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Centro Studi C.N.I. 15 ottobre 2017

Centro Studi C.N.I. 15 ottobre 2017 · INDICE RASSEGNA STAMPA Indice Rassegna Stampa Centro Studi C.N.I. 15 ottobre 2017 Pagina I INFRASTRUTTURE Corriere Della Sera 15/10/17 P. 22

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Centro Studi C.N.I. 15 ottobre 2017

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INDICE RASSEGNA STAMPA

Indice Rassegna Stampa

Centro Studi C.N.I. 15 ottobre 2017

Pagina I

INFRASTRUTTURE

L'Adriatica si gioca il futuro tra i Balcani e fa Via della SetaCorriere Della Sera 15/10/17 P. 22 Dario Di Vico 1

INNOVAZIONE

Sui banchi per studiare la cultura dell'innovazioneSole 24 Ore 15/10/17 P. 1 Luca De Biase 5

Page 3: Centro Studi C.N.I. 15 ottobre 2017 · INDICE RASSEGNA STAMPA Indice Rassegna Stampa Centro Studi C.N.I. 15 ottobre 2017 Pagina I INFRASTRUTTURE Corriere Della Sera 15/10/17 P. 22

IN MOVIMENTO

L'Adriatica si gioca il futurotra i Balcani e Ta Via della Setadi Dario Di Vico

r eno D'Agostino, presidente del por-to di Trieste, la pensa così : «Non so

I ancora quali trasformazioni la Viadella Seta porterà nell'economiadell'Adriatico e in quali tempi maper ora so che abbiamo la fortuna di

essere qui, nel posto giusto». Siamo dunquealla vigilia di un nuovo corso della storiaadriatica? Quel corridoio che negli anni `8oaveva affascinato intellettuali come GiorgioFuà, e li aveva portati a descrivere un nuovomodello di rapporto tra economia e società,si vede portare in dono dalla globalizzazioneuna nuova grande chance? Non è facile ri-spondere a queste domande perché nella so-cietà adriatica il livello di conoscenza dei pro-blemi è molto disomogeneo, le informazioninon circolano così largamente tra le élite delterritorio o quantomeno ogni segmento diclasse dirigente appare concentrato su unatessera del puzzle e sembra non avere lavisio-ne di insieme. E le tessere obiettivamente so-no tante.

Ci sono le trasformazioni di ieri che hannovisto lo spopolamento della montagna, l'ur-banizzazione della costa e gli svariati disastriche ha lasciato dietro di sé, città come Riminiche hanno attirato nuovi residenti più d'ognialtra, l'Abruzzo che a sorpresa è uscito dal-l'obiettivo i simbolo delle aree depresse. E poic'è l'agenda dell'oggi con un'autostrada, laA14, che nel percorso da Bologna a Tarantograzie ai dati del traffico dei Tir ci racconta ledifferenze di risposta che i vari segmenti delladorsale adriatica hanno saputo dare alla crisi.

C'è, stavolta in prospettiva, un dialogo daaprire da Ovest guardando ad Est, tra le im-prese più strutturate dell'Emilia-Romagna,delle Marche e dell'Abruzzo con l'entroterrabalcanico per costruire con Paesi come laCroazia, la Serbia, l'Albania e le altre repub-bliche relazioni forti come quelle che i tede-schi sanno tessere. C'è poi, per concluderequesta rapida rassegna, la suggestione dellaVia della Seta con i cinesi che premono perarrivare in Europa e per costruire dopo lo sto-rico ingresso nel Wto la seconda fase della lo-ro globalizzazione.

La sintesi tra tutte queste tendenze è diffici-le e anche in questo caso come abbiamo vi-

sto per il ricco Nord i circuiti amministrati-vi e associativi mostrano tutte le loro lacune eframmentazioni. E così si rischia di vagabon-dare tra nostalgie e sogni, tra un passato chenon può essere archiviato, un post-terremotoche condiziona il presente e un futuro indefi-nito. Con l'aggravante che ogni protagonistaconosce un pezzo della storia, non l'insieme.Gli anglosassoni direbbero che abbiamo undeficit di governane: è evidente la sfasaturatra la forza dell'economia dei flussi e la lentez-za dei «tavoli» o delle cabine di regia.

Quel 2011/o di imprese2ominciamo dalle imprese. Valeriano Ballo-ni, economista e vicepresidente dell'Istao, stalavorando proprio in questi giorni a un rap-porto su quelli che chiama specialized sup-plier, fornitori specializzati. Imprese che han-no saputo inserirsi da protagonisti nelle cate-ne del valore internazionale tanto da diventa-re «interlocutori creativi» della Mercedes,della Volkswagen e delle nostre multinazio-nali tascabili. «La loro forza è di essere com-binatori di tecnologia, è l'evoluzione miglioredel modello Nec di Fuà, non abbiamo però ildato esatto di quanti siano». A spanne si puòazzardare che rappresentano al massimo il2o% del sistema delle imprese, il resto vegeta.Sono troppe le aziende che faticano a innova-re il loro modello di business e per di più han-no vissuto anche i contraccolpi economici delterremoto. «Il vero problema è il capitaleumano» ammonisce Balloni e si capisce co-me la modernizzazione del modello Adriaticoda questo versante sia ancora ai preliminari.

Analizzando i dati del traffico di Tir sull'au-tostrada A14 la segmentazione di cui parla

Un quinto delle aziend(dimostra di essereall'avanguardia,mentre il resto faticaad innovare il propriomodello di business

I dati

• Analizzando idati dei Tir sullaA14, da Riminia Pescarail traffico è increscita, masulla stessaautostradala crescitaè decisamentepiù evidentein Puglia,nel tratto cheva da Canosaa Taranto:+4,6% di Tirin 12 mesi

• Passandoper l'Adriaticole merci cinesirisparmiereb-bero rispettoalla rottasu Rotterdamsette giornie almeno un10% di costi.È benericordare comePechino abbiagià conquistatoil portodel Pireo

Infrastrutture Pagina 1

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Balloni viene fuori scandita dai 743 chilome-tri che si susseguono. Da Bologna a Rimini iltraffico è sostenuto quasi a livelli nordestini eriflette l'attività di aziende snelle, innovative einternazionalizzate. Da Rimini fino a Pescarail traffico è in crescita grazie alla ripresa ma ilmodello è più autarchico, più legato a sistemidi fornitura a corto raggio e in qualche ma-niera condizionato dai disastri del localismobancario. Dove invece la crescita è più impe-tuosa è in Puglia, sulla Canosa-Taranto: +4,6%di Tir in un anno a dimostrazione di comel'abbinata tra turismo e sistema agro-alimen-tare abbia la capacità di generare anche traffi-co pesante.

Da Ovest verso EstAdrion, invece, è il programma della Ue perl'area adriatico-jonica e vede coinvolti i Paesimembri (Italia, Grecia, Slovenia e Croazia) piùaltri come Macedonia, in tutto 31 regioni. Gliobiettivi come in questi casi sono ambiziosi evanno dalla costruzione materiale dei corri-doi infrastrutturali all'ambiente e persino altrasferimento di modelli di costruzione delleistituzioni. Patrizio Bianchi, è assessore al La-voro e alle Politiche europee della Regione(l'Emilia-Romagna) che ha il coordinamentodi Adrion ed è convinto che il progetto in que-stione oltre a rafforzare la porta Est dell'Euro-pa, ancorandola alla parte più sviluppata del-l'economia industriale continentale Ger-mania e Italia del Nord , possa dotare i si-stemi produttivi locali di nuove relazioni con iPaesi balcanici. «Finora esistono singole ini-ziative italiane in Croazia, Slovenia e soprat-tutto in Albania, non c'è ancora la consapevo-lezza di questa opportunità. Eppure si trattadi economie che si sono messe in moto anchea ritmi interessanti. Dovremo muoverci».

Qualche esperienza-pilota, come detto, esi-ste: gli emiliani sono andati in Albania nonsolo con iniziative industriali ma anche construtture scolastiche; la concorrenza direttadei tedeschi, fortissimi almeno fino in Slove-

nia, infatti passa anche da qui dai modelli diistruzione e dalla diffusione delle scuole tec-niche. Cosa si può pensare di costruire da quialmeno entro il 2020? Nel sistema industrialeadriatico non c'è ancora consapevolezza diquesta opportunità ma Paolo Merloni, presi- -dente di Ariston Merloni Group, ci crede: «Leeconomie si sviluppano per cerchi concentri-ci e i Balcani sono il nostro vicino di casa, cisono persino delle comunanze. Per le nostrePini è quasi un tema obbligato e francamentemi sembra una prospettiva più concreta ri-spetto alla Via della Seta». Chi parla può van-tarsi di aver continuato a credere nel modelloadriatico perché ha costruito una multinazio-nale tascabile presente in 37 Paesi del globo,«ma abbiamo lasciato la testa, i centri di com-petenza e molte attività manifatturiere qui».

Il rebus della SetaArriviamo alla Via della Seta. Passando per ilmare Adriatico le merci cinesi risparmiereb-bero rispetto alla rotta su Rotterdam la bellez-za di 7 giorni e almeno un loi di costi e giovaricordare come Pechino abbia già conquistatoil porto del Pireo.

I nuovi progetti riguardano sia un'ipoteticaferrovia nell'entroterra balcanico sia il poten-ziamento del traffico via mare che avrebbe co-me interlocutori obbligati i nostri porti di Ra-venna, Venezia e Trieste oltre a quelli di Capo-distria e Fiume. Ma i giochi non sono ancorafatti e Rotterdam non solo non si rassegna aperdere ma gode dell'appoggio tedesco. Ergonon è facile oggi assegnare alla Via della Setauna tempistica certa, si può dire solo che ri-guarderà gli anni Venti. Il guaio è, come osser-va Paolo Perulli, il sociologo che ci sta accom-pagnando in quest'Italia in Movimento, che «ilmondo adriatico non è pronto a recepire que-sta dirompente novità». Anche perché sta pianpiano emergendo che i cinesi non cercano so-lo porti e infrastrutture ma stanno posando lereti della loro seconda globalizzazione dopoquella che li condusse allo storico ingresso nelWto. E per ricavare queste sensazioni bisognainterpretare i segnali dei maggiorenti di Pechi-no e persino le cartine dei mari e delle rotteche disegnano le autorità.

Chi per lavoro ha il compito di dialogareogni giorno con loro come D'Agostino si è fat-

Pechino non cercasolo porti e stradema sta posando le retidella sua secondaglobalizzazione dopo

to l'idea che in ballo ci sarà anche una sorta diintegrazione con l'industria europea. I cinesiin alcuni settori hanno sovracapacità produt-tiva e sarebbero ben felici di industrializzarealcune zone dell'Europa e in questo caso lacollaborazione con l'Italia dovrebbe prevede-re giocoforza un terzo lato del triangolo, i ter-ritori balcanici.

«Premetto che oggi i porti non sono piùquelli di una volta. Sono dei sistemi che han-no all'interno servizi, manifattura e persinofinanza e di conseguenza sono uno straordi-nario punto d'osservazione spiega il presi-dente del porto di Trieste . E comunquecon i cinesi non si parla solo di logistica emerci ma di integrazioni con i territori orga-nizzati. La nuova Via della Seta mi pare so-prattutto questo».

Di conseguenza per tutto l'Adriatico rap-presenta una sfida prima di tutto a se stesso esi parte decisamente in salita. «Il mare è ric-chezza e lo hanno capito Shanghai, Singapo-re, New York. In Italia invece è sinonimo didepressione e infatti da noi invece le cittàportuali hanno tutte dei problemi e non solole adriatiche» chiude D'Agostino.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Infrastrutture Pagina 2

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• La parola

ADRION

È il nome del programma «Interreg V-B Adriatico-Ionico»per il periodo 2014-2020, previsto nell'ambito della«Cooperazione territoriale europea» che interessa l'areaadriatico-ionica. L'obiettivo del programma «Adrion»è quello di «agire come propulsore delle politiche einnovatore della governance promuovendo l'integrazioneeuropea tra Stati membri e non, utilizzando le ricche risorsenaturali, culturali e umane che circondano i mari Adriaticoe Ionio e rafforzando la coesione economica, sociale eterritoriale nell'area del programma». L'area interessata ècostituita da Italia, Grecia, Croazia e Slovenia e da quattroPaesi non Ue (Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro eSerbia). I progetti vengono finanziati con risorse paria 117.917.378 euro. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Helen Tu (Chic Group)

«In cinque anni potreste diventarela porta della Cina sull'Europa»

T a Via della Seta non è a senso// unico. Gli imprenditori italiani\\ devono esplorare la Cina escoprirne la cultura. E i cinesi devono fare lostesso con l'Italia. Poi potremo parlare diinfrastrutture e merci da Pechinoall'Adriatico e viceversa». Helen Tu, ceo diChic Group, società che si occupa di creareoccasioni di business in Cina per le aziende

europee, non ha dubbi. Perlei, che lavora nel nostroPaese da 17 anni, la Via dellaSeta è un'opportunità senzaprecedenti: è bidirezionale.Per coglierla però bisognapreparare le impreseitaliane al grande salto. «Neinostri 20 shopping mall, daShanghai a Zhuhai spiega

cerchiamo di agevolare le

aziende dei settori food e fashion chevogliono arrivare in Oriente. Però manca unacultura del management in grado disostenere l'internazionalizzazione». Ed è quiche, secondo Tu, i suoi connazionalipossono intervenire con competenze e nonsolo capitali. La chiave è la cooperazione.«L'Italia potrebbe diventare nell'arco di ,5anni la porta d'ingresso della Cina in Europa.E questo perché cinesi e italiani sono simili:hanno bisogno di fidarsi prima di farebusiness e vivono di legami familiari». C'èpoi l'amore del paese della Grande Muragliaper il made in Italy. «L'attenzione per i vostriprodotti è alta. Facilitare le connessioni e gliinvestimenti è il prossimo passo. Allora sìche a cascata si ristruttureranno tutte lefiliere, non solo da Occidente a Oriente».

Diana Cavalcoli@ RIPRODUZIONE RISERVATA

Infrastrutture Pagina 3

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Diego Mingarelli (Piccola Industria Marche)

«Infrastrutture e metalmeccanica,la Serbia è un partner strategico»

I 1 «salto al di là del mare» per DiegoMingarelli, presidente Piccola IndustriaMarche di Confindustria, non è un'utopia

anche se il sistema delle imprese adriatiche èancora in piena ristrutturazione. «Nel postcrisi i Balcani sono diventati un mercatopotenziale racconta . Anche per questonell'ultimo anno abbiamo incontrato diversedelegazioni straniere. L'idea è ripensare i

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nostri ecosistemi di busi-ness». Il paese che più dialtri ha risposto alla chia-mata italiana è stata la Serbia. «E un mercato interes-sante soprattutto per il set-tore delle infrastrutture eper cercare alleanze strate-giche nel metalmeccanico».Potenziare le relazioni oltreconfine però non basta a

rilanciare l'economia: per Mingarelli,bisogna lavorare a livello locale. L'espansionea Est può essere un obiettivo a patto che leaziende innovino «in casa» stringendolegami tra loro e con le università. «Siamo inun fase di transizione. Teniamo presente chele Marche hanno pagato il prezzo più altodopo la crisi: la manifattura è crollata esiamo oltre io punti sotto il Pil del2oo8».L'industria però non è morta e secondoMingarelli sta lentamente risalendo la china.«Abbiamo una geografia d'impresa amacchia di leopardo: piccole aziende terzistema anche diverse eccellenze». In questo mixil mercato dei Balcani può di certo fare dastimolo. «C'è molto lavoro da fare con i Paesidi quest'area. Ma è una finestra che nonpossiamo permetterci di lasciare».

D. Cav.© RIPRODUZIONE RISERVATA

Infrastrutture Pagina 4

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ii LAVOR3 4'O , NUTI!RO. LA FORMAZIONE

Sui banchiper studiarela culturadell'innovazionedi Luca De Biase

pazi aperti. Prati, ovvia-mente, rasati da robot.

Edifici architettonicamenteleggeri e tecnologicamentedensi. Tradizione imprendi-toriale che si respira nell'aria.

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Innovazione Pagina 5

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Il lavoro del futuroVIAGGIO NEL CAMBIAMENTO 19

In aula. Stefano Moriggi (Bicocca): «Se si portala rete in classe,si deve ripensare la classe come una piccola comunità di ricerca»

Sui banchi per studiare cultura dell'innovazioneAlberto Di Minin (SantAnna di Pisa): «Il modello formativo di eccellenza sarà esperienziale, empatico e rigoroso»

'11 —

ella tenuta di Ca' Tron, lungo il Sile,nellacampagnatrevisana,a duepas-

INsi dalla laguna di Venezia, H-Farmsta attraversando una mutazione:

era essenzialmente unacceleratore di startup;sta diventando soprattutto una struttura cheoffre formazione alle persone e servizi per latrasformazione digitale delle aziende. «Ab-biamo deciso dirispondere almercato», dice ilfondatore, Riccardo Donadon: «abbiamo vi-sto che il mercato non compra molte startupma dimostra un'enorme domanda di culturadell'innovazione». Il modello dell'accelerato-re poteva forse arrivare al pareggio, ma introppo tempo e con troppa fatica. «Questo èun Paese di piccole e medie aziende che sannofare cose straordinariamente apprezzate, mache hanno bisogno di conoscere le opportuni-tà offerte dalle tecnologie contemporanee e diassumere persone che le possano aiutare amodernizzarsi». E questo il retroterra dal qua-le è scaturita la nuova missione. «I servizi alladigitalizzazione delle aziende e la formazionesono mercati in pieno boom», racconta Dona-don. «Oggi abbiamo un migliaio di studenti,arriveremo a 2mila l'anno prossimo e 3mila a

regime». Ci sarà innovazione tecnologica emetodologica: «Stiamo scrivendo un "siste-ma operativo" per mettere in relazione geni-tori, studentie docenti, una tecnologia "mobilefirst", per creare percorsi formativi "su misu-ra" per gli studenti: quellibraviin una materiapasseranno subito a un livello superiore, nes-suno si dovrà annoiare. Anche studiando nuo-ve materie come "innovazione", "materiali","digital economy", "modellidibusiness".Epoistiamo costruendo una piattaforma per con-sentire a tuttigli studenti diaccedereallelezio-ni dei migliori docenti, con l'aiuto di un coachin aula: saranno prima video, diventerannoologrammi; gli studenti faranno "wow!"». Ilpunto è che tutto questo si inquadra inun'ana-lisi del lavoro del futuro molto precisa. «Que-sta generazione èfortunataperché può arriva-re a svolgere lavori molto interessanti. Pensoche i mestieri di ieri, il calzolaio, l'occhialaio, ilsarto, diventino entusiasmanti con l'aggiuntadi tecnologie elettroniche che consentono didisegnare prodotti wearable totalmente nuo-vi e capaci di rispondere alle esigenze di bel-lezza, senso e funzionalità immaginabili oggi.Vogliamo connettere il nostro territorio alleopportunità del domani. Evogliamo chela no-stra scuola apra gli occhi su questo futuro».

È unavisione. Su untema centrale. La sosti-tuzione delle macchine al lavoro umano non èineluttabile, perché sono i progetti degli uma-ni a guidare i fenomeni, ma per fare progettiche tengano conto delle loro conseguenze gliumani hanno bisogno di consapevolezza. E

n H-Farm: da acceleratore di startup pionieristico ascuola e sistema di servizi perla digitalizzazione.Ora ha più di mille studenti iscritti all'annoscolastico 2017/18:808 underl8 (H-InternationalSchoolTreviso,325;EnglishInternationalSchooldi Rosà, 294; Little English School di Vicenza, 189).Ha 83iscritti alcorso di laurea in Digitalmanagement partitoa settembre 2017: sonostatiselezionati su oltre200 candidati. E ha 14Oiscrittiai master.Ai DigitalSummerCamp2017 hannopartecipato 1.146 ragazzi. I1valore dellaproduzione, nello semestre 2017 è arrivato a 21,9milioni (+49%rispetto allo stesso periododell'anno precedente). Nella sua storia,da12005,ha i nvestito 25,7 mi lioni i n 105 startu p, ha 530dipendenti (+86 nello semestre 2017).

questo è il problema: la velocità del cambia-mento tecnologico sfida la cultura ad accele-rare per mettersi al passo. Non sempre ci rie-sce. Il che è una sfida al sistema educativo.

In che direzione? Nel corso di que sta inchie-sta a puntate, le imprese che hanno fatto passiavanti importanti nell'automazione hanno ri-sposto: ci vogliono "specialisti dalla menteaperta". Una contraddizione? «In passato sipensava per alternative, "o questo o quello",ora sipensainterminipiùcomplessi, "questo equello"», ricorda Severino Salvemini, docen-te di organizzazione aziendale alla Bocconi.«Sappiamo che intelligenza artificiale,roboti-ca, nanotecnologia, biotecnologia, stanno tra-sformando quello che facciamo e come lo fac-ciamo», dice Ersili a Vaudo, astrofisica e capodel progetto Gender e Diversity dell'Agenziaspaziale europea: «L'Ocse ci dice che, da qui al2020, più di un terzo delle competenze che sa-

FRONTIEREH-Farm lavora a una tecnologia«mobile first» per creare percorsiformativi su misura, con materiequali digital economy, materialie modelli di business.........................................................................................................

ranno considerate cruciali e quindi ad alta do-manda per i posti di lavoro futuri, hanno oggiuna importanza secondaria: le social skills -capacità di persuasione, intelligenza emotiva,abilità nell'insegnamento; le capacità cogniti-ve - creatività, ragionamento analitico; e le"process skills" - capacità di ascolto, criticalthinking». E Vaudo aggiunge sorridendo: «Sequesto èvero, conunaincursionenegli stereo-tipi, si potrebbe pensare che sarà più facile peri robot sostituire le skill maschili che quellefemminili...». Dice Salvemini, le imprese han-no imparato a selezionarei candidati per tenerconto anche di questo: «E come fanno? Guar-dando in filigrana il curriculum dei giovani e

Innovazione Pagina 6

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decifrando - accanto all'indispensabile per-corso scolastico di qualità- anche le esperien-ze sociali che i ragazzi hanno fatto: lo sport dapiccoli; le esperienze teatrali e performativealla scuola superiore; H volontariato durante lasera o l'estate quando hanno vent'anni; e cosìvia». Un approccio empirico dal chiaro signi-ficato: non è soltanto la scuola a formare i gio-vani e comunque quello che fa la scuola non èsufficiente. Per ora. La Commissione europeamostra il disallineamentotra le skill offerte og-gi e quelle che saranno chieste in futuro, nellasua comunicazione intitolata: "On a renewedE U age nda fo r higher educatio n". Dice la C om-missione: «In molti Paesi europei esiste unadomanda non soddisfatta di laureati in scien-ze, tecnologie, arti, matematica (Steam). Inol-tre, tutti gli studenti devono acquisire skill tra-sversali: autonomia, pensiero critico, pro-blem-solving».

I sistemi universitari di alcuni Paesi, Olan-da in testa, si sono rivelati leader in questopercorso. Harvard da tempo ha dichiaratoche è necessario avere più umanisti. Univer-sità tecniche, come Losanna, si dotano di cor-si di "liberal arts" o "digital humanities". IlCentro Nexa, Internet e società, al Politecni-co di Torino, non cessa di aprire strade im-portanti di ricerca e didattica. Non per nullaScott Hartley scrive in un libro di successoche «le liberal arts governeranno il mondo di-gitale». Non è più questione di aggiornamen-to professionale: è una mutazione culturaledella tecnologia e dell'educazione richiestaper progettarla e governarla. Alberto Di Mi-nin, docente di Management alla Sant'Annadi Pisa, suggerisce equilibrio: «Immagino unmodello formativo di eccellenza: esperien-ziale, perché deve mettere gli studenti a con-tatto con la realtà con cui poi andranno a con-frontarsi; empatico, per cucire addosso allostudente un percorso formativo che gli stiabene; rigoroso, perché il libro di testo sarà su-perato, ma non sarà superata l'esigenza di ri-gore, metodo, qualità del linguaggio».

Il senso di responsabilità nei confronti delfuturo deve guidare il processo. Per preparar-ci, dobbiamo ridisegnare l'istruzione. Ma co-me si sviluppa una nuova scuola? Stefano Mo-riggi, filosofo, epistemologo della Bicocca diMilano, da piú di sette anni fa ricerca sul cam-po nello sviluppo di modelli e setting di didat-tica digitalmente aumentata. «L'introduzionedi una tecnologia in un ambiente ha sempreprofonde ricadute culturali, relazionali, im-maginative». Per guidare il processo occorreconsapevolezza. «La scuola è costruita comeprodotto culturale della tecnologia del libro».Il libro ha prodotto la classe trasmissiva, congli studenti che ascoltano in silenzio imparan-do essenzialmente a non commettere errori.«Introdurre la rete nella classe significa im-maginare un approccio metodologico ade-guato. Il modo per farlo è recuperare la matri-ce culturale dellarete». E dunque? «Lamatriceculturale della rete è stata interpretata da TimBerners-Lee quando ha scritto la tecnologia

del web: assomiglia alla comunità scientifica.Approccio probabilistico, empirico, orientatoalla condivisione, dotato di tolleranza episte-mologica. Se si porta la rete in classe, dunque,si deve ripensare la classe come una piccolacomunità di ricerca». Realizzare questo pro-posito è unpercorso diricerca a suavolta. «Si-gnifica ripensare gli ambienti di apprendi-mento», dice Moriggi: «In modo da creare ri-cerca autentica. Con docenti che tendono adassomigliare a consulenti». Moriggi chiamalasuaipotesi"classe di Bayes": racconta che i ri-sultati sono lusinghieri, conuno straordinario

aumento della motivazione degli studenti.Perché tutto questo è importante? Marino

Golinelli, grande imprenditore e filantropo,nel giorno del suo 97esimo compleanno,aprendo a Bologna il Centro Arte e Scienza,ha risposto: «Per aiutare igiovani ad avere unloro futuro».

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Nona di una serie di puntateLe precedenti sono state pubblicate

il 20, 27 agosto, il 3,10,17, 24 settembre e il 1° e l'8 ottobre

1. C'è un disallineamento tra domanda eofferta di lavoro . Ma mentre chi non innovaperde occupazione , chi innova può crearne.2. Perora, l'intelligenza artificiale non riduce illavoro , anzi ne crea. Ma alcune tecnologieeliminano posti in fretta e creano occupazionelentamente.3. La lentezza è causata dalfatto che per usarebene il digitale occorre una cultura nuova.4. Peradattare il modo di pensare alla grandetrasformazione non occorre tanto"flessibilità", quanto "strategia " per realizzareprogetti.5. Un'azienda che riesce a coinvolgere i suoicollaboratori nel progetto di migliorare laproduttività e creare prodotti straordinari puòcrescere , automatizzare la produzione eaumentare l'occupazione.6. Le aziende innovative tendono sempremeno a comprare il tempo delle persone esempre più a comprare la capacità dellepersone di realizzare progetti.7. Esiste una tendenza alla polarizzazione: dauna parte, persone con elevate conoscenze eottimi risultati economici ; dall'altra parte,lavoratori con capacità e reddito limitati.8. Mentre le grandi aziende tendono aespellere manodopera alle direttedipendenze , si possono candidare a essereabilitatori di ecosistemi che sviluppino piùposti di lavoro9. Due scenari si consolidano. Nel primo lepiattaforme parcellizzano il lavoro in micro-attività sottopagate. Nel secondo servono allacooperazione necessaria per generare benicomuni.

Innovazione Pagina 7