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Catalogo Francesco Bernardi / Sergia Avveduti / Chiara Pergola, 27-02-2011

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Francesco Bernardi / Sergia Avveduti / Chiara Pergola

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francesco bernardi

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“Quadreria” Francesco Bernardi ...contro la mia volontà sono istruito e così in realtà neppure so quali pensieri sono miei e provengono da me e quali li ho letti, e così in questi trentacinque anni mi sono connesso con me stesso e col mondo intorno a me, perché io quando leggo in realtà non leggo, io infilo una bella frase nel beccuccio e la succhio come una caramella, come se sorseggiassi a lungo un bicchierino di liquore....* I veri protagonisti si astraggono dalla realtà per dialogare con i grandi. I protagonisti sono i libri, con il loro peso, colore e grandezza. Creano percorsi, indicano strade, bloccano tragitti. I libri sono caramelle da succhiare, liquori da bere, mattoni da accatastare. Si consumano, si degradano, sono carta da macero, materia da riciclo. Condensati di vita, oggetti decorativi, cose da lanciare. Francesco Bernardi ha trascorso un pomeriggio nella Biblioteca di Zola Predosa. Ha passeggiato tra le librerie, camminato tra i tavoli. Si è seduto ad osservare i libri, ne ha considerato la classificazione, ne ha annusato l’odore. Flâneur estemporaneo, per un giorno ha vagato in una città infinita, fatta di storie altrui, studi cavillosi, leggerezza commerciale, immagini poliedriche, discipline disparate. Ha vagabondato in una deriva del sapere dove, scienza, biologia, letteratura, storia dell’arte, antropologia, grammatica e filologia diventano carta, pagine, copertine e colori. Ha dialogato con la grandezza indescrivibile dei classici, con l’impalpabilità della poesia, con l’effimera tangibilità della storia: lo ha fatto senza sfogliare nemmeno un libro. Al massimo li ha toccati, forse annusati. Non gli interessava la storia ‘minima’ che ogni libro racchiude, era più attento alla loro forma e al loro peso in quanto oggetti. Attratto da sempre dalla materia-libro, Francesco Bernardi dedica a questi protagonisti “Quadreria”: un progetto nato all’incirca una decina di anni fa a Cesena. Da allora, in più occasioni, ha sviscerato e dato forma a questo suo ‘annusare’ l’atmosfera dentro alle biblioteche, tra i libri.

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In occasione della mostra a Casabianca, l’artista realizza una sua personalissima mappatura del pomeriggio passato a Zola. Percorsi, scoperte, fermate e osservazioni, sono tracciate grazie agli oggetti-libro che Bernardi ha suddiviso in piccole tappe. Un semplice elastico trattiene gli ‘odori’. Tra un blocco e l’altro, il vuoto, la dimenticanza o la semplice scomparsa di paesaggio. L’installazione “Quadreria” è da considerare come la sintesi di un breve racconto di un uomo tra i libri. Una dedica fatta di impressioni. A quest’opera Bernardi affianca un grande ritratto fotografico di alcuni libri: tentativo tutto umano di afferrare quell’attimo sfuggente in cui i veri protagonisti dialogano con i grandi. Elena Bordignon *Bohumil Hrabal, “Una solitudine troppo rumorosa”, Einaudi

Domenica 27 Febbraio 2011, Casabianca, Zola Predosa - Bologna

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sergia avveduti

“..Lo spettatore/voyeur viene catapultato in un luogo apparentemente asettico e indefinito nel quale i due giocatori, un uomo e una donna, simulano le dinamiche di gioco su di una “piattaforma” poggiata a terra. Immediatamente si riconosce nello strano marchingegno il meccanismo di un orologio sovradimensionato per la nuova funzione diretta dall’artista.

Come spesso accade nel lavoro di Sergia Avveduti, l’oggetto di partenza si modifica a volte nell’aspetto e a volte nei contenuti per permettere una nuova stimolazione estetica in grado di accogliere analogie e assonanze con luoghi fisici e culturali paralleli.”

Notre Grande Dame De La Séduction di Fabiola Naldi

“…L'aspetto che emerge con più evidenza nei lavori di Sergia Avveduti è senza dubbio la spiccata razionalità progettuale sottesa alla sua ricerca creativa, esplicata talvolta attraverso contenuti e metodi in apparente contraddizione. Il suo procedere nell'eliminazione di particolari, nell'alterare l'esistente e il "conosciuto", sia esso architettonico o naturale, connotandoli intenzionalmente di significati "altri", avviene mediante sottili, impercettibili e spesso poco ravvisabili scarti dalle regole convenzionali. Il percorso "in togliere", perseguito con sottrazioni e semplificazioni astraenti, con opportune sottolineature di particolari, ingigantiti o riprodotti in scala diversa dall'originale,…”

Silvia Grandi, in On Air: video in onda dall'Italia,

(catalogo della mostra a cura di Andrea Bruciati e Antonella Crippa), Galleria Comunale d’Arte Contemporanea, Monfalcone, 2004, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo, p. 34.

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Il video è in relazione ad alcuni oggetti ambientati in contesti spaziali essenziali.

Il lavoro nasce da una morbosa e spesso complicata relazione con lo spazio del proprio vissuto personale, questo scenario emotivo diviene un luogo fisico di ricerca estesa all’essenza delle cose.

Cerco di raccogliere l’energia di un luogo configurando spazi narrativi dei quali non riesco ad avere pieno controllo.

All’interno di questi perimetri di attenzione si celano movimenti inafferrabili, spazi non ancora compresi, piccole incongruenze, apparizioni come frammenti di uno spettacolo quotidiano minimo.

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chiara pergola

Antonio Grulli: il fulcro del lavoro che porti a casabianca è un servizio di piatti, modellati e decorati a mano, con una storia a fumetti

che prende spunto dall'incrocio di tre vicende: quella di pierre dupont, il signor qualunque di un celebre libro di marc augè, che viaggia

in aereo da parigi a ovunque; la storia dell'altrettanto anonimo protagonista di un romanzo di tom mccarthy, colpito alla testa da un

oggetto indefinito che cade dal cielo; e la vicenda di un trader, jérôme kerviel, che nel 2007 balza dal più totale anonimato agli onori

della cronaca per aver creato un buco di 5 miliardi di euro nella banca per cui lavorava, la société générale, la più importante banca

francese, assieme a bnp paribas.

nei vari input che riempiono il lavoro ci sono molti spunti interessanti, soprattutto per quel che riguarda questa specie di soggetto che

nasce, come in una ricetta, dal mescolare tre personaggi finti/veri. cercherò di rimanere attaccato alla dimensione artistica che poi in fin

dei conti è quella che ci compete. però ovviamente non posso certo non affrontarli anche solo minimamente...

e la cosa che maggiormente mi fa pensare riguarda la vicenda di kerviel, soprattutto rispetto alla dimensione del suo danno. è una cifra

talmente grande che supera quasi la comprensione. ha circa le dimensioni di una piccola finanziaria italiana se non sbaglio. e mi ha

fatto venire in mente che un danno superato una certa soglia inevitabilmente assume delle caratteristiche politiche fino a perdere i

contorni stessi del reato. come quel detto secondo cui (mi sembra che dica una cosa del genere) se uccidi una persona sei un assassino

ma se ne uccidi un milione sei considerato un condottiero (o uno statista, non ricordo). ecco è interessante questa forma di psicologia

sociale per cui scattano alcuni meccanismi. come quello dei complotti, per cui non riusciamo mai a credere che dietro alla morte di

qualcuno di famoso o potente (ad esempio) possa nascondersi il caso, oppure nel caso di avvenimenti drammatici dietro ai quali

inevitabilmente deve stare qualcosa di complesso e supermacchinoso. c'è come un desiderio di complessità, una risposta semplice ci

sembra sempre che manchi in qualche modo di abbastanza senso da poter soddisfare la nostra voglia di trovare una ragione grande e

densa. forse il complotto ci fa sentire importanti. mentre invece una causa semplice ci delude, non ci sembra abbastanza interessante.

forse le due cose sono collegate, anche nel caso del tipo francese inevitabilmente sopra un certa soglia inizia a scattare in noi un

pensiero che ci porta a vedere tutto in un modo diverso, allora kerviel diventa un mito, o la vittima di un complotto.

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per quel che riguarda invece il lavoro in senso stretto mi piace che sia composto di piatti, e che essi siano utilizzabili. ho sempre avuto

un grande passione per artisti che utilizzano oggetti della vita quotidiana, come franz west con le sue sedie, le lampade di jorge pardo o

pae white. sono belle. mi sembra sempre che dentro a quel lavoro ci sia maggiore vita e che i confini dell'arte e della vita, come direbbe

kaprow, si sfumino ancora di più. mi piace anche rispetto al fatto che questa crisi, oltre a essere ben esemplificata da metafore di

alimentazione, sia strettamente legata ai beni alimentari, sia nelle cause come il prezzo delle materie prime aumentato vertiginosamente

per l'aumento della richiesta, sia nelle forme di lotta come tutta la controcultura slow food, del kilometro zero, ecc. che fanno ben

sperare ma che al tempo stesso mi inquietano per gli immediati ricordi di autarchia economica e alimentare di fascista memoria, e per

tutta la dimensione conservatrice che esiste nella cultura local.

ma forse mi sto allontanando troppo...meglio restare sul lavoro. mi piace molto anche questa dimensione del piatto come superficie su

cui stampare o dipingere. forse potrebbe essere un nuovo medium, le tela, il video, il libro, il piatto....a casa di mia mamma ci sono un

sacco di piatti dipinti e appesi alle pareti. e sono tra le cose che amo di più di quella casa. sono come delle strane sculture che diventano

dipinti. e nessuno si sognerebbe di mangiarci. è bella questa cosa di una forma che perde la funzione e diventa solo medium. mi sembra

che ci sia molta purezza.

Chiara Pergola: c'è qualcosa di viscerale nel modo in cui si insinua in Kerviel il desiderio di soddisfare le richieste aziendali, che porta ad

una specie di delirio performativo (la performance di un'azienda...) e alla voragine economica che ne risulta. Si mette in evidenza in

questa storia un rapporto diretto tra questa voragine, e il grande appetito dei sistemi finanziari contemporanei, che è esattamente il

motivo che mi ha spinto a trasferire quello che in origine era un fotoromanzo, ricavato dai ritagli di giornale, su un servizio di piatti in cui si

possa effettivamente mangiare, in cui si possa servire un pasto concepito per colmare incolmabili buchi allo stomaco.

A Casabianca il pranzo della domenica è un rituale consolidato, che si paga, come è giusto, dato che innegabile e necessario è il nostro

legame tra cibo e denaro; la "caccia" contemporanea, come si vede bene in Concerning Hunting di Mark Dion. Per questo credo sia

giusto usare i piatti, che durante la mostra - nella fase contemplativa di questo processo - sono impilati in modo da poter vedere solo

alcuni frammenti narrativi; usarli per mangiarci dentro, ognuno di noi dentro al suo pezzo di storia, in modo che per conoscerla tutta si

dovrebbe andare a guardare nel piatto altrui, ficcare il naso o come direbbe un francese ”entrare con i piedi nel piatto”.

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Ma leggendo i tuoi raccordi e divagazioni, questo allontanarsi e riavvicinarsi all'idea di opera, a quello che non lo è, all'anonimato e alle

"cause semplici" che sono anche loro misteriose in un modo sottile, e poi alla nostra apparente propensione per l'idea di complotto, fino

alla tua domanda se sia meglio in questo testo restare vicino al discorso artistico oppure allontanarci e allargare il campo ad altro, mi

viene da pensare che sia proprio questo andamento a fisarmonica il punto centrale.

Quello che credo stia capitando, in un tempo che se ci pensi è brevissimo - anche se forse non lo percepiamo come tale - è che la

presenza di una rete di comunicazione globale ha radicalmente messo in questione la percezione dello spazio, del tempo e della nostra

individualità, per cui non ci è più possibile veramente distinguere un tempo storico e un tempo quotidiano, lo spazio non è più legato ad

una scala di distanze e noi stessi non siamo più soltanto individui, ma soprattutto una massa di singoli che possono percepire il proprio

movimento collettivo; se vuoi è un Nuovo Organo che sta nascendo e di cui prendiamo coscienza, un organo di cui siamo i recettori;

questo fenomeno viene analizzato proprio nel saggio di Augè che si apre su Pierre Dupont all'areoporto di Roissy; e allora perchè non

prendere lo stesso Dupont che si trova sull'aereo (o meglio: che si trova a far parte dell'aereo), farlo precipitare a rotta di collo sulla testa

del protagonista del romanzo di McCarthy, e poi fondere tutte queste identità fittizie con quella di Kerviel. Un po' come i piatti stessi, che

sono di ceramica, cotti in modo da fondere tutto assieme e quello che era stato pensato come separato e distinto al momento del

disegno in cottura si ibrida, dà origine ad una forma nuova, che come nelle anamorfosi siamo sul punto di cogliere, di decifrare, ma che

ancora ci appare come "macchia". Negli Ambasciatori di Holbein la macchia è un teschio; ma la nostra sfida qui, credo sia di decifrarla

come Vita.

E allora, tra tutte questi spunti, anche io sento il bisogno di isolare una strana preminenza degli oggetti quotidiani nel momento in

cui campeggiano isolati dalla propria funzione; è vero, c’è purezza; le scarpe di Van Gogh hanno segnato il passo dell’arte occidentale1.

Ma cosa succede quando questa astrazione, questo passaggio ad Altro riguarda la vita di qualcuno, come nel caso di Kerviel o di

chiunque di noi?

1 Segnare il passo in gergo militare è l'ordine al seguito del quale un plotone in marcia si ferma continuando a marciare sul posto in attesa dell'alt o della ripresa della marcia.

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Zola Predosa, 27 febbraio 2011