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PADRE PAOLO M. CATEL (1935-2016) Il 23 marzo 2016, all’01.15 di mat- tina, moriva il caro padre Paolo M. Catel, nell’ospedale dell’Unimed, a Belém, dove era stato portato urgen- temente alcuni giorni prima, per un blocco intestinale, dimostratosi per lui un vero martirio e purgatorio. Aveva 80 anni compiuti, essendo na- to l’11 ottobre 1935 a Milano, vicino alla Madonnina, da padre artista, Guglielmo, e da madre pianista, Te- resa. Aveva anche un fratello e tre so- relle, di cui una è suora benedettina di clausura. Una famiglia perciò col- ta e unita, ma soprattutto cristiana convinta. La salma, secondo l’usanza del luogo, è stata velata ed esposta nella nostra grande chiesa di Sant’Antonio Maria Zaccaria a Belém. La Santa Messa “corpore presente” è stata ce- lebrata alle 10 e la concelebrazione è stata presieduta, per singolare ono- re, dall’Arcivescovo di Belém, mons. Alberto Taveira Corrêa, assistito dal vescovo ausiliare, mons. Ireneo Ro- man, e dal rev.mo p. Generale, Fran- cisco Chagas Santos da Silva, nonché dal rev.do p. Provinciale Josè Ramos das Mercês, che ha illustrato breve- mente la vita e le opere del confratel- lo defunto, e da numerosi confratelli. Il corpo riposa ora nel cimitero santa Izabel di Belém nel luogo di sepoltu- ra della comunità dei Padri Barnabiti. Ripercorrendone brevemente la vi- ta, possiamo rilevare come il giovane Paolo era stato educato a un cristiane- simo autentico e radicale alla scuola del suo maestro spirituale don Luigi Giussani, che è stato una figura cari- smatica per la chiesa ambrosiana e anche per quella universale, se è vero che la stessa spiritualità ha impressio- nato e influenzato un giovane gesuita argentino Mario Giorgio Bergoglio, che oggi è Papa Francesco. Laureatosi in ingegneria elettronica, Paolo Catel aveva percorso lo stivale italiano da nord a sud, istallando per conto della RAI antenne radio-televi- sive, con una competenza che, una volta diventato barnabita, eserciterà anche nella Prelazia del Guamá nel Brasile Nord dal 1969 in poi, assi- stendo e mantenendo efficiente la Ra- dio Educadora di Bragança, pioniera di evangelizzazione radiale in favore delle migliaia di comunità rurali pre- senti nella vastissima missione affi- data ai Barnabiti nel Pará fin dal 1928. Il lavoro sicuro e ben pagato dalla RAI, che suscitava invidia nei colle- ghi, non appagava però lo spirito irrequieto e radicale dell’ingegnere Catel, che sognava ideali più alti e più religiosamente oblativi. Così de- cise di cambiare le tecniche elettro- niche con la sapienza del Vangelo e la tuta con la talare, i viaggi profes- sionali con le “desobrighe” missiona- rie e i nebbiosi inverni lombardi con i caldi umidi dell’Amazzonia. Così il brillante ingegnere milanese decise di entrare nella umile vita reli- giosa per consacrarsi totalmente e per sempre al servizio del Regno di Dio. E scelse l’ordine dei Barnabiti, non solo perché ben conosciuti e fre- quentati dalla famiglia nelle vicine comunità di s. Alessandro e di s. Bar- naba, ma soprattutto per la finalità dell’ordine, nato proprio a Milano dal cuore del giovane medico e poi sacerdote e fondatore di famiglie re- ligiose s. Antonio Maria Zaccaria, da lui impegnate nella Riforma della Chiesa. Ciò che affascinava il giova- ne Paolo era la riforma: spirito gius- saniano, critico, radicale, innovatore sine glossa, sognava e ambiva a con- dividere con i barnabiti l’esperienza primigenia fatta dal gruppo di intel- lettuali della nobiltà milanese e ve- neta della prima generazione dell’or- dine; anche se, ben presto, dovette accorgersi che lo spirito dei primi tempi si era praticamente affievolito sono stato tradito!» scriverà anni più tardi). Lui, fin dal noviziato di Monza e poi per tutta la vita, ha vo- luto però rispettarlo e viverlo con la stessa coerenza e fedeltà con cui ha professato i voti religiosi semplici a Monza il 29 settembre 1966 e solen- ni il 25 gennaio 1970 a Bragança, dove venne ordinato sacerdote dal Servo di Dio mons. Eliseo M. Coroli. Per tutta la vita (pochi anni in Ita- lia, alcuni mesi in Cile e 47 anni in Brasile dal maggio 1969) è rimasto radicale, a volte scontroso, soprattut- to coi Superiori, generoso fino allo sfinimento, incurante della salute, del necessario riposo e persino del- l’igiene personale e della sua stanza, sempre battagliero e disponibile di giorno e di notte. Con questo ritmo di vita non era facile convivere con p. Paolo, come non era facile per i superiori mettere al suo fianco con- fratelli disposti a condividere con lui quella vita, a volte disordinata e sen- za disciplina. L’unica mistica di vita era il donarsi senza risparmiarsi, vi- vendo letteralmente, fino allo scru- polo, i tre voti religiosi di povertà, castità e obbedienza. Se sulla pover- tà e sulla castità nessuno poteva avanzare sospetti, o puntare il dito per accusarlo, sull’obbedienza quasi sempre sorgevano problemi, non per- ché vi fossero mancanze coscienti, ma per i frequenti scontri con i supe- riori che non sempre riuscivano a ca- pire il radicalismo del confratello; il quale, con acume scotista, sviscerava le frasi e persino le parole delle lette- re, dei messaggi e delle risposte dei superiori. Quasi un lavoro chirurgico di biopsia con cui rilevava le con- traddizioni e denunciava le forme manieristiche dei superiori maggiori, tanto alla fine da riconoscere: «Non Eco dei Barnabiti 2/2016 79 CI HANNO PRECEDUTO CI HANNO PRECEDUTO p. Paolo M. Catel

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PADRE PAOLO M. CATEL(1935-2016)

Il 23 marzo 2016, all’01.15 di mat-tina, moriva il caro padre Paolo M.Catel, nell’ospedale dell’Unimed, aBelém, dove era stato portato urgen-temente alcuni giorni prima, per unblocco intestinale, dimostratosi perlui un vero martirio e purgatorio.Aveva 80 anni compiuti, essendo na-to l’11 ottobre 1935 a Milano, vicinoalla Madonnina, da padre artista,Guglielmo, e da madre pianista, Te-resa. Aveva anche un fratello e tre so-relle, di cui una è suora benedettinadi clausura. Una famiglia perciò col-ta e unita, ma soprattutto cristianaconvinta.La salma, secondo l’usanza del

luogo, è stata velata ed esposta nellanostra grande chiesa di Sant’AntonioMaria Zaccaria a Belém. La SantaMessa “corpore presente” è stata ce-lebrata alle 10 e la concelebrazioneè stata presieduta, per singolare ono-re, dall’Arcivescovo di Belém, mons.Alberto Taveira Corrêa, assistito dalvescovo ausiliare, mons. Ireneo Ro-man, e dal rev.mo p. Generale, Fran-cisco Chagas Santos da Silva, nonchédal rev.do p. Provinciale Josè Ramosdas Mercês, che ha illustrato breve-mente la vita e le opere del confratel-lo defunto, e da numerosi confratelli.Il corpo riposa ora nel cimitero santaIzabel di Belém nel luogo di sepoltu-ra della comunità dei Padri Barnabiti.Ripercorrendone brevemente la vi-

ta, possiamo rilevare come il giovanePaolo era stato educato a un cristiane-simo autentico e radicale alla scuoladel suo maestro spirituale don LuigiGiussani, che è stato una figura cari-smatica per la chiesa ambrosiana eanche per quella universale, se è veroche la stessa spiritualità ha impressio-nato e influenzato un giovane gesuitaargentino Mario Giorgio Bergoglio,che oggi è Papa Francesco.Laureatosi in ingegneria elettronica,

Paolo Catel aveva percorso lo stivaleitaliano da nord a sud, istallando perconto della RAI antenne radio-televi-sive, con una competenza che, unavolta diventato barnabita, eserciteràanche nella Prelazia del Guamá nel

Brasile Nord dal 1969 in poi, assi-stendo e mantenendo efficiente la Ra-dio Educadora di Bragança, pionieradi evangelizzazione radiale in favoredelle migliaia di comunità rurali pre-senti nella vastissima missione affi-data ai Barnabiti nel Pará fin dal 1928.Il lavoro sicuro e ben pagato dalla

RAI, che suscitava invidia nei colle-ghi, non appagava però lo spiritoirrequieto e radicale dell’ingegnereCatel, che sognava ideali più alti epiù religiosamente oblativi. Così de-cise di cambiare le tecniche elettro-niche con la sapienza del Vangelo ela tuta con la talare, i viaggi profes-sionali con le “desobrighe” missiona-rie e i nebbiosi inverni lombardi coni caldi umidi dell’Amazzonia.Così il brillante ingegnere milanese

decise di entrare nella umile vita reli-giosa per consacrarsi totalmente eper sempre al servizio del Regno diDio. E scelse l’ordine dei Barnabiti,non solo perché ben conosciuti e fre-quentati dalla famiglia nelle vicinecomunità di s. Alessandro e di s. Bar-naba, ma soprattutto per la finalitàdell’ordine, nato proprio a Milanodal cuore del giovane medico e poisacerdote e fondatore di famiglie re-ligiose s. Antonio Maria Zaccaria, dalui impegnate nella Riforma della

Chiesa. Ciò che affascinava il giova-ne Paolo era la riforma: spirito gius-saniano, critico, radicale, innovatoresine glossa, sognava e ambiva a con-dividere con i barnabiti l’esperienzaprimigenia fatta dal gruppo di intel-lettuali della nobiltà milanese e ve-neta della prima generazione dell’or-dine; anche se, ben presto, dovetteaccorgersi che lo spirito dei primitempi si era praticamente affievolito(«sono stato tradito!» scriverà annipiù tardi). Lui, fin dal noviziato diMonza e poi per tutta la vita, ha vo-luto però rispettarlo e viverlo con lastessa coerenza e fedeltà con cui haprofessato i voti religiosi semplici aMonza il 29 settembre 1966 e solen-ni il 25 gennaio 1970 a Bragança,dove venne ordinato sacerdote dalServo di Dio mons. Eliseo M. Coroli.Per tutta la vita (pochi anni in Ita-

lia, alcuni mesi in Cile e 47 anni inBrasile dal maggio 1969) è rimastoradicale, a volte scontroso, soprattut-to coi Superiori, generoso fino allosfinimento, incurante della salute,del necessario riposo e persino del-l’igiene personale e della sua stanza,sempre battagliero e disponibile digiorno e di notte. Con questo ritmodi vita non era facile convivere conp. Paolo, come non era facile per isuperiori mettere al suo fianco con-fratelli disposti a condividere con luiquella vita, a volte disordinata e sen-za disciplina. L’unica mistica di vitaera il donarsi senza risparmiarsi, vi-vendo letteralmente, fino allo scru-polo, i tre voti religiosi di povertà,castità e obbedienza. Se sulla pover-tà e sulla castità nessuno potevaavanzare sospetti, o puntare il ditoper accusarlo, sull’obbedienza quasisempre sorgevano problemi, non per-ché vi fossero mancanze coscienti,ma per i frequenti scontri con i supe-riori che non sempre riuscivano a ca-pire il radicalismo del confratello; ilquale, con acume scotista, svisceravale frasi e persino le parole delle lette-re, dei messaggi e delle risposte deisuperiori. Quasi un lavoro chirurgicodi biopsia con cui rilevava le con-traddizioni e denunciava le formemanieristiche dei superiori maggiori,tanto alla fine da riconoscere: «Non

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p. Paolo M. Catel

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sono diplomatico», scriveva, «sonoapocalittico, catastrofico». Mai peròmancava di rispetto; mai usava paro-le sconvenienti per esprimere i dis-sensi; mai assumeva atteggiamentiluterani di ribellione. Anche perchéP. Paolo, fondamentalmente, è statosempre molto timido. «Io ho paura,soprattutto dei Padri. Se trovo un am-biente molto aggressivo, mi chiudo; equesto mi fa male, specialmente spi-ritualmente», scriveva. E perciò sof-friva, e non poco, la solitudine: «Nonho un amico e neanche un Padre incui confidare veramente; sono statosempre tradito e meno volte capito,perché io vedo e valorizzo le personee non le istituzioni» (Stato oChiesa o Congregazione).Perciò, per spirito apostoli-

co zaccariano e anche per ne-cessità psicologica e affettiva,si donava anima e corpo alpopolo, soprattutto ai piùsemplici, ai più poveri e emar-ginati, con i quali stabilivauna relazione sempre entusia-sta e gioiosa; e con i quali an-nunciava e costruiva il Regnodi Dio in una simbiosi aposto-lica impressionante, soprattut-to nelle diverse attività pasto-rali e in particolare di quellecatechetica e famigliare. Lostesso ritmo apostolico eramantenuto alto in tutte le par-rocchie, sia rurali che urbane,dove è stato destinato sia co-me parroco, sia come forma-tore: Bragança, S. Miguel doGuamá, Capitão Poço, SantaLuzia – Km 47 (dove costruì lachiesa parrocchiale), Belém,Benevides e persino a Samam-baia – DF, dove il padre co-struì il noviziato interprovin-ciale tuttora in funzione.Se con i Superiori era implacabi-

le, con il popolo il leone diventavaagnellino, amato e idolatrato; pron-to però a riassumere il coraggio el’audacia del leone, quando si trat-tava di difendere i diritti del popolocontro le prepotenze e le ingiustiziedei “fazendeiros”, latifondisti ap-poggiati dai governanti e dalla poli-zia, come successe soprattutto nellaparrocchia di S. Lucia-Km. 47 (dal1973 al 1984) contro la Cidapar ele fazendas del polacco Merje. Quisi sviluppò l’attività del pistoleiroQuintino (un caboclo esaltato tipo

Giuliano o Fra Diavolo di questeparti!), ricercato dalle autorità edalla polizia come bandito, ma pro-tetto da p. Paolo come popolanogeneroso (che spesso, fuggitivo,passava le notti nella canonica), chesi assunse la lite con i potenti fino adare la vita per amore del popoloindifeso, spogliato e angariato. Lostesso padre fu accusato di conni-venza con Quintino, e perciò mi-nacciato di morte dalla polizia, tan-to che il padre non dormiva più nel-l’amaca, ma a terra sotto l’amaca:«Così la polizia o i pistoleiros man-dati dai fazendeiros sparavano sul-l’amaca...».

In un’intervista del 2011 al giorna-le locale “Expresso 47”, P. Paolo ri-conosceva: «Avevo l’impressione diessere amato; questa sensazione l’hoavuta molto forte soprattutto quandoho lasciato il Km 47. Le persone nel-la via mi dimostravano molta atten-zione e affetto. Quando lavoravonelle comunità (erano più di 80) da-vo valore alla dimensione umanache è molto presente nell’anima pa-raense... Nella misura che aiutavo ilpopolo a crescere, il popolo si avvi-cinava a Dio».La povertà fu il pallino della vita

religiosa di p. Paolo, sempre, fino

alla morte. In ogni comunità e inogni confratello riscontrava difetticirca questo voto. Fino a dare l’im-pressione che il padre scambiassela povertà con la miseria, la puliziae il decoro nei vestiti e nelle stanzecon il lusso. Perciò, all’inizio, eracontrario al “Piano Salute”, esteso atutti i confratelli professi della Pro-vincia. Ciononostante, come eco-nomo provinciale, eletto dal p. Ge-nerale Giovanni Villa con decretodel 9 luglio 2009 (il 2 febbraio del-lo stesso anno era stato fatto supe-riore della comunità di Belém), ri-spettò l’opinione della maggioranzadei confratelli e prese i necessari

provvedimenti a favore dellaloro salute.Non sempre però si preocu-

pava della sua stessa salute. Lapsoriasi lo ha accompagnato etorturato per tutta la vita, finda giovane, e si era acuita inmissione a causa del climacaldo umido, del sudore e del-la polvere rossa delle strade,oltre che degli animaletti. Ne-gli ultimi anni la spina dorsaleaveva ceduto e assunto unacurva ben accentuata che loobbligava a camminare senzapoter alzare la testa neancheper bere, costringendo lo sto-maco a comprimere gli intesti-ni e rendendo difficile, così, inecessari movimenti per la di-gestione: ciò è stata la causadel blocco intestinale che loha portato alla tomba.Gli ultimi 10 anni della sua

vita, strappato per obbedienzadall’interior, e destinato in co-munità urbane o di formazio-ne (Samambaia – Brasilia; Be-lém e Benevides), lo stato

d’animo di p. Paolo ha subito uncambiamento radicale: calmo, dialo-gante, faceto e mansueto con i con-fratelli e con i superiori, tanto da me-ritare incarichi di grande responsabi-lità: economo provinciale, superiorea Belém e formatore a Samambaia enel seminario di Benevides. Persinola psoriasi era diventata più soave ediscreta. Purtroppo la spina dorsale ele articolazioni erano peggiorate, co-me sfibrate da tanti sforzi per tantianni di vita missionaria.Mai si è sentito lamentarsi. L’uni-

co grido di dolore, come Gesù sullacroce, l’ha dato il 21 marzo, appena

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p. Paolo Catel ritratto in un suo tipico atteggiamento

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è arrivato in barella all’ospedale condolori lancinanti, sopportati senzasedativi e senza morfina. Servo fede-le, p. Paolo ha chinato il capo ed èspirato: era il mercoledì santo, vigi-lia del Triduo santo dell’Eucaristia,della Morte e della Risurrezione diGesù.

Giovanni Incampo

PADRE LUCIANO (ALFREDO)M. BRAMBILLA(1926-2016)

L’ultimo patriarca barnabita dellaPrelazia del Guamá, l’attuale diocesidi Bragança, nello Stato del Pará,Brasile Nord, è deceduto alle 5 dimattino del 14 aprile 2016, per ede-ma polmonare (aggravato dall’uso in-veterato della sigaretta) e crisi cardia-ca, nella clinica Maternidade Saúdedas Crianças, a Belém, dove, incon-sciente da 10 giorni intubato e seda-to, è passato alla gloria dei giusti.Avrebbe compiuto 90 anni il 16 lu-glio, festa della Madonna del Carmi-ne. La Messa corpore presente è sta-ta celebrata nella Basilica della Ma-donna di Nazaré (dove il Padre erastato parroco per circa 10 anni e viera vissuto per 26 anni), presiedutadal Superiore provinciale, p. José Ra-mos das Mercês, e concelebrata danumerosi confratelli barnabiti, dalCancelliere arcivescovile Can. JaimeSidonio e dal parroco della Cattedra-le Can. Gonçalo Vieira (rappresen-tante dell’arcivescovo impegnato nel-la Conferenza Nazionale dei Vesco-vi) e dai sacerdoti del MovimentoNeo-catecumenale che P. Lucianodal 1979 aveva inserito nella parroc-chia di Nazaré e poi in altre parroc-chie, e che ha solennizzato la cele-brazione con i loro caratteristici cantigloriosi. La salma è stata sepolta nelcimitero santa Izabel di Belém nellasepoltura della famiglia barnabitica afianco di p. Paolo Catel che lo avevapreceduto venti giorni prima.Nato primogenito da Mauro e Giu-

seppina Milani, ad Arena Po (Pavia),il 16 luglio 1926, fu battezzato dopo3 settimane, il 4 agosto, con il nomedi Alfredo, ma dai famigliari e poiovunque fu sempre chiamato e co-nosciuto con il nome di Luciano. Fe-ce la prima comunione e la cresimanel 1934.

Aveva due sorelle, Camilla e Ma-ria Maddalena (Marilena), che sonostate sempre impegnate per le Mis-sioni nella diocesi di Tortona, inperfetta sintonia con il fratello Lu-ciano missionario per tutta la vita inBrasile.Fin da piccolo Luciano era stato

educato al senso religioso della vita.In casa tutti i giorni si recitava il rosa-rio, in latino; a 5 anni già sapeva re-citare le litanie, in latino. È statochierichetto e con la sua bella vocecantava, anche da solo, durante lemesse e i funerali.Fin da bambino Luciano sentì la

chiamata del Signore che i suoi ge-nitori, con molta fede, asseconda-rono nonostante la consapevolezzache così “avrebbero perso” l’unicomaschietto della famiglia. Ad appe-na 11 anni, nel 1937, l’agostinianoconterraneo fra Mario Pietro lo ac-compagnò nel seminario minoredel suo Ordine. Non passarono 3mesi che Luciano se ne tornò a ca-sa, per la morte del papà, che aiu-tava a pagare i suoi studi. Ma il 18ottobre del 1939, già scoppiata la IIGuerra Mondiale, Luciano, a 13 an-ni, accompagnato dallo stesso frateagostiniano (che con offerte di ami-ci avrebbe sostenuto le spese deisuoi studi), entrava nella ScuolaApostolica di Cremona dei barnabi-ti per rimanervi e diventare un sa-cerdote barnabita per tutta la sualunga vita.A Cremona, patria di s. Antonio

Maria Zaccaria, Luciano terminò lemedie e le ginnasiali e passò al novi-

ziato di Monza dove fece la profes-sione semplice l’8 settembre 1944.Da Monza, passò a Lodi per gli studiliceali nel Collegio s. Francesco. Nel1947 fu mandato Roma nello Stu-dentato teologico internazionale perlo studio della teologia; e il 15 set-tembre 1949, a Monza, si consacròperpetuamente a Dio con la profes-sione solenne. Nell’avvento dell’An-no Santo del 1950 fu ordinato diaco-no in s. Carlo ai Catinari e, finalmen-te, il 24 marzo 1951 fu ordinatosacerdote nella chiesa di s. AntonioMaria Zaccaria al Gianicolo insiemead altri 21 Studenti.Prima destinazione? La missione

in Brasile. Fin dalla scuola apostoli-ca di Cremona Luciano cominciò asognare di essere missionario, entu-siasmato dall’esempio e dalle paro-le, prima del confratello p. PaoloBelloli e poi soprattutto del servo diDio mons. Eliseo M. Coroli, che inquegli anni, prima e durante la guer-ra (1939-1945), con altri eroici con-fratelli stava gettando le basi di unamissione che aveva bisogno di per-sone generose, intelligenti e congrande spirito di sacrificio; e Lucia-no era fra queste. Fin da seminarista,dunque, Luciano coscientemente siallenò ai sacrifici della missione, cherimase il chiodo fisso della sua voca-zione per tutti gli anni di formazio-ne. Perciò scelse i lavori più pesantie umili. Volontariamente era diventa-to così calzolaio, muratore e barbie-re fino a diventare il barbiere ufficia-le del padre Generale, Idelfonso M.Clerici. Mentre tagliava i capelli,chiedeva al p. Generale che lo desti-nasse alla missione in Brasile. «Ve-dremo – rispondeva il nobile cliente –fino a quando resisterà questo fuo-cherello di paglia».Ma quel fuoco non si spense mai e

il p. Generale dovette cedere e lo de-stinò a Bragança, quando era ancorastudente. Impaziente, questo segretolo comunico subito ai compagni del-lo Studentato e ai familiari che, congrande dolore, dovettero rassegnarsi.Terminati gli studi di teologia, ebbesolo alcuni mesi per preparare docu-menti e bagagli. Il 7 dicembre 1951,dopo 16 giorni di navigazione, sbar-cò a Rio de Janeiro; e l’11 febbraio1952, festa della Madonna di Lour-des, già stava a Bragança e ci rimaseper 26 anni fino al 3 marzo 1978.P. Luciano, con un fisico da atleta,

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p. Luciano (Alfredo) M. Brambilla

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una voce tonante e un entusiasmoinesauribile, divenne il segretario, omeglio, il braccio destro di mons. Eli-seo Coroli, mettendo a servizio dellanascente chiesa bragantina le nume-rose e non comuni sue qualità.A Bragança è stato tutto e ha fatto

di tutto: agricoltore, ingegnere, capo-mastro, professore di scienze (abili-tato dal Cades a Belém) nel collegioS. Teresina, parroco a Augusto Correa(a 20 Km di Bragança), e naturalmen-te segretario di Mons. Eliseo e Ammi-nistratore della Prelazia, soprattuttoin assenza di mons. Coroli, impegna-to a Roma nel Concilio Vaticano II.Di mons. Eliseo, P. Luciano era piùche confratello: era un figlio, l’animadi tutto ciò che si realizzava nellaPrelazia, l’uomo di fiducia persinonell’opera più santa del prelato: lanuova Congregazione delle Missio-narie di Santa Teresinha. Per tutta lavita di Luciano, guai a chi osava toc-care o criticare mons. Coroli e le sueSuore: si sentiva quasi l’erede delfondatore. In genere, non era facilecontrastare le opinioni di P. Lucianoil cui «pavio era muito curto» cioèimprovvisamente reagiva e imponevasilenzio con il tuono della sua voce.Per lo stesso motivo, durante gli ulti-mi anni, dall’arcivescovo era stato in-vitato a non confessare più, perché avolte non usava molta pazienza coipenitenti.Tra le varie e molte opere e attività

a Bragança, ricordiamo: la costruzio-ne e amministrazione dell’Ospedalee Maternità Santo Antonio Maria

Zaccaria; i corsi profes-sionali e i lavori di agri-coltura; la Scuola Radio-fonica attraverso la RadioEducadora; la moltipli-cazione e il consolida-mento delle Comunitàdi base; i Clubs dellemadri; gli incentivi allatessitura domestica del-le amache, distribuen-do alle famiglie i telai;il Ginnasio di Sport “DomEliseu Coroli” (il Bram-billão).Ebbe diversi incarichi

di fiducia fuori di Bra-gança: fu tre volte mem-bro del Capitolo genera-le della Congregazione:1964, 1967 e 1970; Pro-Provinciale della neona-

ta Provincia Nord del Brasile 1965-1970; e Presidente della Conferenzadei Religiosi del Pará 1968-1970.Il 1978 segnò una svolta nella vita

missionaria di P. Luciano. Dopo unabreve parentesi inattesa (da marzo adicembre di quell’anno fu parroco diVizeu, a 25 Km di Bragança), dopo26 anni nell’interior, fu trasferito nel-la capitale Belém, per sostituire p. Giovanni Incampo nell’ufficio diparroco della parrocchia e basilicade Nazaré. E vi restò dal 15 dicem-bre 1978 fino al gennaio 1988.Furono nove anni di intenso lavoro

pastorale, amministrati-vo e strutturale della piùvasta e importante par-rocchia di Belém. Nel-l’amministrazione, cheabbraccia tre entità: par-rocchia, opere sociali(tre asili, infermeria epacchi viveri per le fa-miglie indigenti), e il Cí-rio (la più grande roma-ria religiosa al mondo,con circa 2 milioni dipellegrini), p. Luciano,per meglio accompa-gnare le molteplici atti-vità pastorali della par-rocchia, chiamò al suofianco una missionariadi s. Teresinha, la liba-nese suor Martha BechirElias, laureata in con-tabilità amministrativa,che fu per tanti anni perlui più una sorella che

una funzionaria di fiducia. Quantoalle strutture, p. Luciano si impegnòa progettare, costruire o adattarecappelle, chiese e centri sociali nellesette comunità urbane della parroc-chia e anche fuori Belém, con annes-si ambulatori dentistici; clubs di ma-dri; corsi professionali. Sorsero così:il centro sociale “S. José” (oggi par-rocchia ceduta all’arcidiocesi); ilcentro sociale “Padre Alfonso DiGiorgio” con annessa cappella; lacappella Madonna delle Grazie; lachiesa e centro sociale dedicati a s.Antonio M. Zaccaria; il casulo Zac-caria, l’Asilo Sorena e il Cantinho S.Rafaele per i “bambini di strada” diAnanindeua.Un capitolo a parte meritano il

Centro Nazaré, dove funzionano lenumerosissime attività pastorali dellaparrocchia e il Direttorio del Círio,con annesso parcheggio delle mac-chine. Costruito come cinema, valu-tato 800 mila reais, fu comprato dap. Luciano al costo di appena 200mila: vero miracolo della Madonnadi Nazaré, e il CAN (Centro Architet-tonico di Nazaré), trasformato consovvenzioni federali del PresidenteJ.B. Figueiredo, tramite il senatorecattolico Jeorge Arbage e il sindacodi Belém Sahid Xerfan, in “PiazzaSantuario” con tanto di altare per lecelebrazioni liturgiche, concha acu-stica per le rappresentazioni artisti-che e monumenti ai simboli del Ci-

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p. Luciano Brambilla mentre pronuncia un’appassionata omelia nella basilica di NostraSignora di Nazareth a Belém do Pará

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rio, proprio di fronte alla basilica co-me piazza religiosa del Santuario.Una vera utilissima, necessaria eprovvidenziale struttura, progettatadall’architetto Roberto Martins, diorigine calabrese, osteggiata, all’epo-ca, dal clero della teologia della libe-razione, ma voluta e sostenuta contenacia dalla visione lungimirantedal p. Brambilla. Con questa stessavisione, sposando la fede con il turi-smo, ha iniziato la Romaria fluviale,che trasporta la statuetta della Ma-donna di Nazaré da Icoaraci, lungola baia di Guajará fino al porto diBelém, il sabato prima del Círio – unvero spettacolo!Nel campo pastorale, tra le varie

iniziative, primeggia l’accoglienza ela moltiplicazione delle comunitàneo-catecumenali, che, dalla par-rocchia di Nazaré, si fanno presentiin tante altre e per le quali p. Lucia-no si spendeva come Cappellanoprotettore.Non possiamo dimenticare l’apo-

teosi dei diecimila bambini che af-follarono la piazza del santuario diNazaré per accogliere papa Gio-vanni Paolo II nel 1982 e che, pur-troppo, non preavvisato e, si puòdire costretto da mons. Marcinkus,non si poté fermare e non poténeppure vedere sul sagrato dellabasilica la Berlinda con la veneratastatuetta della Madonna con cuibenedire i bambini e la folla. P. Lu-ciano, arrabbiatosi, corse gridandodietro la macchina del Papa; masenza esito.P. Brambilla è stato sempre un uo-

mo coraggioso, temerario, ardito, avolte quasi insolente. Come quan-do, nella primavera del 1969, sipresentò a Roma dal p. GeneraleBernasconi e lo sfidò: «O mi dai 4 padri per la missione, o io non ri-torno più in Brasile!». Il 12 ottobre,sbarcavano a Rio de Janeiro, condestinazione il Pará, i padri SeveroFerrari, Giovanni Incampo e il fra-tello Salvatore Colangelo; e un po-co più tardi arrivava anche il quar-to: padre Aldo Boschetti. O quan-do, a Bragança, mentre la follainferocita, dopo aver dato fuoco al-la Delegazia, strappava dalla pri-gione un bandito e lo strascinavalungo la Piazza Terminal, p. Lucia-no, avvisato, corse velocemente sulposto con la jeep (che nel fermarsidiede uno scoppio interpretato co-

me uno sparo in alto) e con il suovocione minaccioso e con il poteree prestigio che godeva presso il po-polo, riuscì a calmare la folla e ariportare la situazione alla normali-tà e l’infelice bandito nelle manidei poliziotti, che, attoniti, stavanoa guardare... O quando, nel Capi-tolo Generale del 1964, a un capi-tolare che, scandalizzato, accusavai confratelli dell’Amazzonia di averperso lo spirito missionario per illusso di aver messo aria condizio-nata nella sala di ricreazione, p. Lu-ciano, senza scomporsi, rispose:«Noi missionari ci impegnamo a ri-nunciare all’aria condizionata, apatto però che voi in Italia rinun-ciate ai termosifoni». Silenzio inaula. Non se ne fece più parola.Anche in economia era capace diosare, come quando, per dare basieconomiche più solide alla nascen-te Provincia, comprò negli anni 70una importante participazione nelcontrollo dell’estinto Banco Com-mercial do Pará, scandalizzando iconfratelli. Meno male che quellaBanca fallì.Diceva spesso p. Luciano che la

sua permanenza in una comunitàdoveva essere almeno di 25 anni:tanto fu a Bragança, e tanto speravaanche a Belém. Ma nel luglio del2005 ricevette, non sperata e nondesiderata, ma accettata con silen-ziosa obbedienza, la destinazione

alla comunità e parrocchia di SanDiogo a Fortaleza, capitale del Cea-rá, dove le attività del Padre si ri-dussero al minimo. Tuttavia, ebbetempo e soddisfazioni, leggendomolto e assistendo spiritualmente lecomunità neo-catecumenali e quel-la del Qezed, come confessore econferenziere. Nel 2011 fece unabreve puntatina a Belém per festeg-giare i 60 anni di sacerdozio; manel 2013, lui stesso chiese e ottennedi tornare a Belém, per donarvi gliultimi anni della sua vita e dove hacommemorato, senza festeggiamen-ti a causa della malattia, i 65 annidi sacerdozio il 24 marzo di que-st’anno.Per l’occasione era arrivato dal

Centro Missionario Diocesano diTortona un messaggio che il desti-natario, già in coma, non ha potutoleggere: «Carissimo Padre Luciano,l’espressione del nostro affetto e dellanostra stima per i 65 anni di Sacerdo-zio. Con lei e per lei ringraziamo il Si-gnore per le tante grazie e, soprattut-to, per il tanto bene fatto a tanti fra-telli più poveri in terra brasiliana.Nella Santa Messa ci ricordi a Gesù.Un grande abbraccio!» Firmano:Don Stefano, Dino, Ivone, Maria,Anita. E... firmano pure i fedeli e iconfratelli della Provincia del NordBrasile.

Giovanni Incampo

Eco dei Barnabiti 2/2016 83

CI HANNO PRECEDUTO

CRACOVIA CI ASPETTA!

Mancano pochi mesi all’incontro in Polonia. Cracovia, la città di sanGiovanni Paolo II e di santa Faustina Kowalska, ci aspetta con le bracciae il cuore aperti. Credo che la Divina Provvidenza ci abbia guidato acelebrare il Giubileo dei Giovani proprio lì, dove hanno vissuto questidue grandi apostoli della misericordia dei nostri tempi. Giovanni Paolo IIha intuito che questo era il tempo della misericordia. All’inizio del suopontificato ha scritto l’Enciclica Dives in misericordia. Nell’Anno Santodel 2000 ha canonizzato suor Faustina, istituendo anche la Festa dellaDivina Misericordia, nella seconda domenica di Pasqua. E nel 2002 hainaugurato personalmente a Cracovia il Santuario di Gesù Misericordioso,affidando il mondo alla Divina Misericordia e auspicando che questomessaggio giungesse a tutti gli abitanti della terra e ne riempisse i cuori disperanza: «Bisogna accendere questa scintilla della grazia dì Dio. Bisognatrasmettere al mondo questo fuoco della misericordia. Nella misericordiadi Dio il mondo troverà la pace, e l’uomo la felicità!».

(Omelia per la Dedicazione del Santuario della Divina Misericordia aCracovia, 17 agosto 2002).