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 Il crollo dell’Union e Sovietica. Fattori di crisi e interpretazioni di Alexander Höbel A più di dieci anni dal crollo dell’Unione Sovietica, i tempi per una analisi storica esaustiva di questo evento di enorme portata storica – che ha sconvolto, in peggio, il quadro mondiale – probabilmente non sono ancora maturi. Esistono, tuttavia, molti documentati studi successivi al crollo, oltre all’immensa bibliografia precedente. In questa relazione, si cercherà di fornire una “griglia interpretativa”, incrociando l’esame di vari fattor i di crisi con quella di alcune tra le analisi più interessanti. Due elementi si possono dare per acquisiti. Il primo è il fatto che il crollo dell’URSS è un evento storicamente determinato, per cui le letture ideologiche circolate in questi anni – “crollo del comunismo”, “fine dell’idea comunista”, ecc. – sono fuorvianti e strumentali. Il secondo è proprio la complessità del problema, che rende inadeguata ogni interpretazione unilaterale, che isoli solo un aspetto del problema e lo assolutizzi, considerandolo la “causa vera” del crollo. Al contrario, una lettura che voglia tentare di comprendere questo che è un processo e non solo un evento, deve tener conto di una molteplicità di aspetti, cause, fattori di crisi. Vi sono infatt i fatt or i endogeni , tutti interni all’esperienza storica sovietica, e fatt ori esogeni , indotti in vario modo dall’esterno; fat tori di “lunga durata” , risalenti a pr ocessi storici di ampi o respir o, anche pr ecedenti la nascita dell’URSS o relativi alla fase storica nel suo complesso, fattori “strutturali” , che hanno caratterizzato la vicenda sovietica in modo più o meno persistente, e infine fatt or i “contingenti” , come gli eventi degli ultimi anni e mesi di vita dell’URSS. a) Fattori storici di “lunga durata” 1. L’i mmaturit à delle con dizioni di par ten za; il problema storico dell’arretratezza Il primo dei problemi stor ici di lunga dur at a che l’esperienza sovietica ha scontato è quello dell’immaturità delle condizioni oggettive, riguardo cioè alla possibilità di realizzare un esperimento socialista vincente nella “fase storica della borgh esia”, e di farlo nella Russia arretrata e con mezzi di produzio ne rig idi, arretrati, par celliz zan ti e dif fic ilmente “pi ega bili” ad un pr ocesso di liberazione del lavoro. È noto che per Marx il socialismo si fonda sul massimo sviluppo delle forze pr oduttive cap italistiche. Di qu i la polemica dei menscevichi contro l’idea di portare “fino in fondo” la rivoluzione nella Russia del 1917. Replicando a Suchanov, nel 1923 Lenin afferma: Per creare il socialismo, voi dite, occorre la civiltà. Benissimo. Perché dunque da noi non avremmo potu to crea re innanzitu tto que lle  premesse della civiltà che sono la cacciata dei grandi proprietari fondiari e la cacciata dei capitalisti russi  per poi cominciare la marcia verso il socialismo? 1 . 1  V.I. L enin, Sulla nostr a riv olu zio ne. A pro posito delle note di N. Sukha nov , in Id., Sulla rivoluzione socialista, Edizioni Progress 1979, p. 588 (corsivi miei).

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Il crollo dell’Unione Sovietica. Fattori di crisi einterpretazioni

di Alexander Höbel 

A più di dieci anni dal crollo dell’Unione Sovietica, i tempi per una analisistorica esaustiva di questo evento di enorme portata storica – che hasconvolto, in peggio, il quadro mondiale – probabilmente non sono ancoramaturi. Esistono, tuttavia, molti documentati studi successivi al crollo, oltreall’immensa bibliografia precedente. In questa relazione, si cercherà di fornireuna “griglia interpretativa”, incrociando l’esame di vari fattori di crisi con quelladi alcune tra le analisi più interessanti. Due elementi si possono dare peracquisiti. Il primo è il fatto che il crollo dell’URSS è un evento storicamentedeterminato, per cui le letture ideologiche circolate in questi anni – “crollo delcomunismo”, “fine dell’idea comunista”, ecc. – sono fuorvianti e strumentali. Il

secondo è proprio la complessità del problema, che rende inadeguata ogniinterpretazione unilaterale, che isoli solo un aspetto del problema e loassolutizzi, considerandolo la “causa vera” del crollo. Al contrario, una letturache voglia tentare di comprendere questo che è un processo e non solo unevento, deve tener conto di una molteplicità di aspetti, cause, fattori di crisi. Visono infatti fattori endogeni, tutti interni all’esperienza storica sovietica, efattori esogeni, indotti in vario modo dall’esterno; fattori di “lunga durata” ,risalenti a processi storici di ampio respiro, anche precedenti la nascitadell’URSS o relativi alla fase storica nel suo complesso, fattori “strutturali” , chehanno caratterizzato la vicenda sovietica in modo più o meno persistente, einfine fattori “contingenti” , come gli eventi degli ultimi anni e mesi di vitadell’URSS.

a) Fattori storici di “lunga durata”

1. L’immaturità delle condizioni di partenza; il problema storicodell’arretratezza

Il primo dei problemi storici di lunga durata che l’esperienza sovietica hascontato è quello dell’immaturità delle condizioni oggettive, riguardo cioè allapossibilità di realizzare un esperimento socialista vincente nella “fase storicadella borghesia”, e di farlo nella Russia arretrata e con mezzi di produzione

rigidi, arretrati, parcellizzanti e difficilmente “piegabili” ad un processo diliberazione del lavoro. È noto che per Marx il socialismo si fonda sul massimosviluppo delle forze produttive capitalistiche. Di qui la polemica deimenscevichi contro l’idea di portare “fino in fondo” la rivoluzione nella Russiadel 1917. Replicando a Suchanov, nel 1923 Lenin afferma:

Per creare il socialismo, voi dite, occorre la civiltà. Benissimo. Perché dunque da noi nonavremmo potuto creare innanzitutto quelle  premesse della civiltà che sono la cacciata deigrandi proprietari fondiari e la cacciata dei capitalisti russi  per poi cominciare la marcia verso ilsocialismo?1.

1 V.I. Lenin, Sulla nostra rivoluzione. A proposito delle note di N. Sukhanov , in Id., Sullarivoluzione socialista, Edizioni Progress 1979, p. 588 (corsivi miei).

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In sostanza, dunque, il primo compito che Lenin assegna al potere sovieticoè quello di avviare la modernizzazione del Paese, ben sapendo che dalsocialismo la Russia è separata da un abisso ma pure che occorre “gettare unponte” su questo abisso, ponendo le basi dello sviluppo economico, culturale epolitico, a partire dalla creazione di un nuovo “apparato statale” e di partito

che possa dirigere questa immensa trasformazione2. Il che fu quanto poi sicercò di fare, pur con le distorsioni e i limiti noti, nei decenni seguenti. Tuttavia,l’arretratezza – non in termini assoluti, ma relativi al confronto coi paesi piùavanzati – è rimasta nonostante tutti i progressi una tara che ha pesato sututta la storia dell’URSS, sia come handicap di partenza, sia appunto comefattore da superarsi a tappe forzate (che racchiudevano l’equivalente di secolidello sviluppo dei paesi occidentali) per costruire e difendere il socialismo. Inquesto senso, A.G. Frank parla di una “rincorsa per raggiungere i paesi piùavanzati”, aggiungendo che “le cause dell’arretratezza dell’Est” vanno cercate“nelle differenze accumulatesi storicamente”3.

Anche altri studiosi marxisti si sono soffermati sull’immaturità dellecondizioni di partenza. Per Holz, l’URSS nei suoi primi anni “mancava diun’adeguata base economica; di una classe operaia fortemente sviluppata [...];di masse maturatesi nella lotta per strutture statali democratiche e chefossero, poi, capaci di servirsene [...]; di un movimento culturale incisivo [...]come era stato l’Illuminismo in Occidente”.  In queste condizioni il Partito siaddossò “quei compiti, sia amministrativi che educativi, che in condizioni‘organiche’ di transizione [...] avrebbe invece assolto una classe operaia”matura: ne derivò “un apparato burocratico di partito – non come‘deformazione’, ma come forma determinata che l’organizzazione dei rapportisocialisti di produzione doveva assumere”, data “l’immaturità economica e

sociale del paese”. Nel secondo dopoguerra, “lo sviluppo fu orientato ancorauna volta alla crescita della produttività sociale”, cosicché “la prioritàeconomica fu riconosciuta agli investimenti nell’industria pesante; e ilbenessere individuale [...] dovette arrestarsi molto al di sotto dei livelli di unamoderna industrializzazione complessiva”. Tuttavia, pensare “che la caduta delsocialismo fosse già contenuta nelle contraddizioni che ne caratterizzaronol’inizio”, significherebbe trascurare il ruolo dell’elemento soggettivo nelladialettica storica4.

Dunque l’esperienza sovietica è stata segnata sia da una arretratezzarelativa (rispetto ai paesi occidentali), sia da un modello di sviluppo estensivo(ossia basato sull’uso di grandi quantità di materie prime e forza lavoro, più

che sul loro sviluppo qualitativo). All’inizio degli anni ’80, l’URSS costituiva unasocietà industriale di tipo “fordista”, in cui gli operai erano il 61.5% dellapopolazione attiva, con 12.5% di contadini colcosiani e il rimanente 26% diimpiegati, funzionari e intellettuali. Si presentava il problema di ‘una strutturasocioprofessionale adeguata ai bisogni di un sistema scientifico-industriale [...]costretta entro un sistema produttivo ancora impantanato in un’età tecnica e

2 Getzler, Ottobre 1917: il dibattito marxista sulla rivoluzione in Russia , in Storia del marxismo,Einaudi 1978-82, vol. 3*, pp. 46-47.3 Nel XVI secolo “l’Europa occidentale esportava già manufatti, mentre quella orientaleesportava prodotti agricoli e materie prime”; a ciò va aggiunto l’oro americano che l’Europaoccidentale usò “per pagare le proprie importazioni dall’Est e per colonizzarloeconomicamente” (A.G. Frank, Il socialismo reale: cosa non ha funzionato, “Alternative”, 1995,n. 2, pp. 15-16).4 H.H. Holz, Sconfitta e futuro del socialismo, Vangelista 1994, pp. 116-118, 128.

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tecnologica antiquata’5. Al contrario, per i sostenitori della  perestrojka, lacontraddizione stava nell’inadeguatezza dei “rapporti di produzione” rispetto a“forze produttive” molto più sviluppate e complesse che negli anni ’30 6. Ancheper Hobsbawm, i meccanismi economici e politici stabilizzatisi nel periodostaliniano – alto grado di centralizzazione, sviluppo prioritario dell’industria

pesante, compressione dei consumi ecc. – erano serviti a trasformare un paesearretrato in un paese industriale, ma erano inadeguati rispetto alla società piùavanzata che essi stessi avevano contribuito a creare7. Insomma, il problemastava nell’incapacità di passare da un modello di sviluppo estensivo ad unointensivo, in cui – andando peraltro esaurendosi i surplus di forza lavoro ematerie prime – avessero maggiore peso l’elemento qualitativo, gliinvestimenti ad alta intensità di capitale, la tecnologia avanzata8. Negli anni’80, quando l’Occidente realizzava la “rivoluzione informatica”, questo mancatoadeguamento sarà fatale.

2. La dialettica isolamento/integrazione rispetto al “sistema-mondo” capitalistico

La vicenda sovietica, naturalmente, non si è svolta “in laboratorio” o in uncontesto separato dalla storia e dal mercato mondiale. Rispetto a quest’ultimo,si verifica un processo di rottura e di progressivo “riassorbimento”. Il rapportotra URSS e “sistema-mondo” capitalistico – caratterizzato da un permanente“accerchiamento” e dalla dialettica isolamento/integrazione – si è sviluppato sutre direttrici: a) accerchiamento e isolamento sovietico; b)confronto/competizione con l’Occidente; c) graduale integrazione nel “sistema-mondo”.

a) Inizialmente, l’accerchiamento capitalistico si esprime come isolamento

dell’URSS e in una politica di aggressione nei suoi confronti. È noto l’interventodi truppe tedesche, britanniche, francesi, americane, ceche, giapponesi ecc. inappoggio alle “armate bianche” controrivoluzionarie nella guerra civilesuccessiva all’Ottobre. Intanto “il governo bolscevico fu postoprogressivamente nel più completo isolamento” e “un totale blocco economicosi strinse attorno al paese”. Nei primi anni ’20, la Russia sovietica riuscì adaprirsi qualche spiraglio nel “cordone sanitario” che la circondava, ma presto siritrovò ancora isolata e accerchiata9. Ne seguì la decisione di avviare unamassiccia industrializzazione, al fine di garantirsi una piena autonomiaeconomica. Negli anni ’30, all’isolamento economico (e tecnologico) siaggiunge il nazi-fascismo e dunque un pericolo di guerra potenzialmente

mortale. Quindi, l’aggressione tedesca e la seconda guerra mondiale, e poiquasi mezzo secolo di “guerra fredda”. Sul piano economico, fino agli anni ’70l’URSS “costituì un universo separato e largamente autonomo [...]. Le suerelazioni con il resto dell’economia mondiale [...] furono sorprendentemente

5  M. Lewin, La Russia in una nuova era, Boringhieri 1988, pp. 39-40, 48-49, 56, 127 (corsivimiei).6 A. Catone, La parabola di un’idea: 1985-1990, in AA.VV., Crollo del comunismo sovietico eripresa dell’utopia, Dedalo 1994, p. 156.7 E.J. Hobsbawm, Il secolo breve, Rizzoli 1995, p. 577.8 Cfr. Class Societies: the Soviet Union and the United States. Two Interviews with P. Sweezy ,“Monthly Review”, 1991-92, n. 7.9 Carr, La rivoluzione russa. Da Lenin a Stalin (1917-1929) , Einaudi 1980, pp. 15-16, 19-20 esegg.; G. Boffa, Storia dell’Unione Sovietica, l’Unità 1990, vol. 1, pp. 132-135, 225-230, 242-243.

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scarse”10. In particolare nella tecnologia avanzata, le importazioni scontavanole “severe limitazioni” imposte dall’Occidente, fino all’embargo di Carter11.Anche a livello politico, col riavvicinamento cino-americano in funzioneantisovietica, l’URSS scontò un pericoloso isolamento che si aggiunse allacrescente difficoltà nel movimento comunista mondiale.

b) Il confronto/competizione con l’Occidente ha caratterizzato in particolarela fase della “coesistenza pacifica”. L’URSS “partiva da una posizione direlativa inferiorità economica”; divenuta più aperta, la società sovietica eravenuta a conoscenza dei livelli di benessere dei paesi a capitalismo avanzato,vivendo un senso di deprivazione relativa dagli effetti destabilizzanti12. In taleottica, “il problema dell’economia sovietica non è l’economia sovietica, maquella degli altri paesi”, e in particolare di quelli più avanzati 13. Arrighi parla di“legge ferrea” della gerarchia globale, ossia di “incapacità strutturale delleregioni di bassa e media ricchezza di ‘scalare’ la gerarchia della ricchezza”mondiale14. Inoltre, con la coesistenza pacifica, l’URSS iniziava ad aprirsi almercato mondiale e a concepire la competizione con l’Occidente in termini ditassi di sviluppo e livello di consumi. Smarriva così il senso di un progettoalternativo al capitalismo, ponendosi sul terreno di quest’ultimo e dunquevotandosi alla sconfitta15. Torniamo così al problema della competizione “tracontendenti diseguali” nel mercato mondiale, all’intreccio tra problema storicodell’arretratezza e confronto col mondo capitalistico: per Hobsbawm, “ful’interazione dell’economia di tipo sovietico con l’economia mondiale capitalista[...] che rese vulnerabile il socialismo. [...] Ciò che sconfisse e alla fine distrussel’URSS non fu lo scontro ma la distensione”.

c) La questione cruciale è dunque il processo di integrazione nell’economiamondiale cui l’Unione Sovietica è stata/si è sottoposta negli ultimi decenni.

Negli anni ’70-’80 fu chiaro che “l’universo economico separato del ‘camposocialista’ stava integrandosi nella più vasta economia mondiale. [...] Questaintegrazione fu l’inizio della fine [...]”16. Infatti l’URSS si inseriva in un mercatoche, lungi dall’essere “neutro”, era il mercato mondiale capitalistico, con leggidi funzionamento sue proprie, il che determinava vari scompensi per l’economia sovietica17. Inoltre si confermava la teoria dello scambio ineguale,per cui “quando economie a diversi livelli di evoluzione commerciano tra loro, ilsurplus si trasferisce dall’economia meno sviluppata a quella più sviluppata” 18.Gli scambi sovietico-occidentali seguivano la tipica dinamica di sviluppo delsottosviluppo: l’URSS importava tecnologie, capitali e beni di consumo, incambio di materie prime, costruendo la propria dipendenza dal mondo

capitalistico. Il crollo del prezzo del petrolio costrinse l’URSS all’indebitamento

10 Hobsbawm, Il secolo breve, cit., p. 438.11 G. Boffa, Dall’URSS alla Russia. Storia di una crisi non finita (1964-1994) , Laterza 1995, pp.79, 164.12 Janos, Social Science, Communism, and the Dynamics of political Change, “World Politics”,oct. 1991; V. Zaslavsky, Storia del sistema sovietico, NIS 1995, p. 193; R. di Leo, Vecchi quadrie nuovi politici. Chi comanda davvero nell’ex URSS?, Il Mulino 1992, pp. 19-20.13 È un giudizio di J. Berliner, citato in Zaslavsky, Storia del sistema sovietico, cit., p. 204.14 G. Arrighi, World Income Inequalities and the Future of Socialism, “New Left Review”, 1991, n.189.15 Holz, Sconfitta e futuro del socialismo, cit., pp. 119-120.16 Hobsbawm, op. cit., p. 439 (corsivo mio).17 Cfr. S. Malle, Sistemi economici comparati, Giappichelli 1989, pp. 200-206.18 Janos, Social Science, Communism, and the Dynamics of political Change, cit. Cfr. A.Emmanuel, Lo scambio ineguale, Einaudi 1972.

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con l’estero per pagare le importazioni19. La crisi dell’URSS, dunque, è legataalla sua posizione precaria nell’economia mondiale, ma anche alla crisi diquest’ultima, che ha comportato una più aspra competizione. Per A.G. Frank, i“crolli” dei paesi socialisti sono la

conseguenza della partecipazione di questi paesi a un sistema economico mondiale unico ealla sua attuale crisi [...]. La crisi economica mondiale ha dettato il necrologio delle economie‘socialiste’ molto più di quanto non l’abbia[...] fatto la loro ‘pianificazione socialista’  [...].Similmente alle economie da ‘Terzo mondo’ dell’America latina e dell’Africa, le economie da‘Secondo mondo’ dell’Unione Sovietica e dell’Europa orientale non sono state capaci di tenereil passo accelerato della competizione conseguente a questo periodo di crisi dell’economiamondiale20.

Negli ultimi anni, ci fu dunque un riassorbimento dell’URSS nel “sistema-mondo” capitalistico, una reintegrazione neocoloniale, preparata dal“riassorbimento” dell’Est europeo, in corso da tempo21. Anche l’indebitamentodei paesi est-europei con l’Occidente fu il prezzo del loro tentativo di “ridurre le

distanze” importando beni di consumo e tecnologie, ciò a cui seguìl’imposizione di dure politiche di rimborso del debito, che hanno esacerbato lacrisi interna, poi sfociata nelle “rivoluzioni” del 1989. Dunque,paradossalmente, il “socialismo reale” è stato sconfitto “anche per laapplicazione [...] dei modelli di crescita guidati dalle importazioni/esportazioni eper le politiche di austerità ispirate al modello FMI”22. I paesi est-europei furonousati come “anelli deboli per spezzare l’intero sistema [...] del COMECON” e“scardinare” l’URSS. Vi fu cioè una “invasione accelerata dell’economiasocialista da parte della ben più dinamica, progredita e dominante economiacapitalistica mondiale”23.

b) Elementi e limiti di fondo dell’esperienza sovietica “in quanto tale”

3. Inefficienze e difetti dell’economia sovieticaLa crisi e il crollo dell’URSS sono stati in buona misura la crisi e il crollo

dell’economia sovietica. I successi di quest’ultima erano stati notevoli: anchedopo il “grande balzo” dell’industrializzazione staliniana (che portò l’URSS adiventare già nel 1937 la seconda potenza del mondo per produzioneindustriale)24, i progressi sono stati costanti, almeno fino agli anni ’6025.L’economia sovietica era caratterizzata dal   predominio dell’industriasull’agricoltura, e dal   predominio dell’industria pesante, produttrice di

19 Cfr. Boffa, Dall’URSS alla Russia…, cit., pp. 78, 140; A. Peregalli, La parabola dellaPerestrojka, in P. Giussani, A. Peregalli, Il declino dell’URSS. Saggi sul collasso economicosovietico, Graphos 1991, p. 61.20 Frank, Il socialismo reale: cosa non ha funzionato, cit., pp. 20-21 (corsivi miei). Cfr.Hobsbawm, op. cit., pp. 490, 550.21 Nella creazione di  joint-ventures con capitali occidentali, cominciò la Jugoslavia (1968),seguita da Romania, Ungheria, Polonia e infine URSS (1987); ma pure qui la penetrazionecapitalistica durava da anni: nel ’75 a Mosca c’erano 17 rappresentanze finanziarie occidentalie varie società finanziarie “miste” (A. Aganbegjan, Il futuro dell’economia sovietica, Rizzoli1989, p. 230; Peregalli, La parabola della Perestrojka, cit., pp. 65-66).22 Cfr. Frank, art. cit., pp. 17, 21-24.23 A. Catone, La transizione bloccata. Il “modo di produzione sovietico” e la dissoluzionedell’URSS, Laboratorio politico 1998, p. 212; Hobsbawm, op. cit., p. 296 (corsivo mio).24 Boffa, Storia dell’Unione Sovietica, cit., vol. 1, p. 209.25 Cfr. M. Dobb, Storia dell’economia sovietica, Editori Riuniti 1976; A. Nove, Storia economicadell’Unione Sovietica, Utet 1970.

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macchine, su quella leggera, produttrice di beni di consumo. Questa“sproporzione” finì per costituire uno dei suoi maggiori problemi26.

L’attenzione degli studiosi peraltro si è focalizzata sul funzionamento internodel sistema pianificato, nel quale – a partire dagli anni ’60 – emergono sempredi più frammentazione e forze centrifughe, interessi settoriali e aziendali:

insomma il “dipartimentalismo”  e i  “localismi” . Di fatto, esistevano“conflittualità tra organi e incompatibilità tra obiettivi e strumenti di piano”: i“ministeri della produzione”, intermediari tra i settori produttivi e l’organo dipianificazione (Gosplan), agivano come “gruppi di interesse”, inducendo ilGosplan ad “apportare correzioni, cioè tagli alle forniture richieste”; questeinfatti erano sempre in eccesso rispetto alle esigenze di imprese e settoriproduttivi, che le gonfiavano in modo da premunirsi da “irregolarità delleconsegne, strozzature e tagli delle forniture”. Dunque le informazioni dal bassoverso l’alto, essenziali per una corretta pianificazione, erano falsate, oltre che“imprecise, saltuarie e insufficienti”; gli organismi pianificatori, checonoscevano queste tendenze, a loro volta imponevano piani di produzioneeccessivi rispetto a risorse e capacità produttive denunciate; e questo inducevai ministeri a sviluppare una rete di forniture parallela, al di fuori del piano espesso della legge, basata su scambi, favori, corruzione, ecc.27. In sostanza, i“gruppi di interesse” agivano “contro gli interessi dello stesso piano generale”.Il discorso era analogo passando dai ministeri alle singole imprese:informazioni falsate per avere piani di produzione meno impegnativi, riservenascoste, forniture extra-piano, costi gonfiati, ecc. Peraltro, “ogni realtàterritoriale di una certa rilevanza” esprimeva “inevitabili spinte localistiche”. Nederivava la “dispersione” e “l’indebolimento dei poteri di direzione”; “veniva adindebolirsi fortemente lo stesso principio di responsabilità riguardo all’utilizzo

economicamente e socialmente valido delle risorse”, e si moltiplicava la“appropriazione particolaristica delle risorse ‘pubbliche’”28. Come osservaBoffa, “quella che doveva essere l’economia più pianificata e controllata [...]per una parte considerevole e, comunque, crescente, sfuggiva a qualsiasicontrollo [...]”29.

A tutto ciò si aggiungevano difetti legati alla produzione e alla produttività: ilprivilegiare la quantità (per realizzare gli obiettivi del piano) a danno dellaqualità dei prodotti, una manodopera in eccesso e sottoutilizzata (sintomo diuna “disoccupazione occulta”), infine una resistenza all’innovazionetecnologica (per non vedere aumentati gli obiettivi del piano)30. E sullo sfondo,il “compromesso corporativo regressivo tra direzione di fabbrica e

maestranze”, e quindi la scarsa produttività del lavoro. Si tratta di quel“contratto sociale brezneviano” o “compromesso sovietico”, che consisteva inun tacito accordo tra operai da un lato, e direttori d’impresa e ceto politicodall’altro, per cui a scarsi incentivi materiali corrispondeva una produttività dellavoro scarsa31. Peraltro, “gli incentivi materiali non sono stati accettati

26 E. Mandel, La natura sociale dell’economia sovietica, “Alternative”, 1996, n. 5-6, pp. 39-41.27 Malle, Sistemi economici comparati, cit., pp. 136-139.28 M. Ruzzene, Governo e pianificazione della produzione sociale, “Alternative”, 1996, n. 5-6, pp.105-111.29 Boffa, Dall’URSS alla Russia, cit., p. 86.30 Ch. Bettelheim, La specificità del capitalismo in URSS, “Alternative”, 1996 n. 5-6, in Ch.Bettelheim, P.M. Sweezy, Il socialismo irrealizzato, Editori Riuniti 1992, p. 108; Malle, op. cit.,pp. 146-149.31 Cfr. L.J. Cook, The Soviet Social Contract and Why It Failed. Welfare Policy and Workers’ Politics from Brezhnev to Yeltsin, Harvard University Press 1993; AA.VV., Il compromesso

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volentieri quando mettevano in questione [...] il modo di lavorare abituale”, cheimplicava “totale sicurezza dell’impiego”, “bassi ritmi di lavoro” ecc.32: aspettiin parte tendenzialmente socialisti, o  prematuramente socialisti, rispetto allanecessità di sostenere la competizione col supercompetitivo e capitalisticoOccidente.

Notevoli erano anche le rigidità e i limiti tecnici della pianificazione, dalladifficoltà di una efficiente allocazione delle risorse all’inadeguatezza tecnica del“metodo dei bilanci materiali” utilizzato dai ministeri per calcolare le relazioniinputs-outputs, dai limiti di calcolo dei costi di produzione fino al  problema delraggiungimento di un equilibrio tra domanda e offerta dei beni di consumo, etra quest’ultima, i prezzi ed i salari. Inoltre, permanendo condizioni di scarsità edifficoltà nella distribuzione, e mancando meccanismi di adeguamentoautomatico tra domanda e offerta, si verificava spesso uno squilibrio tra massasalariale e offerta di beni di consumo, da cui i fenomeni delle file o degli scaffalivuoti, sintomi di una “inflazione repressa” che sarebbe divenuta “aperta epericolosa se meccanismi di libero mercato venissero attivati”; come nei fatti èstato. Il problema, in definitiva, legato alla definizione “arbitraria” dei prezzi,consisteva in uno squilibrio tra beni prodotti,  prezzi e salari33. Infine, tra i“problemi microeconomici”, c’era la mancanza di rigidi vincoli di bilancio per leimprese che, non temendo di fallire in quanto sostenute dallo Stato, nonpuntavano eccessivamente sulla redditività dei propri investimenti; dal cheseguiva sia la resistenza all’innovazione tecnologica, sia lo spreco di risorse ebeni34. Tutto ciò condusse ad una crisi di redditività degli investimenti delloStato, che sarà fatale: il sistema cioè evitava crisi cicliche e fallimenti aziendali,ma “al costo di giungere assai più rapidamente e coerentemente alla propriafine”. In questo senso, come scrive Catone, “l’economia sovietica del periodo

brezhneviano ha rimosso una razionalità capitalistica senza [...] aver costruitouna nuova razionalità socialista”35.

4. Il fallimento dei tentativi di riformaI problemi economici che abbiamo visto sono stati più volte oggetto di

tentativi di riforma. I principali tentativi risalgono a Krusciov e alle riforme diKosygin degli anni ’60. Le riforme kruscioviane riguardarono l’organizzazionedell’economia: in un quadro di decentramento, furono istituiti i sovnarchozy (centri di pianificazione regionali) e vari ministeri furono aboliti; si intendevacosì superare un modello organizzativo verticale, attraverso organi dicoordinamento che stimolassero anche le relazioni fra le imprese. Ne derivò

però il rafforzarsi delle “tendenze campanilistiche”: il risultato fu quello di“sostituire lo ‘spirito di parrocchia’ dell’amministrazione locale alla ‘lieve tutela’dei ministeri, e l’esperimento fu abbandonato ovunque”36. Secondo A. Nove,

sovietico, Feltrinelli 1977.32 W. Brus, citato in A. Natoli, Le radici di un’alienazione totale, “il bimestrale”, suppl. a “ilmanifesto”, 29 marzo 1989, p. 59.33 Malle, op. cit., pp. 166-167, 172-178, 186; R. di Leo, Il modello di Stalin. Il rapporto politica-economia nel socialismo realizzato, Feltrinelli 1977, p. 63.34 Malle, op. cit., pp. 193-195; Aganbegjan, Il futuro dell’economia sovietica, cit., pp. 36-38, 49-50.35 Giussani, La crisi dell’economia sovietica e le sue prospettive, in Giussani-Peregalli, Il declinodell’URSS…, cit., pp. 26-27; Catone, La transizione bloccata…, cit., p. 231.36 N. Ruzavaeva, La politica economica dagli anni Sessanta alla prima metà degli anni Ottanta:contraddizioni e difficoltà dello sviluppo, in AA.VV., Problemi di storia russa e sovietica, EdizioniProgress 1991, pp. 204-205; M. Lavigne, The Economics of Transition. From Socialist Economy 

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l’istituzione dei sovnarchozy produsse il moltiplicarsi di enti da cui dipendevanole forniture di materie prime e semilavorati per l’industria, il che complicava larealizzazione del piano: non c’era più un solo organo responsabile, cosicchéalla fine non era responsabile alcuno; nelle repubbliche più grandi, vigeva una“pianificazione a doppio binario”37.

Il secondo importante tentativo riformistico fu la “riforma dell’impresa” diKosygin (1965), i cui obiettivi erano il “miglioramento della pianificazione” e il“rafforzamento dello stimolo economico della produzione”: a tali fini, occorrevaridurre il numero degli “indici imperativi” pianificati centralmente, introdurrealtri indici di produttività oltre a quelli quantitativi, lasciare parte degli utiliall’impresa. Secondo R. di Leo, anche questa riforma ebbe un “esitofallimentare”: ponendo la questione di un “rapporto orizzontale tra le aziende”,ebbe “effetti di rimbalzo sul resto dell’ingranaggio [...] tali che il partito-statotornò al centralismo verticale [...]”. D’altra parte, la riforma lasciava immutatoil resto del sistema, e in particolare il meccanismo di formazione dei prezzi e lapianificazione elaborata “in grandezze fisiche” piuttosto che in terminifinanziari. Anche per Catone, la riforma “aggrava i problemi dell’economiasovietica. Le imprese acquisiscono un potere monopolistico che prima nonavevano, ma non migliorano la qualità della produzione”. Per Ellman eKontorovich, le riforme del 1965 “danneggiarono l’organicità del sistema dicomando, affrettandone la fine”38. In questo senso, il “riformismo comunista”sarebbe fallito non tanto perché “bloccato” ma  proprio in quanto avrebbeeffettivamente realizzato alcune innovazioni, rivelatesi però incompatibili colfunzionamento del sistema.

5. La “doppia economia”

Veniamo ora al problema della “doppia economia”, ossia alla convivenzadell’economia ufficiale con l’“economia ombra” o “seconda economia”39.Questa, essenzialmente un circuito mercantile a fronte di un’economiapianificata, è stata generata dalle carenze di quest’ultima; ma era ancheun’eredità della struttura sociale pre-rivoluzionaria. Giustamente il Manuale dieconomia politica apparso in URSS negli anni ’50 affermava che “la costruzionedel socialismo” non può fondarsi “su due basi differenti” – ad esempiosull’“industria socialista più grande e più unificata” e “un’economia contadinadi piccola produzione mercantile dispersa e arretrata” – “per un periodorelativamente lungo”. Mao commentava che in URSS “il periodo di coesistenza”era “durato troppo a lungo”40. Il Paese cioè si reggeva su due sistemi di

  proprietà potenzialmente  antagonistici. L’esistenza delle “piccole aziendefamiliari”, ossia degli appezzamenti privati dei contadini colcosiani, e dei“mercati colcosiani”, provocava scompensi economici notevoli. Infatti, tempo dilavoro e produttività aumentavano nel piccolo appezzamento privato,diminuendo in quello collettivo o statale. Esisteva inoltre una “coesistenza

to Market Economy , Macmillan 1995, p. 6.37 A. Nove, Stalinismo e antistalinismo nell’economia sovietica, Einaudi 1968, pp. 111-115, 120-122.38 R. di Leo, L’economia sovietica tra crisi e riforme (1965-1982) , Liguori 1983, pp. 17, 31-39,50-51; Catone, op. cit., p. 165; G.M. Ellman, V. Kontorovich, Overview, in AA.VV., in AA.VV., Thedisintegration of the Soviet economic system, Routledge 1992, p. 14.39 Cfr. G. Grossman, The second Economy of the USSR, “Problems of Communism”, sept.-oct.1977.40 Cfr. Mao Tse-tung, Note di lettura sul “Manuale di economia politica dell’Unione Sovietica” ,cit., pp. 53-54.

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antagonista del piano e del mercato”, per certi versi inevitabile nel periodo ditransizione41. Scrive nel ’69 Sweezy:

I rapporti mercantili [...] sono inevitabili, per un lungo periodo di tempo, nel socialismo, macostituiscono un pericolo permanente per il sistema e, se non contenuti e controllati,condurranno alla degenerazione e alla regressione.

[...] La contraddizione mercato-piano non è una contraddizione assoluta nel senso che le dueforze non possano esistere affiancate; è una contraddizione nel senso che [...] sono inopposizione l’una all’altra e [...] costrette a una incessante lotta per il predominio. Il problemaqui non è tanto quanto estensivamente si ricorra al mercato, ma fino a che punto si ricorre almercato quale regolatore indipendente42.

In questo senso, la “rottura” avviene nella fase post-staliniana, con Krusciove più ancora con Breznev. Si produce allora una crisi della pianificazionecentralizzata: i processi di decentramento amministrativo e gestionale vientrano in contrasto; ma soprattutto essa è ostacolata dai crescenti scambieconomici di tipo privatistico tra imprese, ministeri ecc., ossia da un mercato di

materie prime e mezzi di produzione, accanto a cui si sviluppa una sempre piùampia dinamica di mercato nel settore dei generi alimentari e di  consumo.Emerge così una “economia ombra” che mette in crisi la pianificazione, einnesca una spirale di illegalità diffusa, connivenze e corruzione, che a suavolta fa sorgere “mafie”  locali e nazionali43. Insomma, fenomeni disgregatividell’economia pianificata si inseriscono nelle crepe di quest’ultima,contribuendo a tenerla in piedi nel breve periodo, ma in realtà “scavandole lafossa”44. A ciò si aggiunga, nelle zone periferiche dell’URSS (Asia centrale ecc.),un’“economia informale su vasta scala non controllata dallo Stato”, fondata sulegami familiari ed etnici: “zone franche” in cui si sviluppavano rapporti dimercato, peraltro piuttosto primitivi, “economie familiari contadine” e “praticheillegali”45.

Dunque il processo inizia negli anni ’60: è allora che “le aspettative dellagente vennero percepite sempre più come legittime, e le iniziative economicheinformali che nascevano per soddisfarle apparvero la soluzione di minorrischio”, per cui “le autorità [...] cominciarono a chiudere gli occhisull’economia-ombra”. Inoltre l’ampio ricorso all’incentivazione materialeaumentò la “monetizzazione dell’economia domestica”, legittimando nuovivalori. La riforma del 1965 segnò “la pubblica accettazione della coesistenzatra l’organizzazione economica di tipo sovietico e l’impresa contadino-familiare,non più considerata compromesso transitorio a latere del socialismo realizzato,

ma presenza operante dentro di esso”, mentre la Costituzione del ’77riammetteva le “attività artigianali e commerciali private”46. Le “norme menorigide sulle piccole attività economiche private [...] crearono nuove opportunità[...] di crearsi un reddito supplementare [...] grazie a un ‘secondo lavoro’ o [...]

41 Mandel, La natura sociale dell’economia sovietica, cit., pp. 38-39 (corsivo mio).42 P.M. Sweezy, Risposta a Charles Bettelheim [1969], in Sweezy-Bettelheim, Il socialismoirrealizzato, cit., pp. 29-30.43 Cfr. di Leo, Il modello di Stalin…, cit., cap. 5 e Conclusioni; Boffa, Storia…, cit., vol. 4, pp. 373-374.44 Bettelheim, La specificità del capitalismo in URSS, cit., p. 119.45 M. Buttino, General Introduction, in AA.VV., In a Collapsing Empire. Underdevelopement,Ethnic Conflicts and Nationalisms in the Soviet Union (a cura di M. Buttino), Annali Feltrinelli1992, pp. XVII-XVIII.46 di Leo, Vecchi quadri e nuovi politici…, cit., pp. 49, 56-60; Il modello di Stalin…, cit., pp. 92,137.

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un’attività privata a tempo pieno”47. L’“inserimento di faccende personalinell’orario di lavoro, con l’impiego di valori di proprietà sociale per uso privato”contribuì al consolidarsi di “una seconda economia negli ‘interstizi’ di quellacentralizzata”48.

“A metà degli anni ’70 non si poteva più parlare [...] della pianificazione

come qualcosa di realmente funzionante”; gli scambi di semilavorati e materieprime avvenivano “sulla base ora di rapporti di forza fra settore e settore, eazienda e azienda, ora di meccanismi spontanei, e cioè sempre al di fuori diogni idea di piano”. Le imprese svilupparono “una loro particolare economiaparallela”, accumulando più risorse del necessario “per poterle poi scambiarevantaggiosamente”49. Del resto, la formazione di un mercato parallelo deimezzi di produzione era conseguenza “inevitabile” dell’“introduzione delprincipio di redditività delle singole imprese”, specie in una situazione di“penuria relativa” come quella sovietica50. Alcuni lavori, specie nell’edilizia,erano appaltati a “squadre speciali” di lavoratori in sovrannumero, al di fuoridel circuito ufficiale; “e dal momento che il materiale usato era sottratto allasua legittima destinazione, esisteva necessariamente un giro vorticoso di furti[...] e di corruzione [...]”51. In generale, “l’economia-ombra  era basata sullacorruzione  e il ladrocinio o furto su larga scala della proprietà statale”, con“una cooperazione nascosta” tra la nascente ‘mafia’ e settori dellanomenklatura, e il formarsi di una nuova “categoria di intermediari”; insomma,fu “un enorme parassitismo” “sul corpo dell’economia di Stato”52. Essacontribuì ad aggravarne i difetti dell’economia pianificata e a costituire una proto-borghesia para-criminale, poi tra i protagonisti della disgregazionedell’URSS.

6. I problemi della libertà e della democraziaL’altro campo di problemi dell’esperienza sovietica riguarda il funzionamentodel sistema politico, della libertà e della democrazia. In realtà tutta la vicendadel “comunismo storico” è percorsa da una sorta di militarizzazione della politica e della società, che peraltro come fenomeno storico inizia primadell’Ottobre (almeno con la “grande guerra”)53. È chiaro che un movimento chesi propone di abbattere il capitalismo, a sua volta un ordine sociale violento inradice, per istituirne uno più avanzato, debba per certi aspetti organizzarsicome un esercito, tanto più dinanzi alle esigenze difensive eall’accerchiamento capitalistico. L’URSS fu sempre in uno stato di guerra,aperta o latente; è fatale allora che la tendenza ad organizzarsi come un

esercito prevalga, con tutte le sue conseguenze, tra cui la limitazione dellacritica e la diffusione di metodi autoritari. La vicenda sovietica va dunque

47 I. Szelenyi, Verso un capitalismo manageriale?, “Lettera internazionale”, 1996, n. 48, p. 22.48 Cfr. A. Natoli, La fine del modello staliniano, “Marx 101”, febbraio 1991, p. 66; Le radici diun’alienazione totale, cit., p. 59.49 A. Guerra, Il crollo dell’impero sovietico, Editori Riuniti 1996, pp. 177-179; Boffa, Dall’URSSalla Russia, cit., p. 86.50 Mandel, La natura sociale dell’economia sovietica, cit., p. 43.51 K.S. Karol, Un conflitto occulto, in AA.VV., Appuntamenti di fine secolo, Manifestolibri 1995, p.269.52 Lavigne, The Economics of Transition, cit., pp. 9-10; Peregalli, La parabola…, cit., pp. 73-76.Corsivi miei.53 Cfr. L. Canfora, Una tragedia consumata all’ombra della violenza, “il manifesto”, 3 marzo1998; D. Losurdo, Una rivoluzione nell’angolo, ibidem; A. Burgio, Tutti sull’attenti,“Liberazione”, 3 marzo 1998.

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inserita nel suo contesto storico: una situazione di guerra continua, duratafinché l’URSS è stata distrutta. La stessa “militarizzazione del lavoro” fu volta asuperare l’arretratezza e lo svantaggio iniziale. Ma “si sarebbe potuta costruireun’industria moderna e di difesa sommando le autogestioni del vecchioapparato produttivo? Ideologia e necessità giocano contro i consigli, per il

piano e il suo verticismo”54.Secondo D. Losurdo, la vicenda del ‘socialismo reale’ si svolse tra “due poli”:

l’utopia e lo stato d’eccezione, ognuno dei quali rafforzava l’altro; in questosenso, vi fu un’“incapacità [...] di passare dallo stato d’eccezione allanormalità, avanzando sulla via della democratizzazione”, sia all’interno sia neirapporti coi ‘paesi fratelli’. Anche per U. Cerroni, l’“alterazione del progettorivoluzionario”, conseguente alla volontà di affrettare i tempi della transizione,fu alla radice di molti limiti del sistema sovietico55. In questo quadro si colloca il  problema storico dello “stalinismo” ,  della fase del Terrore nel processorivoluzionario sovietico, e dell’ampio uso della repressione nella vita politica esociale dell’URSS56. Per Benvenuti, lo “stalinismo” è proprio la manifestazionedella continua tensione che ha caratterizzato la storia sovietica: lotta di classeinterna e “ presentimento di uno scontro finale” sul piano internazionale; da ciò,“l’istituzionalizzazione delle cosiddette ‘misure straordinarie’”57. È nota lalettura trotzkista dello “stalinismo” come espressione della “burocrazia” diPartito e Stato. Al contrario, per M. Lewin, Stalin costruì il suo sistema di potereproprio al fine di “scavalcare il labirinto burocratico” che andava formandosi; eper Hobsbawm, lo “stalinismo” fu un “tentativo di impedire alla burocrazia diprevalere nella sua veste di classe dirigente ossificata”. D’altra parte, osservaBoffa, ciò significò “scavalcare e quindi sminuire il partito stesso”58. Laquestione dello “stalinismo”, comunque, chiama in causa le forze sociali ad

esso collegate, la sua “natura sociale”. Di fatto, il periodo staliniano produsseuna leva di “uomini nuovi [che] divennero la parte più dinamica di tutti gliapparati sovietici”; di estrazione operaia o contadina, furono essi il principale“sostegno sociale e politico del potere staliniano”59. L’industrializzazione e lacollettivizzazione accelerate corrisposero ad un’esigenza di “accumulazioneoriginaria” socialista. Secondo A. Nove, “nel 1928 qualsiasi programmabolscevico [...] attuabile sarebbe stato duro e impopolare. Avrebbe potutoessere meno duro e impopolare se si fossero evitate delle scelte che non eranoindispensabili”, ma “alcuni elementi dello stalinismo erano sostanzialmenteinevitabili”60. Il principale errore di Stalin – osserva Mao – appare comunquequello di aver considerato le “contraddizioni in seno al popolo” e al Partito alla

54 R. Rossanda, Un secolo al rogo, “il manifesto”, 25 febbraio 1998.55 D. Losurdo, Utopia e stato d’eccezione, Laboratorio politico 1996, pp. 5-7, 75-76; U. Cerroni,L’alterazione del progetto rivoluzionario: marxismo, leninismo, stalinismo, in AA.VV., Crollo delcomunismo sovietico e ripresa dell’utopia, cit., pp. 87-90.56 Cfr. G. Boffa, Il fenomeno Stalin nella storia del XX secolo, Laterza 1982; M. Lewin, Storiasociale dello stalinismo, Einaudi 1988; AA.VV., L’età dello stalinismo (a cura di A. Natoli e S.Pons), Editori Riuniti 1991.57 F. Benvenuti, Rivoluzione e comunismo sovietico nella prospettiva storica della fine: 1991-1917, in AA.VV., Crollo del comunismo sovietico…, cit., pp. 33-34.58 M. Lewin, Bureaucracy and the Stalinist State, in AA.VV., Germany and Russia in the 20th

Century in Comparative Perspective, Philadelphia 1991; Hobsbawm, op. cit., p. 449; Boffa,Storia…, cit., vol. 2, p. 196.59 Boffa, Storia…, cit., vol. 2, p. 111.60 Nove, Stalinismo e antistalinismo nell’economia sovietica, cit., p. 37. Cfr. anche Hobsbawm,op. cit., pp. 445-447.

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stregua delle contraddizioni antagonistiche, affrontandole con la stessaradicalità.

Un altro elemento essenziale è l’assetto istituzionale. Secondo Benvenuti, il“sistema politico monopartitico” fu “il regime politico corrispondente allecondizioni di una guerra civile permanente”. Per Boffa, fu l’effetto e l’esito della

guerra civile, allorché il Partito bolscevico “si affermò [...] come unica effettivaforza politica nel paese. La legittimità gli venne dall’essere lo ‘stato maggiore’della vittoria” e dall’“aver creato [...] uno Stato nuovo”61. Nei primi anni di vitadell’URSS, scrive Holz, il Partito cercò di “creare le condizioni di unademocrazia socialista”, ma i suoi sforzi “entrarono in contraddizione conl’asprezza della lotta di classe; furono compromessi dalla centralizzazione delpotere statuale in una fase [...] dominata dal rafforzamento delle capacitàdifensive e di sicurezza; furono infine arrestati dalla guerra”; dopo il 1953, “lacosiddetta ‘destalinizzazione’ non fu portata avanti sul piano politico-istituzionale”, né riforme in tale campo furono avviate da Breznev62. Intantovari problemi si erano accumulati: le “sovrapposizioni di competenze”, fruttodella “fusione tra l’apparato del Partito unico e la burocrazia statale”; lacarenza di liberi flussi di idee e informazioni , che contribuì all’impoverimentoteorico e al ritardo tecnologico; l’assenza di una piena “legalità socialista”  e“l’incertezza del diritto”63. Insomma, la sovrastruttura politica non riuscì adadeguarsi alla formazione di una società civile complessa64.

Centrale è il  problema della partecipazione e del controllo popolare. Leninaveva esaltato la democrazia socialista proprio evidenziandone il contenuto didemocrazia diretta e partecipata. Il tentativo, cioè, è quello di superare lapolitica come professione, restituendola al protagonismo delle masse65. Dopo larivoluzione, alle prese col compito difficilissimo di costruire la democrazia

socialista nella Russia arretrata, Lenin torna su questi temi, cogliendo segnali diinvoluzione e tentando di porvi rimedio66; ma le sue proposte sonoaccantonate. Quello di un carente controllo e potere popolare – pur in unquadro di mobilitazione attiva delle masse – rimarrà un limite di fondo delsistema politico sovietico, da cui deriveranno la spoliticizzazione e l’apatia dellemasse stesse. Si consolida così “un potere senza responsabilità”67. E ciòcontribuisce alla crisi di legittimazione che investe Partito e Stato nella fasefinale.

7. La nomenklatura; la formazione di una burocrazia come cetoseparato, i privilegi sociali 

Non sarebbe possibile distruggere di punto in bianco [...] la burocrazia [...] ma spezzaresubito la vecchia macchina amministrativa per [...] costruirne una nuova che permetta lagraduale soppressione di ogni burocrazia, non è utopia [...].

61 Benvenuti, Rivoluzione e comunismo…, cit., p. 33; Boffa, Storia…, cit., vol. 1, pp. 165-171,200. Cfr. G. Procacci, Il partito nell’Unione Sovietica, 1917-1945, Bari 1974.62 Holz, Sconfitta e futuro del socialismo, cit., pp. 124-125.63 M. Massari, La grande svolta. La riforma politica in Urss (1986-1990), Guida 1990, pp. 31, 39;Lewin, La Russia in una nuova era, cit., pp. 63, 116; di Leo, Il modello…, cit., pp. 132-133;Boffa, Dall’URSS…, cit., p. 135.64 Cfr. Losurdo, Utopia e stato d’eccezione, cit., pp. 35-36; Lewin, La Russia in una nuova era,cit., pp. 115-116, 127.65 V.I. Lenin, Stato e rivoluzione, Feltrinelli 1968, pp. 84-94, 150-151. Cfr. L. Cortesi, Ilcomunismo inedito. Lenin e il problema dello Stato , Edizioni Punto Rosso 1996, pp. 57-59.66 Cfr. V.I. Lenin, Lettera al congresso e ultimi scritti, Editori Riuniti 1974.67 Natoli, Le radici…, cit., pp. 58-60; A. Catone, Stato e democrazia al crepuscolo dell’URSS,“Alternative”, 1996 n. 5-6 , pp. 66-68.

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[...] Riduciamo i funzionari dello Stato alla funzione di semplici esecutori [...] di ‘sorvegliantie di contabili’, modestamente retribuiti, responsabili e revocabili [...]. Questo [...] porta da sestesso alla graduale ‘estinzione’ di ogni burocrazia, alla graduale instaurazione di un ordine [...]in cui le funzioni, sempre più semplificate, di sorveglianza e di contabilità, saranno adempiute aturno, da tutti, diverranno poi un’abitudine e finalmente scompariranno in quanto funzionispeciali di una speciale categoria di persone.

Così scrive Lenin in Stato e rivoluzione68. Dopo la presa del potere, eglisottolinea la necessità di “costruire un apparato veramente nuovo che meritiveramente il nome di socialista”, ma sa che “occorrono molti, moltissimianni”69. Durante la fase staliniana, inseriti nella gestione concreta dello Stato edell’economia, i quadri acquistano un potere notevole, specie a livello locale.La cosa non sfugge a Stalin, che non caso promuove dure “campagneantiburocratiche”70. Con Krusciov, gli apparatchiki ottengono maggiore libertà eun campo d’azione più vasto. “Per la prima volta” sono “in grado di porsiapertamente il problema di come difendere ruolo e status”. Intanto, iniziano aperdere la loro identità di portatori di un progetto di trasformazione, perdivenire meri amministratori71. Tuttavia, gli stessi sconvolgimenti della politicakruscioviana ne rendono incerta la posizione. Solo con Breznev, dunque, gliapparati raggiungono una stabilità che tende a configurarli come uno stratosociale72. Si verifica allora la formazione di una burocrazia come ceto separato,con uno stile di vita e prospettive diversi da quelli delle masse popolari73. Ilcristallizzarsi di una stratificazione sociale e l’emergere di uno “status”  privilegiato hanno un notevole effetto negativo, in una società legataall’egualitarismo e in condizioni di relativa “scarsità” 74. Peraltro, con la“stagnazione”, va in crisi “la straordinaria mobilità sociale” dei decenniprecedenti; le differenze sociali si stabilizzano. La “nomenklatura” è sempre più

identificabile75

.Si assiste intanto a una sclerotizzazione del PCUS, con dirigenti inamovibili,incapaci di imprimere svolte o accelerazioni al sistema. Il Partito diviene “ilgarante dell’immobilismo statuale”, la sua “burocratizzazione” porta “allarimozione di ogni attività critica e di discussione”, si diffondono“l’opportunismo e l’indifferenza”76. Lo stesso meccanismo di formazione dellanomenklatura, basato perlopiù sulla cooptazione, favorisce una sorta di“selezione negativa” dei dirigenti,  premiati più per la loro fedeltà che per leloro capacità77. L’età media del gruppo dirigente è così alta da far parlare di“gerontocrazia” . Lo stesso Breznev, colpito da infarto nel ’76, rimane in caricafino alla morte, per cui “per ben sei anni l’URSS ebbe alla sua testa una

68 Lenin, Stato e rivoluzione, cit., pp. 92-93, 150-151.69 V.I. Lenin, Meglio meno, ma meglio, in Sulla rivoluzione socialista, cit., pp. 596-597, 604.70 Cfr. Boffa, Storia dell’Unione Sovietica, cit., vol. 2, pp. 111, 158-159, 251-257.71 Cfr. di Leo, Vecchi quadri e nuovi politici, cit., pp. 46, 50.72 Nel 1980 esce il libro di M. Voslensky sulla Nomenklatura (Bompiani, 1984), definita “la classedirigente della società sovietica”, non identificabile con gli apparati tout court , ma con la loroparte dirigente.73 Cfr. L’occhio sociologico dell’irrispettosa Zaslavskaja sulle classi sociali nell’Urss, “ilbimestrale”, 1989, n. 2, p. 56.74 Da questo punto di vista, esce confermata la concezione marxiana secondo cui una societàegualitaria può nascere solo sulla base dell’abbondanza, ossia del massimo sviluppo delle forzeproduttive capitalistiche.75 Cfr. Boffa, Dall’URSS alla Russia, cit., pp. 92-93.76 C. Pinzani, Da Roosevelt a Gorbaciov , Ponte alle Grazie 1992, p. 539; Holz, op. cit., p. 125.77 Cfr. Zaslavsky, Storia del sistema sovietico, cit., pp. 205-206.

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persona menomata”78. Dunque gli apparati, che in passato avevano svolto unafunzione decisiva, diventano forza di conservazione e ostacolo allo sviluppo:“l’interesse privato dei burocrati [...] entra sempre più in contrasto con gliimperativi di uno sviluppo rapido [...] dell’economia”, poiché essi puntano aobiettivi minimi, sminuendo le potenzialità dell’apparato produttivo. Per certi

versi si crea il contrasto marxiano tra rapporti sociali e sviluppo delle forzeproduttive, dove i primi diventano elemento di freno del secondo, il cheprovoca crisi strutturali e trasformazioni dei rapporti sociali stessi79.

Peraltro la nomenklatura non era un corpo unico, omogeneo. Lo stesso PCUSsi era ridotto a “mero ‘contenitore’ di burocrazie parallele che non semprerispondevano a una logica unitaria”80. In queste contrapposizioni interne allanomenklatura alcuni autori hanno visto l’esistenza di “gruppi di pressione” e“gruppi d’interesse”, in competizione tra loro per l’assegnazione delle risorse:l’apparato di Partito, i militari, i managers, l’intelligencija81. Il contrasto di fondoè quello tra “nomenklatura politica” (che governa il Partito) e “nomenklaturaeconomica”  (che gestisce l’apparato produttivo, dalle aziende ai ministeri).Esso emerge negli anni ’60, e con Breznev viene sancita la “separazione tra lasfera politica e le questioni [...] dell’economia e dell’amministrazione statale”,con la “nomenklatura economica” che guadagna terreno a danno del Partito82.Lo scontro viene allo scoperto con la  perestrojka, che segna la vittoria dellanomenklatura economica83.

Peraltro, da anni procedeva una graduale sottrazione di poteri al centro, conl’emergere di particolarismi e localismi. Sotto Breznev si consolidò il ruolo dellerelazioni personali, delle reti informali e spesso illegali intessute dallanomenklatura. I “dirigenti delle grandi organizzazioni territoriali del Partito”divennero “veri e propri ‘feudatari’”, basandosi sulle realtà locali “per

contrattare meglio col centro”84

. In particolare nelle repubbliche asiatiche, doveil Partito aveva promosso la nascita di élites politiche locali, erano sorti“meccanismi di patronato”, di clan e clientelari. Ne era derivato un“compromesso instabile” tra centro e periferia, che salta durante la perestrojka, quando le risorse cominciano a scarseggiare e lo Stato aindebolirsi85. La nomenklatura economica locale rimane allora l’unica ad averepoteri reali. Disgregatosi il potere centrale, quello vero è “suddiviso tra lemigliaia di direttori delle fabbriche, delle aziende agricole, delle miniere [...]”;essi ormai mirano ad ottenere la proprietà dei mezzi di produzione, dopoaverne acquisito il possesso de facto con l’autonomia sancita dalla riformegorbacioviane86. Avviene così il “passaggio di campo” di parte della

78 Boffa, Dall’URSS alla Russia, cit., pp. 138-139. Nel 1980 l’età media del Politbjuro superava i70 anni.79 L. Maitan, La crisi attuale, in AA.VV., Crollo del comunismo sovietico…, cit., p. 257; Mandel, Lanatura sociale…, cit., p. 41.80 L. Maitan, Dall’Urss alla Russia. 1917-1995, la transizione rovesciata, Datanews 1996, pp. 30-31; M. Flores, Senza il socialismo in un paese solo, “Il Mulino”, 1991 n. 4, p. 573.81 S. Fagiolo, I gruppi di pressione in Urss, Laterza 1977. Cfr. AA.VV., Interest Groups in Soviet Politics, Princeton 1971.82 Cfr. di Leo, Il modello di Stalin, cit., pp. 86, 119-121; Id., Vecchi quadri e nuovi politici, cit., pp.57-59.83 Cfr. R. di Leo, Il Pcus dal potere all’ostracismo, in AA.VV., Come cambiano i partiti, cit., pp. 86-93; Id., La seconda NEP, in AA.VV., Riformismo o comunismo: il caso dell’URSS, a cura di R. diLeo, Liguori 1993, pp. 249-252.84 Cfr. Guerra, Il crollo dell’impero sovietico, cit., pp. 138, 198-199.85 Cfr. Buttino, General Introduction, cit., pp. XIX, XXII-XXVII; M. Buttino, Introduction, ivi, p. 253.

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nomenklatura87. Si completa quella sorta di ‘fusione’ con gli “organizzatori della‘seconda economia’”, iniziata con Breznev. La nomenklatura decide di“sfruttare a proprio vantaggio il processo di privatizzazione”, creando “impreseprivate e   joint ventures con partner  stranieri”, vendendo all’Occidente“informazioni, servizi e licenze” ma anche “materie prime, petrolio e

manufatti”88. Impianti ed edifici statali sono ‘privatizzati’ tramite “acquisti fittizia prezzi irrisori”, il che contribuisce al “precipitare delle finanze sovietiche”89.

8. La guerra fredda e la corsa agli armamenti Abbiamo già accennato allo stato di “guerra permanente”  in cui è sempre

stata l’Unione Sovietica. Esso forse tocca il culmine nel secondo dopoguerra,con 45 anni di “guerra fredda”. Del resto, già l’atomica su Hiroshima eNagasaki era stata un chiaro messaggio all’URSS. Dunque, prima ancora che ilconflitto mondiale sia finito, la “guerra fredda”  è già iniziata90. Nel 1946-47Churchill e Truman avviano la “crociata” anticomunista. Gli USA sanno di poter“aumentare enormemente le tensioni che condizionano la politica sovietica”, e“incoraggiare in questo modo tendenze che possano trovare [...] lo sbocco onel dissolvimento o nel graduale ammorbidimento del potere sovietico”91.Come nota S. Amin, le potenze occidentali “non hanno mai rinunciato, dal1917, al tentativo di abbattere l’Urss [...]. L’iniziativa della guerra fredda èstata presa da Washington [...]. L’Urss si limitava rigorosamente allasuddivisione di Yalta [...]92. Scrive A. Zinov’ev:

La guerra fredda coinvolse tutto il pianeta e ogni sfera di vita dell’umanità [...]. Si fecericorso a ogni mezzo: radio, televisione, servizi segreti, congressi, scambi culturali, corruzione[...]. In breve, si trattò forse di un nuovo tipo di guerra nella storia dell’umanità, globale eonnicomprensiva [...]. Lo scopo divenne presto la completa distruzione dell’Unione Sovietica e

dell’intero blocco di paesi comunisti93.

In questo quadro, una grande importanza spetta alle alleanze costruiteattorno ai due contendenti. Il ruolo della Cina – e del suo riaccostamento agliUSA in chiave antisovietica – appare determinante. Quanto agli alleatidell’Unione Sovietica, essi “non riuscirono mai a camminare sulle propriegambe”, gravando “sul bilancio annuale dell’URSS per decine di miliardi didollari”94. La questione degli “aiuti” peraltro si lega all’impegno eccessivodell’Unione Sovietica sullo scacchiere internazionale delineatosi dagli anni ’60,

86 di Leo, Vecchi quadri e nuovi politici, cit., pp. 50-54; Id., Rex destruens, in AA.VV., Riformismo

o comunismo…, cit., pp. 25-26.87 Catone, op. cit., p. 268.88 Zaslavsky, Storia del sistema…, cit., pp. 265, 269; Id., Per decifrare l’enigma russo, “LetteraInternazionale”, 1996, n. 48, p. 16.89 Moscato, Il fallimento dei tentativi di autoriforma, in AA.VV., Crollo del comunismosovietico…, cit., p. 238 n.90 Cfr. G. Alperovitz, Un asso nella manica. La diplomazia americana: Postdam e Hiroshima ,Einaudi 1966; Id., The Decision to Use the Atomic Bomb and the Architecture of an AmericanMyth, Knopf 1995; L. Cortesi, La guerra e il destino dell’uomo: la svolta del 1945, in Id., Le armidella critica. Guerra e rivoluzione pacifista, CUEN 1991; R. Fieschi, Hiroshima, in 1945 anno zero - 2. La guerra, “Giano”, 1995, n. 19.91 X [G.F. Kennan], The Sources of Soviet Conduct , “Foreign Affairs”, luglio 1947.92 S. Amin, Il sistema mondiale del secondo novecento. Un itinerario intellettuale, Punto Rosso1997, pp. 202-204.93 A. Zinov’ev, La caduta dell'"impero del male": saggio sulla tragedia della Russia, BollatiBoringhieri 1994, pp. 66-67.94 Hobsbawm, op. cit., pp. 290, 296.

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ossia al suo “espansionismo difensivo” 95. In sostanza, i suoi interventi “nonesprimevano una volontà aggressiva ‘di esportare la rivoluzione’ e di imporre intal modo il suo predominio”, ma “una strategia difensiva a partire da unaposizione di relativa debolezza [...]”; tuttavia ciò porrà l’URSS “in gravidifficoltà sul piano economico, proprio per la crescente importanza attribuita

alla dimensione militare”, “a tutto danno dello sviluppo delle societàsocialiste”96. Esemplare il caso dell’invasione dell’Afghanistan, il cosiddetto“Vietnam sovietico”97. Qui gli USA adottarono “una politica di interventodiretto”, prima incentivando la guerriglia contro il governo filosovietico e poicostituendo una coalizione segreta con Pakistan, Cina, Arabia Saudita, Egitto eGran Bretagna. In questo modo, la guerra afghana si trasformò “in uno scontrodiretto tra il complesso militare-industriale sovietico e quello occidentale”, incui emerse “l’inferiorità della tecnologia militare sovietica”.  Lo scopo, comedirà il Segretario di Stato Shultz, era “‘dissanguare’ ancor più l’UnioneSovietica”98.

Il punto centrale è dunque la corsa agli armamenti. Negli anni ’70 l’URSSspende in armamenti il 12% del suo PNL; dal ’75, le spese militari aumentanodel 5% l’anno, un tasso superiore alla crescita del PNL99. Per Zinov’ev, “la corsaagli armamenti e una politica condotta sempre al limite della guerra ‘calda’ nonerano che una lotta dell’Occidente per sfiancare l’avversario. L’UnioneSovietica e i suoi alleati si videro costretti a spese superiori alle loro forze”.Scrive Holz:

Il capitalismo si armò ed anche i paesi socialisti dovettero armarsi [...]. C’è, però, unadifferenza. All’interno del capitalismo, l’armamento è funzionale al sistema, perché ne favorisceil processo d’accumulazione. All’interno del socialismo, invece, [...] è dannoso al sistema,perché dissipa ricchezza sociale e, dunque, indebolisce il socialismo100.

Analoga è la tesi di Sweezy101. Alla fine degli anni ’70, gli USA rilanciano lacorsa agli armamenti; nel 1981, Reagan avvia “il più massiccio riarmo dellastoria degli Stati Uniti in tempo di pace”, che sfocia nel progetto SDI (lo “scudospaziale”), e negli “euromissili”. Dunque l’URSS è spinta ad una rincorsa sulterreno della tecnologia avanzata, che richiede enormi risorse. Per Davies,“uno degli obiettivi delle guerre stellari di Reagan era appunto quello di

95 Cfr. A. Guerra, Le mosse di una “fortezza assediata” , in AA.VV., Se vince Gorbaciov , l’Unità1987, pp. 35-37.96 Amin, Il sistema mondiale del secondo novecento…, cit., p. 205; Pinzani, Da Roosevelt a

Gorbaciov , cit., pp. 306-308, 327.97 Cfr. Hobsbawm, op. cit., p. 557; Boffa, Storia…, cit., vol. 4, p. 380; Id., Dall’URSS alla Russia,cit., p. 156.98 Cfr. Brzezinski, The Cold War and Its Aftermath, “Foreign Affairs”, 1992 n. 4; Zaslavsky,Storia del sistema sovietico, cit., p. 232; G.P. Shultz, Turmoil and Triumph. My Years asSecretary of State, New York 1993, p. 1093.99 P. Kennedy,   Ascesa e declino delle grandi potenze, Garzanti 1989, pp. 20, 674-675;Bettelheim, La specificità…, cit., p. 113.100 A. Zinov’ev, op. cit., p. 67; Holz, op. cit., p. 47.101 Per Sweezy (Socialism: Legacy and Renewal, “Monthly Review”, 1992-93, n. 8), la guerrafredda fu basata sulla “produzione di spreco”, su “quale campo potesse continuare a produrrespreco più a lungo dell’altro”, e su questo “non ci fu mai alcun dubbio su chi avrebbe vinto”,poiché l’Occidente controllava “una parte molto maggiore delle risorse mondiali”; inoltre, nelcapitalismo “la produzione di spreco finanziata pubblicamente sotto forma di armi didistruzione fa funzionare il sistema in modo più efficiente”, mentre per una società che mira alsocialismo “la necessità di impegnarsi in una corsa agli armamenti produttrice di spreco ètotalmente negativa e alla fine disastrosa”.

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tagliare le gambe all’economia sovietica, e in questo certo ha avutosuccesso”102. Gorbaciov tenterà di rispondere con una nuova versione della“coesistenza pacifica”, ormai priva di qualsiasi tono competitivo. Fin dall’inizioè lui “a fare le maggiori concessioni senza ottenere in cambio [...] la fine dellacorsa agli armamenti”, ma una costante “asimmetria delle riduzioni” delle

forze in campo. Con le ultime, unilaterali, concessioni sovietiche, si pone finealla guerra fredda, ma con la sconfitta dell’URSS103.

Va dunque considerato il ruolo degli USA (e del Vaticano) nella crisi finale del“socialismo reale”. Secondo l’inchiesta di C. Bernstein, “il Papa e Reaganstrinsero segretamente una ‘santa Alleanza’ per tenere in vita Solidarnosc,rovesciare i regimi comunisti dell’Europa orientale e [...] mettereeconomicamente ko il Cremino”,  realizzando “un golpe bianco senzaprecedenti nella storia”. All’“operazione fine del comunismo” non furonoestranei Banco Ambrosiano e Vaticano, e “l’ambasciata americana a Varsaviadiventò il principale centro della Cia nel mondo comunista”. Il tutto si giovòdella colpevole passività di Gorbaciov, di un personaggio ambiguo comeShevarnadze, e infine di Eltsin, aiutato a vincere le elezioni presidenziali russeda cui inizierà la disgregazione dell’URSS104. Riflessioni analoghe sono fatte daL. Canfora, e anche per Brzezinski, “senza il papa [...] molte delle cose che sisono compiute [...] non avrebbero mai cominciato ad accadere”105. Vi fu cioèuna coincidenza di interessi tra USA, Vaticano e gruppo dirigente della perestrojka per un ridimensionamento della presenza sovietica in Europaorientale. I gorbacioviani vi vedevano un modo per liberarsi degli oneri dellaguerra fredda, il papa l’apertura di nuovi spazi alla propria presenza, e gli StatiUniti, lucidamente, la vittoria della guerra fredda stessa.

9. La mancata ristrutturazione tecnologica e la crisi degli anni ’70-80: la “stagnazione”Abbiamo già accennato alla cosiddetta “stagnazione”, ossia a quella fase di

stasi o addirittura di declino nella crescita della produttività e nello sviluppodella società sovietica, che ebbe luogo nell’epoca brezneviana. Il calo del tassodi crescita della produzione industriale fu di circa l’1% nel 1960-74, per balzarea più del 6% nel 1974-87; dagli anni ’70 in poi, si ravvisa cioè una “stagnazioneassoluta  o assenza completa di [...] crescita economica”. In particolare nel1979-82 si ha una “diminuzione in cifra assoluta e in termini fisici dellaproduzione industriale [...] e cerealicola”106. “In quegli anni la società sovieticanon restò affatto immobile: conobbe anzi [...] cambiamenti ‘fondamentali’”;

d’altra parte, l’economia “termina la sua fase ascendente e comincia la discesache via via precipita nel declino”107. Davies sostiene che il calo del tasso dicrescita negli anni ’70 riguardò anche i paesi capitalistici, per cui parlare di“stagnazione” è “un pochino esagerato”. Di fatto, nel 1975-85 il tasso di

102 Pinzani, op. cit., pp. 256, 382, 397-398, 441, 475-476, 528, 536; R.W. Davies, Il collasso delsistema economico sovietico, “Il Passaggio”, 1992, n. 3, pp. 6-7.103 Cfr. Boffa, Dall’URSS alla Russia, cit., pp. 48, 77, 91, 150-153, 173, 184-185, 195-196, 201-202, 240, 260.104 Cfr. Losurdo, op. cit., pp. 66-70, 75.105 Cfr. L. Canfora, Pensare la rivoluzione russa, Teti 1995, pp. 50-54; A. Riccardi, Il Vaticano eMosca, Laterza 1993, pp. 350-353, 365-370; F. Colombo, Senza Wojtyla, niente perestrojka,“Europeo”, 13-31 marzo 1990, p. 146.106 Giussani, La crisi dell’economia sovietica e le sue prospettive, cit., pp. 22-27, 32; Catone, Le‘teorie critiche’ al vaglio degli eventi sovietici, “Questioni del socialismo”, 1992, n. 2, p. 43.107 Boffa, Dall’URSS alla Russia, cit., pp. 75-76.

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crescita sovietico fu del 2.1%, ma quello degli USA (2.9%) non fu moltomigliore. Per A. Zinov’ev, la ‘stagnazione’ è solo “un cliché ideologico natonella lingua dei riformisti e dei loro precettori occidentali” 108. Tuttavia esistonodiversi indicatori della crisi. La sua origine sta nella “ più lenta crescita (e infinedeclino) della produttività”, legata ad una “riduzione della pressione dall’alto” e

ad un ‘rilassamento della disciplina’ nei luoghi di lavoro; ma la “stagnazionemacroeconomica” è legata anche alle crescenti spese per gli armamenti, aldeclino del progresso tecnologico, al “deterioramento della ricerca”,all’“immobilismo e la corruzione” crescenti, all’esaurimento delle risorsenecessarie alla crescita estensiva fino ad allora praticata109.

Secondo Catone, nel periodo brezneviano, il ‘compromesso sovietico’, ossial’“equilibrio raggiunto tra operai e sistema” finalizzato al “mantenimento dellapace sociale”, finisce per costituire lo scopo stesso della produzione; da questopunto di vista, che disciplina del lavoro e rispetto dei piani siano ampiamentedisattesi, è perfettamente spiegabile. D’altra parte, tale equilibrio diventaprecario allorché i ritmi di crescita iniziano a calare: tutto il meccanismo, allora,non è più sostenibile110. Nella seconda metà degli anni ’70, “il livello di vita”della popolazione cessa di crescere, il che si ripercuote “sul comportamentodegli operai”, provocando “aumento dell’assenteismo, rotazione rapida dellamanodopera, spreco di materiali” e una “insoddisfazione” generalizzata111. Siha così un “deficit di cooperazione tra lavoratori e stato”, ossia la rottura del‘compromesso sovietico’ 112. Inoltre, al dinamismo sociale dei decenniprecedenti subentra un “immobilismo strutturale”. Emerge allora una “crisi dilegittimità”, a sua volta conseguenza di un ‘sovraccarico’ di richieste easpettative cui il potere politico non può fare fronte113. Poiché “il partito siidentificava con la gestione e il meccanismo di direzione girava a vuoto”, la

crisi economica divenne subito “crisi politica”, manifestandosi “come cadutadella capacità di direzione e di controllo da parte del centro”, all’interno maanche verso i paesi alleati114. Un altro fattore di difficoltà stava proprio nei limitisoggettivi della classe dirigente. Secondo Ligaciov, “la stagnazione non era ilrisultato della passività dei lavoratori bensì dipendeva dal nucleo politico chedirigeva il paese”, incapace di far progredire l’URSS. “Il risultato fu che il paesenon ce la fece ad entrare in una nuova fase della rivoluzione tecnico-scientificapur standone sulla soglia [...]. Questo errore fu decisivo [...]”115.

Il cuore del problema è dunque la ristrutturazione tecnologica mancata neglianni ’70-80, quando l’Occidente compiva la “rivoluzione informatica”, mentrel’URSS (pur con punte di eccellenza) completava la sua fase “fordista”. Natoli

collega il “mancato rinnovamento degli impianti ormai obsoleti” alla volontà diconservare la “piena occupazione”, che era poi “disoccupazione occulta” di

108 Davies, Il collasso del sistema economico sovietico, cit., p. 6; Losurdo, op. cit ., p. 73;Zinov’ev, op. cit ., pp. 54-57.109 Cfr. Ellman-Kontorovich, Overview, cit., pp. 8-10, 14; V. Kontorovich, Technological progressand research and development , ivi, pp. 217-218; G. Khanin, Economic growth in the 1980s, ivi,p. 77; J. Levada, Social and moral aspects of the crisis, ivi, p. 60.110 Catone, op. cit., pp. 232, 261-262. Cfr. Cook, The Soviet Social Contract and Why It Failed…,cit.111 Bettelheim, La specificità del capitalismo…, cit., pp. 116-118.112 B. Bongiovanni, La caduta dei comunismi, Garzanti 1995, p. 232.113 Maitan, Dall’Urss alla Russia, cit., p. 40; Lewin, La Russia in una nuova era, cit., p. 102.114 Guerra, Il crollo dell’impero sovietico, cit., p. 181 (corsivi miei).115 E. Ligaciov, L’enigma Gorbaciov , Napoleone 1993, p. 18.

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forza-lavoro sottoutilizzata116. Hobsbawm parte dalla crisi energetica del 1973:questa colpì i paesi occidentali, indotti così a innovare, mentre all’URSS(esportatrice di petrolio) portò ingenti quantità di valuta straniera,“allontanando così la necessità di una riforma economica” e inducendola adaumentare le importazioni dai paesi più avanzati, il che ritardò ulteriormente il

progresso tecnologico interno. Inoltre, cessati i benefici della crisi, si innescò laspirale del debito estero117. Anche il fatto che “le scoperte più importanti [...]avvenivano di preferenza nel settore prioritario della difesa” e che, essendocircondate dalla segretezza, “la loro utilizzazione nel settore civile era ridotta alminimo”, costituisce “una delle cause strutturali più profonde della mancatarivoluzione tecnico-scientifica”, che “aveva uno dei suoi pilastri proprio nellarapida diffusione delle informazioni”118. Peraltro, nel 1980 gli USA avevanodrasticamente ridotto l’esportazione verso l’URSS di alta tecnologia, ciò a cuiseguirà il “blocco occidentale” della vendita di PC119. Il problema, comunque,non fu tanto la mancata ristrutturazione tecnologica in sé, quanto il perdereterreno rispetto all’Occidente in misura fatale.

10. Deideologizzazione, spoliticizzazione e crisi dei valori fondanti della società sovietica

Anche il piano culturale e teorico ha una notevole rilevanza. SecondoLosurdo, il “collasso” del socialismo reale fu “ideologico ben più cheeconomico”: l’ideologia cioè, ridotta a mera ritualità, costituì un elemento difreno rispetto ad una presa d’atto del reale, che smentiva l’idea di uncapitalismo in crisi irreversibile e richiedeva una “razionalizzazione delprocesso produttivo” e del sistema120. Si ebbe quindi uno slittamento dallateoria all’ideologia, che agì marxianamente come un “velo di Maja” che copre

la realtà. Ne derivò una grave carenza di analisi scientifiche, per cui “la societàsovietica conosceva sempre meno se stessa”121. Scriveva Bettelheim:

La perdita del potere da parte del proletariato non necessariamente è il risultato di unaviolenta lotta materiale [...]. L’indebolimento del ruolo dell’ideologia proletaria e gli errori chequesto indebolimento induce possono creare delle condizioni che consentano a forze socialiborghesi di svilupparsi, di consolidarsi [...] e, alla fine, di impadronirsi della direzione del partitoe dello Stato, quindi di riprendersi il potere122.

Di fatto, la società sovietica ha vissuto uno dei più eclatanti processi di de-ideologizzazione della storia contemporanea, prima con una schematizzazioneanti-dialettica del marxismo; poi, col suo graduale abbandono. A c iò s iaggiunga la prevalenza dell’amministrativismo, denunciato già nel 1952 daMalenkov, secondo cui le organizzazioni di partito, “prese dalle questionieconomiche, dimenticano i problemi ideologici”. Con Krusciov, l’ideologia èmessa ulteriormente nell’angolo, rispetto a una ricerca del consenso piùaffidata alla crescita economica123. Nell’era brezneviana il processo di de-116 Natoli, La fine del modello staliniano, cit., pp. 65-67.117 Hobsbawm, op. cit., pp. 550-552.118 Boffa, Dall’URSS alla Russia, cit., p. 96.119 Bongiovanni, La caduta dei comunismi, cit., p. 38; A. Moscato, Gorbaciov. Le ambiguità della perestrojka, Erre Elle 1990, p. 75.120 Losurdo, op. cit., pp. 77-78. Cfr. Holz, op. cit., pp. 89-92, 126-129.121 Boffa, Dall’URSS alla Russia, cit., pp. 93-94.122 Ch. Bettelheim, Risposta a Paul Sweezy , in Bettelheim-Sweezy, op. cit., pp. 66, 70, 77, 80.123 Cfr. di Leo, Il modello di Stalin, cit., pp. 65, 72; Id., Vecchi quadri e nuovi politici, cit., pp. 58,60.

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ideologizzazione subisce un’altra accelerazione, e prevale “un approccio di tipopragmatico”, ma il passaggio definitivo avviene con Gorbaciov, allorché “ildiscredito dell’ideologia viene stimolato dall’alto”124.

Accanto a ciò, negli anni ’70, si produce una demotivazione espoliticizzazione di massa, e una de-responsabilizzazione verso quello che non

è più percepito come interesse collettivo125. Secondo il Rapporto siberiano(1983), il lavoratore sovietico era “sostanzialmente passivo”, “estraneo aivalori socialisti”, caratterizzato da “indifferenza verso il lavoro, inerzia sociale emarcati orientamenti consumistici”126. Rossanda lega la spoliticizzazione a undeficit di partecipazione e democrazia. Ne segue una “graduale sostituzione diobiettivi e valori privati a quelli ufficiali”, con una fiducia verso le possibilitàmeramente individuali che aumenta mentre diminuisce quella nel sistema127. Sicrea allora un circolo vizioso tra crisi economica ed etica, per cui alla“disillusione verso il sistema” si accompagnano il “deterioramento morale dellavita economica” e il dilagare della corruzione128.

Naturalmente, allorché un sistema di valori entra in crisi, subentrano valorialternativi, che hanno “covato sotto la cenere” o in qualche misura sono statiincoraggiati. Di fatto, nella stessa ideologia sovietica, si era affermata una  prevalenza dell’elemento nazional-patriottico, che da complementare eradiventato sostitutivo129. Secondo Guerra, “il nazionalismo grande russo” eradivenuto, con Breznev, “parte integrante della ‘dottrina’ ufficiale”.Parallelamente, aumentò la “etnicizzazione del discorso politico, culturale edeconomico” delle altre nazionalità, spesso in chiave antisovietica130. Questaduplice tendenza avrà pesanti conseguenze, tanto che l’“ideologianazionalista” è stata definita “il più importante fattore disgregante” l’URSS 131.Dagli anni ’60, inoltre, si ha una diffusione dei valori occidentali, che va di pari

passo con le riforme di Krusciov e di Kosygin: nel momento in cui ci si affida“sempre più al mercato”, ciò significa “fare del profitto il motore principale delprocesso economico e dire agli operai di [...] lavorare duro affinché possanoconsumare di più”, ossia ricreare le basi del “feticismo delle merci” e quindidella “restaurazione del capitalismo”132. In questo senso, Holz parla di un“appiattimento sui modelli del consumismo capitalistico”, per cui “il socialismo[...] si tolse la possibilità d’orientare in modo nuovo le coscienze”, mettendoanzi l’Occidente “in condizione di far penetrare fra le più povere popolazioni deipaesi socialisti attese e richieste” che non potevano essere soddisfatte.

Economicamente più deboli delle metropoli capitalistiche, i Paesi socialisti dovettero, nello

sforzo d’emulazione, perdere sempre più forze, stretti tra il raggiungimento di conquiste sociali124 Guerra, op. cit., p. 145; Zinov’ev, op. cit., p. 76.125 Cfr. Natoli, Le radici di un’alienazione totale, cit., pp. 59-60; Id., La fine del modellostaliniano, cit., pp. 66-67.126 Cfr. Zaslavsky, Storia del sistema sovietico, cit., p. 182.127 Rossanda, È finita un’epoca, la storia continua, cit., p. 42; Ellman-Kontorovich, Overview, cit.,p. 11 (corsivo mio).128 Davies, Il collasso del sistema economico sovietico, cit., p. 8.129 Cfr. Boffa, Storia…, cit., vol. 2, pp. 61, 289; vol. 3, pp. 56, 291; Id., Componente nazionale ecomponente socialista nella rivoluzione russa e nella esperienza sovietica, in AA.VV., Momentie problemi della storia dell’URSS, cit.130 Guerra, op. cit., p. 151; Dragadze, Economics and Nationalism in the Gorbachev Years, inAA.VV., In a Collapsing Empire…, cit., p. 78.131 Ch. Urjewicz, Introduction, in AA.VV., In a Collapsing Empire, cit., p. 6.132 P.M. Sweezy, Dittatura del proletariato, classi sociali e ideologia, in Bettelheim-Sweezy, op.cit , p. 57.

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e culturali da un lato, e l’arrancare dietro modelli produttivi consumistici dall’altro. Il prezzo [...]era la rinuncia a costruire un’alternativa orientata dalla loro visione del mondo [...]. Lepopolazioni reagirono con l’indifferenza e con illusorie aspettative rivolte al capitalismo [...]. Inquesto modo, fu persa nei Paesi socialisti la battaglia per l’egemonia [...]”133.

Anche in questo caso, il salto qualitativo avvenne con Gorbaciov, allorché fuimposta “una vera e propria ‘occidentofilia’”. Alla “ritirata ideologica”, cioè,seguì il   predominio dell’ideologia capitalistica. Per Catone, “nel discorsogorbacioviano” c’è “una forte ambiguità che tende a far slittare [...] la giustacritica dell’amministrativismo in condanna dell’amministrazione, intesa comecontrollo sociale [...] sull’attività economica”, con “una subalternità allinguaggio [...] del thatcherismo”, che diviene “adesione ideologica” nei suoi“più stretti collaboratori economici”134. Dal 1988-89 Gorbaciov iniziò a dire cheil capitalismo “ce l’aveva fatta”, e l’URSS no135. Prevalse allora l’illusione sulle“virtù taumaturgiche del mercato”, e si diffuse un “complesso di inferiorità”verso l’Occidente che preparò il terreno per la “svendita” del 1991 136. L’ultimo

elemento di questa operazione fu la distruzione della memoria e dell’immaginedell’URSS, realizzata in modo sistematico nel 1988-91. L’Ottobre e il leninismofurono “processati davanti a tutto il paese”; quindi si mise sotto accusa tutta lastoria dell’URSS; in questo modo il popolo sovietico veniva “privato del propriopassato”, e alla comprensione della sua storia si sostituiva un continuoprocesso che ne metteva in luce solo gli aspetti peggiori 137. Il PCUS fu messosul banco degli accusati, e con esso il comunismo. D’altra parte, “l’ideologiaufficiale sovietica si scoprì totalmente incapace di difendere i risultati positiviraggiunti dal proprio ordinamento sociale e di criticare le aporie di quellooccidentale [...]”. Ne derivò “un vero e proprio panico ideologico”138.

c) La crisi finale

11. Il ruolo di Gorbaciov e della perestrojkaAbbiamo parlato dei fattori di crisi di lunga durata e di quelli “strutturali”

dell’esperienza sovietica. Ma “le forze e le spinte che dovevano [...] portare allafine dell’Urss sono [...] venute alla luce con la perestrojka” 139. Danilov definisce“la distruzione dell’Unione Sovietica come risultato della nuova ‘rivoluzionedall’alto’” , aggiungendo che la “distruzione del potenziale socialista” esistentein URSS “non era inevitabile”. “Nessun sistema è irriformabile a patto che [...]la trasformazione venga gestita”140. La prima caratteristica della  perestrojka è133

Holz, op. cit., pp. 46-47, 95.134 Cfr. Zinov’ev, op. cit., pp. 72-73; Catone, La parabola di un’idea…, cit., pp. 165-169.135 Cfr. di Leo, Vecchi quadri e nuovi politici, cit., p. 90.136 Moscato, Gorbaciov , cit., p. 156; M. Pivetti, Qualche idea in più sulla crisi del sistemasovietico, “Il Passaggio”, 1991, n. 1, p. 43.137 R.W. Davies, Storia e politica nella “perestrojka”: l’attacco a Lenin e alla rivoluzioned’Ottobre, “Studi storici”, 1991, n. 2,  pp. 258, 273. Nonostante ciò, alla fine del 1990 unsondaggio rivelava che, di fronte ad una nuova rivoluzione d’Ottobre, il 43% degli intervistatiavrebbe sostenuto i bolscevichi e solo il 6% si sarebbe loro opposto; in un altro sondaggio, il59% dava una valutazione “completamente positiva” di Lenin e il 76% si diceva a favore dellesue azioni (S. White, Gorbachev and after , Cambridge University Press 1991, p. 240).138 A. Catone, Fine del Pcus, fine del comunismo? , “A sinistra”, 1991, n. 5, p. 58; Zinov’ev, op.cit., p. 73, 76.139 Zinov’ev, op. cit., p. 194.140 P.V. Danilov, Genesi e dissoluzione del sistema sovietico, “Il Passaggio”, 1992, n. 3, pp. 14,19 (corsivo mio); Id., Intervento al convegno “Unione Sovietica, era riformabile il sistema?”, ivi,1992, n. 4-5, p. 61.

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proprio la mancanza di organicità. “Contrariamente all’approccio comunistatradizionale non c’era un ‘progetto-programma’ da cui derivavano le decisioni[...]”. Gorbaciov attuò riforme “del tutto prive di una efficace capacità diprevisione”, procedendo a “zigzag”141. Questo eclettismo, sotto la veste dellaretorica antidogmatica, nascondeva un preoccupante vuoto politico e teorico.

Altra peculiarità è la  prevalenza della  pars destruens sulla  pars costruens:“l’URSS sembrava estremamente necessitata a ridurre il peso degliarmamenti” e “ottenere [...] ampi crediti dall’Occidente”, ma questi eranovincolati “allo smantellamento del tipo di Stato” e di economia sovietici 142. Insostanza, la  perestrojka implicava il sostegno occidentale, e l’Occidenterichiese pesanti contropartite. I due percorsi si incontrarono nella crescentemondializzazione dell’economia, rispetto a cui l’URSS non voleva essereestraniata e i paesi imperialistici miravano a integrarne lo spazio economico.

Vari autori hanno parlato di due fasi della perestrojka, diverse per contenutie finalità. Catone vede all’interno del gorbaciovismo una tendenza “liberal-borghese” e una “democratico-comunista”, di cui prevarrà la prima: fino al1987 “la  perestrojka viene presentata come   prosecuzione del processorivoluzionario”, ma poi diventa “un’operazione di smantellamento di tutto ilsistema”. Nella prima fase, “non si parla affatto di ‘economia di mercato’ [...]ma di piena applicazione della legge del valore, [...] di estensione dei rapportimercantil-monetari nel socialismo”; la perestrojka è “accelerazione”, passaggio“da un modello di sviluppo intensivo a uno intensivo”. La seconda fase vede un“passaggio di campo teorico” i cui contenuti sono la “destatizzazione”dell’economia, l’avvio di un mercato “regolato”, le privatizzazioni143. Secondo R.di Leo, da un certo momento in poi, Gorbaciov ha “scientemente distrutto unsistema nel quale non si riconosceva più”: egli “nel ’90 non era più comunista

[...]. Era contro il Partito comunista e [...] lo stato sovietico. [...] intendeva ‘fare’un altro stato, un altro sistema politico, un altro sistema economico”; perciò“ha distrutto consapevolmente i due baluardi del sistema sovietico, ossia ilpiano e il partito”144. Lo stesso Gorbaciov lo conferma145. Altri autori inveceparlano di fallimento della  perestrojka, evidenziandone limiti involontari einadeguatezza strutturale, oltre all’inadeguatezza soggettiva del gruppodirigente146. Scrivono Ellman e Kontorovich:

Il sistema sovietico è stato abbattuto in misura considerevole dagli atti dei suoi massimidirigenti [...]. Il collasso economico è stato in parte un involontario sottoprodotto deicambiamenti politici introdotti da Gorbaciov [...]. Di fatto egli rimosse la forza che aveva spinto

141 di Leo, Rex destruens, cit., p. 19; R. Medvevev, Politics after the Coup, “New Left Review”,1991, n. 189.142 Catone, Le ‘teorie critiche’ al vaglio degli eventi…, cit., p. 55. Cfr. di Leo, Rex destruens, p.10.143 Cfr. Catone, La parabola di un’idea: 1985-1990, cit., pp. 194, 155-164; op. cit., pp. 232-237;1985-1991. Come si distrugge del tutto il socialismo: le basi borghesi della perestroikagorbacioviana, in AA.VV., '89, la lente di Marx , [Roma 1991], pp. 14-19.144 R. di Leo, La svolta socialdemocratica di Gorbaciov , “A sinistra”, 1992, n. 5, pp. 27-28;Vecchi quadri e nuovi politici, cit., p. 100.145 “Nel 1985 ero ancora sicuro che questo sistema potesse essere migliorato, ma poi [...] misono finalmente convinto che [...] le riforme non sarebbero potute partire se non si smantellava[...] tutto il sistema” (M.S. Gorbaciov, Dicembre 1991. la fine dell’URSS vista dal suo presidente,Ponte alle Grazie 1992, p. 150).146 Su questa posizione è sicuramente Boffa (Dall’URSS alla Russia, cit., p. 176 e passim).

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in avanti l’economia sovietica nei decenni precedenti (ossia la pressione dall’alto), senzasostituirla adeguatamente147.

  Tra i limiti della  perestrojka, c’è pure l’esiguità della sua base sociale.Allorché Gorbaciov provoca la rottura del “contratto sociale brezneviano” , si

crea una vera e propria “frattura tra classe operaia e partito”148

. A ciò siaggiunse il mancato sostegno dell’intelligencija, che si diresse sempre piùverso i “radicali”, e usò “le sue nuove posizioni nei media per lanciare violentiattacchi contro il sistema”. In generale, la glasnost’  fu “la cassa di risonanzadel fallimento della perestrojka”149.

Il punto centrale resta comunque quello degli effetti delle riformeeconomiche, più volte analizzato da A. Catone: dalla legge sull’impresa statale,che ne aumenta l’autonomia anche per la formazione dei prezzi, provocandoinflazione e “una situazione di anarchia”; all’abolizione del monopolio stataledel commercio estero, per cui le aziende possono “negoziare direttamente conimprese straniere”, il che accentua le speculazioni; all’“autofinanziamento

delle repubbliche”, che implica l’emissione di diverse valute, e dunque il caosfinanziario, e lo stravolgimento del “piano quinquennale centrale”. Intanto, ladisgregazione del blocco orientale produce la “rottura dei rapporti economicidel COMECON”. Il gruppo dirigente gorbacioviano decide allora l’aumento delleimportazioni di beni di consumo e un “ampio ricorso al credito estero”, cheaggrava il deficit finanziario. Il paese è sempre più “ostaggio dei creditistranieri”, mentre nelle  joint-ventures il capitale straniero può detenere laproprietà. Nel ’90, la legge sulla proprietà avvia la privatizzazione delpatrimonio produttivo, e compare la disoccupazione. Intanto è autorizzata lanascita di banche private, che incidono “negativamente sull’economiasovietica”. Infine i prezzi continuano ad aumentare, e si diffonde il dollaro“come moneta corrente”: ne derivano la ‘dollarizzazione’ dell’economia e una“spirale iperinflazionistica”. Di fronte a tutto ciò, osserva Catone, occorreparlare non solo di “fallimento” delle riforme, ma anche dei loro “effetti perversi”. Si è trattato di una “rottura ingovernata del precedente meccanismodi pianificazione”, per cui, pur essendo l’economia sovietica già in difficoltà, lacrisi che ha messo in ginocchio l’URSS è la diretta conseguenza della perestrojka. “È così che si fa strada l’idea di ‘passare al mercato’” 150. ScriveDaniels:

In economia, Gorbacëv ha cercato di riformare troppo e troppo in fretta, mettendo fine al

controllo centralizzato invece di fare in modo che operasse in modo più razionale [...]. È statomolto irrealistico prendere a modello il mercato capitalistico ed è stato anche anacronisticocercare di abolire il meccanismo di centralizzazione, che riflette invece lo spirito di fondodell’economia moderna [...]151.

147 Ellman-Kontorovich, Overview, cit., p. 7.148 Catone, Fine del Pcus, fine del comunismo?, cit., p. 56. Cfr. E. Teague, I lavoratori sovietici difronte alle riforme, in AA.VV., Riformismo o comunismo…, p. 109; L.J. Cook, Brezhnev’s “SocialContract” and Gorbachev’s Reforms, “Soviet Studies”, 1992, n. 1.149 M. Lewin, Gorbacëv e l’essenza della perestrojka, “Il Passaggio”, 1991 n. 4-5, p. 10;Medvevev, Politics after the Coup, cit.; Bongiovanni, op. cit., pp. 164-167.150 Catone, 1985-1991. Come si distrugge del tutto il socialismo…, cit., pp. 9-16; La crisidell’economia sovietica, “Marx 101”, febbraio 1991, pp. 68-72 (corsivi miei); op. cit., pp. 234-237, 194.151 R.V. Daniels, “Federalismo o barbarie”. Conversazione sulla dissoluzione dell’UnioneSovietica, “Il Passaggio”, 1992, n. 4-5, p. 62.

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L’altro elemento decisivo del fallimento della  perestrojka sta nelle riformepolitiche e istituzionali, e dunque nella disgregazione del PCUS  e dello Statosovietico. Anche la riforma politica ha avuto due fasi: la prima (1986-88) hal’obiettivo di “democratizzare il Partito” e lo Stato, mentre la seconda (1988-91) mira a una “riforma complessiva delle istituzioni”, col “passaggio di

consegne dal Partito allo Stato”. La società sovietica viene mobilitata “contro ilPartito”: si incoraggiano “associazioni informali” e ‘fronti popolari di appoggioalla  perestrojka’. Alla XIX Conferenza, Gorbaciov propone il “trasferimentodell’attività legislativa dal Partito allo Stato”. I Dipartimenti del CC, suastruttura portante, sono dimezzati, mentre Segreteria e Politburo vengonoriuniti sempre più di rado; tutto ciò indebolisce il Partito, che giunge alleelezioni per il Congresso dei deputati del popolo in difficoltà, subendo graviinsuccessi. “Il trionfo del parlamentarismo e la contemporanea crisi del Partitosconvolgono l’intera struttura d’autorità del potere sovietico”; “viene amancare al centro un organo capace di prendere decisioni [...] nei momenti dicrisi”, i quali non mancano. Gorbaciov allora propone l’abrogazione dell’art. 6della Costituzione, ossia l’abbandono del monopartitismo152. R. di Leo haparlato di battaglia ‘anti-partito’ e “iniziative ‘suicide’”: Gorbaciov “riconobbeche il partito era il sistema. Se voleva cambiare il sistema [...] lo dovevaspogliare delle sue prerogative [...]”. Con l’abolizione dei Dipartimenti, “ilpartito fu messo [...] fuori dalle stanze del potere”. Venne così a cadere anchel’altro pilastro (oltre al piano) che reggeva il sistema. Nei mesi successivi, lamaggior parte dei dirigenti economici “non obbediva più a nessuno”: allaperdita di potere del Partito infatti non era corrisposto un rafforzamento dellestrutture statali, ma al contrario la totale perdita di autorità e credibilità diqueste ultime. Ne derivò uno “stato di ingovernabilità e di degrado

dell’economia”153

. “Liquidare il monopolio di potere del PCUS” era stato come“eliminare il monopolio dell’encefalo nel sistema nervoso”. I destini del PCUS edell’URSS erano intrecciati, e “il crollo dell’uno è diventato inevitabilmente ilcrollo dell’altro”154.

La terza conseguenza della  perestrojka fu lo sgretolamento del “blocco” sovietico. Il crescente disimpegno sovietico nell’est europeo produsse una forteinstabilità politica, a partire dai paesi dove più decisi erano stati i passi verso ilmercato. Si innescò così un “effetto-linkage”, che dall’“anello debole” (laPolonia) si propagò agli altri Stati, e infine all’URSS. Gorbaciov e Shevarnadzefavorirono lo smantellamento del blocco socialista senza chiedere “un analogoprovvedimento da parte della NATO”, anzi accettando che la Germania unita

facesse parte dell’Alleanza atlantica155. Fu insomma “una ritirata unilaterale”,che peraltro “incoraggiò” le repubbliche baltiche separatiste, per cui c’è unarelazione diretta tra crollo del Muro di Berlino e crollo dell’Unione Sovietica156.Si evidenziò inoltre una subalternità all’Occidente: per Brzezinski,

152 Massari, La grande svolta, cit., pp. 24-25, 73-75, 81-83, 92-102, 114, 117, 123-128.153 Cfr. di Leo, La seconda NEP, cit., p. 250; Vecchi quadri e nuovi politici, cit., pp. 82-83, 100,132-135; Il Pcus dal potere all’ostracismo, pp. 84-86; La svolta socialdemocratica di Gorbaciov ,pp. 27-28.154 Zinov’ev, op. cit., p. 35; Guerra, op. cit., p. 202; Id., Intervento al convegno “UnioneSovietica, era riformabile il sistema?”, “Il Passaggio”, 1992, n. 4-5, p. 51.155 Lavigne, op. cit., pp. 96 e sgg.; F. Argentieri, Postscriptum, in AA.VV., La fine del bloccosovietico, Ponte alle Grazie 1991, pp. 226-233.156 L. Cortesi, Le ragioni del comunismo, Teti 1991, p. 140; T.G. Ash, Le rovine dell’impero.Europa centrale 1980-1990, Mondadori 1992, pp. 232, 374, 409.

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nell’unificazione della Germania, Gorbaciov fu “manipolato” da Bush e Kohl 157.Nel campo degli armamenti, accettò l’“opzione zero” proposta da Reagan, “unaposizione negoziale talmente favorevole agli Stati Uniti da essere considerata[...] propagandistica”158. Ma la subalternità si avvertì pure in politica interna, ein particolare nella richiesta di quei crediti occidentali che condizionarono

fortemente il processo di riforma. In questo senso,  politica estera e internadella perestrojka sono due facce della stessa medaglia, accomunatedall’accantonamento di una visione antagonistica della situazione mondiale infavore dell’illusione dell’“interdipendenza” e degli “aiuti” occidentali159. Anchesul piano ideologico e politico, gli USA divennero un “punto di riferimento”.Avvenne cioè non una “convergenza”, ma la “conversione di un sistemanell’altro”160.

Nel 1990-91, si delineò infine una subalternità a Eltsin e ai “democratici”,con cui Gorbaciov iniziò a collaborare per ‘accelerare la transizione’ almercato161. Inoltre, negli incontri per il nuovo Trattato dell’Unione, Gorbaciov“accolse la richiesta di Eltsin” di includervi l’“ingresso diretto degli introititributari nel bilancio delle repubbliche”, accettando anche “di mettere sotto lagiurisdizione della Russia tutte le imprese [...] sul suo territorio”. “Si tratta insostanza del trasferimento del potere economico” dall’URSS alla Russia162. CosìGorbaciov ricostruisce il dialogo con Major poco prima dello scioglimentodell’Unione Sovietica: “Diamo appoggio a Eltsin, [...] dato che la cosa ciriguarda tutti [...]. Eltsin punta con determinazione sull’economia mista,sull’iniziativa e la creazione del mercato [...]. ‘Per me è chiarissimo’ risposeMajor”163. L’esito della  perestrojka è stato dunque il riassorbimento dell’URSSnel sistema capitalistico. Secondo Catone, tutta la sua seconda fase va verso lacancellazione dell’“anomalia” sovietica e l’“integrazione nel mercato

capitalistico mondiale” in posizione subalterna164

. In tal senso, il gorbaciovismoha contribuito a segnare la fine di una fase storica, lasciando libero il campo amondializzazione capitalistica e “Pensiero unico”.

12. Il problema delle nazionalità e l’esplosione dei nazionalismi Altro elemento determinante nel crollo dell’URSS è l’esplosione delle

nazionalità, che ha reso il processo di disgregazione capillare e incontrollabile.Anche il problema delle nazionalità è figlio di una realizzazione, ossia della lorocostruzione durante il periodo sovietico. Già nei primi anni post-rivoluzionari,furono codificate almeno 70 lingue, cosicché a vari popoli fu dato un idiomascritto che non avevano165. Inoltre si garantì “tutta l’autonomia locale che le

nazioni stesse erano in grado di sostenere”, mentre “una politica economica157 Cfr. Boffa, Dall’URSS…, cit., p. 252; Brzezinski, The Cold War and Its Aftermath, cit.158 Pinzani, op. cit., pp. 445-446. L’opzione zero prevedeva la rinuncia americana ai Pershing 2 elo smantellamento dei missili sovietici SS20, SS4, SS5, e dunque il mantenimento di una fortesuperiorità degli armamenti USA.159 Cfr. Massari, op. cit., p. 164; Janos, Social Science, Communism, and the Dynamics of  political Change, cit.; F. Bettanin, La disgregazione dell’Unione Sovietica, in AA.VV., Riformismoo comunismo…, cit., p. 213.160 P. Anderson, L’agosto di Mosca, “Le Nuvole”, 1992, n. 2, p. 20; Brzezinski, The cold war…,cit.161 Hill, Il dominio del partito in Unione Sovietica, in AA.VV., Come cambiano i partiti, Il Mulino1992, p. 74; Massari, op. cit., p. 162.162 A.I. Lukianov, Il golpe immaginario. Da Gorbaciov a Eltsin: la congiura, Napoleone 1994, pp.59-60; Catone, op. cit., p. 354.163 Gorbaciov, Dicembre 1991…, cit., p. 114 (corsivi miei).164 Cfr. Catone, Stato e democrazia…, p. 67; 1985-1991. Come si distrugge…, cit., pp. 17-19.

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diretta all’industrializzazione di zone sempre più vaste andava preparando lecondizioni d’una più concreta uguaglianza futura”. Si ebbe così “l’edificazionenazionale, e [...] la formazione di un’identità etnica” per molti popoli, edemersero “in ogni repubblica le precondizioni per un’esistenzaindipendente”166.

L’URSS era “uno dei Paesi più multinazionali e polietnici del mondo”167. Levarie “unità territoriali” prendevano il nome dal popolo ivi presente in misurapiù numerosa (la nazionalità “titolare”). Su circa 120 nazionalità, però, solo 46erano “titolari” di qualche territorio; inoltre, gli appartenenti alle varie etnienon vivevano tutti nel “proprio” territorio, per cui circa il 25% della popolazioneera nella condizione di nazionalità non titolare168. C’era una differenza di dirittitra nazionalità titolari e non titolari: le prime avevano un trattamentoprivilegiato nell’uso della lingua materna, e nell’“accesso all’istruzionesuperiore, alle professioni e alle posizioni manageriali e amministrative”,regolamentato da un sistema di “quote”, il che suscitava il malcontento diminoranze e “popoli senza territorio”169. Un altro problema stava nelledifferenze di livelli di sviluppo tra le varie repubbliche. I notevoli risultaticonseguiti dal potere sovietico le attenuarono fortemente, ma non leeliminarono170. Si attuò una modernizzazione su vasta scala, trainata dallenazionalità più avanzate, e innanzitutto dai russi; ma questo aprì la questionedella “russificazione” delle nazionalità. In realtà, occorrerebbe parlare di status  privilegiato dei russi nell’economia e nella politica, oltre che nell’uso dellalingua. Quanto ai rapporti economici tra le repubbliche, vari autori parlano diun “colonialismo interno”; ma di fatto “le repubbliche non russe [...]beneficiavano di risorse economiche [...], investimenti, prodotti industriali”,operai specializzati russi: si trattava cioè di uno “strano impero”, in cui le

risorse andavano “dal centro alla periferia”171

.Altro aspetto della questione delle nazionalità fu lo sviluppo dei  localismi edei particolarismi, connessi a loro volta al “mutamento dei rapporti di forza fracentro e periferia intervenuto [...] negli anni di Breznev”, per cui l’URSS avevacominciato a dividersi in “mille e mille ‘feudi’” ciascuno dei quali “sottopostoalle sue autorità locali” più che al potere centrale. Il consolidamento delle élites

165 J. Bromlej, I problemi nazionali in URSS, Edizioni Progress 1991, pp. 15-16; S. Salvi, LadisUnione Sovietica. Guida alle nazioni della non Russia, Ponte alle Grazie 1990, p. 19.166 E.J. Carr, La rivoluzione bolscevica (1917-1923), Einaudi 1964, pp. 366-367; V. Zaslavsky,L’eredità della politica etnica sovietica, “Il Mulino”, 1991, n. 2, p. 272.167 Essa comprendeva più di 100 etnie, con “più di 130 lingue” diverse; il popolo più numeroso

erano i Russi (137 milioni su 287). Dal punto di vista politico, esistevano 53 “unità territorialinazionali”, divise in 4 livelli di sovranità: 15 repubbliche federate; al loro interno 20 repubblicheautonome, 8 regioni autonome, e 10 distretti nazionali.168 A.M. Salmin, Political Self-Determination of Nations and Nationalities in the USSR: from 1922to Perestrojka, in AA.VV., In a Collapsing Empire, cit., pp. 46, 48; Bromlej, I problemi nazionaliin URSS, cit., p. 22.169 A.B. Zubov, Distinctive Features of the Multinational Nature of the USSR and the Problem of the Political Representation of Nationalities, in In a Collapsing Empire,  cit., pp. 58-59;Zaslavsky, L’eredità…, cit., p. 268-271; Id., Dopo l’Unione Sovietica. La perestrojka e il problema delle nazionalità, Il Mulino 1991, pp. 19-20, 27-28; La Russia senza soviet , Ideazione1996, pp. 124, 127.170 Cfr. Bromlej, op. cit., pp. 129 e segg.; A. McAuley, The Central Asian economy in comparative perspective, in AA.VV., The disintegration of the Soviet system, cit., pp. 144-145; G. Bensi,Nazionalità in URSS. Le radici del conflitto, Xenia 1991, pp. 109-111.171 Cfr. Buttino, Introduction, cit., p. 252; Bensi, Nazionalità in URSS…, cit., pp. 111-112; R.G.Suny, Incomplete Revolution: National Movements and the Collapse of the Soviet Empire, “NewLeft Review”, 1991, n. 189

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locali, legate al potere politico e all’economia parallela, fu un fattore “nontrascurabile” della ripresa nazionalistica172. Storicamente queste élites siformarono a partire dai membri della nazionalità titolare che conoscevano ilrusso e fungevano da elemento di mediazione. Ne derivò un “nazionalismo [...]della ‘élite’ burocratica locale, in alleanza con i caporioni dell’‘economia

sommersa’”, che usava la difesa degli interessi locali “per esercitare unapressione sul centro al fine di ricevere risorse” e “privilegi”173. Si ebbe così unosviluppo di etnocentrismi  e nazionalismi  di varia specie. I leaders dellerepubbliche non russe puntarono sulla “valorizzazione del sentimento, dellastoria, [...] dei costumi” dell’etnia titolare, per allargare la propria base diconsenso. D’altra parte, rinasceva un nazionalismo russo, slavofilo ooccidentalista174. Alla fine degli anni ’60 compaiono le prime agitazioninazionalistiche in Uzbekistan, Tagikistan, Estonia, ecc.175.

Dunque vari problemi erano già presenti prima di Gorbaciov, ma non si eranomanifestati in quella esplosione dei nazionalismi che invece caratterizzò la perestrojka, allorché la “tensione generale” “polarizz[ò] il sentimento popolarelungo linee etniche”. Fattore scatenante fu la sopraggiunta crisi economica, ela conseguente riduzione delle risorse disponibili176. In particolare nellerepubbliche più arretrate, si aprì una “competizione tra i diversi gruppinazionali destinata a degenerare in esplosiva rivalità”177. D’altra parte, la lotta per il controllo delle risorse si svolse anche tra centro e repubbliche, attraversola maggiore autonomia che queste reclamavano – e ottenevano – in campofiscale ecc. La recriminazione per la quota di reddito nazionale “sottratta” dalloStato divenne un luogo comune dei nazionalismi, a partire dal “nazionalismorusso antisovietico”178. Nel caso delle repubbliche più ricche – quelle baltiche inprimis –, le istanze separatistiche furono dunque frutto di spinte egoistiche più

che di una “oppressione” da parte dello Stato centrale. Il nazionalismo erafunzionale ad una transizione all’economia di mercato ritenuta possibile soloper le zone più avanzate. In questo senso, “ il separatismo e la transizione almercato sono strettamente legati”179. L’autofinanziamento delle repubbliche,poi, fu dirompente, spingendole “al particolarismo” e all’isolamento, econtribuendo alla disarticolazione del sistema economico180. Nel ’90 arrivano ledichiarazioni di sovranità di repubbliche baltiche e Georgia, cui segue la Russia,e poi altre nove repubbliche. Per mesi si combatte una ‘guerra di leggi’ tra

172 Guerra, Il crollo…, cit., pp. 198-199 (corsivo mio); di Leo, Vecchi quadri…, cit., p. 52; Boffa,Dall’URSS…, cit., p. 129.173

Buttino, General Introduction, cit., pp. XXV-XXVII; Introduction, cit., pp. 252-253; Bromlej, op.cit., p. 96, 138.174 Cfr. Boffa, Dall’URSS…, cit., pp. 107-108, 124-125; M. Geller, A. Nekric, Storia dell'URSS dal1917 a Eltsin, Bompiani 1984, pp. 764-765; Zaslavsky, Dopo l’Unione Sovietica, cit., pp. 84-85.175 Salvi, La disUnione Sovietica…, cit., pp. 174, 181-182, 192-193, 203, 216; Geller-Nekric,Storia dell’URSS, cit., pp. 764-765.176 Cfr. Salmin, Political Self-Determination…, cit., p. 48; Boffa, Dall’URSS alla Russia, cit., pp.235, 288.177 M. Buttino, Dall’Unione Sovietica alla Comunità di stati indipendenti , “I viaggi di Erodono”,1991, quaderno 4, pp. 114-115. Vedi il conflitto tra armeni e azeri per il Nagornyi Karabach.178 Peregalli, La parabola…, cit., p. 82; Boffa, Dall’URSS…, cit., pp. 235-236; Catone, op. cit., pp.243-248, 350-356.179 Cfr. Zaslavsky, Dopo l’Unione Sovietica, cit., pp. 111-113 (corsivo mio). Non a caso, iprogrammi dei “Fronti popolari” baltici legavano prevedevano come basi del sistemaeconomico la proprietà privata e il mercato, con la trasformazione di tutte le aziende statali ecollettive in società per azioni (Bensi, op. cit., pp. 181, 185).180 Catone, op. cit., p. 242; La crisi dell’economia sovietica, cit., p. 73.

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governo sovietico e repubbliche (che insistono sul controllo di tasse e risorse),che logora ulteriormente il potere centrale181. I mancati versamenti fiscaliprovocano un enorme deficit del bilancio, e le banche di Stato sono “sull’orlodella paralisi per la perdita di controllo sulle filiali”182. Tuttavia a marzo unreferendum che chiede di tenere in vita un’Unione riformata, pur col rifiuto a

parteciparvi di repubbliche baltiche, Georgia e Moldavia, registra un grandesuccesso del sì (76.4%), che permette di avviare i negoziati per un nuovo Trattato dell’Unione183. Ma Russia, Ucraina, Bielorussia e Kazachstan stanno giàlavorando alla creazione della Confederazione di Stati indipendenti.

13. Il ruolo di Eltsin e dei “democratici”Veniamo infine al ruolo dei radicali e al “fattore Eltsin” . Eltsin “fu il solo

nell’élite al potere a concepire l’idea radicale di staccare la Russia dall’UnioneSovietica”; “fu il primo a rendersi conto che le regole del gioco eranocambiate” a seguito dell’indebolimento del potere centrale, e “ad agire diconseguenza, provocando una rottura [...] irreversibile nell’equilibrio politicodel paese”. Conquistatasi popolarità a buon mercato da segretario regionalecon le denunce dei privilegi della nomenklatura cui apparteneva, Eltsin erastato chiamato a Mosca da Gorbaciov come segretario cittadino del PCUS 184.Entrato in conflitto col Politburo, si dimise con uno scontro pubblico conGorbaciov, che fu “il primo duro attacco al segretario”: pur presentandosi comeil ‘kamikaze della  perestrojka’, “quella che El’cin aveva abbozzato era già unapiattaforma politica contrapposta” a quella gorbacioviana185. Eletto deputatodell’URSS ancora grazie a un approccio “apertamente populista”, e mortoSacharov, Eltsin rimase il leader  dell’opposizione; nel ’90 fu eletto nelParlamento russo e poi presidente del Soviet supremo russo. Fu l’inizio di un

vero e proprio dualismo di poteri186

. Dimessosi dal PCUS, cominciò la “guerradei decreti” con lo Stato centrale, privandolo della giurisdizione sulla suarepubblica più importante. Eletto presidente della Repubblica russa, il“dualismo di poteri” compì un salto di qualità; la RSFSR prese ad agire comeuno ‘Stato ombra’, “una sorta di azionista che controllava la quota dimaggioranza dell’Unione” e la usava contro quest’ultima187.

L’alleanza strategica con separatisti e nazionalisti fu l’arma vincente deiradicali russi, che strinsero “un’alleanza con le altre repubbliche percostringere il ‘centro’ a cedere”188. Il nesso tra separatismo e passaggioall’economia di mercato è il nucleo di tutta la loro azione. Come riconosce

181

Cfr. Salvi, op. cit., pp. 204; Suny, art. cit.; R. Pipes, The Soviet Union Adrift , “Foreign Affairs”,1991, n. 1.182 Cfr. M. Mandelbaum, Coup del grace: the end of the Soviet Union, “Foreign Affairs”, 1992, n.1.183 Cfr. Boffa, Dall’URSS…, cit., p. 295; Zaslavsky, Dopo l’Unione Sovietica, cit., pp. 123-127; A.Salmin, Tra vecchio e nuovo federalismo, in AA.VV., Riformismo o comunismo…, cit., pp. 202-204.184 V. Solovyov, E. Klepikova, Corvo bianco, Biografia di Boris Eltsin, Baldini&Castaldi 1992, pp.32-33, 40.185 Ivi, pp. 70-73 e segg.; Boffa, Dall’URSS alla Russia, cit., pp. 211-214; Pinzani, op. cit., p. 543.186 Solovyov-Klepikova, Corvo bianco…, cit., pp. 103, 118-125, 130-133, 141-146, 205-208, 235-236; G. Popov, La svolta. Oltre la perestrojka, Ponte alle Grazie 1991, p. 12.187 Solovyov-Klepikova, op. cit., pp. 266, 280, 301-305; di Leo, Vecchi quadri…, cit., pp. 120-121;E. Melchionda, La chance del presidenzialismo, in AA.VV., Riformismo o comunismo…, cit., pp.279-280; Salmin, Tra vecchio e nuovo federalismo, cit., pp. 199-200.188 G. Popov,  Agosto 1991, Introduzione a G. Chiesa, Da Mosca. Cronaca di un colpo di Statoannunciato, Laterza 1993, p. 7.

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Zaslavsky, “Eltsin cerca[va] una strategia per sincronizzare la dissoluzionedell’Unione Sovietica con l’introduzione delle riforme di mercato nellaRepubblica Russa”. Non a caso, fa votare la Dichiarazione sulla sovranitàstatale della RSFSR, collegandosi al movimento separatista baltico estimolando dichiarazioni analoghe in altre repubbliche. In questo modo, la

RSFSR veniva separata dal centro; per Hobsbawm, “nel trasformare la Russia inuna repubblica come le altre, Eltsin favorì di fatto la disintegrazione dell’Unione[...]”189. All’inizio del ’91, Russia democratica e vari fronti nazionalisticostituiscono il blocco “Congresso democratico”, finalizzato allo‘smantellamento’ dell’URSS, da sostituirsi con una nuova “Comunità di Stati”190.Eltsin aggiudica alla Russia anche il monopolio del commercio estero, privandolo Stato centrale di un altro strumento decisivo. Mentre partecipa ai negoziatiper il Trattato dell’Unione, continua a promuovere accordi separati tra lerepubbliche191.

Si giunse così al cosiddetto “golpe” dell’agosto 1991, che provoca il“definitivo sfaldamento” dell’Unione Sovietica192. Da esso infatti Eltsin e i suoitraggono un ottimo pretesto per portare fino in fondo la distruzione del PCUS edell’URSS193. Tutto ciò a due giorni dalla prevista firma del nuovo Trattatodell’Unione. Il mantenimento di un “centro” autorevole aveva allarmato iradicali. “A quel punto – scrive il “democratico” Popov – il ‘processo’ richiedeva un intervento chirurgico radicale”; “i conservatori [...] cercarono diarrivare prima di noi”. Il che significa – osserva Chiesa – che “se i golpisti nonavessero preso l’iniziativa ad agosto, i ‘democratici’ avrebbero fatto il lorogolpe in autunno”194. Ciò che accadde in quei giorni è ancora poco chiaro. Insostanza, alcune tra le più alte cariche dello Stato intimano a Gorbaciov diproclamare lo stato d’emergenza, costituendosi in “Comitato per lo stato

d’emergenza”195

. Come evidenzia Catone, il Comitato insiste soprattutto sulla“salvaguardia dell’integrità territoriale [...] e dell’indipendenza economicadell’URSS”; cerca di “subordinare le repubbliche al centro mettendo fine alla‘guerra delle leggi’”196. Quanto alla presunta reazione popolare, in realtà larisposta delle masse fu di “assoluta indifferenza”. La “difesa della Casa Bianca”fu “un’attività compiuta per pura forma”, in un’atmosfera tranquilla; “il popolo,almeno a Mosca, non c’era affatto”. C’erano invece i “nuovi ricchi”, “operatoridi borsa, grossisti, agenti di cambio”: “i rappresentanti di quella criminaleeconomia da tempo in azione”, che era il principale referente sociale deiradicali197. Il tentativo fallì. La passività delle masse e degli stessi apparati,l’indebolimento e la disarticolazione dello Stato favorirono i radicali. Secondo

189 Zaslavsky, Dopo l’Unione Sovietica, cit., pp. 115-116; Hobsbawm, op. cit., p. 564.190 E. Melchionda, Il cammino della rappresentanza, in di Leo (a cura di), Vecchi quadri e nuovi politici, pp. 201-202; Lukianov, Il golpe immaginario…, cit., p. 52.191 Melchionda, La chance…, cit., p. 281; Zaslavsky, Dopo l’Unione…, cit., pp. 123, 126-127;Lukianov, op. cit., p. 52.192 M.L. Salvadori, La parabola del comunismo, Laterza 1995, p. 58; Ligaciov, L’enigmaGorbaciov , cit., p. 5.193 A. Catone, Radiografia del golpe, in AA.VV., ’89, la lente…, cit., p. 19; Il colpo c’è stato, “Lacontraddizione”, 1991, n. 26, p. 20.194 Popov,  Agosto 1991, cit., pp. 8-9; G. Chiesa, Da Mosca. Cronaca di un colpo di Statoannunciato, cit., p. 90. Corsivi miei.195 Boffa, Dall’URSS…, cit., pp. 309-310; M.S. Gorbaciov, Il golpe di agosto. Che cosa è successo,che cosa ho imparato, Milano 1992, pp. 19-21; Lukianov, op. cit., pp. 21-22.196 Cfr. Catone, Radiografia del golpe, cit., pp. 21, 24-26; Il colpo c’è stato, cit., pp. 10, 13-15.197 F. Pellizzi, Tre giorni ad agosto. Cronaca di un golpe, “Il Mulino”, 1991, n. 5, pp. 791-798;Lukianov, op. cit., pp. 99-100.

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Romano, i membri del Comitato fallirono “proprio perché non fecero un ‘colpodi Stato’ [...]”. Avvenne invece il “colpo di Stato di Eltsin”, “che portò alladisgregazione dell’Unione Sovietica”198. “La fine del colpo segnò la fine delPCUS e dell’URSS. [...] Il governo russo prese de facto il controllo”.  Il primoministro russo Silaev assunse il comando dell’Unione e “ne seguì la tendenza

ad abbinare le cariche ministeriali della Russia e dell’Urss”, sovrapponendo leprime alle seconde199. La distruzione del PCUS fu il primo effetto dei fatti diagosto. L’ultimo atto sarà infine realizzato nel dicembre del 1991, allorché conun altro colpo di mano si provvide allo scioglimento illegale dello Statosovietico. Tutto ciò con il sostegno attivo e fra gli applausi dell’Occidente.

198 S. Romano, Riflessioni scettiche sulla quarta rivoluzione russa, “Il Mulino”, 1991, n. 5, pp.803-804; Lukianov, op. cit., p. 5.199 Cfr. The End of an Empire, “Strategic Survey”, 1991-92; Popov, Agosto 1991, cit., p. 20.