevatissima, grazie proprio ai parametri descritti in precedenza per le popolazioni volpine.

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Ad una riduzione della densità dovuta a fattori esterni la popolazione può rispondere

essenzialmente attraverso tre modalità: l’aumento del tasso di natalità, la diminuzione del tasso

di mortalità e l’aumento del tasso di immigrazione; risulta quindi evidente come l’elevata

produttività, il rapido turn-over e l’esistenza di una cospicua frazione "itinerante" siano tutti

elementi che consentono una rapida ripresa della popolazione di volpi in seguito a eventi che ne

abbassino drasticamente la densità locale.

Aspetti gestionali

Il ruolo della volpe, sia dal punto di vista ecologico sia nell'ambito della gestione faunistico-

venatoria, è stato oggetto di numerosissimi studi in tutto il mondo. D’altra parte, proprio per

l’estrema capacità della volpe di adattarsi alle condizioni ambientali più diverse, i risultati e le

conclusioni sono spesso di difficile generalizzazione. Sulla base degli elementi che emergono

dall'imponente mole di dati disponibile è comunque possibile definire un quadro generale

relativamente al ruolo ecologico della volpe e alle possibili strategie gestionali in funzione dei

vari scenari ambientali e antropici.

Di seguito vengono discussi brevemente i principali problemi concernenti l’impatto sulla

selvaggina e sulle attività umane, le tecniche di censimento, le problematiche legate al prelievo

venatorio e al controllo delle popolazioni. Gran parte delle informazioni e delle considerazioni

sono tratte da MacDonald (1987), Boitani e Vinditti (1988), Toso e Giovannini (1991), opere a

cui si rimanda per una trattazione più dettagliata.

Censimenti e indici di abbondanza

La conoscenza della consistenza e della dinamica delle popolazioni naturali è un elemento

imprescindibile per la loro corretta gestione, tuttavia le difficoltà tecniche e l’impegno necessario

al raggiungimento di questi obiettivi possono essere estremamente variabili a seconda delle

caratteristiche biologiche di ciascuna specie e delle condizioni ambientali in cui si deve operare.

Nel caso della volpe, come di altri carnivori, è quasi sempre molto difficile raggiungere buone

stime di densità, se non a prezzo di sforzi che risultano in genere improponibili. In particolare i

censimenti diretti, cioè basati sull’avvistamento diretto degli animali, sono applicabili solo in

condizioni estremamente favorevoli, che solo molto raramente si verificano (Sargeant et al.,

1975), mentre più utilizzabili risultano metodi di stima indiretta della popolazione. I metodi

indiretti considerati più utilmente applicabili per la volpe sono:

1) Cattura-marcatura-ricattura, anche noto come Indice di Lincoln-Petersen.

Questo metodo, in termini molto sintetici, prevede la cattura di un certo numero di individui in

una certa area, il loro marcamento e il successivo rilascio. Successivamente, dopo un lasso di

tempo prestabilito, si procede a una seconda campagna di catture e si verifica il rapporto

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numerico esistente tra gli individui marcati e quelli non marcati all’interno del campione

catturato. Attraverso alcune semplici elaborazioni è possibile ottenere una buona stima del

numero complessivo di individui presenti.

2) Conta del numero di tane occupate.

Dopo una prima fase in cui si procede, durante la stagione di inutilizzo, alla individuazione e

mappatura di tutte le tane presenti in una certa area, si effettua il conteggio delle tane

effettivamente utilizzate in epoca riproduttiva. In questo senso il dato ottenibile non può che

rappresentare un indice di abbondanza a meno che siano noti, attraverso altre indagini, alcuni

parametri essenziali della popolazione (percentuale di femmine che non si riproduce, rapp. ind.

territoriali/ind. itineranti ecc.).

3) Il conteggio delle tracce e/o delle feci su transetti definiti.

Prevede l’effettuazione regolare di percorsi definiti a priori, con terreno umido o preferibilmente

innevato. Fornisce un buon indice di abbondanza laddove esistano condizioni ambientali

favorevoli, oppure predisponendo artificialmente strisce di terreno sabbioso in cui effettuare il

conteggio delle tracce.

4) Il ritmo di frequentazione di stazioni odorifere.

Permette di stimare il numero di individui presenti attraverso il conteggio delle tracce rilevate nei

pressi di stazioni predisposte con esche odorose lungo percorsi casuali di lunghezza

proporzionale all’area da indagare. Le esche vengono poste a distanza di alcune centinaia di

metri al centro di una piccola superficie di terreno approntato in modo da facilitare la lettura

delle tracce, successivamente, per alcuni giorni, si procede al conteggio giornaliero delle tracce

avendo cura di ripristinare il terreno attorno alle esche. Dopo un sufficiente numero di conteggi è

possibile con semplici formule calcolare il numero di individui presenti nell’area.

5) Il numero di capi abbattuti, che rappresenta un indice della popolazione totale presente

nell'area campione nel momento in cui è stato effettuato il prelievo (Indice Cinegetico

d’Abbondanza).

E’ uno degli indici più tradizionali e largamente utilizzati nei paesi in cui sono disponibili

esaustive e attendibili statistiche sugli abbattimenti venatori. E’ utile soprattutto per valutare la

dinamica di una popolazione a condizione che sia rispettato l’assunto fondamentale, cioè la

costanza nel tempo dello sforzo di caccia. In Italia, ad eccezione di situazioni circoscritte, si

presenta di difficile applicazione a causa della incompletezza dei dati disponibili sugli

abbattimenti venatori.

La raccolta e l'esame sanitario e biometrico delle volpi abbattute possono inoltre fornire

informazioni accessorie sulla biologia della specie e sulle caratteristiche della popolazione in un

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determinato ambito territoriale (rapporto sessi e classi di età, regime alimentare, ecc.) che sono di

grande interesse per orientare le scelte gestionali.

Prelievo venatorio

In Italia la volpe è specie cacciabile, ai sensi della L. N. 157/92, dalla terza domenica di

settembre al 31 gennaio. Le normative regionali possono regolamentare ulteriormente il prelievo.

Così come avviene per altre specie di interesse venatorio non sono disponibili stime attendibili

delle popolazioni oggetto di prelievo, nè viene in genere effettuata alcuna quantificazione o

pianificazione del prelievo. A seguito dello status legale di "nocivo" attribuito per lungo tempo

alla volpe dal T.U. sulla caccia e modificato solo nel 1977, in generale in Italia l'importanza

cinegetica della volpe si può definire decisamente modesta per la pressochè totale mancanza di

tradizioni specifiche. Non a caso il prelievo è stato e viene effettuato in gran parte al di fuori del

normale periodo di caccia, cioè dopo la chiusura dell'attività venatoria alla selvaggina stanziale,

da squadre con cani da seguita, secondo una regolamentazione più o meno dettagliata, dettata

dalle diverse Amministrazioni Provinciali. Occorre evidenziare che in questo modo i cacciatori,

esercitando un prelievo che deve essere configurato non come una attività sportiva, bensì quale

forma di controllo in applicazione dell’art. 19 della legge 157/92, vengono investiti di un ruolo

del quale dovrebbe farsi carico l’Ente pubblico attraverso proprio personale addestrato e

qualificato. Ciò è una conseguenza del fatto che esiste tuttora una certa commistione concettuale

e metodologica, anche a livello normativo, tra il prelievo sportivo della fauna selvatica e il

controllo delle popolazioni.

Controllo della popolazione volpina. Il problema del rapporto costi/benefici

In accordo con la L. N. 157/92 (art. 19), il controllo di popolazioni animali appartenenti a specie

cacciabili può essere ammesso qualora queste arrechino danni alle produzioni zoo-agro-forestali

ed ittiche. Nel caso della volpe la risorsa economica danneggiata è costituita quasi

esclusivamente da animali di bassa corte allevati in maniera non confinata o in spazi di

stabulazione non sufficientemente protetti. Alcune semplici ed economiche misure preventive

possono ridurre sensibilmente, se non eliminare, i danni provocati dalla predazione delle volpi,

ad esempio il ricovero notturno degli animali e la recinzione degli allevamenti con robusta rete

metallica interrata e con la parte terminale sporgente verso l'esterno. Assai più complesso è il

problema legato all’impatto della predazione sulle specie selvatiche d'interesse venatorio.

L'effetto della predazione della volpe sulla selvaggina è infatti assai variabile in dipendenza di

numerosi fattori locali. Ad esempio sia le densità del predatore sia quelle delle specie predate, la

disponibilità e la dispersione di fonti di cibo alternative e, nel caso dei ripopolamenti, il grado di

adattabilità degli animali immessi e le tecniche di rilascio utilizzate.

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I dati ottenibili dagli studi sul regime alimentare della volpe forniscono informazioni puramente

indicative, poiché, come è già stato evidenziato, tendono a valutare l'importanza relativa delle

diverse specie preda nello spettro di predazione del carnivoro, ma non sono in grado di

quantificare l'effetto limitante per le diverse specie predate. Da diversi autori la volpe viene

indicata come la specie cui va ascritta in termini percentuali le maggiore predazione a carico di

Anatidi, Galliformi e Lagomorfi, tuttavia anche questa constatazione non è di per sè sufficiente a

chiarire l’importanza della predazione in rapporto ad esempio ad altri fattori limitanti.

In generale, sulla base dei dati disponibili, è possibile affermare che, almeno nel caso dei

Galliformi, la predazione non influenza significativamente la densità delle popolazioni nel

periodo preriproduttivo e di conseguenza le variazioni della consistenza media sul medio e lungo

periodo, tuttavia può determinare una contrazione anche notevole della produttività, entrando

localmente in conflitto diretto con gli interessi del mondo venatorio. E’ peraltro lecito e

ragionevole ipotizzare che laddove esistono buone densità di selvaggina, come nelle aree protette

ed in particolare nelle oasi e nelle zone di ripopolamento e cattura, la predazione della volpe

possa limitare la produttività di talune specie. Inoltre, nella grande maggioranza dei casi, queste

aree occupano superfici modeste e si presentano fortemente disperse nel territorio e tale

condizione può contribuire a determinare una maggiore concentrazione delle volpi in queste

zone.

In definitiva quindi l’impatto sulla selvaggina della volpe, così come di altri predatori, seppur di

difficile quantificazione, è stato confermato da vari studi, oltre ad essere peraltro intuitivo. In

questo senso sembrerebbe pertanto più che giustificabile la posizione dell’ambiente venatorio,

che considera il controllo della volpe come un importante strumento gestionale nell’ottica del

miglioramento quali-quantitativo dei popolamenti della piccola selvaggina. In realtà, pur

condividendo l’esistenza dell’impatto predatorio esercitato dalla volpe, molti tecnici e studiosi di

ecologia non concordano con questo approccio, infatti il punto di contrasto che spesso emerge

con l’ambiente venatorio non sta nell’ammettere una certa pressione della volpe sulla selvaggina,

quanto sulla reale possibilità di intervenire efficacemente per limitare tale pressione. Osservando

i dati disponibili relativi alle campagne di abbattimento e controllo delle volpi non si può non

notare come il numero di volpi abbattute si mantenga pressoché stabile per molti anni nelle

stesse aree a parità di sforzo. Ciò indica chiaramente come il prelievo non abbia prodotto alcuna

diminuzione della popolazione di volpe, la quale ha evidentemente compensato immediatamente

le perdite subite grazie ai meccanismi di autoregolazione illustrati in precedenza. La cosa è

ampiamente confermata dai ripetuti tentativi, inesorabilmente falliti, di bloccare l’avanzata della

rabbia silvestre, effettuati in tutta Europa per decenni, attraverso la riduzione delle popolazioni

volpine in natura. In molte circostanze si hanno buone ragioni per sostenere che tali interventi di

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controllo abbiano in realtà provocato una accelerazione del fronte epizootico, proprio perché

l’eliminazione delle volpi residenti richiama altre volpi, spesso portatrici dell’infezione, da

territori limitrofi. Solo attraverso campagne diffuse di vaccinazione delle volpi è stato possibile

fermare l’avanzata della malattia, proprio perché le volpi residenti, una volta vaccinate,

costituiscono un fronte immune che impedisce a eventuali volpi infette provenienti da altre aree

di assestarsi sul territorio e di estendere il contagio. In realtà i mezzi utilizzabili dal punto di vista

tecnico e legale per il controllo diretto delle volpi non sono abbastanza efficaci da garantire il

prelievo di una quota consistente della popolazione, a meno di un impegno, in termini di uomini,

mezzi e denaro, decisamente sproporzionato in relazione ai possibili benefici. D'altra parte l'uso

di mezzi non selettivi non è consentito dall'attuale legislazione italiana e pone, oltre a gravi ed

evidenti problemi di tipo conservazionistico, anche problemi di sicurezza e di etica. Inoltre una

ipotetica campagna di drastico controllo, oltre che realizzabile solo in aree molto limitate,

dovrebbe mantenersi costante nel tempo, pena la vanificazione dei risultati non appena si

allentasse la pressione. Ciò induce diversi autori a ritenere che un controllo di popolazione della

volpe realmente efficace risulti virtualmente impossibile con il solo ricorso a mezzi strettamente

selettivi (armi da fuoco) e mettendo in atto uno sforzo realizzabile nel contesto della gestione

faunistica corrente.

Tutti questi elementi rendono scettici gli ecologi sulla reale convenienza, in termini di risorse

impiegate e di risultati ottenibili, delle operazioni di controllo diretto della volpe, se non

finalizzate al raggiungimento di obiettivi molto precisi e limitati nel tempo e nello spazio.

In effetti occorre ricordare che il controllo dei predatori e della volpe in particolare non è che uno

degli strumenti in grado di agire sulla dinamica delle popolazioni di specie di interesse

cinegetico. Ad esso infatti possono essere contrapposti altri interventi gestionali, riferibili qui

genericamente come miglioramenti ambientali, i quali sono in grado di determinare un notevole

aumento della densità media dei popolamenti di piccola selvaggina e, contrariamente al controllo

dei predatori, producono effetti indotti di tipo ecologico, paesaggistico ed estetico positivi ed

apprezzabili da parte della generalità dell'opinione pubblica.

Non va infine dimenticato che ogni modificazione stabile di una popolazione animale non può

ottenersi che intervenendo sul suo habitat, agendo soprattutto sulle risorse alimentari disponibili.

In questo senso predatori opportunisti come la volpe possono essere controllati assai più

proficuamente attraverso misure indirette, tese cioè all'inibizione dei fattori ecologici che stanno

alla base dell’aumento locale delle popolazioni volpine, in particolare:

a) La graduale eliminazione delle discariche di rifiuti a cielo aperto o, quantomeno, la recinzione

delle stesse a prova di animale;

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b) L’eliminazione delle operazioni di ripopolamento intese come massiccio rilascio di selvaggina

allevata piuttosto che come reintroduzioni operate su corrette basi tecnico-scientifiche.

c) L’eliminazione di tutte le fonti alimentari di origine antropica, quali le discariche abusive,

soprattutto avicole, e quant'altro rappresenta scarto della produzione dell’allevamento.

Nel caso si intenda procedere al controllo diretto delle popolazioni di volpe si dovranno adottare

i metodi caratterizzati dal miglior rapporto tra sforzo e risultati ottenibili e dal minor disturbo

verso altre specie. In tal senso gli interventi alle tane con l’ausilio di cani specializzati (terriers e

bassotti) durante il periodo riproduttivo ed il tiro notturno con carabina di piccolo calibro dotata

di ottica di mira e l’uso del faro a mano (nel periodo compreso tra settembre e marzo)

rappresentano le scelte migliori.

DONNOLA Mustela nivalis

Lunghezza testa corpo: 15-27 cm; lunghezza coda 4-9 cm.

Peso: 40-130 g.

Distribuzione: presente in tutta l’Europa fuorché Irlanda e Islanda, fino alla Siberia e all’America

del nord. In Italia è presente in tutta la penisola e le grandi isole.

Caratteristiche generali

E’ il più piccolo dei Mustelidi europei ed è caratterizzato dal piccolo corpo allungato sorretto da

arti assai corti. Testa piccola con orecchie poco rilevate, collo forte e lungo. La pelliccia è beige-

rossiccia con mento, gola e parti inferiori biancastre, con contorni ed estensione delle macchie

molto variabili. Agilissima, è specializzata nell’introdursi in tane e pertugi dove caccia

soprattutto micromammiferi. Non arrampica ma corre e nuota velocemente. La Donnola può

essere predata frequentemente da altri carnivori e uccelli rapaci.

Status

Frequenta una notevole diversità di ambienti in tutto l’areale distributivo e le sue popolazioni si

trovano generalmente in buono stato. Spesso perseguitata per i supposti danni agli uccelli

nidificanti a terra, in effetti questo aspetto è probabilmente bilanciato dalla notevole massa di

roditori asportata dall’ambiente (Cavazza 1910, King 1989). I rapporti nazionali la indicano da

sempre come presente ovunque e numerosa (Ghigi 1911, Cavazza 1912, Bertusi e Tosetti, 1986).

Anche attualmente la specie sembra ancora aver poco risentito negativamente dei cambiamenti

ambientali ed è segnalata in quasi tutti i contesti regionali. Tra le cause di mortalità legate

all’uomo vanno segnalate il traffico veicolare e l’uso massiccio di esche ratticide, che determina

spesso la presenza di anticoagulanti nelle sue prede, soprattutto in vicinanza di centri abitati e

allevamenti. Ricerche sugli endoparassiti (Poglayen et al.1996) di questa specie aprono

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interessanti spunti di indagine sui cicli di alcune parassitosi anche trasmissibili all’uomo.

Mancano comunque studi specifici sulla specie nell’ambito di indagine così come determinazioni

di trend generale.

PUZZOLA Mustela putorius

Lunghezza testa corpo: 32-45 cm; lunghezza coda 13-19 cm.

Peso: 500 - 1400 g.

Distribuzione: in Europa dalla penisola iberica agli Urali con limite settentrionale nel Galles,

Svezia e Finlandia meridionali. In Italia è presente in tutta la penisola, mentre manca in Sicilia e

Sardegna.

Caratteristiche generali

Tipico mustelide con corpo cilindrico, sinuoso e corte zampe. Testa piccola e appiattita e lungo

collo. La Puzzola è facilmente riconoscibile per il pelame caratterizzato da borra lanuginosa

color crema-ruggine sul dorso, con lunghi peli di giarra dall’apice nero. Parti inferiori, coda e

zampe brune. Caratteristica la "maschera" con mento, labbro superiore e sopracciglio biancastro

così come il bordo delle orecchie, che contrasta con una zona scura a cavallo del naso.

Gli ambienti preferiti sono quelli planiziali e rivieraschi, ma si adatta bene anche ad aree

collinari, coltivi e varie formazioni forestali. In generale sembra comunque preferire zone a

scarsa presenza antropica. Strettamente carnivora, si nutre di micromammiferi, uccelli, pesci,

anfibi e rettili. Vive sul terreno dove cerca riparo nella vegetazione o sotto cumuli di legname,

spesso riutilizzando tane scavate da altre specie. Si arrampica raramente e con scarsa abilità.

Possiede ghiandole anali che utilizza per la marcatura del territorio e che in caso di allarme

possono secernere un liquido assai maleodorante.

Status

La puzzola viene considerata in tutta Europa in generale decremento, sebbene localmente stabile

(cfr. Weber, 1988; Lodé, 1988). La sua importanza nel ruolo di regolatore di varie componenti

dell’ecosistema è stata più volte riconosciuta così come è stata ridimensionata la supposta

pesante predazione sui Fasianidi (Blandford, 1988).

In Italia la specie era considerata largamente distribuita e abbastanza comune in numerosi

ambienti (AA.VV., 1981) e in Emilia Romagna è stata segnalata come "numerosa" e presente in

tutta la regione (Bertusi e Tosetti, 1986). Attualmente appare ancora discretamente distribuita sul

territorio regionale, in particolare nei territori collinari e montani, ma presente anche in diversi

distretti di pianura dove il paesaggio non è stato ancora completamente modificato dagli

interventi di urbanizzazione e dall’agricoltura intensiva. In regione, come nel resto d’Italia, non

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sono disponibili studi sulle popolazioni di questo Mustelide. In generale si rileva come estensivi

drenaggi, eradicazione di siepi e meccanizzazione dell’agricoltura siano fattori deprimenti,

mentre estesi programmi di recupero forestale sembrano risultare favorevoli (Corbet e Harris,

1991). In considerazione del fatto che viene indicata come vittima frequentemente di incidenti

stradali (Corbet e Harris, 1991), il numero limitato di esemplari che attualmente vengono

recuperati, soprattutto a confronto con la faina, fa pensare ad una notevole rarefazione delle sue

popolazioni negli ultimi venti anni (Scaravelli, dati non pubb.). Mancano comunque studi

specifici sulla specie nell’ambito di indagine così come determinazioni di trend generale.

LONTRA Lutra lutra

Lunghezza testa-corpo: 60-85 cm; lunghezza coda 35-55 cm.

Peso: 7-10 kg.

Distribuzione: Regione Paleartica e Indocinese. In Europa manca dall’Islanda e dalle isole del

Mediterraneo. Fortemente diminuita e attualmente rara in molti paesi.

Caratteristiche generali

Ha capo e muso rotondeggianti, orecchie corte, corpo allungato e affusolato, fortemente

idrodinamico, con zampe corte e piedi palmati, la coda è lunga, con attaccatura robusta ed

estremità appuntita. Il mantello è di colore grigio-bruno sul dorso e sui fianchi, biancastro sul

ventre. Il pelo è fitto e idrorepellente. Legata esclusivamente agli ambienti acquatici, frequenta

fiumi e torrenti, specchi d’acqua, lagune e paludi, dal livello del mare fino a oltre 1500 m. Si

nutre prevalentemente di pesci, crostacei e molluschi che cattura generalmente sott’acqua, ma

anche di anfibi, uccelli e mammiferi. I maschi sono territoriali e possono convivere con più

femmine, con le quali possono accoppiarsi durante ogni periodo dell’anno.

Status

In Europa la Lontra è considerata comune e abbondante solo in Irlanda, Scozia, Portogallo,

Grecia e Finlandia, mentre è in decremento, rara o estinta in gran parte degli altri paesi

occidentali (Foster-Turley et al., 1990 in Fumagalli e Prigioni, 1993). In Italia, nonostante la

protezione legale accordata nel 1976, la specie ha continuato a diminuire, proseguendo un

decremento numerico accompagnato da frammentazione dell’areale, iniziato in questo secolo

(Cagnolaro et al., 1975; Fumagalli e Prigioni, 1993). Attualmente i nuclei più consistenti,

peraltro di modeste dimensioni, sono localizzati in Basilicata, Campania e Toscana (Fumagalli e

Prigioni, 1993).

In regione alla metà degli anni ‘80 la specie è stata oggetto di uno studio sulla distribuzione,

durante il quale sono state raccolte segnalazioni di presenza per il modenese e il basso ferrarese

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(Bogliani, 1984; Bertusi e Tosetti, 1986). Una ricerca specifica sulla presenza della lontra,

condotta limitatamente ad alcuni bacini fluviali delle province di Parma e Reggio-Emilia

(Beseghi e Donati, 1987) aveva dato esito positivo per il lago Calamone e vari siti del fiume

Enza, tuttavia gli stessi Autori sottolineavano la precarietà della sopravvivenza della specie in

assenza di tempestive misure di salvaguardia. Attualmente mancano indicazioni della presenza

della specie in regione da quasi un decennio e frammentarie segnalazioni possono

ragionevolmente essere attribuite alla nutria o al visone americano (Mustela vison), specie di cui

sono presenti localmente individui sfuggiti alla cattività. Pertanto la lontra, dal momento che la

situazione non consente di confermare la presenza di individui nè tantomeno di una popolazione

sufficientemente vitale, deve essere considerata estinta in regione in assenza di evidenze

contrarie. Le cause del declino e spesso dell’estinzione locale sono state individuate dapprima

nella persecuzione diretta, successivamente nell’inquinamento dei corsi d’acqua e nelle

modificazioni ambientali. Una strategia nazionale di intervento complessiva viene considerata

indispensabile per impedire in Italia l’estinzione della specie in un arco di tempo stimato in pochi

decenni (Fumagalli e Prigioni, 1993).

FAINA Martes foina

Lunghezza testa corpo: 42-47 cm; lunghezza coda 23-26 cm.

Peso: 1,3-2,3 Kg.

Distribuzione: diffusa in Europa centromeridionale e fino all’Himalaia. In Italia è presente in

tutta la penisola, assente dalle grandi isole.

Caratteristiche generali

Mustelide sinuoso di dimensioni simili a quelle di un gatto domestico, ha testa abbastanza grande

e coda consistente. Il pelo è folto, bruno-grigiastro con evidente macchia biancastra dai contorni

e dimensioni assai variabili su gola e petto. Abile arrampicatrice, capace di una rapida corsa con

i tipici balzi e di un nuoto forte e rapido, si adatta ai più svariati ambienti. I rifugi sono ricavati in

cavi di alberi e rocce ma anche in legnaie, magazzini e solai, anche in pieno ambito urbano. E’

una specie assai plastica che appare negli ultimi anni sempre meglio adattatarsi alla convivenza

con l’uomo. Da sempre vive vicino e in parte a spese delle piccole aziende rurali ma oggi anche

nelle cittadine e addirittura nelle metropoli (cfr. Scaravelli, 1993). Si nutre di piccoli vertebrati,

uova, invertebrati e frutta, adattandosi senza difficoltà alle diverse disponibilità locali o

stagionali.

Status

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La specie mostra segni di incremento in tutto il suo areale distributivo, riconducibile sia alla

protezione quasi ovunque accordatale sia alla disponibilità di alimenti e rifugi creati dalla

vicinanza con l’uomo. Secondo Ghigi (1911) e Cavazza (1912) la specie era ubiquitaria e

comune su tutto il territorio nazionale, rendendosi responasbile di frequenti ruberie sugli animali

di bassa corte. In regione veniva considerata negli anni ‘80 presente "ovunque" ma "poco

numerosa" (Bertusi e Tosetti, 1986). Attualmente, assieme alla Donnola, può essere considerato

il mustelide più ampiamente distribuito sul territorio regionale, con popolazioni in lieve

incremento. E’ spesso vittima degli incidenti stradali, così come dell’ingestione di esche e di

topicidi attraverso le prede.

Appare sempre più sinantropica e la sua presenza è segnalata anche nei centri storici delle città di

maggiori dimensioni (Scaravelli ined.). Mancano comunque studi specifici sulla specie

nell’ambito di indagine così come determinazioni di trend generale.

TASSO Meles meles

Lunghezza testa corpo: 61-73 cm; lunghezza coda 15-19 cm.

Peso: 10-16 Kg.

Distribuzione: presente in tutta Europa e fino al Giappone e parti della Cina con limite

settentrionale in Scozia, Svezia e Finlandia centrali. In Italia è presente in tutta la penisola, ma

non nelle isole.

Caratteristiche generali

Presenta forme tozze anche a causa del folto pelo bruno- grigiastro presente sul dorso e sui

fianchi. Zampe relativamente corte e piedi larghi con le cinque dita allineate nella classica forma

plantigrada. Caratteristico il colore biancastro del muso e della testa con due marcate linee nere

che si dipartono dai lati del muso, passano attorno all’occhio e arrivano alle orecchie. Abita una

notevole varietà di ambienti dal livello del mare fino a circa 2000 m di quota. Vive in "clan",

costituiti da 10-15 individui e caratterizzati da complesse strutture sociali, che occupano territori

estesi fino a un centinaio di ettari. Le tane sono sistemi ipogei, spesso scavati nelle giunzioni di

strati, che vengono utilizzati per molti anni, divenendo assai voluminose ed articolate. Durante

l’inverno gli animali cadono in una sorta di semi torpore anche se non raggiungono un vero

letargo. Di abitudini strettamente notturne, cattura vari invertebrati, soprattutto lombrichi, e

piccoli vertebrati, oltre a cereali, frutta, tuberi ed altri vegetali. Non disdegna le carogne così

come i funghi. Possiede ghiandole anali che utilizza per la marcatura del territorio. Le feci

vengono usualmente deposte in piccole buche, dette "latrine" scavate in punti specifici del

territorio.

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Status

Il Tasso adulto è praticamente senza nemici e solo i giovani possono essere insidiati da Canidi

(Corbet e Harris, 1991). Storicamente presente ovunque sul territorio nazionale, sebbene con

densità assai differenti (Ghigi, 1911), ha subito una notevole contrazione a causa della

persecuzione cui è stato oggetto quale animale "nocivo", oltre che per le mutate condizioni

ambientali. Per la regione è stata descritta (AA.VV., 1981) una distribuzione del mustelide che

comprende le aree collinari e montane, escludendo i territori di pianura. Successivamente Bertusi

e Tosetti (1986) citano la specie come "comune", presente "ovunque, meno frequente in

pianura". Negli ultimi anni si è certamente registrata una fase espansiva verso i territori di

pianura, normalmente attraverso le aste fluviali, che possono rappresentare corridoi ecologici

adatti, come rilevato nel bolognese, nel modenese e più in generale nell’intera Emilia. Anche in

ambito regionale esistono le prime indicazioni di una possibile colonizzazione delle aree urbane

da parte del Tasso, come dimostrano avvistamenti, investimenti e segnalazioni provenienti da

alcune cittadine, anche se al momento la situazione è certo lontana da quelle documentate in

Gran Bretagna (Harris, 1994).

Sono stati registrati danni localizzati prodotti da scavi del mustelide all’interno di argini di fiumi,

in quanto all’innalzamento del livello idrico si sono poi verificate inondazioni per collasso del

terrapieno. Lo scavo di tane in prossimità di aree di circolazione o comunque di lavoro può

anche dare, in caso di passaggio con mezzi pesanti, la possibilità di pericolosi franamenti. Non

sembra al momento ipotizzabile che la specie possa produrre danni consistenti alle attività

agricole, anche perchè scarsamente presente nelle zone con colture di alto pregio. Si osservano in

genere modeste asportazioni di cereali anche se a volte sono stati rilevati estesi allettamenti.

Anche i danni ad animali da cortile sono rari così come appare scarsamente rilevante la pressione

su specie di interesse venatorio. Se da un lato il Tasso può creare alcuni problemi, sono peraltro

indubbi i vantaggi derivanti dal ruolo che la specie ricopre soprattutto nelle aree forestate (Neal,

1986).

La specie è spesso vittima di incidenti stradali, così come di campagne di controllo destinate alla

Volpe. Sono stati inoltre segnalati diversi casi di mortalità per avvelenamento da esche. Mancano

comunque studi specifici sulla specie nell’ambito di indagine così come determinazioni di trend

generale.

DAINO Dama dama

Lunghezza testa-tronco: 155-160 cm (maschi), 130-135 (femmine)

Lunghezza coda: 19-20 cm

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Altezza al garrese: 85-95 cm (maschi), 70-80 (femmine)

Peso corporeo medio: 70-90 kg (maschi), 45-55 kg (femmine)

Distribuzione: Originario della penisola anatolica, esportato probabilmente già in epoca

protostorica nel bacino del Mediterraneo, oggi è diffuso in una quarantina di paesi del mondo.

Caratteristiche generali

Cervide di medie dimensioni, è riconoscibile per la pomellatura estiva e la coda relativamente

lunga. Il maschio adulto ("palancone") possiede tipicamente un palco palmato. Estremamente

adattabile, può trasformarsi da pascolatore di erbe a brucatore di germogli e foglie. Tende a

preferire i boschi mediterranei e submediterranei e a evitare zone a forte e persistente

innevamento. La buona fertilità è frutto anche della duttilità nelle strategie riproduttive: i maschi

possono adottarne addirittura cinque diverse (territorio singolo difeso, arena ma anche harem,

gerarchia di accesso alle femmine e inseguimento individuale). Può raggiungere elevate densità

senza sensibili cali qualitativi. Il culmine degli amori è a ottobre. Intorno a fine maggio-inizi

giugno le femmine danno alla luce un piccolo.

Status e distribuzione

La specie è stata introdotta con grande disinvoltura in molte parti della penisola. Liberazioni

deliberate e fughe accidentali da recinti hanno permesso al daino di diffondersi raggiungendo

consistenze ragguardevoli, creando problemi di sovrapascolo e di competizione con altri

ungulati.

Nella Regione Emilia-Romagna il daino è stato caratterizzato da una distribuzione piuttosto

localizzata fino alla prima metà degli anni '80, si è in seguito espanso notevolmente,

raggiungendo anche densità elevate. Oggi l'areale appare perlopiù discontinuo, con molte

popolazioni isolate e disperse sul territorio: solo nel Bolognese e nel Modenese la specie è

distribuita in modo più uniforme. Nell'alto Bolognese occidentale e nell'alto Forlivese i

popolamenti attuali derivano dai nuclei fondati dal Corpo Forestale dello Stato sul versante

appenninico toscano o sul crinale di confine (Alto Pistoiese, Casentino, Val Tiberina). Nel

Modenese si sono originati prevalentemente da liberazioni da una decina di recinti operate

sempre dal Corpo Forestale dello Stato a partire già dagli anni '60 (Ferri 1993). Nell'alto

Bolognese centrale i daini sembrano derivare soprattutto da immissioni effettuate negli anni '70

dall'Amministrazione Provinciale, mentre nelle colline (per es. Parco dei Gessi e dintorni) i

nuclei attuali sono in prevalenza sorti a partire da fughe da recinti di privati. Nella fascia

collinare reggiana i daini derivano da fuoriuscite da recinti in parchi-giardini e aziende

faunistiche, già dalla fine degli anni '70. Nell'alto e medio Appennino parmense si sono originati

da lanci e fughe da recinti del Corpo Forestale dello Stato e dell'Amministrazione Provinciale. Il

daino risulta mancare nel Piacentino, nel Bolognese orientale e nel Ravennate. Nel Ferrarese è

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presente un consistente nucleo di daini nella Riserva Naturale Gran Bosco della Mesola. Nel

1980 contava almeno 280 capi, divenuti 470 nel 1983 (Perco 1984). Dal 1985 al 1995 questa

popolazione ha fluttuato tra i 500 e i 1.000 esemplari, con densità di ben 50-120 capi per kmq

(Mattioli 1996). In provincia di Modena, su una superficie totale censita di 51 kmq, nel 1996 si

sono registrate densità tra gli 0,7 e i 17,3 capi per kmq (media 5,2 daini/kmq). In provincia di

Bologna, su 145 kmq di zone di censimento è stata rilevata una densità media di 4,6 capi per

kmq (campo di variazione: 2,5-13,2).

La specie mostra grande adattabilità, frequentando gran parte degli ambienti presenti e tendendo

ad evitare solo le aree oltre i 900-1.000 m. La distribuzione discontinua, le densità locali

disomogenee e una situazione generale tutt'altro che assestata, rendono difficile una valutazione

della consistenza a livello regionale: l'ordine di grandezza dovrebbe comunque aggirarsi intorno

a qualche migliaio di capi.

Linee di gestione

Il daino si può senza dubbio definire specie non autoctona. Probabilmente la sua estinzione in

Italia risale al termine del Pleistocene Superiore. Il daino era stato presente a partire dagli inizi

del Pleistocene Medio, soprattutto in corrispondenza dei periodi interglaciali e delle fasi

interstadiali calde dei periodi glaciali, in Italia e in buona parte d'Europa (Leonardi e Petronio

1976, Lister 1984, Heidemann 1986). Durante l'ultima glaciazione, prima di scomparire dalla

Penisola, si ritirò in alcune aree rifugio a clima mite dell’Italia centro-meridionale. Di una sua

sopravvivenza nel periodo iniziale dell'Olocene esistono solo deboli indizi (cfr Masseti e

Rustioni 1988). A quanto pare al termine dell'ultima glaciazione l'areale principale del daino

coincideva con la penisola anatolica; piccoli nuclei relitti resistettero per qualche tempo nella

penisola balcanica (Bökönyi 1971). Già in epoca tardo-preistorica e proto-storica si verificò un

tentativo di addomesticamento, seguito da una sua diffusione artificiale nel Mediterraneo

orientale (Cicladi) (Heidemann 1986). In epoca storica prima i Fenici e i Greci probabilmente lo

introdussero nel resto delle coste mediterranee, poi i Romani lo trasportarono in alcune zone

dell'Europa continentale; più tardi i Normanni lo importarono in Gran Bretagna (cfr Chapman e

Chapman 1976). Ospite regolare dei parchi nobiliari europei nel Medioevo e nel Rinascimento, il

daino ha trovato nuova fortuna solo in questi ultimi decenni.

Come si è visto, il daino è oggi presente in Emilia-Romagna con una distribuzione tutt'altro che

limitata. Nell'ultimo decennio, grazie anche alle strategie riproduttive differenziate, alla

particolare organizzazione spaziale, alle modalità di dispersione delle classi giovanili, si è passati

da presenze episodiche con piccoli nuclei isolati e sparsi sul territorio collinare e montano ad

areali ampi e continui. In molti casi, entrando in competizione alimentare e spaziale con specie

autoctone come il capriolo e il cervo, il daino ha avuto decisamente la meglio.

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Il contenimento del daino rappresenta uno degli obbiettivi a medio termine più importanti della

strategia gestionale di riassetto delle presenze di Ungulati in Emilia-Romagna. Realisticamente

ciò si può tradurre in un impegno generalizzato a proibire nuove immissioni, a tenere sotto stretta

sorveglianza recinti e parchi faunistici disincentivando la detenzione della specie, a "congelare"

gli areali attuali e a ridurre le densità ove queste si presentino elevate. Il congelamento degli

areali va attuato attraverso un'azione capillare di controllo venatorio nei territori contigui lungo

le direttrici di espansione per prevenire nuovi insediamenti. Il controllo venatorio va coordinato a

livello provinciale e deve coinvolgere più istituti: la sua efficacia dipenderà in gran parte dalla

capacità operativa e dall'impegno dei distretti di caccia per gli Ungulati in cui sono suddivisi gli

A.T.C.

Quanto all'areale vero e proprio, i possibili impatti sulle colture impongono la necessità di

programmare le presenze mantenendo bassa la densità di popolazione: un risultato ottenibile

alzando gradualmente il tasso di prelievo e talvolta anche diminuendo la soglia di abbattibilità.

Inoltre, nel caso di nuclei circoscritti, in aree con elevato sviluppo della rete viaria, centri abitati

e colture pregiate, con rischi di collisioni e danni consistenti, è possibile prendere in

considerazione l'eradicazione completa della specie.

Nel caso particolare della Riserva Naturale Gran Bosco della Mesola, visti i problemi legati alla

conservazione del cervo, la soluzione più volte consigliata è stata la rimozione completa del

daino, ad oggi oggetto di uno specifico piano di gestione.

La riduzione programmata delle densità all'interno dell'areale del daino potrebbe seguire

strategie differenziate, modulando il prelievo secondo il grado di naturalità dei comprensori e in

base alla necessità o meno di sostenere attivamente il capriolo. In ambienti caratterizzati da una

buona presenza di colture agrarie o in situazioni in cui il capriolo dimostri chiare difficoltà di

reinsediamento, si potrebbero pianificare densità di daino intorno ai 2,5-3,5 capi per kmq.

All'altro estremo, in ambienti a scarsa antropizzazione o nei casi in cui non si ravvisi una

competizione aperta a scapito del capriolo, si potrebbero raccomandare densità intorno agli 8-12

capi per kmq. La soglia di abbattibilità, normalmente fissabile in 4-5 capi/kmq, potrebbe

scendere in casi particolari fino a 2,5 capi/kmq. L'efficacia di questa strategia va naturalmente

verificata in base ai risultati raggiunti, sia in termini di minimizzazione dei danni, sia in termini

di ripresa effettiva del capriolo.

Secondo l'esperienza centroeuropea, le densità agro-forestali sono fissabili per il daino in un

minimo di 3 capi/kmq in ambienti di qualità scadente, a 6 /kmq in ambienti qualitativamente

discreti e a 14 /kmq in ambienti ottimali, sempre in assenza di altri Ungulati (Ueckermann e

Hansen 1993).

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Una volta raggiunte le densità pianificate, per stabilizzare le popolazioni su questi valori, saranno

prevedibili tassi d'abbattimento intorno al 30-35% (da modulare comunque tenendo in conto il

rapporto sessi e l'incremento utile osservabili al censimento primaverile).

Il prelievo potrebbe essere ripartito tenendo presente come modello base lo schema seguente (cfr

Ueckermann e Hansen 1993, Tosi e Toso 1992):

50% maschi, 50% femmine

maschi: 30% piccoli, 17% fusoni, 20% balestroni, 33% palanconi

femmine: 35% piccoli, 17% sottili, 48% adulte

MUFLONE Ovis orientalis musimon

Lunghezza testa-tronco: 120-125 cm (maschi), 110-115 cm (femmine)

Lunghezza coda: 8-9 cm

Altezza al garrese: 70-80 cm (maschi), 65-75 cm (femmine)

Peso corporeo medio: 35-50 kg (maschi), 25-30 kg (femmine)

Distribuzione: originario della penisola anatolica, fu presumibilmente trasportato in Sardegna e

Corsica in epoca neolitica, e a partire dal secolo scorso è stato introdotto anche in Europa

continentale. Una forma simile (Ovis orientalis ophion) fu anticamente liberata a Cipro.

Caratteristiche generali

Bovide di dimensioni medio-piccole, è riconoscibile per le corna a spirale dei maschi adulti. Nel

manto invernale è ben visibile una macchia bianca ai lati del dorso ("sella"). Gregario, tende a

vivere in gruppi separati secondo il sesso gran parte dell’anno. Pur avendo un rumine da

pascolatore, può diventare facilmente un brucatore. Estremamente rustico e frugale, si adatta a

vivere anche in praterie d’altitudine di scarsa qualità o in calanchi improduttivi. Il culmine degli

amori è in ottobre-novembre. Intorno ad aprile le femmine partoriscono uno o due agnelli. E’

risultato particolarmente sensibile alla predazione del lupo.

Status e distribuzione

Presente in modo irregolare nella penisola, con alcuni nuclei più consistenti in Italia centrale.

Resta relativamente raro in Sardegna.

In Emilia-Romagna la specie presenta nuclei di una certa significatività soprattutto nel Reggiano

e nel Bolognese. Nel Reggiano è segnalato sia nella fascia montana, sia in quella collinare. In

montagna frequenta soprattutto l'alto crinale di confine con la Toscana, nel tratto appenninico

orientale e centrale della provincia; in prevalenza gli animali derivano dall'espansione del nucleo

introdotto in Garfagnana dal Corpo Forestale dello Stato, anche se non sono mancate

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introduzioni da parte dell'Amministrazione Provinciale di Reggio. Una popolazione piuttosto

consistente (circa 200 capi su appena 450 ha; 44,4 mufloni per kmq) vive nei pressi di Pecorile

(comune di Vezzano): frutto di alcune fughe da un recinto vicino, ha potuto crescere fino agli

attuali livelli grazie alla protezione accordata da una zona di ripopolamento e cattura. Un piccolo

nucleo, traslocato negli anni scorsi da Pecorile, è stato segnalato presso il M. Ventasso.

Nel Bolognese esiste un nucleo principale nel tratto appenninico occidentale, nell'area intorno al

torrente Silla (comuni di Lizzano, Porretta e Granaglione): deriva dall'espansione della

popolazione introdotta dal Corpo Forestale nell'Alto Pistoiese (Maresca) e segnalata sull'altro

versante a partire dalla fine degli anni '60. Alcune segnalazioni continuano a registrarsi a sud di

Monghidoro nei pressi del passo della Raticosa e derivano dal nucleo introdotto

dall'Amministrazione Provinciale di Firenze alla fine degli anni '70 nei dintorni di Covigliaio. Un

terzo nucleo, segnalato intorno al 1992-94 nei pressi di Monzuno, pare sia stato eliminato dal

bracconaggio.

Nel Modenese gli avvistamenti sull'alto crinale sono andati rarefacendosi e sembrano non

rappresentare presenze stabili ma semplici incursioni di gruppi e singoli individui dalle province

vicine (Reggio, Lucca, Pistoia e Bologna).

Nel Parmense vi sono alcune segnalazioni presso Tornolo (comune di Borgo Taro), dopo la fuga

da un recinto privato nel 1988.

Quanto al nucleo forlivese del Casentino, sembra sia in estinzione e dopo gli ultimi avvistamenti

del 1989 e 1992 (Mattioli, inedito) solo recentemente sono state trovati ulteriori capi (Cicognani,

ined). In questa area il popolamento di mufloni introdotto da Simon nel secolo scorso, era stato

già decimato durante l'ultima guerra (Crudele 1988).

Linee di gestione

Il muflone è una specie estranea alla fauna originaria dell'Emilia-Romagna e proviene

dall'arcipelago sardo-corso. Secondo l'ipotesi più accreditata, l'attuale muflone deriverebbe da

una antica forma domestica di pecora, importata in epoca neolitica dall'Asia Minore,

successivamente abbandonata e rinselvatichita (Poplin 1979, Masseti e Vianello 1991). La forma

selvatica originaria vive nelle montagne tra Turchia e Iran. Nessun ovino selvatico ha mai abitato

l'Emilia-Romagna, neppure durante il Pleistocene (B. Sala, com. pers.).

Le attuali popolazioni introdotte in regione risultano disperse e localizzate, con un areale

complessivo assai circoscritto. Alcuni nuclei sono in declino e il più antico (nell'alto Forlivese) si

è estinto di recente. Nell'immediato l'unica situazione meritevole di interventi gestionali urgenti

sembra essere quella dell'area di Pecorile (RE): la densità decisamente eccessiva imporrebbe

misure di sfoltimento. Il nucleo dovrebbe essere portato a densità tollerabili, dell'ordine di 10-15

capi per kmq. Nello spirito di una gestione improntata fondamentalmente a riequilibrare le

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presenze di Ungulati favorendo le specie autoctone, nel breve e medio periodo è preferibile

evitare la creazione di nuovi insediamenti di muflone e tenere sotto controllo i nuclei esistenti.

Sul lungo periodo, non è escluso che si possano prendere in considerazione progetti di

introduzione, sia pure limitati a specifiche situazioni ambientali, in cui si possa evidenziare la

rusticità del muflone: zone montuose con roccia affiorante e praterie d'altitudine, non

sovrapponibili alle aree con buona vocazione per capriolo e cervo.

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• Scaravelli D., C. Martignoni, 1996 - Il controllo delle popolazioni di Myocastor coypus in Italia, Seminario di Studi "I Biologi e l’ambiente" Venezia 22-23 Novembre 1996.

• Scaravelli D., 2001. Nutria Myocastor coypus, In Scaravelli D., Gellini S., Matteucci C. & L. Cicognani (edts.), Atlante Mammiferi Provincia di Ravenna, STERNA & Amm. Prov. Ravenna: 90

• Scaravelli D., 2002. Problema Myocastor: considerazioni dall’esperienza ravennate. Quaderni del Padule di Fucecchio, 2: 25-28.

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• Scaravelli D., 2002. Evoluzione del popolamento di Myocastor coypus in provincia di Forlì. Quaderni del Padule di Fuccchio, 2: 149-151.

• Silvestri A., 1971 - L’Istrice (Hystrix cristata L.) in Romagna. Natura, 62: 412-413. • Spagnesi M., E. Bertolini, L. Cagnolaro, M. Cassani, F. Pustorino, G. Tosi, 1979 - La

distribuzione degli Ungulati e della Marmotta nel Parco Nazionale dello Stelvio, nelle Alpi e Prealpi lombarde e nel Cantone Ticino (Svizzera). Ric. Biol. Selvaggina 66.

• Tedaldi G., D. Scaravelli, 1993 - Considerazioni sull’espansione dell’areale dell’Istrice Hystrix cristata L., 1758 nell’Italia settentrionale. In: Spagnesi M. e E. Randi (Eds.), Atti VII Convegno dell’Associazione A. Ghigi per la Biologia e la Conservazione dei Vertebrati, Suppl. Ric. Biol. Selvaggina, XXI: 253-257.

• Toso S., A. Giovannini, 1991 - Proposte per una strategia nazionale di gestione della volpe: le linee direttrici dell’Istituto Nazionale di Biologia della Selvaggina. Hystrix, 3: 227-242.

• Velatta F., B. Ragni, 1991 - La popolazione di Nutria (Myocastor coypus) del Lago Trasimeno. Consistenza, struttura e controllo numerico. In: Spagnesi M. e S. Toso (Eds.), Atti del II Convegno Nazionale dei Biologi della Selvaggina, Suppl. Ric. Biol. Selvaggina, XIX: 311-326.

• Weber D., 1988 - Die aktuelle Verbreitung des Iltisses (Mustela putorius L.) in der Schweiz. Revue suisse Zool., 95 (4): 1041-1056.

• Woods C. A., L. Contreras, G. Willner-Chapman, H. P. Whidden, 1992 - Myocastor coypus. Mammalian Species, 398: 1-8.

• Zangheri P., 1946 - Fauna di Romagna: l’Istrice (Hystrix cristata L.) nel versante romagnolo dell’Appennino. Natura, 37: 57-59.

• Zangheri P., 1957 - Fauna di Romagna: Mammiferi. Boll. Zool. XXIV, Torino. • Zangheri P., 1969 - Repertorio sistematico e topografico della Flora e Fauna vivente e

fossile della Romagna. Vol. 4, Museo Civico di Storia Naturale di Verona, Memorie fuori serie n. 1.

• Zavalloni D., M. Castellucci, 1991 - Segnalazioni di Istrice (Hystrix cristata L., 1758) in Romagna. In: Fasola M. (Red.), Atti II Seminario Italiano Censimenti Faunistici dei Vertebrati, Suppl. Ric. Biol. Selvaggina, XVI: 655-658.

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STATUS E DISTRIBUZIONE DELLE SPECIE DI MAMMIFERI RILEVANTI AI FINI DELLA COSTITUZIONE DI SIC E ZPS

INTRODUZIONE

La Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli

habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche ha come obiettivo la

conservazione e tutela della biodiversità attraverso il mantenimento e il ripristino degli habitat

naturali e seminaturali terrestri e marini. Individua quindi un gruppo di specie di interesse

prioritario per la conservazione a livello europeo (allegato II) per la cui salvaguardia afferma la

necessità di istituire Zone Speciali di Conservazione (ZCS). Da questo deriva la costituzione di

una rete ecologica europea di tali zone speciali, ossia Zone di Protezione Speciale (ZPS) per gli

uccelli designate ai sensi della Direttiva 79/409/CEE e Siti di Importanza Comunitaria (SIC) per

habitat, specie animali e vegetali, denominata Rete Natura 2000, che ha lo scopo di garantire il

mantenimento (o il ripristino) dei tipi di habitat naturali e seminaturali e delle specie di cui agli

allegati in uno stato di conservazione soddisfacente nella loro area di ripartizione naturale. In

Italia la Rete prende il via con il progetto Bioitaly che nel 1995 ha portato a una prima lista di

circa 2300 SIC sul territorio nazionale.

Attualmente la regione Emilia Romagna conta 157 zone speciali di conservazione costituite in

base alla presenza di specie di allegato II o habitat prioritari.

Per quanto riguarda la lista dei mammiferi è da notare come sia costituita quasi interamente da

Chirotteri. In quanto a dieta insettivora e talora legati fortemente ad ambienti non disturbati

dall’uomo, risultano particolarmente sensibili ai cambiamenti ambientali come ne è prova il

declino cui sono stati soggetti a livello globale a partire dagli anni Cinquanta e dal quale stentano

a riprendersi anche a causa del basso tasso riproduttivo (1 piccolo all’anno per femmina

riproduttiva). La loro tutela va di pari passo con la conservazione degli habitat di rifugio, dei

corridoi di volo e di caccia e quindi con il mantenimento degli habitat elettivi delle loro prede

chiave che spaziano tra gli invertebrati dai Lepidotteri, ai Coleotteri, ai Tricotteri, ai Ditteri, ecc.

In questa sezione ogni specie di allegato II della Direttiva Habitat viene presentata

schematicamente e la sua presenza nei SIC/ZPS della regione è evidenziata nella tabella che

segue.

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TABELLA _ SPECIE DI MAMMIFERI DI ALLEGATO II HABITAT PER PROVINCIA E PER SIC PIACENZA

SPECIE IT4010002 IT4010003 IT4010004 IT4010005 IT4010006 IT4010007 IT4010008 IT4010011 R. euryale 1 R. ferrumequinum 1 1 R. hipposideros 1 1 1 B. barbastellus M. schreibersii 1 1 M. bechsteinii 1 M. blythii M. emarginatus 1 1 M. myotis 1 1 * C. lupus 1

TOTALE 2 7 5

SPECIE IT4010012 IT4010013 IT4010016 IT4010017 IT4010018 R. euryale R. ferrumequinum R. hipposideros B. barbastellus M. schreibersii M. bechsteinii M. blythii 1 M. emarginatus M. myotis * C. lupus 1 1

TOTALE 1 1 1

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PARMA

SPECIE IT4020001 IT4020002 IT 4020003 IT4020004 IT4020005 IT4020006 IT4020007 IT4020008 IT4020009 IT4020010 IT4020011 IT4020012 R. euryale R. ferrumequinum 1 1 1 R. hipposideros 1 1 B. barbastellus 1 1 M. schreibersii 1 M. bechsteinii 1 1 M. blythii 1 M. emarginatus 1 1 M. myotis * C. lupus 1 1 1 1

TOTALE 2 7 3 2 1 1 1

SPECIE IT4020013 IT4020014 IT4020015 IT4020017 IT4020018 IT4020019 IT4020020 IT4020021 IT4020022 IT4020023 IT4020024 IT4020025 IT4020026 R. euryale R. ferrumequinum R. hipposideros B. barbastellus 1 M. schreibersii 1 M. bechsteinii M. blythii 1 M. emarginatus M. myotis * C. lupus 1

TOTALE 3 1

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REGGIO EMILIA

SPECIE IT4030001 IT4030002 IT4030003 IT4030004 IT4030005 IT4030006 IT4030007 IT4030008 IT4030009 IT4030010 IT4030011 R. euryale R. ferrumequinum 1 R. hipposideros B. barbastellus M. schreibersii 1 M. bechsteinii M. blythii 1 M. emarginatus M. myotis * C. lupus 1 1 1 1 1 1 1

TOTALE 1 1 1 1 3 1 2

SPECIE IT4030012 IT4030013 IT4030014 IT4030015 IT4030016 IT4030017 IT4030018 IT4030020 IT4030021 IT4030022 IT4030023 R. euryale R. ferrumequinum 1 R. hipposideros B. barbastellus M. schreibersii M. bechsteinii M. blythii M. emarginatus M. myotis * C. lupus

TOTALE 1

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MODENA

SPECIE IT4040001 IT4040002 IT4040003 IT4040004 IT404005 IT404006 IT4040007 IT4040009 IT4040010 IT4040011 R. euryale 1 R. ferrumequinum 1 1 1 1 R. hipposideros 1 1 1 B. barbastellus M. schreibersii M. bechsteinii M. blythii M. emarginatus M. myotis 1 * C. lupus 1 1 1

TOTALE 1 1 3 2 1 1 3

SPECIE IT4040012 IT4040013 IT4040014 IT4040015 IT4040016 IT4040017 IT4040018 R. euryale R. ferrumequinum R. hipposideros B. barbastellus M. schreibersii M. bechsteinii M. blythii M. emarginatus M. myotis * C. lupus

TOTALE

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94

BOLOGNA

SPECIE IT4050001 IT4050002 IT4050003 IT4050004 IT4050006 IT4050011 IT4050012 IT4050013 IT4050014 IT4050015 IT4050016 R. euryale 1 R. ferrumequinum 1 1 R. hipposideros 1 1 1 1 1 1 B. barbastellus 1 1 M. schreibersii 1 M. bechsteinii 1 1 M. blythii 1 1 1 M. emarginatus 1 1 M. myotis 1 * C. lupus 1

TOTALE 8 4 1 4 2 1 1

SPECIE IT4050017 IT4050018 IT4050019 IT4050020 IT4050021 IT4050022 IT4050023 IT4050024 IT4050025 IT4050026 IT4050027 R. euryale R. ferrumequinum 1 R. hipposideros 1 B. barbastellus M. schreibersii M. bechsteinii M. blythii M. emarginatus M. myotis * C. lupus 1

TOTALE 3

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95

SPECIE IT4050028 IT4050029 IT4050030

R. euryale R. ferrumequinum R. hipposideros B. barbastellus M. schreibersii M. bechsteinii M. blythii M. emarginatus M. myotis * C. lupus

TOTALE

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FERRARA

SPECIE IT4060001 IT4060002 IT4060003 IT4060004 IT4060005 IT4060006 IT4060007 IT4060008 IT4060009 IT4060010 R. euryale R. ferrumequinum 1 R. hipposideros B. barbastellus 1 M. schreibersii M. bechsteinii M. blythii M. emarginatus M. myotis * C. lupus

TOTALE 2

SPECIE IT4060011 IT4060012 IT4060013 IT4060014 IT4060015 IT4060016 IT4060017 R. euryale R. ferrumequinum 1 R. hipposideros B. barbastellus 1 M. schreibersii M. bechsteinii M. blythii M. emarginatus M. myotis * C. lupus

TOTALE 2

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97

RAVENNA

SPECIE IT4070001 IT4070002 IT4070003 IT4070004 IT4070005 IT4070006 IT4070007 IT4070008 IT4070009 IT4070010 IT4070011 R. euryale 1 R. ferrumequinum 1 1 R. hipposideros 1 1 B. barbastellus 1 1 M. schreibersii 1 1 M. bechsteinii 1 1 M. blythii 1 M. emarginatus M. myotis 1 * C. lupus

TOTALE 1 3 1 1 1 6

SPECIE IT4070013 IT4070016 IT4070017 IT4070018 IT4070019 IT4070020 IT4070021 IT4070022 IT4070023 IT4070024 R. euryale R. ferrumequinum 1 1 R. hipposideros 1 1 B. barbastellus M. schreibersii M. bechsteinii M. blythii M. emarginatus M. myotis * C. lupus

TOTALE 1 1 1 1

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FORLÌ

SPECIE IT4080001 IT4080002 IT4080003 IT4080004 IT4080005 IT4080006 IT4080007 IT4080008 R. euryale R. ferrumequinum 1 1 1 R. hipposideros 1 1 1 B. barbastellus M. schreibersii 1 1 M. bechsteinii M. blythii 1 M. emarginatus 1 1 1 1 M. myotis 1 1 1 1 * C. lupus 1 1 1 1

TOTALE 6 2 5 2 6

SPECIE IT4080009 IT4080010 IT4080011 IT4080012 IT4080013 IT4080014 IT4080015 R. euryale R. ferrumequinum R. hipposideros B. barbastellus M. schreibersii M. bechsteinii M. blythii M. emarginatus M. myotis * C. lupus

TOTALE

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99

RIMINI

SPECIE IT4090001 IT4090002 R. euryale 1 R. ferrumequinum 1 R. hipposideros 1 1 B. barbastellus M. schreibersii 1 M. bechsteinii M. blythii 1 M. emarginatus 1 M. myotis 1 * C. lupus

TOTALE 7 1

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100

In sintesi su 157 SIC regionali, le specie di allegato II sono così rappresentate: Tabella Numero di SIC per specie R. euryale 5 R. ferrumequinum 24 R. hipposideros 24 B. barbastellus 9 M. schreibersii 11 M. bechsteinii 7 M. blythii 10 M. emarginatus 11 M. myotis 10 C. lupus 25

Ripartizione percentuale per tutti i SIC

R. euryale4%

R. ferrumequinum18%

R. hipposideros18%

B. barbastellus7%M. schreibersi

8%

M. bechsteinii5%

M. blythii7%

M. emarginatus8%

M. myotis7%

C. lupus18%

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RINOLOFO EURIALE Rhinolophus euryale

Lunghezza testa-corpo 43-58 mm; avambraccio 45-51 mm; apertura alare 290-320 mm.

Peso 8-17,5 g.

Distribuzione: diffuso in Europa meridionale, in Asia sud-occidentale (dal Vicino Oriente fino a

Turkmenistan e Iran) e in Africa nord-occidentale. In Italia non risultano segnalazioni per le

regioni più settentrionali.

Caratteristiche generali

Di dimensioni intermedie rispetto ai congeneri Rinolofo maggiore e Rinolofo minore, è

contraddistinto dalla foglia nasale che, di profilo, rivela una caratteristica prominenza superiore

acuta. Il pelo è grigio-bruno sul dorso, più chiaro ventralmente e la pelle è bruno-rosata.

Sembra prediligere le zone collinari e di bassa montagna dal clima mediterraneo dove si nutre di

Lepidotteri e altri insetti. Trova nelle cavità ipogee luoghi idonei al rifugio, alla riproduzione e

allo svernamento. Sedentario, si può comunque spostare anche di decine di chilometri tra i rifugi.

Status

Specie minacciata di estinzione, vulnerabile - VU: A2c (Hutson et al., 2001)

Nella parte settentrionale del suo areale complessivo sono stati registrati drastici decrementi

demografici che possono avere portato a estinzioni locali. Sul territorio italiano è considerato da

Lanza (1959) frequente al Centro e al Sud. In regione risulta assai meno frequente dei due

congeneri, con presenza limitata a poche località, sebbene diffuso in diverse province.

Risulterebbe più frequente verso la costa, ma le informazioni sono decisamente poche. Solo

recentemente si è avuta la certezza della sua riproduzione in Regione con due colonie presso i

SIC di Onferno e dei gessi faentini, entrambe di circa un centinaio di femmine (Scaravelli &

Bertozzi 2005)

RINOLOFO MAGGIORE Rhinolophus ferrumequinum

Lunghezza testa-corpo 56-71 mm; avambraccio 53-61 mm; apertura alare 330-400 mm.

Peso 17-34 g.

Distribuzione: diffuso in Europa centrale, fino alla parte meridionale della Gran Bretagna, in

quasi tutto il Mediterraneo e a Oriente, attraverso le regioni himalayane, fino a Cina, Corea e

Giappone. È presente in tutta Italia.

Caratteristiche generali

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È il più grosso rappresentante del genere Rhinolophus. Pelo bruno-grigio-rossastro sul dorso e

crema chiaro sul ventre. Parti nude rosa-grigio. Caratteristica la cresta della foglia nasale

arrotondata superiormente e con breve punta verso il basso.

È una specie legata a climi mediterraneo-caldi e seppur segnalata fino a 2000 m predilige le

quote inferiori agli 800 m caratterizzate dall’alternarsi di diverse tipologie vegetazionali (pascoli,

siepi, boschi) e zone umide dove caccia Lepidotteri e Coleotteri.

Seleziona per il rifugio, la riproduzione e lo svernamento le cavità naturali e artificiali e gli

edifici abbandonati. Specie sedentaria, può compiere spostamenti anche di decine di chilometri

per trasferirsi dai siti di ibernazione a quelli di riproduzione e viceversa.

Status

Specie a minor rischio, ma prossima a diventare minacciata - LR: nt (Hutson et al., 2001).

In calo in tutto il suo areale con situazioni di estinzione locale. Lanza (1959) lo descriveva come

frequente in tutto il territorio italiano. In regione è presente in molte cavità in tutte le province

ma spesso con pochi individui mentre le colonie storiche, dove ancora presenti, sono sempre più

a rischio (cfr. Scaravelli 1995).

RINOLOFO MINORE Rhinolophus hipposideros

Lunghezza testa-corpo 35-45 mm; avambraccio 37-42.5 mm; apertura alare 192-254 mm.

Peso 6-9 g.

Distribuzione: diffuso in Europa centrale e meridionale fino a Irlanda e Inghilterra, in Asia

centro-meridionale fino al Kashmir e in Africa maghrebina e nord-orientale. Presente su tutto il

territorio italiano.

Caratteristiche generali

È il più piccolo rinolofide europeo e ha manto simile, per colore e foltezza, a quello del Rinolofo

maggiore.

Segnalato fino ai 2000 m, caccia presso aree boscate a latifoglie o in ecomosaici con alternanza

di boschetti, radure e zone umide catturando piccoli insetti e ragni. La tipologia di rifugi che

seleziona è la stessa del Rinolofo maggiore. Specie sedentaria in genere si muove in un raggio di

una decina di km tra estate e inverno.

Status

Specie minacciata di estinzione, vulnerabile - VU: A2c (Hutson et al., 2001).

In Emilia Romagna è ancora piuttosto ben distribuito e presente in tutte le fasce altitudinali. In

tutta la regione sembra comunque in netto calo e solo poche colonie sembrano aver mantenuto

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negli ultimi anni livelli più o meno costanti. In particolare colonie riproduttive in Emilia

Romagna si trovano nei SIC di Onferno (RN), Monte Sole e Corno alle scale (BO), ma sempre di

piccole dimensioni.

BARBASTELLO COMUNE Barbastella barbastellus

Lunghezza testa-corpo 44-60 mm; avambraccio 36-44 mm; apertura alare 240-290 mm.

Peso 6-14.2 g.

Distribuzione: probabilmente presente in tutti i Paesi europei fino ai 60° di latitudine Nord e a

est fino al 30° meridiano (Ucraina), comprendendo a sud Crimea, Turchia, Caucaso. Segnalata

anche in Marocco, Canarie e forse Senegal. In Italia è praticamente presente in tutto il

territorio.

Caratteristiche generali

Specie di medie dimensioni con padiglioni auricolari larghi che si toccano anteriormente

incorniciando l'intera faccia. Pelle bruno-nera e peli del dorso a base scura con punte grigio-

biancastre, ventre grigio scuro.

Specie legata ai boschi, si rifugia sia sotto alla corteccia e nelle cavità dei vecchi alberi, sia in

fessure e crepe presenti nelle grotte, nonché negli edifici. Specie sedentaria ma in grado di

compiere spostamenti anche consistenti tra i quartieri estivi e quelli invernali.

Status

Specie minacciata di estinzione, vulnerabile - VU: A2c (Hutson et al., 2001).

È considerata una delle specie più rare a livello europeo. Di primaria importanza risultano essere

i boschi maturi e le grotte per i rifugi estivi e invernali, mentre la dieta del Barbastello è

incentrata su piccole falene munite di timpani (Piralidi, Geometridi, Nottuidi, Tortricidi, ecc.) la

cui disponibilità può spostarsi dalle aree boscate alle zone aperte a seconda della stagione. Per

migliorare lo status di questa specie come degli altri chirotteri è necessario considerare, oltre alla

tutela dei rifugi e delle zone di caccia, anche il miglioramento e la tutela dei corridoi di volo tra i

roost e le aree di foraggiamento. In tutta Europa la specie è in declino sia per l’impoverimento

delle foreste che per il disturbo apportato nei luoghi di svernamento. Risulta piuttosto difficile

localizzarlo in natura e quasi inesistenti sono i dati relativi alla sua ecologia.

La sua presenza è stata da poco accertata per la Regione (Vernier et al. 1994) e seguita poi da

nuove conferme per le diverse province (Scaravelli et al. 2003, Scaravelli ined. 2003 e 2004). Si

tratta in sintesi di specie rara e legata, stando ai dati attualmente disponibili, agli ambienti

forestali (faggete e castagneti) della sola fascia montana.

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MINIOTTERO DI SCHREIBER Miniopterus schreibersii

Lunghezza testa-corpo 50-62 mm; avambraccio 45-48 mm; apertura alare 305-350 mm.

Peso 8-17 g.

Distribuzione: sub-cosmopolita, diffuso dall’Europa meridionale all’Australia. L’intero

territorio italiano è compreso nel suo areale.

Caratteristiche generali

Parti superiori bruno grigiastre e addome più chiaro, pelo liscio, corto e quasi arricciato sulla

testa. Orecchio piccolo, rotondeggiante che appare più basso della volta del capo.

Caratteristico è il profilo con la fronte bombata e la bocca relativamente piccola. Ali strette ed

allungate, adatte ad un volo molto rapido ed alto. Specie tipicamente troglofila, forma dense e

numerose colonie con centinaia e a volte migliaia di individui. In ibernazione sono meno

coloniali e spesso è possibile trovare individui isolati.

Vola veloce e con battito frequente alimentandosi in particolare di Lepidotteri che cattura in

ambienti aperti o di foresta. Può compiere spostamenti anche di centinaia di km ma è specie

sedentaria nelle zone meridionali a clima mite.

Status

A minor rischio ma prossima a diventare minacciata – LR: nt (Hutson et al., 2001).

A livello europeo è in forte declino per la distruzione degli habitat e per il disturbo (Stebbings

1988). Tali indicazioni sono da considerarsi assolutamente attuali anche da noi come dimostra il

continuo calo degli effettivi o la scomparsa delle colonie per il disturbo come a Terra del Sole

(Scaravelli ined.). Legata agli ambienti ipogei è la specie che in Regione mostra le maggiori

aggregazioni. La più grande colonia riproduttiva è quella di Onferno (RN) che raggiunge i 6000

esemplari (Scaravelli & Bertozzi, ined). Di simili dimensioni la colonia presso la cava di Monte

Tondo (Riolo terme, RA) (circa 4000) (Scaravelli e Bertozzi 2005), ma altre notevoli

aggregazioni sono conosciute per i gessi faentini e bolognesi. Per altre zone della Regione sono

stati rilevati quartieri di svernamento e rifugi che contano da pochi ad alcune centinaia di

esemplari (Ruggieri 1994, Scaravelli non pubb.).

VESPERTILIO DI BECHSTEIN Myotis bechsteinii

Lunghezza testa-corpo 45-55 mm; avambraccio 39-45 mm; apertura alare 250-290 mm.

Peso 7-13.6 g.

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Distribuzione: Europa centrale e meridionale, si spinge fino alle parti meridionali di Svezia e

Gran Bretagna, è presente in Anatolia, Caucaso e Iran. Le segnalazioni in Italia sono

scarsissime, ma è probabilmente presente in tutto il territorio.

Caratteristiche generali

Pelliccia dorsalmente marrone chiaro e ventralmente dal grigiastro al bianco, orecchie di

considerevoli dimensioni. È fortemente legato ai boschi maturi a latifoglie in quanto nella

stagione estiva trova rifugio soprattutto negli alberi cavi e caccia nei boschi o lungo il loro

margine alla ricerca principalmente di Lepidotteri, Ditteri e Coleotteri.

In inverno iberna in grotte o talora nelle parti basse di edifici. È specie sedentaria.

Status

Specie minacciata di estinzione, vulnerabile – VU: A2c (Hutson et al., 2001).

In Emilia Romagna si hanno segnalazioni sporadiche di singoli individui (Vergari et al 1998,

Scaravelli et al., 2001). Colonie riproduttive erano state individuate presso i Boschi di Carrega

(PR) (Ruggeri in verbis) e nel SIC del Contrafforte pliocenico (BO) (Bertozzi, Palladini e

Scaravelli, ined.) ma non sono state riconfermate nei controlli successivi.

VESPERTILIO DI BLYTH Myotis blythii

Lunghezza testa-corpo 58-70 mm; avambraccio 52-59 mm; apertura alare 350-408 mm.

Peso 15-28.5 g.

Distribuzione: diffuso in Europa centrale, meridionale, in parte dell’Asia centrale, verso est fino

alla catena himalayana, a parte della Mongolia e della Cina. Presente in tutta Italia ad

eccezione, quasi certamente, della Sardegna.

Caratteristiche generali

Dorso bruno-marrone e ventre bianco panna. Si distingue dal M. myotis per le dimensioni appena

inferiori, il muso più appuntito, le orecchie più slanciate e il trago più stretto, ma

l’identificazione richiede misurazioni accurate dell'arcata dentaria.

Segnalato fino ai 1000 m di altitudine caccia in ambienti aperti a copertura erbacea catturando

Ortotteri Tettigonidi, larve di Lepidotteri e Coleotteri Melolontidi.

Per il rifugio utilizza cavità ipogee, eventualmente anche edifici. È specie praticamente

sedentaria.

Status

Specie a minor rischio, preoccupazione minima – LR: lc (Hutson et al., 2001).

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In Emilia Romagna si hanno pochi dati certi della sua presenza poiché la distinzione dalla specie

gemella Myotis myotis risulta impegnativa. Oltre ai singoli dati di presenza sono accertate

riproduzioni presso Onferno e Monte Tondo (Riolo).

VESPERTILIO SMARGINATO Myotis emarginatus

Lunghezza testa-corpo 41-54 mm; avambraccio 36-41 mm; apertura alare 220-250 mm.

Peso 7-15 g.

Distribuziome: diffuso in Europa meridionale e centrale, in Asia sud-occidentale e centrale e

Africa maghrebina. L’Italia nel suo complesso è ricompresa nell’areale di questa specie.

Caratteristiche generali

Parti superiori marrone-rossicce e addome più chiaro, con pelo dall'aspetto lanoso. Pelle nuda di

colore bruno scuro.

Sebbene rinvenibile fino ai 1800 m di altitudine preferisce quote medie e basse. Si nutre in

prevalenze di Ditteri diurni e Aracnidi che cattura direttamente dal substrato su cui sono posati,

ma si ciba anche di altri insetti (Neurotteri, Ditteri, Imenotteri ecc.) che cattura in volo.

Frequenta sia gli edifici che le cavità preferendo queste ultime per lo svernamento. È specie

prevalentemente sedentaria.

Status

Specie minacciata di estinzione, vulnerabile – VU: A2c (Hutson et al., 2001).

La specie in Regione appare localizzata e i ritrovamenti si riferiscono essenzialmente a esemplari

isolati svernanti in cavità nella collina o bassa montagna. Una colonia riproduttiva di oltre 100

individui è nota per il modenese (Scaravelli et al. ined.). Si tratta di un chirottero ancora assai

poco conosciuto e al momento i dati non permettono di definire i problemi conservativi.

VESPERTILIO MAGGIORE Myotis myotis

Lunghezza testa-corpo 67-79 mm; avambraccio 58-66 mm; apertura alare 350-450 mm.

Peso 28-40,7 g.

Distribuzione: il suo areale comprende Europa orientale, meridionale e centrale, Inghilterra

meridionale, la maggior parte delle isole mediterranee, Asia minore, e a Est si estende forse fino

al Turkestan occidentale. In Italia è presente probabilmente in tutte le regioni ad eccezione della

Sardegna dove gli esemplari in passato determinati come Myotis myotis sono invece da

ascrivere alla specie M. punicus di recente descrizione.

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Caratteristiche generali

Parti superiori bruno-marroni; parti inferiori bianco panna. Pelle del muso rosata, bruno rossiccia

quella delle ali. Si differenzia dal congenerico M. blythii per le sembianze più massicce e le

orecchie più grandi e più larghe.

Grande specie, la maggiore tra i Myotis europei, in Italia sembra essere soprattutto troglofilo,

mentre nel centroeuropa le femmine cercano sottotetti caldi per i parti. L'ibernazione avviene

solitamente in cavità naturali o artificiali. Predilige altitudini inferiori ai 700 m e seleziona per il

foraggiamento ambienti aperti in prossimità di boschi o boschi con sottobosco rado dove cattura

principalmente Coleotteri Carabidi. Specie migratrice occasionale con spostamento massimo

registrato di 2000 Km.

Status

A minor rischio ma prossima a diventare specie minacciata – LR: nt (Hutson et al., 2001).

In Europa si è registrato un generale declino delle popolazioni negli anni ’60 e ’70 culminato in

alcuni paesi con l’estinzione della specie (Inghilterra, Olanda e Israele).

Per la Regione le poche segnalazioni raccolte si accentrano nelle aree carsiche per cui la

conservazione di questa specie, per la scarsità di dati disponibili, è al momento dipendente dalla

salvaguardia degli ipogei e deve tenere in considerazione gli ambienti di caccia circostanti il

rifugio.

LUPO Canis lupus

Lunghezza testa-corpo: 100-140 cm; altezza al garrese: 60-75 cm; coda: 30-40 cm.

Peso: 25-35 Kg.

Distribuzione: oloartica-circumpolare. In Italia attualmente è presente su tutta la catena

appenninica.

Caratteristiche generali

Specie potenzialmente eurizonale, in Italia è relegato agli ambienti meno frequentati dall’uomo,

ossia le foreste di montagna, dove caccia mammiferi selvatici e domestici di varie dimensioni,

talora insetti, e anche frutta.

Elemento caratteristico dell’ecologia del lupo, e al contempo suo fattore limitante, è la fase di

dispersione che attende i giovani lupi quando raggiungono la maturità sessuale: essi possono

compiere spostamenti considerevoli, anche di centinaia di chilometri, che se da un lato

permettono di riconquistare aree anticamente abitate dal lupo, dall’altro costituiscono anche un

fattore di mortalità dei giovani stessi.

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Status

Il lupo è specie vulnerabile secondo la Lista Rossa dei Vertebrati Italiani a cura di Calvario &

Sarrocco del 1997. La popolazione italiana è stimata intorno ai 400-500 individui (Genovesi,

Duprè 2000) e in Emilia Romagna conta sicuramente alcune decine di individui. La minaccia

principale per questo predatore è costituita dalla persecuzione esercitata dall’uomo per la

predazione che può compiere sulle specie domestiche. Si ribadisce come sia oramai consolidata

la situazione del Lupo e la distribuzione conosciuta dipinge come insieme ad aree di particolare

importanza dal punto di vista riproduttivo vi sia un contesto molto più ampio di zone a valore più

limitato ma importanti nell’economia generale della popolazione in quanto aree di dispersione ed

eventuale colonizzazione. Sulla base delle informazioni disponibili, attualmente presenza stabile

e riproduzione del lupo risultano accertate nella fascia altoappenninica ricadente nelle province

di Forlì-Cesena, Bologna, Reggio-Emilia e Parma. Quanto si sa localmente sull’alimentazione

indica che laddove le condizioni ambientali lo consentano, il lupo tende ad assumere il ruolo di

predatore specializzato nella cattura di grandi erbivori selvatici in modo relativamente

indipendente dalla disponibilità di fonti alternative, quali ad esempio la piccola selvaggina, i

micromammiferi, il bestiame domestico o alimenti di origine vegetale, che in altre aree risultano

più o meno utilizzate a integrazione della fonte principale. Un altro elemento che emerge

chiaramente dall’esame dei dati è la relativa facilità con cui il lupo, in funzione delle condizioni

stagionali e/o ambientali, può spostare la pressione predatoria da una specie all’altra; ciò vale in

particolare per il cinghiale, il capriolo e il daino, probabilmente in misura minore per il cervo. In

definitiva i dati raccolti sembrano indicare che il cinghiale e il capriolo, laddove sufficientemente

abbondanti, sono perfettamente in grado di sostenere lungo tutto l’arco dell’anno le necessità

alimentari del lupo, indipendentemente dalla presenza di altre fonti alimentari. In questo senso,

considerando la diffusione e, in molte aree, la tendenza all’aumento di queste due specie, è facile

ipotizzare che nei territori montani regionali esistano elevate potenzialità per l’espansione del

lupo.

Ancora di più oggi il Lupo è un’entità faunistica la cui presenza va considerata un fatto normale

nel territorio regionale. Gran parte dei territori montani della regione offre condizioni ecologiche

adatte alla presenza del lupo, anche se non necessariamente regolare nel tempo. Risulta quindi

comprensibile come si sia verificata una colonizzazione di nuovi comprensori, anche in

considerazione del fatto che il cinghiale, preda preferita, rappresenta una realtà ben diffusa in

tutto l’Appennino e che il capriolo è in espansione. La specie è di conseguenza stata anche

avvistata in territori non strettamente altomontani. I danni alla zootecnia rilevati fanno ritenere

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che una parte significativa dei danni sia attribuibile a cani vaganti a sottolineare come sia

necessario una maggiore custodia ed azioni concrete di limitazione del randagismo.

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INDICE UCCELLI pag. 1 Status e distribuzione di specie nidificanti di interesse faunistico, gestionale e conservazionistico Introduzione 1 FALCO PECCHIAIOLO Pernis apivorus 3 NIBBIO BRUNO Milvus migrans 4 BIANCONE Circaetus gallicus 5 ALBANELLA MINORE Circus pygargus 6 ASTORE Accipiter gentilis 7 SPARVIERE Accipiter nisus 8 POIANA Buteo buteo 9 AQUILA REALE Aquila chrysaetos 10 GRILLAIO Falco naumanni 11 GHEPPIO Falco tinnunculus 12 FALCO CUCULO Falco vespertinus 13 LODOLAIO Falco subbuteo 14 LANARIO Falco biarmicus 15 PELLEGRINO Falco peregrinus 16 QUAGLIA Coturnix coturnix 18 BECCACCIA Scolopax rusticola 18 COLOMBACCIO Columba palumbus 20 TORTORA SELVATICA Streptopelia turtur 21 TORTORA DAL COLLARE Streptopelia decaocto 22 BARBAGIANNI Tyto alba 23 ASSIOLO Otus scops 24 GUFO REALE Bubo bubo 25 ALLOCCO Strix aluco 26 CIVETTA Athene noctua 27 GUFO COMUNE Asio otus 28 SUCCIACAPRE Caprimulgus europaeus 29 MARTIN PESCATORE Alcedo atthis 30 GHIANDAIA MARINA Coracias garrulus 31 PICCHIO NERO Dryocopus martius 32 CALANDRELLA Calandrella brachydactyla 33 TOTTAVILLA Lullula arborea 34 CALANDRO Anthus campestris 34 FORAPAGLIE CASTAGNOLO Acrocephalus melanopogon 35 BIGIA PADOVANA Sylvia nisoria 36 BALIA DAL COLLARE Ficedula albicollis 37 AVERLA PICCOLA Lanius collirio 38 AVERLA CENERINA Lanius minor 39 GHIANDAIA Garrulus glandarius 40 GAZZA Pica pica 41 TACCOLA Corvus monedula 42 CORNACCHIA GRIGIA Corvus corone cornix 43 ORTOLANO Emberiza hortulana 44

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Note sulle specie nidificanti occasionali, migratrici o svernanti di interesse comunitario 45 Elenco delle specie accidentali di interesse comunitario 50 Bibliografia 51 MAMMIFERI Status e distribuzione di specie di interesse faunistico, gestionale e conservazionistico 56 CONIGLIO SELVATICO Oryctolagus cuniculus 56 MARMOTTA Marmota marmotta 57 ISTRICE Hystrix cristata 58 NUTRIA Myocastor corpus 60 VOLPE Vulpes vulpes 62 DONNOLA Mustela nivalis 72 PUZZOLA Mustela putorius 73 LONTRA Lutra lutra 74 FAINA Martes foina 75 TASSO Meles meles 76 DAINO Dama dama 78 MUFLONE Ovis orientalis musimon 81 Bibliografia 84

Status e distribuzione di specie rilevanti ai fini della costituzione di Sic e Zps Introduzione 88 RINOLOFO EURIALE Rhinolophus euryale 100 RINOLOFO MAGGIORE Rhinolophus ferrumequinum 100 RINOLOFO MINORE Rhinolophus hipposideros 101 BARBASTELLO COMUNE Barbastella barbastellus 102 MINIOTTERO DI SCHREIBER Miniopterus schreibersii 103 VESPERTILIO DI BECHSTEIN Myotis bechsteinii 104 VESPERTILIO DI BLYTH Myotis blythii 104 VESPERTILIO SMARGINATO Myotis emarginatus 105 VESPERTILIO MAGGIORE Myotis myotis 105 LUPO Canis lupus 106 Bibliografia 108