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spagine Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Volantino/STORIE Lec ce, 26 settembre 2015 - anno II volantino di Michela Maffei Nell’immagineCesare Mirto, giovane minatore in Belgio Cesare Mirto, il minatore innamorato della terra

Cesare Mirto il minatore innamorato della terra

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“Lavorare in miniera è stato troppo duro. Sono tornato perché sono un minatore innamorato della terra, della mia terra: il Salento”. L’essenziale, al di là della retorica, della ridondanza del tempo coevo: in una frase Cesare Mirto di Carmiano, classe 1926, riassume una vita. L’ex minatore vive a Lecce, a Porta Napoli, in un palazzo alla cui sommità hanno edificato una cappella che decanta come una chiesa. Lo conosco in campagna, nella zona di via Vecchia Frigole di Lecce dove ha un appezzamento che è un intrico di olivi bassi e di alberi da frutto. A novant’anni si alza presto: “Non voglio stare a letto. Voglio lavorare. Voglio vivere”. Cesarino produce olio, vino e legumi.

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Page 1: Cesare Mirto  il minatore innamorato della terra

s p a g i n e Periodico culturale dell’A

ssociazione Fondo VerriVolantino/STO

RIE Lecce, 26 settem

bre 2015 - annoII

volantino

di Michela Maffei

Nell’immagineCesare Mirto, giovane minatore in Belgio

Cesare Mirto, il minatoreinnamorato della terra

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“Lavorare in miniera è stato troppo duro. Sonotornato perché sono un minatore innamoratodella terra, della mia terra: il Salento”. L’essen-ziale, al di là della retorica, della ridondanzadel tempo coevo: in una frase Cesare Mirto diCarmiano, classe 1926, riassume una vita.

L’ex minatore vive a Lecce, a Porta Napoli, in un pa-lazzo alla cui sommità hanno edificato una cappellache decanta come una chiesa.Lo conosco in campagna, nella zona di via VecchiaFrigole di Lecce dove ha un appezzamento che è unintrico di olivi bassi e di alberi da frutto. A novant’annisi alza presto: “Non voglio stare a letto. Voglio lavo-rare. Voglio vivere”. Cesarino produce olio, vino elegumi.

Il Museo del Minatore “Lucio Parrotto” a Casarano

Gli uomini come Cesarino la Puglia non li ha dimen-ticati. La Puglia ancora ricorda i centinaia di lavora-tori emigrati: il museo del minatore “Lucio Parrotto”di Casarano, dedicato all’opera del minatore LucioParrotto,è ricco di attrezzi di lavoro, cimeli e docu-menti per narrare le vite di migliaia di uomini che la-sciarono le famiglie per andare a scavare nelleviscere della terra. Nel 1996 è stato inaugurato nelcimitero comunale il monumento ai minatori scom-parsi alla presenza dell’ambasciatore belga. Si ri-corda, in tal modo, l’“Accordo uomo-carbone”siglato tra Italia e Belgio con la firma di De Gasperie Van Hacker: lo stato belga si impegnava a conse-gnare all’Italia 200 kg di carbone al giorno per ognilavoratore inviato in terra straniera, per un minimo di50.000 unità.

L’emigrazione italiana

È mentre si riposa dal lavoro della campagna cheCesarino mi racconta la sua vita. Novant’anni sono tanti e venti anni li ha trascorsi inminiera, in Belgio, a Micherout in provincia di Liegi.Cesarino è stato un emigrante, di quelli di cui si hamemoria ormai solo nei film, con la valigia di cartone,quelli che la povertà e la fame spingevano lontanocome una forza centrifuga. La terra, la forza opposta, centripeta. Cesarino ha gliocchi azzurri e la senti quella forza, tenace della terrariarsa e senza speranze del Salento. È coriaceo, Ce-sarino, ma piange quando parla della moglie – Car-mela Tondo di Lequile – da poco scomparsa. Congli occhi che brillano ricorda di averla conosciuta du-rante una rimpatriata tramite l’amico Angelo Ber-gamo di Arnesano. “Era speciale”, dice con orgoglio,“mi ha dato sei figli tutti ben sistemati: Tonina, Vin-cenzo, Fabio, Giovanna, Luisa, Salvatore”. Le fem-mine sono insegnanti a Gallipoli, Lequile e Oristano,due maschi sono carabinieri a Torino e Milano e unaltro è pompiere a Lecce. Per sposarsi Cesarinotornò nel suo Salento, per una cerimonia elegante,premio di tanti sacrifici.

Così ricordiamo che anche noi italiani siamo statiemigranti, come buona parte dei popoli nella mo-derna Unione Europea che ora chiude gli occhi difronte alle tragedie delle nuove ondate migratorie.Militare a Pesaro nel ’45, sotto il sergente maggioreBarbieri, quarantesimo reggimento Fanteria repartoBersaglieri, Cesarino collaborò come partigiano,

Cesarino nel suo podere in Via vecchia Frigole

...ricordiamo che anche noi italiani siamo stati emigranti, come buona parte dei popoli nella moderna Unione Europea che ora chiude gli occhi di fronte alle tragedie delle nuove ondate migratorie...

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Volantino/STORIE Lecce, 26 settembre 2015 - anno II

sul fronte Cimone della Bagozza , nella provincia diBergamo, e portava la posta e cibo alle famiglie diLa Pieve di Pelago, Lama Mocogno, Sestola, Abe-tone, Ferrara.

L’ideale comunista

Cosa sostiene un uomo, nel salto, nel passaggio persuperare gli stenti e riprendersi la dignità? Cesarinoè comunista, crede nella giustizia. Non ha letto Marx,non sa spiegare il concetto di surplus o di profitto,ma alza la mano nel tipico saluto di partito e rivelauna cicatrice: in Belgio dovette farsi togliere il tatuag-gio con la falce e martello per non farsi riconoscereda hitleriani e fascisti. Cesarino racconta: “Finita laguerra, tornai a Carmiano, ma gli anti-comunisti mifecero picchiare. I ricchi – i proprietari terrieri – da-vano lavoro ai poveri. Diventai un comunista”.

Perché un ideale diventa una forza, come la terra?Cesarino spiega le motivazioni della sua scelta:“Sono diventato comunista perché a Carmianoc’erano i ricchi e io ero povero. I comunisti sono perla libertà, per l’uguaglianza. Dopo la guerra esserecomunista era essere qualcosa”. Cesarino cita legrandi figure che hanno occupato il panorama men-tale di generazioni: Palmiro Togliatti, Pietro Nenni,Mario Scelba, Alcide De Gasperi. Spiega che l’oc-cupazione dei suoi figli è dovuta a leggi varate perfavorire i figli degli emigranti. “La gioventù di oggi,invece, ha studiato, ma è buttata in mezzo allastrada e non ha un futuro”.

Cesarino sa perché è un comunista: “I comunisti al-lora pensavano per gli operai e la povera gente, perdare la terra ai contadini e lavoro. Si faceva la rivo-luzione. In Belgio si faceva le grève, lo sciopero.Adesso c’è la libertà, ma il governo fa quello che vo-gliono i ricchi e i capitalisti”.

Le miniere di carbone in Belgio

Cesarino parte nell’anno 1951, affidandosi a un ge-nerale di Magliano Ugo Tarantino, reduce dallaguerra d’Africa, e Francesco Zecca proprietario diun bar a Carmiano. Sono loro che lo portano all’uffi-cio emigrazione diretto da Mario Brizzi: visita sani-taria, passaporto, e partenza per Milano, primatappa: “Andai alla caserma S. Ambrogio dove c’eranoaltri disastrati come me”.Poco dopo Cesarino approda a Liegi, nel paese diMicherout dove la società Hasard lavorava in una

miniera di carbone aperta in tempi remoti.Nel docu-film “Il sale della terra” Wim Wenders mo-stra le fotografie delle miniere d’oro in Brasile. Cosasi prova a lavorare a migliaia di metri sotto la terra?“Ero la matricola 1055 – ricorda ancora Cesarino –e c’erano tutti i disperati della guerra: fascisti, co-munisti, partigiani, delinquenti. Ormai c’era la pace,si lavorava, si campava e si faceva la ricchezza. Nonparlavamo mai di politica. Finita la guerra eravamotutti uguali”. Questa è la seconda volta che la co-razza si buca e Cesarino piange.

Mentre narra Cesarino sembra illuminarsi di quellastessa forza che lo sostenuto durante ore estenuanti:“Lavoravamo a turni. Il turno del mattino iniziava alle6 e durava sette ore. Si scendeva con l’ascensorefino a 1.000 metri, c’erano diverse taglie di lavoro.Avevamo tre maschere: anti-puzziera, anti-gas eanti-scoppio per gli incendi. Indossavamo una tutagrigia, scarpe rosse, l’elmetto. Erano di nostra pro-prietà dopo averle pagate all’azienda”. Nella foto cheCesarino mostra, sta indossando la tuta da lavoro edè ritratto dai fotografi locali perché è scampato ad unterribile incendio.

Cesarino spiega come ha fatto a sopravvivere: “Abi-tavo al terzo piano dell’Hotel Luise. Dormivo con unaltro minatore. Il bagno e la cucina erano in comune.Quello che ci davano da mangiare non era sufficientee cucinavo ogni giorno la pasta col burro così dige-rivo bene la polvere. Mangiavo sempre latticini per-ché quando tossivo usciva la poussière, lapolvere”.Dalle parole di Cesarino si può immaginare, ma nonabbastanza la durezza e la fatica: “Si lavorava senzacamicia, a spalla nuda, con la pala, picco e moto-picco. Faceva caldo, sudavo. Ero sempre pieno dipolvere anche dopo il bagno. Era un lavoro troppoduro. Il sudore usciva a spazzate”.C’era anche il tempo per qualche viaggio: con gliamici Antonio Cannoletta di Vernole, Luigi Zili diSan Cesario, Angelo Bergamo di Arnesano, Cesa-rino visita Bruxelles, Parigi, Londra, a spese della so-cietà.

Quando Cesarino termina di ricordare la sua lungavita di lavoro e ideali, rimaniamo in silenzio. C’è unafrase che non si può dimenticare, oltre al “lavorotroppo duro”, perché è ancora più dura di quello cheha saputo oltre-passare: “Mi vergogno di essereancora vivo”.

Michela Maffei

Volantino/STORIE Lecce, 26 settembre 2015 - anno II

Cesarino mostra il braccio dove aveva tatuata la falce e il martello e il saluto con il pugno chiuso

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“Sono diventato comunista

perché a Carmianoc’erano i ricchi e io ero povero.

I comunisti sono per la libertà,

per l’uguaglianza. Dopo la guerra

essere comunistaera essere qualcosa”