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 Facoltà di Architettura Valle Giulia Corso di Laurea AR Corso di Te ori e e tecnich e costruttive nel loro svilup po storico Giorgio Monti Silvia Alessandri A.A. 2007-2008 Ce nni stor ici  A p p un ti tr a tt i d a La Scienz a delle Costruzioni” di Edoardo Benvenuto  Dispensa ad uso interno

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Facoltà di ArchitetturaValle Giulia

Corso di Laurea AR

Corso diTeorie e tecnichecostruttivenel loro sviluppostorico

Giorgio Monti

Silvia Alessandri

A.A. 2007-2008

Cenni stor ici Appunti tratti da“ La Scienza delle Costruzioni”di Edoardo Benvenuto

 Dispensa ad uso interno

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Indice

1. Periodi ellenico e romano

•  Aristotele•  Archimede•  I meccanici alessandrini: Erone e Pappo

•  Vitruvio

2. Lo sviluppo dei concetti statici e meccanici nel Medioevo

3. Il Rinascimento

•  Leonardo da Vinci•  Galileo

4. Archi, volte, cupole

•  Cognizioni scientifiche sulle strutture voltate prima del XVIIIsecolo

•  Le prime teorie statiche sull’arco in muratura•  Le due memorie di Claude A. Couplet•  La cultura scientifica italiana•  Gli ulteriori sviluppi nel secolo XIX

5. La scienza delle costruzioni durante la rivoluzione industriale•  La rivoluzione industriale•  Edifici civili•  Il ferro nella costruzione dei ponti•  Le grandi coperture e le esposizioni universali

6. L’ingresso del calcolatore

•  Mutamenti linguistici•  Uso del calcolatore•  Il metodo degli elementi finiti

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1. Periodi ellenico e romano

1.1.Aristotele

•  Autore della Fisica, della  Metafisica e di importanti opere di etica, politica eretorica (384 – 322 a.C.)

•  Fondò nel 335 a.C. ad Atene il celebre “Liceo”. 

• 

Concepì la fisica come uno studio qualitativo dei fenomeni naturali•  Nella sua  cosmologia  la Terra, posta al centro dell’Universo, risultava

composta da quattro elementi:  terra, acqua, fuoco e aria, dotati di motorettilineo e discontinuo. I corpi celesti (sole, pianeti e stelle) costituiti di

etere, possedevano moto circolare e continuo e ruotavano su sfereconcentriche.

•  La concezione aristotelica della meccanica fu presente in tutto il pensieroscientifico successivo per più di un millennio

•  Nel XIII secolo la fisica aristotelica divenne il fondamento dell’istruzione

universitaria.

•  Ben poco è rimasto oggi della meccanica aristotelica, ma tutti sanno quanto siastato lungo e difficile il combattimento della nuova scienza – dal XVI sec. in

 poi – per smuovere uno a uno i grandi assiomi, supportati da un rigidoargomentare intessuto metafisicamente, che erano divenuti modo comune di

 pensare e di guardare.•  Lo spirito con cui Aristotele si accosta ai concetti ed ai temi fondamentali

della fisica è molto diverso da quello che esiste oggi nella ricerca, non tanto per le soluzioni offerte o per le ipotesi avanzate, ma per le domande che egli si pone, per il tipo di problemi che egli ritiene meritevoli di attenzione.

•  La sua fisica non ha affatto un corrispondente, uno sviluppo, una

integrazione nella fisica moderna, ma piuttosto nel concetto di  filosofia

 della natura che Aristotele esprime pienamente nei suoi 8 libri della Fisica,nel Trattato sul Cielo , ed altri, oltre che nelle  opere metereologiche e

 biologiche 

•  I primi sei libri della  Fisica  riguardano temi e aspetti soprattutto dal

punto di vista filosofico, come la natura dell‘essere corporeo, composto di

 materia e di forma, la dottrina delle quattro cause (efficiente, finale, formale

e materiale), la soluzione dei paradossi zenoniani sullo spazio, il tempo, il

 moto. 

•  Gli ultimi due libri indagano sulla causa ultima del movimento. Il trattato

stabilisce, infatti, il noto principio secondo il quale tutto ciò che è mosso, è

 mosso necessariamente da qualcos’altro.

•  Il “ principio della causalità” intorno al quale ruoterà tutto il pensierofilosofico e scientifico occidentale, sino ai giorni nostri, è quindi stabilito qualefondamento e strumento essenziale.

•  I risultati principali conseguiti da Aristotele nella sua indagine sulle“ cause” del movimento riguardano l’esistenza di un “ motore immobile”,unico, posto alla periferia dell’universo. Indivisibile, generatore di un

movimento continuo, originariamente circolare. Quest’ultimo concetto haperaltro anche ritardato sino all’epoca moderna il concetto di “ moto

 rettilineo uniforme” cui attiene il principio di inerzia 

•  Tuttavia, nel complesso si possono individuare anche indicazioni ed

aspetti che, seppure marginali, possono essere intese come premesseimportanti allo sviluppo successivo della meccanica. 

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Artistotele

•  La prima è relativa all’esigenza di stabilire una contiguità o di unimmediato contatto tra il motore ed il mobile ( Il motore primo, non in

quanto causa finale ma in quanto principio da cui parte il movimento, è

 presso il mosso: voglio dire con presso che tra di loro non v’è nulla che li

 separi; e questa proprietà appartiene in generale ad ogni motore e ad ogni

 mobile).

•  In realtà questo principio ha creato nei secoli notevoli difficoltà all’avvioe sviluppo della meccanica moderna. Il principio della  contiguità  puòoggi essere reinterpretato in senso positivo se ci si riferisce allo  stato di

 tensione che misura la sollecitazione in una generica particella di un corpo

 deformabile. Le tensioni essendo  forze di contatto  debbono esseredeterminate da sole azioni di contatto e quindi il legame tra lo stato di

tensione e il moto delle particelle deve avere carattere locale. Questo è ilprincipio di  azione locale  che la moderna meccanica razionale pone a

fondamento della teoria sui “legami costitutivi”.

• 

La seconda intuizione fisica che è possibile rintracciare nella Fisica  diAristotele verte su un tema di grandissima importanza, applicativa e teorica per la meccanica: si tratta di un primo segnale sul  principio dei  lavori

virtuali.•  Il trattato sulle “Questioni meccaniche” , che fino ad un certo punto è stato

sempre attribuito ad Aristotele, ha influenzato per secoli la meccanica, per ilsuo orientamento verso i problemi tecnici e per il tentativo di spiegareunitariamente le macchine semplici  tipiche di quell’età riconducendone leleggi a un solo principio.

•  All’origine della ricerca è palese lo stupore dinanzi agli artifici dell’arte

meccanica che sembrano contraddire le leggi della natura:

“ Appartengono a questo genere i fenomeni in cui il più piccolo vince il più grande e una forza modesta solleva pesanti carichi ….. “

•  Il riferimento è alle proprietà della leva  ed a quelle della  bilancia,

strumenti tecnici che presentano sicuramente una grande importanzaapplicativa e che , nel contempo, possono aver contribuito alla ricerca

delle leggi fondamentali di equilibrio: dell’equilibrio alla rotazione nellaleva e dell’equilibrio alla traslazione nella bilancia.

•  Al principio della leva furono ricondotti il problema della trave inflessa,i problemi delle volte e degli archi, ecc

•   Nel trattato è poi molto pronunciato il riferimento al moto circolare, dovuto,

oltre che a ragioni remote d’ordine metafisico-cosmologico, anche allaconsiderazione della bilancia e della leva, i cui estremi descrivonoovviamente archi di cerchio.

•  Purtroppo ne è derivato un certo impedimento ad associare alla forza – omeglio al peso – una direzione. Solo nel Medioevo, con Giordano

Nemorario, cominciò a farsi strada il concetto che al peso convenivaconnettere la direzione verticale. Per quanto una tale connessione a noisembri ormai del tutto normale, implicita nei dati immediati dell’esperienza

 più comune, non deve stupire se essa si è affermata così tardivamente: il pensare la forza – e in particolare il peso – come vettori, non appartiene allaspiegazione dei fatti, ma alla costruzione di un modello  per interpretarli;

appartiene all’efficacia del linguaggio formale  che riesce a rappresentarnenel modo più semplice la fenomenologia.

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1.2.Archimede

•  Fu il maggiore matematico ed ingegnere dell’antichità (287 – 212 a.C.).•  La personalità di Archimede è di grande rilievo nella storia della scienza; i

suoi contributi si estendono oltre che alla statica dei solidi, anche alla statica

dei fluidi  e alla matematica, con anticipazioni metodologiche e conintuizioni tutt’ora vive e feconde, che per la loro straordinaria novità nontrovarono spesso continuatori presso gli antichi e che riemersero inveceall’attenzione degli scienziati moderni.

•   Nel campo della statica dei fluidi  Archimede conseguì risultatidefinitivamente validi e preziosi: è noto il suo principio per il quale un fluido

 pesante esercita su un corpo immerso una spinta uguale e contraria al peso

del fluido spostato e passante per il baricentro del corpo.•   Nella statica dei corpi solidi  troviamo traccia soprattutto nel Trattato

sull’equilibrio dei piani o dei loro centri di gravità.•  Archimede, a differenza di Artistotele, fa della statica una scienza razionale

autonoma, fondata su postulati di origine sperimentale e costruita su

dimostrazioni matematiche rigorose.•  I postulati introdotti da Archimede sono 8, di cui i primi quattro basati sul

concetto di leva per dimostrate condizioni di equilibrio:

1.  gravi uguali sospesi a lunghezze uguali sono in equilibrio

2.  gravi uguali sospesi a lunghezze disuguali non possono essere inequilibrio

3.  dati due gravi in equilibrio, se si aggiunge qualcosa a uno di essi,questi scende e non si ha più equilibrio

4.  analogamente se si toglie qualcosa ad uno dei gravi, questi sale e non

si ha più equilibrio.

•  Il postulato principale è il primo che sembra andare oltre il dato sperimentale poiché si richiama a considerazioni di simmetria e potrebbe essere fondato invirtù del principio metafisico della ragion sufficiente.

•  Gli altri tre postulati, evidenziando la mancata simmetria, esprimono lamancanza di equilibrio, sia cambiando le lunghezze, sia i pesi.

•  Qui si vede l’intento di Archimede di dedurre le leggi per il caso generale

partendo dal caso più semplice, attraverso la dimostrazione. •  Gli altri quattro postulati riguardano invece il concetto di baricentro per le

figure piane, dove Archimede si limita a formulare alcune proprietàqualitative  per definire le caratteristiche del centro di gravità, per poi

individuare le proprietà quantitative  attraverso successive elaborazionimatematiche.5.  Se due figure piane sono sovrapposte esattamente l’una all’altra, i

loro centri di gravità restano sovrapposti;6.  i centri di gravità di figure simili sono disposti similmente;

7.  se certe grandezze sospese ad assegnate distanze sono in equilibrio,grandezze uguali alle prime e sospese alle medesime distanze sono

ancora in equilibrio;8.  il baricentro di una figura il cui contorno è concavo, è interno alla

figura.

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Archimede

•  Dai postulati descritti derivano numerosi teoremi, di cui il più significativo –almeno sotto il profilo storico – è quello ricordato della  proposizione VI ,dove Archimede dà una sua “dimostrazione” della  proporzionalità inversa tra pesi e distanze che governa l’equilibrio della leva.

•  La base di partenza è costituita dal primo postulato sull’equilibrio della bilancia: pesi uguali disposti a distanze uguali dal punto di sospensione. 

L’argomento è stato ripreso da numerosi scienziati, tra cui Galileo e Lagrange,dove, di volta in volta è mutata la forma, ma non la sostanza della dimostrazione.Essi stessi hanno adottato la seguente dimostrazione:

sospendiamo un prisma omogeneo per il suo punto centrale;

dividiamolo idealmente in due prismi di lunghezza 2m e 2n,applicandone i pesi nei baricentri G1 e G2.

Si verifica subito che le distanze di G1 e di G2 dal punto disospensione valgono n ed  m rispettivamente. Con ciò è dimostrata la

legge della leva.

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1.3.

I meccanicialessandrini:Erone e

Pappo

•  In generale la civiltà ellenica sottovalutava il significato culturale dell'attivitàtecnica, nonostante il grande sviluppo delle costruzioni, delle macchine

 belliche, degli impianti idrici.•   Nel III sec. a.C. sorse però ad Alessandria un’arte con diretta attinenza alla

tecnica e alla meccanica, per la creazione di ingegnosi dispostivi, per finiricreativi, pratici e scientifici. Ad essa si deve l’invenzione dell’argano adacqua e della pompa idraulica.

•   Nel I sec. d.C. il meccanico alessandrino Erone tramandò con le sue opere,una consistente testimonianza di attività scientifiche e di invenzionirealizzate, come apparecchi a pressione che impiegavano aria compressa o

 riscaldata, o vapore acqueo, e funzionavano con cilindri e stantuffi, con

eliche, con ruote dentate, con sifoni, valvole, oppure di dispositivi

 automatici per l’apertura di porte, ecc.•  Le invenzioni e gli artifici di Erone tennero banco fino a tutto il Medioevo e

nel Rinascimento e fino all’epoca barocca. La sua meccanica viene applicatanella costruzione di fontane con figure mobili, di orologi, di termoscopi.

•  L’opera di Erone, denominata Le meccaniche, pervenuta da una traduzionearaba, tratta le macchine semplici edimostra una certa elaborazione deiconcetti classici. In particolare nel casodella leva angolare Erone intuisce lacorretta valutazione dei momenti,affermando che per l’equilibrio vale laformula: P1 : P2 = b : adove le distanze a e b sono misuratesull’orizzontale. 

•  Pappo, scienziato del IV secolo, è l’unico che si occupa del problema delmoto e dell’equilibrio di un corpo pesante su un piano inclinato. La suasoluzione è fondamentalmente errata poiché sicuramente influenzata dallascuola aristotelica. Tuttavia la sua tesi ha avuto seguito anche presso imeccanici rinascimentali, fino a Galilei che è poi riuscito a smontarnel’apparente ragionevolezza.

•  A Pappo si deve anche un noto metodo sperimentale per l’individuazionedel baricentro di una figura piana pesante: si sospenda tale figura da un

 punto qualsiasi di essa A e si tracci la verticale per A; si sospenda ora la

stessa figura da un altro punto B e si tracci la verticale per B. L’intersezione

delle due rette così disegnate è il baricentro G. 

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1.4.

Meccanica eArchitetturain Vitruvio 

•  Ha fatto testo nella storia dell’Architettura il  De Architectura  di Vitruvio,dove si parla della necessaria integrazione tra le competenze tecnico-scientifiche e l’attività progettuale. Infatti lo stesso Vitruvio oltre allacostruzione di opere civili aveva progettato anche macchine per ilsollevamento di pesi, attrezzature belliche e altri dispositivi.

•  Sulla statica Vitruvio non ha lasciato molto, dando soprattutto indicazionisulla saldezza delle fondamenta, sulle modalità costruttive e sulla scelta

accurata dei materiali.

•  La meccanica  è invece menzionata soprattutto per gli strumenti sussidiari

sia all’architettura, come le macchine da sollevamento, sia alle diverse

esigenze di una società artigianale.

•  Il primo libro  illustra i significati e le parti dell'architettura  e laformazione dell'architetto  e si sofferma sull'uso e le caratteristiche degliordini architettonici.

•   Nel secondo libro  si affrontano argomenti di carattere tecnico, come ladescrizione dei materiali da costruzione.

•   Nel terzo si descrive l'uomo ideale •   Nel quarto libro si descrivono i diversi tipi di templi e si torna a parlare

degli ordini architettonici•   Nel quinto si affronta l'argomento degli edifici pubblici.•  Il sesto e settimo libro quello delle case private.

•  Fra gli argomenti con attinenza alle macchine o alle difese - di competenza

dell'ingegnere più che dell'architetto  - si possono segnalare i passi dedicatialla costruzione delle mura urbane  (libro primo), agli acquedotti  (libroottavo), all'utilità delle scienze  (libro nono) e, infine, alla trattazione della

 machinatio , o costruzione di macchine ad uso civile o bellico  (librodecimo).

•  Vitruvio arricchisce il trattato con osservazioni desunte da esperienze personali e fa esplicito riferimento alle proprie fonti: Ctebisio di Alessandria

e Archimede per numerose invenzioni, Terenzio Varrone per l'architettura.

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2. Lo sviluppo dei concetti statici e meccanici nel Medioevo

•  Il Medioevo propose la conoscenza e la pratica delle arti meccaniche comecomponenti essenziali della formazione culturale. Infatti nei monasteri

 benedettini si studiavano la medicina, l’astronomia, la chimica, non

trascurando un loro approfondimento razionale e teorico. I trattati tecnici furono tra i primi ad essere tradotti dall’arabo, da greco e dal latino.

•  Un popolare manuale di Ugo di San Vittore  dice che “la meccanicacomprende sette scienze: tessile, forgiatura delle armi, nautica, agricoltura,caccia, medicina e scenica (dimenticando l’arte costruttiva).

•  Ma in realtà i risultati più clamorosi delle tecniche meccanichemedievali si ebbero proprio nell’arte edilizia. Molti dispositivi usati daicostruttori medievali per risolvere problemi di statica delle grandi chiesefurono completamente originali, ma non si capisce se furono completamenteempirici oppure dovuti alla conoscenza dei problemi della statica.

•  Gli sviluppi originari dell’architettura gotica nacquero dai problemi ai qualisi andò incontro quando si trattò di coprire con un tetto di pietra le sottilimura della navata centrale della basilica, che era il tipo più comune di chiesacristiana sin dai tempi di Roma.

•  Secondo Viollet Le Duc, i costruttori medievali possedevano l’istinto diuna teoria molto raffinata, quella che consiglia di approssimare la formadell’arco alla curva delle pressioni, da cui si ricava una regola empirica

– a lungo sopravvissuta anche in epoca moderna – per la determinazionedello spessore dei piedritti:

•  Si divide l’arco, sia quello a tutto sesto, sia quello a sesto acuto, in treparti uguali; con centro in D e raggio DC si descrive una

semicirconferenza. Il punto E, intersezione di detta circonferenza con la

verticale determina lo spessore del piedritto. Lo spessore del piedritto atutto sesto risulta maggiore di quello a sesto acuto.

•  E si può affermare che il dimensionamento in chiave geometrica restò,

sino a tempi recenti, il criterio più seguito dagli architetti. 

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Medioevo

•   Nel XIII sec. spicca la figura di Giordano Nemorario, al quale gli storiciattribuiscono numerosi trattati sulla statica, dove spiccano i principi suiteoremi dei lavori virtuali.Lui e i suoi discepoli introducono anche il concetto di momento.

•  In sintesi con il Medioevo comincia a traballare la scienza aristotelica,ponendo per contro le basi dell’astronomia e della fisica moderna.

•  Il teologo francescano Guglielmo di Occam  e i suoi seguaci smontano lateoria di Aristotele del moto di un corpo originato da un motore contiguo,affermando e dimostrando che un corpo in movimento si muove perché

è in movimento e non perché mosso da un mobile distinto dal corpo. In

tal modo si introduce il principio della legge di inerzia.

•  Giovanni Buridano  introduce il concetto di  Impeto  equivalente a quellaforza iniziale che si ha nel momento in cui il motore muove il mobile ed è

 proporzionale alla velocità impressa e alla quantità di materia del copromosso. E l’Impeto o slancio mantiene il movimento fino a che l’aria e lagravità prendono il sopravvento.

•  Lo stesso concetto di impeto  proporzionale alla velocità e alla quantità di

materia del mobile verrà poi ripresa anche da Galileo e da Cartesio sotto ilnome di quantità di moto mv (massa per velocità).

•  Tra i discepoli di Buridano si possono ricordare Alberto di Sassonia, alquale si deve una prima teoria sulla gravità e Nicola d’Oresme, che oltre atradurre in francese alcune opere di Aristotele, aveva introdotto lo studio sul

 moto uniformemente accelerato.

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3. Il Rinascimento

3.1.

Leonardoda Vinci

•  Durante il XV secolo si diffusero largamente in Italia le innovazioni della

scuola di Parigi e di Oxford, pur restando ancora ben radicata la tradizionearistotelica.•  Su tutti emerge Leonardo da Vinci, (1461-1519) i cui innumerevoli

interessi coprirono anche temi di meccanica e, più in particolare, dimeccanica e di scienza delle costruzioni.

•   Nel Codice Atlantico  si trovano numerosi appunti sui suoi studi. Tra i principali oggetti dei suoi studi applicativi e delle sue realizzazioni sitrovano:  argani ed apparecchi di sollevamento con sistemi multipli di

 carrucole, martinetti, torni ed altre macchine utensili, macchine belliche,

 artiglierie, bastioni, ponti, strumenti nautici, scafandri, scavatrici,

 macchine da filare e tessere, progetti per il volo strumentale, ad ali battenti, per il volo a vela, paracadute, propulsori ad elica, ecc.

•  L’opera scientifica di Leonardo forse appare modesta nella matematica pura,ma è vastissima ed originale nel campo della meccanica teorica ed applicata e della Resistenza dei materiali e Scienza delle costruzioni.

•   Nessuna sintesi delle questioni meccaniche appare nei manoscritti, ma lericerche relative, come appaiono negli originali, pur nel loro disordine,rappresentano un importante complesso per il quale Leonardo superò i suoisuccessori (Stevin e Roberval) e precorse Galileo e Newton.

•  Gli essenziali oggetti ed i concetti che Leonardo ha studiato, sicuramente presi da Aristotele in poi (Archimede, Erone, Giordano Nemorario, BiagioPellicani), si possono così riassumere:

-  teoria della leva retta e angolare

-  concetto di momento di una forza

-  composizione di forze concorrenti-  equilibrio sul piano inclinato

-  stabilità della bilancia,-  poligono di sostentazione

-  centri di gravità

-  carrucole

-  problema delle reazioni vincolari

-  resistenza dei materiali-  teoria dell’arco e l’attrito

-  concetti di forza, percussione, impeto, peso,-  leggi del moto

-  moto naturale dei gravi liberi o su un piano inclinato

-  moto violento dei proiettili.

Molti dei concetti affrontati erano ovviamente già noti, ma Leonardo li ha

studiati e sviluppati dal punto di vista delle applicazioni. 

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Leonardo

Tra i tanti concetti il Codice Atlantico  riporta il teorema detto del Poligono disostentazione  secondo il quale, se un corpo pesante poggia su un piano,

l’equilibrio esige che la verticale passante per il suo centro di gravità incontri il

 piano all’interno della superficie di appoggio.

•  Particolare interesse si trova nelle ricerche ed esperienze di Leonardosulla resistenza dei materiali, sulla teoria dell’arco  e sull’attrito, chefanno considerare Leonardo come il precursore o il fondatore della

scienza delle costruzioni e precursore di Galileo. Contributo di Leonardo sulla resistenza dei materiali

Particolare interesse suscitano le ricerche ed esperienze sulla resistenza dei

materiali, sulla teoria dell’arco e sull’attrito, che permettono di considerareLeonardo come il fondatore della scienza delle costruzioni.Il metodo seguito è quello del confronto tra le resistenze offerte da travi dimedesimo materiale e con diverse dimensioni, al fine di stabilire una

 proporzionalità diretta o inversa tra la capacità portante e l’altezza, lo spessore,la lunghezza.Per la colonna o il sostegno di sezione quadrata o circolare caricata

uniformemente di pesi sulla base superiore è stabilita la tesi che la resistenza acompressione è proporzionale alla superficie caricata e inversamente

 proporzionale al rapporto tra la lunghezza L e il lato a della base quadrata o il

raggio del cilindro.

E’ una proposizione solo parzialmente corretta: infatti se P è il peso complessivoagente sulla colonna, la sollecitazione  cui è soggetto il materiale è benrappresentata dal rapporto  AP , dove A  è l’area della sezione trasversale;

indicando con tale rapporto, cioè:

 A

P=σ  

si ottiene infatti una misura di intensità dell’azione esercitata su ogni elementodella superficie; prende oggi il nome di tensione  e denota la forza agentesull’unità di superficie della generica sezione trasversale.Oggi sappiamo che per ogni materiale esistono valori limite  di σ    incorrispondenza dei quali si verificano fenomeni di snervamento o di rottura.Se dunque scriviamo al limite la formula precedente

 AP   ⋅σ= limlim  si riconosce che la tesi di Leonardo è corretta per la prima parte: il carico

massimo sopportabile dalla colonna è direttamente proporzionale all’area della

sezione. 

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Leonardo

La seconda parte della tesi è invece erronea. Eppure in essa è implicita unanotevole intuizione: che cioè la snellezza del pilastro abbia influenza sulla forzadi compressione massima che può essere sostenuta. Ma il fenomeno cheinterviene quando il pilastro è sufficientemente esile non riguarda propriamentela resistenza del materiale, ma la possibile insorgenza di una instabilità, per laquale la struttura, pur soggetta a un carico assiale, può inflettersi.Si tratta di un fenomeno complicato per essere chiarito e descrittoanaliticamente: la conclusione è che il carico critico Pcr  per cui esso si verifica èlegato al rapporto a1 considerato da Leonardo secondo una relazione del tipo:

2)1( a

 AK Pcr  =  

dove K è un opportuno coefficiente di proporzionalità. Pertanto la formula erratadeducibile dalle parole del Codice Atlantico:

)1( a

 AK Pcr   =  

è quantitativamente inaccettabile, ma testimonia in Leonardo una primaavvertenza del problema che solo nei secoli XVIII e XIX verrà pienamente inluce.

♦ 

Oltre alla trave carica assialmente, Leonardo considera anche il tema della trave

inflessa, sia nella schema strutturale della mensola  soggetta a un pesosull’estremità (il cosiddetto problema di Galileo) sia nello schema della traveappoggiata. Per la mensola Leonardo scrive: “Se una aste che sporti fori d’uno

muro 100 grossezze regie 10 libre, che regierà 100 simile aste di simile sporto

insieme collegate e unite? Dico che se le ciento grossezze regano 10 libre, che le

5 grossezze regieranno 10 tanti che le 100 e se AB è 5 grossezze son 100 asteche regie 20 mila”.In altri termini, la resistenza sarebbe proporzionale all’area della sezione einversamente proporzionale alla lunghezza. La tesi è errata nella prima parte,

 poiché sappiamo che la resistenza è proporzionale allo spessore e al quadratodell’altezza, per una trave di sezione rettangolare.

Per la trave in flessa appoggiata agli estremi e caricata di un peso Q nellamezzeria, Leonardo giunge vicino alla soluzione veritiera, studiando, sempre colmetodo del confronto, la freccia, ossia lo spostamento trasversale massimo dellalinea d’asse, a seguito della deformazione.

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Segue

Leonardo

 Nel Codice Atlantico Leonardo afferma:“ Se AB si piega di 81  di sua lunghezza per peso di 8, CD, se sarà, come credo,

di duplicata fortezza a AB, e non piegherà 1 di sua lunghezza per manco peso

che 16, perché è la metà della lunghezza di AB; e similmente EF, per essere la

metà de la lunghezza di CD, fia il doppio più forte e calerà 1 di sua lunghezza

 per 32 pesi”.

E sempre nel Codice Atlantico:“Tu troverai tal forza e resistentia nella collegatione di 9 travi di pari qualità

quanto nella nona parte d’una di quelle; AB sostiene 27 e son 9 travi, adunque

CD, ch’è la nona parte d’essi, sostiene 3; essendo così, EF che è la nona parte

della lunghezza di CD, sosterrà 27 perché è 9 volte più corto di lui”.

La relazione corretta fra la freccia  f,  il peso Q  e le dimensioni della traveappoggiata di lunghezza l e di sezione quadrata con lato a, è

4

3

a

lQK  f    ⋅=  

dove K è un coefficiente di proporzionalità, dipendente dal materiale. Siriconosce pertanto che almeno in parte le proprietà implicite nella suddettaformula sono qualitativamente presenti nei testi sopra citati.

A Leonardo si debbono ancora alcuni tentativi di trattazione statica sull’arco e si può dire che egli ne abbia compreso l’intuitivo funzionamento strutturale.

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3.2.Galileo 

•  Tutti sanno quali grandi contributi, anche rivoluzionari, abbia dato Galileoalla formazione e allo sviluppo del pensiero scientifico un po’ in tutti icampi.Già durante i suoi primi studi prima di medicina e poi di matematicaall’Università di Pisa, scoprì, nel 1583, la legge dell’isocronismo del

pendolo  e inventò una bilancia idrostatica per la determinazione del pesospecifico dei corpi.Dall’89 al 92 fu lettore di matematica all’Università di Pisa ed in quellostesso periodo condusse le ricerche sulla caduta dei gravi, contenute neidialoghi De Motu, dove appare già il contrasto con le dottrine di Aristotele.Si trasferì poi all’Università di Padova con una cattedra di matematica, dovelavorò moltissimo, inventando il compasso militare, il cannocchiale e nel

1610 il telescopio, con il quale fu poi possibile realizzare tutta una serie discoperte di astronomia.

•  Per quanto riguarda la scienza delle costruzioni la sua opera disperimentatore e di scienziato si rivolge soprattutto al campo della resistenza

 dei materiali, disciplina della quale egli stesso si riteneva il primo istitutore.

•  I contributi di Galileo alla meccanica  rimangono fondamentali. Le suericerche hanno interessato i seguenti argomenti:

o  la discesa libera dei gravi lungo piani diversamente inclinati,o  la formulazione della legge che stabilisce il rapporto tra spazi

 percorsi e tempi impiegati nella caduta libera,o  l’isocronismo delle oscillazioni dei pendoli di eguale lunghezzao  il moto dei proiettili.

•  Per farsi una idea delle principali scoperte meccaniche di Galileo bisognariferirsi al trattato intitolato i Discorsi, che Galileo scrisse nel 1638.Il trattato è scritto sotto forma di dialogo che si svolge in 4 giorni.La prima e la seconda giornata trattano specificamente sulla resistenza dei

materiali, mentre la terza e la quarta trattano del moto.

Galileo formula e risolve, a suo modo, quello

che, sotto il profilo storico, è certamente il più dibattuto e importante problema dellascienza delle costruzioni. Ancora oggi esso ècomunemente indicato come il problema di

Galileo  e riguarda la resistenza a rottura diuna trave a mensola caricata d’un peso allasua estremità (v. figura a lato).

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Il “problema di Galileo”

 Galileo fa riferimento al concetto diresistenza assoluta e la definisce come“quella che si fa col tirar (la trave) perdiritto”. In altri termini, si tratta delvalore limite  che può esser raggiuntodalla forza assiale N che lungo la sezionea-a  una parte della trave soggetta atrazione esercita sull’altra. La forza N è,in verità, uno strano personaggio: essatraduce nel linguaggio della statica, e cioèin termini di forze, un fatto che, di per sé,ha natura geometrica. Osservando la travedella figura accanto possiamo notare chela parte (

 

) e la parte ( 

’) , rispetto allasezione trasversale a-a, sono tra loro connesse: le particelle materiali di (

 

) che

s’affacciano sulla sezione a-a  sono unite alle corrispondenti particelle di ( ’).Ora immaginiamo di rendere “operante” la divisione della trave in due porzioni,separando idealmente (

 

) da ( 

’). Se la cosa accadesse nella realtà, la trave cosìdivisa si comporterebbe in modo ben diverso dal sistema inizialmenteconsiderato ad esempio, mentre in questi la parte (

 

) è impedita a muoversi, nelsistema diviso, la stessa parte (

 

), libera nello spazio e soggetta al peso P (oltreché all’eventuale peso proprio) tenderebbe subito a cadere. Questo puòesser inteso come prova della tesi che (

 

) e ( 

’) si scambiano lungo la sezione a-a opportune azioni mutue.A questo punto stabiliamo un postulato fondamentale: quelle azioni mutue che

nel sistema reale esprimono la connessione geometrica tra le parti ( 

) e ( 

’)

 possono sempre essere tradotte in una distribuzione di forze applicate su

ambedue le facce della sconnessione ideale che dà luogo al sistema diviso, in cui

( ) e ( ’ sono tra loro separate.

Secondo Galileo la riduzione  può essere ancor più spinta: le forze agenti sullesuperficie della sezione a-a  si dispongono normalmente alle superfici stesse esono distribuite con legge uniforme, per cui è sufficiente considerarne la risul-tante N applicata nel baricentro. Ben presto ci si accorgerà però che il linguaggioriduttivo proposto da Galileo è troppo povero e non riesce a distinguere in modoappropriato i diversi comportamenti che si riscontrano nelle strutture, sia per ladescrizione del fenomeno di rottura, sia per la descrizione degli aspetti

deformativi. Un primo passo innanzi si farà supponendo una distribuzionedisuniforme delle forze superficiali, sempre supposte ortogonali alla sezione: giàcon Mariotte, con Bernoulli e poi con Eulero tale arricchimento del modello puòritenersi acquisito. Un secondo passo sarà compiuto verso la fine del Settecentoda Coulomb, il quale dimostrerà l’esigenza di associare alle forze distribuitenormalmente alla sezione, anche forze tangenziali. Nel XIX secolo, poi, illinguaggio si renderà ancor più articolato quasi per compensare con l’aggiunta dinuove possibilità formali la riduzione statica mai rinnegata: dapprima ad opera di

 Navier e soprattutto di Cauchy per l’analisi di un qualunque corpotridimensionale, e infine dai fratelli Cosserat con la loro teoria sui “continui

 polari”.

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Il fascino e il limite di tutta la trattazione di Galileo stanno forse nellasemplicissima figurazione del modello al quale vien ridotto l’effettivo comporta-mento di una trave sotto carico. L’osservazione rivela sensibili differenze tra unamensola lignea e una metallica; vi sono materiali che si deformano notevolmente

 prima di giungere alla rottura e materiali che mantengono invece ladeformazione entro margini molto stretti.

Il modello passa sotto silenzio questa diversità. I cilindri o i prismi di cui parlaGalileo sono assai vicini agli astratti solidi della geometria euclidea: alla loroforma geometrica, o meglio, alle loro dimensioni s’aggiunge soltanto la proprietàdi poter sopportate, entro limiti assegnati, dei pesi concentrati o distribuiti. Ognialtra specificazione descrittiva sarebbe irrilevante, così come sarebbe irrilevanteindicare il colore del legno e la lucentezza del metallo.Il modello di Galileo è dunque il più scarno possibile; infatti esso può essereospite soltanto delle più elementari regole geometriche e delle più ovvie leggistatiche. Da un certo punto di vista, questo è un pregio: i migliori progressi lascienza li ha compiuti sapendo isolare tra gli inesauribili aspetti della realtà ilminor numero di parametri significativi. Solo così si può giungere al generale,alla legge semplice e certa.

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4. Archi, volte, cupole

4.1.Cognizioniscientifichesulle strutturevoltate prima

delXVIII secolo

L’ingegnere e l’architetto che oggi sono chiamati a confrontarsi con problemiattinenti alle volte e alle cupole, si rivolgono generalmente all’ampio capitolo

delle membrane e dei gusci, impegnandosi in algoritmi raffinati e complessi, o siaffidano a programmi di calcolo gestiti con elaboratori elettronici. Nel passato lestesse tematiche sono state oggetto di un dibattito vivacissimo tra scienziati edarchitetti, attraverso disquisizioni accademiche, scuole architettoniche econtrastate schermaglie tra “periti” illustri su alcune importanti opere in corso direstauro.Forse è lecito affermare che una teoria statica sugli archi non fu mai stabilita intermini quantitativi sino alla fine del XVII secolo. Ma nessuno può dubitare chegià in precedenza non fossero venuti alla luce alcuni aspetti salienti delcomportamento strutturale atti ad orientare le norme costruttive.

 Nel VI dei Dieci Libri sull’Architettura, Vitruvio dimostra chiaramente di ave

intuito che la volta esercita un effetto spingente sui muri e sui pilastri che lasostengono.E ancor più evidente appare l’attenzione per il complesso gioco statico tra l’arco rampante e la volta nervata che caratterizza i grandi edifici del gotico (cfr. la

“regola geometrica” precedente capitolo dal Medioevo al Rinascimento).Il dimensionamento in chiave geometrica è rimasto a lungo il criterio più seguitodagli architetti.Il persistente pregiudizio che solo Galileo cominciò a smuove, secondo il qualestrutture geometricamente simili dovrebbero avere identiche proprietà statiche,aveva spinto Leon Battista Alberti  ad asserire l’assoluta sicurezza dell’arco

semicircolare e aveva condotto numerosi trattatisti a definire in linguaggio

geometrico la figura delle volte e le proporzioni tra gli elementi cherispondessero ad obiettivi estetici, a riferimenti simbolici, a caratteri stilisticiderivanti dalla tradizione classica.Significative sono al riguardo le costruzioni grafiche proposte da GuarinoGuarini, le indicazioni pseudo-statiche di G.B. Borra, le regole dimensionalidel Cavalier Fontana per il profilo delle cupole, nonché i complicati algoritmiescogitati dal matematico Francois Blondel,  direttore dell’Accademia diArchitettura di Parigi, per la “risoluzione dei quattro principali problemi diarchitettura”.Quel che stupisce è la quasi completa assenza di un riferimento alla staticastrutturale e alla resistenza, con eccezione di Leonardo, nei cui appunti si

 possono rintracciare valide intuizioni, accenni promettenti, germi di idee chesolo tre secoli dopo troveranno uno sviluppo.

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4.2.Le primeteorie statichesull’arco inmuratura

I primi consistenti passi avanti per una teoria della statica degli archi e dellevolte si debbono al matematico astronomo francese Philippe De la Hire (1640-1718) con il Traité de Mécanique  pubblicato nel 1730 e con una “Memoria”

 pubblicata dall’Accademia delle Scienze nel 1731 dal titolo Sur la construction

des voutes dans les édificies.

 Nel Traité de Mécanique è presente l’inizio di una chiave di lettura dell’arco cheresterà in piedi fino al tutto il XVIII secolo e successivamente rimosso connotevoli difficoltà. De la Hire intravede nell’arco la presenza di una macchinasemplice: il cuneo, basandosi sul fatto che i conci dell’arco possono essere intesicome porzioni di cunei incidenti sui “letti” che se parano un concio da quelliattigui.In realtà il dimensionamento non ha un riscontro reale e conduce a vari

 paradossi. Esso ha tuttavia un approccio importante per la statica delle strutturein muratura intese come sistemi di blocchi rigidi, di solidi geometricamentedefiniti che in nulla si distinguono dai solidi euclidei se non per il fatto che sonodotati di peso. La povertà di tale modello appare evidente quando si vogliautilizzarlo per la trave in flessa.Ma diverso è il caso delle strutture murarie ad arco e volta: l’elemento fisicoignorato non è tanto la deformazione, quanto invece l’attrito. Sarà l’introduzionedi questo elemento la via che migliorerà il modello; ma occorre attendere la finedel secolo affinché le leggi dell’attrito siano definite correttamente da Coulomb.

I problemi affrontati da De la Hire  sono due: l’equilibrio di una voltaindipendente dai piedritti e la determinazione della larghezza dei medesimi infunzione delle spinte provenienti dalla volta.

 Nel primo caso De la Hire pone alla base delle proposizioni riguardanti la staticadegli archi un teorema che è di grande importanza in quanto prelude ad una

relazione fondamentale della statica grafica, che sarà messa in evidenza verso lafine del XIX secolo: si tratta di un uso alquanto anomalo del poligono delle forze per esprimere l’equilibrio di un sistema di forze concorrenti.L’autore osserva che se tre forze F1, F2, F3, convergenti in un punto, sono inequilibrio, le loro intensità debbono essere in proporzione con i lati di untriangolo perpendicolari alle direzioni delle forze medesime.

Il problema del dimensionamento dei piedritti dà inizio ad un modo di ragionaree di interpretare il comportamento dell’arco che resterà egemone per quasi unsecolo. Si tratta di un abbozzo di calcolo a rottura: in altri termini l’autore

 prospetta un possibile meccanismo di collasso e si propone di esprimerel’equilibrio limite ad esso relativo.

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Segue

Le prime teoriestatiche sull’arcoin muratura

L’ipotesi di rottura è la seguente:

-  che la volta si spacchi in una sezione intermedia tra l’imposta e ilmezzo della chiave, a 45° circa

-  che nelle tre zone individuate dalle sconnessioni i conci sianotalmente ben uniti gli uni agli altri da formare un corpo unico e che lefondazioni si presentino perfettamente rispondenti

-  che la spinta si collochi al lembo inferiore del giunto di rottura.

Riassumendo il cuneo costituito dalla parte superiore della volta, al di sopra delgiunto di rottura, che cala per il peso proprio, tende a far ruotare il piedritto,solidale con la restante porzione della volta, attorno al punto H.

L’equazione di equilibrio limite è calcolata dunque con il ricorso a una leva a“gomito” il cui fulcro è nel punto H e le potenze applicate agli estremi sono lespinte della volta, al di sopra del giunto di rottura, ed i pesi propri piedritto-

 porzione inferiore della volta solidale con questo.

La difficoltà consiste ormai nel tradurre la forza peso verticale del conciosuperiore nella potenza D, perpendicolare in L al braccio di leva, enell’esprimere i pesi delle parti stabilizzanti riportandole sull’altro estremo Tdella leva.

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4.3.Le due“memorie”

diClaude

AntoineCouplet

La proposizione fondamentale dalla quale scaturiscono con inimmaginabilielaborazioni tutti i teoremi, i corollari e le soluzioni del Couplet è la stessa chegià il De la Hire aveva utilizzato. Si tratta del seguente lemma: “Se una forza

viene scomposta in due, le tre forze staranno tra di loro come i lati di un

triangolo formato dalle perpendicolari alle direzioni di queste tre forze”.

Ciò posto la lettura statica del comportamento dell’arco si svolge sempre con ilrichiamo alla teoria del “cuneo”, la macchina semplice che, nel pensiero degli

antichi, esprimeva così bene il “mutuo soccorso” tra i diversi conci componentila struttura voltata. La figura sottostante sintetizza efficacemente numeroseconsiderazioni che il Couplet sviluppa nei problemi per la determinazione dellegrossezze dei conci e delle “spinte” da questi esercitate sui limitrofi nonché sul

 piedritto.Anzitutto si suppone assegnata la forza e dunque il peso QA del concio in chiaveche eserciterà “per primo” sforzi perpendicolari ai giunti dei conci limitrofi. Conla nota regola del parallelogramma si ottengono dunque le forze FAs e FAd e si

 prosegue poi la costruzione nel tratto a sinistra dell’arco: sul prolungamentodella AE, a partire dal punto B, centro di gravità del concio successivo allachiave, si riporta HB = AE e nel punto H si traccia una verticale sino ad

incontrare in I la perpendicolare al giunto sottostante. Si individuano così il pesoQB del concio, la spinta FB e analogamente tutte le altre incognite del problema,ivi compresa l’ultima spinta FD sul piedritto.

Da notare che nel caso in cui l’attacco volta-piedritto risultasse orizzontale,l’equilibrio sarebbe garantito soltanto imponendo all’ultimo concio d’aver peso

infinito: la paradossale conclusione viene rimossa dall’autore facendo appello“all’attrito tra le parti a meno di un cedimento del piedritto e di un suo

arretramento”.

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Segue

Couplet Ma dalla figura emerge una interessante rappresentazione grafica, sia dellavariazione delle “grossezze” (o dei pesi dei singoli conci), sia delle forze di

 pressione. Infatti, in virtù del lemma iniziale, sulla retta orizzontale Sλ (qualunque) si individuano, nelle intersezioni con le congiungenti, il centro Odella volta e i giunti dei vari conci, dei segmenti XY, VX, TV, ST cheesprimono i pesi dei conci A, B, C, D, nell’ipotesi che i conci medesimi siano inequilibrio e nell’ambito della proporzione stabilita appunto dal lemma;analogamente i segmenti OX, OV, OT, OS rappresentano le spinte dei concidella volta sui limitrofi.Il segmento OZ, che congiunge il centro O della volta con l’intersezione tra laverticale e la linea di fede Sλ misura “la spinta orizzontale della chiave, quella ditutta la volta o di una porzione qualunque di essa come risulta evidente poichéogni porzione, come tutta la volta, debbono farsi equilibrio con la chiave”.

♦ Il teorema esposto dall’autore riprende una idea già presente in Leonardo: è lacondizione sufficiente di equilibrio che viene soddisfatta “se la corda della metà

dell’estradosso non taglia l’intradosso, ma passa ovunque entro lo spessore

della volta”.Il problema sta però nel valutare l’equilibrio quando tale grossolana condizionesia trasgredita. A tal fine Couplet immagina che l’arco possa essere ricondotto aun sistema di quattro “stanghe” disposte come nella figura sottostante e chel’equilibrio della struttura spossa essere descritto con riferimento a tale sistemaarticolato: la rottura, ovviamente, può verificarsi soltanto se l’angolo DAE si

apre e gli angoli AEC e ADB si chiudono.Tutto questo potrebbe condurre a un calcolo rigoroso se Couplet nonaggiungesse una ipotesi erronea: che cioè i giunti di rottura alle reni debbanotrovarsi a 45°. Purtroppo tale errore, peraltro presente anche in De la Hire, toglieinteresse alle successive elaborazioni analitiche riferite ai diversi tipi di arco.Sarà Lorenzo Mascheroni a ottenere la vera soluzione al problema.

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4.4.La culturascientificaitaliana

1. Lorenzo Mascheroni: La sistemazione del calcolo a rottura nell’arco

Sul tema degli archi, delle volte e delle cupole si svilupparono anche in Italia,nella seconda metà del Settecento, interessanti e vivaci studi, che condussero allaformazione di veri e propri trattati sull’argomento, dove è rintracciabile unasintesi completa delle conoscenze statiche del tempo intorno alle costruzioni in

muratura.Fra tutti eccelle sicuramente l’opera di Mascheroni, intitolata “Nuove ricerche

sull’equilibrio delle volte” (1785), che vale all’abate bergamasco la cattedra dialgebra presso l’Università di Pavia.

 Nel trattato il Mascheroni intende dare forma analitica rigorosa ai principali problemi che intervengono nel progetto degli archi e delle cupole.Il primo capitolo riguarda l’equilibrio dei sistemi articolati di aste, ossia di piùtravi connesse da cerniere, a foggia di poligono. In particolare vengono presi inesame il tetto quadrangolare ABDE e il tetto pentagono ABCDE della figurasottostante.

Un affinamento del modello che sarà poi messo in luce qualche anno dopo,consiste nel supporre che le quattro o le cinque “stanghe” siano trattenutereciprocamente e sul suolo da superficie di appoggio dotate di attrito secondo un

coefficientef s.

I carichi sono rappresentati da forze QA  = QE, QB  = QD, 2QC, applicate neidiversi vertici e derivanti, ad esempio, dal peso delle membrature AB, BD, DE,nel primo caso, e AB, BC, CD, DE, nel secondo. Il problema sta nel verificare lecondizioni di equilibrio del sistema, ove siano assegnate le lunghezze delle aste,manovrando sugli angoli α e β.

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25

 Segue

La culturascientificaitaliana

Si tratta di un quesito del tutto elementare, i cui risultati sono i seguenti:

HA = QB tg 

E la componente verticale VA da:

HA = QA + QB 

Per il tetto pentagono ABCDE si ha invece:HA = (QB + QC) tg

 

VA = QA + QB + QC 

E, in più, deve risultare:

QC tg β = (QB + QC) tg 

Da cui deriva che se 2QC  = QB, come avviene quando le aste sono eguali eomogenee, la condizione di equilibrio è: tgβ = 3 tg

 

2. Leonardo Salimbeni

Tra gli studi sul tema degli archi e delle volte, è opportuno segnalare anche ilnotevole trattato Degli Archi e delle Volte di L. Salimbeni.A differenza dei suoi predecessori il Salimbeni si interessa molto dei problemiche insorgono anche nel corso della costruzione di una volta: come premono iconci sulla centina, in che misura rispetto al loro peso, sino a quale segnooccorre prevedere una sovracentina per impedire lo sfiancamento dei conci

 prossimi all’imposta.

Egli è così condotto all’esame dellacomponente trasversale rispetto alla linead’intradosso.  Descrive con dovizia diformule trigonometriche il fatto che,scendendo dal concio di sommità ai conciinferiori, tale componente diminuisce eaddirittura cambia il suo segno, manifestandoappunto il pericolo dello sfiancamento.

L’analisi, purtroppo, è condotta in modo

tanto dettagliato quanto farraginoso, ma ciònon toglie tuttavia alcun merito al notevoleimpegno del Salimbeni, il quale è riuscito adare la legge con cui varia la posizione del“punto di equilibrio” (ossia il punto in cuimuta segno), al variare del numero dei conci

 per diverse forme di volta, confermando, tral’altro, i risultati di Couplet.

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4.5.Gli ulteriorisviluppinel

XIX secolo 

A differenza di quello che si è verificato per altri problemi di meccanicastrutturale, come per esempio per il problema della flessione, sul tema degliarchi e d elle volte gli scienziati del secolo scorso non limitarono il lorointervento a una sistemazione organica, ma dettero una svolta alla ricerca,introducendo alcuni aspetti che nelle trattazioni precedenti erano ignorate; in

 particolare la resistenza a compressione e a flessione  e la deformazione conseguente ai carichi.Che cosa non era ancora chiaro nei metodi pur così elaborati e laboriosi degliscienziati settecenteschi?Innanzitutto non era ancora la completa definizione del meccanismo di collassodell’arco. In secondo luogo non è ancora chiaro dove realmente sia applicata laspinta orizzontale P sulla chiave dell’arco. Tale incertezza risiede nel fatto chel’arco preso in esame è assimilabile allo schema strutturale di una travecurvilinea incastrata alle imposte: questo è vero in particolare ove si tenga contodella coesione tra i conci; ora, una simile struttura, pur se soggetta a unadistribuzione simmetrica di carichi, è iperstatica. In altri termini le soleequazioni cardinali della statica non sono sufficienti a determinare la reazionedei vincoli e le caratteristiche di sollecitazione.Operando una sezione in A, si riconosce che, per la simmetria, non è presente lacomponente della sollecitazione trasversale all’asse dell’arco (cioè la forza ditaglio) ma sono presenti la forza normale NA e il momento flettente MA. D’altra

 parte, NA  e MA  composte tra loro danno luogo alla spinta orizzontale P dimodulo uguale a NA, ma non passante per la linea d’asse. Per la determinazionedi NA  e di MA  non bastano le condizioni di equilibrio, ma occorre introdurrequalche nuova considerazione attinente al comportamento deformativo dellastruttura e quindi alle proprietà del materiale. Ciò conduce subito all’esigenza di

mettere in conto la resistenza a compressione e a trazione, valutando non solo lecaratteristiche di sollecitazione NA, MA, ma anche la distribuzione delle tensionilungo l’altezza della sezione.

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SegueSecolo XIX 

Tutte queste cose vennero alla luce per gradi, non senza passare per equivoci ofalsi obiettivi.

•  AudoyLe formule analitiche di Audoy per le volte a tutto sesto , ad arco di cerchio,ovali, dotate di diversi estradossi, hanno reso grandi servizi agli ingegneri. La

sua ricerca consiste soprattutto nell’individuare i giunti di rottura alle reni checorrispondono al massimo della spinta orizzontale in chiave nelle condizioni diequilibrio limite per scorrimento o rotazione. Si tratta quindi di un calcolo arottura, dove l’autore consiglia di assumere un coefficiente di sicurezza pari adue per gli edifici più impegnativi. Purtroppo le formule sono estremamentecomplicate, per cui numerosi ingegneri militari, negli anni successivi, hannotentato di apportare le necessarie semplificazioni.•  Lamé e ClapeyronIn Russia Lamé e Clapeyron nel 1823 pubblicarono la  Memoria sulla stabilità

delle volte  in occasione della ricostruzione della chiesa di Sant’Isacco a SanPietroburgo. Essi, adottando esclusivamente l’ipotesi di rottura per rotazionedelle volte cilindriche, sotto la forma di quattro pezzi articolati agli estremi,senza scorrimento, sono condotti, per la determinazione dei giunti di rottura odel massimo della spinta, a risultati analoghi a quelli ottenuti da Audoy, secondola teoria di Coulomb, con applicazioni originali.Partendo dall’ipotesi che i piani dei giunti di rottura, invece di essere normaliall’intradosso siano verticali e paralleli all’asse, essi determinano conconsiderazioni a priori relative al profilo medio di una volta a botte, l’influenzadi un sovraccarico più o meno vicino al punto di rottura delle reni, la suamigliore ripartizione intorno a questo punto, e concludono con il seguenteteorema che bene si applica alle volte ribassate: “il punto di rottura

sull’intradosso è tale che la sua tangente incontra l’orizzontale per la sommitàdell’estradosso in chiave, sulla verticale del centro di gravità della parte

superiore della semi-volt alla quale tale punto di rottura appartiene”.

Gli autori traggono qui un procedimento grafico per definire questo stesso punto, per mezzo di una curva ausiliaria, che non ha altra difficoltà se non ladeterminazione dei centri di gravità o dei momenti delle parti superiori relative aogni ipotesi di posizione del punto di rottura. L’analisi riferita al calcolo di unavolta a botte è qui estesa al caso delle cupole, supponendone la divisione in fusi,secondo piani meridiani verticali e giungendo alla osservazione, poi utilizzata

 per la stesura di tabelle operative: “in volte simili, la posizione dei giunti di

rottura non dipende dalle dimensioni assolute, ma è in funzione soltanto deirapporti tra i raggi dell’intradosso e dell’estradosso”. 

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SegueSecolo XIX 

•  Luigi Navier

Il Navier si occupò di statica degli archi e delle volte e nel suo celebre testo Résemé de Leçons … del 1826 introduce la considerazione della tensione che sidistribuisce in ogni punto dei letti trasversali.

Coulomb si preoccupava della condizione limite di equilibrio senza riguardo allaresistenza a compressione del materiale; perciò egli poteva collocare la spintaorizzontale in chiave sull’estradosso e la forza di compressione per il giunto dirottura sull’intradosso. Invece Navier riferisce il calcolo a una situazione limite

 più severa, in cui ancora le sezioni Aa e Mm sono effettivamente reagenti contensioni di compressione sopportabili dal materiale. Conseguentemente ladistribuzione delle tensioni può essere al più triangolare, presentando valorenullo, rispettivamente, in A e in m.

Da ciò risulta:

1.  che la risultante delle pressioni normali al giunto deve passare a unadistanza dal lembo più compresso uguale a un terzo della larghezzaeffettiva di tale giunto

2.  che la pressione in questo lembo è il doppio di quella che avrebbe luogonell’ipotesi di una ripartizione uniforme sulla superficie intera del giunto.

 

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 SegueSecolo XIX 

•  F. J. GerstnerIl Gerstner introduce per la prima volta due nozioni in seguito largamente usatedagli studiosi degli archi: la linea di resistenza e la linea di pressione.La prima è il poligono che congiunge i centri di pressione su ognuno dei pianidei giunti; il poligono si muta in linea curva se i giunti sono infinitamentenumerosi e sottili. La seconda è l’inviluppo delle rette d’azione delle forzereattive tra giunto e giunto. Le due linee sono generalmente distinte.

Perché vi sia equilibrio è necessario che la linea di resistenza passi all’internodell’arco. Se essa interseca l’estradosso sotto un certo angolo, la rottura èimmediata nella regione corrispondente; se essa invece è tangente a uno dei

 bordi, la rotazione dei conci è imminente e corrisponde allo stato di equilibrio“stretto” che solo una resistenza infinita del materiale potrebbe sostenere. D’altra

 parte l’angolo col quale la linea di pressione interseca i giunti deve essere messoin relazione con l’angolo di attrito: se esso si discosta troppo dall’angolo retto

 possono insorgere scorrimenti.Il Gerstner si accorge che, per il carattere iperstatico del problema, è possibiletracciare infinite linee di pressioni passanti per i diversi punti della chiave etangenti ai diversi punti delle reni, che soddisfino alle condizioni di equilibrio. Il

 problema sta appunto nello scegliere quella vera. Ma a tale problema l’autorenon sa dare una risposta corretta, introducendo numerose altre ipotesi che siriveleranno arbitrarie.•  Henry MoseleySul tema dell’arco Moseley fu il principale esponente del tentativo fallace, mafecondo, di aggiungere alle condizioni di equilibrio statico un nuovo criterio discelta fondato sui massimi e sui minimi. Già nel 1833 egli aveva introdotto un

 principio di minima resistenza  per la soluzione dei problemi iperstatici e nel1839 applica tale principio alla statica degli archi osservando che tra tutte lelinee di resistenza tracciabili a partire da un punto generico della sezione inchiave Aa, quella vera, passante per l’estradosso in a e tangente all’intradosso inM, rende minimo il valore della spinta orizzontale P.

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Segue

Secolo XIX 

•  E. Méry

Sulla linea di Moseley e dalle indicazioni de Navier, ha origine il celebre lavorodi Méry, che presenta un metodo pratico, ancor oggi usato per piccoli archi. Ilvalore della spinta P è determinato nell’ipotesi che siano assenti, in ogni sezionedell’arco, tensioni di trazione. Ciò significa che la linea di resistenza  (curva

delle pressioni) sia sempre interna alla striscia definita dalle curve congiungenti ivertici superiori e inferiori rispettivamente del nocciolo centrale d’inerzia di ognisezione trasversale. In altri termini per l’arco di sezione rettangolare o per lavolta a botte, tali curve corrono l’una a una distanza dall’estradosso pari a unterzo dell’altezza h, l’altra a una distanza dall’intradosso pari ancora a un terzodi h. Tra tutte le curve delle pressioni interne alla striscia così delimitata, cui sidà il nome di “terzo medio”, il Méry consiglia di assumere quella che passa perl’estremo superiore del terzo medio nella sezione in chiave e per l’estremoinferiore del terzo medio nel “giunto di rottura” alle reni, inclinato di 60° negli

archi a tutto sesto e collocato all’imposta negli archi ribassati.

La curva delle pressioni  è pertanto pienamente determinata e per tracciarla èsufficiente una elementare costruzione geometrica; si tratta infatti di determinareil poligono funicolare delle forze (peso proprio e sovraccarichi) che incontra tre

 punti: il punto a’  in chiave, il punto M’  e il punto simmetrico dall’altra parte

nelle reni.

A partire dalla seconda metà dell’ottocento subentra una rinnovata concezionedel problema strutturale.Metodi grafici del Culmann prendono il sopravvento. L’analisi elastica delle

strutture diventa la chiave di lettura privilegiata, risolvendo il tema dell’arco inuna applicazione particolare della teoria sulla trave ad asse curvilineo.

L’ingresso dell’elasticità ha consentito di rimuovere le insormontabili incertezzeche gravavano sul modello rigido degli antichi.

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SegueSecolo XIX 

Il Winkler è riuscito a dimostrare che il principio di minimo introdotto daMoseley, potesse essere dedotto in una rinnovata formulazione, qualeconseguenza dei teoremi di minimo caratteristici della teoria elastica. Siimponga infatti che in un arco elastico sia minima l’energia di deformazione:

Se con e  si indica la distanza verticale tra la curva delle pressioni e l’assegeometrico dell’arco, si ha:

M = Pe

Da dove:

Se dunque la rigidezza è costante, la precedente formula si riduce a:

Tale relazione afferma appunto il principio di minimo proposto dal Winkler ecioè che “tra tutte le curve di pressione che si possono costruire per i carichi

agenti, quella vera è tale da discostarsi il meno possibile in media dalla linea

d’asse dell’arco”.

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5. La scienza delle costruzioni durante la rivoluzione industriale

5.1.Larivoluzioneindustriale

La svolta ottocentesca ha condotto gradualmente la scienza del costruire alla suaattuale impostazione. Due sono gli aspetti preminenti del sensibile spostamentodi interessi promosso dagli ingegneri e dagli scienziati delle scuole politecnichenei primi anni dell’Ottocento rispetto al passato:•  il primo sta nell’accentrarsi dell’attenzione sulle  proprietà meccaniche dei

materiali e nella loro risposta alle sollecitazioni. Nuovi aspetti diventanofondamentali, quali la tensione  e la deformazione, ai quali debbono essereimposti limiti di sicurezza.

 Nel passato la forma geometrica della costruzione era la protagonistadell’intervento strutturale. L’invenzione compositiva e la compatibilitàstatica erano due elementi inscindibili di uno stesso processo progettuale.L’impiego appropriato del materiale metallico, disponibile in gran quantità,consente una maggiore “libertà” della variabile formale, introducendoschemi statici inusitati.

• 

Il secondo aspetto riguarda nella rinnovata lettura della costruzione che fascorgere in essa la traccia di strutture più o meno elementari. Mentre nel passato gli elementi dell’edificio (arco, muro,ecc.) erano riferiti a “macchinesemplici” come la leva  e il cuneo, ora l’intero edificio è colto nel suoscheletro portante che veicola e risolve le sollecitazioni. Subentrano nuovielementi, come la trave continua su più appoggi o il telaio.

•  In generale si può affermare che la rivoluzione industriale ha incisomoltissimo nelle tecniche costruttive, sia per l’edilizia civile e industriale, sia

 per le opere strutturalmente più impegnative, come i ponti e le grandicoperture.

5.2.Edifici civili 

• 

Il primo esempio di edificio con colonne e travi in ghisa racchiuse tra paretiesterne in muratura è lo stabilimento a sette piani del 1801 progettato aManchester da Boulton e Watt; ma pur essendo abbastanza frequente lasostituzione della parete piena con elementi verticali di ghisa, nelle regioniindustrializzate, restano ancora episodiche le ossature integralmentemetalliche: occorrerà attendere sino alla seconda metà dell'Ottocento. Delresto, una soluzione soddisfacente ai vari tentativi per sostituire il ferro allegno nei solai cominciò ad apparire dopo il 1836 con la produzioneindustriale delle travi a doppio T.

•  Ma già da tempo l'edilizia popolare per i cosiddetti “edifici di pigione” alle periferie delle grandi città, aveva adottato procedimenti costruttivi e tipologie

strutturali più flessibili, dove il muro perdeva la sua funzione statica a favoredel pilastro.

•  Anche nella realtà poco industrializzata dell'Italia, Alessandro Antonelli(1798-1888) aveva operato in questo senso, elaborando un sistema di“scheletro in muratura” costituito da pilastri di mattoni (da lui definiti“fulcri”), da archi ribassati a spinta eliminata con catene inserite nellospessore della muratura e da solai realizzati con volte, il tutto sempre inmattoni. L’esperimento, la cui compatibilità economica era certamenteconnessa alla perizia delle maestranze e al basso costo della manodopera, èun precedente culturale della grande diffusione delle strutture a scheletro incemento armato che proprio in Italia ebbe a verificarsi sin dai primi anni del

nostro secolo e poi sempre con maggior intensità, pur senza passareattraverso la mediazione delle costruzioni metalliche.

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5.3.Il ferronellacostruzione

dei ponti

•   Nella costruzione dei ponti si può dire che l'ingresso della ghisa e del ferrointerviene ancor prima che fossero intese le potenzialità strutturali di questimateriali. Significativo è il caso del ponte sul Severn ad Ironbridge pressoCoalbrookdale, opera di A. Darby, intorno agli anni 1776-79. Per la primavolta la ghisa è adoperata come elemento fondamentale della costruzione. Lenervature principali furono fuse, come un'enorme scultura in getti lunghicirca 21 metri, su forme di sabbia aperte da un altoforno costruitoappositamente, quindi trasportate per via fluviale sul posto e sollevate confuni e unite in chiave. Non furono impiegati né chiodi, né bulloni.

•  Ancor più significativo è il caso dei ponti progettati o costruiti verso la finedel XVIII secolo, dove la ghisa è trattata al modo della pietra, comemateriale ben resistente a compressione: ad esempio, per il ponte traSunderlande Monkwearmount gettato nel 1796 sul Wear, dove Burdonadottò una struttura a sei archi affiancati, ognuno di 125 pannelli cavi di

ghisa, collegati trasversalmente a quelli dell'arco vicino da sbarre di ferrofucinato. Lo stesso concetto sarà usato anche in Francia dal Lamande per il ponte Austerlitz a Parigi (1801-1806).

•  Gradualmente l'uso del ferro condusse gli ingegneri ottocenteschi adesprimere nuove forme strutturali che, affrancandosi dagli schemitradizionali connessi ai ponti in muratura e in legno, valorizzassero meglio lenotevoli capacità di resistenza a trazione e a compressione del metallo. E quisi iscrive certamente l'interessante e movimentata storia dei ponti sospesi.

•  Sin dal Seicento illustri matematici si erano confrontati sulla risoluzioneteorica del ponte sospeso, e d'altro lato si può ben dire che lo schema di una

 passerella dove un tronco d'albero è sostenuto da esili rami di piantesarmentose, appartiene a tradizioni costruttive remote, tra le memorie dei

 popoli primitivi. Il primo ponte metallico sospeso di cui si abbiano notiziecerte in Europa è quello di Winch sul Tees e risale al 1741; in realtà si trattadi una passerella con l'impalcato posato direttamente sulle catene di ferrofucinato.

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Segue

Il ferronella costruzionedei ponti

•  L'invenzione del ponte sospeso con impalcato irrigidito è generalmenteattribuita a Judge J. Finley (1762-1818), un americano della Pennsylvaniache ne costruì alcuni esemplari intorno agli ultimi anni del XVIII secolo. InInghilterra, il capitano di marina S. Brown introdusse il medesimo schema: ilsuo ponte sul Tweed del 1813, con l'impalcato sostenuto da dodici cateneformate da anelli di 5 cm di diametro, su elementi lunghi 4,5 m, per una lucedi 91 m, è considerato il prototipo dei ponti sospesi europei. Anche Telford(fig. 10.6) e, nel continente, Navier (con il “pont des Invalides” a Parigi del1823), Chailey (con il ponte sulla Sarine a Friburgo di 273 m, a quel tempo il

 più lungo d'Europa), si impegnarono in questa tipologia strutturale che cosìefficacemente valorizzava il materiale metallico; si giunge così a uno deimaggiori capolavori dell'ingegneria ottocentesca: il ponte sull'Avon a Bristoldel 1836, opera del giovanissimo I. K. Brunei (1806-1859).

•  Deve essere inoltre ricordato il grande sviluppo dell'ingegneria ferroviariadapprima in Inghilterra, quindi in altri paesi europei e finalmente, dalla metàdel secolo, in America.

L'analisi strutturale deve moltissimo all'ingegneria ferroviaria; il dibattitoscientifico e tecnico che accompagnò e seguì la creazione di opereeccezionali, come il ponte sul fiume Conway realizzato da R. Stephenson nel1845 per la linea Londra-Chester-Holyhead, o come il ponte Britannia sulMenai, dello stesso Stephenson, realizzato negli anni tra il 1844 ed il 1850,segnò, si può dire, l'inizio delle moderne teorie

•  Verso la fine del secolo scorso la tecnica dei ponti ferroviari dette risultati diimpressionante arditezza e di ammirevole eleganza, quasi all'apice dì una“civiltà del ferro” venuta maturando dalla rivoluzione industriale. Basti citarela gigantesca struttura reticolare spaziale del ponte sul Firth of Forth (1882-1889) di B. Baker e J. Fowler, o i numerosi viadotti dovuti al grande

ingegnere e imprenditore G. Eiffel.

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5.4.Le grandicoperturee leesposizioni

universali 

La rivoluzione industriale ha influenzato notevolmente la scienza del costruireanche attraverso le nuove prospettive offerte dal ferro per la copertura di grandiluci in edifici speciali, legati alla civiltà dell'industria che, prorompendo quasidall'esterno, hanno rinnovato formalmente l'invenzione costruttiva: si tratta delle“esposizioni universali” con le quali le grandi nazioni europee, in particolarel'Inghilterra e la Francia, seppero affermare un proprio ruolo sul pianoeconomico del commercio internazionale.Come è noto, la prima “esposizione universale” si tenne a Londra in Hyde Parknel 1851; un costruttore di serre, J. Paxton vinse il concorso-appalto essendoriuscito a garantire la rapidità dell'esecuzione e il recupero integrale deglielementi dopo lo smontaggio, grazie a una completa prefabbricazione.Sotto il profilo strutturale sono però forse più interessanti gli edifici predisposti

 per le “Galeries de Machines” di alcune esposizioni francesi degli annisuccessivi: il problema da risolvere era quello di un'ampia copertura in ferro evetro. Per l'esposizione del 1867 di Parigi, la soluzione adottata dal progettistaKrantz fu di usare archi metallici su una luce di 35 m e di eliminare le spinte

 prolungando i pilastri all'esterno e collegandoli con tiranti sopra la volta vetrata;in tale occasione, il giovane G. Eiffel, che aveva da poco aperto l'officinaincaricata di predisporre le armature, si incaricò dei calcoli e delle verifichesperimentali.Tra le esposizioni, la più famosa è certo quella di Parigi del 1889, nel centenariodella Rivoluzione francese, con l costruzione della “Tour Eiffel”, alta 300 m, ilcui profilo - secondo quel che ne dice lo stesso Eiffel - fu disegnato in modo daresistere all'azione del vento; altrettanto suggestiva doveva essere la “Galerie

des Machines” ideata da Dutert e progettata strutturalmente da Contamin,Pierron e Charton dove grandi archi reticolari a tre cerniere coprivano una luce

di 115 m; purtroppo la “Galerie” fu demolita nel 1910.Per rendere il quadro un po' meno incompleto occorre aggiungere un cenno sullestazioni ferroviarie e sui grandi mercati coperti per i quali l'impiego di strutturemetalliche, generalmente reticolari, si diffuse soprattutto durante la secondametà dell'Ottocento: notevole, per impegno e per primato temporale, è il casodella stazione di San Pancrazio a Londra (1865), opera di B. H. Harlow, la cuivolta è sostenuta da archi a traliccio, a sesto acuto, su una luce di 73 m e unafreccia di 30,50 m; la spinta orizzontale è assorbita da una catena orizzontalealloggiata sotto il piano del ferro.

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6. L’ingresso del calcolatore nella scienza delle costruzioni

6.1.Mutamentilinguistici 

•  L'elemento dominante che ha determinato l'evoluzione della scienza delcostruire nel corso dei secoli e che ancor oggi ne sta governando gli sviluppi

 più promettenti, è di natura “linguistica”. Accanto all’innegabileavanzamento conoscitivo scientifico si pone un'altra linea di ricerca volta piùall’estensione e alla riforma del linguaggio sul medesimo materiale empirico,che delle conoscenze. Del resto, ciò è caratteristico in generale dellameccanica classica, la quale, come osserva il Dugas, “è una delle branche

della fisica il cui bagaglio di principi è nello stesso tempo molto ristretto in

volume e molto ricco di conseguenze utili. Poche scienze, d'altra parte,

hanno richiesto un maggior sforzo allo spirito umano: la conquista di

qualche assioma ha richiesto più di duemila anni”.

•  Secondo Lagrange spesso non è stato l'ingresso di nuovi dati sperimentali a

orientare l'indagine, bensì una rinnovata invenzione linguistica  checonsentisse di accogliere in una sintassi e in un lessico sempre piùcomprensivi e potenti i risultati parziali raggiunti direttamente,dimostrandone la congruenza formale e talvolta addirittura l'identità dicontenuto. Lo studio storico della scienza del costruire trova un suo assedirettivo proprio in questo esito, per la formazione di un linguaggio giusto,operativo e rigoroso, universale e duttile, capace di coprire ogni istanza dirazionalità, a tal segno da porre se stesso come principio di validazione, nelsenso che ogni ipotesi, ogni conclusione particolare riceve ormai legittimitàse può iscriversi nel grande quadro formale definito dai principi e dai metodideduttivi.

•  Si è così passati dal linguaggio mitico simbolico dei primitivi, al linguaggiosimbolico-geometrico dell'antichità e del Medioevo, al linguaggiogeometrico-meccanico dell'età rinascimentale e barocca, al linguaggiomeccanico-analitico dell'Illuminismo e del primo Ottocento, al linguaggioanalitico-formale della sistemazione contemporanea.

•  Questa metamorfosi linguista continua, con ritmo accelerato. Ci separa soloun secolo dalla “rivoluzione grafica” di Culmann che aveva gradualmenteinvaso l'intero campo della statica strutturale ridefinendone l'ordine logico; in

questo secolo la disciplina ha cambiato “pelle” più volte, sempre più instretto contatto con le trasformazioni del linguaggio matematico.C'è stata la stagione della notazione vettoriale, sino al suo compimentoassoluto o autonomo nella teoria generale delle omografie vettoriali elaboratain vista delle applicazioni meccaniche da C. Burali Forti e R. Marcolongo;c'è stata la stagione più fortunata della traduzione nei termini eleganti delcalcolo tensoriale, introdotto da G. Ricci e da T. Levi-Civita; c'è stata lastagione della revisione sistematica dei problemi fondamentali alla luce deglistrumenti e dei metodi offerti dall’analisi funzionale.

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6.2.Uso delcalcolatore 

Il più delle volte, però, si è trattato di travestimenti parziali e soprattuttocircoscritti alla mera ricerca teorica, senza un reale coinvolgimento della pratica

 progettuale, più vicini alla meccanica dei solidi che non alla scienza delcostruire.Ben diverso è il caso che si è venuto verificando specialmente negli ultimi anni,con l'ingresso del calcolatore e la diffusione dei metodi di calcolo automatico.L'analisi delle strutture ne ha risentito fortemente sia in sé, sia in riferimento al

 più vasto orizzonte della cultura scientifica e tecnica attuale.A partire dalla fine degli anni cinquanta l'uso del computer ha trasformato lastessa definizione dei problemi e gli obiettivi della disciplina, rimovendo ostacoliche prima sembravano insormontabili, orientando in modo diverso le esigenze eil senso delle domande, abbandonando procedimenti approssimati, soluzionigeniali e sintetiche che avevano riscosso anche indiscusso credito.Accanto allo sviluppo delle tecniche numeriche per la formazione di programmidi calcolo adeguati alle svariate circostanze del progetto strutturale; accanto agliaspetti politico-gestionali che hanno caratterizzato la nascita e l'affermazionecommerciale dei risultati applicativi a ridosso della grande industria informatica,si è assistito a un progressivo spostamento di interessi anche in sede teorica: laverifica “sperimentale” ha dilatato il suo campo di intervento riguardando nonsolo gli oggetti fisici in consegna alle macchine di prova, ma anche i modellimatematici in consegna al calcolatore. La “sperimentazione” sul modellomatematico è diventata, per lo scienziato e il tecnico, un criterio irrinunciabile di“validazione”, così come la rispondenza ai fatti è irrinunciabile criterio di verità

 per la scienza fisica da Galileo in poi.Oggi è diffusa l'opinione che l'avvento del calcolo automatico abbia posto fine atale epoca semi-empirica dell'ingegneria: ormai, possono essere costruiti modelli

matematici raffinati su alcuni dei più complessi fenomeni fisici e, se la potenzadel calcolatore è sufficiente, si possono produrre risultati numerici credibili sullarisposta del sistema esaminato .Certo è che oggi siamo al termine di una impressionante rivoluzione linguisticache ha attraversato la meccanica delle strutture per tradurla a servizio del calcoloautomatico; è l'ultima rivoluzione, paragonabile, in estensione ed efficaciaapplicativa, solo a quella ottocentesca della statica grafica.

6.3.Il metododegli elementifiniti

L'ingresso del calcolatore ha promosso lo sviluppo di molteplici strumenti dianalisi numerica per lo studio di strutture più complesse, non riconducibili a travie a travature. La meccanica dei solidi, e in particolare la teoria dell'elasticità,

hanno così trovato ampio spazio per le applicazioni. I metodi generalmente usaticonsistono nel “discretizzare” le equazioni di equilibrio e di congruenza validenel continuo, superando lo scoglio, spesso insormontabile, dei sistemi diequazioni differenziali alle derivate parziali, ai quali l'indagine fisico-matematicaapproda. In un primo tempo, la “discretizzazione” era veduta come un capitolointerno al calcolo numerico, di cui l'ingegnere poteva ritenersi “utente”, senza

 peraltro entrare nel merito delle delicate questioni affrontate dai matematiciaddetti ai lavori. In tale spirito erano applicati metodi come quello delledifferenze finite o come quello variazionale diretto, su cui esistevano rassicurantirisultati fondamentali. Il panorama è mutato alquanto con l'avvento delcosiddetto “metodo degli elementi finiti”, ideato da numerosi ingegneri e

matematici (B. Fraeijs de Veubeke, R. W. Clough, O. C. Zienkiewicz, R. H.Gallagher, J. H. Argyris).

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Segue

Il metodo deglielementi finiti

Questo metodo interpreta la struttura come una composizione di elementi, divaria forma e dimensione; su ognuno di essi è svolta una preventiva analisiapprossimata, in modo da caratterizzarne il comportamento mediante un numerodiscreto di parametri (o gradi di libertà), giungendo ad equazioni di legame trale forze applicate nei vertici dell'elemento e gli spostamenti dei vertici stessi.È evidente l'analogia con l'impostazione descritta nei paragrafi precedentirelativa alle travature; così come ogni elemento trave era definito daglispostamenti e dalle forze agli estremi 1, 2, allo stesso modo ogni elemento finitoè ora rappresentato dagli spostamenti d  e dalle forze f   che operano nei suoivertici. L'analisi dell'elemento perviene perciò, secondo uno dei procedimenti

 più comuni del metodo, a un'equazione matriciale del tipo:  f - Kd dove K viene detta matrice di rigidezza dell'elemento.Successivamente viene affrontato il problema dell'assemblaggio  dei diversielementi, per esprimere la relazione tra le forze esterne agenti sulla struttura e glispostamenti nei vertici della maglia a cui il continuo è stato ricondotto. L'abilitàdell'operatore si rivela nella scelta della maglia più opportuna, infittita là dove si

 prevedano concentrazioni o rapide variazioni dello stato di tensione: più larga làdove l'andamento prevedibile sia sufficientemente “regolare”, aderente allaforma della struttura soprattutto nelle regioni che richiedono maggior attenzione.

La figura sottostante riporta un campionario di elementi finiti, tra quelli piùcomuni e più noti: come si vede, esistono ampie possibilità di scelta perrappresentare, mediante la loro unione, svariati oggetti strutturali: dalla lastracaricata nel proprio piano, alla lastra inflessa, alla membrana, al guscio,all'elemento solido assial-simmetrico, al corpo tridimensionale di formagenerica.

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Segue

Il metodo deglielementi finiti

Si deve molto all'ingegneria aerospaziale se il metodo ha raggiunto rapidamentetraguardi applicativi soddisfacenti, sviluppandosi con grande vivacità sin dallafine degli anni cinquanta. Ancora oggi il campo aerotecnico e aerospazialecontinua a detenere primaria importanza.

L’immagine sotto riportata è tratta dai "Proceedings" di un convegno AGARD(Advisory Group for Aerospace Research and Development) del 1975: vi sonorappresentate le sub-strutture in cui è stata suddivisa l'analisi strutturale di unvelivolo militare, con l'indicazione della maglia per il naso della fusoliera, per untotale di 1.900 nodi, 4.777 elementi e 10.452 “gradi di libertà” (variabiliincognite).

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 Segue

Il metodo deglielementi finiti

Si possono addurre altri esempi. Le due figure sotto riportate sono prese da untesto classico sugli elementi finiti di O. C. Zienkiewicz e riguardano l'analisidella tensione in una diga a gravità, nell'ipotesi di stato piano (fig. a): come sivede, lo studio è esteso anche al terreno sottostante tenendone presenti lecaratteristiche geologiche. Nella fig. b  appare il risultato finale, ossia laindividuazione delle tensioni e delle direzioni principali in ogni elemento sottol'azione combinata del peso proprio e della pressione dell'acqua: entrambe leazioni sono intese come forze esterne.