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�ALE �A"

A L T T I V A E R N A

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INTRODUZIONE

Lo sciamano e le scimmie folli

Quando uscf il suo primo libro (1968), Carlos Castaneda fu

sbrigativamente etichettato come l'ennesimo araldo folle

della ditta "psichedelia-allucinogeni-diavolerie varie". Poi,

quando furono pubblicati i libri successivi, lo scenario cam­biò decisamente: Carlos si impose come fine antropologo

di ricca e varia umanità, che esponeva con raro acume la

filosofia e il modus vivendi di uno sconcertante stregone

indio, il mitico don Juan Matus, erede di antiche magie e di segrete sapienze della scomparsa razza tolteca.

Non solo, ma le storie di Carlos erano al di là di ogni facile

classificazione, perché, in modo originale e accattivante,

puntavano inesorabili verso l'incredibile obiettivo di descri­vere in termini concreti un altro mondo, un'altra dimensio­

ne, una "realtà separata" dalla nostra, quanto mai spaven­

tosa e affascinante: la realtà percepita e vissuta dagli stre­

goni (i brujos), il gruppo di sciamani guidati appunto da don

Juan. La porta d'accesso a questa realtà non ordinaria, secondo gli sciamani, risiede nel "doppio", lo spirito che

vive in noi e che può essere liberato con l'atto magico del

sognare consapevolmente (sognare con la coscienza di

stare sognando). Negli ultimi decenni Castaneda è divenu­

to un caso, non solo letterario, ma anche culturale e di

costume. Si racconta che frotte di persone, comprese alcune note

personalità, gli abbiano dato inutilmente la caccia per assu­

merlo come guru ... Tentativi andati a vuoto poiché, per qua­

si trent'anni, Carlos si è reso irreperibile, non concedendo

che rarissime interviste, evitando la scena pubblica, dando

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cosi origine a una serie di irrisolte questioni sul suo reale sti­

le di vita, la sua immagine e la sua stessa età e nazionalità.

Esponenti di rilievo della cultura occidentale lo hanno indi­

cato come il maggiore antropologo vivente, l'unico che

abbia sondato in profondità i segreti della vita sciamanica,

divenendo l'erede di un'antica tradizione di conoscenza che dovrebbe risalire a una stirpe di "veggenti" (seers) col­

legati ai primordi della civiltà precolombiana in Messico.

Lo sciamano: il contatto diretto con le segrete energie che muovono la vita. Energie che non vediamo e non percepia­

mo, perché viviamo completamente assorbiti da un tipo di

condizionamento sociale e collettivo che ci fornisce, fin dal­

la nascita e poi con l'educazione, di formidabili paraocchi,

tirannici, totali e ... insospettabili.

Secondo Castaneda noi siamo creature la cui strada evo­

lutiva può procedere soltanto, ed esclusivamente, sui bina­

ri della consapevolezza. E per sviluppare la consapevolez­

za bisogna imparare a vedere dietro alle apparenze, come

gli sciamani. Bisogna rimuovere i paraocchi. Invece, que­

sto fine evolutivo è stato tradito e abbandonato.

Noi, ormai, schiavi di un anonimo pilota automatico, una sorta di "scimmia folle" che ci concede solo una misera illu­

sione di identità, obbediamo ciecamente ai punti-cardine

del suo programma: 1) credere che già sappiamo tutto;

2) sviluppare l'ego e il senso di importanza che esso richie­

de; 3) procreare.

Questo è il programma della <<scimmia folle», il pilota auto­

matico, il padrone dei paraocchi che ci comanda non visto. Invece, secondo la visione degli antichi veggenti, riportata

da Castaneda, l'essere umano è essenzialmente una crea­

tura la cui prima ragion d'essere consiste nel percepire. La

percezione è il senso della vita, è su di essa che si fonda e

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prende forma la realtà. Il problema è che l'essere umano si

è ridotto a percepire un'unica realtà, quando invece fu crea­to per percepire e per vivere anche in altre realtà, in altri

mondi, sviluppando cosi il proprio essere in un continuo

processo evolutivo.

Altre realtà, mondi paralleli. .. i "veggenti" descrivono la vita

come differenti livelli di esistenza, sovrapposti l'un l'altro

similmente agli strati che compongono una cipolla. Il fine

ultimo della conoscenza sciamanica è la conquista della libertà, atto che richiede di infrangere le barriere che limita­

no la percezione delle realtà (o mondi) possibili, per poter

infine « ... volare verso l'immensità che ci attende qui fuori ... ". Dopo decenni di anonimato, Castaneda è uscito allo sco­

perto. Negli anni novanta ha concesso qualche intervista

(ma non foto) e, nell'area di Los Angeles, ha tenuto dei semi­

nari aperti al pubblico, senza clamore e pubblicità. Ma rima­ne sempre un personaggio sfuggente, tanto che la grande

stampa ha ormai rinunciato a inseguirlo per catturarne l'im­

magine e i possibili scoop.

Non è forse singolare che un personaggio cosi noto e cari­

smatico, l'ultimo erede degli stregoni toltechi, continui a

pubblicare con enorme seguito di pubblico e che, resosi

finalmente disponibile all'esterno, non sia piu inseguito e

tampinato dai mass-media? La risposta, forse, è che la stra­

da verso una <<realtà separata>> e verso la crescita della con­

sapevolezza possiede una sua naturale protezione dai gio­

chi omologati delle folli scimmie che scorrazzano nella nostra quotidianità, e che trascinano tutto nei fanghi della

palude di plastica, recitando soporiferi salmi con la convin­

zione di essere immortali.

Giovanni Feo

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Si ViVe SOlO IJU8 VOlte

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Con la sua visione di una "realtà separata", Carlos Ct1staneda !J,z fùlminato una generazione. Qui, il leggendario stregone parla con Bruce \Vttgner a proposito di don juan, della libertà, del sognare e della morte (piu tutte le cose buffi che capitano sulltz strada ver­so l'infinito).

Carlos Castaneda non abita piu qui. Dopo anni di disciplina rigorosa (gli anni della "via del guerrie­ro'',) è scappato dal miserabile teatro della vita di tutti i giorni. È un uomo vuoto, un tubo, uno che racconta storie e j(wole, non proprio un uomo quanto un essere che non sente nessun tipo di attaccamento per il mondo come lo conosciamo noi. È l'ultimo nagual, il sigillo di una stirpe di stregoni wcchia di secoli il cui trionfo è stato quello di riuscire a rompere il "patto" della normale realtà. Con l'uscita del suo nono libro, Larte di sognare è riapparso (per un attimo) alla sua maniera.

IL SENSO COMUNE UCCIDE «Mi chiamo Carlos Castaneda. Mi piacerebbe che voi oggi faceste una cosa. Mi piacerebbe che sospendeste il vostro giudizio. Per favore: non venite qui arma­ti del vostro "senso comune". La gente ha saputo che avrei par­lato ed è venuta per smontare Castaneda. Per farmi del male. "Ho letto i suoi libri e li trovo infantili." "Tutti i suoi libri sono noiosi." Non venite con questa idea in testa. Non servirebbe a niente. Oggi sono venuto a chiedervi, solo per un'ora, di aprirvi all'opzione che sto per presentarvi. Non ascoltatemi come dei bravi studenti. Ho già avuto occasione di parlare a dei bravi studenti, sono morti e arroganti. Il senso comune e l'idealità sono le cose che ci uccidono. Ci aggrappiamo a que-

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ste cose con i denti: questo è la "scimmia". Questo è il modo in cui ci chiamava don Juan Matus: scimmie insane. Sono stato inavvicinabile per trent'anni. Non sono uno che va in giro a parlare. Per un attimo adesso sono qui. Un mese, for­se due . . . poi scomparirò. Noi non siamo di mentalità ristretta, non adesso. Non possia­mo permettercelo. Abbiamo un debito da pagare verso coloro che si sono presi il disturbo di mostrarci certe cose. Abbiamo ereditato questa conoscenza, don J uan ci ha detto di non essere apologetici. Vogliamo farvi vedere che esistono delle opzioni strane, pragmatiche che non sono fuori dalla vostra portata. Provo un piacere esotico nell'osservare questo volo, è puro eso­terismo! È un segreto. Non lo faccio per guadagnarci qualco­sa, non ho bisogno di nulla. Ho bisogno di voi come ho biso­gno di un buco in testa. Ma io sono un viaggiatore, un pas­seggero. Navigo, là fuori. Mi piacerebbe che anche altri aves­sero la stessa possibilità.»

SI ESCE DA QUESTA PARTE Il navigato re ha parlato di persona a gruppi di ascoltatori a San Francisco e Los Angeles. Le sue compagne, Florinda Donner­Grau, Taisha Abelar e Carol Tiggs, hanno tenuto conferenze dal titolo «<l sognare tolteco- L eredità di don Juan» in Arizo­na, a Maui e a Esalen. Nei due anni passati sono usciti i libri della Donner-Grau (Essere nel sognare) e della Abelar (Il pas­saggio degli stregoni) in cui discutono su Castaneda e della loro tutela sotto don Juan. I resoconti di queste due donne sono delle miniere fenomenologiche, cronache in buona fede della loro iniziazione e del loro addestramento. Sono anche una for­tuna inaspettata, dato che mai i lettori di Castaneda hanno

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avuto accesso a tali prove dirette e illuminanti della sua espe­rienza. («Le donne sono quelle che hanno l'incarico», lui dice. «È il loro piano d'azione. Io sono semplicemente il loro auti­sta filippino.») La Donner-Grau descrive il consenso colletti­vo attorno a questi lavori come «intersoggettività tra strego­ni», ognuno di noi è come una mappa altamente individuali­sta della stessa città. Loro sono delle seduzioni "energetiche", un richiamo percettivo alla libertà radicata in una singola pro­messa mozzafiato. Noi dobbiamo assumerci la responsabilità del fotto non negoziabile che siamo degli esseri che devono morire. Si rimane colpiti dalla forza di persuasione dei loro argomen­ti , e per un buon motivo. Le protagoniste in questione, tutte laureate in antropologia all'Università di Los Angeles, sono delle formidabili metodologiste che hanno stranamente adat­tato le loro discipline accademiche per arrivare a descrivere il mondo magico che presentano: una configurazione di energia chiamata «Seconda attenzione». Un posto per nulla adatto a un timido seguace della New Age.

IL PARTY OFFENSIVO <<Non conduco una doppia vita. Vivo questa vita: non esiste uno scollamento tra quello che io dico e quello che io faccio. Non sono qui per tirare la vostra catena o per Ìntrattenervi. Quello che vi dirò oggi non sono le mie opinioni; sono quel­le dì don Juan Matus, l'indiano del Messico che mi ha mostra­to questo altro mondo. Quindi non offendetevi! Juan Matus mi ha rivelato un sistema funzionante garant ito da ventisette generazioni di stregoni. Senza di lui sarei stato un vecchio pro­fessore che avrebbe passeggiato con gli studenti in un cortile con il suo libro sotto il braccio.

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Vedete, noi lasciamo sempre una valvola di sfogo, ecco perché non esplodiamo. "Se tutto il resto fallisce, posso sempre inse­gnare antropologia. " Siamo sempre dei perdenti con delle sce­neggiature da perdenti. "Sono il dottor Castaneda . . . e questo è il mio libro, A scuola dallo stregone. Sapete che è già uscito in edizione economica?" Sarei stato l'uomo che ha scritto quel libro, il genio bruciato. "Sapete che siamo già alla dodicesima ristampa? È stato appena tradotto in russo." O forse sarei qui a parcheggiare la vostra macchina dicendo banalità del tipo: "Caldo oggi eh? . . . Freddo oggi eh? Non ci sono piu le stagioni come una volta . . . " . »

IL TEATRO DELLA STREGONERIA UVE Nel 1 960 Castaneda era un laureato in antropologia all'Uni­versità di Los Angeles. Mentre si trovava in Arizona per com­piere una ricerca sulle proprietà medicinali delle piante, incon­trò un indiano yaqui che si offri di aiutarlo. Il giovane ricer­catore offri cinque dollari all'ora per i servizi di don Juan Marus, la sua pittoresca guida. L'assistente maestro rifiutò. All'insaputa di Castaneda, il vecchio contadino coi sandali altri non era che un potente stregone, un nagual che astutamente lo arruolò come attore nel <<mito dell'energia» (Abelar lo chia­ma <<teatro della stregoneria li ve») . Come ricompensa per i suoi servizi , don Juan chiese qualcosa di particolare: l' <<attenzione totale» da parte di Castaneda. Lo stupefacente libro nato da questo incontro - A scuola dal­lo stregone- divenne immediatamente un classico, strappando sistematicamente i cardini delle porte della percezione e ful­minando una generazione. Da allora, ha continuato <<a toglie-

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re una dopo l'altra le pelli alla cipolla», aggiungendo diari del­la sua esperienza, autorevol i delucidazioni di realtà non ordi­narie in grado di erodere il sé. Un titolo definitivo per la sua opera potrebbe essere "La scomparsa di Carlos Castaneda'' . «Abbiamo bisogno di un termine nuovo al posto di stregone­ria, è troppo cupo. Lo associamo con delle assurdità medieva­li tipo: rituale, male. Mi piace di piu " la via del guerriero" o "navigazione" . Questo è ciò che fanno gli stregoni: navigano.» Ha scritto che una definizione appropriata per stregoneria è « il percepire l'energia direttamente». Gli stregoni hanno visto che l'essenza dell'universo assomiglia a una matrice di energia sparata attraverso un nastro di conoscenza, la vera consapevo­lezza. Questi nastri formano delle «trecce» che contengono tut­ti i mondi possibili, tutti reali come i l nostro (che è solo uno tra i tanti) . Gli stregoni chiamano il mondo che noi conoscia­mo «il nastro umano>> o «la prima attenzione>>. Loro liann·o-�nche «visto>> l'essenza -della forma umana. Non si tratta semplicemente di un' amalgama di pelle e ossa simile a una scimmia, ma di una palla a forma di uovo, fatta di luce, capace di viaggiare lungo questi fili incandescenti verso altri mondi. Allora cosa ci t iene fermi? I.:idea degli stregoni è che noi siamo sepolti da un'educazione sociale, strutturata per per­cepire il mondo come un luogo di oggetti solidi e di finalità. Andiamo alle nostre tombe negando di essere delle creature magiche; il nostro ordine del giorno è quello di servire il nostro ego invece del nostro spirito. Prima di rendercene conto la bat­taglia è finita: moriamo squallidamente messi in catene dal Sé. Don Juan Matus aveva una proposta intrigante: cosa sarebbe accaduto se Castaneda avesse cambiato la disposizione delle sue truppe? Se avesse liberato l'energia utilizzata di solito per

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l'aggressione del corteggiamento e dell'accoppiamento? Se avesse limitato il suo senso di importanza; se si fosse ritirato dalla «difesa, mantenimento e presentazione>> dell'ego; se aves­se smesso di preoccuparsi di piacere agli altri, di essere rico­nosciuto o di essere ammirato? Avrebbe guadagnato abba­stanza energia per vedere la crepa nel mondo? E se l'avesse vista, avrebbe potuto passarci? Il vecchio indiano Io aveva aggancia­to su commissione del mondo degli stregoni. Ma cosa fa Castaneda durante il giorno? Parla alle scimmie insane. Per adesso in luoghi privati, pale­stre, librerie. La gente compie dei veri e propri pellegrinaggi per vederlo. Icone della <<Consapevolezza>> passata presente e futura, groupies dell'energia, eremiti e sciamani, avvocati , fans dei Grateful Dead, suonatori di tamburo, scettici e sognatori lucidi, studiosi, gente che conta e seduttrici, seguaci del chan­nefing, della meditazione, magnati, persino amanti e vecchie conoscenze <<di 10.000 anni fa>> . Arriva gente che annota appunti furiosamente, apprendisti stregoni. Qualcuno scriverà dei libri su di lui, i piu pigri solo qualche capitolo. Altri ancora terranno dei seminari, natural­mente a pagamento. <<Arrivano per ascoltarmi per un paio d' ò­re e il week-end seguente fanno già delle conferenze su Casta­neda! Questa è la scimmia.>> Sta per ore in piedi davanti al suo pubblico, capace contemporaneamente di sedurre e di esorta­re i loro <<corpi energetici>>, e l 'effetto è allo stesso tempo cal­do e freddo, come ghiaccio secco. Con numinosa finesse, fa schizzare fuori racconti selvaggi di libertà e potere come fou­lard dal cappello di un prestigiatore: toccante, elegante, osce­no, divertente, raggelante e chirurgicamente preciso. <<Chie­detemi qualunque cosa>>, supplica. <<Cosa volete sapere?>>

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Perché Castaneda & Co. si sono resi improvvisamente acces­s ibili? Perché proprio adesso? Che cosa c'è dietro?

!:ENORME PORTA << Esiste una persona che va nell'incognito e ci aspetta, vuole che la raggiungiamo. Si chiama Caro! Tiggs, è il mio comple­mento. Era con noi, poi è svanita. La sua sparizione è durata dieci anni. Dove è stata è inconcepibile. Non si sottomette alla razionalità. Quindi, per favore, sospendete il giudizio! Avre­mo un adesivo da attaccare alla macchina: Il senso comune uc­cide! «Carol Tiggs era andata via. Non a vivere nelle montagne del New Mexico, ve lo assicuro. Un giorno stavo tenendo una con­ferenza al Phoenix Bookstore e lei si materializza. Il cuore mi salta fuori dalla camicia, tump tump tump. Continuai a parla­re. Parlai per due ore senza sapere cosa stessi dicendo. La por­tai fuori e le chiesi dove fosse stata. Dieci anni! Si sentiva un po' strana e cominciò a sudare. Aveva solo vaghi ricordi . Scher­zava. << La riapparizione di Caro! Tiggs ha aperto - dal punto di vista energet ico - una porta enorme attraverso cui noi possiamo pas­sare. C'è un grande ingresso dove posso portarvi per conto del­la stregoneria. Il suo ritorno ci ha dato un nuovo anello di pote­re, con sé stessa ha riportato una enorme massa di energia che può permetterei di andare là fuori. Ecco perché siamo dispo­nibili adesso. Qualcuno è stato presentato a Caro! Tiggs a una conferenza ed è rimasto deluso. "Ma hai un aspetto cosi nor­male." Caro l Tiggs gli ha risposto: «Che cosa ti aspettavi? Che mi uscissero dei fulmini dalle rette?",,

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LE PUTTANE DELLA PERCEZIONE* Chi è Carlos Castaneda, ha una vita? Siamo negli anni novan­ta. Perché non la smette? Diteci quanti anni ha e fatelo foto­grafare da Avedon . Nessuno gli ha mai detto che la privacy è una cosa del passato? In cambio della nostra «totale attenzio­ne» lui deve guidarci. Ci sono cose che uno vorrebbe sapere, cose mondane, personali. Dove abita? Che cosa pensa dei Duetsdi Si narra? Che cosa ha fatto coi cospicui profitti dei suoi libri? Guida una Bendey turbo come ogni vecchio guru che si rispetti? Era proprio lui con Michael Jordan ed Edmund Whi­te in quel locale uptown alla moda? Hanno provato per anni a infilzarlo come una farfalla. Han­no persino ricostruito la sua faccia usando i ricordi di suoi vec­chi colleghi e di conoscenti non molto affidabili; quello che ne è venuto fuori, il risultato assurdo, sembra un identikit del­la polizia raffigurante un bonario olmeco da Reader's Digest. Negli anni settanta, Time gli dedicò una copertina (nella foto solo gli occhi erano visibili ) . Quando la rivista si rese conto che non si trattava di lui, non lo ha perdonato. Piu o meno nello stesso periodo in cui veniva dichiarato mor­to Pau! McCartney, le dicerie presero corpo: Carlos Castane­da era Margaret Mead. Il suo agente e i suoi avvocati fanno barriera a tempo pieno contro gli assalti di giornalisti e pazzi, animatori New Age e sceneggiatori che vogliono adattare la sua opera, famosi e sco­nosciuti, con o senza autorizzazione. Per non parlare dei falsi

* Nel testo originale c'è un gioco di parole tra "Whores of perception", titolo del paragrafo, e Doohrs ofperception (Le porte della percezione), celebre libro di A. Huxley [n.dt.].

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seminari strapieni di p�udoCarlos. Dopo trent'anni, la taglia sulla sua testa è ancora m lto alta. Lui non prova interesse ver­so i guru o il gurismo; n ci saranno Bendey turbo, niente ranch con devoti inturbantàti, niente numeri speciali di Vogue Paris sotto la sua direzione.

"Non ci saranno dei Castaneda

l nsritute, nessun Centro studi avanzati di stregoneria, nessu­na Accademia del sogno, niente dépliant, funghi o sesso tan­rrico. Non ci saranno biografie né scandali. (Quando viene invi­tato a una conferenza, Castaneda non riceve denaro e si offre di pagare da sé le spese di viaggio. L: ingresso è di solito un paio di dollari, giusto per pagare l'affitto della sala. Tutto ciò che viene chiesto ai partecipanti è la loro totale attenzione. «La libertà è gratuita, non può essere comprata o capita. Con i miei libri ho provato a presentare un'opzione: la consapevo­lezza può essere un mezzo di trasporto o di movimento. Non sono stato molto convincente, tutti pensano che io stia scri­vendo dei romanzi. Se fossi alto e bello, le cose sarebbero diver­se, tutti ascolterebbero il Grande Babbo. La gente dice che sto mentendo, come posso mentire? Si dicono bugie per ottenere qualcosa, per manipolare. Io non voglio niente da nessuno, solo consenso. Noi vorremmo consenso riguardo al fatto che ci sono altri mondi oltre al nostro. Se ci fosse consenso sul fat­to di farsi crescere le ali, ci sarebbe il volo. Col consenso si for­ma la massa, con la massa ci sarà il movimento. >> Castaneda e i suoi confederati sono dei radicali energetici di quella che potrebbe essere la sola significante rivoluzione del nostro tempo: n ient'altro che cambiare gli imperativi biologi­ci in fattori evolutivi. Se l'ordine sociale regnante impone la procreazione, lo spericolato ordine degli stregoni (una banda di pirati energetici) sta perseguendo qualcosa molto meno ter-

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ra terra. Il loro sorprendente ed epico intento è quello di lascia­re la Terra nello stesso modo in cui l'ha lasciata don Juan vent'anni fa: come pura energia, lasciando intatta la consape­volezza. Gli stregoni chiamano questo salto mortale «il volo astratto>>.

LA SCIMMIA SQUISITA «Quando ero giovane, uno dei miei idoli eraAlan Wans. Dopo essere diventato "Carlos Castaneda" , sono stato ammesso alla sua presenza. Mi fece una paura pazzesca. Non era quello che pretendeva di essere. Mi chiese di andare a letto con lui. "Ehi Alan , come la mettiamo?", gli dissi. E lui: "Ma Carlos non vedi la bellezza di questo fatto? Io sono capace di capire la perfe­zione ma non posso raggiungere ciò in cui credo. Sono imper­fetto, ma abbracciare la propria debolezza significa essere uma­no". Questa è una stronzata. Gli dissi che conoscevo della gen­te che si comportava in maniera opposta: fa ciò che dice. E vive per provare che noi siamo degli esseri sublimi. C'è una certa donna, grande spiritualista. Attraverso le sue mani passano milioni di dollari, esercita da vent'anni. Sono andato a vederla a casa di un tipo e lei stava accarezzando un uomo in mezzo alle gambe, proprio davanti a me. Lo stava facendo per impressionarmi? Per scioccarmi? Non sono uno che si scompone facilmente. Piu tardi l'ho placcata in un ango­lo della cucina e le ho detto: "Cosa ti racconti quando sei sola nel bel mezzo della notte?". Era una cosa che era solito doman­darmi don Juan. "Cosa vedi quando sei sola davanti allo spec­chio?" La sua risposta è stata: "Ah, Carlos, questo è il segreto. Non trovarti mai da solo" . È questo il segreto? Non trovarti mai da solo? Che orrore. È proprio un segreto di merda.

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l ,o stregone yaqui mi chiese di sospendere il giudizio per tre giorni, di credere per tre giorni che essere umano non voleva dire essere debole, ma essere sublime. Certo ognuna delle due cose è vera, si. . . ma quanto piu portentoso è l'essere sublime! La scimmia è insana, ma anche squisita. Don Juan era una brutta scimmia, ma era un guerriero impeccabile. Ha lasciato il mondo, intatto. È diventato energia, è bruciato dall'interno. Era solito dire: " Sono nato cane ma non devo morire allo stes­so modo. Vuoi vivere come tuo padre?" . Questo mi ha chie­sto. "Vuoi morire come tuo nonno?" Poi arrivò la grande domanda: " Che cosa stai facendo per evitare di morire in quel modo?". Non risposi , non dovevo. La risposta era: "Niente". Un momento terrificante. Quanto mi ha ossessionato questo fatto.>>

MASSA CRITICA Mi sono incontrato con Castaneda e le "streghe" per un perio­do di una settimana in ristoranti, stanze di albergo, grandi magazzini. Loro erano attraenti e giovanili . Le donne erano vestite in modo discreto, con un tocco di casual chic. Non le avresti mai notate in mezzo alla folla, questo è il punto. Stavo sfogliando New Yorker seduto in un caffè all'aperto pres­so il Regent Beverly Wilshire. La pubblicità del Drambuie sembrava particolarmente odiosa: inevitabilmente, non importa quanto lottiamo, in un modo o nell'altro, un giorno diventeremo come i nostri genitori. Invece di resistere a que­sto fatto, vi invitiamo a celebrare questo rito di passaggio con un liquore squisito .. . Don Juan stava ridendo nella sua tomba (o fuori ) , la cosa mi portò alla mente una confusione di domande: in ogni caso dove era? Nello stesso posto da cui era

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tornata Caro! Tiggs? Se cosi era, voleva dire che il vecchio nagual sarebbe stato in grado di tornare? In Il fooco dal profon­do Castaneda ha scritto che don Juan e la sua comitiva svani­rono a un certo punto nel 1973 - quattordici navigatori par­titi verso la «seconda attenzione». Che cosa era esattamente la seconda attenzione? Mi pareva tutto chiaro mentre leggevo quei libri. Cercai i miei appunti. Avevo scribacchiato sul bor­do di una pagina: «se�-�a attenzione= consapevole:z�a accre­sciuta», ma non mi aiutava molto. Con impazienza diedi una scorsa veloce ai vari Il potere del silenzio, Il dono dell'aquila, Viaggio a Ixtlan. Sebb.ene li in mez­zo ci fosse piu di una cosa che non capivo, i concetti base mi parevano chiari, descritti coerentemente. Ma perché non mi restavano in testa? Non riuscivo a immettermi sulla Sorcery l O l. Ordinai un cappuccino e aspettai. Lasciavo scorrere la mia mente. Pensavo alla Donner-Grau e alle scimmiette giappo­nesi. Quando le avevo parlato al telefono, lei aveva menzio­nato Imo. Ogni studente di antropologia conosce la storia di Imo, il famoso macaco. Un giorno Imo, spontaneamente, si mise a lavare una patata dolce prima di mangiarsela; in breve tempo, l'intera popolazione di macachi dell'isola dove viveva segui il suo esempio. Gli antropologi chiamano questo fatto «comportamento culturale», ma per la Donner-Grau si tratta­va di un perfett� e;�-�pio di massa critica, intersoggettività tra SClmffile. Castaneda apparve con un largo sorriso. Strinse la mia mano e si sedette. Stavo per tirare fuori la storia delle scimmiette quando cominciò a piangere. Vidi la sua fronte corrugarsi e tutto il corpo sussultare per i singhiozzi. Stava rantolando

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come un pesce tolto dalla vasca. I l suo labbro inferiore si con­torceva, bagnato ed elettrificato. Distese il suo braccio verso di me, la mano tremante e contratta mi venne incontro come la bocca di un vegetale carnivoro, come per chiedere l' elemosi­na. <<Per favore!» Riusd a sputare fuori queste parole in un atti­mo di tregua, col tremolio dei suoi muscoli facciali. «Per favo­re amami!», disse piegando la testa come un cavallo, suppli­candomi. Castaneda stava ancora piangendo, come un gran­de idrante rotto e strozzato. La sua goffa rappresentazione, dal sublime al ridicolo, si esauri in una oscena contrazione da pian­to. «Ecco quello che siamo: scimmie con piattini di latta per l'elemosina. Cosi prevedibili , cosi deboli . Masturbatori. Sia­mo sublimi, ma la scimmia insana non ha energia per vedere. Cosi il cervello della bestia prevale. Non possiamo afferrare la nostra finestra di opportunità, il nostro "centimetro cubo di chance". Non possiamo, siamo troppo occupati a tenere la mano di mammina. A pensare come siamo meravigliosi e uni­ci e sensibili. Non siamo unici! Le sceneggiature delle nostre vite sono state già scritte, da altri>>, disse sogghignando sini­stramente. «Lo sappiamo . . . ma non ce ne importa. Vaffancu­lo diciamo. Siamo i cinici definitivi. Porca puttana! Questo è il modo in cui viviamo! In un rigagnolo di merda tiepida. Cosa ci hanno fatto? Questo è quello che don Juan continuava a dire. Aveva l'abitudine di domandarmi: "Com'è la carota?". "Che carota?", gli rispondevo io. "Quella che ti hanno infila­ta su per il culo." Ero terribilmente offeso, come poteva arri­vare a tanto? "Sii loro riconoscente per non averci ancora mes­so una maniglia." ,, «Ma se possiamo scegliere, perché stiamo in quel rigagnolo?>>, gli chiesi.

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<<È cosi calduccio. Non vogliamo abbandonarlo , noi odiamo dover dire addio. E abbiamo paura, cavolo come abbiamo pau­ra, ventisei ore al giorno! E di cosa pensi che abbiamo paura? Di noi stessi . Cosa sarà di noi? Cosa c'è in serbo per noi? Che ci succederà? Che egomaniaci! Cosi orribile, ma anche cosi affa­scinante!>> Sorrideva come un gommoso gattone del Cheshire. Gli ho fatto notare che la sua visione della vita mi sembrava un po' troppo aspra e lui si è messo a ridere. Poi, con una comi­cità stitica da accademico, si è messo a declamare: <<Castaneda è un vecchio uomo amareggiato>>. La sua caricatura era buffa, brutalmente azzeccata. <<Le scimmie ingorde hanno raggiunto la nocciolina attraverso le sbarre e non possono mollare la pre­sa. Sono stati fatti degli studi in proposito, nessuno riuscireb­be a fargli mollare la nocciolina. Terrebbero il pugno chiuso anche se gli segassi il braccio, noi moriamo stringendo la mer­da. Ma perché? fs that al! there is, come diceva Miss Peggy Lee? Non può essere, sarebbe troppo terribile. Dobbiamo impara­re a mollare la presa. Collezioniamo ricordi e li incolliamo su degli album, come biglietti per uno spettacolo di Broadway di dieci anni fa. Moriamo attaccati a souvenir. Essere uno stre­gone è avere energia, curiosità e fegato per lasciare le cose, per fare salti mortali nell'incognito. Tutto ciò di cui si ha bisogno sono delle ridefìnizioni, regolare gli strumenti. Dobbiamo vederci come esseri che devono morire. Una volta che accettiamo questo fatto, i mondi si schiuderanno per noi. Ma per abbrac­ciare questo concetto devi avere delle "balle d'acciaio" . >>

L:EREDITÀ NATURALE DEGLI ESSERI SENZIENTI <<Quando tu dici "montagna" o "albero" o "Casa Bianca" , stai invocando un universo di dettagli con una s ingola

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espressione. Questo è magia. Vedi, noi siamo creature visua­li. Potresti leccare, odorare e toccare la Casa Bianca e questa non ti direbbe niente. Ma basta uno sguardo e sai tutto quello che c'è da sapere: la "culla della democrazia" o qual­cosa del genere. Non devi neanche guardare, vedi già Clin­ton seduto li dentro, Nixon inginocchiato che prega, roba del genere. Il nostro mondo è un'agglutinazione di dettagli, una valanga di parafrasi ; non percepiamo, semplicemente interpretiamo. E il nostro sistema di interpretazione ci ha reso pigri e cinici. Preferiamo dire "Castaneda è un bugiar­do" oppure "Questa storia delle opzioni intuitive non è roba per me" . Cosa ti va bene? Cosa è "reale"? Questo mondo quotidiano, duro, insignificante e merdoso? Sono "realtà" disperazione e senilità? Il fatto che il mondo sia un qualco­sa "stabile" e "definitivo" è un concetto fal lace. Sin da pic­coli riceviamo la tessera di appartenenza a questo club. Un bel giorno, quando ci rendiamo conto della faciloneria di questo concetto, il mondo ci dice "Benvenuti". Benvenuti dove? In prigione. Benvenuti all' inferno. Che cosa succede­rebbe se Castaneda non si stesse inventando niente? Se fos­se vero, saresti nei guai. I l sistema di interpretazione potrebbe essere interrotto, non è per niente "definitivo." Ci sono mondi all'interno di altri mon­di, ognuno reale come questo. In quel muro laggiu c'è un mon­do, questa stanza è un universo di dettagli . Gli autistici sono presi, congelati dai dettagli, loro puntano il dito verso la cre­pa fino a farlo sanguinare. Siamo prigionieri nella stanza del­la vita di tutti i giorni. Esistono opzioni al di fuori di questo mondo, reali come questa stanza, luoghi dove vivere o mori­re. Gli stregoni fanno questo; come è eccitante! Pensare che il

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nostro mondo possa racchiudere tutto è un compendio di arro­ganz�L Perché non apriamo la porta che dà nell'altra stanza? Questa è: l'ered ità naturale degli esseri senzienti. È il momen­to di interpretare e di creare nuove parafrasi. Andate in un posto dove non esiste una conoscenza a priori. Non buttate via il vostro vecchio sistema interpretativo, usatelo, in orario d'uf­ficio. E dopo le cinque? È l'ora della magia.»

AQUf NO SE HABLA ESPANOL Ma che cosa vuole dire con l'ora della magia? I loro libri sono meticolose e dettagliate invocazioni dello sco­nosciuto. Sebbene rimanga dell'ironia, non esiste un lessico per le loro esperienze. L ora della magia non è una espressione simpatica, i suoi surplus energetici devono essere sperimenta­ti col corpo. Ogni volta che Castaneda lasciava don Juan per tornare a Los Angeles, il vecchio nagual amava dire che era in grado di sapere cosa avrebbe fatto il suo allievo mentre era via. Poteva fare un elenco, lungo ma pur sempre un elenco, dei pensieri e delle azioni che Castaneda avrebbe fatto. Era impos­sibile per Castaneda fare lo stesso con il suo maestro. Non c'e­ra intersoggettività tra i due uomini. Qualunque cosa succe­desse all'indiano nella <<seconda attenzione» poteva solo essere sperimentato di prima mano, non comunicato. A quei tempi, Castaneda non aveva né l'energia né la prepa­razione necessaria al consenso. Ma la scimmia è posseduta dal­la parola e dalla sintassi. Deve capire, a ogni costo. E la sua comprensione deve seguire un certo percorso. <<Siamo esseri lineari: creature pericolose dotate di abitudini e ripetizioni. Abbiamo bisogno di sapere. Questo è il pollaio! Questo è il posto per le stringhe! Questo è il lavaggio auto! Se

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un giorno una di queste cose non è al suo posto, andiamo fuo­ri di testa.» I nsistette per pagare il conto. Quando il cameriere tornò con la ricevuta della carta di credito da firmare, mi venne voglia di strappargli di mano la carta per vedere se riportava le sue gene­ralità. Doveva essersi accorto delle mie intenzioni. ,,un uomo d'affari ha tentato di convincermi a fare la pubbli­c i tà per l'American Express, sai quella "Carlos Castaneda, membro da/1968';,, mi disse ridendo allegramente, poi rico­minciò da dove aveva interrotto: «Siamo delle scimmie mol­to, molto noiose, molto rituali. Il mio amico Ralph aveva la consuetudine di andare a trovare sua nonna ogni lunedf sera. Poi lei morf e lui mi venne a cercare per dirmi che potevamo uscire insieme ogni lunedf sera. Lo trovava magnifico, ogni lunedf sera potevamo uscire insieme . . . >>.

SORCERY 10 1 ,,Ho incontrato uno scienziato a un party, una persona molto conosciuta. Una eminenza. Un luminare. I l dr. X. Aveva pro­prio voglia di smontarmi. Mi dice di aver letto il mio primo l ibro, gli altri no, li trovava noiosi. Mi dice che i miei aned­doti non lo interessano, lui vuole prove. Il dr. X voleva con­frontarsi con me. Pensava che fossi al suo livello. Gli ho rispo­sto che se potevo dimostrargli la legge di gravità, lui avrebbe avuto bisogno di un certo tipo di preparazione per seguirmi. Avrebbe avuto bisogno di un titolo, forse anche di qualche attrezzatura. Avrebbe avuto bisogno di prendere qualche lezio­ne di fisica, di fare tremendi sacrifici, andare a scuola, studia­re lunghe ore sui libri. Avrebbe dovuto dare un taglio agli appuntamenti romantici. Se voleva delle prove doveva pren-

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dere la Sorcery l O l. Ma lui non poteva farlo, avrebbe avuto bisogno di preparazione. S ' incavolò e lasciò la stanza. La stregoneria è un flusso, un processo. Come in fisica hai biso­gno di una certa conoscenza per seguire il flusso delle equa­zioni, il dr. X avrebbe avuto bisogno di alcune nozioni basila­ri per avere abbastanza energia per comprendere il flusso del­la stregoneria. Doveva ricapitolare la sua vita. Cosi lo scien­ziato voleva prove ma non voleva prepararsi . Ecco come sia­mo fatti. Non vogliamo fare fatica, vogliamo essere portati in elicottero alla consapevolezza, senza inzaccherarci le scarpine col fango. E se quello che troviamo non è di nostro gradimento vogliamo che l'elicottero ci porti indietro.>>

I SENTIERI DEL TEMPO Stare con quest'uomo è faticoso. È sempre spietatamente ed eccessivamente presente; la p ienezza della sua attenzione ti sfi­nisce. Sembra rispondere alle mie domande con tutto sé stes­so; nella sua eloquenza c'è una urgenza liquida, ostinata e defi­nitiva, elegante, elegiaca. Castaneda dice che sente il tempo avanzare su di sé. Percepisci il suo peso, qualcosa di estraneo che non riesci a catalogare, etereo, indolente, densamente iner­te, come una boa, un sughero poggiato pesantemente sulle onde. Mentre camminiamo si ferma per darmi una dimostra­zione di una mossa di arti marziali chiamata il cavallo, gambe leggermente piegate come se fosse su una sella. <<Ai miei tem­pi la gente stava in questa posizione a Buenos Aires. Ogni cosa era molto stilizzata. Adottavano le pasture di gente morta da tempo. Mio nonno stava cosL Il muscolo qui, sotto la coscia, è dove conserviamo la nostalgia. L autocommiserazione è una delle cose piu orribili. Sento il tempo avanzare su di me. Don

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Juan aveva una metafora. Siamo in una cambusa, stiamo guar­dando recedere le piste del tempo. Eccomi, ho cinque anni! Dobbiamo semplicemente girarci per vedere il tempo scorrer­c i addosso. In questo modo non esistono priorità. Niente pre­sunzioni, supposizioni, pacchetti già incartati.» Ci sedemmo alla fermata d'autobus. Dall'altra parte della strada un mendi­cante mostrava un pezzo di cartone agli automobilisti. <<Non ho traccia del domani, e nemmeno del passato. Il Diparti­mento di antropologia per me non esiste piu. Don Juan soste­neva che la prima parte della sua vita era stata una perdita di tempo. Era in un limbo. La seconda parte della sua vita era sta­ta assorbita dal futuro, la terza nel passato, nella nostalgia. Solo l'ultima parte della sua vita si stava svolgendo nell'adesso. Ecco dove mi trovo in questo momento.» Pronto a ricevere un rifiuto, gli chiesi qualcosa di personale. Per questo genere di persone le testimonianze biografiche pos­sono ipnotizzare come una crepa nel muro, lasciando ognuno col dito sanguinante. <<Chi era per te l'uomo piu importante quando eri bambino?» <<Quello che mi ha cresciuto, mio non­no. Aveva un porco da monta di nome Rudy. Ci faceva un sac­co di soldi. Rudy era magnifico, aveva la testa bionda. Nonno aveva l'abitudine di mettergli un cappello e un vestito, gli ave­va scavato un tunnel tra il porcile e la sala delle esposizioni. Rudy spuntava all'improvviso con quel suo faccino, portan­dosi dietro quel corpo gigantesco. Aveva un affare a cavatu­raccioli e noi lo guardavamo mentre commetteva delle barba­r ie i n giro. Adoravo mio nonno. Era lui quello che dava l'or­d ine del giorno, da grande sarei stato quello che avrebbe pre­so il suo posto. Sembrava il mio fato, ma quello non era il mio destino. Sin da piccolo mi fece scuola di seduzione. All'età d i

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dodici anni camminavo come lui, parlavo come lui, con la voce di chi ha problemi alla laringe. È lui che mi ha detto di salta­re dalla finestra. Mi insegnò ad avvicinare le ragazze, mai a testa alta, ma adulandole.» Si alzò e si incamminò. Il mendicante se ne stava andando verso i cespugli ai lati della strada. Arrivati alla sua macchina, Castaneda rimase per un attimo con la por­tiera aperta. «Molto tempo fa uno stregone mi chiese che faccia avesse l'uo­mo nero, secondo me. Ero intrigato. La cosa doveva essere tenebrosa, oscura e avere un volto umano. Luomo nero spes­so ha il volto di qualcuno che pensi di amare. Per me era mio nonno. Mio nonno che adoravo. » Salimmo in macchina men­tre il mendicante spariva in un viottolo. «Mio nonno ero io. Pericoloso, mercenario, connivente. Insignificante, vendicati­vo, pieno di dubbi e inamovibile. Don Juan lo sapeva.>>

INNAMORARSI DI NUOVO «All'età di settantacinque anni siamo ancora in giro a cercare "amore" e "amicizia" . Mio nonno aveva l'abitudine di svegliarsi nel bel mezzo della notte urlando: "Pensi che lei mi ami?". Le sue ultime parole prima di morire furono: "Eccomi, eccomi, sto venendo piccola!". Ebbe un grande orgasmo e mori. Per anni pensai che fosse una cosa meravigliosa, splendida. Poi don Juan mi disse: "Tuo nonno è morto come un porco. La sua vita e la sua morte non hanno nessun significato". Don Juan affermava che la morte non è un lenitivo, solo il trionfo può esserlo. Gli ho chiesto cosa intendesse per trionfo e lui mi ha risposto libertà: quando spezzi il velo e ci passi attraverso por­tandoti la tua forza vitale appresso. Gli dissi che avevo ancora un sacco di cose da fare nella vita, la sua risposta è stata: "Vuoi

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,j i re che ci sono ancora tante donne che ti vuoi scopare?". Ave­\ a ragione. Siamo cosi primitivi. La scimmia può arrivare a l onsiderare l'ignoto, ma prima di saltarci dentro chiede cosa l 'i: da guadagnarci. Siamo uomini d'affari, investitori, usi a l i mi rare le perdite, è un mondo di mercanti. Se facciamo un " investimento" vogliamo delle garanzie. Ci innamoriamo solo '>L' ci amano. Quando non amiamo piu, tagliamo una testa e Lt rimpiazziamo con un'altra. Il nostro "amore" è semplice­mente isteria. Non siamo esseri affettuosi, siamo privi di cuo­re. Pensavo di sapere come amare. Don Juan mi disse: "Come puoi? Non ti hanno mai insegnato ad amare. Ti hanno inse­gnato a sedurre, invidiare, odiare. Non ami neanche te stesso, .dtrimenti non avresti esposto il tuo corpo a tali barbarie. Non hai fegato per amare come uno stregone. Puoi amare per sem­pre oltre la morte? Senza il minimo aiuto, niente in cambio? l \w i amare senza investimenti, giusto per il gusto di farlo? Non -,aprai mai com'è amare in questa maniera, cosi implacabil­mente. Vuoi proprio morire senza sa perlo?" . No, non volevo. Prima di morire, dovevo sapere cosa vuoi dire amare cosi. Mi ha incastrato in questo modo. Quando ho riaperto gli occhi \lavo rotolando giu dalla collina, sto rotolando ancora adesso.»

RICAPITOLA LA TUA VITA! Avevo bevuto troppa coca-cola ed ero diventato paranoico. ( :astaneda mi avverti che lo zucchero è un killer pari al senso comune. «Non siamo creature psicologiche. Le nostre nevro­si sono il prodotto di quello che ci mettiamo in bocca.» Ero sicuro che avesse visto il mio <<corpo energetico>> irradiare coca­cola. Mi sentivo assurdo, sconfitto, decisi che quella sera avrei fatto baldoria a base di profìterole. Ecco come è fatta l'arguta

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vergogna al cioccolato amaro dell'insignificante scimmia. «Ho avuto una storia d'amore con la coca-cola. Mio nonno possedeva una pseudosensualità. " Devo farmi quella fighetta! Ne ho bisogno! Ne ho bisogno adesso!" Mio nonno pensava di essere il cazzo piu straordinario della città. Il piu stravagan­te. Io mi comportavo allo stesso modo, qualsiasi cosa finiva dritta alle mie palle, ma non era reale. Don Juan me lo aveva detto: "È lo zucchero che preme il grilletto. Sei troppo incon­sistente per avere quel tipo di energia sessuale. Troppo ciccio per avere quel cazzo infuocato" .» Tutti fumano all'Universal City Walk. È strano stare seduto con Carlos Castaneda in questa approssimazione architetto­nica della Los Angeles da ceto medio, questa «agglutinazione di dettagli» , questa «valanga di parafrasi» che formano questa città virtuale. Non ci sono negri e niente che assomigli a una consapevolezza accresciuta. Stiamo abitando una versione per­versamente blanda di una scena familiare di un suo libro, quel­lo dove di colpo si viene a trovare in un simulacro del mondo di tutti i giorni. «Hai detto che se il dr. X avesse ricapitolato la sua vita, avreb­be potuto recuperare un po' di energia. Cosa volevi dire?» «La ricapitolazione è la cosa piu importante che facciamo. Per incominciare si fa una lista di tutte le persone che hai cono­sciuto nella tua vita. Qualsiasi persona con cui tu abbia parla­to o avuto a che fare. » «Ognuno?» «Esattamente, scorri la lista, ricreando cronologicamente le scene dell'incontro.» «Ma ci vorrebbero degli anni .» «Certo, una ricapitolazione completa ha bisogno di tanto tem-

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, ·· , l >, ,podiché ricomincia. Non ricapitoliamo mai le cose per ·· 111 . Non devono restare residui in questa operazione. Non

1 .11111u pause. La pausa è un concetto da classe media, l'idea l1, '" lui lavorato duramente hai guadagnato una vacanza.

l 1, l ,,·n>po per andare in giro con la tua quattro ruote motri-1 11 .1 pescare in Montana. Che cagata. » \llllra tu devi ricreare le scene . . . l>

1 11 1 1 1in cia con i tuoi incontri di sesso. Rivedi le lenzuola, i "l"l,rli. il dialogo. Quindi passa alla persona, al feeling. Qua­l. 1 1.1 il tuo feeling? Osserva! Respira l'energia che hai speso "' llt, >cambio, dài indietro ciò che non è tuo.»

\!t ,;1 tanto di psicoanalisi . » \:,111 analizzare, osserva. La filigrana, i l dettaglio, t i stai aggan­

, r.111do all'intento dello stregone. È una strategia, un atto di 11 t.l� � i ;l vecchio di centinaia di anni, la chiave per ristabilire l 'e­ltt t ��i a che ti servirà per passare ad altre cose. Muovi la testa e t t 'l1ira. Scorri la lista sinché non incontri mamma e papà. A , lltt·l punto sarai sotto shock, avrai visto dei moduli di com­l >t li t amento ripetersi di continuo, ti faranno nausea. Chi sta ·l'l l llsorizzando le tue insanità? Chi ha fatto l'ordine del gior­

t , .. : La ricapitolazione ti darà un momento di silenzio, questo 11 pnmerterà di buttare via le premesse e di fare spazio per qual­' t ,.,a d'altro. Verrai fuori dalla ricapitolazione con delle storie "·ma fìne a proposito del Sé, ma non stai piu sanguinando.»

lUTTO QUELLO CHE VOLEVATE SAPERE A P RO­I,l )SITO DELL: ENERGIA. . . MA CHE AVEVATE PAURA l ) l CHIEDERE .. lluando incontrai don Juan ero già scoppiato, mi ero spom­pato in quel modo che sai. Non sono piu nel mondo, non in

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quel modo. Gli stregoni usano quel tipo di energia per volare là fuori, o per cambiare. Scopare è dal punto di vista energe­tico il nostro atto piu importante. Vedi, abbiamo bruciato i nostri migliori generali mandandoli allo sbaraglio e non pos­siamo sostituirli. Ecco perché è cosf importante ricapitolare la propria vita. La ricapitolazione separa l'incarico datoci dal­l'ordine sociale dalla nostra forza vitale. Le due cose non sono inseparabili. Una volta che sono stato in grado di sottrarre l'es­sere sociale dalla mia energia nativa, ho potuto vedere chiara­mente: non ero poi cosf sexy. A volte parlo con degli psichiatri. I l loro tema preferito è l'or­gasmo. Quando sei lf che fluttui nell' infinito non te ne frega un cazzo del "Grande 0". La maggior parte di noi è frigida, tutta questa sensualità è pura masturbazione mentale. Al momento del concepimento noi siamo delle "scopate annoia­te", senza energia. Se siamo i primogeniti i nostri genitori non sanno come comportarsi, se siamo gli ultimi nati non gliene frega piu niente di come comportarsi. Siamo fregati in ogni caso. Siamo solo carne biologica con cattive abitudini e sen­za energia. Siamo creature noiose, ma diciamo che siamo annoiate. Scopare è molto piu ingiurioso per le donne, gli uomini sono solo dei fuchi. Luniverso è femminile. Le don­ne hanno accesso totale, sono già IL Sono solo stupidamente socializzate. Le donne sono delle volatrici portentose, hanno un secondo cervello, un organo che possono usare per dei voli inimmaginabili. Usano i loro grembi per sognare. "Dobbia­mo smettere di scopare?", chiesero gli uomini a Florinda. Lei gli rispose: "Continuate a infilare il vostro pistolino in giro ogni volta che volete!". È una strega tremenda! Si comporta molto peggio con le donne, le dee del week-end che si dipin-

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, <�l" i capezzoli e vanno in ritiro a fare i gruppi. A loro dice: t lr.t -,ietc qui a fare le dee. E quando tornate a casa cosa fate?

, 1 1 ' t,. scopate come delle schiave! Gli uomini lasciano dei , 11111 luminosi nelle vostre fìghette!" . Cavolo, Florinda è una

. , r .1 \1 rega orrenda!»

l \ I'ISTA DEL COYOTE l 1, •rrnda Donner-Grau non fa prigionieri. È di struttura deli-

11.1 . . 1ffascinante, e aggressiva, come un fantino con la frusta. 1 _�,1.111do la Donner-Grau incontrò per la prima volta don Juan

rl '>tto entourage, pensò che si trattasse di gente che lavorava ,1' 1 rLo, disoccupata e dedita al traffico di merce rubata. Come

1 "<'l�arc altrimenti la presenza di cristalli di Baccarat, di abiti 'l"i-,iri, di gioielli di antiquariato? Si sentiva avventurosa nel

11 ' ., JLtL"ntare quella gente, per natura lei era impertinente, teme­l .11 1.1, vivace. Per essere una ragazza sudamericana la sua vita , 1.1 \lata molto libera. l\ 11 savo di essere uno degli esseri piu meravigliosi sulla fac­

. r. 1 della terra. Cosf sfrontata, cosf speciale. Mi vestivo da uomo l'·lrtccipavo alle corse automobilistiche. Poi spunta questo

111diano che mi dice che l'unica cosa speciale della mia perso­li.! -,o no i capelli biondi e gli occhi azzurri in un paese dove , 111ntc cose sono apprezzate. Volevo picchiarlo, mi sa che lo l' , i anche. Ma aveva ragione, sapete? Questa celebrazione del '' L' rotalmente insana. Quello che gli stregoni fanno è esatta­IIH'Iltc uccidere il Sé. In quel senso tu devi morire per vivere,

. . 111111 vivere per monre.» l >()n Juan incoraggiava i suoi allievi ad avere una storia d'a­lll()t"C con la conoscenza. Voleva che le loro menti fossero d ,bastanza addestrate per vedere la stregoneria come un

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autentico sistema filosofico. In un delizioso rovesciamento tipico della stregoneria, il lavoro sul campo conduceva all'ac­cademia. In quel modo la strada per l'ora della magia diven­tava divertente. Si ricordava la prima volta che Castaneda la portò in Messico per incontrare don Juan. <<Viaggiammo per una di quelle lun­ghe strade p iene di curve, sapete la pista del coyote. Pensavo che avesse preso quella strana strada per non essere seguito, ma mi sbagliavo. Dovevi avere molta energia per rintracciare quel vecchio indiano. Dopo non so piu quanto tempo, incrociam­mo qualcuno che ci salutava in mezzo alla strada. Dissi a Car­los: "Ehi non ti fermi?". "Non è necessario", rispose. Capite, eravamo passati sopra la nebbia. >> Schizzammo attraverso Pepperdine, dove era successo un ter­ribile incendio. Qualcuno lungo la strada vendeva cristalli. Mi domandai se la casa di Shirley MacLaine fosse andata a fuoco, se Dick Van Dike avesse ricostruito la sua. Forse Van Dike si era trasferito dalla MacLaine con Sean Penn. «Cosa succede alla gente che è interessata al tuo lavoro, che legge i tuoi libri, che ti scrive lettere? Gli dài una mano?>> «La gente è intellettualmente curiosa, sono solleticati o qual­cosa del genere. Rimangono sino a che non diventa troppo dif­ficoltoso. La ricapitolazione è una faccenda sgradevole, voglio­no risultati immediati, gratificazioni istantanee. Per un sacco di New Agers la cosa è come " il gioco degli appuntamenti". Cambiano la tappezzeria alla stanza, dopodiché lanciano sguardi furtivi e prolungati ai partner. Oppure è come andare a fare shopping in centro. Quando la faccenda diventa troppo costosa in rapporto a quello che devono dare di sé, non voglio­no andare avanti. Vedi, vogliamo il massimo ritorno col mini-

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1 1 1 1 , i n vesti mento. Nessuno è realmente interessato nel fare il 1 . 1 \ '0Hl . »

\ 1 .t se ci fossero delle prove di quanto dici, sarebbero inte-l < ' '' �l ( l . »

( . t rlos ha una storia grandiosa. C'era una donna che cono­.. , n a da anni. Lo chiamò dall'Europa, era in pessima forma. l 1 1 1 le propose di raggiungerlo in Messico, di "saltare nel suo 1 1 ) ( l n do". Lei esitava. Poi gli disse: "Verrei se sapessi che i miei · .. r r H ia l i mi aspettano dall'altra parte del fiume" . Voleva delle l' . . r r anzie che sarebbe atterrata sui suoi piedi. Naturalmente l l < l l l ci sono garanzie. Siamo tutti cosi: salteremmo anche, se · ' do fossimo sicuri che i nostri sandali ci aspettano dall'altra 1 ' · 1 r((:. ,,

l se tu saltassi nel modo migliore in cui sei capace, per poi l < ' r tdcrt i conto che tutto era solo un'allucinazione dovuta alla khbre?>> .\ llora spero che ti venga una buona febbre!>>

l .\ PARTI PRIVATE DI CARLOS CASTANEDA ( �uesto non è un libro per tutti. "

t _)ucsto è ciò che gente che lo ha seguito per anni ha detto del ·. t r o ultimo lavoro, L'arte di sognare. In effetti è il coronamen­r ' ) dell'opera di Castaneda, un manuale per un paese non sco­l lLTto, la delineazione di antiche tecniche usate dagli stregoni l ' l' l' entrare nella seconda attenzione. È lucido e snervante , ome i suoi libri precedenti, anche se in questo c'è qualcosa di ( l\SCssivo. Odora come se fosse stato ràtto in qualche altro "luo­! �! l" . Ero curioso di sapere come l'avesse scritto. · · ho solito prendere degli appunti con don Juan, migliaia di . r ppunti . Alla fine lui mi disse: "Perché non scrivi un libro?".

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Gli risposi che era impossibile: "Non sono uno scrittore". E lui: "Però puoi sempre scrivere un libro del cazzo no?". Pensai tra me e me che, certo, potevo scrivere un libro del cazzo. Don Juan mi sfidava: "Sei sicuro di poter scrivere questo libro sapendo che può portarti alla notorietà? Puoi rimanere distac­cato? Che ti amino o ti odino è insignificante. Puoi scrivere questo libro e rinunciare a quello che potrebbe essere la tua strada?" . Ci sto! Lo faccio, mi son detto.» <<Mi sono accadute delle cose terrificanti sul mio cammino. Ma le mutandine non erano della mia misura.» Gli dissi che non avevo afferrato l'ultima frase. <<È una vecchia barzelletta. Una donna porta la sua macchina a riparare in un garage. Il meccanico fa il suo lavoro e, al momento di pagare, la donna si accorge di non avere con sé il portafoglio. Allora si offre di pagare il conto con i suoi orec­chini. Il meccanico le dice che se sua moglie glieli avesse visti le avrebbe fatto una scenata di gelosia. Lei allora gli offre l'o­rologio, ma lui rifiuta dicendo che sicuramente i ladri glielo avrebbero portato via. Alla fine la donna si sfila le mutandine e gliele dà. Al che il meccanico le dice: "No grazie, non sono della mia misura" . »

I CRITERI PER ESSERE MORTI <<Sino al mio incontro con don J uan, non ero mai stato solo. Lui mi disse di liberarmi dei miei amici, loro non mi avrebbero mai permesso di agire in maniera indipendente, mi conoscevano troppo bene. Mi disse di affittare una stanza, la piu sordida che trovavo. Del genere tende verdi e pavimento verde che puzzano di piscio e fumo. Mi disse di restarci da solo, forse non sarei morto. Gli dissi che non potevo. Non volevo lasciare i miei

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' ' ' ' ' ' i . Lui affermò che, stando cosf le cose, non avrebbe piu 1 • 1 1 ! . 1 to con me, mi salutò con un gran sorriso e se ne andò. l � l ) ',. l tJo, come mi sentivo sollevato! Quello strambo vecchio, · , , , , · ! l ' i ndiano, mi aveva buttato a terra. La cosa era andata trop-1 ' " 111 là. Ma piu mi avvicinavo a Los Angeles piu mi sentivo , ' ' " l 'l' iato. Mi rendevo conto che stavo andando a casa dai miei " ' ' ' ' i . Per quale motivo? Per avere delle conversazioni insigni­I ' , . 1 1 1 t i con gente che mi conosceva troppo bene. Stare seduto in i " ' l t ro na in attesa che squilli il telefono per essere invitato a , J 1 1 . , khe festa? Ripetizioni senza fine. Presi una stanza verde e 1 , l d onai a don Juan. "Non è che mi interessi, ma quali sono i . ' 1 1 ni per essere morto?" La sua risposta fu: "Quando ti sarà 1 1 1 1 ! d ferente essere solo o essere in compagnia. Questi sono i cri­l , 1 1 per essere morto". Ci misi tre mesi per morire. Mi arrampi­. · ' \ ' > sui muri sperando in una breve visita di un amico. Ma resi-

' n o. Alla fine mi resi conto che non si diventa matti a stare • , [ , , mi ero liberato di una supposizione. Diventi matto se con-

1 1 1 1 1 1 i s u questa strada. Questo è certo."

\ '.'. EMBLANDO LA CONSAPEVOLEZZA t 1 di rigemmo verso lo squallido hotel dove Castaneda era ' ' � <hro a morire. <<Possiamo andare alla tua vecchia stanza, giu­.1 ' ' per vedere com'è." Disse che non era il caso. <<Che cosa vuoi

, l . 1 l la vita?" , era solito chiedermi donJuan. La mia risposta clas­· ' ' . t era che francamente non ne avevo idea. Questo era il mio 11 t q.;giamento da persona profonda, da intellettuale. E don ! 1 1 . 1 1 1 : "Questa risposta soddisfarebbe tua madre non me" . Ero .11 .1 volto, non riuscivo a pensare. E quello era un indiano. Por­

, .1 puttana! Dio, non hai idea di cosa questo significhi. Ero una 1 , , · rsona educata, ma di fronte a lui non ero niente. Un gior-

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1 1 1 • 1 1 1 1 , l l l t'�t· se noi due eravamo uguali . Lo abbracciai pian­! '.< ' l l l i < > . "Certo che lo siamo, don Juan! Come puoi dire una t ma dd genere?" Grandi abbracci, stavo praticamente sin­gh iozzando. "Lo pensi davvero?" "Certo per Dio!" Si staccò dall'abbraccio e mi disse: "No, noi non siamo uguali. Io sono un guerriero impeccabile, tu sei uno stronzo. Posso riassume­re la mia intera vita in un momento. Tu non puoi neanche pensarci". ,, Parcheggiammo sotto gli alberi. Castaneda si fermò davanti allo sgangherato edificio con uno strano entusiasmo, sciocca­to dal fatto che fosse ancora in piedi. Mi disse che avrebbe dovuto essere abbattuto da molto tempo, che la sua persisten­za nel mondo rappresentava qualcosa di stranamente magico. Dei bambini giocavano con un grosso camion dei pompieri di plastica. Una homeless camminava come una sonnambula. Non si mosse. Cominciò a parlare sul significato del morire in una "stanza verde" . Da quando aveva lasciato quel posto, era stato in grado di ascoltare senza invidia le premesse pazzesche del vecchio indiano. Don Juan gli disse che, quando gli stre­goni vedono l'energia, la forma umana appare come un uovo luminoso. Oltre l'uovo, approssimativamente alla distanza di un braccio dalle spalle, si trova il «punto di unione», dove i nastri incandescenti della consapevolezza si riuniscono. I l modo in cui noi percepiamo i l mondo è determinato dalla posizione di questo punto. Il punto di unione dell'umanità è fissato nella stessa posizione dell'uovo; questa uniformità è responsabile del nostro modo comune di vedere la vita di tut­ti i giorni. Gli stregoni chiamano questa arena di consapevo­lezza la «prima attenzione». Il nostro modo di percepire cam­bia con lo spostamento di questo punto, il che può essere dovu-

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, ' 1 1 1 1 1 incidente, a uno shock, all'uso di droghe oppure può 1 , ' , · , t in: nel sonno, quando sognamo. «L arte di sognare>> con­l . 1 , 1 1 l'llo spostare e fissare il punto di unione in una nuova

1 " "" ione, generando la percezione di mondi alternativi onni­• 1 > 1 1 1 p rcnsivi (la «seconda attenzione>> ) . Piccoli spostamenti del

l ' " " t o all'interno dell'uovo fanno ancora parte del nastro urna­' " ' ,. p roducono allucinazioni o delirio o il mondo incontrato , l 1 1 1 . 1 1 1tc i sogni. Movimenti piu ampi del punto di unione, piu , l 1 . 1 1 1 1 matici, tirano il <<Corpo di energia>> fuori dal nastro urna­"" verso reami non umani. Questo è il luogo dove don Juan

, 1\ suo entourage viaggiarono nel 1 973 quando «bruciarono , \ . d i ' interno>>, adempiendo all'inconcepibile affermazione del­l .1 loro stirpe: il volo evolutivo. l . tstaneda aveva scoperto che intere civiltà - un conglomera­I l i d i sognatori - erano svanite in quella stessa maniera. \ l i parlò di uno stregone della sua stirpe malato di tubercolo­'>� . Era stato capace di spostare il suo punto di unione allonta­nando la morte. Questo stregone doveva restare impeccabile, l. t sua malattia incombeva su di lui come una spada. Non pote­va permettersi di avere un ego, sapeva esattamente dove lo sta­,.a aspettando la sua morte. Castaneda si voltò verso di me sorridendo. «Ehi . . . >> Aveva uno strano sguardo esuberante, e io aspettavo che finisse la frase. Per tre settimane mi ero sprofondato nei suoi libri e nella loro presentazione contagiosa di possibilità. Forse era questo il mo­mento in cui avrei fatto il mio patto con Mescalito. Che fossi già passato sopra la nebbia senza essermene reso conto? «Ehi>>, ripeté, con gli occhi che brillavano. <<Vuoi farti un ham­burger?>>

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BOICOTTAN DO LA SACRA RAPPRESENTAZIONE «Che il punto d i unione di un uomo sia fìssato in un posto è u n cr l ln l nL' . » Fro sed uto con Taisha Abelar su una panca di fronte al Museo d'arre di Wilshire. Non s'adattava per nulla all 'immagine che mi ero fatto di lei. Castaneda mi aveva detto che, come parte del suo addestramento, Abelar aveva dovuto assumere diverse i dentità, ai tempi in cui era un'attrice che cercava di farsi stra­da nel «teatro della stregoneria live>>. Una delle identità era sta­ta quella della "pazza di Oaxaca", una mendicante lasciva e sporca di fango. «Volevo chiamare il mio libro "Il grande attraversamento", ma suonava troppo orientale." «Il concetto buddhista è abbastanza simile." «Ci sono molti paralleli. Il nostro gruppo è passato oltre per anni, ma solo recentemente abbiamo dei dati comparativi, dato che la nostra dipartita è imminente. I l 75% della nostra energia è qui, il 25% dall'altra parte. Ecco perché dobbiamo andare." <<È lf che è stata Caro! Tiggs? Quel posto del 75%?, <<Vuoi dire la zona "ai confini della realtà?" Rimase per un momento col viso senza espressione, poi rise. <<Noi sentivamo Caro! Tiggs nei nostri corpi quando andò via. Aveva una massa tremenda. Era come un faro, un segnale. Ci dava speranza, un incentivo ad andare avanti. Perché sapeva­mo che lei era là. Ogni volta che diventavo autoindulgente, sentivo che mi dava un colpetto sulle spalle. Era la nostra magnifica ossessione . . . »

<<Perché è cosi diffìcile per una scimmia fare il suo viaggio?, <<Noi percepiamo in maniera minima, piu legami abbiamo con

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questo mondo, piu ci è difficile dirgli addio. Tutti ce li abbia-1 1 1 0 , vogliamo la fama, essere amati, piacere alla gente. Cavo­lo . qualcuno di noi ha persino dei bambini. Perché dovrem-1 1 1 0 andarcene? Siamo incappucciati, mascherati . . . Abbiamo dl'i momenti felici che durano in noi per tutta la vita. Cono­''-o una ripa che è stata Miss Alabama. Pensi sia abbastanza per I L'ncrla lontano dalla libertà? Si, "Miss Alabamà' è sufficiente pL'r tenerla inchiodata.» ha venuto il momento di porle una di quelle grandi doman­dl' (ne avevo parecchie) : quando parlano di passare attraverso, i mendono anche con il corpo fisico? Lei rispose che col cam­hiare il Sé non si intendeva l'ego freudiano, ma il Sé reale, con­l rL'tO, si, il corpo fisico. «Quando don Juan e la sua comitiva '>L' ne andarono, lo fecero con la totalità del loro corpo. Se ne .mdarono coi loro stivali calzati .» l .L'i diceva che il sognare era l'unico autentico nuovo reame del d iscorso filisofico, che Merleau-Ponty si sbagliava quando .1 ffermava che l'umanità era condannata a provare del pregiu­d izio verso un mondo a priori. <<Esiste un posto dove non esi­'>tono cose a priori, la seconda attenzione. Don Juan diceva '>L'mpre che i filosofi erano degli stregoni mancati. Ciò che mancava loro era l'energia per fare un salto oltre le loro idea­l i tà. Nella nostra strada verso la libertà tutti ci trasciniamo die­tro un bagaglio; molliamolo. Dobbiamo anche mollare il baga­glio della stregoneria.» «I l bagaglio della stregoneria?» « Noi non facciamo stregoneria, non facciamo niente. Tutto il nostro lavoro è muovere il punto di unione. Alla fine, l 'essere uno stregone è una cosa che ti tiene intrappolato quanto l'es­sere Miss Alabama.>>

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Una donna male in arnese, senza denti, si stava trascinando verso di noi per venderei delle cartoline, la Pazza di Miracle M ile. Ne presi una e le diedi un dollaro. La feci vedere ad Abe­lar, era una immagine di Gesti che rideva. «Un momento raro» , mi disse.

GLI OSPITI ARRIVANO <<C'è rimasto qualcosa da esplorare in questo mondo? Dove? È

tutto a priori, fatto ed esaurito. Siamo in lista per la vecchiaia, ci attende come la magina, la malattia del fiume. Quando ero un bambino ne avevo sentito parlare. Un male di ricordi e memorie. Prende la gente che vive sulle sponde dei fiumi. Vie­ni preso da una brama che ti spinge a muoverti continuamente, a vagare senza senso, all ' infinito. Il fiume scorre, la gente dice che il fiume è vivo. Quando cambia il suo corso, non si ricor­da che una volta fluiva da oriente a occidente. Il fiume si scor­da di sé. C'era una donna che andavo a visitare in una casa di cura. Era li da quindici anni. Da quindici anni faceva i prepa­rativi per un party che aveva organizzato all'Hotel Coronado. Restava sempre delusa; si preparava tutti i giorni, ma gli ospi­ti non arrivavano mai. A un certo punto mori. Chi lo sa, for­se quel giorno alla fine gli ospiti arrivarono.»

LINDICE DEGLI INTENTI <<Come devo dire che sei?» La sua voce diventò untuosamente assurda. Era Fernando Rey, il borghese narcisista, con un pizzico di Laurence Harvey. <<Puoi dire che assomiglio a Lee Marvin.» Si stava facendo scuro a Roxbury Park. Si sentiva i l rumore di una palla da tennis contro un muro di cemento. <<Una volta

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! 1 " ktto su Esquire un articolo a proposito della stregoneria t . r n rn in ile in California. La prima frase diceva: "Lee Marvin ! 1 . 1 paura". Quando le cose non vanno per il verso giusto, puoi . , 1 1 t i rmi: Lee Marvin ha paura.»

1 r mettemmo d'accordo, l'avrei descritto come una persona , m t retta su una sedia a rotelle, un torso con dei meravigliosi 1 1 H l l lcherini. Aveva addosso del profumo di Bijan e lunghi , . q ll'i l i che incorniciavano delicatamente un volto somiglian­, , . . 1 Foucault da giovane. o.., , oppiò a ridere. <<Conosco una tipa, attualmente fa confe-1 \ ' I I Ze su di me. Quando si sentiva depressa, aveva un trucco l 'n usci me fuori. Si diceva: "Carlos Castaneda assomiglia a un , .1meriere messicano!" . Tutto qui. Questo bastava a tirarla su d i morale. Carlos Castaneda assomiglia a un cameriere messi­' .mo! Si sentiva istantaneamente ricaricata. Non è affascinan­t l' ? Ceno un po' triste! Ma per lei era buono quanto il Prozac!» 'i t avo sfogliando ancora i suoi libri e volevo chiedergli qualcosa , i rca l' intento. Era uno dei concetti prevalenti e piu astratti del loro mondo. Loro parlavano di intendere la libertà, intendere l ' energia del corpo, parlavano anche di intendere l' intento. ·• Non capisco cosa intendete per intento. >> .: ru non capisci niente. >> M i sentivo preso alla sprovvista. <<Nessuno di noi capisce nien­te! Noi non capiamo il mondo, al massimo lo maneggiamo, ma lo maneggiamo in maniera meravigliosa. Quando dici "non capisco" stai dicendo uno slogan. Non capirai mai nien­te all'inizio.>> M i sentivo in vena di domande. Anche per la stregoneria esi­ste una "definizione comprensibile". Perché non me ne dava una anche per " intento"?

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«Non posso dirti cosa sia l' intento. Non lo so neanch'io. Apri un nuovo indice di categorie. Siamo catalogatori, tassonomi­sti; come ci piace fare delle classificazioni ! Una volta don Juan mi ha chiesto cosa fosse una università, gli ho risposto che era una scuola per insegnamento avanzato. Mi chiese cosa signi­ficava scuola per insegnamento avanzqto. Gli dissi che era un posto dove la gente si riuniva per imparare. Lui mi chiese se era un campo o un parco. Avevo capito. "Università" ha un significato diverso per un professore, per uno studente e per chi paga le tasse. Non abbiamo idea di cosa sia una "univer­sità", è un indice di categorie, come "montagna" o "onore". Tu non hai bisogno di sapere cosa sia l'onore per andarci incon­tro. Allo stesso modo ti devi muovere verso l'intento. Fai del­l'intento un indice. Intento è semplicemente la consapevolez­za di una possibilità, di una chance di avere una chance. È una delle forze perenni dell'universo che noi non utilizziamo mai : agganciandoti all'intento del mondo dello stregone ti stai dan­do una chance di avere una chance. Non ti stai agganciando al mondo di tuo padre, il mondo dell'essere sepolto un metro sottoterra. Intendi muoverti verso il tuo punto di unione. In che modo? Intendendo! Pura stregoneria!» «Muoverti verso di esso, senza capire.» «Esattamente! "Intento" è solo un indice, assolutamente falla­ce, ma totalmente utilizzabile. Proprio come "Lee Marvin ha paura".»

POVERA BAMBINAGGINE «<ncontro continuamente della gente che muore dalla voglia di raccontarmi le proprie storie di abusi sessuali . Un tipo mi ha raccontato che, quando aveva dieci anni, suo padre gli ha

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t l l nrato il cazzo dicendogli : "Questo serve a scopare!" . Que­. t " htto lo ha traumatizzato per dieci anni! Ha speso migliaia

, !t dollari dagli psicoanalisti. Siamo cosi vulnerabili? Cazzate. '. 1 . 1 1 1 10 in giro da cinque miliardi di anni! E come si definisce ' J I I L'I tipo? "Vittima di un abuso sessuale." Mierda. Siamo tut­l i dci poveri bambini. Don Juan mi ha costretto a esaminare t i 111odo in cui mi relazionavo con la gente; volevo che si sen­l t \scro dispiaciuti per me. Questo era il mio "trucco numero l t no" . Tutti abbiamo un trucco che impariamo molto presto e , h c ripetiamo sino alla nostra morte. Se abbiamo molta imma­ginazione ne abbiamo due. Accendi la televisione e ascolta i t a lk show: dall'inizio alla fine è tutta una sfilata di poveri bam­bin i . Amiamo Gesti, sanguinante, inchiodato alla croce, è il nostro simbolo. Nessuno è minimamente interessato al Cristo r isorto e asceso in Cielo. Vogliamo essere dei martiri, dei per­denti, non vogliamo aver successo. Poveri bambini che prega­no il povero bambino. Quando l'Uomo si è messo in ginoc­chio, è diventato lo stronzo che è oggi. »

CONFESSIONI DI UNA PERSONA ASSUEFATTA ALLA CONSAPEVOLEZZA Da molto tempo Castaneda non ha piu a che fare con le dro­ghe psicotrope, sebbene queste abbiano avuto una parte fon­damentale nella sua iniziazione nel mondo del nagual. Gli ho chiesto di parlarmene. <<Essendo un maschio, ero molto rigido, il mio punto di unio­ne era inamovibile. Don Juan non aveva molto tempo da per­dere, cosi impiegò dei mezzi estremi. >> <<Per questo ti ha dato delle droghe? Per smuovere il tuo pun­to di unione?>>

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Annui. «Ma le droghe sono incontrollabili, è come sulle mon­tagne russe.» «Vuoi dire che a un certo punto eri capace di muovere il tuo punto di unione e di sognare senza ausilio di droghe?» «Certo! Ecco cosa stava facendo don Juan. Vedi, Juan Matus se ne sbatteva di Carlos Castaneda. Era interessato ali ' altro essere, il corpo energetico, ciò che gli stregoni chiamano il Doppio. Era questo che lui voleva risvegliare. Tu usi il tuo Doppio per sognare, per navigare nella seconda attenzione. È lu i che ti spinge verso la libertà. "Ho fiducia che il tuo Doppio farà il suo dovere" , mi diceva. "Farò di tutto per aiutarlo a risvegl iarsi ." Avevo i brividi. Questa gente è reale. Non vanno in giro a pian­gere per mammina. A piangere per una fìghetta. >> Eravamo in un piccolo caffè all'aeroporto di Santa Monica. Andai alla toilette per bagnarmi la faccia e ricapitolare i miei pensieri. Mi guardavo allo specchio mentre pensavo al Dop­pio. Mi veniva in mente qualcosa che don Juan diceva a Casta­neda nell'Arte di sognare. «La tua passione è saltare senza fare capricci e senza premeditazione per spezzare le catene di qual­cun altro.» Tornato da lui avevo un'altra domanda. «Come è stata la prima volta che hai spostato il tuo punto di unione sen­za droghe?>> «Lee Marvin era molto molto spaventato!» Ride­va. «Quando inizi a rompere le barriere della percezione nor­male, storica, pensi di essere ammattito. È in quel momento che hai bisogno del nagual, semplicemente per farti una risa­ta. Ridendo ti libera dalle tue paure.»

IL SERPENTE PIUMATO «Li ho visti andare via, don Juan e il suo gruppo, un intero stormo di stregoni. Se ne sono andati in un luogo libero da

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1 1 1 1 to ciò che è umano, dal coercitivo culto dell'uomo. Si sono b ruciati dall'interno. Al momento di andarsene hanno fatto 1 1 ! 1 certo movimento, loro lo chiamano del "serpente piuma­l 1 >". Si trasformano in energia, persino le loro scarpe diventa­I l O energia. Fanno un ultimo giro, un passo, giusto per dare per l'ultima volta un'occhiata a questo squisito mondo. Cavo­lo! Mi vengono i brividi, tremo! Un ultimo giro . . . un segreto solo per i tuoi occhi. Avrei potuto andarmene con lui. Quando don Juan parti mi d isse: "Devo usare tutto il mio fegato per andare. Tutto il mio coraggio, la mia speranza, nessuna aspettativa. Per restare qui ru avrai bisogno di tutta la tua speranza e di tutto il tuo corag­gio" . Feci un bel salto nell'abisso e mi risvegliai nel mio uffi­cio. Avevo interrotto il fluire della continuità psicologica. Quello che si risvegliò nel mio ufficio non poteva essere l' io che conoscevo linearmente. Ecco perché sono il naguaL Il nagual è una non entità, non una persona. Al posto dell'ego c'è qualcos'altro, qualcosa di antico. Una cosa attenta, distac­cata, infinitamente meno compromessa con il Sé. Un uomo con un ego è guidato da desideri psicologici. I l nagual non ne ha. Riceve ordini da qualche ineffabile fonte che non può essere discussa. Questa è la comprensione finale: il nagual alla fine, diventa una storia, una favola. Non è offeso, geloso, pos­sessivo, non può essere niente. Ma può raccontare storie di gelosia e possessione. Lunica cosa che un nagual teme è la "tristezza antologica" . Non la nostalgia per i bei tempi anda­ti, questa è egomania. La tristezza antologica è qualcosa di differente. È una forza perenne che esiste nell'universo, come la gravità, e il nagual la percepisce. Non è uno stato psicolo­gico. È una confluenza di forze che si uniscono per disturba-

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re questo povero microbo che ha sconfitto l'ego. È percepita quando non ci sono piu attaccamenti. La vedi arrivare, poi te la senti addosso. >>

LA SOLITUDINE DEL REPLICANTE VENUTO DA LONTANO Gli piacevano i film, almeno 1 0.000 anni fa. Quando veniva­no proiettati al Vista di Hollywood, mentre stava imparando i criteri per essere morto. Lui non ci va piu, ma le streghe sf. È un diversivo dalle loro attività bizzarre ed epiche, una sorta di fare sesso sicuro sognando. Ma non esattamente. «Hai in mente quella bella scena in Biade Runner? Lo scritto­re non si è reso conto di cosa ha scritto, ma ha fatto centro. I l replicante alla fine sta parlando: "Ho visto cose che voi uma­ni non potreste nemmeno immaginarvi" , parla delle costella­zioni. "Ho visto navi da battaglia presso i bastioni di Orione." Cose senza senso, vacuità. Questa per noi era l'unica parte che non funzionava, perché era chiaro che lo scrittore non aveva visto nulla di tutto ciò. Ma quello che avviene dopo è meravi­glioso. Sta piovendo e il replicante dice: "E se tutti quei momenti si perdessero nel tempo . . . come lacrime nella piog­gia?" . Questa è la vera, seria domanda per noi. Potrebbero esse­re solo delle lacrime nella pioggia, certo. Ma tu fai del tuo meglio, signore. Fai del tuo meglio e se il tuo meglio non è abbastanza buono, mandalo affanculo. Se il tuo meglio non è abbastanza buono manda affanculo Dio stesso. "

APPUNTI A PIÈ PAGINA PER FEMMINISTE Prima che incontrassi Castaneda per l 'ultima volta, mi ero pre­notato per vedere la misteriosa Caro! Tiggs a colazione. Venti

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, , , , , j prima era saltata col gruppo di don Juan Matus nell'in­" ) �n ito. Era inconcepibilmente ritornata, mettendo in moto

' ' 1 1 1 cro spettacolo itinerante di stregoni. Piu si avvicinava l'ap-1 ' 1 1 1 \ l amento, piu mi sentivo a disagio. Ogni volta che faceva • • t pol ino la Grande Domanda (dove cazzo sei stata questi die­' 1 .mni?) , la vedevo svanire. Mi sentivo sulla pista e vedevo < . 1 rol Tiggs che mi salutava dalla cambusa. In un universo di . l t dità, Tiggs e Castaneda sono due opposti energetici. Non " l i l O su questo mondo come marito e moglie. Hanno doppia , 1 1 crgia, a chi riuscisse a vederli i loro corpi energetici appari­I L·hbero come due uova luminose invece di uno solo. Questo 1 1 o n li rende migliori della Donner-Grau o di Abelar o di non ' o chi altro, al contrario. Dà loro la possibilità di essere "due ' o l te stronzi" , come disse una volta Juan Matus. Sino ad ora ( :astaneda ha scritto esclusivamente sul mondo di don Juan, mai sul suo. Ma L'arte di sognare emana la presenza oscura, estranea di Caro! Tiggs, abbonda di racconti raccapriccianti delle sue escursioni nella seconda attenzione, compreso il sal­vataggio precipitoso di "un essere senziente di un' altra dimen­sione" sotto forma di un angolosa ragazzina dagli occhi di acciaio chiamata Blue Scout. Stavo uscendo quando squillò il telefono. Ero sicuro che fos­se Caro! Tiggs che cancellava l'appuntamento. Era la Donner­Grau. Le raccontai il sogno che avevo avuto quella mattina. Ero con Castaneda in un negozio di oggetti da regalo chiamato La Pista del Coyote. A lei non gliene fregava un cazzo! Mi dis­se che i sogni normali sono delle masturbazioni senza senso. Brutta strega crudele! <<Voglio aggiungere qualcosa, la gente mi dice che ho mollato il femminismo, che permetto che il " leader" del nostro grup-

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po sia un uomo, don Juan. Che il nuovo nagual è sempre un altro uomo, Carlos Castaneda. Bene, la ragione per cui que­sti uomini fanno da "leader" è una questione di energia, non certo perché ne sanno di piu o perché sono migliori. I.:uni­verso è veramente femminile, l'uomo è viziato perché è uni­co. Carlos ci guida nel sognare, non nelle nostre azioni nel mondo. Don Juan aveva una frase orrenda. Era solito dire che le donne erano delle fighe scervellate; lui andava dritto alle cose. È proprio perché siamo scervellate che abbiamo faci­lità di sognare. I maschi sono totalmente rigidi. Ma le don­ne non hanno sobrietà, struttura, contesto; nella stregone­ria sono gli uomini che provvedono a questo. Le femmini­ste si incazzano quando dico che le femmine sono intrinse­camente compiacenti, ma è la verità! Questo perché noi riceviamo la conoscenza direttamente. Non dobbiamo girarci intorno con le parole, questo è il processo maschile. Sai cos'è il nagual? Il mito del nagual? Che esistono illimi­tate possibilità per ognuno di noi di essere qualcosa di dif­ferente da quello che pensiamo di essere. Non devi seguire la strada dei tuoi genitori. Che io ci riesca o meno è imma­teriale.»

SOLO PER I TUOI OCCHI Avevo appena appeso la cornetta che il telefono squillò di nuo­vo: Caro! Tiggs cancellava il suo appuntamento. Invece di sen­tirmi sollevato mi sentivo a terra. Avevo parlato con delle per­sone che erano state alle conferenze a Maui e in Arizona. Mi avevano detto che era splendida, che prendeva gli astanti di petto, si comportava come un Elvis cattivo. «Mi spiace di non

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, " • l nt i incontrare», mi aveva detto. Almeno mi sembrava sin­, 1 . 1 . «Ci tenevo. >> "\ " n importa, ci incontreremo a una delle tue conferenze.>> t l h , penso che non ne farò per un bel po' . ,, Fece una pausa. l l < l qualcosa per te.>> \!on saranno mica i lampi delle tue tette?>>

l , 1 1 (> un attimo, poi scoppiò a ridere. «Qualcosa di piu dram­' ' L i t tco.>> 'wn rivo un nodo allo stomaco.

l o sai, hanno sempre sostenuto che esiste questa divisione tra , m·nte e corpo, questa mancanza di equilibrio, questo proble­l l l ;t "mente-corpo". Ma la vera dicotomia è tra corpo fisico e , orpo energetico. Moriamo senza neanche essere riusciti a sve­) '. l i are quel magico Doppio, e lui ci odia per questo. Ci odia , osi tanto che potrebbe anche ucciderei. Questo è il vero segre­l o della stregoneria, entrare nel Doppio per il volo astratto. Gli ' t regoni saltano nel vuoto della pura percezione col loro cor­I )O energetico.>> Una nuova pausa. Mi chiedevo se avesse finito di parlare. Sta­vo per dire qualcosa quando sentii le mie parole bloccarsi tra le guance. •<C'è una canzone che don Juan amava molto, diceva che chi l'aveva scritta era quasi arrivato al centro della faccenda. Don Juan sostituiva una parola per renderla perfetta. Metteva libertà al posto di amore.>> Quindi iniziò una recita spettrale:

Si vive solo due volte o cosi almeno sembra. Una volta per te stesso

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e una per i tuoi sogni. Scivoli attraverso gli anni e la vita ti sembra senza sorprese. Finché un sogno appare e libertà è il suo nome. E libertà è uno sconosciuto che ti fa un cenno. Non pensare al pericolo o lo straniero sparirà. Questo sogno è per te quindi pagane il prezzo. Trasforma un sogno in realtà*.

Restò in silenzio per un attimo. Mi augurò sogni d'oro, ridac­chiò come una strega e appese.

IL PRURITO DEL NAGUAL Facendosi piu fredde le giornate diventava facile provare un rimpianto, per tutto, anche per il Prozac. E se Castaneda non si fosse inventato nulla? Se è vero, saresti messo male. Ci incontrammo per l'ultima volta sulla spiaggia vicino al molo; era una giornata fredda. Mi disse che non poteva fer­marsi molto. Gli spiaceva che non avessi incontrato Caro! Tiggs. Sarebbe stato per un'altra volta. Mi sentivo proprio un povero bambino. Dannazione, voglio solo essere amato. Ave­vo paura come Lee Marvin . E Gesu guardò giu verso la gente e disse: «Sono cosf annoiato!» .

* You only live twice , di Barry-Bricusse, 1 967. Canzone del fìlm omo­nimo della serie James Bond, di Jan Fleming [n.d.t.] .

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1 1 sedemmo su una panchina che dava sugli scogli. Volevo 1 1 . 1 1 renerlo, solo un momento. «Qual è l'ultima volta che hai . , · 1 1 t ito nostalgia?» \ f i rispose senza esitazione. «Quando dissi addio a mio non­I lo . Era già morto da molto tempo. Don Juan mi avverti che , 1 . 1 l 'ora di dire addio: mi stavo preparando per un lungo viag­� � i o , senza ritorno. "Devi dire addio perché non tornerai indie­l ro" , mi disse. Evocai mio nonno, lo vidi davanti a me in tut"' 1 i i dettagli . Una visione di lui totale. Aveva gli "occhi che dan­r .tvano". Don Juan mi disse: "Di' il tuo addio per sempre". ( :he pena! Era venuto il momento di ammainare la bandiera c lo feci. Mio nonno divenne una storia. L:ho ripetuto migliaia di volte.» l òrnò alla sua macchina. «Sento un prurito nel mio p lesso

solare, molto eccitante. Mi ricordo che lo sentiva anche don J uan e io non capivo cosa significasse. Ora lo so, vuoi dire che presto verrà il momento di partire.» Si grattò con gusto. «È

una sensazione squisita!>> Mentre guidava mi gridò dal finestrino: «Addio, illustre gen­tiluomo!».

LE LUCI SI ABBASSANO Mi era arrivata la notizia di una loro conferenza a San Franci­sco. Avevo finito di scrivere sul soggetto, ma decisi di andarci ugualmente. Di metterei un tappo sopra, per cosi dire. L audi­torium si trovava in un parco industriale a Silicon Valley. Il suo aereo era in ritardo, quando arrivò la sala era piena. Parlò con eloquenza per rre ore circa senza interruzioni. Rispondeva alle domande sollecitamente, incitando e parando colpi. Nessuno si muoveva. Verso la fine parlò dell'uccisione dell'ego.

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l t , , , l 1 1 t 1 1 . t 1 n . 1 1 1 1 1a metafora per questo: "È come quando ; , 1 1 1 . , . 1 . t hlt . •��.mo e i musicisti impacchettano i loro stru-1 1 1 • 1 1 1 1 \; , , 1 1 L 'è p iu tempo per danzare, è tempo di morire". ! 1 1 . 1 1 1 � 1 . t t us diceva che c'era un tempo infinito e uno total­l l l l' l l t L' se nza tempo. La contraddizione è stregoneria. Vivete­h! Vivetela splendidamente! >> Un giovane in sala si alzò. «Ma come possiamo farlo senza qual­cuno come don Juan? Come possiamo farlo senza aggregarci a qualcuno?» <<Nessuno si aggrega a noi, non siamo guru. Non hai bisogno di don Juan>t, disse enfaticamente. <<lo avevo bisogno di lui, ecco perché te ne parlo. Se vuoi l ibertà, hai solo bisogno di decisione. Abbiamo bisogno di massa nel mondo, non voglia­mo farci delle seghe. Se ricapitolate, sarete in grado di racco­gliere energia, e noi vi troveremo. Ma avrete bisogno di mol­ta energia. E per arrivarci dovete tirare fuori le balle. Allora sospendete il giudizio e afferrate l'opzione. Fatelo. Don Juan diceva spesso: "Uno di noi è uno stronzo. E non sono io" . Fece una pausa. "Questo è quello che sono venuto a dirvi oggi".» La sala esplose in una risata, il pubblico si alzò in piedi per applaudirlo mentre lui usciva dalla porta posteriore. Volevo corrergli dietro urlando: <<Per favore amami!» . Se non altro sarebbe stato divertente. Ma avevo dimenticato il mio piattino di latta per le elemosine. Camminai nel buio vicino a uno stagno. Un vento leggero scuoteva le fragili foglie sul bor­do. Mi tornò alla mente una delle nostre conversazioni , stava parlando di amore. Sentivo la sua voce e mi immaginavo nel­la cambusa mentre mi giravo lentamente per fronteggiare le parole che mi venivano incontro. «Mi inammorai all'età di nove anni . Avevo veramente trovato

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' ' 1 1 1 ia metà. Davvero. Ma non era destino. Don Juan mi dis­, l hc se la storia avesse avuto un seguito sarei stato statico,

' ' ' 1 1 nobile. Il mio destino era dinamico. Un giorno, questo 1 1 1 m re della mia vita, questa ragazzina di nove anni traslocò. \ 1 i;l nonna mi disse di non essere codardo e di correrle dietro. \ <>l evo bene a mia nonna ma non glielo avevo mai detto, per­

, hé lei mi imbarazzava, aveva dei problemi di pronuncia. Mi l h i amava "afor" invece di "amor" . Era solo una questione di . I l Cento straniero, ma ero molto giovane c non lo sapevo. Mia I H>nna mi mise un mucchio di monete in mano. "Vai e pren­di la! La nasconderemo a casa nostra e la crescerò io!" Presi i -,oldi e andai. In quel momento l'uomo di mia nonna le bisbi­gl iò qualcosa all'orecchio. Lei mi chiamò con uno sguardo vuoto. "Afor. . . mio piccolo caro", e si riprese i soldi. "Mi spia­ce ma i l tempo è scaduto." M i dimenticai di questo episodio, don Juan me lo tirò fuori anni dopo. Mi ossessiona. Quando sento il prurito, e l'orologio segna le dodici meno un quarto, mi vengono i brividi! Tremo, ancora oggi!» "Afor . . . piccolo caro. Il tempo è scadutO. >>

Intervista di Bruce Wagner (Details Magazine) .

Traduzione di Matteo G uarnaccia.

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l nrorno all'una del pomeriggio il mio amico e io ci avviamo in . tuto verso il campus della UCLA (Università della California presso Los Angeles) . Ci attendono piu di due ore di viaggio. Seguendo le indicazioni di Castaneda, arriviamo senza diffi­coltà alla guardiola situata all'ingresso del parcheggio dell'u­niversit-à. Sono quasi le quattro meno un quarto. Ci fermiamo in una zona sufficientemente ombreggiata. Alle quattro in punto alzo lo sguardo e lo vedo avvicinarsi all'auto. Castaneda indossa dei blue jeans e una giacca senza tasche di color crema pallido, con il colletto della camicia sbot­tonato. Esco dall'auto e mi affretto a incontrarlo. Dopo le cor­tesie e i saluti formali, gli chiedo se posso usare il registratore. Ne abbiamo uno in macchina, nel caso egli acconsenta. «No, è meglio di no>>, risponde, stringendosi nelle spalle. Ci incam­miniamo insieme verso l'auto per prendere gli appunti, i tac­cuini e i libri. Carichi di libri e di fogli, facciamo guidare Castaneda. Cono­sce bene la strada. «Laggiu», dice, indicando con la mano, <<le sponde del fiume sono particolarmente belle». Sin dall'inizio, Castaneda stabilisce il tono della conversazio­ne e gli argomenti che di li a poco affronteremo. Mi rendo subito conto dell'inutilità di tutte le domande che avevo pre­parato con tanta solerzia in vista del nostro incontro. Mi ave­va già anticipato, durante la sua telefonata, che avrebbe volu­to parlare del progetto in cui era coinvolto e dell'importanza delle sue ricerche. La conversazione si svolge in spagnolo, una l ingua che padro­neggia con fluidità e con un grande senso dell'umorismo. Castaneda è un maestro nell'arte del conversare. Parliamo per sette ore, senza che il suo entusiasmo e la nostra attenzione

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, , " ! '. · ' ' ' " " ' (' ' ' " · l ' i ù egli si seme a proprio agio, piu fa ricorso . 1 " l ' ' ' h ,· oprnsioni argentine quale gesto amichevole nei 1 1 m 1 rr confronti, data la nostra comune origine argentina. l kbbo accennare che, per quanto il suo spagnolo sia corretto, appare evidente che la sua lingua è l'inglese. Sono molte le vol­te in cui ha fatto uso di espressioni e parole inglesi, cosi come tipicamente inglese è la struttura sintattica delle sue frasi. Per tutto il pomeriggio Castaneda si è sforzato di mantenere la conversazione a un livello non intellettuale. Sebbene sia cer­tamente un accanito lettore e conosca le diverse correnti di pensiero, non ha mai istituito raffronti con altre tradizioni del passato o del presente. Ci ha comunicato gli <<insegnamenti toltechi>> mediante immagini concrete, che ne hanno impedi­to, in virtu del loro esser tali, l'interpretazione speculativa. In tal modo Castaneda non solo non ha contravvenuto alle indi­cazioni dei suoi maestri, ma ha pure dimostrato un'adesione totale alla via da lui scelta. Semplicemente non ha voluto con­taminare il suo insegnamento con altre cose a esso estranee. Poco dopo il nostro incontro, è curioso di sapere le ragioni che ci hanno spinto a conoscerlo. È già al corrente del libro d'in­terviste che ho in progetto di redigere. Al di là dei motivi pro­fessionali, insistiamo sull'importanza dei suoi libri, che mol­tissimo hanno influenzato non solo noi ma tanti altri. Siamo profondamente interessati a conoscere l'origine del suo inse­gnamento. Nel frattempo, arriviamo alla sponda del fiume e ci sediamo all'ombra degli alberi. «Don Juan mi ha dato tut­to>>, comincia. «Quando l'ho conosciuto, non avevo altri inte­ressi all'infuori dell'antropologia, ma dopo quei primi incon­tri sono cambiato. E quello che mi è accaduto non lo scam­bierei per nessuna cosa al mondo!>>

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\vvertiamo costantemente la presenza di don Juan. Ogni vol­' · ' che Castaneda lo rammenta, partecipiamo della sua profon­da emozione. Ci racconta come da don Juan avesse appreso ,kll'esistenza di una mirabile totalità in grado di fargli dono di qualunque cosa in qualsiasi momento. «<l concedere ine­'t i nguibile fa parte della sua natura>>, afferma Castaneda. Cosa i n realtà essa sia non rientra nell'ordine della spiegazione e rara­mente la si comprende, "semplicemente è".,, l n Il secondo anello del potere Castaneda riferisce di una parti­colare caratteristica condivisa da don Juan e don Genaro e assente in tutti gli altri. Egli scrive: «Nessuno di noi è dispo­sto a prestare totale attenzione all'altro come facevano don Juan e don Genaro>>. Il secondo anello del potere mi aveva lasciato molti quesiti irri­solti; il libro mi aveva colpito assai, soprattutto dopo la secon­da lettura. Su di esso, nondimeno, i commenti non erano sta­ti favorevoli, e io stessa nutrivo qualche dubbio. Gli dico che tutto sommato preferisco Viaggio a lxtlan, anche se il motivo mi è oscuro. Castaneda mi ascolta e risponde alle mie parole con un gesto che sembra tradire un "e io che c'entro con que­sto balletto di preferenze?". Continuo a parlare, alla ricerca di motivi e spiegazioni. «Forse preferisco Viaggio a lxtlan per via dell'amore che vi ho percepito. >> Castaneda storce la bocca. La parola amore non gli va a genio. È probabile che per lui il termine abbia una con­notazione romantica, sentimentale, troppo debole. Nel cerca­re di spiegarmi, sostengo che la parte finale del libro trabocca d'intensità. «Ecco>> , dice Castaneda. Sf, condivide quest'ulti­ma frase. <<Intensità, sf,,, continua, <<questa è la parola giusta>>. Sempre a proposito dello stesso libro, dico che secondo me

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. d , t t t t t ' \t t ' l t t" , a ben vedere, sembrano assurde. Non riesco pro­l ' ' t " . t ri n t racciarne una giustificazione. Castaneda si mostra d ' .tl cordo con me. «È vero», afferma, «il comportamento di quel le donne è mostruoso e assurdo, tuttavia quella visione è stata necessaria perché io entrassi in azione». Castaneda aveva bisogno di quello shock. «Senza un avversario non siamo nulla», prosegue. «Lavversa­rio appartiene alla forma umana. La vita è guerra, è contesa. La pace è un'anomalia.>> Riferendosi al pacifismo, lo definisce una «mostruosità», poiché, secondo lui, gli uomini «sono esse­ri il cui fine è l'affermazione e la lotta». Nell'impossibilità di trattenermi, gli dico che non posso accet­tare la similitudine tra pacifismo e mostruosità. «E allora Ghandi?», chiedo. «Che ne pensa di Ghandi, per esempio?» «Ghandi? Ghandi non è un pacifista. Ghandi è uno dei piu straordinari combattenti che siano mai esistiti. E che combat­tente!» Solo ora capisco la peculiare importanza che Castaneda dà alle parole. I l pacifismo a cui si riferisce non può essere un pacifi­smo dettato dalla debolezza, quello di coloro che non hanno sufficiente coraggio per essere e di conseguenza per fare qual­cosa d'altro, quello di chi non fa nulla perché privo di obiet­tivi o di energia nella vita; questo pacifismo riflette un atteg­giamento autoindulgente e edonista. Con un gesto imponente che vuole includere tutta la società senza valori, volontà o energia, egli ribatte: <<Tutti narcotizza­ti . . . nient'altro che edonisti!». Castaneda non approfondisce oltre queste sue idee, e noi non gli chiediamo di farlo. Mi pareva di aver capito che un aspet­to dell'estetica del guerriero prevedesse la sua liberazione dal-

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l . 1 natura umana, ma gli insoliti commenti di Castaneda mi ' icmpiono di confusione. A poco a poco, tuttavia, comincio a , api re che l'essere delle entità « il cui fine è l'affermazione e la lotta» riguarda il primo livello della scala evolutiva del guer­r iero, il fondamento primo con cui egli costruisce il proprio destino. Don Juan menziona sempre il buon <<tono» di una persona. Da qui inizia l'apprendimento, che prosegue poi in .d tre direzioni. <<Non si può passare dall'altra parte senza pri­ma aver ceduto la forma umana>>, afferma Castaneda. Sottolineando altri aspetti del suo libro che ho trovato alquan­to oscuri, gli chiedo dei buchi che rimarrebbero impressi in Loloro che hanno avuto figli . . . È vero», dice Castaneda, <<esistono differenze tra chi ha avu­to dei bambini e chi non li ha. Per passare in punta di piedi di lì-onte all'aquila si deve essere interi. Una persona che abbia dei "buchi" non riesce a passare». l ,a metafora dell'aquila ci verrà spiegata in seguito. Per adesso basta solo un accenno, poiché al momento è un altro l'argo­mento al centro del nostro interesse. «Come si spiega l'atteggiamento di Dofia Soledad nei con­fronti di Pablito e quello della Gorda con le figlie?», chiedo insistentemente. Riprendersi dai figli quell'energia che alla nascita essi ci hanno portato via è un qualcosa che non capi­vo fino in fondo. Castaneda ammette di non esser stato abbastanza chiaro al riguardo. Insiste, tuttavia, sulla differenza che esiste tra le per­sone che hanno generato e le altre. «lo, al pari di don Juan», dice, <<ho dei buchi, pertanto debbo seguire il percorso. I Genaro, invece, hanno un altro modello da seguire. I Genaro, per esempio, hanno una particolare ener-

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, . ,�- , d 1 , 1 1 1 noi d i kttiamo. Sono piu nervosi e rapidi nei movi­l l l l . l l t 1 . . . . \o I lo molto incostanti, niente li trattiene. Don Gena­l " v p.ru.o! Pazzo! Don Juan, a modo suo, è un pazzo serio. l >on Juan è lento, ma copre lunghe distanze. Alla fine, arriva­no entrambi . . . Quelli che come la Garda e me hanno avuto dei figli posseggono altre caratteristiche che compensano que­sto svantaggio. Si è piu stabili e, quantunque la via possa esser lunga e difficoltosa, si arriva ugualmente alla mèta. In genera­le chi ha avuto dei figli sa come prendersi cura degli altri. Ciò non significa che gli altri non lo sappiano fare, ma è diverso . . . Di solito, non sappiamo cosa stiamo facendo; s i è inconsape­voli delle nostre azioni e ne paghiamo le conseguenze. Un tem­po non sapevo cosa stessi facendo», esclama. «Quando nacqui, tolsi tutto a mio padre e mia madre••, dice. «Erano tutti ammaccati! In seguito ho dovuto restituire loro quell'energia che avevo sottratto. Adesso devo ricuperare la for­za che ho perduto.» Sembrerebbe che questi «buchi>• , che è necessario tappare, abbiano a che vedere con l'apparato biologico. Vogliamo sape­re se l'aver dei «buchi» è un fatto cui non si può porre rime­dio. <<No», ci risponde, <<SÌ può guarire. Niente è irreparabile nella vita. È sempre possibile restituire ciò che non ci appar­tiene e ricuperare ciò che è nostro». Questa idea del ricupero è coerente con il camminare lungo il «Sentiero dell'apprendimento», che richiede, piu che il cono­scere o il praticare qualche tecnica, una profonda trasforma­zione individuale. Ha a che vedere con tutto: un coerente siste­ma di vita con obiettivi concreti e precisi. Dopo un attimo di silenzio, gli domando se Il secondo anello del potere è stato tradotto in spagnolo. Secondo Castaneda una

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, �tsa editrice spagnola ha già acquisito i diritti, ma non è sicu-1< l se il libro sia stato ancora pubblicato. · · l .a traduzione in spagnolo è opera di Juan Tovar, un mio caris­-, i mo amico. >> Juan Tovar ha usato gli appunti in spagnolo che lo stesso Castaneda gli ha fornito, appunti che taluni critici hanno messo in dubbio. \ .a traduzione in portoghese sembra esser molto bella. «È

vero>>, dice Castaneda. «Questa traduzione è stata fatta a par­t i re dalla versione francese. Certamente, è molto ben riuscita.>> l n Argentina è stata proibita la pubblicazione dei suoi primi due libri. Pare per le storie di droga che vi sono contenute. ( �astaneda non ne era al corrente. «Immagino che ci sia lo zam­pino della "Madre Chiesa" . >> Al l ' inizio della nostra conversazione Castaneda ha tàtto men­Iione dell' «insegnamento tolteCO>>. Anche in Ii secondo anello del potere si parla dei «toltechi>> e dell' «essere un tolteco>>. «Cosa significa essere un tolteco? >> , gli domando. Stando a Castaneda, la parola "tolteco" riveste un ampio signi­fìcato. Solitamente si dice che qualcuno è un tolteco come si potrebbe dire che qualcuno è un democratico o un filosofo. Secondo il suo impiego del termine, questa parola non ha nul­la a che vedere con la sua accezione antropologica. Da una pro­spettiva antropologica, il termine connota una cultura india del Messico centrale e meridionale, che già si era estinta al tem­po della conquista e della colonizzazione spagnola dell'Ame­nca. «Tolteco è colui che conosce i misteri del vedere e del sogna­re. La parola designa un piccolo gruppo che ha saputo man­tener viva una tradizione risalente a oltre 5000 anni.>> Dal momento che sto lavorando al pensiero mistico e sono

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particolarmente interessata a rinvenire l'origine delle diverse tradizioni, chiedo ancora: <<Lei crede che la tradizione tolteca offra degli insegnamenti che vanno incontro alla specifìcità americana?>>. Non vi è dubbio che il «popolo tolteco» mantenga viva una tradizione che è peculiare dell'America. Castaneda ammette la possibilità che i primi uomini che attraversarono lo stretto di Bering avessero portato con sé alcuni elementi essenziali di quella tradizione; questo però accadde molte migliaia di anni fa e al momento non possiamo andar oltre la mera specula­ZIOne. In L'isola del tona! don Juan parla dei nagual, di «quegli uomi­ni di conoscenza>> che la conquista e la colonizzazione spagnola non riuscirono a distruggere, vuoi perché l'uomo bianco era ignaro della loro esistenza oppure perché non prestava atten­zione alle loro idee incomprensibi l i . «Chi sono i membri del popolo tolteco? Lavorano insieme? Dove si incontrano?>>, chiedo. Castaneda risponde a tutte le mie domande. Egli al momen­to è responsabile di un gruppo di giovani apprendisti che vivo­no nella zona del Chiapas, nel sud del Messico. Si sono tra­sferiti in quella regione poiché la donna che adesso insegna loro abita laggiu. <<Allora . . . è ritornato?>>, sento l'urgenza di chiedergli , riferen­domi all 'ult ima conversazione tra Castaneda e le sorelline riportata al termine di Il secondo anello del potere. «Ha fatto subito ritorno come la Gorda le aveva chiesto?>> «No, non sono ritornato subito, ma sono ritornato>> , mi risponde, ridendo. «Sono ritornato per terminare un compito

. . . cut non posso rmunoare. >>

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I l gruppo annovera all' incirca quattordici membri. Benché il r 1 ucleo sia costituito di otto o nove persone, tutti sono indi­' llLnsabili per la buona riuscita del compito affidato a ciascu­l lo . Qualora ogni singolo membro sia sufficientemente impec­' abile, il gruppo può aiutare un gran numero di persone. " ( hto è un numero magicO>>, dice d'un tratto. Sottolinea anche d ruolo indispensabile degli ultimi roltechi nel continuare e 11d mantener viva la tradizione. Non è necessario che il grup­po sia numeroso, purtuttavia ogni singolo individuo che pren­da parte all'impresa collettiva svolge una funzione insostitui­h i le per la sua buona riuscita. " La Garda e io siamo responsabili dei nuovi arrivati. Beh . . . in realtà sono io il responsabile, ma lei mi è di grande aiuto in questo compito», spiega Castaneda. Ci parla poi dei membri del gruppo che conosciamo dai suoi l ibri. Ci racconta che don Juan era un indio yaqui, nativo del­lo Stato di Sonora. Pablito invece era un indio mixteco, Nestor era mazateco (di Mazatlan, nella provincia di Sinaloa) e Beni­gno era tzotzil. Pio volte sottolinea che Josefìna non era india ma messicana e che uno dei suoi nonni aveva origini francesi. La Garda, al pari di Nestor e don Genaro, era mazateca. «La prima volta che incontrai la Garda era una donna enorme, abbrutita dalla vita» , dice. «Chi l'ha conosciuta in passato oggi non la riconoscerebbe pio.» Vogliamo sapere in quale lingua comunica con le persone del gruppo e qual è la l ingua che impiegano generalmente tra di loro. Gli rammento che nei suoi libri vi sono dei riferimenti a taluni idiomi indios. «Comunichiamo in spagnolo perché è la lingua che tutti noi conosciamo», risponde. «<noltre, né Josefìna né la donna tal-

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teca sono indie. Io conosco un po' il linguaggio nativo, frasi isolate, come saluti e altre poche espressioni. Non è certo suf­ficiente per sostenere una conversazione. >> Approfittando del­la sua pausa, gli domando se l'impresa in cui sono coinvolti sia accessibile a tutti oppure abbia a che vedere con qualcosa riser­vato a pochi iniziati. Dal momento che le nostre domande mirano a mettere in luce l'importanza dell'insegnamento tal­teco e il valore dell'esperienza del gruppo per il resto dell' u­manità, Castaneda ci illustra come ogni singolo membro di quella piccola comunità abbia dei compiti specifici da assol­vere, vuoi nella regione dello Yucad.n, in altre zone del Messi­co oppure in altri luoghi. «Nell'adempiere i propri compiti, si vengono a scoprire sva­riate cose, che possono essere applicate a situazioni concrete della vita di tutti i giorni. Non c'è dubbio, si impara moltissi­mo. I Genaro, a esempio, suonano in una banda musicale che consente loro di spostarsi in tutti i paesi lungo la frontiera. Hanno quindi la possibilità di vedere e contattare molte per­sone. Ciascuno di noi, assolvendo fedelmente il proprio com­pito, trova sempre l'occasione di comunicare la conoscenza; ciò può avvenire con una parola, con una piccola insinuazio­ne. Tutti gli esseri umani sono in grado di apprendere. A tut­ti si dà la possibilità di vivere come guerrieri. Chiunque è capa­ce di affrontare l'impresa del guerriero. Lunico requisito è il valeria con intensità adamantina; ciò significa che si deve esse­re irremovibili nel desiderare la totale libertà. Non è una via facile. Noi tutti cerchiamo insistentemente delle scuse e adoc­chiamo la fuga. Ma anche qualora la mente riesca a deviare l'attenzione, al corpo non sfugge nulla . . . il corpo impara con facilità e rapidamente. >> E continua: «I i tolteco non può spre-

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l are la sua energia in sciocchezze. Io ero una di quelle perso­ne che non può fare a meno degli amici . . . Non riuscivo nep­pme ad andare al cinema da solo». Un giorno don Juan gli dis­'>e di abbandonare tutto, in particolar modo di separarsi da quegli amici con cui non aveva nulla in comune. Per lungo t empo egli si oppose all'idea, finché non prese la decisione. Un giorno, arrivato a Los Angeles, fermai l'auto a un isolato dalla mia abitazione e scesi a telefonare. Come al solito, anche quella volta, la mia casa era affollata di persone. Chiesi a una delle mie amiche di riempirmi una borsa con alcune cose e di portarmela. Le dissi anche che si potevano spartire tra loro tut­to ciò che avevo - libri, dischi, ecc. Naturalmente l'amica non mi credette e lo considerò un semplice prestito>>. L 'atto di disfarsi della biblioteca e dei dischi significa recidere i legami con il passato, un intero mondo di idee ed emozioni. «< miei amici credevano che fossi diventato pazzo e continua­rono a sperare che rinsavissi . Non li vidi piu per dodici anni. >> Trascorso questo periodo, Castaneda li incontrò di nuovo. Avevano progettato un'uscita collettiva per l'ora di cena. Si di­vertirono molto; il cibo era abbondante e i suoi amici si ubria­carono. <<Ritrovarmi con loro dopo tutti quegli anni fu il mio modo di ringraziarli dell'amicizia che mi avevano offerto in passatO>>, dice Castaneda. <<Adesso sono tutti adulti. Tutti hanno la loro famiglia, i loro figli . . . Era necessario nondimeno che li ringraziassi. Solo a quel modo potevo interrompere definitivamente i miei legami con loro e terminare una fase della mia vita.>> È probabile che gli amici di Castaneda non capiscano quello che sta facendo, ma il voler manifestare loro la sua gratirudi-

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ne è stato molto bello. La sua non era finzione, ma un atto sin­cero di riconoscenza verso la loro amicizia. Grazie a esso si era affrancato interiormente da quel passato. Parliamo poi d'amore, <<di quel sovente menzionato amore». Castaneda ci riferisce alcuni aneddoti a proposito di suo non­no italiano, «immancabilmente innamorato», e di suo padre: «Era cosi bohémien!». «Oh, amore! Amore!», ripete svariate volte. Tutti i suoi commenti tendono a distruggere le idee che solitamente abbiamo dell'amore. «Mi ci è voluto molto per imparare», continua. «Anch'io ero solito innamorarmi. Don Juan ha dovuto lavorar sodo per far­mi capire che dovevo interrompere certe relazioni . Il modo in cui alla fine ruppi uno di questi rapporti fu il seguente: la invi­tai a cena in un ristorante. Come di consueto, cominciammo a litigare; non mi risparmiò né urla né insulti. Calmate le acque, le chiesi se aveva dei soldi. Mi rispose che ce li aveva. Ne approfittai per dirle che dovevo andare a prendere il por­tafogli o qualcosa del genere in auto. Mi alzai e non tornai piu. Prima di uscire volli accertarmi che avesse sufficiente denaro per prendere un taxi. Da allora non l 'ho piu vista. Voi non mi crederete, ma i toltechi conducono una vita molto ascetica.» Senza mettere in dubbio le sue parole, sostengo nondimeno come questa affermazione, stando alla lettura di Il secondo anel­lo del potere, trovi ben poche conferme. «Anzi)), sottolineo ancor piu, «credo che molte scene e atteggiamenti riferiti nel suo libro abbiano un che di promiscuo)). «Come avrei potuto dirlo chiaramente?)), mi domanda. «Dire che i rapporti tra di loro erano casti era impossibile, in quan­to nessuno mi avrebbe creduto né tantomeno capito. )) Secondo Castaneda, noi viviamo in una società molto "degra-

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data" . Di tutto ciò di cui abbiamo parlato quel pomeriggio molte cose non sono state comprese. Il fatto è che lo stesso Castaneda si vede obbligato a venir incontro a talune richie­ste editoriali, le quali, alle volte, pretendono da lui un lin­guaggio piu confacente al lettare medio. <<La gente è coinvolta in altre faccende», continua Castaneda. <<L'altro giorno, per esempio, sono entrato in una libreria, qui a Las Angeles, e mi san messo a sfogliare le riviste sul banco. Ho scoperto che vi è una gran quantità di pubblicazioni con foto di donne nude . . . molte anche di uomini . Non so cosa dir­le. Una di queste fotografie ritraeva un uomo intento a ripa­rare un cavo elettrico in cima a una scala. Portava un elmetto protettivo e una grossa cintura piena di arnesi. Tutto qui. Per il resto era nudo. Ridicolo! Una cosa del genere non può esser vera! Una donna è aggraziata . . . ma un uomo!» A mò di spie­gazione aggiunge che le donne hanno molta piu esperienza, data la loro lunga storia in questo genere di cose. «Un ruolo come quello non lo si può improvvisare.» «È la prima volta che sento dire che il comportamento delle donne non è improvvisato; davvero, la prima volta», affermo. Dopo aver ascoltato le parole di Castaneda, siamo convinti che per i toltechi il sesso è un'immensa dissipazione delle energie necessarie per il compimento di altre imprese. Si può com­prendere, pertanto, la sua insistenza sulle relazioni totalmen­te ascetiche che i membri del gruppo mantengono tra di loro. <<Secondo la prospettiva consueta, la vita che il gruppo con­duce e il genere di rapporti che i suoi membri intrattengono sono un qualcosa di inaccettabile e inaudito. Nessuno vi cre­de. Io stesso ho impiegato lungo tempo per comprenderlo, ma alla fìne ho potuto verifìcarlo di persona>>, dice.

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Castaneda ci aveva detto poco prima che quando un indivi­duo mette al mondo un figlio perde una certa forza. Pare che questa <<forza» sia un'energia che i bambini sottraggono ai loro genitori come conseguenza del semplice atto di nascere. Il <<buco>> che si viene a formare nell'individuo deve essere tappa­to e risanato. È necessario ricuperare la forza che è andata per­duta. Ci dice anche che una relazione sessuale prolungata è destinata a incontrare il declino. In un rapporto, le differenze si fanno progressivamente piu marcate, e di conseguenza ven­gono rifìutate, a poco a poco, certe caratteristiche dell'uno o dell'altro partner. Ai fini riproduttivi, finisce per essere scelto l'aspetto dell'altro che piu è gradito al partner, ma non esisto­no garanzie circa la bontà di questa selezione. <<Dal punto di vista della riproduzione», commenta Castaneda, «la miglior cosa è affidarsi alla casualità>> . Castaneda si sforza affinché comprendiamo meglio questi concetti, quantunque egli con­fessi che sono temi, questi, non ancora del tutto chiari a lui stesso. Castaneda ci descrive un gruppo i cui requisiti, stando all'uo­mo comune, appaiono estremi. Siamo molto interessati a sape­re da dove provenga tutta quella vitalità. <<In che consiste l 'u­nico obiettivo del tolteco?>> Vorremmo cogliere il senso di ciò che Castaneda ci dice. <<Qual è l'obiettivo che lei persegue?>> Insistiamo sul portare il problema a un livello personale. <<L obiettivo è di abbandonare il mondo vivente; abbandonar­lo portandosi dietro ciò che si è, nient'altro che ciò che si è. Don Juan si è separato definitivamente dal mondo. Egli non è morto, perché i toltechi non muoiono.» In Il secondo anello del potere la Gorda istruisce Castaneda riguardo alla dicotomia ntlgual-tonal. Lo stato della seconda attenzione «viene rag-

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giunto solo dopo che i guerrieri hanno rimosso tutto ciò che sta sulla superficie del tavolo . . . la seconda attenzione fa sf che le due attenzioni formino un'unità, che rappresenta l' intero di ciascuno». Nello stesso l ibro, la Gorda dice a Castaneda: «Quando gli stregoni apprendono il "sognare" riescono a uni­re insieme le loro due attenzioni e non accade piu che i l cen­t ro spinga fuori . . . gli stregoni non muoiono . . . ciò non sign ifi­ca che noi non moriamo. Noi non siamo niente, siamo gente insulsa, stupida, né di qua né di là. Loro, al contrario, hanno talmente unito le loro due attenzioni che, probabilmente, non

. . monranno mai>>. Secondo Castaneda, l ' idea che noi siamo liberi è un' illusione c un'assurdità. Egli si sforza di farci capire come il buon senso ci inganni , in quanto la percezione ordinaria ci racconta solo una parte della verità. «La percezione ordinaria non ci rende consapevoli dell' intera verità. Vi è ben altro al di là del semplice transitare sulla terra, del nutrirsi e del riprodursi >> , afferma enfaticamente. Con un gesto che interpreto quale allusione all ' insensibilità dei tutto e allo sconfinato tedio dell'esistenza quotidiana, ci domanda: «Che cos'è tutto questo che ci avvolge? Il buon senso non è altro che la risultante di un lungo processo educativo che ci impone quale unico strumento di verità la percezione ordina­ria. Larte della stregoneria consiste proprio nell' imparare a smascherare e distruggere questo pregiudizio percettivo>>. Castaneda sostiene che Edmund Husserl è il primo occiden­tale che abbia ipotizzato la possibilità della «Sospensione del giudizio>>. In Idee per una jènomenologia pura e per una jìloso­fia jènomenologica ( 1 9 1 3) , Husserl affronta il problema della "epochè" o "riduzione fenomenologica". Il metodo fenome-

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nologico non vuoi negare, ma solo "porre tra parenresi" que­gli elementi su cui si fonda la nostra ordinaria percezione. Castaneda afferma come la fenomenologia gli abbia offerto la struttura teoretico-metodologica cui è ricorso per apprendere gli insegnamenti di don Juan. Secondo questa disciplina, l' at­to del conoscere dipende dall'intenzione, non dalla percezio­ne. Quest'ultima è sempre soggetta alle mutazioni storiche, vale a dire alla conoscenza acquisita dall'individuo che, inevi­tabilmente, si trova a vivere in una determinata cultura. Il prin­cipale imperativo del metodo fenomenologico è: verso le cose stesse. «I l compito che don Juan mi aveva affidato», dice, «consiste­va nell' incrinare, a poco a poco, i pregiudizi percettivi, fino ad arrivare a una loro completa rottura>> . La fenomenologia «sospende>> il giudizio e pertanto si limita alla descrizione del puro atto intenzionale. «In questo modo, per esempio, costrui­sco l'oggetto "casa" . Il rimando fenomenologico è assai mode­sto. Ciò che lo trasforma in qualcosa di concreto e specifico è !"'intenzione" . » Non vi sono dubbi che la fenomenologia abbia per Castane­da un semplice valore metodologico. Husserl non ha mai tra­sceso l'aspetto teoretico e, di conseguenza, non ha indagato l'essere umano nel suo vivere quotidiano. Per Castaneda la massima mèta sinora raggiunta dall'occidentale, dall'europeo, è l 'uomo politico. Costui è l 'epitome della nostra civiltà. <<Don Juan>>, dice, «con i suoi insegnamenti ha aperto la porta affin­ché un'altra specie piu interessante di uomo si affacci sulla sce­na: un uomo che tuttora soggiorna in un mondo, in un uni­verso magico>>. Riflettendo sul concetto di "uomo politico", mi viene in men-

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I L' u n libro di Eduard Spengler, Forme di vita, ove si sostiene l hc l'agire del politico «è intessuto di rapporti di potere e di r ivalità». Costui è l'uomo del dominio, il cui potere tende a L ontrollare e il mondo nella sua densa realtà e gli esseri che vi . 1birano. I l mondo di don Juan, invece, è un mondo magico popolato d i entità e di forze. " La grandezza di don Juan)), dice Castaneda, <<è che per quan­to nella realtà usuale egli apparisse un folle, nessuno è stato in grado di percepirlo. Al mondo don Juan offriva un volto che non poteva che esser temporale . . . un'ora, un mese, sessant'an­n i . Nessuno sarebbe riuscito a prenderlo alla sprovvista! In que­sto mondo don Juan era impeccabile, perché consapevole del­la fugacità delle cose che vi appaiono e . . . beh . . . della bellezza avvenire! Don Juan e don Genaro amavano intensamente la bellezza>> . La percezione e il concetto che don Juan ha della realtà e del tempo sono indubitabilmente assai diversi dai nostri. Se nel­l'ambito dell'esistenza quotidiana don Juan è sempre impec­cabile, ciò non impedisce di esser consapevoli che «da questa parte)) tutto è, in ultima istanza, fugace. Castaneda prosegue descrivendo un universo polarizzato in due estremi: il lato destro e il lato sinistro. Il lato destro corri­sponderebbe al tona! e quello sinistro al nagual. In L'isola del tonal don Juan racconta a Castaneda di queste due metà della «bolla della percezione». Egli afferma che il compito piu importante del maestro è quello di ripulire meti­colosamente una parte della <<bolla)), e poi di riorganizzare <<tut­to ciò che c'è)) dall'altra parte. Il maestro è impegnato in que­sta opera incessante di apprendimento fino a quando l'intera

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sua visione del mondo non si depositi in una metà della bol­la. L'altra metà, rimasta pulita, può pertanto venir ricuperata a quella che gli stregoni chiamano volontà. Chiarire tutto ciò è molto difficile, data l'inadeguatezza delle parole di fronte a un compito cosi estremo. In realtà, la parte sinistra dell'universo <<prevede l'assenza delle parole>> e senza le parole non possiamo pensare. Si danno soltanto azioni. «In questo altro mondo>>, dice Castaneda, «è il corpo ad agire. I l corpo non ha bisogno di parole per capi re». Nell'universo magico - come viene chiamato - di don Juan, esistono alcune entità, descritte come «alleati» o «ombre pas­seggere» , che possono essere catturate svariate volte. Per chia­rire questo insolito tipo di cattura vengono presentate nume­rose spiegazion i , ma, secondo Castaneda, non vi sono dubbi che questi fenomeni abbiano a che vedere con l'anatomia uma­na. L'importante è l'essere consapevoli dell'esistenza di un'in­tera gamma di spiegazioni che rendono ragione di queste «ombre passeggere». Gli chiedo, a questo punto, della conoscenza con il corpo di cui parla nei suoi libri. «Lei considera l'intero corpo uno stru­mento di conoscenza?>> <<Sicuramente! Il corpo conosce», mi risponde. A mò di esem­pio, Castaneda parla delle numerose possibilità racchiuse in quella parte della gamba che s i trova tra i l ginocchio e la cavi­glia, ove potrebbe risiede un centro della memoria. Pare anche che si possa imparare a utilizzare il corpo per catturare le «ombre passeggere». «L'insegnamento di don Juan trasforma il corpo in uno scanner elettronico», dice, ricercando la parola spagnola che renda quest' immagine. I l corpo avrebbe la facoltà di percepire vari e distinti livelli di realtà che, a loro volta, rive-

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l t:rebbero configurazioni, anch'esse distinte, di materia. Per Castaneda, pertanto, il corpo ha capacità di movimento e di percezione di cui la maggior parte di noi è all'oscuro. Mentre si alza e indica il piede e la caviglia, ci parla delle possibilità insite in questa zona del corpo e di quanto poco sappiamo di rutto ciò. «Nella tradizione tolteca>> , afferma, «l'apprendista viene addestrato a sviluppare queste facoltà>>. Rit1ettendo sulle parole di Castaneda, penso alle analogie con lo yoga tantrico e con i vari centri o chakras attraverso i quali il discepolo raggiunge lo stato del risveglio. Nel libro IL circo­lo ermetico di Miguel Serrano si parla dei chakras come di <<cen­tri di consapevolezza>> . Sempre nello stesso volume, l'autore riporta una conversazione avuta da Cari Jung con un capo pue­blo chiamato Ochwian Biano o Lago della Montagna. «Mi parlò degli uomini bianchi come di individui in perenne agi­tazione, sempre alla ricerca di qualcosa da afferrare . . . Secondo Ochwian Biano, l 'uomo bianco è un folle; difatti solo i folli pretendono di pensare con la testa. Questa affermazione del capo indiano suscitò in me una grande sorpresa e pertanto gli chiesi con che cosa lui pensasse. Mi rispose, "con il cuore". ,, Il sentiero della conoscenza del guerriero è molto lungo e

richiede una totale dedizione. Il guerriero ha un obiettivo con­creto che persegue con intento puro. «Qual è l'obiettivo?>> , insisto nuovamente. Pare che esso con­sista nello spostarsi consapevolmente dall'altra parte, attraver­sando il lato sinistro dell'universo. «Si deve tentare di avvicinarsi il piu possibile all'aquila, evi­tando che essa ci divori. Cobiettivo>>, dice, «è sgusciare via in punta di piedi passando per i l lato sinistro dell'aquila>>. «Non so se voi sapete>>, prosegue, cercando di chiarirci meglio

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l ' immagine, «che esiste un'entità chiamata l'aquila dei tolte­chi. Il veggente la vede come un'immensa oscurità che si esten­de all'infinito; un immenso nero cupo attraversato da lame di luce. È chiamata l'aquila perché ha ali e dorso neri e il petto luminoso». «<..: occhio dell'entità non è umano, né essa conosce pietà. Tut­to ciò che è vivente è riflesso nell'aquila. Questa entità rac­chiude in sé tutta la bellezza che l'uomo è in grado di creare cosi come tutta la bestialità che esula dalla natura umana. Il lato umano dell'aquila è immensamente piccolo rispetto a tut­to il resto. La massa, le dimensioni e l'intensità del suo nero sovrastano difatti, in maniera incommensurabile, quel poco che è la sua parte umana. I.: aquila», continua, «attrae a sé tut­te le creature un tempo viventi e ora morte, che subito scom­paiono, in quanto essa si nutre della loro energia. I.: aquila è un immenso magnete che raccoglie queste fiammelle e poi le con­suma». Mentre Castaneda procede nel suo racconto, le mani e le dita imitano il beccare vorace di un'aquila. «Vi riferisco solo ciò che affermano don Juan e gli altri. Sono tutti stregoni e streghe!» , esclama. <<Tutti loro sono coinvolti in una metafora che mi è incomprensibile. Chi è "il padrone" dell'uomo? Chi è che ci reclama?», si domanda. Ascolto attentamente e mi trattengo dal chiedere. Avverto che siamo entrati in un dominio ave tut­to è possibile. «<l padrone dell'uomo non può essere un uomo>>, dice. Pare che i toltechi chiamino <<padrone>> lo <<stampo umano>>. Tutte le cose - piante, animali, esseri umani - hanno uno <<stampo>>. Lo <<Stampo umano>> è identico per tutti gli uomini. «< l mio stampo e il vostro>>, spiega, <<sono i medesimi, eppure, in ognu-

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1 1 0 di noi, essi si manifestano e agiscono in una forma specifì­l a , a seconda dello sviluppo dell'individuo)) . Riflettendo sulle parole di Castaneda, interpretiamo lo «Stam­po umano>> come ciò che tiene unita la forza della vita. La «for­ma umana)), invece, potrebbe essere ciò che ci impedisce di vedere lo stampo. A quanto pare, qualora non perdiamo la ,. forma umana)), ci neghiamo il cambiamento. l n Il secondo anelLo del potere, la Garda istruisce Castaneda a proposito dello <<Stampo umano>> e della «forma umana>>. Il pri­mo viene qui descritto come un'entità luminosa, e Castaneda rammenta come don Juan lo considerasse «la fonte, l'origine dell'uomo>>. La Garda, con il pensiero rivolto a don Juan, si ricorda che egli le aveva derto: «Se abbiamo abbastanza pote­re personale, possiamo intravedere lo stampo, anche se non si è stregoni. Quando ciò accade, diciamo di aver visto Dio. Chiamarlo Dio - diceva - è la verità, perché lo stampo è Dio)). Piu volte, quel pomeriggio, ritorniamo sul tema della «forma umana)) e dello «stampo)) dell'uomo. In qualunque prosperti­va lo si inquadri , sempre piu diviene evidente come la «forma umana)) rappresenti, dell ' individuo, il guscio duro. «Questa forma umana>>, dice, «è come una coperta che ci rico­pre dalle ascelle ai piedi. Sotto la coperta c'è una candela che brilla intensamente finché la sua fiamma non si esaurisce del tutto. Quando ciò avviene è perché si muore. A quel punto l'aquila sopraggiunge e divora la forma)). d veggenti)), continua Castaneda, «sono coloro in grado dive­dere l'essere umano come un uovo luminoso. All'interno di questa sfera di luce vi è una candela accesa. Se il veggente vede che la candela è piccola, per quanto la persona appaia forte, significa che essa è giunta oramai al termine>>.

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Castaneda ci aveva detto poc'anzi che i tolrechi non muoiono mai, giacché l'essere tali implica l'aver perduto la forma uma­na. Solo allora capiamo: se il tolteco ha perduto la propria for­ma, non vi è nulla che l'aquila possa divorare. È chiaro ormai, e Castaneda ha fugato qualsiasi nostro dubbio al riguardo, che tanto i concetti di <<padrone>> dell'uomo e di «Stampo umano» quanto l ' immagine dell'aquila si riferiscono alla medesima entità o sono, tuttavia, intimamente connessi. Alcune ore piu tardi, seduti a mangiare degli hamburger in una caffetteria all'angolo tra il Westwood Boulevard e un'altra via di cui non ricordo i l nome, Castaneda ci racconta la sua espe­rienza legata alla perdita della forma umana. Stando a quello che ci dice, la sua non è stata cosi intensa come l 'esperienza vissuta dalla Corda, che aveva avvertito dei sintomi analoghi a quelli di un infarto. (In Il secondo anello del potere, la Corda racconta a Castaneda che, una vol ta perduta la forma umana, cominciò ad apparirle un occhio dinnanzi a lei. Quell'occhio l'accompagnava ovunque andasse e quasi la stava per condur­re alla pazzia. A poco a poco ci fece l'abitudine, finché, un gior­no , l'occhio divenne parre di lei. « Quando sarò davvero infor­me, non vedrò piu l'occhio; l'occhio diverrà me stessa . . . » .) «Nel mio caso», dice Castaneda, «SÌ è verificato un semplice episodio di iperventilazione. In quel momento ho sentito una forte pressione: la testa è stata attraversata da un flusso di ener­gia, che poi si è trasferito al petto e allo stomaco fìn giu lungo le gambe, scomparendo infine dalla gamba sinistra. Tutto qui. Per tranquillizzarmi» , continua, «sono andato dal medico, che non ha rilevato alcunché. Mi ha solo consigliato di respirare dentro un sacchetto di carta al fine di ridurre la quantità di ossigeno e di prevenire fenomeni di iperventilazione».

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Secondo i toltechi, dobbiamo restituire all'aquila ciò che le appartiene, o perlomeno ripagarle in qualche modo il debito. Sappiamo oramai, dalle descrizioni di Castaneda, che l 'aquila è il nostro padrone e che in essa stanno tanto la bellezza e la nobiltà quanto l'orrore e la ferocia che dimorano in tutto ciò che è. Perché l'aquila è il padrone dell'uomo? <<Perché si nutre del richiamo della vita, dell'energia vitale che si libera da tut­to l'esistente.)) E, imitando con le mani il beccare dell 'aquila, con il braccio ripulisce lo spazio tutt'attorno. <<Proprio cosi! Essa divora ogni cosa! Il solo modo di sfuggire la voracità del­la morte è un atto inevitabile e irrefutabile: si tratta della rica­pitolazione. >> « In cosa consiste?>>, domando. «Si comincia con il compi lare una lista di tutte le persone cono­sciute nel corso della propria vita>>, risponde, «una lista di tut­ti coloro che, in un modo o nell'altro, ci hanno costretti a met­tere in gioco il nostro ego (quel centro di crescita personale che piu innanzi verrà raffigurato come un mostro dalle tremila teste) . Dobbiamo richiamare alla memoria tutti quelli che hanno preso parte alla nostra vita, affinché si possa entrare nel gioco di "a-loro-piaccio-a-loro-non-piaccio". Un gioco che a null'altro attiene se non al nostro vivere scombussolato . . . Un semplice leccarsi le proprie ferite!>> «La ricapitolazione deve essere totale>>, continua, «si prosegue a ritroso dalla Z alla A, partendo dal momento presente fino a retrocedere alla prima infanzia, all'età di due o tre anni, e anche prima qualora sia possibile. Tutto ciò che abbiamo vissuto, a partire dalla nascita, si è impresso nei nostri corpi. La "ricapito­lazio ne" richiede un forte addestramento della mente>>. <<Ci può descrivere meglio questa <<ricapitolazione)) ? )) , chiedo.

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«Si riportano alla superficie le immagini del nostro vissuto e, trattenendole dinnanzi a sé, con un movimento da destra ver­so sinistra della testa si soffiano via in modo da el i minarle dal campo visivo . . . Il respiro è magico» , aggiunge. Con la fine della «ricapitolazione» terminano anche tutte le abitudini, i giochetti e i sentimenti personali. Pare che alla fine siamo consapevoli dei nostri inganni e che non vi sia alcun modo di mettere in gioco l 'ego senza subito accorgersi che stia­mo barando. Grazie alla <<ricapitolazione personale>> ci possia­mo affrancare da qualsiasi cosa. A questo punto ri mane solo il compito, con tutta la sua semplicità, la sua purezza e la sua crudezza. «La "ricapitolazione" è accessibile a chiunque, ma richiede una volontà inflessibile. Nel caso indugiamo, siamo perduti, per­ché l'aquila farà di noi il proprio cibo. Entro il suo dominio non si dà alcuno spazio riservato al dubbio. Nel primo libro, A scuola dallo stregone, si legge: "Ciò che devi apprendere è come arrivare alla fessura tra i mondi e come entrare nel mon­do di là . . . esiste un luogo dove i due mondi si uniscono sovrap­ponendosi. Là è la fessura. Essa si apre e si chiude come una porta sbattuta dal vento. Per arrivarci un uomo deve esercita­re la propria volontà, deve, cioè, possedere un desiderio indo­mabile, una dedizione totale. E lo deve fare senza l'aiuto di alcun potere e di chicchessia . . . ". Non so come spiegarlo, ma nell'adempimento e nella dedizione al compito si deve essere impulsivi senza veramente esserlo, poiché il tolteco è un uomo libero. Il compito pretende la nostra totale attenzione, eppu­re ci libera. Capisce? So che è paradossale e in quanto tale dif­ficile da comprendere>>. <<A questa ricapitolazione, tuttavia>> , continua Castaneda,

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mutando il tono della voce e la pastura, «Si debbono aggiun­gere delle "spezie" . La caratteristica di don Juan e dei suoi "compagni" era la loro vol ubil ità. Grazie a lui ho smesso dì essere noioso e pedante. Don Juan non era né serioso né for­mab). Nonostante l'austerità del compito cui sono chiamati c'è sempre spazio per l 'umorismo. Al fine di i l lustrarci con esempi concreti il modo in cui don Juan impartiva i suoi insegnamenti, Castaneda ci riferisce un episodio molto interessante. Egli era un accanito fumatore e don Juan aveva deciso di curarlo. «Fumavo tre pacchetti al giorno, uno dopo l'altro! Non ne ero mai sprovvisto. Come vedete, adesso non ho tasche)), dice, mostrando la giacca che difatti ne è priva. «Le ho eliminate perché i l mio corpo non abbia la possibilità di avvertire alcun­ché sul lato sinistro, un qualcosa che potrebbe rammentargli l'antico vizio. Eliminando i l pacchetto, ho eliminato anche l'a­bitudine di portarmi le mani in tasca. )) «Una volta don Juan mi disse che avremmo trascorso alcuni giorni sulle colline del Chihuahua e si raccomandò che non dimenticassi di portare le sigarette. Mi consigliò anche di non superare la provvista di due pacchetti al giorno. Presi quindi i pacchetti, solo che invece di 20 ci misi dentro 40 sigarette. Feci delle belle confezioni, che poi avvolsi in fogli d'alluminio per proteggerle dagli animali e dalla pioggia. Riempito lo zaino dell'occorrente, ci avviammo verso le col line. Mentre cammi­navo ero solito accendermi una sigaretta dietro l'altra, facen­do fatica a respirare. Don Juan, invece, mostrava uno straor­dinario vigore. Non riuscendo a tenergli il passo, ogni tanto si fermava e mi osservava fumare. Mai avrei avuto la pazienza che ha avuto con me!)), esclama. «Alla fine giungemmo sopra un

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altopiano circondato da dirupi e ripidi pendii. Don Juan mi disse allora di provare ad attraversarlo. Per un po' stetti a misu­rare con lo sguardo l ' intera distanza finché non mi decisi a rinunciarvi. Mai ci sarei riuscito!» «Continuammo a camminare per svariati giorni, quando un mattino mi svegliai e subito mi precipitai a cercare una siga­retta. Dove erano i miei bei pacchetti? Cercai ovunque, ma fu inutile. Una volta sveglio, chiesi a don Juan cosa mi stesse acca­dendo. "Non ti preoccupare",,, mi disse, <<"sicuramente è venu­to un coyote e li ha portati via, ma non possono essere lonta­ni . Guarda qui! Ci sono le tracce del coyote!">> <<Passammo tutto il giorno a inseguire le tracce del coyote con la speranza di trovare i pacchetti. D'un tratto, don Juan, fin­gendo di essere un vecchietto decrepito, si accasciò in terra e cominciò a lamentarsi. "Questa volta sono sicuro di non far­cela . . . Sono vecchio . . . Non ce la faccio piu . . . " Mentre parlava, si prese la testa tra le mani, agitandola forsennatamente.>> Castaneda ci racconta l'intera storia imitando i gesti e il tono di voce di don Juan. È uno spettacolo vederlo! Ci dice anche che don Juan era solito ricorrere alle sue capacità istrioniche. «Dopo tutto quel vagare>> , continua Castaneda, <<credevo fos­sero trascorsi l O o 12 giorni. Oramai non mi importava piu nulla delle sigarette! È cosi che ho perso la voglia di fumare. Avevamo percorso una lunga distanza camminando come indemoniati! Quando fu la volta di ritornare, don Juan non ebbe alcuna difficoltà a ritrovare la via. Ci dirigemmo diretta­mente in città. Adesso non avvertivo piu il bisogno di com­prare le sigarette. Da quell'episodio>>, dice con una vena di nostalgia, <<sono trascorsi quindici anni>> . <<La regola del non-fare>>, commenta, <<è esattamente l'opposto

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della routine. Le abitudini, come il fumare ad esempio, sono quelle cose che ci riducono in catene . . . aderendo alla regola del non-fare, al contrario, si può dischiudere qualsiasi possibilità>>. Rimaniamo in silenzio per un po'. Alla fine mi decido a chie­dergli di Dona Soledad. Gli dico quanto ella mi abbia colpito per la sua figura grottesca; proprio al pari di una strega. «Dona Soledad è india>>, mi risponde. «La storia della sua trasformazio­ne ha un che di incredibile. Aveva impegnato cosi tanta forza di volontà in quella trasformazione che alla fine ci era riuscita. A motivo di quell'estrema volontà aveva anche sviluppato un orgoglio troppo smodato. Proprio per questa ragione non credo che possa sgusciare in punta di piedi attraverso il lato sinistro dell'aquila. Comunque sia, è fantastico quello che è riuscita a tàre con le sue sole forze! Non so se Lei ricorda chi era prima . . . era l a "mammina" di Pablito. Non faceva altro che lavare i pan­ni, i piatti, stirare . . . dare da mangiare a questo e quello. >> Nel riferirei la sua storia, Castaneda imita con gesti e movi­menti una vecchietta. «Dovreste vederla ora>>, continua. «Dona Soledad è una donna giovane e robusta. Quando la si incon­tra incute timore! Dona Soledad ha impiegato serre anni per fare la "ricapitolazione". Si infrarrò in una caverna e ci rimase fin quando non ebbe terminato. Fu rutto ciò che fece in sette anni. Sebbene non possa sgusciare oltre l'aquila>>, dice Casta­neda pieno di ammirazione, «non ritornerà mai piu a essere la poveraccia che era>>. Dopo una pausa, Castaneda ci rammenta che, tuttavia, don Juan e don Genaro non sono piu con loro. <<Adesso tutto è diverso>>, afferma Castaneda con nostalgia. <<Don Juan e don Genaro non ci sono piu. Ora, con noi, c'è la Donna Tolteca. È lei a chiederci di adempiere i compiti. La

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Gorda e io li eseguiamo insieme. Anche gli altri hanno dei compiti da assolvere; compiti diversi , come diversi sono i luo­ghi d'azione.» «Secondo don Juan le donne hanno piu talento degli uomini. Hanno una maggiore sensibilità. Rispetto agli uomini, inol­tre, si logorano e si stancano di meno. Per questo don Juan mi ha lasciato nelle mani di una donna. Mi ha lasciato nelle mani di uno dei lati dell'unità uomo-donna. In parricolar modo mi ha lasciato nelle mani delle sorelline e della Gorda.>> «La donna che ora ci insegna non ha nome. È semplicemente la Donna Tolreca.>> (Alcuni mesi dopo, la Gorda - Maria Tena - mi avrebbe chiamato per recapitarmi un messaggio di Casta­neda. Durante la conversazione mi avrebbe detto che la Signo­ra Tolteca si chiama Dona Florinda e che è una donna molto raffinata, vivace e inquietante. Ha un'età di circa 50 anni.) «La Signora Tolteca è la responsabile di tutto. Gli altri, la Gor­da e io non contiamo nulla.>> Chiediamo a Castaneda se lei sa di questo nostro incontro e di altri suoi progetti. «La Signora Tolteca sa tutto. È stata lei a mandarmi a Los Ange­les per parlare con voi>>, risponde, volgendo la sua attenzione verso di me. <<Lei sa dei miei progetti e del fatto che andrò a New York.» <<È giovane o vecchia?>>, gli chiediamo. «È una donna molto forte. I suoi muscoli si muovono in maniera assai insolita. Non è piu giovane, benché sia una di quelle persone che risplen­dono della forza del loro temperamento. >> Non è facile, a quanto pare, descriverne l'aspetto. Nel tentati­vo, Castaneda cerca un raffronto , rintracciandolo in uno dei personaggi del film Il gigante. <Ni ricordate>> , ci chiede, «quel film con James Dean e Eliza-

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beth Taylor? La Taylor vi svolge il ruolo di una donna matu­ra, sebbene in realtà sia molto giovane. Ecco, la Donna Tolte­ca mi provoca la stessa impressione! I l volto come quello di una donna attempata ma con un fisico ancora giovane. Potrei ag­giungere anche che recita come una donna anziana>>. <<Conoscete il National Enquirei?>>, seguita casualmente. «Ho dato l' incarico a un mio amico di Las Angeles di conservar­mene le copie, che poi mi leggo quando sono in città. È l 'u­n ica cosa che leggo qui . . . Proprio in uno degli ultimi numeri ho visto alcune foto di Elizabeth Taylor. Non vi sono dubbi che adesso sia ingrossata!>> Castaneda vuole forse farci intendere che l'unica cosa che leg­ge è il National Enquirer? È difficile immaginare che un gior­nale scandalistico sia la sua fonte di informazioni. Quel commento, in certo qual modo, compendia il suo giu­dizio circa l'eccessiva produzione di notizie che caratterizza la nostra epoca. Esso vuoi essere anche un verdetto nei confron­ti dei valori dell'intera nostra cultura occidentale. Tutto ormai è al livello del National Enquirer. Niente di ciò che ha detto Castaneda quel pomeriggio è stato casuale. I diversi frammenti di discorso che ci ha offerto han­no avuto come obiettivo quello di suscitare in noi una deter­minata impressione. Data questa finalità, nessuna cosa che ha detto è stata priva di senso; ciò che a lui premeva era il tra­smetterei la verità di fondo dell'insegnamento tolteco. Riprendiamo il discorso sulla Donna Tolteca; Castaneda ci informa che ella presto se ne andrà. «Ci ha detto che al suo posto verranno due donne. La Donna Tolteca è molto severa, le sue richieste sono terribili! Ebbene, se lei è crudele, ho l ' i­dea che le due che la sostituiranno siano assai peggiori. Spe-

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riamo che non se ne sia già andata! Non si cessa mai di vole­re, né si può impedire al corpo di lamentarsi e temere la seve­rità del compito . . . Tuttavia non vi è modo alcuno di cambia­re il destino. Il destino mi ha afferrato!» «Non sono libero», continua, «come colui che è impeccabile; solo se fossi tale potrei cambiare il mio destino, vale a dire sgu­sciare in punta di piedi oltre il lato sinistro dell'aquila. Se non sono impeccabile, il mio destino non muta e l'aquila mi divo­ra. Il nagualdon Juan Matus è un uomo libero. È libero di por­tare a termine il proprio destino. Non so se voi capite ciò che voglio dire>>, chiede con apprensione. <<Certo che abbiamo capito!>>, replichiamo con enfasi. << In que­sta ultima parte come in molte altre cose che lei ci ha riferito finora abbiamo riscontrato una forte analogia con quello che sentiamo e viviamo giornalmente. >> <<Don Juan è un uomo libero>>, prosegue. <<Egli ricerca la libertà. Il suo spirito la ricerca. Don Juan è libero dal pregiudizio fon­damentale: il pregiudizio percettivo che ci impedisce di vede­re la realtà.>> L'importanza di tutto ciò di cui abbiamo parlato consiste nella possibilità di infrangere il circolo delle abitudini; don Juan gli aveva insegnato una serie di esercizi affinché Castaneda dive­nisse consapevole delle proprie abitudini : esercizi come quello del <<camminare nell'oscurità>> e della <<camminata di potere>>. Come spezzare questo circolo delle abitudini? Come spezzare quell'arco percettivo che ci vincola alla visione ordinaria della realtà? Quella visione ordinaria che la nostra abitudine con­tribuisce a foggiare è ciò che Castaneda chiama <<l'attenzione del tona!>> o anche <<il primo anello dell'attenzione». <<Spezzare questo arco percettivo non è impresa facile; potreb-

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bero volerei degli anni. Nel mio caso, la difficoltà>>, dice riden­do, «risiede tutta nella testardaggine. All'inizio ero piuttosto restio ad apprendere; per questo, con me, don Juan dovette usare delle droghe . . . che finirono per ridurmi il fegato in bran­delli! >> <<Seguendo la regola del non-fare, si distruggono le abitudini e si diviene consapevoli», spiega Castaneda. Mentre parla, si alza in piedi e comincia a camminare a ritroso, ricordandosi di una tecnica che don Juan gli aveva insegnato: camminare all' indietro con l'aiuto di uno specchio. Castaneda ci raccon­ta che per rendersi piu agevole l'impresa aveva escogitato un manufatto di metallo (una specie di anello che a mò di coro­na si infi lava in testa) in cui era fissato lo specchio. In quel modo poteva praticare l'esercizio avendo le mani libere. Altri esempi di tecniche del non-fare consistevano nell'allacciarsi la cintura e nel calzare le scarpe al contrario. Tutti questi accor­gimenti servono a renderei consapevoli di ciò che facciamo di volta in volta. «Distruggendo le abitudini», dice, «il corpo spe­rimenta delle nuove sensazioni. Il corpo conosce . . . » Castaneda ci riferisce alcuni dei giochi di cui si diletta per ore il giovane tolteco. «Sono giochi relativi al non-fàre», ci spiega. «Giochi che non prevedono regole fisse, ma che, anzi, si svi­luppano nel corso dell'azione.» Non avendo regole codificate, il comportamento dei giocato­ri è imprevedibile e, di conseguenza, chi vi partecipa deve pre­stare molta attenzione. « Uno di questi giochi», prosegue, «con­siste nell' inviare all'avversario dei falsi segnali . Si chiama il gio­co del tiro». Vi partecipano tre persone e sono necessari due pali e una fune. Con la fune si lega uno dei giocatori e lo si fa penzolare dai

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pali. Gli altri due debbono tirare le estremità della corda e cer­care di ingannarlo inviandogli dei falsi segnali . È un gioco che richiede molta attenzione, di modo che, quando uno tira, l'al­tro faccia altrettanto per evitare che la fune si attorcigli attor­no alla persona legata. Le tecniche e i giochi del non-fare sviluppano l 'attenzione: si può dire che sono esercizi di concentrazione in quanto obbli­gano coloro che li praticano a essere pienamente consapevoli di ciò che stanno facendo. Castaneda commenta che la vec­chiaia consiste nell'esser rimasti bloccati entro il circolo delle abitudini. « I l modo di insegnare della Donna Tolteca è quello di farci entrare in azione. Credo sia la maniera migliore, poiché agen­do in situazioni concrete ci accorgiamo che non siamo niente. L'altro modo, quello consueto, è quello dell'amore verso sé stes­si, dell'orgoglio personale. La prima alternativa fa di noi degli investigatori, sempre attenti a tutto ciò che potrebbe presentar­si o disturbarci. Investigatori? Certo! La gente, invece, passa il proprio tempo a ricercare dimostrazioni d'amore: mi amano o non mi amano? In questo modo, focalizzati sul nostro ego, non facciamo altro che rafforzarlo. Secondo la Donna Tolteca, la cosa migliore è cominciare a pensare che nessuno ci ama.» Castaneda ci racconta che per don Juan l'orgoglio personale assomiglia a un mostro dalle tremila teste. <<Non si fa pari a distruggere e abbattere teste che altre subito si drizzano . . . » , era solito dire. <<I l fatto è che ricorriamo a infiniti stratagemmi!», esclama. «In forza di essi non facciamo che ingannarci, credendo di essere chissà chi .» Accenno, poi, al concetto di perdita di vigore, legato all'im-

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magine del «Coniglio in gabbia» che compare in uno dei suoi libri. «Certo>>, mi risponde, <<si deve stare sempre in guardia>> . Cambiando posizione, Castaneda comincia a raccontarci la storia degli ultimi tre anni. «Tra i molti compiti che ho dovu­to assolvere ho lavorato come cuoco in uno di quei caffè che si incontrano per la strada. La Garda, invece, era stata assun­ta come cameriera. Per piu di un anno vivemmo li come Joe Cordoba e sua moglie! Per esser precisi , Joe Luis Cordoba, al suo servizio>>, dice con profonda riverenza. «Per tutti ero Joe Cordoba. >> Castaneda non ci rivela il nome della città in cui hanno vissu­to, ma è possibile che abbiano abitato in posti diversi . I primi tempi con loro era anche la Donna Tolteca. Si trattava, all'i­nizio, di trovar casa e lavoro per Joe Cordoba, sua moglie e sua suocera. «Ci presentavamo cos[,,, dice Castaneda, «altrimenti la gente non avrebbe capito>>. Impiegarono un po' di tempo nella ricerca del lavoro finché non lo trovarono in quel caffè sulla strada. «Alle cinque di mat­tina dovevamo già essere in servizio. >> Castaneda ci racconta, ridendo, che in quei posti la prima cosa che ti chiedono è: «Sei capace di cucinare le uova?>>. Pare che inizialmente non riusciva a capire cosa intendessero con ciò ­cosa ci vorrà mai a prepararle! - quando alla fìne scopri che stavano parlando dei diversi modi di preparare le uova per cola­zione. Nei ristoranti e nei caffè per camionisti è molto impor­tante saper cucinare le uova. «Adesso so come si fa>>, dice ridendo. <<Potrei far fronte a qual­siasi richiesta!>> Anche la Garda lavorava sodo. Era talmente brava che fu promossa, alla fìne, caposala. Al termine di un anno, quando la Donna Tolteca disse loro: «Ora basta, avete

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finito il vostro compito», il proprietario del locale non voleva che se ne andassero. «<l fatto è che lavoravamo con grande impegno, e con orari massacranti, dalla mattina fino alla not­te.>> Durante quel periodo ebbero un incontro significativo. Ha a che vedere con la storia di una ragazza di nome Terry che si era presentata al caffè perché cercavano una cameriera. All'epoca Joe Cordoba si era guadagnato la stima del proprietario, che lo aveva incaricato della selezione e della sorveglianza del per­sonale. Terry disse loro che stava cercando Carlos Castaneda. Come faceva a sapere che si trovava da quelle parti? Castane­da non ne aveva la piu pallida idea. «Questa ragazza>> , dice Castaneda, facendo trasparire dal tono della voce una certa tristezza e dandoci a intendere che era una persona sporca e disordinata, «era una di quelle hippy che si drogano . . . Poverella!". Castaneda ci dice che, nonostante le avesse nascosto per rutto il tempo la propria identità, Joe Cor­doba e sua moglie la aiutarono sempre. Ci racconta anche che un giorno ella entrò nel locale rutta eccitata, dicendo che ave­va appena visto Castaneda in una Cadillac parcheggiata di fronte al caffè. <<

"È qui", urlò; "è nella sua auto, sta scriven­do!" . "Sei sicura che si tratta di lui? Come fai ad esser cosf con­vinta?", le dissi . Ma lei insisteva: "Sf, è lui, sono sicura . . . ". Le suggeri i , allora, di andargli incontro e domandarglielo. "Vai! Vai !" , insistetti. La ragazza non aveva i l coraggio di parlargli perché, diceva, si sentiva grassa e brutta. La incoraggiai. "Fal­la finita, sei splendida! Corri!" Alla fine si decise e usd per ritor­nare di lf a poco piangendo come una forsennata. Pare che l' uo­mo della Cadillac l'avesse mandata via dicendole di non rom­pergli le scatole. Cercai di consolarla>>, continua Castaneda.

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«Mi fece talmente pena che quasi stavo per rivelarle la mia identità. La Corda non me lo permise; mi protesse.» Non pote­va dirle nulla perché stava adempiendo un compito che pre­vedeva che lui fosse Joe Cordoba e non Carlos Castaneda. Non poteva disobbedire. Come dice Castaneda, all'inizio Terry era una pessima came­riera. Con il passar dei mesi, i due riuscirono, tuttavia, a far si che la ragazza fosse pulita e ordinata. «La Corda le dava nume­rosi consigli . Eravamo molto premurosi con lei. Mai Terry sospettò chi fossimo.» In questi ultimi anni i due avevano vissuto dei momenti di spaventosa miseria, durante i quali la gente era solita maltrat­tarli e offenderli. Piu di una volta egli fu sul punto di rivelare la propria identità, ma . . . «Nessuno mi avrebbe creduto! Inol­tre, chi decide è la Donna Tolteca.» <<Quell'anno>> , continua, «ci furono momenti in cui possede­vamo solo l'indispensabile: dormivamo in terra e ci nutriva­mo di un misero pasto al giorno>>. Gli chiediamo, a questo punto, quale sia la loro dieta. Castaneda ci dice che i toltechi mangiano solo un tipo di cibo alla volta, solo che lo fanno in maniera continuativa. «< toltechi si nutrono per l'intero arco della giornata>>, commenta con noncuranza. (In questa affer­mazione di Castaneda si legge il desiderio di infrangere l'im­magine che la gente ha degli stregoni, esseri con poteri speciali che non hanno gli stessi bisogni del resto dei mortali. Dicen­do che «essi si nutrono per l'intero arco della giornata>>, Casta­neda li accomuna al resto dell'umanità.) Secondo Castaneda il mescolare cibo, come, ad esempio, man­giare la carne con le patate e la verdura, è molto nocivo per la salute. « Questa mescolanza è un'abitudine assai recente nella

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storia dell'umanità», afferma. «Mangiare un tipo di cibo aiu­ta la digestione e fa bene all'organismo. >> <<Una volta don Juan mi accusò di sentirmi sempre male. U per li mi difesi da quelle critiche! Tuttavia, in seguito, ho capi­to che aveva ragione e finalmente ho imparato. Adesso sto bene, mi sento forte, sano.» Anche il loro modo di dormire è diverso da quello della mag­gior parte di noi. La cosa importante è rendersi conto che si può dormire in svariate maniere. Secondo Castaneda si è impa­rato a coricarsi e a svegliarsi a una determinata ora perché que­sto è ciò che la società pretende da noi. «A esempio», dice, « i genitori mettono a letto i bambini per toglierseli di torno». Ridiamo tutti , considerando quanto di vero ci sia in questa sua affermazione. <<Io dormo tutto il giorno e tutta la notte», con­tinua, «ma se sommo le ore e i minuti di sonno, non credo di raggiungere le cinque ore al giorno». Per dormire a quel modo l'individuo deve essere in grado di entrare all'istante nel son­no profondo. Ritornando a Joe Cordoba e sua moglie, Castaneda ci raccon­ta che un giorno si presentò la Donna Tolteca, dicendo loro che non stavano lavorando abbastanza. <<Ci ordinò di metter su un'attività di Landscaping, una cosa piuttosto impegnativa; si trattava di progettare e sistemare giardini. Il nuovo compi­to affidatoci dalla Donna Tolteca non era una roberta da nul­la. Dovevamo accordarci con un gruppo di persone che ci aiu­tassero a svolgere il lavoro durante la settimana, quando entrambi eravamo impegnati nel locale. Ogni fine settimana ci dedicavamo esclusivamente ai giardini . Gli affari , però, andarono a gonfie vele. <<La Garda è una donna molto intraprendente. Quell'anno

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lavorammo veramente sodo. Durante la settimana eravamo nel caffè e il sabato e la domenica guidavamo il camion e pota­vamo gli alberi. La Donna Tolteca è molto esigente nelle sue richieste.>> «Ricordo», continua Castaneda, «che eravamo in casa di un amico quando giunsero dei giornalisti che cercavano Carlos Castaneda. Erano del New York Times. Per passare inosservati, la Garda e io ci mettemmo a piantare degli alberi nel giardi­no del mio amico. Li vedemmo entrare e uscire dall'abitazio­ne. A quel punto il padrone di casa cominciò a urlarci contro e a trattarci male in loro presenza. Pareva proprio che chiun­que si potesse permettere di inveire contro Joe Cordoba e la sua donna. Nessuno dei presenti ci venne in soccorso. Chi era­vamo noi? Guardateli , solo i poveracci e i cani lavorano sotto il sole!» . «Fu cosi che in combutta con il nostro amico ingannammo i giornalisti. Il mio corpo, tuttavia, non potevo ingannarlo. Per tre anni ci siamo impegnati a far apprendere al nostro fisico come, in realtà, siamo ben poca cosa. La verità è che esso non è l 'unico a soffrire. Anche la mente è assuefatta a continue sti­molazioni. I l guerriero, invece, non riceve stimoli dai mass media; non ne ha bisogno. Il miglior posto, pertanto, era quel­lo dove eravamo! Lf nessuno pensava!» Proseguendo nel racconto delle sue avventure, Castaneda ricorda che piu di una volta lui e la Gorda sono stati cacciati via dalla gente. «Altre volte, guidando il camion lungo l'auto­strada, ci costringevano a rasentare il guardrail. Non avevamo alternative. Era meglio )asciarli passare!» Stando a ciò che Castaneda ci racconta, i compiti che lo han­no visto impegnato in questi ultimi anni sono stati quello di

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J l l l l ' · " · l r t' .1 \op ravvivere in circostanze avverse>> e di «impara­l < .1 1 . 1 1 l ro n t c all'esperienza della discriminazione>>. Quest'ul­l l l l l o compito «mi ha messo a dura prova ma è stato molto i\t ruu ivo>> , conclude con grande serenità. I l compito consiste nell'imparare a distaccarsi dalle reazioni emotive provocate dalla discriminazione. La cosa importante è non reagire, non infuriarsi. Se lo si fa, si è perduti. <<Non ci si offende se una tigre ci attacca>>, spiega, «ci si sposta e la si lascia passare>>. «In seguito, la Corda e io trovammo lavoro in una casa, lei come domestica e io come maggiordomo. Non potete imma­ginare come andò a tìnire! I padroni ci buttarono fuori senza pagarci. Non solo! Per proteggersi da una nostra eventuale con­testazione, chiamarono la polizia. Vi rendete conto? Ci mise­ro in galera per niente.>> «In quel periodo lavorammo molto duro e patimmo molte pri­vazioni. Quante volte siamo rimasti a stomaco vuoto! La cosa peggiore era che non potevamo lamentarci, né avevamo il sup­porto del gruppo. In quel compito eravamo soli e non pote­vamo fuggire. Anche qualora avessimo potuto svelare la nostra identità, nessuno ci avrebbe creduto. Il compito non prevede mai degli sconti. >> «In realtà, io sono Joe Cordoba>>, prosegue Castaneda, accom­pagnando le parole con l'intero suo corpo, «e sono molto con­tento perché piu in basso di cosi non posso scendere. Io sono già arrivato al fondo. I l fondo è tutto ciò che sono>>. E nel men­tre dice questo con le mani tocca la terra. «Come già vi ho accennato, ognuno di noi ha dei compiti spe­cifici da assolvere. I Genaro sono piuttosto arguti; Benigno è in Chiapas e se la cava molto bene. Ha una banda musicale.

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Perdipiu è bravissimo nell' imitare Tom Jones e molti altri. Pablito è sempre lo stesso di prima: un inveterato pigrone. Benigno è quello che fa rumore e Pablito è colui che lo imbel­letta. Il primo lavora e il secondo raccoglie gli applausi.» «Adesso», dice, concludendo, <<noi tutti abbiamo terminato i compiti che ci spettavano e ci stiamo preparando a nuove man­sioni. È sempre la Donna Tolteca a darci le direttive». La storia di Joe Cordoba e di sua moglie ci ha colpito assai. Ha a che vedere con un'esperienza molto diversa da quelle descrit­te nei libri di Castaneda. Vorremmo sapere se egli abbia mai scritto o sia in procinto di scrivere qualcosa su Joe Cordoba. <<Sono convinta che Joe Cordoba sia esistito, deve essere esi­stito! Perché non scrive qualcosa su di lui? Di tutto quello che ci ha riferito, la storia di Joe Cordoba e sua moglie è ciò che piu mi ha colpito.>> <<Ho appena consegnato un nuovo manoscritto al mio agen­te>>, ci risponde Castaneda. <<In questo libro è la Donna Tolte­ca colei che ci insegna. Non poteva essere in altro modo . . . I l titolo dovrebbe recitare 'Tagguato e l'arte di essere nel mon­do" . >> (Il libro è stato poi pubblicato nel 1 98 1 con il titolo Il dono dell'aquila.) <<ln esso parlo del suo insegnamento. È lei la responsabile del manoscritto. Doveva necessariamente essere una donna a insegnarci l 'arte dell'agguato. Le donne la cono­scono bene perché hanno sempre vissuto con il nemico; han­no, cioè, sempre camminato "in punta di piedi" nel mondo dominato dal maschio. Proprio per questa ragione, per il fat­to che le donne hanno acquisito da lungo tempo questa arte, è la Donna Tolteca a istruirei sui principi dell'agguato. >> <<I n questo manoscritto, tuttavia, non vi è nulla che si riferisca specificamente alla vita di Joe Cordoba e di sua moglie. Non

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potevo scrivere di quell'esperienza perché nessuno l'avrebbe capita né ci avrebbe creduto. Solo con pochi posso parlare di queste cose . . . Resta il fatto che l'essenza degli episodi vissuti negli ultimi tre anni è tutta contenuta in questo libro.» Sempre a proposito della Donna Tolteca, Castaneda sottoli­nea quanto ella sia diversa da don Juan. «Non mi ama>>, dice. <<Alla Gorda, invece, è molto affezionata. Non le puoi chiede­re nulla; prima che tu le parli, già sa cosa deve dire. Per di piu, incute molto timore; quando si arrabbia, diviene violenta>>, dice, accompagnandosi con una serie di gesti che indicano quanto egli la tema. Rimaniamo in silenzio per un po'. Il sole è giunto quasi all'o­rizzonte e i suoi raggi ci colpiscono attraverso i rami degli albe­ri. Avveno un leggero freddo. "Forse" , penso, "sono le sette di

" sera. Anche Castaneda si è accorto dell'ora tarda. <<Farà buio pre­sto>>, ci dice. <<Che ne direste di andare a mangiare qualcosa? Vi invito io.>> Ci alziamo e andiamo via. Trovo simpatico che Castaneda prenda in consegna i miei appunti e i miei libri per una parte del tragitto. La cosa migliore è !asciarli in auto. Cosi facciamo. Liberi dai nostri fardelli, camminiamo per alcuni isolati conversando animatamente. Tutto quello che hanno conseguito richiede anni di prepara­zione e di pratica. Un esempio è l'esercizio del <<sognare>>. <<Sembra cosi ridicolo>>, afferma enfaticamente Castaneda, <<in realtà è assai difficile da praticare>> . L'esercizio consiste nell' imparare a sognare a volontà e in maniera sistematica. Si comincia con il sognare una mano. Poi si fa entrare l'intero braccio nel campo visivo del sogno. Si pro­segue in questa maniera fino a quando non appaia tutta la

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nostra persona. L altro metodo consiste nell'imparare a utiliz­zare i sogni. Una volta, cioè, che si sia raggiunto il controllo su di essi, dobbiamo interagirvi. <<A esempio», dice Castane­da, «Voi sognate di uscire dal corpo; aprite la porta e siete sul­la strada. Ma la strada è un luogo pericoloso. Qualcosa in voi decide allora di abbandonarvi; un qualcosa che viene attivato dalla vostra volontà». Secondo Castaneda il sognare non impegna molto tempo. I sogni, cioè, non accadono entro il tempo dei nostri orologi. Quello del sogno è un tempo compatto. Castaneda ci fa capire come nei sogni si produca un immen­so dispendio di energie fisiche. <<All'interno del sogno si può vivere per un tempo lunghissimo», afferma, «però il corpo ne risente. Il mio in maniera particolare . . . È come se mi avesse investito un camion, dopo». Tutte le volte che ritornerà sul tema del sognare, Castaneda confermerà il valore pratico di ciò che il suo gruppo fa duran­te il sogno. In L'isola del tona! si legge che le esperienze vissu­te durante il sogno e «quelle vissute nelle ore di veglia assu­mono il medesimo valore pratico>> , e che per gli stregoni <<il criterio per distinguere un sogno dalla realtà è del tutto inef­ficace>> . Le esperienze di uscita dal corpo catturano vivamente la nostra attenzione e vorremmo saperne di piu. Ci risponde dicendo­ci che ciascuno di loro ha vissuto esperienze diverse. <<La Gor­da e io, per esempio, usciamo insieme. Lei mi afferra per l'a­vambraccio e . . . partiamo.>> Ci racconta anche che il gruppo compie dei viaggi in comu­ne. Sono sempre in costante allenamento; il loro obiettivo è q uello di <<divenire testimoni>>. <<Essere testimoni>>, afferma

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Castaneda, «significa interrompere il giudizio. Ha a che vede­re, cioè, con una vista interiore che equivale al non avere piu pregiudizi». «Pare che Josefina sia molto brava a viaggiare nel corpo del sogno. Vorrebbe che la si seguisse sempre; dice che nelle sue esplorazioni incontra cose meravigliose. La Gorda è colei che le viene sempre in soccorso. » «Per Josefina è molto facile spezzare l'arco su cui s i riflettono tutte le cose. Quella donna è pazza! Pazza!>>, esclama. «}osefi­na riesce a coprire lunghe distanze ma non vuole mai andare da sola. Immancabilmente, quando ritorna, mi riferisce cose prodigiose.>> Per Castaneda Josefina è un essere che non può funzionare in questo mondo. <<Se fosse stata sola>>, dice, «sarebbe andata a finire in qualche istituto di cura>>. È un essere etereo <<che rifug­ge dalle cose concrete. Sarebbe disposta ad abbandonare tutto in qualsiasi momento>>. La Garda e Castaneda, al contrario, sono piu accorti nei loro voli. In particolare, la Gorda possie­de quella stabilità ed equilibrio che a lui, in certo qual modo, difettano. Dopo una pausa, gli rammento la visione di quella cupola immensa che, in Il secondo anello del potere, descrive il luogo ove starebbero ad attenderli don Juan e don Genaro. «Anche la Gorda ha questa visione>>, commenta con un tono di malinconia. <<Ciò che vediamo non è un orizzonte terrestre. Esso presenta un aspetto omogeneo e inanimato, entro cui si innalza un immenso arco che ricopre tutto fino a raggiungere lo zenit. Qui si apre una vasta luminescenza. Si potrebbe para­gonare a una cupola da cui si diffonde un'intensa luce gialla.>> Lo incalziamo di domande affinché ci dia maggiori informa-

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zioni su quella cupola. «Cosa è? Dove è?», chiediamo. Casta­neda risponde che, a giudicare dalle dimensioni, potrebbe esse­re un pianeta. «Allo zenit», aggiunge, «c'è come un forte ven­to». Altro non dice di quella visione. È possibile che non rie­sca a trovare le parole adatte per esprimere ciò che vedono. Nondimeno appare evidente come quelle visioni, quei voli nel corpo sognante rappresentino un costante allenamento in vista del viaggio definitivo: lo sgusciare attraverso il lato sinistro del­l' aquila, quel salto finale chiamato morte, quel porre termine alla ricapitolazione. Quel poter dire "siamo pronti", quando, appresso, ci portiamo solo ciò che siamo e nient'altro all'in­fuori di ciò che siamo. «Secondo la Donna Tolteca>>, confessa Castaneda, «queste visioni danno la cifra del mio smarrimento: lei pensa che sia la mia maniera inconsapevole di paralizzare l'agire; vale a dire, la mia maniera di dire "non voglio abbandonare il mondo". Ella sostiene inoltre che con il mio atteggiamento impedisco alla Garda l'opportunità di avere voli piu fecondi e creativi>> . Don Juan e don Genaro erano grandi sognatori. Essi posse­devano un controllo totale di quest'arte. «Sono sorpreso>>, esclama d'un tratto Castaneda, portandosi la mano alla fron­te, «del fatto che nessuno noti come don Juan sia un incredi­bile sognatore. Lo stesso si può dire di don Genaro. Egli, a esempio, era capace di trasferire il suo corpo sognante nella vita di tutti i giorni>>. Il grande controllo posseduto da don Juan e don Genaro tra­spare da quel «non essere notati>> o «passare inosservati>> di cui parla Castaneda in tutti i suoi libri. In Il secondo anello del pote­re Castaneda annota le volte che don Juan gli aveva ordinato di concentrarsi sul passare inosservati. Anche Nestor dice che

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«don Juan e don Genaro impararono a non essere notati» . I due sono dei maestri nell'arte dell'«agguato» . A proposito di don Genaro, la Garda racconta che «egli viveva nel corpo sognante per la maggior parte del tempo». <<Tutto ciò che facevano», dice Castaneda con tono entusiasti­co, <<era motivo di encomio. Di don Juan ammiro immensa­mente il controllo di sé e la serenità notevoli. Di lui non si può dire che fosse un vecchietto decrepito. Non era come altre per­sone. C'è qui nel campus, per esempio, un vecchio professore che, quand'ero giovane, era già all'apice della carriera. A quel tempo egli aveva raggiunto il massimo della forza fisica e del­la creatività intellettuale. Adesso si mastica la lingua avvizzita! È semplicemente diventato quello che è, un vecchietto decre­pito. Di don Juan, al contrario, non si può dire la stessa cosa. Il suo vantaggio nei miei confronti è sempre abissale». Nell'intervista rilasciata a Sam Keen*, Castaneda racconta che una volta don Juan gli chiese se lui pensava che fossero ugua­li. Benché, in realtà, egli pensasse che non lo fossero, rispose, con fare condiscendente, che lo erano. Ma don Juan non approvò questa opinione: <<Non credo che lo siamo», disse, <<perché io sono un cacciatore e un guerriero mentre tu asso­migli di piu a un mezzano. lo sono pronto, in qualsiasi momento, a offrire la ricapitolazione della mia vita. Il tuo mondo angusto pieno di tristezza e indecisione non può mai uguagliare il mio». In tutto ciò che Castaneda ci riferisce si possono rintracciare dei paralleli con altre correnti e tradizioni del pensiero mistico. Nei

* Sam Keen, Voices and Visions, Harper and Row, New York, 1 976.

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suoi libri si citano autori e opere dell'antichità e del presente. Gli ricordo che, tra gli altri, vi si fanno dei riferimenti al Libro egiziano dei morti, al Tractatus di Wittgenstein, a poeti spagno­li come San Giovanni della Croce e Juan Ramo n Jiménez, non­ché a scrittori latini come il peruviano César Vallejo. «È vero», risponde, <<nella mia auto ci sono sempre molti libri. Opere che mi vengono spedite da piu persone». Egli era soli­to leggerne alcuni brani a don Juan. «Gli piacevano le poesie. Ma solo i primi quattro versi! Diceva che tutto quello che seguiva era insulso, privo di vigore, una semplice ripetizione.» Uno di noi gli chiede se abbia mai letto qualcosa delle tecni­che dello yoga o delle descrizioni dei diversi livelli di realtà offerte dai testi sacri indiani. «Tutto ciò è meraviglioso>>, dice. «Ho avuto, per di piu, dei rapporti abbastanza stretti con per­sone che lavorano con lo hata yoga.>> «Nel 1 976 un amico medico di nome Claudio Naranjo - lo conoscete? - mi presentò a un maestro yoga. Andammo a far­gli visita nel suo ashram, qui, in California. Con noi vi era un professore che fungeva da interprete. Uno dei miei obiettivi di quella conversazione era rintracciare dei paralleli con le mie esperienze di uscita dal corpo. Tuttavia, al riguardo, egli non mi disse nulla di significativo. Nonostante le grandi cerimo­nie e tutta una serie di rituali, il maestro non soddisfece affat­to le mie richieste. Verso la fine del colloquio, questo perso­naggio eccentrico prese un recipiente di metallo e cominciò a cospargermi del liquido che vi era contenuto, di un colore nient'affatto gradevole. Si era appena allontanato che subito gli chiesi cosa mi avesse spruzzato addosso. Qualcuno mi si avvicinò, spiegandomi che avrei dovuto essere molto conten­to perché si trattava della sua benedizione. Ma io, non pago,

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mi ostinai a voler conoscere il contenuto del recipiente. Alla fine mi fu detto che tutte le secrezioni del maestro erano sacre: 'Tutto ciò che proviene da lui è sacro" . A quel punto», con­clude con tono scherzoso, «ebbe termine la conversazione con il maestro yoga». L anno successivo Castaneda ebbe un'esperienza simile con uno dei discepoli di Gurdjieff Si incontrò con lui a Los Ange­les dietro sollecitazione di uno dei suoi amici. Pare che il tipo avesse imitato in tutto e per tutto Gurdjieff. «Aveva la testa rasata e portava dei baffi giganteschi», commenta, indicando con la mano la loro dimensione. <<Eravamo appena entrati che subito mi afferra con forza alla gola e mi assesta dei colpi tre­mendi. Immediatamente dopo mi dice di abbandonare il mio maestro in quanto stavo perdendo tempo. Stando alle sue parole, in otto o nove lezioni mi avrebbe insegnato lui tutto ciò che avevo bisogno di sapere. Vi immaginate? In poche lezioni poteva insegnare qualsiasi cosa a chiunque!» Castaneda ci dice anche che il discepolo di Gurdj ieff aveva menzionato l'uso delle droghe per accelerare il processo d'ap­prendimento. Pare che l'amico di Castaneda si fosse reso subi­to conto della situazione ridicola e dell'enormità del suo erro­re. Egli aveva insistito che si incontrasse con quel discepolo, in quanto era convinto che Castaneda avesse bisogno di un maestro piu serio di don Juan. «Terminato l'incontro>>, rac­conta Castaneda, «il mio amico provò molta vergogna>>. Continuiamo a camminare per sei o sette isolati. Parliamo per un po' di fatti incidentali. Gli dico che ho letto su La Gaceta un articolo di Juan Tovar ove egli menziona la possibilità di ricavare un film dai suoi libri. «Si>>, dice, «una volta è stata accennata questa possibilità>>. In

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seguito ci racconta la storia del suo incontro con il produttore Joseph Levine che lo avrebbe intimidito da dietro un'enorme scrivania. Le sue dimensioni e le parole del produttore a mala pena comprensibili furono le cose che p ili lo colpirono. «Se ne stava dietro quella scrivania come se fosse su di un palco>' , rac­conta, <<ed io, giu in fondo, piccolissimo. Che possenza! Aveva le mani piene di anelli con enormi pietre incastonate>>. Castaneda aveva già spiegato a Juan Tovar che l'ultima cosa che avrebbe voluto vedere era un Anthony Quinn nel ruolo di don Juan. Pare che qualcuno avesse proposto Mia Farrow per ricoprire una delle parti . . . «Concepire l'idea di un film siffat­to è molto difficile>> , commenta. <<Qui non si tratta né di etno­grafia né di finzione. Non sarebbe possibile farlo. >> In quello stesso periodo fu invitato a partecipare al johnny �

Carson e al Dick Cavett show. <<Alla fine mi son deciso di non andarci. Cosa potrei raccontare a Johnny Carson quando mi chiedesse, ad esempio, se parlavo o meno con i l coyote? Cosa potrei rispondere? Potrei dire di sf. . . e poi?>> Indubbiamente la situazione si tingerebbe di ridicolo. <<Don Juan mi aveva affidato l'incarico di testimone di una tra­dizione>>, dice Castaneda. <<Lui stesso insisteva perché io accet­tassi di essere intervistato e dare conferenze per promuovere i libri. Con il tempo, però, mi consigliò vivamente di darci un taglio, dato che questo tipo di attività dissipa un sacco di ener­gia. Se si è dentro questo genere di cose è necessario impegnarci molta forza.>> «Grazie alla pubblicazione dei miei libri, sono incaricato di provvedere alle spese di tutto il gruppo>>, dichiara apertamen­te. Con le sue opere dà da mangiare agli altri. <<Don Juan mi ha affidato l'incarico di mettere per iscritto tut-

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to ciò che dicono i nagual e gli stregoni. Il mio compito non è altro che scrivere finché un giorno non mi diranno, "è suffi­ciente, ora basta" . Io non so se i miei libri esercitino o meno un forte impatto sul pubblico, dato che non mi occupo di quello che accade qui. Tutto il contenuto delle mie opere apparteneva prima a don Juan e adesso alla Donna Tolteca. Sono loro i responsabili di quel che vi è scritto.» I l tono della voce e i suoi gesti ci colpiscono vivamente. È evi­dente come, entro quell'ambito, il compito di Castaneda con­sista nell'obbedire. Il suo obiettivo non è altro che essere impeccabile nel ricevere e nel trasmettere una tradizione e un insegnamento. «Personalmente>>, prosegue dopo una pausa, «Sto lavorando a una rivista; è una specie di manuale. Di questo lavoro sono io l'unico responsabile. Vorrei che un editore serio lo pubblicas­se e s'impegnasse a distribuirlo a persone interessate e a centri di studio>>. Ci dice di aver elaborato diciotto unità concettuali in cui ritie­ne vi siano compendiati tutti gli insegnamenti del popolo tol­teco. Per organizzare il materiale è ricorso alla fenomenologia di Edmund Husserl quale impianto teoretico che renda com­prensibile quello che gli hanno insegnato. «La settimana scorsa>> , dichiara, «ero a New York. Ho conse­gnato il progetto alla casa editrice Simon & Schuster, ma pare che si siano spaventati. Sono convinti che una cosa del gene­re non potrà mai avere successo». <<Di queste diciotto unità concettuali sono io l'unico respon­sabile>> , continua con tono meditativo, «ma, come vi ho det­to, non ho avuto successo. Esse sono state come diciotto in­ciampi contro cui ho sbattuto la testa. Concordo con l'edito-

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re che si tratta di un lavoro di difficile lettura, eppure eccomi servito! . .. Don Juan, don Genaro e tutti gli altri sono diversi. Loro sono volubili ! » . (Siamo poi venuti a conoscenza che Simon & Schuster hanno deciso di accettare il progetto della rivista che pareva lo turbasse tanto.) «Perché le chiamo unità?», domanda, precedendoci. «Le chia­mo cosi perché ognuna di esse vuole mostrare uno dei modi di infrangere l'unità della realtà ordinaria. Quest'unica visio­ne percettiva può venire infranta in diverse maniere.» Per chiarirci meglio il concetto Castaneda adduce l'esempio della mappa. Qualora vogliamo arrivare in un determinato luogo senza perderei per strada, abbiamo bisogno di una map­pa ove siano riportati dei chiari punti di riferimento. «Non possiamo orientarci senza una mappa», esclama Castaneda. <<Alla fine, però, succede che l'unica cosa che guardiamo è la mappa. Anziché osservare quello che c'è da vedere, finisce che guardiamo la mappa che ci portiamo dentro. L'insegnamento essenziale di don Juan consiste, pertanto, nell'infrangere l'ar­co della riflessibilità, nel recidere continuamente i legami che ci vincolano ai noti punti di riferimento.» Svariate volte, quel pomeriggio, Castaneda avverte l'esigenza di sottolineare come egli funga da <<semplice contatto con il mondo». Tutta la conoscenza racchiusa nei suoi libri appar­tiene al popolo tolteco. Di fronte alla sua insistenza non -pos­so che reagire, rilevando la difficoltà e la magnitudine che deve aver comportato l'impresa di sistemare gli appunti nella for­ma coerente e organizzata del libro. <<No», risponde Castaneda. <<Non devo faticare affatto. Il mio compito è semplicemente quello di copiare la pagina che mi appare m sogno.»

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Stando a Castaneda non si può creare un qualcosa dal nulla. I l pretenderlo è un'assurdità. Per chiarirci questa idea ci riferi­sce un episodio della vita di suo padre. «Mio padre aveva deci­so di diventare un grande scrittore. La prima cosa che decise di fare era quella di sistemare il suo ufficio. Aveva bisogno di un ufficio che fosse perfetto. Non dovevano sfuggirgli i ben­ché minimi dettagli , dalle decorazioni delle pareti al tipo di luce da mettere sul tavolo. Una volta preparata la stanza, si mise alla ricerca di uno scrittoio all'altezza della sua impresa. Esso doveva essere di una certa misura, di un legno e un colo­re particolari, e cosi via. La stessa cosa accadde per la scelta del­la sedia su cui si sarebbe seduto. Poi volle scegliere un rivesti­mento adeguato per non rovinare il legno della scrivania. Era indeciso se optare per la plastica, il vetro, ìl cuoio o il cartone. Sopra la scrivania mio padre alla fine poggiò il foglio su cui avrebbe scritto il suo capolavoro. Ma di fronte a esso non sep­pe piu cosa scrivere. Questo era mio papà. Voleva cominciare dalla frase perfetta. Ovviamente non si può scrivere a quella maniera! Noi siamo solo degli strumenti, degli intermediari. lo vedo ciascuna pagina nei miei sogni e la sua buona riuscita dipende dal grado di fedeltà con cui riesco a copiare quel modello. La pagina che piu mi colpisce ed entusiasma è pro­prio quella che meglio riproduce l'originale.» Questi commenti di Castaneda rinviano a una particolare teo­ria della conoscenza e della creazione intellettuale e artistica. Subito mi sovvengono Platone e Sant'Agostino con la sua immagine del «maestro interiore». Conoscere significa scopri­re e creare significa riprodurre. Né la conoscenza né la crea­zione sono la risultante di un atto individuale. Mentre ceniamo gli rammento alcune delle interviste che ho

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letto. Gli dico che mi è piaciuta moltissimo quella di Sam Keen, apparsa per la prima volta su Psychology Today. Anche Castaneda si mostra soddisfatto di quella intervista, inoltre ha grande stima di Sam Keen. <<In tutti questi anni» , dice, «ho conosciuto svariate persone di cui mi sarebbe piaciuto conti­nuare ad essere amico . . . il teologo Sam Keen è una di queste. Sennonché don Juan mi disse, «ora basta». A proposito dell'intervista rilasciata a Time, Castaneda ci rac­conta che all'inizio si era incontrato con un giornalista qui a Los Angeles. Pare che non fosse andata bene (Castaneda era ricorso ad alcune frasi in dialetto argentino.) La redazione in­viò allora «Una di quelle ragazze cui non puoi dire di no» , affer­ma con un tono che provoca la nostra risata. Tutto filò liscio e i due si capirono «magnificamente>>. Castaneda aveva l'im­pressione che la giornalista comprendesse ciò che le racconta­va. Sennonché, alla fine, l'articolo non fu scritto. Gli appunti che la ragazza aveva preso erano stati consegnati a un giorna­lista che <<penso sia adesso in Australia>> , aggiunge. Sembra che costui li abbia poi usati per scopi personali. Ogni qual volta, per un motivo o per l'altro, viene menziona­ta l'intervista del Time, è palese il fastidio di Castaneda. Egli aveva fatto presente a don Juan come Time fosse una rivista autorevole e influente, forse anche troppo, ma don Juan ave­va insistito che l'intervista fosse fatta. ((Lintervista è stata comunque fatta>> , conclude Castaneda. Parliamo anche delle critiche e di ciò che è stato scritto su di lui e i suoi libri. Accenno a Richard deMille e ad altri che han­no messo in dubbio la veridicità delle opere e il loro valore antropologico. ((Limpresa cui sono chiamato>>, afferma Castaneda, <<esula da

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qualsiasi cosa i critici possano dichiarare. I l mio obiettivo con­siste nel comunicare nel miglior modo possibile quel tipo di conoscenza. Nulla di ciò che dicono ha per me importanza, poiché oramai non sono piu Carlos Castaneda, lo scrittore. Io non sono né uno scrittore, né un pensatore, né un filosofo . . . di conseguenza, i loro attacchi non mi raggiungono affatto. Ora so di non essere niente; nessuno può prendere alcunché da me, dato che Joe Cordoba non è niente. In tutto ciò non vi è alcun orgoglio personale». ((Noi viviamo», continua, ((a un livello piu basso dei contadi­ni messicani, e questo già dice molto. Abbiamo toccato il fon­do e non possiamo scendere oltre. La differenza tra noi e il con­tadino è che lui spera, vuole delle cose e lavora affinché un giorno abbia piu di quello che ha oggi. Noi, al contrario , non abbiamo nulla e avremo sempre di meno. La critica non può colpire il bersaglio». ((Non sono mai cosi ricco come quando sono Joe Cordoba», esclama con enfasi, alzandosi in piedi e allargando le braccia in un gesto di profusione. ((Joe Cordoba, il cuoco che frigge hamburger tutto il giorno affumicandosi gli occhi . . . Mi capi­te?>> Non tutte le critiche sono state negative. Octavio Paz, per esempio, scrisse una bella prefazione all'edizione spagnola di A scuola dallo stregone. Secondo me si tratta della piu bella introduzione in assoluto. ((È vero>> , dice Castaneda con tono emozionato, ((quella prefazione è eccellente. Octavio Paz è un vero gentiluomo. Forse è uno degli ultimi rimasti>>. La frase ((un vero gentiluomo>> non si riferisce alle qualità incontestabili di Octavio Paz quale pensatore e scrittore. No! Essa vuole richiamare le intrinseche qualità e il valore di un

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individuo quale essere umano. Il fatto che Castaneda lo defi­nisca «uno degli ultimi rimasti» accentua il riferimento a una specie in via d'estinzione. «Beh», prosegue Castaneda, cercando di essere meno severo, <<forse ne rimangono due». [altro è uno storico messicano, un suo vecchio amico il cui nome non ci è familiare. Ci racconta alcuni aneddoti della sua vita da cui traspaiono una vitalità fisi­ca e una vivacità intellettiva notevoli . Subito dopo Castaneda ci spiega come seleziona le lettere che gli arrivano. <<Volete che vi dica come ho fatto con la vostra?», domanda, rivolgendosi a me. Le lettere le riceve un suo giovane amico che provvede a met­terle in un sacco in attesa del suo arrivo a Los Angeles. Una volta in città, Castaneda segue sempre la medesima prassi: rovescia tutta la corrispondenza dentro una scatola capiente ­<<una scatola dei balocchi» - e poi prende solo una lettera. Quindi la legge e infine risponde. Senza scrivere, ovviamente. Castaneda non lascia tracce. <<La lettera che ho preso», spiega, <<è stata la prima che lei ha scritto. Poi ho cercato l'altra. Non si può immaginare quanti problemi ho incontrato per avere il suo numero di telefono! Quando ormai ero convinto di non poterlo piu ottenere, mi è venuta in soccorso l'università. Credevo proprio che non sarei mai riuscito a parlare con lei>>. Sono molto sorpresa di venire a conoscenza di tutti gli incon­venienti che ha incontrato per raggiungermi. Pare che una vol­ta presa la mia lettera egli dovesse contattarmi in tutti i modi. Nell'universo magico viene accordata molta importanza ai <<segnt>> . <<Qui a Las Angeles» , continua Castaneda, <<ho un amico che

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mi scrive molte lettere. Le volte che arrivo in città, le leggo tut­te, una dopo l'altra, come se fossero un diario. Un giorno, tra la sua corrispondenza, mi capita tra le mani una lettera che, sebbene mi accorga subito che non è del mio amico, leggo ugualmente. Il fatto che si trovasse nel mucchio era per me un "segno">>. Quella lettera lo mise in contatto con due persone le quali gli riferirono un episodio assai interessante. Era notte e dovevano immettersi nell'autostrada per San Bernardino. Per incontrar­la avrebbero dovuto proseguire innanzi fino alla fine della stra­da. Dopodiché dovevano svoltare a sinistra e continuare a gui­dare fino al raccordo. Cosi fecero, ma dopo circa venti minu­ti si ritrovarono in un posto sconosciuto. Sicuramente non era l'autostrada per San Bernardino! Uscirono dall'auto per chie­dere informazioni, ma nessuno fu loro d'aiuto. In una delle case dove bussarono udirono delle urla. Castaneda prosegue nel racconto dicendoci che i due amici tornarono indietro finché non raggiunsero un'area di servizio. U chiesero nuove indicazioni che risultarono essere quelle che già conoscevano. Ripresero quindi la medesima direzione e, senza alcun inconveniente, s'immisero nell'autostrada. Castaneda decise di incontrarli. Pare che solo uno di loro fos­se veramente interessato a capire il mistero. «Sulla terra», afferma a mò di spiegazione, «esistono dei siri, dei luoghi particolari o fessure, attraverso cui si può entrare per accedere a dimensioni altre>>. Qui si ferma e si offre come guida. «È qui vicino . . . proprio in città . . . Se volete, vi ci posso portare». <<La terra è un qualcosa di vivente. Questi luoghi sono fessure da cui la terra riceve periodicamente la forza e l'energia del

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cosmo. È la stessa energia che il guerriero è chiamato ad acc u ­

mulare. Forse, qualora fossi rigorosamente impeccabile, porrl'i avvicinarmi all'aquila. Spero proprio di si!» «Ogni diciotto giorni un'onda energetica si rovescia sulla ter­ra. La prossima si presenterà il 3 agosto. Sarete in grado di avvertirla. Quest'onda di energia può essere piu o meno forte, dipende. Quando la terra la riceve, non importa dove vi tro­viate, essa si fa sempre sentire. Al cospetto dell'immensità di quella forza, non vi sono punti del pianeta che possano sfug­girle.» Stiamo tuttora conversando animatamente quando si avvici­na la cameriera che, con tono sferzante, ci chiede se vogliamo ordinare qualcos'altro. Dato che nessuno di noi vuole il des­sert o il caffè, non resta altro che alzarci. Non appena la came­riera si assenta, Castaneda commenta: << Pare che ci sbattano fuori . . . » . È vero, ci stanno sbattendo fuori e, forse, con ragione. Si è fat­to tardi. Con sorpresa rileviamo il rapido succedersi delle ore. Ci alziamo e ci incamminiamo lungo il viale. È notte, la strada e la gente hanno l'aspetto di un lunapark. Dietro le nostre spalle un mimo con marsina e tuba intrattie­ne il pubblico. Tutto ciò che vediamo suscita la nostra ilarità. Ci scrutiamo attorno alla ricerca del piattino che vien solita­mente fatto girare durante questi spettacoli. Alla nostra destra, sotto le gronde di un vecchio teatro, un uomo sta eseguendo un altro numero su di un palco in miniatura. Un gatto, cosi mi sembra, è in procinto di adempiere il suo compito. Da que­ste parti si può veramente vedere di tutto. Una volta ho visto un tipo mascherato da orso che cercava di competere con una orchestra umana. «Il problema è trovare delle alternative ogni

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volta piu stravaganti>>, commenta qualcuno. Mentre cammi­niamo in direzione del campus, Castaneda parla del suo pros­simo viaggio in Argentina. «Con l'Argentina si conclude un ciclo>>, dice. <<Ritornarvi è molto importante per me. Non so tuttora quando, ma di sicu­ro ci andrò. Per adesso ho delle cose da fare qui. Ad agosto avrò portato a termine il mio compito triennale; è probabile quin­di che parta subito dopo.>> Quel pomeriggio Castaneda ha parlato molto di Buenos Aires, delle sue strade, dei suoi quartieri, dei suoi club sportivi. Ram­menta con nostalgia via Florida, con i suoi negozi eleganti e il continuo viavai della folla. Si ricorda anche nei dettagli della celebre via dei cinema, la via Lavalle. Castaneda trascorse l ' infanzia a Buenos Aires. Del periodo sco­lastico ricorda con amarezza l'appellativo <<piu largo che lun­go>> con cui veniva chiamato, parole che feriscono molto quan­do si è bambini. <<Guardavo sempre con invidia tutti gli argen­tini alti e belli>>, commenta. <<Voi sapete che a Buenos Aires si deve sempre appartenere a qualche tifoseria>>, continua Castaneda. <<lo tifavo per il Cha­carita. Tifare per il River Plate è cosa piuttosto scontata, giu­sto? Il Chacarita invece è sempre una delle ultime in classifi­ca. >> A quei tempi il Chacarita era immancabilmente il fanali­no di coda. È commovente vederlo identificarsi con chi per­de, con <<chi ha la peggio>>. <<Di sicuro la Gorda verrà con me. Vuole viaggiare. Vuole anda­re a tutti i costi a "Pari ce" . La Gorda si serve adesso nei nego­zi di Gucci, è elegante e vuole andare a Parigi. Le dico sempre: "Gorda, perché vuoi andare a Parigi? , non c'è niente là". Si è fatta una certa idea di Parigi, "la città delle mille luci". >>

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Molte volte, quel pomeriggio, è stata nominata la Corda. Non c'è dubbio che Castaneda nutra verso di lei un rispetto e un'ammirazione notevoli. Eppure, quale è il senso di tutte quelle informazioni particolareggiate che ci ha offerto riguar­do alla sua vita? Io credo che con quei commenti, come pure con quelli sul regime alimentare e sul modo di dormire dei rol­techi, Castaneda abbia cercato di impedire che ci formassimo un'immagine rigida del loro modo d'essere. I l lavoro che li vede impegnati è molto serio, cosi come austera è la loro vita, tut­tavia essi non sono né rigidi né inglobati entro le norme tra­dizionali della società. La cosa importante è affrancarsi dagli schemi, non sostituirli con altri. Castaneda ci fa capire di non aver viaggiato molto in Ameri­ca Latina, eccetto il Messico. «Ultimamente sono stato solo in Venezuela>>, dice. <<Come vi ho già detto, presto devo andare in Argentina. Li si concluderà un ciclo. Dopodiché sarò in gra­do di partire. Beh . . . la verità è che non so ancora se voglio par­tire.» Sorride, mentre pronuncia queste ultime parole. <<Chi non ha delle cose che Io trattengono!» Egli è stato in Europa svariate volte per motivi legati ai suoi libri. <<Nel l 973, tuttavia, don Juan mi mandò in Italia», affer­ma. <<I i mio compito era quello di andare a Roma per ottene­re un'udienza dal Papa. Non pretendevo certo di avere un'u­dienza privata, ma solo di partecipare a una di quelle che ven­gono concesse a gruppi di persone. Cunica cosa che dovevo fare durante il colloquio era baciare la mano al Pontefice Mas­stmo.» Castaneda fece tutto quello che gli aveva detto don Juan. Andò in Italia, arrivò a Roma e chiese l'udienza. Era una di quelle udienze del mercoledf, terminata la quale il Papa celebra la

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messa. «Mi venne, si, concessa un'udienza ma . . . non riuscii ad andarci>>, dice. «Non arrivai neppure alla porta.>> Molte volte, quel pomeriggio, Castaneda ha menzionato la sua famiglia e la sua educazione tipicamente liberale nonché deci­samente anticlericale. Anche in Il secondo anello del potere si accenna al suo retaggio anticlericale. Don Juan, che sembra non giustificare i suoi pregiudizi e i suoi scontri con la Chie­sa cattolica, afferma: «Per sconfiggere la nostra stupidità abbia­mo bisogno di tutto il nostro tempo e di tutta la nostra ener­gia. Questa è l 'unica cosa che conta. Tutto il resto difetta di consistenza. Niente di quello che tuo nonno e tuo padre han­no detto della Chiesa li ha resi felici. La forza, la vitalità e il potere derivano solo dal nostro essere guerrieri impeccabili. Pertanto, la cosa appropriata per te è il sapere come scegliere>> . Castaneda evita di concettualizzare su questi temi. Riguardo alla dicotomia "clericalismo-an ti clericalismo", desidera sem­plicemente offrirei un insegnamento per il tramite della sua esperienza. Ci fa capire, cioè, come sia molto difficile rompe­re gli schemi che si sono formati in giovennl.

Intervista di Gracida Corvalan (Mutantian e Magica! Bland).

Traduzione di Roberto Fedeli .