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INDICE
INTRODUZIONE .............................................................................................................................................................. 2
CAPITOLO 1. LE ORIGINI DELLA MAFIA: DAGLI ANNI 50 AGLI ANNI 89 -90 .................................................... 3
1.1 I diversi tipi di mafia ......................................................................................................................................... 3
1.2 Dall‟unità d‟Italia ai giorni nostri ...................................................................................................................... 4
1.3 Il ruolo delle donne................................................................................................................................................... 8
1.4 Eucaristia mafiosa .................................................................................................................................................... 9
1.5 Fascino perverso della mafia .................................................................................................................................. 12
CAPITOLO 2. LA MAFIA NEL NOSTRO TERRITORIO – RAGUSA OLTRE LE APPARENZE ............................ 12
2.1 La “Stidda” - definizione ed etimologia del termine .............................................................................................. 13
2.1.1 Sviluppo della “Stidda” nel Ragusano ................................................................................................................. 14
2.2 La Mafia infrange “l‟innocenza” di Ragusa ........................................................................................................... 15
2.3 A Ragusa la mafia si nasconde dietro i soldi .......................................................................................................... 16
2.4 Il pizzo – arresti al mercato ortofrutticolo di Vittoria ............................................................................................. 17
CAPITOLO 3. EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI MAFIA – FRODI E FONDI EUROPEI .................................... 17
3.1 I “campieri” ............................................................................................................................................................ 17
3.2 La mafia dei suoli urbani e nuova politica siciliana ............................................................................................... 18
3.3 La mafia imprenditrice ........................................................................................................................................... 19
3.4 Gli affari della mafia ai giorni nostri ...................................................................................................................... 20
3.5 Fondi europei e frodi .............................................................................................................................................. 21
CAPITOLO 4. LA MAFIA E I MEZZI DI COMUNICAZIONE: LA MAFIA DAL CINEMA ALLE SERIE TV........ 23
4.1 La Produzione Cinematografica ............................................................................................................................. 23
4.1.1 La produzione statunitense .................................................................................................................................. 23
4.1.2 La produzione italiana ......................................................................................................................................... 24
4.2 La Produzione Televisiva ....................................................................................................................................... 26
CAPITOLO 5. COMPORTAMENTI E CULTURA CONTRO LA MAFIA .................................................................. 28
5.1 Modi di essere e di fare: il “pensare mafioso” ........................................................................................................ 28
5.2 Sicilia non è sinonimo di mafia .............................................................................................................................. 29
5.3 Gli invisibili............................................................................................................................................................ 29
5.4 La speranza da una presa di coscienza ................................................................................................................... 31
CAPITOLO 6. LE POSSIBILI SOLUZIONI ALLA MAFIA .......................................................................................... 31
6.1 Dalla confisca alla gestione .................................................................................................................................... 32
6.2 Le mafie restituiscono il maltolto ........................................................................................................................... 33
6.3 Movimenti antimafia .............................................................................................................................................. 33
6.4 Nascita del progetto “Casa Nostra” ........................................................................................................................ 34
6.4.1 Realizzazione del progetto .................................................................................................................................. 35
6.4.2 Le attività............................................................................................................................................................. 35
CONCLUSIONI ............................................................................................................................................................... 37
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INTRODUZIONE
Oggi è sempre più forte la domanda di impegno per la legalità proveniente dalla società civile, in
particolare dal mondo della scuola e dell‟associazionismo. Subito dopo le stragi palermitane del
1992, si è avvertita nella società italiana la crescita di una maggiore coscienza che le mafie
costituiscono una seria minaccia all‟ordine democratico di tutta la nazione e non solo di alcuni dei
suoi territori. Le mafie esistono e sono un fenomeno complesso. Esse, infatti, svolgono una
funzione economica, politica e sociale, alle quali abbiamo il dovere di contrapporre con
determinazione un‟azione integrata sul piano della repressione giudiziaria, del risanamento e della
difesa dell‟economia e, infine, del sociale. Così come è fondamentale catturare i latitanti, fare i
processi e sottoporli al carcere duro, ai mafiosi è altrettanto importante confiscare le ingenti
ricchezze, mobili e immobili, di cui dispongono, frutto della vendita di stupefacenti a migliaia di
giovani, del traffico di armi, del contrabbando di sigarette, delle estorsioni e dell‟usura e, dal
traffico di esseri umani. Ricchezze frutto di violenza, sopraffazione, morte che, grazie alla legge n.
109 approvata dal Parlamento italiano nel 1996, possiamo ora destinare per fini sociali,
trasformando questi beni in scuole, centri sociali, caserme di polizia, comunità di recupero per tanti
giovani ed anziani in difficoltà.
La mafia non è solo un insieme di organizzazioni criminali: è anche cultura. Una cultura che fonda
e regola le relazioni personali sull‟esercizio sistematico della violenza e dell‟intimidazione,
sull‟omertà, sulla segretezza, sulla trasformazione dei diritti in favori, dei cittadini in sudditi. La
cultura del privilegio e il disprezzo per la vita sono finalizzati alla rapida realizzazione di ingenti
profitti. La forza di un mafioso è direttamente proporzionale alla quantità di ricchezza di cui
dispone. Lottare contro Cosa Nostra, la Camorra, la „Ndrangheta, la Sacra Corona Unita, la Stidda e
le nuove mafie (albanese, russa, turca, nigeriana, ecc.), ci deve vedere impegnati anche nella
promozione e nella diffusione di una cultura della legalità e della solidarietà, che veda tra i suoi
principali destinatari i giovani del nostro Paese.
Giuseppe Lumia
Presidente della Commissione parlamentare
antimafia
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CAPITOLO 1. LE ORIGINI DELLA MAFIA: DAGLI ANNI 50 AGLI ANNI
89 -90
1.1 I diversi tipi di mafia
La mafia è un‟organizzazione criminale molto particolare: non si limita a compiere atti illegali, ma
punta alla gestione del potere e al controllo del territorio e della società, contando su legami di
sangue. Per questo è molto difficile combatterla, perché dietro la mafia c‟è una mentalità che
cambia e peggiora la società. In molte zone dove la mafia ha potere, la complicità dei cittadini che,
pur non compiendo niente di illegale, nei fatti va ad alimentare le azioni criminali della mafia
(omertà = il silenzio di chi non denuncia i criminali).
In Italia ci sono diversi tipi di mafia, secondo la provenienza regionale. In Sicilia la mafia locale si
chiama Cosa Nostra, molto presente anche negli Stati Uniti. Ha avuto un grande potere soprattutto
nel passato, ma negli anni più recenti lo Stato ha registrato alcuni successi che fanno sperare in un
ridimensionamento, soprattutto dopo le grandi stragi di mafia del 1992 e del 1993. Grande anche la
reazione di contrasto della società civile siciliana, dove sono sempre di più i cittadini che si
oppongono al potere mafioso. In termini economici “Cosa Nostra” ha un giro di affari di circa 13
miliardi di euro l‟anno.
In Calabria c‟è la „ndrangheta, mafia che è diventata molto ricca e potente con i sequestri di
persona e che ha investito poi questi proventi nel traffico della droga. Oggi la „ndrangheta è la più
potente organizzazione internazionale del traffico della cocaina, e si è insediata anche fuori della
Calabria. Le “ndrine” (famiglie mafiose) sono presenti ormai anche nel Nord Italia, dove
controllano alcuni settori dell‟economia (come l‟edilizia), e in altre parti del mondo. La „ndrangheta
ha un giro di affari di oltre 44 miliardi di euro, il 2,9% del Pil italiano.
La camorra è la mafia che soffoca Napoli e la Campania, ma che si è estesa anche in altre zone
d‟Italia. Le attività camorristiche sono legate al traffico della droga, al riciclaggio del denaro
sporco, al traffico d‟armi. Il giro di affari della camorra è di circa 12 miliardi di euro.
In Puglia c‟è la Sacra Corona Unita, organizzazione che negli ultimi anni è stata molto indebolita.
Si ritiene che il giro d‟affari sia di circa 2 miliardi di euro l‟anno.
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1.2 Dall‟unità d‟Italia ai giorni nostri
Brigantaggio e mafia non possono essere mescolati e confusi, anche se fra i due fenomeni ci sono
diversi punti di contiguità. Il brigantaggio fu dettato dalla fame, dalla necessità di sottrarsi
all‟obbligo di leva istituito dal governo Sabaudo e può essere, almeno in parte, addebitato ai
“piemontesi”. Sicuramente la stessa cosa non si può affermare per la mafia, anche dopo l‟unità ci fu
un “salto di qualità”. La mafia diventò un mezzo di crescita sociale, economica e politica. Ad essa si
aggregarono i rappresentanti più spregiudicati della borghesia agraria emergente (quella che si era
comprata le terre dei feudi o della chiesa) e i rappresentanti più rozzi e conservatori della vecchia
nobiltà. Ovviamente furono assoldati, come manovalanza le classi subalterne (contadini e
braccianti) accecati dal miraggio di una facile ricchezza. L‟Unità d‟Italia non si può certamente
considerare responsabile della nascita di nessuno dei due fenomeni (entrambi storicamente
antecedenti) ma è altrettanto certo che ai “piemontesi” ed alla miope politica di promesse mancate
può essere attribuita sia l‟esplosione del brigantaggio, sia il “salto di qualità” che fece la mafia
quando i piemontesi, impotenti a governare direttamente il territorio, ritengono più semplice farlo
mettendo a capo dei municipi i "capi-rais" o personaggi indicati da questi favorendo il dilagare della
corruzione, degli intrallazzi e della guerra tra bande criminali. È proprio dall‟Unità d‟Italia che
comincia a crearsi quell‟inestricabile intreccio fra mafia e politica che nessun governo (o regime) ha
mai saputo (o “voluto”) debellare.
Il nuovo ceto politico capisce che gli conviene fare patti di mutuo interesse con il mafioso locale.
Questi amministra la sua giustizia, anche sommaria, risolvendo problemi che l‟amministrazione
venuta dal nord non riesce a capire e ad inquadrare; sopperisce, col suo paternalismo interessato, a
risolvere problemi che lo Stato invece accentua e, agli occhi del popolano più misero, risulta quindi
più efficiente e "giusto". I notabili locali e le nuove classi dirigenti si adattarono presto alle nuove
regole, divennero presto convinti fautori, per proprio tornaconto, dell'annessione al Regno
piemontese, alcuni anche per mantenere i vecchi privilegi che avevano temuto di perdere con la
scacciata dei Borboni. Perfino la tardiva distribuzione delle terre del latifondo e dei feudi
ecclesiastici, iniziata nel 1861, a gente troppo misera, che finiva con l'indebitarsi per acquistare le
sementi ed era costretta a svendere le terre stesse per debiti, sortì solo l'effetto di riformare i
latifondi con nuovi proprietari ed acquirenti e, per giunta, a prezzi stracciati. Il romanzo "Il
Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, "I Viceré" di Federico de Roberto illustrano molto
bene gli eventi di questo periodo. Fin dagli albori dell‟unità d‟Italia la Sicilia, sebbene fornisse
all'Italia una parte importante dei quadri politici, funzionari numerosi e sovente ottimi, rimaneva a
sua volta sotto-amministrata, così come lo era sotto i precedenti regimi. Esattamente come oggi,
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come se “centocinquanta anni” fossero passati senza lasciare traccia! Ma l'assenza di una classe
dirigente valida e ben determinata, che sapesse comprendere e soddisfare le esigenze ed il
malcontento del popolo, ha contribuito a far nascere una profonda sfiducia e diffidenza nei
confronti dello Stato centrale che ancora oggi è facile percepire.
Il nuovo governo piemontese si sovrappose, infatti, ad una struttura sociale meridionale già
profondamente radicata nel tessuto sociale, senza riuscire ad interagire positivamente con essa.
Nel 1892 in Sicilia i braccianti, i minatori ed alcuni gruppi di operai si organizzarono nei “fasci dei
lavoratori” che diedero vita ad una serie di lotte che durò fino all‟anno successivo quando fu
dichiarato lo stato d‟assedio: i fasci furono sciolti e i capi incarcerati.
La distruzione dei “fasci dei Lavoratori” fece ricadere i contadini in quasi pieno Medioevo; lo stato
italiano si stava dimostrando peggiore di quello Borbonico. Nelle campagne i grossi latifondisti, che
avevano detenuto interamente il potere fino a quel tempo, cominciarono ad aver bisogno sempre più
di qualcuno che garantisse loro un controllo effettivo delle proprietà, sia per difendersi dal
brigantaggio, sia per resistere alle nascenti pretese delle classi contadine per una più equa
distribuzione del prodotto del loro lavoro. Questo ruolo, anziché affidarlo alla classe borghese
imprenditoriale con l‟aiuto dallo stato, venne più comodo demandarlo ai "campieri" (perché
controllavano i campi) o "gabelloti", in quanto riscuotevano, per conto del padrone, le "gabelle".
Quindi, fin dal principio, la mafia si delinea come un'organizzazione che assume dei ruoli pubblici
per eccellenza, che altrove sono di competenza dello Stato. Per conquistarsi questo ruolo i mafiosi
ebbero, fin dalle origini, contatti molto stretti con il potere pubblico. A quell'epoca le collusioni più
evidenti erano con il corpo dei "militi a cavallo", una forza di polizia addetta al controllo delle
campagne.
Il mafioso si inserì, con un‟attività tipicamente parassitaria, nel rapporto fra contadini e proprietari
terrieri. Si sostituiva al proprietario lontano dalla terra fino a soppiantarlo totalmente nell‟esercizio
dei suoi diritti e lo ricattava, imponendogli come prezzo dei suoi servizi e della sua stessa presenza,
un‟assoluta libertà d‟azione nei confronti dei contadini. In compenso il mafioso, attraverso
un‟articolata rete gerarchica di personaggi che andavano dall‟amministratore al gabellotto e al
campiere, difendeva il proprietario dalle rivendicazioni contadine e gli assicurava il lavoro di
braccianti male remunerati e il tranquillo godimento delle rendite del feudo.
La mafia divenne uno dei mezzi più efficaci per il mantenimento effettivo dell‟ordine e
dell‟equilibrio sociale, sicché le autorità istituzionali si dimostrarono indulgenti nei suoi confronti
legittimandola agli occhi della popolazione. Così andò formandosi uno stretto legame tra potere
mafioso e uomini politici che divenne una costante del panorama politico siciliano. Ma le
collusioni, anche allora, non si limitavano ai bassi livelli ma arrivavano a toccare le autorità
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prefettizie (che avevano allora molto più potere che oggi) e, segno di grande continuità con l‟oggi, i
politici. E‟del tutto naturale che il terreno per queste collusioni fosse più nelle città, dov‟era
concentrato il potere politico, che nelle campagne. In questo senso, di recente, S. Lupo ha sostenuto
che è un errore considerare la mafia delle origini soltanto come mafia rurale, in quanto il ruolo delle
città, come luogo politico e commerciale, era invece molto importante. In Tale condizione i siciliani
all‟ingiustizia statale cominciarono a preferire la giustizia semplice e, ai loro occhi, efficace di
organizzazioni settarie come la “mafia” ("l‟onorata società" che almeno in quel periodo talvolta
tolse al ricco e diede al povero).
La mafia che si sviluppò nella parte occidentale dell‟Isola era società segreta in cui regnava
l‟illegalità e in cui il coraggio individuale suscitava il favore e la stima. Di fronte ad uno Stato
estraneo e ostile, si cercava sicurezza e protezione nei clan familiari che divenivano sempre più
potenti.
Contemporaneamente le politiche protezioniste adottate per favorire lo sviluppo dell'economia
industriale del Settentrione colpirono duramente il Mezzogiorno, causando la massiccia
emigrazione che si verificò dopo l'Unità d'Italia. Questa emigrazione si accentuò agli inizi del '900 a
causa della grave crisi agricola, un‟imponente massa di contadini meridionali e in particolare
siciliani emigrò nel "Nuovo Mondo", soprattutto negli USA. Lasciare la propria patria comportava
l'inserimento in una realtà culturale profondamente diversa; significava accettare i lavori più umili, i
salari più modesti e il disprezzo di chi considerava lo straniero un concorrente sul mercato del
lavoro.
A ciò si aggiungeva la mancanza di sostegno da parte dello Stato, per cui ogni emigrante fu spesso
costretto ad appoggiarsi, in un mondo estraneo ed ostile, ad organizzazioni di mutuo soccorso fra
corregionali che spesso defluivano in associazioni a delinquere. Emigravano prevalentemente gli
uomini (donne e bambini, cioè, restavano in Italia) che si dedicavano ai lavori di tipo operaio con
un unico intento: il guadagno. Così si spiega l‟incredibile flusso di “rimesse”, di denaro cioè inviato
in patria dagli emigranti, flusso che rappresentò una straordinaria risorsa per l‟economia italiana
permettendo al paese acquisti di materie prime e pagamenti di debiti internazionali. Questo
fenomeno è vissuto, oggi, con le stesse caratteristiche, dalle popolazioni extracomunitarie che per
motivi analoghi fuggono dai loro paesi con la speranza di una vita dignitosa. E‟ in questa maniera
che la mafia venne trapiantata negli Stati Uniti dove trovò terreno fertile per un profondo
attecchimento assumendo ben presto caratteristiche gigantesche. (“mano nera" o "Cosa Nostra"). Il
flusso migratorio verso i paesi americani fu interrotto dal Governo italiano in seguito allo scoppio
della prima guerra mondiale perché servivano giovani per mandarli al fronte.
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Nel corso della storia siciliana mafia e criminalità organizzata si sono mostrate profondamente
intrecciate con le vicende del potere isolano (e non solo) in maniera organica e permanente. La
persistenza di questo intreccio (mafia e politica) a fini di potere e di arricchimento economico ha
rappresentato un fattore di resistenza alla modernizzazione della Sicilia. Nel primo decennio del
Novecento Giovanni Giolitti, lo statista più “longevo” della storia recente dell‟Italia, si giovò
dell‟operato degli “uomini d‟onore” (i gentiluomini) per rafforzare il controllo governativo
dell‟elettorato meridionale, specie nelle campagne. Nel primo dopoguerra la Sicilia era controllata
dalla mafia che, approfittando della confusione e del vuoto di potere seguiti alla guerra, aveva
allargato la propria influenza, avendo beneficiato, durante il periodo bellico, dell‟affluenza di
disertori nelle file dei briganti. La mafia così rappresentò uno Stato nello Stato. Questo stato di cose
portò così anche alla negazione che la mafia, come organizzazione delinquenziale, esistesse. Lo
stesso Vittorio Emanuele Orlando, in occasione delle elezioni amministrative palermitane del 1925
affermava: “Ora io vi dico che se per mafia si intende il senso dell‟onore portato fino
all‟esagerazione, l‟insofferenza contro ogni prepotenza e sopraffazione, portata sino al parossismo,
la generosità che fronteggia il forte ma indulge al debole, la fedeltà alle amicizie, più forte di tutto,
anche della morte, se per mafia si intendono questi sentimenti e questi atteggiamenti, sia pure con i
loro eccessi, allora in tal segno si tratta di contrassegni indivisibili dell‟anima siciliana e mafioso mi
dichiaro e sono lieto di esserlo!”
Durante il regime fascista la mafia siciliana fu sottoposta a severissime misure repressive.
Memorabile fu l‟opera svolta dal prefetto Mori che costrinse numerosi mafiosi a trasferirsi negli
Stati Uniti. Ma quando Mori tentò di colpire i legami fra mafia e politica (il deputato fascista
Alfredo Cucco, leader del fascismo siciliano, fu costretto alle dimissioni), egli stesso diventò un
personaggio scomodo per il fascismo e venne rimosso dal suo incarico.
Le cose cambiarono nuovamente in occasione dello “Sbarco in Sicilia” (II° guerra mondiale). Lo
sbarco anglo-americano in Sicilia avvenne non senza aver preventivamente stipulato solidi rapporti
tra mafia siciliana e mafia americana. Il superboss mafioso Lucky Luciano e altri grossi esponenti
della malavita collaborarono attivamente allo sforzo bellico degli Stati Uniti durante la seconda
guerra mondiale. Tale collaborazione si estese, successivamente, per la pianificazione militare dello
sbarco in Sicilia, attraverso l‟indicazione di contatti sull‟isola che avrebbero facilitato l‟offensiva
nei territori occupati. Alla fine della campagna militare agli Alleati si presentò il problema
dell‟amministrazione dell‟isola. Molti mafiosi riuscirono ad inserirsi nei posti chiave del governo
siciliano: Don Calogero Vizzini (sindaco di Villalba), Salvatore Malta (sindaco di Vallelunga);
Genco Russo, Damiano Lumia, Max Mugnani (da trafficante di droga si vedrà investito della carica
di depositario dei magazzini farmaceutici americani in Sicilia), Vincenzo De Carlo (controllo degli
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ammassi di grano). E‟ in questo periodo che si registra una folgorante ripresa della mafia. La sua
riorganizzazione ebbe un solido sostegno economico nei profitti ottenuti con il mercato nero e con
altre illecite attività, sviluppate grazie alla benevolenza del governo militare anglo-americano. La
mafia in questo modo riuscì ad uscire dalla clandestinità in cui era stata relegata dal regime fascista,
ottenendo una legittimazione del proprio potere rapportato non più sul solo piano locale, ma su
quello nazionale e internazionale. L‟agitato periodo post-bellico offrì alla mafia l‟opportunità di
rinforzarsi e di estendere i suoi interessi fino ad occuparsi dello spaccio di droga e del racket del
commercio, nel mercato generale, nell‟industria e nell‟edilizia. Negli anni '60 una nuova mafia più
spietata e sbrigativa di quella tradizionale cominciò a contendere alla mafia "storica" il controllo del
territorio.
Le numerose cosche mafiose entrarono in guerra tra loro in un crescendo di violenza,
contraddistinta da numerosi delitti "trasversali" (per punire o eliminare intere famiglie).
Durante gli anni '80 la mafia ha incrementato ulteriormente il suo potere nonostante l‟infaticabile
opera degli organi di polizia e della Magistratura. Numerosi investigatori e magistrati hanno pagato
con la vita il loro impegno professionale e civile contro la "Mafia". Le analisi moderne del
fenomeno della mafia la considerano, prima ancora che un‟organizzazione criminale, una
"organizzazione di potere"; ciò evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto
nei proventi delle attività illegali, quanto nelle alleanze e collaborazioni con funzionari dello Stato,
in particolare politici, nonché del supporto di certi strati della popolazione. Di conseguenza il
termine viene spesso usato per indicare un modo di fare o meglio di organizzare attività illecite. La
storia della mafia, dei suoi atroci crimini, dei politici collusi e degli “onorevoli servitori dello stato”
che per il bene di noi tutti hanno perso la vita (Impastato, Falcone, Borsellino) è una storia lunga,
interminabile.
1.3 Il ruolo delle donne
Parlando di donne e criminalità organizzata, delle "mafie", non si può chiedere o pretendere il
riconoscimento di una qualsiasi novità o originalità, piuttosto quello che si deve riconoscere, é lo
sforzo, la fatica di penetrare un mondo che è sempre stato negato e disconosciuto alle donne: quella
della piena responsabilità civile e penale, il diritto alla cattiveria. Per secoli alle donne è stato negato
questo "diritto", l‟aggressività, la colpevolezza, il reato compiuto dalle donne doveva essere frutto
di "pazzia", stato di follia e di eccitamento, o di subordinazione. Incapaci o pazze. I secoli ci hanno
abituati ad opporre all'immagine di un uomo aggressivo e combattivo quello di una donna non
aggressiva e dall'indole pacifica. Abbiamo avuto bisogno del femminismo prima e delle
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psicoanaliste poi, per affermare che anche la guerra appartiene al sesso femminile, e che
l‟aggressività è delle madri.
Accettate ed accertate queste responsabilità, assumerla è un processo lungo oltre che faticoso,
perciò la maggior parte dei testi e delle ricerche che hanno attraversato la condizione delle donne ed
il rapporto delle donne con queste forme di criminalità sono state acritiche e descrittive,
agiografiche o colpevoliste. E' difficile ammettere che le donne ci sono e con modalità diverse da
quelle maschili, però concordemente elaborate e vissute.
Nella società calabrese il diritto, l'elaborazione della legge e la sua amministrazione interna sono
affidate alle donne: sono patrimonio delle madri, è loro la responsabilità, l'incarico di mantenere il
rispetto del padre e la prosecuzione della faida: vendetta e omertà sono affidate e gestite dalle
donne, perché la tradizione e la custodia della memoria dei morti sono delle donne. E' un intreccio
sado-masochista che si costruisce con la convivenza dei due sessi e che mentre esalta la forza e la
virilità del maschile costringe il femminile all'abbandono dell'intelligenza e della libertà al
nascondimento nella seduzione e nella subordinazione.
1.4 Eucaristia mafiosa
Emerge un elemento fortemente ricorrente, quello del rapporto tra Chiesa e mafia. Nelle parole
delle donne, nelle intercettazioni che riguardano gli uomini di mafia, nelle relazioni esterne, nei
documenti ufficiali emergeva questo connubio inquietante. Possiamo chiederci come sia possibile
appartenere alla mafia, e quindi uccidere e fare della violenza uno strumento per ottenere profitti, ed
essere effettivamente religiosi. Troppo facile spiegare il tutto dicendo: “non sono veri religiosi”.
Questa non è una vera spiegazione. Un elemento curioso è che la “confessione” gli uomini d‟onore
non la facevamo mai direttamente, ma la facevano fare alle loro donne. Erano le mogli che si
recavano al confessionale, oppure, quando erano loro ad andare, ricorrevano a una formula
standard: “Padre, mi assolva”, “Cosa hai fatto figliolo?”, “Niente, sono innocente come Gesù
Cristo”. E la confessione finiva così.
Un altro esempio è offerto dalle intercettazioni di Guttadauro, aiuto primario in uno degli ospedali
di Palermo, e capo mafia a Brancaccio: la mattina si dedicava a ricevere i mafiosi, nel pomeriggio i
politici di turno, e la sera istruiva il delfino che avrebbe dovuto sostituirlo, invitandolo a confessarsi,
ma raccomandandogli di scegliere il sacerdote giusto. Gli racconta: “Sai cosa mi è successo? Un
giorno mi sono andato a confessare e il sacerdote mi ha detto che esiste il peccato di mafia. Questa
cosa non l‟avevo mai sentita. Quindi, prima di andarti a confessare, devi trovare il soggetto giusto”.
Questo per rilevare la stretta relazione che esiste tra dimensione mafiosa e dimensione religiosa.
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Analogamente, dalle intercettazioni che hanno preceduto l‟arresto del sacerdote carmelitano padre
Frittitta, si evince che il prete andava a celebrare la messa nel covo di Pietro Aglieri, detto il
Signorino, capo mandamento di una delle zone più mafiose di Palermo, il quale si era costruito una
cappella interna; quando padre Frittitta è stato arrestato e gli è stato chiesto perché avesse
confessato Aglieri e gli avesse dato l‟Eucarestia, ha dichiarato: “Non l‟ho confessato perché lui mi
ha detto che era stato già confessato”. Padre Frittitta è stato assolto in Cassazione dall‟accusa di
favoreggiamento alla mafia. Sempre da intercettazioni, viene definito “l‟uomo giusto: se fossi stato
sacerdote anche io sarei stato come lui, non si spaventa di niente”.
Da una parte ci sono i mafiosi: perché i mafiosi sono religiosi? Dall‟altra c‟è la Chiesa: come può la
Chiesa tollerare la presenza della mafia all‟interno delle sue liturgie? Come mai la Chiesa non ha
espresso una posizione unitaria nei confronti del fenomeno mafioso? Riguardo al primo punto –
perché i mafiosi sono religiosi – esistono diverse ragioni. Innanzitutto, una ragione di carattere
interiore. Gaspare Mutolo, killer di Partanna Mondello, che ha ucciso più di 20 persone, ha
dichiarato: “Noi mafiosi siamo religiosi perché siamo anche noi fatti di carne e di ossa. Lo sa cosa
volevo fare da bambino? Il missionario, perché volevo aiutare la gente”. Un altro collaboratore,
Francesco Paolo Anzelmo, diceva: “A me non piaceva stare dentro la mafia, e sa cosa facevo per
continuare a uccidere le persone? Andavo in chiesa e chiedevo ogni volta alla Madonna il coraggio
di andare avanti”. Questo a livello individuale. Poi c‟è il livello dell‟organizzazione criminale: la
dimensione religiosa diventa un elemento fondamentale di appartenenza e d‟identità. Come mai
Bernardo Provenzano usa la Bibbia per comunicare? Perché la Bibbia costituisce un punto di vista
culturale a cui tutti possono attingere, dà credibilità all‟organizzazione, offre un repertorio di idee.
In un‟organizzazione entrata in crisi dopo le stragi, l‟atteggiamento e lo stile di leadership di
Provenzano, con il suo uso delle citazioni bibliche, ha offerto all‟organizzazione un luogo dove
potersi ritrovare. Un altro elemento è quello strumentale. È emerso chiaramente negli ultimi anni
che la mafia non è forte quando spara, ma quando non ha bisogno di farlo, quando ha il consenso,
quando normalizza l‟illegalità. Quindi, in un contesto come quello siciliano, cosa può rappresentare
un elemento di normalizzazione e di consenso più della Chiesa? Ho raccolto tante testimonianze che
datano sin dalle origini del fenomeno mafioso. Quando vediamo che, nel 2005, durante la festa di
Sant‟Agata a Catania, i membri del clan Mangion Santapaola sono sul fercolo della santa o che si fa
deviare il percorso della processione per passare sotto la casa di Mangion, che era stato appena
rilasciato, perché la santa desse il benvenuto al capomafia tornato a casa, capiamo che non si tratta
di un elemento di folclore, come è stato detto qualche volta, ma di una forma importante di
legittimazione. Se tutto questo è accaduto, mi sono chiesta, è perché i mafiosi sono estremamente
intelligenti e hanno usato una strategia comunicativa efficace? Purtroppo le cose non stanno così:
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c‟è anche l‟altra faccia della medaglia. Se i mafiosi avevano tutte le ragioni per voler saldare questo
patto con la Chiesa, che ragioni aveva la Chiesa per legittimare i mafiosi? Perché, in effetti, è quello
che ha fatto per tanto tempo. Anche in questo caso le ragioni sono molteplici. Una prima ragione è
data da motivi di carattere economico. Negli anni ‟40 alcuni mafiosi americani riciclavano il denaro
sporco attraverso donazioni alle varie confraternite e chiese. Queste elargizioni in denaro hanno
costituito un legame economico che per molti anni una parte della Chiesa non ha rifiutato. Il
collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia ha raccontato di come loro, attraverso Sindona
e il gruppo Bontade, così come Riina attraverso Gelli, facessero i loro investimenti nelle banche
vaticane. Queste non sono favole, ma fatti concreti. In generale, c‟è un elemento di scarsa
conoscenza e di sottovalutazione del fenomeno mafioso. A cosa è dovuta questa sottovalutazione
della pericolosità della mafia? Possiamo fare delle ipotesi. Pensiamo alla vicenda del card. Ruffini,
che, all‟indomani della strage di Portella della Ginestra del primo maggio 1947, in cui furono uccise
12 persone e diverse decine rimasero ferite, disse la stessa cosa che Andreotti ha recentemente
affermato su Ambrosoli, “se l‟è andata a cercare”: “Come vescovo non posso certo approvare le
violenze da qualunque parte provengano, ma è un fatto che la reazione all‟estremismo di sinistra
stia assumendo proporzioni impressionanti. Del resto, si poteva ritenere inevitabile la reticenza e la
ribellione di fronte alle prepotenze, alle calunnie, ai sistemi sleali dei comunisti”. In sostanza, se la
sono voluta loro se li hanno uccisi. È necessario operare una distinzione tra la Chiesa dei documenti
ufficiali e la Chiesa dei singoli soggetti. Prima si accennava al card. Pappalardo: anche la sua è stata
una vicenda altalenante. Sotto pressioni locali forti, il cardinale disse esplicitamente, in occasione
della celebrazione del maxi processo: “Maxi processo è una brutta espressione, un termine
mercantile: lo fa diventare una cosa spettacolare”. Poi proseguì dicendo: “Siete voi che mi avete
attribuito l‟etichetta di vescovo antimafia, la mafia è solo una delle cose di cui mi occupo, una di
quelle marginali, può rappresentare il 2% della mia attività di vescovo”. Se andiamo a sentire cosa è
stato detto durante l‟omelia dei funerali di Vito Ciancimino, ci rendiamo conto di quanto faccia
riflettere il fatto che il sacerdote celebrante possa dire di Ciancimino: “Ha fatto bene nella politica,
come nella vita privata”. E a chi gli chiedeva se era sicuro di ciò che aveva affermato, il prete ha
risposto: “Io non registro le omelie, non mi pare di aver detto così, comunque volevo dire che
Ciancimino ha impiegato le sue energie sia nella vita privata che nella politica, nulla più, qui non
c‟è nessuno da condannare. Mi interessava parlare dell‟uomo e dei suoi talenti, indipendentemente
da come li utilizza”. Di queste omelie, che cadono inosservate, ve ne sono tante.
In questo contesto, il lavoro di Libera e di don Ciotti rappresenta un‟eccezione, non solo per il suo
lavoro all‟in-terno della Chiesa, ma soprattutto per le alternative che offre a chi vuole veramente
impegnarsi nella lotta antimafia.
12
1.5 Fascino perverso della mafia
Da diversi anni a questa parte si assiste a qualcosa di particolare. Particolare ed al contempo
nefasto. Si assiste ad una forma di fascino. Il fascino della mafia. Un fascino che viene fuori in
innumerevoli occasioni. In parte è frutto dell‟influenza del cinema. Basti pensare alla trilogia del
padrino, girata tra l'altro meravigliosamente bene. Oppure a "quei bravi ragazzi" per finire alla serie
televisiva dei "soprano" o per rimanere a casa nostra "il capo dei capi". Parlare delle vicende dei
mafiosi e dei boss paga in termini di audience. Un mafioso od un narcos moderno mira ad
accrescere la propria popolarità anche riservandosi di far fare una fiction che ne narri le gesta. Basti
pensare al recente arresto del boss messicano "el chapo" tradito dalla voglia di avere una serie a lui
dedicata come quella, trasmessa in questo periodo, relativa alle gesta del colombiano Escobar. I
moderni mezzi social poi permettono di poter mostrare con relativa facilità, ed aggiungo io vanità, i
propri segni criminali conditi da un odio profondo per gli infami sbirri. Su facebook recentemente
qualcuno ha addirittura aperto una pagina dedicata al principale boss mediatico mafioso che l'intero
mondo non ha: Matteo Messina Denaro. Una delle componenti del fascino mafioso è che i mafiosi
sono persone con la testa alta. Danno lavoro...
Oggi gli antimafiosi sono out. Basti pensare ai videogiochi dove se cliccate la parola mafia o
yakuza ci sono diversi prodotti, tra l'altro validi, che fanno sembrare i malviventi dei fighi da
morire. Fascino e pubblicità progresso vanno a braccetto. Ed il web popola di utili idioti dei mafiosi
che cliccano migliaia di "mi piace". Siamo di fronte ad un moderno consenso social-mafioso. Siamo
di fronte ad un fascino perverso della mafia che purtroppo è duro a morire. Però la verità va detta. E
per gli accoliti dei mafiosi non è bella. La mafia non ha un fascino vero. La mafia inquina, uccide,
spaccia, traffica in organi, armi e persone. Sfrutta le donne ed i bambini. Presta i soldi a strozzo.
CAPITOLO 2. LA MAFIA NEL NOSTRO TERRITORIO – RAGUSA OLTRE LE
APPARENZE
La provincia di Ragusa, per dettagli storici legati alla non presenza della mano armata di Cosa
Nostra, si è meritata negli anni l‟appellativo di “babba” correlato all‟idea di un‟isola di purezza
all‟interno del contesto siciliano. Ma la logica spinge sempre più verso l‟opposta versione dei fatti
e, perfino, si arriva sostenere che la provincia di Ragusa non sia altro che una grande lavatrice, in
cui il denaro sporco viene reinvestito. Risulta, però, complicato riuscire a trovare il bandolo della
matassa in un contesto economico, quello ragusano, così tanto articolato e vario: basterebbe però
ricordare il boom della fine degli anni ‟70, con il pullulare di imprenditori di dubbia onestà. Si tratta
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del periodo in cui le famiglie mafiose del palermitano e del trapanese cominciano ad acquistare
ettari di terreno attorno ad Acate, Santa Croce, Vittoria e Comiso. Qualcuno racconta della presenza
di catanesi di massimo livello a Ragusa. Si racconta che Nitto Santapaola abbia fatto parte della
latitanza qui. Va detto che nel ragusano la mafia è una mafia esterna fatta di presenze forti.
Come scrive Carlo Ruta, saggista ragusano: “Nei decenni della Repubblica, Ragusa sicuramente è
stata una delle città meno investigata della Sicilia, e non si tratta di un caso...”. Ma se si prova ad
andare oltre le apparenze si intravedono i frutti ottenuti dalla criminalità organizzata e dalla
corruzione. Ragusa è ed è stata, corruzione, affari loschi, omertà, morte e delitto. Ciò che sta
emergendo, ai giorni nostri, è la presenza sempre più capillare di gruppi armati proto-mafiosi con il
proprio giro di estorsioni e racket, evidenziato dal recente arresto di 5 “stiddari”.
Questa mappa spiega la posizione geografica dei principali clan di cosa nostra e della stidda
con i rispettivi nomi, presenti nella provincia di Ragusa, in particolare nei comuni di Vittoria,
Acate. Comiso e Scicli.
2.1 La “Stidda” - definizione ed etimologia del termine
La “Stidda” è una costellazione di gruppi malavitosi diffusa nelle province di Agrigento,
Caltanissetta, Enna e Ragusa. Il termine Stidda, che in dialetto siciliano significa Stella, si pensa sia
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stato scelto in onore della santa protettrice del comune di Barrafranca in provincia di Enna, la
Madonna della Stella. Questo combacia con le dichiarazioni del pentito Antonino Calderone che
individuava proprio a Barrafranca il fulcro delle attività della costellazione e la presenza quindi di
una famiglia composta prevalentemente di ex membri appartenuti a cosa nostra. “Stidda” potrebbe
anche essere il nome di un tatuaggio fatto in carcere che gli stiddari porterebbero come segno
distintivo (cinque segni verdognoli disposti in cerchio a formare una stella fra il pollice e l‟indice
della mano destra).
Inoltre secondo il collaboratore di giustizia Leonardo Messina, di cui riportiamo le dichiarazioni,
nella metà degli anni ottanta numerosi mafiosi della provincia di Caltanissetta, che erano stati
espulsi dalle loro cosche, organizzarono dei propri gruppi criminali, assoldando specialmente bande
di microcriminalità minorile e malavitosi comuni:
«Le "stidde" sono un'espressione di Cosa Nostra. Un uomo messo fuori confidenza che punge altri
uomini diventa "stidda" [...] C'è stata una rottura perché in alcuni paesi si sono create due Famiglie.
Uno di questi paesi è Riesi, centro storico per Cosa Nostra. Si è creato un gruppo dietro Di Cristina
ed un gruppo dietro ai Corleonesi. Quelli di Di Cristina hanno creato il congiungimento di tutte le
"stidde". Prima la "stidda" non aveva agganci con tutti, mentre i riesani sapevano cosa vuol dire e
quanti uomini d'onore nei paesi erano messi fuori confidenza. A questo punto hanno aggregato a
loro Ravanusa, Palma di Montechiaro, Racalmuto, Enna ed altri paesi creando una corrente. Si
conoscono tra di loro, sono gli uomini d'onore, buttati fuori, che combattono Cosa Nostra; è la
stessa mafia e non un'altra organizzazione che viene da fuori».
2.1.1 Sviluppo della “Stidda” nel Ragusano
In principio a dar vita alla Stidda furono gruppi criminali legati al mondo della pastorizia, tutti
formati da giovanissimi. I principali paesi dove nacque furono Palma di Montechiaro e Canicattì
nell'Agrigentino, Gela, Niscemi e Riesi nel Nisseno e Vittoria nel Ragusano. La Stidda si interessa
in primo luogo di attività quali lo spaccio di sostanze stupefacenti anche se non mancano nella
storia vari tentativi falliti di infiltrazioni nella classe dirigente da parte dei membri della cosca. Altra
attività tipica è il pizzo, che impedisce gravemente lo sviluppo economico e sociale del territorio,
diffuso prevalentemente nelle zone di Gela e Vittoria. Queste attività, insieme a quelle di cosa
nostra contribuiscono tutt‟ora allo sviluppo mafioso a Ragusa.
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2.2 La Mafia infrange “l‟innocenza” di Ragusa
Delitto Tumino – Spampinato
La Ragusa ufficiale ha dato esempio della propria identità e dei propri stili nei primi anni ‟70,
quando i delitti Tumino e Spampinato infransero la vantata “innocenza” della città. Cronista
brillante e scrupoloso, Giovanni Spampinato (figura molto simile a quella di Peppino Impastato),
corrispondente da Ragusa del quotidiano l‟Ora di Palermo, aveva svolto inchieste a Ragusa,
Siracusa e Catania sulle sospette attività di neofascisti locali.
Il 25 febbraio 1972 a Ragusa fu assassinato il costruttore
Angelo Tumino, delitto di cui Spampinato si occupò fin
dall‟inizio finendo sulle tracce di Roberto Campria, un
collezionista d‟armi, figlio dell‟allora presidente del
tribunale cittadino. Nei mesi seguenti Campria,
protestandosi vittima di assurdi sospetti, cercò di farsi
scagionare dal giornalista. Ma Giovanni Spampinato
continuò a scrivere di atipicità del delitto Tumino, traffici di
materiale archeologico, armi e droga, presenze di mafiosi e
di superlatitanti. La sera del 27 ottobre Campria attirò in
periferia Spampinato, che aveva 26 anni, e lo uccise a
revolverate. Subito dopo si costituì dicendo di avere agito in un impeto d‟ira perché ingiustamente
accusato da Spampinato in diversi articoli. L‟omicida venne condannato a 14 anni di reclusione, ma
ne scontò solo 8. Questo fu uno dei primi casi delittuosi della mafia nella nostra provincia. Ne seguì
lo sviluppo anche in diversi ambiti come la corruzione all‟interno dell‟ambiente carcerario.
I capimafia Rimi di Trapani agiscono direttamente dal carcere di Ragusa.
Non esisteva mafia nell‟est siciliano del secondo dopoguerra, a detta dell‟Antimafia del tempo. Ma
allora come è stata possibile l‟ininterrotta opera dei boss Trapanesi, Vincenzo e Filippo Rimi, dalla
favorevole postazione del carcere di Ragusa? Per quale motivo proprio a Ragusa, questi, potettero
godere delle giuste coperture per rimanere insieme, padre e figlio, nonostante la loro condanna? I
Rimi costituivano, allora, una delle più importanti famiglie di mafia in Sicilia, furono più volte
denunciati quali organizzatori di importanti sequestri di persona ma godevano di forti agganci al
governo, in particolare nella Democrazia Cristiana. Proprio grazie a questi appoggi riuscirono a far
penetrare un membro della loro famiglia alla Regione Lazio grazie anche alla mediazione di un
magistrato ragusano. Per anni quindi, dopo la loro condanna riuscirono a mantenere la loro
posizione negli affari più importanti della Sicilia.
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Fra il febbraio 1970 e il marzo 1971, i Rimi condannati definitivamente all‟ergastolo, si trovarono
nel carcere di Ragusa, ma non per un caso. Avevano infatti fatto di tutto per giungere fin lì con
l‟aiuto dei massimi esponenti istituzionali dell‟epoca. Fu il presidente della Commissione
parlamentare antimafia ad inserire in un rapporto alcune stranezze che aveva scorto e che provavano
certe complicità tra i boss e le istituzioni del luogo. Attraverso un messaggio, del capo della
segreteria del sottosegretario alla Giustizia, mandato al direttore generale degli istituti di
prevenzione e pena possiamo scorgere le “cure” che venivano riservate ai detenuti Rimi: “Vengano
rivolte premure perché i detenuti Vincenzo e Filippo Rimi, rispettivamente padre e figlio, non siano
separati. I predetti sono attualmente ristretti a Perugia ed aspirano ad essere trasferiti a Ragusa…”.
Questo è soltanto uno dei numerosi messaggi acquisiti agli atti che testimoniano le attenzioni
riservate ai suddetti capimafia e che insieme ad una grande quantità di richieste di trasferimenti e
proroghe di soggiorni accettate a beneficio di Filippo Rimi per prendersi cura del padre
“gravemente malato”, permisero ai boss di esercitare il loro potere e di dirigere le attività illecite di
cosa nostra direttamente dal carcere. Un altro fattore determinante per favorire le attività dei Rimi
fu il ben noto sfruttamento privato del lavoro dei detenuti, fuori dalle mura del carcere. Fu tramite
alcuni detenuti che venivano mandati a fare lavori di potatura nei giardini antistanti l‟ingresso del
carcere, senza alcuna registrazione di entrata e uscita, che i Rimi potettero trarre beneficio nelle
comunicazione con l‟esterno.
Inoltre dal 2000 fino ad oggi la Mafia a Ragusa evolvendosi ha assunto sempre di più un aspetto
economico sia nel campo delle opere pubbliche sia nel commercio.
2.3 A Ragusa la mafia si nasconde dietro i soldi
A Ragusa la mafia non si vede ma si sente la puzza dei soldi sporchi, da un‟intervista ad un
colonnello della Guardia di Finanza emerge un incessante grido di protesta al fine di esercitare
un‟azione diretta sull‟attività disciplinare delle banche e per evitare il travisamento dei bilanci e le
operazioni rischiose fatte senza tenere conto delle quotazioni e della provenienza dei titoli. Le stesse
sono quindi tenute a denunciare operazioni sospette che si effettuano quotidianamente. Ad esempio
come, sul finire degli anni '90, in seguito a operazioni losche effettuate dal direttore di
un‟importante banca ragusana, un socio contestava l‟accaduto pagando, però, con l‟espulsione
dall‟organico e con gravissime ritorsioni personali sui figli. Con rammarico, si parla di poche
segnalazioni all‟anno e questo perché il soggetto bancario intraprende rapporti personali con il
“mafioso”. Ma sorge una domanda, come e chi ricicla a Ragusa? Il mito della Ragusa “babba” si
sgretola sempre di più, come ci fa notare il suddetto Colonnello, perché sì, il cittadino ragusano è
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solitamente per bene, lavoratore, non ha tendenze distruttive ma nel tempo, questo aspetto è stato
colto da gruppi criminali che hanno fiutato l‟affare che si poteva nascondere dietro questa
tranquillità che diversi autori e saggisti hanno evidenziato1.
2.4 Il pizzo – arresti al mercato ortofrutticolo di Vittoria
Su delega della procura distrettuale della Repubblica di Catania, i finanzieri del comando
Provinciale di Catania hanno arrestato due persone ritenute vicine alla Stidda e a Cosa Nostra e in
stretti rapporti d‟affari con il clan dei Casalesi. I due vengono accusati di estorsione aggravata dal
metodo “mafioso”, commessa all‟interno del mercato ortofrutticolo di Vittoria. Accadeva che gli
autotrasportatori, provenienti o diretti in Campania, venivano costretti a pagare una mazzetta tra i
50 e i 100 € per ogni operazione di carico/scarico dei prodotti ortofrutticoli. Le vittime delle
estorsioni erano terrorizzate perché i due erano legati a sistemi di mafia e camorra. Gli operatori
economici, costretti a pagare il “pizzo”, erano tenuti a corrispondere all‟agenzia dei criminali anche
una provvigione che veniva regolarmente fatturata.
Va ricordato che il mercato ortofrutticolo di Vittoria, secondo l‟ultimo rapporto sulle Agromafie,
presenta il più alto indice di infiltrazione mafiosa e, per la sua estensione e volume di
compravendite, è il secondo mercato agricolo d‟Italia. Si tratta, dunque, di una realtà economica di
primissimo piano che attrae fortemente le imprese mafiose.
CAPITOLO 3. EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI MAFIA – FRODI E FONDI EUROPEI
3.1 I “campieri”
Nel tipo di organizzazione illegale mafiosa, si sono verificati dei cambiamenti in corrispondenza di
mutamenti della società siciliana, o di avvenimenti storici di rilievo nazionale. Una delle
caratteristiche della mafia, infatti, è di essere sempre in relazione con la società che cambia. Da
questo punto di vista, la prevalente metafora della piovra mal si attaglia alla realtà mafiosa, in
quanto lascia pensare ad un potente animale in grado di immobilizzare la società che cattura. Invece
la mafia è forse meglio rappresentabile con l'immagine del parassita, o di un liquido che pervade di
sé l'intera società e ne segue l'evoluzione, adeguandosi ai tempi.
1 …diversi autori e saggisti hanno evidenziato: (vedi paragrafo 2) come Carlo Ruta scrive in “Ragusa sotto inchiesta, i
poteri forti e l’omertà”, Ed. le pietre, 23 Maggio 2005.
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Pur cambiando negli anni, tuttavia, la mafia conserva sempre alcuni caratteri specifici che ne fanno
un fenomeno storico ben individuato. Cerchiamo ora di approfondire l'evoluzione storica della
mafia, evidenziando i momenti sia di continuità che di cambiamento. L'Unità d'Italia in Sicilia
accelerò fortemente un processo di fine della struttura feudale delle campagne, nel momento in cui
integrò l'economia siciliana in quella del resto del paese. Inoltre, il nuovo governo piemontese si
sovrappose ad una struttura sociale siciliana senza riuscire ad interagire positivamente con essa.
Conseguenza di questi cambiamenti fu che nelle campagne i grossi latifondisti, che avevano
detenuto interamente il potere fino a quel tempo, cominciarono ad aver bisogno sempre più di
qualcuno che garantisse loro un controllo effettivo delle proprietà, sia per difendersi dal
brigantaggio, sia per resistere alle nascenti pretese delle classi contadine per una più equa
distribuzione del prodotto del loro lavoro.
Questo ruolo, venne assunto in Sicilia da alcuni personaggi che presero il nome di "campieri"
(perché controllavano i campi) o "gabelloti", in quanto riscuotevano, per conto del padrone, le
"gabelle". Quindi, fin dal principio, la mafia si delinea come un'organizzazione che assume dei ruoli
pubblici per eccellenza, che altrove sono di competenza dello Stato. Con alterne vicende, la
situazione descritta nel capitolo sulla mafia rurale andò avanti fino all'avvento del Fascismo.
Con il nuovo regime, divenne evidente che la funzione della mafia di concorrenza con i poteri dello
stato non poteva essere tollerata da un sistema di potere che dall'esercizio assoluto del monopolio
non solo della forza, ma anche del controllo sociale, traeva la sua ragion d'essere. Fu per questo che
mafia e Fascismo entrarono in rotta di collisione.
3.2 La mafia dei suoli urbani e nuova politica siciliana
Nel periodo del Dopoguerra, la società siciliana subì una profonda trasformazione, con una netta
riduzione del peso dell'agricoltura nell'economia regionale. La mafia, com'è sua caratteristica, si
adeguò a questa evoluzione, andando ad occupare, in posizione parassitaria, i nuovi campi
socialmente ed economicamente predominanti: la crescita edilizia, il commercio (in particolare
quello all'ingrosso dei prodotti agricoli) e il terziario pubblico.
La mafia strinse così un patto di ferro con la classe politica dominante in Sicilia, che faceva capo
soprattutto alla Democrazia Cristiana, ed in particolare alla corrente di Giovanni Gioia (leader Dc in
Sicilia, e più volte ministro), e dei suoi luogotenenti Salvo Lima e Vito Ciancimino. Il gruppo
dirigente democristiano in Sicilia gestì una quantità di risorse e di opportunità economiche nella
regione in grado di rivoluzionare l'intero assetto sociale dell'isola. In primo luogo si trattava dei
finanziamenti pubblici alla Regione autonoma Sicilia, destinati a finanziare gli enti economici
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regionali per la gestione dell'agricoltura, delle foreste, degli acquedotti, dell'edilizia popolare, delle
finanze, ecc…
La seconda grossa opportunità economica gestita dal potere politico fu quella dell'espansione
edilizia dei comuni, ed in particolare di Palermo. Il capoluogo regionale conobbe negli anni
Cinquanta un'espansione straordinaria, dovuta specialmente alla crescita della burocrazia regionale
e comunale. Ciò comportò la necessità di costruire interi nuovi quartieri, e l'opportunità di fare
ottime speculazioni sui suoli urbani. Se infatti alcuni mafiosi, o altri amici dei politici, acquistavano
dei terreni fino ad allora agricoli, ed in seguito un assessore compiacente trasformava quei terreni in
edificabili, il profitto poteva essere enorme. Oltre a ciò, tutti gli appalti per i servizi di pulizia,
illuminazione, fognature del comune venivano affidati a personaggi di confine, legati alla mafia e
vicini anche agli stessi politici, quali l'imprenditore Francesco Vassallo.
Lo stesso Ciancimino, al momento del suo arresto, fu trovato in possesso di importanti
partecipazioni in società che avevano rapporti privilegiati con il comune di Palermo, oltre ad essere
titolare di conti correnti miliardari in Svizzera e in Canada.
In questo periodo la mafia si dedica, oltre a questi molteplici intrecci con il potere politico, ad altre
attività criminali, quali il contrabbando ed il racket, ovvero la richiesta di somme di denaro (il
cosiddetto "pizzo") agli imprenditori sia commerciali che industriali, in cambio di protezione.
Quest'ultima funzione della mafia rimane ancora oggi come molto importante, e non tanto perché
consente elevati profitti, quanto perché è forse l'attività che più di ogni altra consente alla mafia di
affermare il proprio dominio su un territorio, nel quale non è possibile esercitare attività di alcun
genere senza il consenso e la protezione delle famiglie.
3.3 La mafia imprenditrice
Questa situazione ebbe un'evoluzione improvvisa tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni
Ottanta, a causa dell'aumento vertiginoso del giro d'affari mafioso, ottenuto grazie al traffico di
droga. L'enorme fatturato di questa nuova attività criminale (si pensi che Cosa Nostra è riuscita a
monopolizzare il traffico all'ingrosso dell'eroina in Europa e negli Stati Uniti) comportò notevoli
cambiamenti nella vita delle cosche, e la necessità di nuovi rapporti anche con la finanza
internazionale e con la politica di più alti livelli. Ciò ha comportato la nascita di una classe di
mafiosi dediti al riciclaggio di denaro sporco in attività imprenditoriali lecite, o ai confini con la
liceità.
Primo sbocco di questi imprenditori fu l'edilizia, ed in particolare quella legata ai lavori pubblici,
dove la mafia poteva godere di importanti vantaggi concorrenziali. Altro importante ambito di
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attività è l'usura, nei confronti di imprenditori locali, i quali spesso finiscono per cedere le attività ai
mafiosi, stretti in una spirale di debiti ad interessi impossibili da sostenere. Anche l'usura si
avvantaggia dei rapporti politici, in particolari con gli amministratori "lottizzati" delle banche, che
sono a volte fonti preziosa di informazione sulle finanze dei "clienti" degli usurai mafiosi, quando
non indirizzano direttamente la clientela della banca verso queste forme "alternative" di credito2.
3.4 Gli affari della mafia ai giorni nostri
Le radici della mafia hanno attecchito su numerosissimi altri nuovi settori quali: agricoltura e pesca,
ristorazione, trasporti, commercio al dettaglio e all'ingrosso, rifiuti, cemento e grandi opere. Le
ecomafie non conoscono crisi e, come sempre più inchieste testimoniano, non sono certo
prerogativa del Sud Italia perché hanno trovato terreno fertile nell'economia del Nord del Paese:
Minotauro, San Michele, Mose, sono solo alcune delle grandi inchieste che hanno acceso i riflettori
sulla presenza degli ecocriminali al Nord. Che gli appalti pubblici nel settore ambientale siano tra
quelli più esposti alla corruzione e alla criminalità viene testimoniato dai dati.
Sono ben 233 le inchieste ecocriminali in cui la corruzione ha svolto un ruolo cruciale, concluse con
l‟arresto di 2.529 persone e la denuncia di 2.016, grazie al contributo di 64 procure di diciotto
regioni.
Il gioco d'azzardo, oltre che risorsa fiscale, è una risorsa per le mafie. Lo l'utilizzo fatto dalla
'ndrangheta del Superenalotto, come strumento di riciclaggio. In una inchiesta condotta dal giornale
di Narcomafie - mensile edito dal Gruppo Abele – si entra nel dettaglio di queste relazioni
pericolose. Sorprendenti i numeri dell'inchiesta: dal 2003 si è assistito a un incremento della spesa
delle famiglie destinata al gioco: dai 17,3 miliardi del 2003 ai 54,4 del 2009. Un'industria del
calibro di Fiat, Telecom e Enel, con un fatturato che nel 2009 ha raggiunto il 3,7% del Pil ma di cui
solo 8,8 miliardi di euro sono tornati all'erario. La crescita delle entrate dello Stato è inversamente
proporzionale allo sviluppo del gioco: si è vista una riduzione del prelievo erariale dal 29% nel
2004 sino al 16% del 2009. Le newslot - videopoker e simili - capaci di raccogliere nel 2010 oltre
25 miliardi di euro, raccolgono il doppio della cifra, ma gli altri 25 miliardi sfuggono alle
registrazioni. Il business delle macchinette alterate riguarda 300mila postazioni, ed è quasi
impossibile controllarlo.3.
2 http://scuole.monet.modena.it/ipcorni/mafia/stocn52.htm
3 Inchiesta di Narcomafie, mensile Gruppo Abele e Libera www.narcomafie.it www.legambientepiemonte.it
21
3.5 Fondi europei e frodi
In Sicilia, come nel resto del territorio nazionale, vi è sempre un più fluente utilizzo di fondi
europei, anche grazie alle maggiori informazioni che si hanno su di essi. Ovviamente l‟utilizzo di
tali risorse è un importante traguardo da parte dell‟Europa unificata, in quanto è riuscita ad
instaurare un meccanismo di finanziamenti alquanto ingente, che mira ad aiutare la crescita e lo
sviluppo di territori disagiati e svantaggiati da diversi punti di vista.
A tal proposito, entrando nello specifico della questione, l‟Italia aderendo alle direttive comunitarie
legate allo sviluppo del territorio, rispetto ad altri paesi europei, si è trovata di fronte ad una realtà
un po‟ difficoltosa. La realtà nazionale italiana vede alcune regioni in un avanzato stato di sviluppo
e sempre in continua crescita, ed esattamente sono le regioni del nord Italia, ciò anche grazie
all‟aiuto che l‟Europa concede sottoforma di finanziamenti; dall‟altra vi è una realtà purtroppo ben
conosciuta, ma spesso sottovalutata, dei territori del sud Italia, che versano in condizioni quasi di
sopravvivenza.
Nonostante i vari stanziamenti economici dirottati verso tali territori, le condizioni di questi sono
sempre più critiche, ciò perché il giro di affari che i fondi europei prospettano è talmente ingente
che la criminalità organizzata, presente indiscutibilmente in questi ambiti, ne è sempre più attratta e,
dunque, ha esteso il proprio operato anche su questo nuovo fronte. Basti guardare semplicemente ai
dati della Corte dei Conti secondo la quale in ambito agricolo, l‟Italia è al primo posto per il più alto
numero di risorse frodate che ammontano a circa 200 milioni di euro, e circa l‟86% delle somme
interessano quattro Regioni del Sud (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania).4
La Corte dei Conti nazionale, ente preposto al controllo degli utilizzi dei finanziamenti erogati
dell‟Europa, con le indagini che le competono, ha portato alla luce varie irregolarità soprattutto
legate ai fondi concessi nel settore agricolo.
La Sicilia è la regione incontrastata delle frodi in agricoltura, in quanto è responsabile di quasi la
metà delle frodi, perché in tali contesti si inseriscono le attività di vere e proprie organizzazioni
criminali, anche di stampo mafioso, che aiutati e collaborati da professionisti e funzionari
amministrativi, hanno costruito e studiato diversi sistemi illeciti per accedere ai finanziamenti
europei5. Molti dati raccolti da diverse indagini, rilevano che in Sicilia sono stati stanziati nel
periodo tra il 2007 ed il 2013, circa 5 miliardi di euro6, ma nonostante questo l‟agricoltura siciliana
4 http://www.lasiciliaweb.it/articolo/133645
5 Ignazio Corrao
6 http://www.ilgiornaledelcibo.it
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è sempre più in crisi e ciò non si spiega; gli agricoltori stanno abbandonando la terra sia perché sono
soffocati dalla concorrenza sleale dei prodotti stranieri sia perché la pressione fiscale italiana è
arrivata a livelli insostenibili, ma anche perché continuamente afflitti da uno status di sottomissione
alla criminalità organizzata di stampo mafioso.
La cosiddetta mafia, conosciuta come associazione criminale tipica del territorio siciliano,
evolvendosi negli anni, ha riscontrato che il giro d‟affari che verte intorno ai fondi europei legati ai
territori agricoli è quasi più fruttuoso dei soliti business a loro conosciuti; infatti per ogni ettaro,
viene attribuito un contributo e per questo le mafie si sono lanciate nell‟accaparramento delle terre,
nei modi più svariati. Tipico è il sovradimensionare la domanda di aiuto alla Comunità europea, con
false dichiarazioni di particolari coltivazioni in aree geografiche non compatibili, false dichiarazioni
di superfici coltivate in misura superiore a quelle reali, false dichiarazioni di numero di piante.
Operano anche costringendo gli agricoltori a vendere a prezzi stracciati o ad abbandonare le loro
terre. Un altro meccanismo molto diffuso è quello di far finta di possedere terreni che in realtà sono
di terzi o addirittura intestati a persone defunte7; ed ancora truffe fatte con falsi atti di vendita o di
affitto, quindi tutto fatto e studiato per ottenere dall‟Unione più soldi possibili, ovviamente
contando sulla difficoltà di controllo da parte del comitato antifrode. Una vasta e ricca terra di
Sicilia utilizzata per “produrre” fondi europei anziché produrre agricoltura o sviluppo per il
territorio.
Il problema che in questi anni si è venuto a manifestare è un evidente carenza nei controlli e nella
lotta effettiva a tale fenomeno ancora fiorente; tale lacuna è da ricercarsi nel sistema di controllo
penale nazionale che ha la competenza esclusiva, come espressione della sovranità dello Stato, non
permettendo alle istituzioni dell‟Unione europea di perseguirli direttamente.
Per superare questi limiti è stata presentata dalla Commissione europea La proposta di istituire un
Ufficio del Procuratore europeo, con poteri di indagine diretta delle frodi e supporto della
magistratura requirente nazionale. La Procura europea permetterebbe un coordinamento tra le varie
legislazioni penali e l‟istituzione di un sistema di protezione a livello federale, incrementando la
certezza della persecuzione del reato e l‟applicazione della pena.
Sull‟interferenza della mafia nell'agricoltura importante il lavoro svolto dal presidente del Parco dei
Nebrodi, soprannominata “terra di nessuno” e per questa oggetto di speculazioni rurali mafiose.
Giuseppe Antoci, vittima di un attentato,è stato promotore e firmatario di un protocollo, esteso poi a
tutti gli enti pubblici, che prevede l'obbligo della certificazione antimafia per poter avere in
7 http://ricerca.repubblica.it
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concessione terreni pubblici. Dopo la firma di questo atto sono stati revocati 4.200 ettari dal Parco
dei Nebrodi, che da soli valgono circa 2 milioni di euro di contributi europei l'anno8.
In definitiva, l'ammontare delle frodi legate alla terra è difficilmente quantificabile e secondo
quanto riportato dalla Corte dei conti nazionale9, nel 2013 le truffe identificate in Sicilia
ammontavano a 200 milioni di euro, di cui il 70 per cento irrecuperabili, si presuppone però, che ce
ne siano molte di più, alcune mai emerse, altre andate in prescrizione10
.
CAPITOLO 4. LA MAFIA E I MEZZI DI COMUNICAZIONE: LA MAFIA DAL CINEMA
ALLE SERIE TV
4.1 La Produzione Cinematografica
Come tutti i grandi fenomeni anche la mafia ha influenzato notevolmente la produzione
cinematografica degli ultimi decenni.
Se si analizza per intero il secolo scorso, notiamo la scarsa attenzione mostrata dal cinema italiano
nei confronti di questo tema nei primi del Novecento, durante il periodo fascista vi è addirittura una
vera e propria censura sul tema.
Dal secondo dopoguerra in poi, dopo l‟uscita dalla dittatura, la trattazione del tema della mafia è
senza dubbio prevalente, sia dal punto di vista quantitativo, sia per la qualità delle opere in cui se ne
parla, sia, infine, per il tentativo di autori, registi e sceneggiatori, di dare delle spiegazioni di
carattere storico-sociale e di portare alla luce le molte contiguità con la società civile.
4.1.1 La produzione statunitense
Oltreoceano, notiamo che il tema della criminalità organizzata è ampiamento trattato dalle
produzioni hollywoodiane. E di questa criminalità organizzata, gli artefici vengono identificati nelle
schiere degli emigranti italiani. L‟immagine dell‟Italia e degli italiani, nel cinema americano delle
origini, risulta alquanto ambivalente e, per molti versi, stereotipato. Da un lato il nostro paese era
erede di una lunga tradizione, che partiva dal Settecento, di patria dell‟arte, della musica colta,
dell‟archeologia e del bello, in concomitanza dell‟immagine positiva e quasi mitica dell‟Italia,
un‟Italia ideale e senza tempo; dall‟altra si fece strada rapidamente un‟immagine totalmente
negativa degli italiani. Gli italiani, etnicamente e antropologicamente, furono rappresentati con una
accezione talmente negativa da far concorrenza a quella della popolazione di colore. A fronte di un
8 http://ricerca.repubblica.it 9 Giornalista Gandolfo 10 http://meridionews.it/articolo/36832
24
lungo periodo di incubazione e di gestazione che aveva portato alla diffusione del mito dell‟Italia
patria dell‟arte e del bello, si diffuse con grande rapidità una pessima immagine degli italiani,
artefice il mezzo di comunicazione più efficace del Novecento: il cinema. In un certo senso lo
stereotipo negativo dell‟immigrato italiano, al di là della effettiva incidenza della diffusione della
malavita d‟importazione nella realtà statunitense, fu così diffuso ed efficace proprio perché nacque
insieme al cinema americano di finzione o narrativo.
Il Padrino (1972)
Il Padrino parte II (1974)
Scarface (1983)
C‟era una volta in America (1984)
Il Padrino parte III (1990)
Donnie Brasco (1997)
I film sono un prodotto culturale che può raggiungere un‟audience mondiale. Non stupisce che i
mafiosi siano estremamente interessati alla rappresentazione di se stessi sullo schermo. Durante la
lavorazione de “Il Padrino” l‟Fbi intercettò dei membri di Cosa nostra americana mentre
discutevano il casting, ognuno esprimendo un‟opinione sull‟attore da scegliere per il ruolo di Don
Corleone. A maggioranza, si espressero a favore di Paul Newman.
Quando un film sulla mafia ha un enorme successo, boss e picciotti si appropriano dei
comportamenti, delle espressioni e dei modi di vestire creati dal film. Anche le colonne sonore
vengono utilizzate durante feste e pranzi, come racconta l‟agente dell‟Fbi Jo Pistone, infiltrato nella
famiglia Bonanno di New York col nome di Donnie Brasco, dalla cui vicenda è stato girato uno dei
film cult sull‟argomento.
Dall‟altro anche il cinema diventa business mafioso come qualsiasi altra impresa da estorcere.
Vi è quasi un “esaltazione” del crimine, della mitologia mafiosa. Il fenomeno non viene condannato
apertamente, anzi al contrario affascina ed esalta il ruolo del criminale che non ha paura di nulla,
porta quasi a volerlo emulare.
4.1.2 La produzione italiana
il modo di raccontare il fenomeno in Italia è piuttosto diversa di quella oltreoceano.
Il fenomeno è conosciuto e descritto più crudamente dando un‟importanza magistrale a quello che il
problema principale: l‟omertà.
Il Giorno della Civetta (1967)
Gli Intoccabili (1969)
25
La cinematografia italiana ha subito negli ultimi anni un‟evoluzione positiva sul tema.
La sua rappresentazione sul grande schermo cambia. La mafia non viene più raccontata come nei
film de “Il Padrino” o “Scarface” ma cambia la prospettiva narrativa. Diventano protagonisti dei
film i martiri della Mafia.
Avviene un risveglio nella società, inizia una ribellione a partire dagli anni „70 proprio nel cuore
dove la Mafia è più radicata. Non sono più i mafiosi i protagonisti delle produzioni
cinematografiche, ma chi la combatte.
Il Giudice Ragazzino (1993)
I Cento Passi (2000)
Alla Luce del Sole (2005)
I 57 Giorni (2012)
Di questi forse “I Cento Passi” è quello destinato a diventare negli anni film cult nel suo genere.
Incentrato sulla vita di Peppino Impastato, che vede la mafia prima con gli occhi di un bambino, in
quanto anche il padre è un mafioso, e che una volta diventato adulto inizia la sua lotta contro di
essa, candidandosi alle elezioni comunali del suo paese e deridendo, tramite una radio da lui
fondata, il boss mafioso locale e tutti i suoi scagnozzi attribuendogli a volte dei ridicoli soprannomi.
Il film ebbe un enorme successo di critica e importanti riconoscimenti sia nazionali che
internazionali.
« Questo è un film sulla mafia, appartiene al genere. È anche un film sull'energia, sulla voglia di
costruire, sull'immaginazione e la felicità di un gruppo di ragazzi che hanno osato guardare il cielo
e sfidare il mondo nell'illusione di cambiarlo. È un film sul conflitto familiare, sull'amore e la
disillusione, sulla vergogna di appartenere allo stesso sangue. È un film su ciò che di buono i
ragazzi del '68 sono riusciti a fare, sulle loro utopie, sul loro coraggio. Se oggi la Sicilia è
cambiata e nessuno può fingere che la mafia non esista, ma questo non riguarda solo i siciliani,
molto si deve all'esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia, al loro dolore, alla loro
allegra disobbedienza.11
»
Risvegliò gli animi, diede coraggio a un‟isola dilaniata dalla morte e dall‟omertà. Non poteva più
essere negata l‟esistenza della Mafia, c‟era qualcuno che aveva avuto il coraggio di iniziare la lotta.
Altro film raccontato con la stessa prospettiva è quello che racconta la lotta di Don Pino Puglisi,
parroco nel quartiere Brancaccio di Palermo, assassinato il 15 settembre 1993. Don Pino non
riconosceva il potere della mafia e con il suo esempio stava invitando la gente del quartiere a
riappropriarsi della libertà negata.
11 Marco Tullio Giordana dalle Note di regia in Cinematografo 2007
26
Il cinema ha avuto in sostanza negli ultimi anni un ruolo fondamentale per questi personaggi che
hanno rischiato di rimanere in silenzio dopo la morte. Uno strumento forte per descrivere,
denunciare e condannare.
Una recente produzione che sicuramente deve essere citata è quella che segue ancora il “mito” della
Mafia che ha caratterizzato molto il cinema degli anni ‟70.
Gomorra (2008).
Forse il film che ha avuto più successo in assoluto per quanto riguarda critica e incassi.
La vita di questi ragazzi che si svolge in un luogo ostile in cui è solo difficile pensare di avere un
futuro fuori dall‟ambiente malavitoso. È un film documentario, crudo e angosciante dove i buoni
non esistono e il male affascina.
Sulla stessa linea della produzione cinematografica, un ruolo decisivo per la diffusione di questo
tema, sono state negli ultimi anni le serie TV.
4.2 La Produzione Televisiva
«Le serie tv entrano nelle case degli italiani più di quanto non faccia il cinema. Così, anche i
mafiosi potranno vedere da casa un racconto che smitizza e prende in giro la mafia, che non ha
certo il senso dell‟umorismo e vuole essere percepita come forte e potente» così afferma
Pierfrancesco Diliberto, regista siciliano, famoso per esser riuscito a portare sia al cinema, che in tv,
la presa in giro alla criminalità organizzata.
Prendere in giro la mafia, mediante le Serie TV, probabilmente è uno dei modi più efficaci che si ha
per contrastare questo fenomeno, perché grazie alla TV, sia gli adulti che i giovani, durante l‟ora di
cena, possono rendersi conto di cosa sia la mafia e dei terribili gesti che attua per arrivare ad un solo
scopo: il “potere”.
Oggi sono molte le Serie TV con tema principale la mafia, quelle che hanno registrato il maggior
numero di ascolti sono:
Squadra Antimafia
Il Capo dei Capi
Gomorra
L‟onore e il rispetto
Romanzo Criminale
Squadra Antimafia, una Serie TV ancora in corso su Canale 5, composta da 8 stagioni.
27
Inizialmente nota come “Squadra antimafia - Palermo oggi” proprio perché ambientata a Palermo,
narra le vicende della lotta tra Stato e mafia attraverso il vice questore aggiunto di polizia Claudia
Mares, a capo della squadra antimafia di Palermo, e Rosy Abate, ragazza legata a un clan mafioso.
Nelle successive stagioni le vicende si sposteranno a Catania, città ancora oggi fortemente colpita
dal fenomeno mafioso, dove vedremo ancora una volta una lotta tra lo Stato rappresentato dal vice
questore Lara Colombo in una sorta di sfida tra mafia e giustizia.
Il capo dei capi, una miniserie televisiva andata in onda nel 2007, racconta la storia del noto boss
corleonese di Cosa nostra Salvatore Riina, alias Totò u Curtu, la cui serie fa fedelmente riferimento
alle vicende realmente accadute.
Ironizzare la mafia mediante le serie TV è qualcosa che oggi sta dando un forte aiuto nel mondo
contro la lotta della mafia, infatti numerose sono le parodie sui mafiosi che si possono trovare in
rete e sempre più frequenti sono le imitazioni di comportamenti mafiosi in modo scherzoso, in
modo da smontare questo terribile pensiero mafioso che accomuna tutti noi.
Non tutti riescono a cogliere l‟aspetto significativo di queste serie, che non è altro che pura
informazione, per dimostrare ai cittadini di come sbagliato sia l‟atteggiamento mafioso nei
confronti dei più deboli. Alcuni traggono da queste serie nozioni negative, emulando poi nella vita
reale il comportamento di queste persone o semplicemente idealizzandoli e seguendoli come stili di
vita.
Nonostante ciò, numerosi sono ancora oggi le persone che sostengono l‟avvento di queste serie,
sostenendone la produzione e foraggiando l‟audience mediante la condivisione sui vari social.
Gomorra è una serie televisiva italiana basata sull'omonimo best seller di Roberto Saviano, è uno
dei più grandi successi televisivi che rappresentano la criminalità organizzata, basti pensare che nel
giugno 2015 la distribuzione della serie ha raggiunto un totale di 113 paesi i quali, in virtù del
successo della prima stagione, hanno acquistato anche la seconda, facendo sì che la serie, nel 2016 è
stata venduta in oltre 170 paesi, raggiungendo un successo che andava oltre le aspettative dei
registi.
La serie, è considerata il prodotto televisivo italiano di maggior successo nella storia, essendo
l'unico ad aver raggiunto successo negli Stati Uniti e in tutto il mondo.
Questo dato ci fa capire di come, grazie alle Serie TV, non solo l‟Italia ma tutto il mondo sia
sempre più interessato a cosa sia e come operi la mafia, aiutando in questo modo a sconfiggere
questo “regno di terrore”.
28
CAPITOLO 5. COMPORTAMENTI E CULTURA CONTRO LA MAFIA
5.1 Modi di essere e di fare: il “pensare mafioso”
Forse le parole più giuste per iniziare questo capitolo sono proprio quelle dette da un grande
siciliano:
“La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non
doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale
che coinvolgesse tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte proprio perché meno
appesantite dai condizionamenti e dai ragionamenti utilitaristici che fanno accettare la convivenza
col male, le più adatte cioè queste giovani generazioni, a sentire subito la bellezza del fresco
profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, della indifferenza, della
contiguità e quindi della complicità.”
Paolo Borsellino, 20 Giugno 1992
Oggi la mafia è un atteggiamento, un comportamento, un modo di fare e d‟intendere lo Stato e il
senso civico del cittadino. È quel provincialismo che tende ai favoritismi e al clientelismo, che
umilia merito e capacità.
La cultura mafiosa infatti non riguarda semplicemente la mentalità della criminalità organizzata, ma
ha un‟accezione più ampia poiché con essa s‟intende la negazione delle regole sociali a favore delle
regole private e familistiche. Secondo il “pensare mafioso” le istituzioni pubbliche vengono pensate
e vissute come se ci si rapportasse a una grande famiglia che va controllata 12
. I rapporti sociali
vengono principalmente instaurati e perpetuati per creare una dipendenza psicologica tra sé e l‟altro.
Una situazione tipica è ad esempio quando si fa un favore a una persona, non per il proprio piacere
personale, ma poiché questa ricopre un ruolo rilevante e “utile” a livello istituzionale e
organizzativo.
Il “pensare mafioso” è infatti un modo di essere, di sentire e di agire diffuso in Sicilia, che trae
origine dalla sua storia e che contiene una rappresentazione forte della famiglia e debole
dell‟individuo.
E‟ esperienza comune infatti che se ci capita di chiedere informazioni a Tizio su dove abita Caio,
difficilmente ci verranno date risposte senza quanto meno spiegare il perché lo cerchiamo. Questa é
un'evidente esempio di cultura basata sulla diffidenza che noi abbiamo dell‟altro. O ancora, se ci
12
Minganelli A., La mentalità mafiosa, http://www.psicosalute.com/articoli/la-mentalita-mafiosa
29
troviamo alla cassa di un supermercato o all‟ufficio postale spesso troviamo “u spirtuni di turnu”
che vuole aggirare la fila e “passari prima”. Vi sarà capitato di trovarvi in macchina e non riuscire a
passare perché qualcuno ha posteggiato male e, non curante, magari vi risponde “picchì nun po‟
aspittari?”13
. Il non rispettare le regole, scavalcando la fila alle Poste, non aspettando il rosso di un
semaforo, evadendo le tasse, gettando una carta sporca per la strada, mette in risalto la mancanza di
senso civico e soprattutto la mancanza di educazione e di rispetto verso gli altri. Prepotenti e
irrispettosi sono anche i bulli, che non rispettano le regole dell‟insegnante o fingono di rispettarle e
minacciano, picchiano e offendono i più deboli. Ecco, questi sono pochi esempi che bene si
prestano a rappresentare il pensiero mafioso.
Spesso ci si ritrova dunque a sottomettersi, in silenzio, alle prepotenze, alle ingiustizie e ai ricatti
perché l‟ambiente propone modelli di comportamento che strutturano la personalità del siciliano sin
da piccolo. A scuola i bambini che subiscono l‟arroganza di altri bambini tendono a non riferirlo
alla maestra per paura di essere considerati “spiuna o sbirri” e di essere perciò estromessi dal
gruppo. Questa censura consente di fatti l‟appartenenza ad un gruppo-famiglia.
5.2 Sicilia non è sinonimo di mafia
Un cambiamento è però possibile. Per poter combattere la mafia è necessario scindere il concetto di
mafia da quello di cultura siciliana e mettere i valori della fedeltà, obbedienza, rispetto e onore al
servizio del "NOI".
Mafioso è l‟atteggiamento dei disonesti e dei “male educati”, di quanti calpestano la dignità della
“cosa pubblica” per occuparsi delle “proprie cose”, di quanti umiliano il lavoro semplice di molti
con l‟arma subdola del ricatto14
. Mafioso, invece, non è sinonimo del siciliano che resta in fila
ingannando il tempo leggendo una rivista, che aspetta che scatti il verde per inserire la prima, che si
“libera” dalle mafie, che fa la raccolta differenziata, che promuove la cultura, che aiuta chi è in
difficoltà, che difende i propri diritti e continua a sperare. Il garbo e la nobiltà del popolo siciliano
tutto intero non meritano di essere associati alla parola “mafia”.
5.3 Gli invisibili
13
Giancana D., Il pensare mafioso, http://castelvetranonews.it/notizie/opinioni/castelvetrano/il-pensare-mafioso/
14 Piacentini F., L‟atteggiamento mafioso che rovina la Sicilia e il paese intero, http://www.agoravox.it/L-
atteggiamento-mafioso-che-rovina.html
30
Per questo è importante volgere la memoria agli “invisibili” Lavinia Caminiti15
, quegli eroi
silenziosi, magistrati, giornalisti, uomini delle scorte, ma anche semplici passanti, gente comune che
sono stati uccisi perché credevano nella legalità o perché si trovavano nel posto sbagliato al
momento sbagliato. Delitti che, tuttavia, sembrano non appartenere più alla nostra memoria.
Qualsiasi riferimento a questi eventi sopravvive a fatica in targhe cancellate, divelte o che, ancor
peggio, versano nel degrado, nascoste dall‟immondizia nelle nostre città siciliane.
Il nostro lavoro vuole essere un tributo alla memoria della nostra Sicilia e un prezioso strumento che
aiuti i più giovani a conoscere l'impegno e il sacrificio di tanti eroi siciliani, da Emanuele
Notabartolo e Joe Petrosino a Don Puglisi, che non si sono rassegnati alla mafia e alla violenza e
che sono l'orgoglio del popolo siciliano.
In questo momento storico il rischio è quello di un ulteriore isolamento di chi oggi continua a
lavorare su strade rigate di sangue e un deterioramento continuo della memoria dei giovani siciliani,
che oggi vivono in un presente pericoloso perché non hanno radici che affondano in una memoria
consapevole dei fatti16
. Per questo il percorso dentro le scuole è fondamentale, dove non si deve
insegnare solo la ricostruzione di ciò che è accaduto, ma si deve entrare dentro, capire e raccogliere
la memoria etica, politica di queste persone.
Girando per le città siciliane infatti ci si accorge che i luoghi dove sono avvenuti questi delitti sono
abbandonati e i cittadini che passano da lì talvolta non sanno neanche della loro esistenza o non li
vedono più come luoghi di delitti di mafia. Se ne è persa la memoria. Per questo motivo, oggi è
necessario scuotere le coscienze e risvegliare la passione civile.
15 Lavinia Caminiti, “Gli Invisibili ammazzati dalla mafia e dall'indifferenza”. 16 Live Sicilia, "Invisibili", un tributo agli eroi della lotta alla mafia http://livesicilia.it/2014/05/06/invisibili-un-
tributo-agli-eroi-della-lotta-alla-mafia_483606/
31
5.4 La speranza da una presa di coscienza
Questo lavoro vuole essere da sprono a tutti coloro che vedono la Sicilia in maniera stereotipata
(“qui non c'è lavoro”, “è stato e sarà sempre così”) anziché pensare che questa terra possa offrire
delle opportunità incredibili grazie alle ricchezze ereditate dai nostri precedenti conquistatori ed al
nostro spirito imprenditoriale.
Questo vuol dire non aspettare che qualcuno faccia cambiare le cose, ma rimboccarci le maniche e,
attraverso le nostre idee, prendere coscienza delle risorse naturali, culturali, artistiche e umane che
abbiamo a disposizione e creare indipendenza economica e quindi indipendenza dal clientelismo.
Un esempio può essere il turismo, possibile volano per la nostra terra. Credere al fatto che
realmente si possa riuscire a creare economia in Sicilia attraverso il turismo vuol dire credere di
poter cambiare. Abbiamo tutte le carte in regola per poterlo fare.
Per fare ciò è indispensabile conoscere il mondo al di fuori dell'isola ed uscire dalla nostra zona di
confort. Andare alla scoperta del mondo, soprattutto durante il percorso scolastico, servirebbe infatti
a conoscere culture diverse dalla nostra e ci permetterebbe, al rientro, di vedere le cose che sempre
abbiamo dato per scontato in maniera differente.
Abbiamo la grande fortuna, grazie alle moltissime conquiste che si sono succeduta in passato, di
essere persone con una mentalità aperta ed elastica. Queste caratteristiche, insieme allo studio e alla
curiosità, saranno l'elemento propulsore per il nostro futuro e ci porteranno a cambiare il nostro
attuale modo di vedere le cose scardinandoci dal modo di essere e di fare del “pensiero mafioso”.
“La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la
bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale,
dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”.
(Paolo Borsellino)
“Se la gioventù le negherà il consenso, anche l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un
incubo”.
(Paolo Borsellino)
CAPITOLO 6. LE POSSIBILI SOLUZIONI ALLA MAFIA
32
6.1 Dalla confisca alla gestione
Dare nuova vita a un bene confiscato alla mafia è un processo lungo. Non solo perché è necessario
passare molte fasi, ma soprattutto perché ritardi e lentezze di ogni tipo, specialmente quelle
burocratiche, allungano i tempi del passaggio tra sequestro, confisca e destinazione del bene. Ci
vogliono mediamente tra gli otto e i dieci anni per far “rivivere” il bene, colpa degli intoppi e della
lentezza della burocrazia, ma anche di progetti iniziati e mai portati a termine e di enti che si tirano
indietro quando bisogna fare il passo decisivo. Proprio per snellire le pratiche, nel 2010 è stata
creata l‟Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalità organizzata. Ma un‟unica organizzazione, da sola, non è riuscita a sfoltire pile e pile
di fascicoli accatastati. E i tempi continuano a essere lunghi.
Dal 1982 a oggi, sono stati sequestrati e confiscati alla mafia 27.000 beni: ville, cascine, castelli,
alberghi, cliniche, supermercati, stabilimenti balneari, auto di lusso. Di questi solo 11.000 sono stati
riconsegnati alla comunità. Un patrimonio dal valore incalcolabile che si deteriora ogni giorno di
più. Ad esempio sul terreno sequestrato nel 1999 al boss Matteo Messina Denaro, il nuovo capo di
Cosa Nostra in Sicilia, ricercato numero uno dalla polizia italiana, doveva nascere un campo di
calcio ma ancora nulla è stato fatto.
Il palazzo storico dove Giuseppe Garibaldi dormì e dove nel 1860 venne firmata la resa di Capua,
da venti anni sta andando in rovina. Ci sono altre decine di storie simili: nonostante gli sforzi, lo
Stato non riesce a gestire tutta la ricchezza, frutto di attività illegali, che negli anni è stata sottratta
alla criminalità organizzata. È una sconfitta! Dopo 35 anni dalla prima legge che porta il nome di
Pio La Torre, politico siciliano, esponente del Partito comunista, assassinato dalla mafia proprio a
causa del suo impegno per la riconquista dei patrimoni dei boss. Nel 1996, una seconda legge
chiesta da un milione di italiani e promossa dall‟associazione Libera stabilì le regole sul riuso
sociale dei beni confiscati. E grazie a questa mobilitazione ci sono anche storie di riscatto e buoni
esempi di riutilizzo. Il punto di partenza è il lavoro di Confiscati Bene una comunità di giornalisti e
cittadini; è un progetto partecipativo che si alimenta grazie all‟impegno di tutti: ha l'obiettivo di
catalogare tutti i beni sottratti alla criminalità in Italia e in Europa . È aperto ai cittadini, con uno
spazio online dove raccogliere nuovi dati, scambiarsi informazioni sui beni abbandonati, segnalare
casi di buona o cattiva gestione, proporre progetti per il riutilizzo. E consente un monitoraggio
costante del fenomeno, affiancando, integrando e in parte sostituendo l'attività istituzionale
dell'Agenzia dei ben confiscati. Questa è la scommessa partita nel 2014 che ha portato alla
creazione di un database, in continuo aggiornamento e liberamente scaricabile, di tutte le proprietà
sequestrate alla mafia e censite dall'Agenzia.
33
6.2 Le mafie restituiscono il maltolto
Palermo, la villa di Totò Riina diventa caserma dei carabinieri. L‟immobile era stato l‟ultimo
rifugio del boss fino all‟arresto avvenuto nel 1993. Riina aveva voluto alberi, prati all‟inglese e una
piscina. Ora è tutto riadattato alle esigenze dei militari dell‟Arma e quella che era la camera da letto
del boss è ora l‟ufficio del comandante dei carabinieri. La caserma è stata intitolata al maresciallo
Mario Trapassi e all‟appuntato Salvatore Bartolotta, medaglie d‟oro al valore civile, barbaramente
trucidati nell‟attentato in cui perse la vita il giudice Rocco Chinnici nella strage del 29 luglio 1983.
E‟ un importantissimo il simbolo che la casa che fu di Riina sia ora una caserma.
Altavilla Milicia trenta bambini inaugurano, con il volo di palloncini colorati, il nuovo centro
aggregativo del paese nell‟ ex villa dell‟imprenditore affiliato alla famiglia mafiosa di Bagheria,
Salvatore Geraci. Un paradiso-bunker, costruito sul mare senza alcuna logica ambientale, in mezzo
alle rocce di uno tra gli angoli più suggestivi della costa palermitana. Trecento metri quadri su tre
piani circondati da una lunga muraglia (con casotto per la sorveglianza armata), sovrapposti nella
roccia naturale usata come ornamento per la vasca idromassaggio e come cornice naturale di una
piscina panoramica.
La Porsche - ambulanza. Grazie all‟Agenzia, che può decidere di destinare veicoli e imbarcazioni
anche ai Comuni, ai Ministeri o alle forze dell‟ordine, la Croce Rossa Italia di Roma ha trovato una
soluzione alternativa al riutilizzo di auto di lusso, ha trasformato una Porsche Cayenne confiscata
nel 2012 in un‟auto medica, attrezzata per trasporti di emergenza anche ad alta velocità. L‟auto è in
dotazione al servizio 118 in occasione di grandi eventi e per il trasporto di persone da sottoporre a
trapianti. Sulla fiancata è visibile la scritta “Autoveicolo confiscato alla criminalità organizzata”. La
prima uscita ufficiale della Porsche - Ambulanza è avvenuta il 27 aprile del 2014, in occasione della
canonizzazione dei papi Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, quando circa ottocentomila persone
affollarono le strade del Vaticano. Poi, è stata utilizzata in apertura del Giubileo.
6.3 Movimenti antimafia
Per Movimenti Antimafia si indicano generalmente tutti i comitati spontanei e i gruppi associativi
sorti in Italia e come reazione agli efferati crimini compiuti da parte della Mafia in Sicilia, nonché
di tutte le altre organizzazioni criminali quali la „Ndrangheta, la Camorra e la Sacra Corona Unita.
In particolare è bene sottolineare l‟importanza che hanno avuto nella lotta contro la Mafia i
movimenti spontanei nati in Sicilia in seguito alla strage di Capaci, nella quale perse la vita il
34
giudice Giovanni Falcone e la strage di via D‟Amelio, nella quale fu ucciso Paolo Borsellino,
collega di Falcone al pool antimafia di Palermo. Per associazioni antimafiose intendiamo gruppi
volontari di più individui con l‟intento di perseguire come finalità l‟educazione alla legalità e alla
sensibilizzazione dei più giovani nei confronti della Mafia, senza alcun scopo di lucro, dove per
educazione è necessario differenziare l‟istruzione, intesa come insieme dei mezzi e delle tecniche
mediante le quali un individuo viene istruito tramite insegnamento teorico o tecnico e educazione
come guidare e formare qualcuno.
Parliamo pertanto di persone o gruppi che fanno della legalità il loro principio guida.
Con queste basi abbiamo dunque cercato di individuare strumenti e comportamenti di lotta alla
Mafia:
Incoraggiare la gente a uscire dalla paura e dall‟omertà;
Trattare con severità i mafiosi già condannati o processati;
Candidare politici puliti e trasparenti e non collusi;
Amministrare il territorio con correttezza e trasparenza;
Stanziare risorse per dare lavoro alla popolazione;
Rafforzare le forze di polizia ed ordine pubblico;
Evitare contatti con collaborati sospetti alla Mafia;
Combattere il traffico di droga, schiavitù umana e armi;
Promuovere la cultura del rispetto, dignità e libertà.
Questi sono i principali strumenti per combattere la Mafia, che in teoria sono cose fattibilissime, ma
nella pratica sono difficili da realizzare ed applicare perché bisognerebbe modificare la mentalità di
molte persone che non è pronta culturalmente ed eticamente a comportamenti di questo genere.
6.4 Nascita del progetto “Casa Nostra”
Proprio per questo nasce il progetto “CASA NOSTRA”.
L‟ente organizzatore è l‟associazione “Informamentis” costituita da giovani intorno ai 30 anni che
intendono promuovere socialità e partecipazione, contribuire alla crescita culturale e civile e
combattere ogni forma di violenza. L‟associazione si rivolge principalmente a un target giovanile e
collabora attivamente con la cooperativa Pallium e la cooperativa Somnium.
L‟obiettivo generale di questo progetto consiste nel diffondere tra i giovani la cultura della legalità,
promuovendo il rispetto delle regole, il concetto di responsabilità civile e la lotta alla criminalità
organizzata, con particolare riferimento al fenomeno mafioso; un fenomeno che in provincia di
Ragusa non fa clamore, non richiama l‟attenzione dei mezzi di comunicazione a livello nazionale,
35
ma forse anche per questo motivo, continua a fare affari e a limitare notevolmente lo sviluppo
economico e sociale del territorio. Il progetto “Casa Nostra” intende contrastare questa tendenza,
per questo le attività progettuali sono concentrate prevalentemente in provincia di Ragusa nei
comuni di Comiso, Acate, Vittoria e S. Croce Camerina, dove la diffusione della legalità tra i
giovani e la lotta alla criminalità organizzata rappresentano indubbiamente delle necessità primarie.
6.4.1 Realizzazione del progetto
La prima attività è stata rappresentata dalla formazione del team work, un gruppo di lavoro
costituito da 15 giovani, scelti sulla base delle loro competenze professionali, che ha avuto un ruolo
essenziale nel coordinamento e nella realizzazione delle macrofasi del progetto. Durante il percorso
formativo il team work ha condotto studi e ricerche sui temi connessi alla legalità, alla criminalità
organizzata e al fenomeno mafioso diffuso nella provincia di Ragusa dove la mafia c‟è ma non si
vede, agisce ma non fa clamore. Infine il team work ha prodotto un report finale sulla presenza della
mafia nella nostra provincia che sarà utilizzato in occasione degli incontri scolastici e pubblicato in
formato elettronico sul sito ufficiale del progetto.
6.4.2 Le attività
La prima fase del progetto prevede gli incontri scolastici che rappresentano una delle attività più
significative dell‟intero progetto. Gli incontri sono stati organizzati negli istituti scolastici di
Istruzione Secondaria Superiore presenti nei quattro comuni coinvolti. In ciascun incontro sarà
esposto il tema della mafia con l‟ausilio di video, foto, articoli al fine di stimolare la riflessione e
coinvolgere gli studenti invitandoli ad esprimere le proprie opinioni sui temi trattati. Al termine di
questo verranno consegnati a tutti i partecipanti dei “pizzini” ovvero bigliettini su cui potranno
scrivere i loro pensieri. I “pizzini” verranno poi appesi all‟ “albero della legalità” per simboleggiare
il desiderio di cambiamento e impegno da parte dei giovani.
La seconda fase prevede la realizzazione della “carovana della legalità” ossia una visita guidata di
tre giorni a Palermo nei luoghi simbolo della lotta alla criminalità organizzata. I giovani partecipanti
saranno invitati a documentare la visita attraverso video, foto, elaborati grafici o scritti che
costituiranno il materiale utile per l‟organizzazione dell‟evento finale.
La terza fase sarà appunto l‟evento finale, un evento locale della durata di 3 giorni finalizzato alla
promozione della legalità e della lotta contro la criminalità organizzata. L‟evento prevede infatti una
serie di iniziative pensate per il raggiungimento di questo scopo: mostre fotografiche, esposizione
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degli “alberi della legalità” realizzati da ogni istituto, foto e video realizzati dai ragazzi delle scuole
partecipanti durante la “carovana della legalità” a Palermo, interventi da parte delle autorità,
testimonianze da parte dei familiari delle vittime della mafia, realizzazione di murales ecc.
L‟evento si chiuderà con un concerto finale e, un grande totem costituito dalla scritta “COSA
NOSTRA” verrà posizionato nella sede centrale dell„evento; un gruppo di giovani abbatterà la “O”
della parola COSA NOSTRA sostituendola con la lettera “A” così da ottenere la scritta “CASA
NOSTRA” ossia il titolo del progetto.
Verrà così inaugurato il Centro Servizi CASA NOSTRA che mira a diventare un luogo di
aggregazione per i giovani residenti sul territorio e uno strumento per il perseguimento degli
obiettivi del progetto. Il centro verrà gestito dai ragazzi del Team Work con il supporto della
cooperativa sociale Pallium e l‟associazione culturale Informamentis. Il centro cercherà di
coinvolgere i giovani appartenenti a categorie a rischio e di offrire supporto a vittime della mafia.
Questo progetto ha un grande valore simbolico: rappresenta la volontà da parte dei giovani siciliani
di voler manifestare in difesa dei loro diritti e di lottare per riappropriarsi della loro terra, troppe
volte offesa e ferita.
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CONCLUSIONI
Associazioni come Cosa Nostra, la Camorra, la „Ndrangheta, la Sacra Corona Unita, la Stidda e
le nuove mafie (albanese, russa, turca, nigeriana, ecc.) sono da considerarsi delle vere e proprie
forze economiche, organizzate e verticistiche e come tali devono essere studiate e analizzate nei
loro punti di forza e debolezza. Un fenomeno, quello mafioso, che ha profonde radici nella storia
dell‟Italia tanto da essere nata addirittura prima dell‟unità d‟Italia; fin dalla sua nascita la Mafia
assume un ruolo pubblico, para statale che mantiene tutt‟ora, in alcuni casi, come nel periodo delle
emigrazioni negli USA per lavoro, si delineava come un sistema di mutuo soccorso tra corregionali.
Questa analogia tra Stato e Mafia si è consolidata negli anni, mescolandosi persino all‟interno della
burocrazia statale pubblica in maniera talmente organizzata da far nascere studi e correnti di
pensiero centrati su “accordi Stato-Mafia”.
La Mafia diventa così pubblica, ha smesso di nascondersi, è in mezzo alla vita di tutti i giorni, in
alcuni casi è pure alla moda e oggetto di fiction.
La mafia non è solo un insieme di organizzazioni criminali: è anche cultura.
Il progetto “Casa Nostra” rappresenta un esempio di promozione e diffusione della legalità e della
solidarietà, di una cultura da contrapporre a quella del fenomeno mafioso, che vede tra i suoi
principali destinatari i giovani del nostro Paese. La lotta alla mafia, come diceva Borsellino,
“dev‟essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco
profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell‟indifferenza, della
contiguità e quindi della complicità.”