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Chi fa Cosa. Resistenze e Trasformazioni nella Divisione di Genere del Lavoro Familiare Ester Cois Seminari di Sociologia del Lavoro Maschiacci, Acrobate e Invasioni: Attraversare i Confini di Genere nelle Professioni” Costruzione di Genere e Professionalizzazione: il Caso Musicale Università degli Studi di Cagliari Corso di Laurea Magistrale in Psicologia, Facoltà di Studi Umanistici/Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni, Facoltà di Scienze Economiche, Giuridiche e Politiche

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Chi fa Cosa.Resistenze e Trasformazioni nella

Divisione di Genere del Lavoro Familiare

Ester Cois

Seminari di Sociologia del Lavoro

“Maschiacci, Acrobate e Invasioni: Attraversare i Confini di Genere nelle Professioni”

Costruzione di Genere e Professionalizzazione: il Caso Musicale

Università degli Studi di Cagliari

Corso di Laurea Magistrale in Psicologia, Facoltà di Studi Umanistici/Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni, Facoltà di Scienze Economiche, Giuridiche e Politiche

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Allo Specchio: Lavoro Familiare e Lavoro per il MercatoIn termini sistemici, i meccanismi di distribuzione e mobilità sul mercato del

lavoro remunerato possono leggersi specularmente ai processi in atto nella ripartizione delle obbligazioni familiari.

L'effetto “controcanto” è tematizzato sotto diversi profli: Strategie di Conciliazione; Permeabilità e Sospensione dei Cicli Biografci Maschili e Femminili; Negoziazione “familizzata” della Defnizione dell'Offerta.

Già nel 1973 P. May mostrò come la diversa presenza di uomini e donne sul mercato del lavoro fosse speculare alla loro diversa presenza nel lavoro familiare: “uomini nel fore degli anni tutti massicciamente nel mercato del lavoro, a lavorare a pieno tempo, e donne nel fore degli anni tutte fuori, a pieno tempo nella famiglia”.

Uno specifco modello di rapporto tra famiglia e lavoro, mediato dalla divisione del lavoro tra coniugi, gradualmente evoluto verso le dinamiche della “doppia presenza” e, infne, della “doppia partecipazione”.

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La chiave di volta:Differenziazione e Complementarietà

Questa costruzione di “carriere morali” maschili e femminili ben differenziate - nei contenuti, negli spazi di legittimità attesa, nelle aspirazioni plausibili – è connessa strategicamente all'esigenza della complementarietà di coppia.

Graduale evoluzione dal modello fusionale a quello negoziale, pur con persistenze riconoscibili: resta orientativamente femminile la sfera di competenza della Riproduzione nella Sfera Privata (principio della reciprocità) e maschile quella della Produzione nella Sfera Pubblica (principio della redistribuzione), nel loro contemporaneo rapportarsi al Mercato....

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Il Genere come Principio di Defnizionedei Ruoli di Coppia:

la distribuzione delle responsabilità… e al Welfare pubblico: un'interdipendenza strutturata che riecheggia nelle

modalità di tematizzazione delle politiche di sostegno al costo dei fgli, storicamente genderizzate.

- Alle Madri le Obbligazioni di Cura: chi deve occuparsi dei fgli come consumatori di tempo? (Legislazione relativa alle madri lavoratrici, leggi sui congedi genitoriali, norme di regolamentazione dei servizi pubblici per l'infanzia, tempi delle città, etc.)

- Ai Padri le Obbligazioni di Mantenimento: chi deve sostenere fnanziariamente i costi dei fgli in quanto consumatori di beni e servizi? (Politiche Sociali dirette al sostegno dei redditi genitoriali: assegni al nucleo familiare, detrazioni fscali per i membri familiari economicamente dipendenti, etc.)

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Carriere Morali e Contenuti del Lavoro: tracce di osmosi

Non si tratta solo di una questione di aree di pertinenza nell'organizzazione della vita familiare: l'essenzializzazione delle carriere morali femminili e maschili ha teso a lungo a riprodursi anche nell'allocazione di uomini e donne sul mercato del lavoro, tramite l'incrocio dei processi di Segregazione Orizzontale e Verticale.

Es. professioni di cura come trasposizione remunerata delle competenze di accudimento nella rete parentale; o, viceversa, ascrizione a competenze gestionali-amministrative maschili di prestazioni informali, quali la compilazione della Denuncia dei Redditi, etc.

Prepotente Riemergere della Sociobiologia applicata ai percorsi di Carriera.

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Oltre Lo Specchio: due nodi critici

Il graduale processo di ridefnizione delle condizioni di partecipazione maschile e femminile alle due sfere del lavoro, pubblica e privata, non è affatto lineare.

Almeno due addensamenti critici del dibattito:

1) Resistenze persistenti nel riconoscere lo statuto di “lavoro” alle attività svolte in ambito familiare (non remunerate, ma perfettamente contabilizzabili). Tanto elevate nella retorica ambivalente del Welfare familista italiano, quanto poco riconosciute nella loro dimensione sovrabbondante rispetto a percorsi professionalizzanti non meramente accessori, marginali, complementari, suppletivi, entro le dinamiche di coppia.

“Il termine lavoro domestico è stato progressivamente abbandonato, soprattutto in Italia, a favore di quello di Lavoro Familiare, al fne di comprendere tutti i lavori necessari alla riproduzione e creazione quotidiana della famiglia e degli individui che la compongono: dal lavoro domestico in senso stretto, al lavoro di cura nei confronti dei familiari non autosuffcienti per età o invalidità, al lavoro di consumo, che non comprende solo l'acquisto e l'eventuale trasformazione di beni, ma anche il lavoro necessario per utilizzare adeguatamente i servizi pubblici e privati che costituiscono una parte importante delle risorse familiari, fno al cosiddetto lavoro di rapporto, cioè all'attività di creazione e mantenimento dei rapporti, di comunicazione all'interno della famiglia, tra questa e la rete parentale, così come tra la famiglia e il sistema dei Servizi” (Saraceno, 2011).

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2) Specularmente, periodica colpevolizzazione delle madri-lavoratrici rispetto alla loro “funzione primaria” in ambito familiare.

“More Time with Mom has Little to no Effect on Children's Well-being” (Milkie et al., Does the Amount of Time Mothers Spend With Children or Adolescents Matter?, Journal of Marriage and Family 77 (April 2015): 355–372)

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Chi fa Cosa? La distribuzione del lavoro familiare

nelle coppie italiane

Lento Mutamento dei modelli ideali di genere, soprattutto maschili: cosa signifca per un uomo contemporaneo avere responsabilità familiari?

Nella prima Indagine Comparativa sulla Qualità della Vita in Europa (2003), tra gli occupati più padri che madri hanno dichiarato di sperimentare diffcoltà a fare fronte alle proprie responsabilità familiari (Saraceno, Olagnero e Torrioni, 2005)

La maggiore presenza dei padri nel lavoro familiare è maggiore sia nei Paesi in cui le donne hanno tassi di occupazione più alti, sia – entro ogni Paese – tra i mariti/compagni di donne occupate rispetto a quelli di donne casalinghe a tempo pieno: l'occupazione femminile sembra sollecitare un parziale mutamento non solo nei comportamenti e sistemi di priorità femminili, ma anche in quelli maschili (Naldini & Saraceno, 2011, 9)

Su questo sfondo generale, alcuni dati:

- La ripartizione dei carichi domestici e di cura appare ancora molto sbilanciata a sfavore delle donne, che in media svolgono il 76% del lavoro familiare (la quota era del 78% nel 2002, e dell’85% nel 1989 (Istat 2014).

- Peraltro, l’Italia è il solo Paese occidentale dove la somma di lavoro remunerato e domestico individua un impegno temporale femminile molto più intenso rispetto alla controparte maschile, pari a circa 80 minuti in più al giorno (Burda, Hamermesh & Weil 2007).

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- Le donne sono coinvolte nelle responsabilità di cura più spesso degli uomini (42,3% contro il 34,5%) e anche per questo risulta più bassa la loro partecipazione al mercato del lavoro.

- Si osserva una marcata relazione inversa tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e numero di figli con meno di 15 anni: la percentuale di occupate è pari al 58,5% per le donne con un figlio, scende al 54% per le donne con due figli e cala ulteriormente fino al 33,3% per le madri con tre o più figli.

- Diversamente accade per gli uomini, che in presenza di un figlio manifestano, al contrario, un maggior coinvolgimento nel mercato del lavoro (il 90,6% dei padri è occupato, contro il 79,8% degli altri), a conferma del tradizionale ruolo maschile di fornitore del reddito principale della famiglia.

- Non meno importante risulta l’associazione tra numero di figli e inattività: sono inattive il 36% delle donne con un figlio, il 41,5% di quelle con due figli e il 62,0% delle donne con tre figli o più.

- Nel complesso, conciliare responsabilità familiari e lavorative per le donne è reso più difficile a causa di orari di lavoro poco amichevoli e della mancanza di servizi adeguati, ma anche in virtù delle aspettative e dai comportamenti dei familiari, specie dei mariti.

- I 3/4 del lavoro familiare delle coppie italiane sono ancora a carico delle donne, che si accollano impegni e incombenze rinunciando alla maggior parte del tempo libero: secondo le più recenti rilevazioni Istat, 9 donne su 10 dichiarano di doversi dedicare alla cucina, alla pulizia della casa e ai figli, che siano contemporaneamente impegnate sul mercato del lavoro o meno. Insomma, la distribuzione di un bene preziosissimo come il tempo libero è asimmetrica: gli uomini ne hanno 83 minuti in più' al giorno rispetto alle donne.

- Ciò significa che le donne lavoratrici con responsabilità familiari lavorano complessivamente, in modo pagato e non pagato, poco meno di un mese in più all’anno degli uomini.

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Ma chi fa cosa?

Indice di asimmetria delle attività di lavoro domestico e acquisti di beni e servizi nelle coppie con donna di 25-44 anni per condizione della donna e tipologia della coppia - Anni 1988-1989, 2002-2003 e 2008-2009

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Considerando l’indice di asimmetria, se la donna è occupata resta a suo carico il 77,0% del tempo destinato dalla coppia al lavoro domestico in senso stretto, percentuale che sale all’89,7% se non lavora.

Lo squilibrio all’interno della coppia è maggiore per le attività del lavare e stirare che sono completamente sulle spalle delle donne (il 98,4% del tempo dedicato a queste attività è di genere femminile, con differenze minime tra occupate e non occupate). Anche le attività di pulizia e riordino della casa e quelle riguardanti la preparazione dei pasti sono di competenza quasi esclusivamente femminile (con un indice di asimmetria costantemente al di sopra del 90% tra le non occupate e intorno all’80% tra le occupate).

Nelle coppie in cui la donna lavora si raggiunge una distribuzione meno asimmetrica solo per le attività di acquisto di beni e servizi, con il 58,4% del tempo derivante dalle donne.

Sono, al contrario, attività svolte prevalentemente dagli uomini quelle di manutenzione della casa e dei veicoli (solo il 5,1% delle ore è svolto dalle donne) e della cura delle piante e degli animali della famiglia (il 70,3% delle ore è svolto dagli uomini), anche se ricordiamo che tali attività fanno registrare frequenze di partecipazione molto basse anche tra gli uomini (in un giorno medio del 2008-2009, le svolgono rispettivamente il 5,3% e il 10,1%).

Nelle coppie con donna occupata, l’asimmetria nelle diverse attività del lavoro familiare, anche se con ritmi molto lenti, è diminuita, tranne che nel lavare e stirare, attività da cui gli uomini sono totalmente esclusi.

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Composizione percentuale del tempo dedicato alle attività di cura dei bambini tra 0 e 13 anni, da parte dei genitori con almeno un figlio di tale età per sesso del genitore e condizione della madre - Anno 2008-2009

(La categoria “Altra cura dei bambini” comprende: leggere e parlare con i bambini; stare con i bambini a scuola, in un centro sportivo, dal medico, eccetera; e altre attività specificate e non specificate legate alla cura di bambini).

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Chi farà cosa? Elementi di Socializzazione a ruoli attesi

Alcune regole di vita familiare ritenute importanti da padri e madri di bambini e ragazzi da 11 a 17 anni per sesso dei fgli (per 100 padri/madri con fgli dello stesso sesso)

Fonte: Istat, Indagine Multiscopo sulle famiglie “Famiglia, soggetti sociali e condizioni dell'infanzia, 1998”

PADRI MADRI

MASCHI FEMMINE MASCHI FEMMINE

Essere ordinati/e 59,3 66,8 63,9 68,4

Aiutare nelle attività domestiche

38,8 61,8 42,1 64,3

Rifarsi il letto 25,7 48,5 30,3 52,7

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Per analizzare in che modo le “idee genitoriali” possano infuenzare la trasmissione dei modelli educativi da una generazione all'altra è utile rilevare le indicazioni dei genitori relativamente a quello che vorrebbero che i propri fgli facessero e invece non fanno. Si tratta cioè di esaminare la rilevanza delle aspettative di padri e madri per il sistema di regole della vita quotidiana.

Alcune cose che padri e madri di bambini e ragazzi da 11 a 17 anni vorrebbero che i fgli facessero per sesso dei fgli (per 100 padri/madri con fgli dello stesso sesso)

Fonte: Istat, Indagine Multiscopo sulle famiglie “Famiglia, soggetti sociali e condizioni dell'infanzia, 1998”

PADRI MADRI

MASCHI FEMMINE MASCHI FEMMINE

Studiare di più 53,1 35,5 57,8 37,4

Apprezzare i sacrifici dei genitori

31,0 31,9 29,7 29,3

Mettere i genitori al corrente delle proprie cose

21,7 22,0 24,4 24,3

Aiutare nelle attività domestiche

14,0 26,3 17,9 25,3

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Entrando nel dettaglio delle singole attività si evidenzia come bambine e bambini, ragazze e ragazzi forniscono il loro contributo su terreni diversi. Le attività più tipicamente domestiche sono appannaggio quasi esclusivo delle femmine, che più spesso dei maschi aiutano a fare le pulizie (il 35,4% contro il 15,5%), si rifanno il letto (44,0% contro 24,7%), apparecchiano e/o sparecchiano (il 65,9% contro il 45,8%), aiutano a cucinare (33,3% contro 18,2%), lavano i piatti o li mettono nella lavastoviglie (il 28,6% contro il 10,3%). Viceversa, sono più i maschi, rispetto alle loro coetanee, a fare qualche lavoretto, come piccole riparazioni (il 22,6% contro l’8,6%), andare a buttare la spazzatura (35,3% contro 22,3%) e andare a fare la spesa o altre commissioni (29,3% contro 25,8%).

Rispetto al 1998 diminuiscono i bambini sia maschi che femmine che svolgono attività fuori casa, come andare a fare la spesa/commissioni, andare all’uffcio postale e buttare la spazzatura. Tra i maschi, nell’arco di tempo considerato, aumenta l’attività di riordino delle proprie cose (dal 42,6% al 56,5%), l’aiuto in cucina (dal 9,5% al 18,2%), il rifarsi il letto (dal 17,8% al 24,7%), apparecchiare e/o sparecchiare la tavola (dal 40,8% al 45,8%), aiutare a fare le pulizie (dal 12,1% al 15,5%) , lavare i piatti e metterli in lavastoviglie (dal 7,7% al 10,3%). Tra le femmine aumenta l’attività di aiuto in cucina (dal 24,7% al 33,3%), di riordino delle proprie cose (dal 62,8% al 69,7%), e, seppur di poco, badare ai fratelli più piccoli (dal 21,6% al 24,2%), mentre risultano in calo attività come l’aiuto nelle pulizie (dal 40,8% al 35,4%) e rifarsi il letto (dal 48,4% al 44,0%).

Tra il 1998 e il 2011 diminuiscono le differenze di genere, con le femmine che svolgono meno alcune attività tipicamente femminili (in particolare le ragazze tra 14-17 anni) e i maschi che, invece, vengono coinvolti di più proprio in questo tipo di attività (in tutte le fasce di età considerate). Ma i punti di partenza tra maschi e femmine erano talmente distanti che, nonostante l’avvicinamento nei comportamenti, permangono le differenze.

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Qualcosa sta cambiando?“I nuovi padri”

Tra ambivalenze, resistenze e segnali di riduzione dell'asimmetria di genere nella confgurazione dei ruoli e della partecipazione al lavoro familiare, almeno in prospettiva, la rifessione sul mutamento dei contenuti bigenitoriali è particolarmente vivida.

In particolare, è la fgura forse più cristallizzata, nella sua dimensione di principale breadwinner, a rivelare attualmente gli orientamenti più eterogenei. Dopo la stagione delle nuove madri, quella dei nuovi padri?

Come sottolineano Ruspini e Zajczyk “il fenomeno della paternità si colloca, in Italia, all’interno di una importante tensione che contrappone tradizione e modernità” (Ruspini e Zajczyk, 2008, p. 13).

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Nel corso del tempo sono state proposte varie tipizzazioni circa le diverse modalità di assolvere alla funzione paterna, da cui emerge fondamentalmente l’evidenza di un processo di trasformazione che ha investito la struttura familiare e conseguentemente l’articolazione dei ruoli conducendo ad una erosione del modello autoritario a favore di una maggiore partecipazione maschile nei compiti domestici e di cura, tuttavia la forte influenza di un modello di riferimento tradizionale è ancora ben presente nel nostro Paese.

Rispetto al coinvolgimento paterno nella cura dei figli vi sono effettivamente segnali di un lento ma progressivo adattamento dei padri al modello familiare a due redditi, sebbene l’onere della cura dei figli ricada ancora quasi esclusivamente sulla madre.

Benché l’impegno dei padri sia ancora connesso prevalentemente alle attività meno gravose, legate al gioco, e in situazioni di necessità, i padri italiani tendono a essere sempre più presenti nella crescita dei figli, tanto che “sembra emergere una figura paterna meno autoritaria di un tempo e più emotivamente coinvolta nella relazione genitoriale” (Ruspini e Zajczyk, 2008, p.26).

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Tre differenti modelli:

a) I padri tradizionali, centrati principalmente sulla dimensione lavorativa e sul benessere economico della famiglia, con un rapporto di continuità con i propri padri; presentano una scarsa riflessione sui cambiamenti in atto; nella coppia prevale una rigida divisione dei ruoli;

b) I padri in trasformazione, i quali hanno dovuto affrontare profondi ed improvvisi cambiamenti (incremento dei tassi di separazione e divorzio) e hanno dovuto adattarsi al nuovo ruolo; hanno una identità meno fondata sul lavoro, ma conservano la convinzione di una rigida suddivisione dei ruoli; non negano una certa fatica nel processo di adattamento alla nuova condizione;

c) I padri post trasformazione, che cercano di staccarsi dai modelli dei propri padri, mostrando una relazione più affettiva con i figli, sono disposti a mettersi in discussione e sono orientati ad una co-genitorialità.

Sostanzialmente pur esistendo ancora delle asimmetrie di genere, sono innegabili i segnali di una trasformazione in atto, riscontrabile anche nel contesto europeo. La tematizzazione della questione della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro in chiave non più esclusivamente femminile o ancora dicotomica è la prima tappa di un percorso di ri-negoziazione delle carriere di genere cui, ancora una volta specularmente, dovrebbe potere fare riscontro una comparabile riduzione del cleavage tra uomini e donne nei percorsi professionali di ogni tipo, lungo l'intero arco della vita attiva.