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Enrico Mazza «Chi sono io per giudicare?» Il senso antico di una frase di Papa Francesco. Quaderni di Diaconia Pratofontana, ottobre 2014 n.° 133

«Chi sono io per giudicare?» - diaconia.itdiaconia.it/assoc/Q133.pdf · vita cristiana, ossia la legge e ... 4 Economia A partire dal IV secolo la tradizione orientale ... Il termine

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Enrico Mazza

«Chi sono io per giudicare?»

Il senso antico di una frase di Papa Francesco.

Quaderni di Diaconia

Pratofontana, ottobre 2014

n.° 133

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In copertina:

H. Matisse, Vergine con il bambino, Cappella di Vence

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Premessa Ciò che ci spinge a rendere partecipi più persone di questo testo di don Enrico Mazza, sono diversi motivi. Il primo è che, raccogliendo ciò che lo Spirito Santo suscita in Papa Francesco, don Enrico prova a farci cogliere come la via della Chiesa è la via della misericordia che, in Cristo, è giunta al suo culmine. Essa è vissuta nell'evento della Carità che tutto comprende. Il secondo motivo è che, leggendo il testo, si percepisce come nelle realtà da cui siamo stati scelti, il cammino fatto rivivere nel testo di don Enrico, è un cammino VERO. È vero perché sono veri i frutti di conversione di coloro che prendono sul serio Gesù Cristo e di cui sono "i più profondi conoscitori". Il terzo motivo è il legame di amicizia e di affetto che don Enrico ha sempre mostrato verso la nostra comunità (intesa in senso ampio). Un legame radicato nell'Eucaristia celebrata e vissuta. Buon cammino. Nel Signore Don Daniele

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«Chi sono io per giudicare?»

Aumentano sempre più coloro che mettono paletti attorno alla frase di Papa Francesco, “Chi sono io per giudicare?”, come se questa frase di misericordia mettesse in dubbio la dottrina della Chiesa. È sulla misericordia che il Papa ha impostato il suo pontificato, una realtà che nella Chiesa antica entrava nell’area dell’ “Oikonomía”. Dato che questa dottrina non c’è più nella teologia occidentale di oggi, accade che l’opera di Papa Francesco venga considerata come teologicamente debole e venga considerata semplicemente come un atteggiamento personale di uno che “viene da un’altra cultura". E sul quale ci si interroga. Bisogna dire invece che il suo atteggiamento è tributario di un’antica teologia, l’antica dottrina dell’ “Oikonomía”, che può essere spiegazione e legittimazione di quella sua frase. Un’antica dottrina che non è facile da capire, perché ha avuto vari sviluppi, tra cui un’ampia deriva giuridica, e quindi si capisce l’atteggiamento dei critici e dei dubbiosi. Sì, i critici hanno ragione a essere critici, quando - sbagliando - interpretano l’ “Oikonomía” in base ai suoi sviluppi giuridici. Ma non è questa la dottrina originaria - quella che non c’è più - ed è ciò che viene esaminato in questo articolo. La documentazione qui contenuta rende pesante la lettura del testo. Lo so e me ne scuso. D’altronde senza la documentazione non potrei giungere alla conclusione alla quale giungo, ossia che c’è un’antica dottrina che dà statuto teologico e istituzionale alla frase di Cristo sulla misericordia, quando dice di essere venuto proprio per gli ammalati, apposta per loro, e non per i sani che non hanno bisogno del medico (Mc 2,17). 1 Il fatto Il Papa Francesco, in volo da Rio de Janeiro a Roma il 28 luglio 2013, ha risposto alle domande dei giornalisti1; tra queste c’era una domanda sugli omosessuali alla quale aveva risposto dicendo: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?». E subito dopo, per spiegarsi meglio, citò il Catechismo della Chiesa cattolica. Certamente non è cosa di tutti i giorni sentire un Papa che dice «Chi sono io per giudicare?», e si capisce bene che i vari mezzi di comunicazione si siano lanciati su questa frase chiedendosi se non fosse un indizio del cambiamento della dottrina della Chiesa sull’omosessualità. Il Papa non ha 1Cf.http//w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2013/july/documents/papafrancesco_20130728_gmg-conferenza-stampa.html

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intenzione di cambiare la dottrina della Chiesa come appare dalle risposte date ad alcune domande precedenti. Ecco un esempio. La giornalista Patricia Zorzan gli chiese dell’aborto, ossia perché non ne avesse parlato, e il Papa rispose così: «La Chiesa si è già espressa perfettamente su questo. Non era necessario tornarci». All’insistenza della giornalista egli rispose in modo conclusivo: «Ma non era necessario parlare di questo, bensì delle cose positive che aprono il cammino ai ragazzi. Non è vero? Inoltre, i giovani sanno perfettamente qual è la posizione della Chiesa!». Questo tipo di risposta, ripetuto anche in altre occasioni, ci dice qual è il metodo di Papa Bergoglio, tuttavia in molti l’incertezza resta e dietro di essa riaffiora sempre il dubbio. Se egli condivide davvero la dottrina della Chiesa, perché dire: «Chi sono io per giudicare?», dato che la dottrina contiene una chiaro giudizio sull’omosessualità, così come su altre realtà che sono sul tappeto, come il divorzio o l’aborto procurato. Per risolvere la contrapposizione non basta ricorrere alla distinzione tra l’omosessualità e l’omosessuale, dicendo che l’omosessualità è da condannare mentre l’omosessuale va compreso e trattato con misericordia; altrettanto per il divorzio e l’aborto procurato. Il divorzio “in sé”, l’aborto “in sé”, l’omosessualità “in sé”, ad esempio, non esiste; invece ciò che esiste è la persona divorziata, o chi abortisce, o chi è omosessuale. Messo in questo modo, il dibattito torna a essere un dibattito sulla dottrina e diventa praticamente insolubile. In tale dibattito, infatti, non trova posto – e non può trovare posto – la prima parte della frase del Papa che disse: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?». La prima parte di questa dichiarazione è la parte più importante ed è la chiave di volta di questa frase che è una vera e propria dichiarazione di principio, che è dotata di uno statuto teologicoben preciso. Ma non nella teologia di oggi. E questo spiega lo sconcerto e la difficoltà di capire che si è vista da più parti. 2 Una teologia antica Bisogna tornare al primo millennio per trovare una risposta e la troviamo nell’antica concezione2 che, accanto alla Norma, poneva l’Economia: «Kat’akríbeian» – «Kat’oikonomían»,che sempre

2 Cf. l’ormai datato saggio: Y. Congar, Propos en vue d’une théologie de l’ “Économie” dans la tradition latine, «Irénikon», 45 (1972) 155-206.3 Cf. J. Werckmeister (éd.), Yves De Chartres. Prologue, (= Sources canoniques 1), Les Éditions du Cerf, Paris 1997, p. 25.

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vanno considerate assieme, complementari l’una all’altra: non in opposizione bensì in equilibrio dialettico. Sta di fatto che Papa Francesco mette in pratica e applica questa antica dottrina. Per capire ilsenso della distinzione bisogna rifarsi a un’antica tradizione comune all’Oriente e all’Occidente che, da un lato, è riuscita a formulare con precisione e con rigore la Norma dottrinale della vita cristiana, ossia la legge e, dall’altro lato, si è preoccupata dei mezzi per far riprendere la pratica della vita cristiana a chi non era riuscito, per vari motivi, a restare nella norma. Se usassimo le categorie di oggi, dovremmo dire che la norma appartiene all’area del diritto canonico o della dottrina, mentre l’economia a quella della pastorale: e non avremmo risolto niente. E sarebbe una distinzione infausta perché nascerebbe una precisa opposizione tra le due aree rendendo insolubile il problema. Questa è la situazione in cui ci troviamo e dalla quale non riusciamo a uscire. Dobbiamo tornare all’epoca patristica, per trovare la cultura e il modo di pensare che ha dato origine alla dialettica tra norma ed economia. 3 Non è un problema nuovo L’opposizione tra misericordia e giudizio è ben nota fin dalle origini del diritto canonico. Tra le opere di Ivo di Chartres (1040-1115) c’è il Prologus, che è un vero trattato di diritto canonico, il primo nella storia di questa disciplina3 nata dalla riforma gregoriana. Non un trattato nel senso odierno, ma una iniziazione al buon uso del diritto canonico; è questo il merito singolare delPrologus. Tale scopo viene enunciato fin dall’inizio (§ 2) con la citazione del Sal 101,1: «Canterò, Signore, la tua misericordia e il tuo giudizio» e, subito dopo, del Sal 24,10: «Le vie del Signore sono misericordia e verità4». Ivo inizia la sua trattazione proprio da questo, dicendo che non si deve trovare contraddizione tra i due poli della questione, ossia tra rigore e giudizio, da un lato, e moderazione e misericordia dall’altro. Il fatto che egli li citi, però, significa che il problemaesisteva e che la contraddizione si vedeva. Per risolvere il problema egli si rifà alla tradizione greca, conosciuta e condivisa anche in Occidente, che tratta della norma e la tratta sia secondo il rigore sia secondo l’economia. In ogni caso si tratta sempre della stessa norma, che deve essere considerata in due diverse maniere. Il rigore considera la norma in se stessa, come modello al quale uniformarsi; l’economia consiste nell’adattamento che la norma subisce quando viene applicata al caso

3 Cf. J. Werckmeister (éd.), Yves De Chartres. Prologue, (= Sources canoniques 1), Les Éditions du Cerf, Paris 1997, p. 25. 4 Ibidem, p. 65

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concreto. In questo caso non c’è opposizione tra le due realtà ma complementarietà ed esse non possono mai stare l’una senza l’altra. 4 Economia A partire dal IV secolo la tradizione orientale distingue tra la teologia che tratta dei misteri divini eterni, e l’economia che designa quel movimento per il quale un Dio immutabile ed eterno entra nel tempo. Egli, cioè, si adatta alla condizione umana e la fa propria pur restando pienamente se stesso. Questa distinzione si rispecchia anche nelle verità teologiche e nelle norme giuridiche, per cuiabbiamo la norma in se stessa – teologica o giuridica che sia – e la sua applicazione concreta che comporta sempre un adattamento alle varie lingue, alle varie culture e alle varie epoche della storia. Tutto ciò che è culturale è suscettibile di miglioramento, nel senso di una migliore formulazione;quindi, nessuna frase è mai formulata in modo perfetto una volta per tutte: ci sarà sempre bisogno di un miglioramento, di un adattamento alle nuove e diverse capacità di comprensione delle varie culture – nei vari lingue e linguaggi – man mano che le epoche si succedono alle epoche5. Questa è l’ “Oikonomía”, indissolubilmente legata all’ “Akribeía”. Da ultimo ricordiamo che l’economia comporta necessariamente il succedersi di varie tappe: sono i vari avvenimenti in cui si articolanogli interventi di Dio nella storia, quella che noi chiamiamo storia della salvezza 6. Questo, analogamente, vale anche per la norma teologica o giuridica; in tal caso l’economia si applica alcomportamento dell’uomo, per un progressivo avvicinamento alla norma con un percorso graduale sempre più affinato. 5 La traduzione latina di “Oikonomía” Il termine greco “Oikonomía” è tradotto in latino da dispensatio e da moderatio; Paoloquando parla dei ministri e del loro ministero, compreso il 5 «I concetti umani e i corsi umani di azione sono prodotti ed espressioni di atti di intelligenza;l’intelligenza umana si sviluppa col tempo, questo sviluppo è cumulativo e ogni sviluppo cumulativo risponde alle condizioni umane e ambientali del suo luogo e del suo tempo. Il classicismo stesso fu un esempio assai notevole e senza dubbio nobile di tale sviluppo cumulativo; ma la sua pretesa di essere la cultura del genere umano non può più essere sostenuta» (B. J. F. Lonergan, Il metodo in teologia, Traduzione dall’inglese a cura di G. B. Sala, Edizione italiana a cura di Natalino Spaccapelo e Saturnino Muratore, (= Opere di Bernard J. F. Lonergan 12), Città nuova editrice, Roma 2001, p. 333). 6 B. Botte, «Oikonomia», in: A. M. Triacca – A. Pistoia (édd.), L’économie du salut dans la liturgie, Conférences Saint-Serge. XIIe Semaine d’Études liturgiques. 30 Juin - 3 Juillet 1970, (= Bibliotheca Ephemerides liturgicae. Subsidia 25), Centro liturgico vincenziano. Edizioni liturgiche, Roma 1982, pp. 59-72.

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suo, chiede che ognuno li consideri come «amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1); il greco dice «oikonómoi» e il latino «dispensatores mysteriorum Dei». Il termine latino dispensatio lo traduciamo con dispensa che, però, ha duesignificati: da un lato significa la distribuzione o elargizione di un dono o beneficio mentre, dall’altro lato, significa l’eccezione, l’esonero dalla legge; in questo caso, parlando di dispensa, si dice che la legge non va applicata. Nel Prologus di Ivo di Chartres sono presenti entrambi i significati, ma solo il primo corrisponde al concetto teologico di economia. Dopo di lui, a partire dal Decretum di Graziano (1140/1142), la dispensatio ha perso definitivamente il valore di economia, e ha conservato solo il senso di dispensa, ossia di eccezione e di esonero dalla norma, gestito ormai solo in ambito giuridico. Da qui si arriva ai canonisti che definiscono la dispensatio come relaxatio legis, nel senso di essere liberato, o sciolto, dalla legge. Niente a che vedere, quindi, con il significato religioso di oikonomía – dispensatio. Questo significato, invece, è ancora presente nella canonistica orientale come attesta il canone 102 del concilio Quinisesto o in Trullo (692), che pone le condizioni per la pratica dell’ “Akribeía” e dell’ “Oikonomía” come fondamento della prassi di guarigione del peccatore all’interno dellaspiritualità orientale. Ecco il canone: «Bisogna che coloro i quali hanno ricevuto da Dio la facoltà di sciogliere e legare esaminino la qualità del peccato e la prontezza del peccatore alla conversione, e in tal modo apportino la cura conveniente alla malattia per non mettere in pericolo la salvezza del malato con qualche mancanza di misura in un senso o nell’altro». E ancora: «“Bisogna che noi conosciamo quindi entrambi i metodi, quello dell’osservanza stretta del canone e quello della consuetudine, quindi seguire per coloro i quali non hanno accettato il metodo più severo, il metodo tradizionale”, come insegna San Basilio7» La traduzione corretta del testo di Basilio è «consuetudine» ma il concilio in Trullo lo interpreta come se fosse «Oikonomía» e costruisce tutto il canone sull’opposizione tra l’ “Akribeía” e l’ “Oikonomía”. Questo modo di interpretare Basilio non è sbagliato, ma è già un’altra cosa; e già questo fa vedere come sia difficile gestire la prassi di “Oikonomía”. Soprattutto dall’interno di unaconcezione giuridica proprio perché è impossibile concepire l’ “Oikonomía” in modo giuridico. Ne segue che è necessario tenere separate le due aree: l’area della norma e l’area della sua applicazioneperché l’applicazione ha come scopo, sempre, quello di salvare l’uomo portandolo a conversione.

7 A. Di Berardino (ed.), I canoni dei concili della Chiesa antica, Vol. I: I concili greci, a cura di C. Noce - C. Dell’Osso - D. Ceccarelli Morolli, (= Studia Ephemeridis Augustinianum 95), Institutum Patristicum Augustinianum, Roma - Città del Vaticano 2006, p. 171.

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L’ “Oikonomía”, proprio per questo, si applica solo al caso singolo, caso per caso: pertanto essa è provvisoria e non diventa mai norma; è per questo che (1) dall’uso dell’ “Oikonomía” non potrà mai nascere una giurisprudenza e che (2) ogni applicazione del principio di economia non costituirà mai un precedente con forza normativa. Siamo su di un altro piano; quindi non c’è alcun problema se l’ “Oikonomía” – quando applica la Norma al singolo caso concreto – può arrivare fino alle estreme conseguenze, ossia se «può arrivare fino alla sospensione della norma stessa. Non si tratta né di dispensa, nel senso occidentale del termine, né di indulgenza, né di una distorsione o indebolimento del diritto (Rechtsbeugung), ma di una misura puntuale, variabile secondo le circostanze e adottata per motivi ecclesiali o pastorali8» Cyrille Vogel è molto attento a restare nell’ambito della trattazione orientale della questione che, in fin dei conti, è di tipo giuridico se pure sui generis. In effetti anche in Oriente l’economia si è sviluppata in senso sempre più giuridico e ha perso gran parte del suo senso arcaico; tuttavia ne restano tracce sia nella dottrina teologica sia nella pratica pastorale e canonica come si vede nella ricca documentazione raccolta da Yves Congar nel suo saggio, anche se ormai datato. In Occidente, invece, essa è completamente scomparsa essendosi trasformata nell’istituto giuridico della “dispensa” dalla legge. Ci si può domandare se l’«Oikonomía», al di là del suo sviluppo storico tanto orientale quanto occidentale, abbia un suo autentico statuto teologico che possa renderla fruibile anche oggi. 6 Come pensare uno statuto dell’Economia Nelle Scritture l’ “Oikonomía” designa l’opera di Dio ossia il suo piano salvifico. In Ef 1,3-4 e 3,2-10 l’economia è una «disposizione» di Dio stesso. Quando si dice “economia di salvezza” si pensa soprattutto alla redenzione operata da Cristo con la liberazione dal peccato; senza negare questo, dobbiamo tener presente che la concezione biblica è più ampia9 dato che comprende tutte letappe in cui si articola l’opera di Dio, narrate nelle Scritture, a cominciare dalla creazione fino alla venuta finale di Cristo, quando il popolo di Dio arriverà «alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13) e «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28). La creazione è una prima tappa nello svolgimento del piano divino, di cui la Genesi, l’Esodo, il Levitico, i Numeri,

8 C. Vogel, Application du principe de I’«Économie» en matière de divorce dans le droit canonique oriental, «Revue de droit canonique», 32 (1982) 81. 9 A. M. Dubarle, «Économie du salut et sens spirituel de l’Écriture», in: A. M. Triacca - A. Pistoia (édd.), L’économie du salut dans la liturgie, op. cit., pp. 105-116.

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Giosuè ma anche il Deuteronomio ci mostrano l’esecuzione graduale. Non solo liberazione dal peccato, dunque, ma anche maturazione graduale, anche se la redenzione dal peccato resta un punto capitale. Nel Nuovo Testamento c’è un rapporto stretto tra l’economia e il mistero: tutti e due riguardano la stessa realtà ma sotto due aspetti diversi, il mistero è nell’eternità mentre l’economia è nel tempo (Col 1,26). In base a 1Cor 9,7 l’economia è la trasmissione della buona novella 1010 e, quindi, Paolo e gli altri apostoli sono dei servitori ed economi dei misteri di Dio (1Cor 4,1) e ciò che si chiede agli economi è di essere fedeli. Inoltre in 1Pt 4,10 la cosa è applicata a tutti coloro che hanno un carisma: lo devono mettere al servizio gli uni degli altri come dei buoni economi. Nella vita religiosa del popolo di Dio, tanto prima quanto dopo la venuta di Cristo, non si può eliminare il posto del dono gratuito: tutti gli eventi sono esempio di gratuità. La gratuità è la cifra dell’opera di Dio. E l’ “Oikonomía” è modello di gratuità. 7 La trasmissione del Vangelo Teniamo per fermo questo punto: l’economia è la trasmissione della buona novella e la salvezza sta nella sua accettazione ossia nella confessione di fede e nella sequela di Cristo. L’economia di salvezza, dunque, va intesa nella sua più larga estensione, ossia nel piano provvidenziale che porta la creazione al suo compimento. Ma l’economia di salvezza non sta solo nella sua origine – ossia nell’opera di Dio che entra nella storia – ma anche nella sua parte terminale ossia la santificazione dell’uomo, che è lo scopo stesso dell’economia. E qui va citata l’anafora bizantina di Giovanni Crisostomo che presenta l’istituzione dell’eucaristia come compimento dell’oikonomía: «… e portando a compimento tutta l’economia, a nostro favore, nella notte in cui consegnava se stesso, avendo preso il pane…»11 Questa citazione è importante perché ci obbliga a parlare dell’eucaristia come parte dell’economia, l’eucaristia che è una celebrazione della Chiesa per il raduno e l’unità degli uomini nell’unico corpo di Cristo. Ed è in questa unità che essi vengono santificati. Questa appartiene allo scopo finale dell’economia, che è la salvezza di tutti. Anche qui siamo

10B. Botte, art. cit., p.61.11Per collocare questo uso nella storia dell’eucaristia, cf. M. Arranz, «L’économie du salut dans la prière du ‘Post-Sanctus’ des anaphores de type antiochéen», in: A. M. Triacca - A. Pistoia (édd.), L’économie du salut dans la liturgie, op. cit., pp. 29-57. 11Per collocare questo uso nella storia dell’eucaristia, cf. M. Arranz, «L’économie du salut dans la prière du ‘Post-Sanctus’ des anaphores de type antiochéen», in: A. M. Triacca - A. Pistoia (édd.), L’économie du salut dans la liturgie, op. cit., pp. 29-57.

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nell’area della gratuità. Abbiamo detto che l’economia non è solo redenzione dal peccato perché inizia con la creazione stessa e si sviluppa con il cammino di crescita e maturità di tutto il creato. Quest’affermazione, tuttavia, non deve farci dimenticare che la redenzione dal peccato è un elemento altrettanto costitutivo, anzi culminante, dell’economia: dell’economia, sia in quanto opera di Cristo nella storia, sia in quanto effetto di santificazione nella vita dell’uomo. Ed ecco che i Padri della Chiesa hanno applicato il principio dell’economia soprattutto in area penitenziale utilizzando sia il termine «economia» sia il termine «condiscendenza», in greco «Synkatábasis», dietro il quale c’è l’idea di adattamento: per salvare l’uomo Dio si adatta alla sua situazione in modo da condurlo progressivamente, per tappe successive, alla piena maturità che d’altronde si realizzerà solo nell’escatologia12. Secondo i Padri anche gli apostoli hanno utilizzato l’economia come dice, ad esempio, Giovanni Crisostomo (PG 61,641). In senso penitenziale l’economia è stata utilizzatasoprattutto per la “riconciliazione” degli eretici e degli scismatici che tornavano alla Grande Chiesa: anzitutto accettando la validità del loro battesimo e poi quella dei loro sacramenti, anche se c’eranodubbi reali e ben motivati a causa dei contenuti della loro fede. Lo si faceva per economia ossia per un bene superiore della Chiesa e per la salvezza di quelle persone. Così avvenne per il battesimo deiCatari; Basilio da un lato respinge il battesimo degli Encratiti, ma dall’altro ammette che se ciò dovesse creare pregiudizio all’utilità della Chiesa, bisogna uniformarsi ai Padri nella «condiscendenza» (Seconda lettera canonica). La misericordia contenuta nelle lettere canoniche di Basilio, sarà posta alla base di ogni successiva normativa penitenziale. Pur nel carattere giuridicodella penitenza, egli non conosce la rigidità giuridica della norma perché, per lui, l’applicazione della pena comporta sempre una grande saggezza pastorale e così, dopo aver detto che la penitenza per l’aborto procurato è di dieci anni, come per l’omicidio, aggiunge: «Non sul tempo, ma sull’intensità del pentimento si misura se un’anima è sanata»13. Basta questo per dirci chel’economia non va interpretata in base alla sua deriva giuridica che, tuttavia, c’è stata. L’economia si applica all’anima risanata. In breve, l’economia è un adattamento dei mezzi al fine; ossia una valutazione se certi mezzisiano commisurati al loro fine, che è la salvezza dell’uomo. Un tale scopo giustifica sia l’adattamento (condiscendenza – “Synkatábasis”) sia la deroga vera e propria dalla norma14 Bisogna

12 Cf. G. W. H. Lampe, A Patristic Greek Lexicon, Clarendon Press, Oxford 1987, sub voceoikonomía. 13 Lettera 188, can. 2 (Y. Courtonne (éd.), Saint Basile. Lettres, Tome 2, (= Collection des Universités de France. Publiée sous le patronage de l’Association Guillaume Budé), Société d’édition “Les Belles Lettres”, Paris 1961, p. 124) 14

Cf. Y. Congar, art. cit., p. 174.

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riconoscere che in epoca patristica la dottrina dell’economia è molto fluttuante e si presta a differenti applicazioni. Ciò non vuol dire che si possa semplicemente dimenticare che ladottrina dell’economia è esistita davvero e non è riconducibile ad altre interpretazioni come la dispensa e l’epikeia. Oggi sarebbe necessario studiare meglio le fonti in modo da ricavarne una concezione più completa. 8 Conclusione Abbiamo parlato di «Kat’akríbeian» (secondo la norma) e di «Kat’oikonomían» (secondo il piano salvifico). Mi pare che le due componenti esistano chiare in Papa Francesco e che nessuna delle due ceda il passo all’altra. Com’è giusto. Nella storia del cristianesimo è esistita una disciplina che le sapeva tenere entrambe, coniugandole assieme. È la dottrina teologica dell’economia. Certamente, secondo la legge, le cose stanno in un certo modo e quindi si deve ribadire la dottrina. Ma il piano salvifico di Dio ha delle risorse più ricche della legge e così la Chiesa, per uniformarsi a Dio, riammette nella «comunione» coloro che secondo la norma sarebbero esclusi. Se vogliamo, possiamo parlare di misericordia a condizione di escludere il valore un po’ pietistico (devozione moderna) di questo concetto. Il concetto di «Oikonomía» è molto di più, perché si rifà alla superiore volontà divina che, proprio perché trascendente, non può trovare – e non troverà mai – adeguata formulazione nelle norme. L’«economia» è complementare alla «norma» ed è il suo necessario completamento perché, trattandosi del rapporto con Dio, la legge – quantunque necessaria – è sempre insufficiente.