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Le tante anime di Taiwan di Simone Pieranni Taipei è ordinata e pulita, molto distante dalla confusione delle città cinesi. Templi il cui odo- re di incenso riempie le strade, aderenti al Fa- lun Gong – il gruppo considerato illegale in Ci- na – che compiono esercizi per strada, caratte- ri non semplificati, un memoriale dedicato a Chiang Kai Shek in cui la storia è vista dalla parte di chi ha perso. Il Partito comunista cine- se non è mai menzionato nel Museo di storia nazionale, tra le macchine lussuose usate dal generale e le foto in cui è ritratto insieme a quei leader che riconobbero Taiwan. I cinesi chiac- chierano e guardano stupiti i documenti e l'im- mensa statua di Chiang Kai Shek, al termine delle infinite scale che portano al monumen- to. Un altro mito che la Cina si appresta a fare crollare. Pechino, ormai, è sempre più vicina. DOSSIER Cina: c’era una volta l’Impero celeste del low cost numero 34 . febbraio 2011 . 81 S. Pieranni i dice da tempo che Taiwan sia in profonda re- cessione economica, situazione che sembra ave- re cambiato per sempre i rapporti tra l’isola con- siderata ribelle da Pechino e la Grande Cina, così vigoro- sa e imponente nella sua crescita. L’ago della bilancia mondiale si sta spostando a Oriente e Taiwan rappresen- ta una sorta di caso paradigmatico: da sempre non im- mune all’influenza americana, anche per l’accordo che obbligherebbe gli Usa a intervenire militarmente in se- guito a un attacco cinese, retaggio da Guerra fredda, Tai- wan sta ormai per spostarsi all’interno della borsa della spesa cinese. È un segno dei tempi che cambiano, della capacità del soft power cinese e delle difficoltà degli Sta- ti Uniti nel continente asiatico. Un avvicinamento, quel- lo cinese, che tutti gli osservatori cercano di sottolinea- re per la sua valenza economica: se Pechino spinge per una prossima riunificazione sul modello di Hong Kong, Taiwan tenta di circoscrivere l’avvicinamento al solo set- tore economico, senza affrettare passi politici, conside- rati ancora prematuri. S

Cina: c’era una volta l’Impero celeste del DOSSIER Le ... · Cina: c’era una volta l’Impero celeste del low cost DOSSIER numero 34 . febbraio 2011 . 81 S. P i e r a n n i

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Le tante animedi Taiwandi Simone Pieranni

Taipei è ordinata e pulita, molto distante dalla

confusione delle città cinesi. Templi il cui odo-

re di incenso riempie le strade, aderenti al Fa-

lun Gong – il gruppo considerato illegale in Ci-

na – che compiono esercizi per strada, caratte-

ri non semplificati, un memoriale dedicato a

Chiang Kai Shek in cui la storia è vista dalla

parte di chi ha perso. Il Partito comunista cine-

se non è mai menzionato nel Museo di storia

nazionale, tra le macchine lussuose usate dal

generale e le foto in cui è ritratto insieme a quei

leader che riconobbero Taiwan. I cinesi chiac-

chierano e guardano stupiti i documenti e l'im-

mensa statua di Chiang Kai Shek, al termine

delle infinite scale che portano al monumen-

to. Un altro mito che la Cina si appresta a fare

crollare. Pechino, ormai, è sempre più vicina.

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numero 34 . febbraio 2011 . 81

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i dice da tempo che Taiwan sia in profonda re-cessione economica, situazione che sembra ave-re cambiato per sempre i rapporti tra l’isola con-

siderata ribelle da Pechino e la Grande Cina, così vigoro-sa e imponente nella sua crescita. L’ago della bilanciamondiale si sta spostando a Oriente e Taiwan rappresen-ta una sorta di caso paradigmatico: da sempre non im-mune all’influenza americana, anche per l’accordo cheobbligherebbe gli Usa a intervenire militarmente in se-guito a un attacco cinese, retaggio da Guerra fredda, Tai-wan sta ormai per spostarsi all’interno della borsa dellaspesa cinese. È un segno dei tempi che cambiano, dellacapacità del soft power cinese e delle difficoltà degli Sta-ti Uniti nel continente asiatico. Un avvicinamento, quel-lo cinese, che tutti gli osservatori cercano di sottolinea-re per la sua valenza economica: se Pechino spinge peruna prossima riunificazione sul modello di Hong Kong,Taiwan tenta di circoscrivere l’avvicinamento al solo set-tore economico, senza affrettare passi politici, conside-rati ancora prematuri.

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Shane Lee, professore della Chang Jung Christian Uni-versity di Taipei, prova a spiegare le ragioni del malcon-tento dei democratici rispetto alla nuova piega presa dal-le relazioni tra Pechino e Taipei: «L’accordo non favori-sce la nostra industria, la disoccupazione salirà e il gaptra i ricchi e i poveri aumenterà. I ricchi diventerannosempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Speria-mo che il nostro governo cambierà questo approccio diestrema dipendenza dalla Cina. Siamo preoccupati per-ché ormai conosciamo i cinesi: attraverso l’economia cer-cheranno di stringere intorno al nostro collo il nodo po-litico, finendo per farci perdere le conquiste democrati-che della nostra storia. La gente è preoccupata di questoavvicinamento, del resto la Cina non è mai stata gentilecon noi e siamo in crisi economica. Secondo i sondaggila maggioranza è favorevole alla vicinanza alla Cina perquestioni economiche e militari, in modo che non ci siapericolo di missili, è questa la preoccupazione principa-le. Taiwan militarmente è debole, questo lo sanno tutti etale aspetto rimane una delle principali preoccupazionidella popolazione».

I “pratici”econdo l’opinione di Chung-chian Teng, profes-sore e dean della facoltà di Relazioni internazio-nali e diplomatiche della National Chengchi

University di Taipei, i taiwanesi, invece, non sarebberopreoccupati per le valenze politiche dell’accordo, quan-to piuttosto per quelle economiche: «La gente – specifi-ca il preside in un’ampia sala della propria facoltà, sullecolline di Taipei – guarda al portafoglio». In questo sen-so l’Ecfa sembrerebbe la soluzione di tutti i mali, non fa-cendo altro che sancire dei rapporti economici ormai dilunga data, significando il cambiamento delle politicheeconomiche taiwanesi e cinesi: «L’Ecfa è molto impor-tante per lo sviluppo economico di Taiwan: d’altronde lenostre relazioni con la Cina sono molto intense. Molti tai-wanesi hanno fatto sostanziali investimenti in Cina, que-sta cooperazione esiste già da tempo attraverso la produ-zione di beni che poi la Cina esporta in altri mercati, pen-so a quelli europei e statunitensi. Molti studiosi hannoanalizzato questa cooperazione. Noi siamo per l’integra-zione economica, guardando un po’ a quanto accadutoall’Unione Europea. Più in là si parlerà di integrazione

paradiso per i vegetariani) e una folla di gente che occu-pa ogni angolo di strada calpestabile, alcuni ragazzi, at-tivisti del Democratic Progressive Party, l’opposizionetaiwanese, volantinano e regalano pacchetti di fazzolet-ti di carta con, in bella vista, il volto di Tsai Ing-wen, laleader del partito. «Non siamo cinesi – specificano – e adesempio non sputiamo, non abbiamo un solo partito esiamo democratici».

Li seguiamo nella loro attività militante: molte perso-ne si fermano, discutono, altre scuotono la testa e affer-mano di essere a favore del Kuomintang. Molti gli insul-ti anticinesi. «I nazionalisti hanno venduto Taiwan allaCina», affermano i ragazzi, spietati contro l’Ecfa: « È unmodo come un altro per mettersi nelle mani della Cina egarantire ai ricchi taiwanesi i propri affari».

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Del resto solo nel 2009 – per la prima volta dal 1949 –i leader dei due Paesi si sono incontrati a Pechino, a se-guito di un anno vissuto pericolosamente tra visite sul-l’isola da parte del Dalai Lama e di Rebya Kadeer, consi-derata la leader del movimento indipendentista uiguro.Prima di quella data a Taiwan c’erano i democratici alpotere, assestati su posizioni indipendentiste: solo conla vittoria del 2008 del Kuomintang, guidato da Ma Ying-jeou, tutto è cambiato. Pechino ha approfittato della svol-ta taiwanese, di segno maggiormente nazionalista, versoposizioni filocinesi, attraverso un accordo economicoche inaugura una nuova stagione dei rapporti tra i duePaesi. Un avvicinamento al ricco gigante d’Asia sancitodalle recenti elezioni del novembre 2010 in cinque cittàche – anche se di stretta misura – hanno visto il via libe-ra popolare alla scelta del Kuomintang.

Il 29 giugno 2010 era stato infatti firmato l’Ecfa, Eco-

nomic Cooperation Framework Agreement, un accordoeconomico che abbassa le tariffe degli scambi commer-ciali tra i due Paesi, dando vita ad un’area di libero scam-bio che ricorda molto da vicino le politiche cinesi già at-tuate precedentemente per le zone economiche specialio per Hong Kong. Le elezioni di midterm hanno datoslancio agli accordi: è del 21 dicembre la firma di un nuo-vo patto tra Cina e Taiwan relativo a una cooperazionesu temi inerenti la salute. Si tratta di mosse economichee culturali il cui impatto finisce per ripercuotersi sullapolitica e sulla società taiwanese, polarizzata tra favore-voli e contrari.

Gli “indipendentisti”el mercato notturno più grande di Taipei, tra mi-gliaia di bancarelle, tofu di ogni tipo (data l’altapercentuale di buddhisti Taiwan è una sorta di

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politica, adesso non è ancora il momento giusto. Comehanno sostenuto i politici locali, l’integrazione politicasarà una questione che dovrà essere gestita dalle prossi-me generazioni. Parliamo dei prossimi venti o trent’an-ni».

Da docente e preside di facoltà il suo sguardo sullenuove generazioni getta una luce possibilista anche cir-ca i rapporti tra i due Paesi, in grado di andare al di là deisoli aspetti economici: «Le nuove generazioni non han-no vissuto il gelo e il dramma delle relazioni da Guerrafredda tra Cina e Taiwan: ci sono moltissimi studenti ci-nesi a Taipei ed è molto dura distinguere oggi tra un ci-nese e un taiwanese. In passato era facile. Senza parlaredel turismo: ormai sono tantissimi i cinesi che vengonoa Taiwan. È naturale che le cose debbano cambiare».

Una modifica dei rapporti politici che, secondo

Chung-chian Teng, ha bisogno di piccoli passi da partedella Cina. Il dean a questo proposito, è ottimista: «La Ci-na deve fare qualcosa in termini di riforme politiche, peravere un’apertura politica con Taiwan. Wen Jiabao haspecificato la necessità di cambiamenti politici, è un se-gnale importante per noi. Taiwan ha già scelto questastrada di riforme da tempo, in modo graduale. In pochici credevano, ma oggi tutti sono abituati alla democrazia.

I leader della quinta generazione cinese vengono tuttida un’educazione svoltasi in Occidente e quindi c’è lasperanza che qualcosa cambierà. Il Partito comunista delresto ospita spesso incontri e lezioni con professori e in-tellettuali: il dibattito è aperto, non hanno molte alterna-tive, del resto. Quando ci saranno questi cambiamenti, sipotrà aprire una strada al dialogo anche politico. Per oraè prematuro».

I “favorevoli”un Yang-Ming è un ex giornalista, ora vicepresi-dente della Cross-Strait Interflow Prospect Foun-dation, un think tank che esamina le relazioni tra

Cina e Taiwan. La sua è la posizione di chi ha lavorato al-l’accordo, un’analisi da “dietro le quinte” che svela le ra-gioni politiche delle mosse di Taipei: «L’Ecfa è importan-te per entrambi, ma ognuno ha le sue interpretazioni. Pe-chino crede che questo sia il momento per andare versoun’intensificazione dei rapporti con Taiwan: l’Ecfa è ilprimo passo, verso altri che hanno in mente. Noi dicia-mo un’altra cosa: vediamo come funziona, come la gen-te reagirà, se, soprattutto, risolleverà la nostra economia.Noi non possiamo andare veloce, non quanto la Cina, ela nostra parola d’ordine è “stabilità”. Anche perché, oracome ora, la posizione del nostro presidente è debole: MaYing-jeou paga la crisi e l’Ecfa è una prima risposta».

C’è quindi un dilemma possibile, una doppia interpre-tazione del medesimo accordo: «Pechino è sincera nelsuo approccio e vede l’Ecfa come il primo passo versouna potenziale riunificazione politica e pacifica, su que-sto non ci sono dubbi, la loro strada è quella. Noi peròsiamo stati molto chiari: non abbiamo alcuna intenzionedi parlare di politica con loro. Noi vogliamo solo un ap-proccio economico, perché è l’unica cosa che ci interes-sa per fare ricrescere la nostra economia. È ovvio chel’Ecfa, pur essendo un accordo economico, segna unasvolta politica. Vedremo nel 2012: se Ma rivincerà le ele-

zioni si passerà al secondo punto, ovvero un accordo mi-litare, come la Cina ha già con India e altri Paesi. Nell’ul-timo viaggio che ho fatto in Europa sono stato a Cipro,proprio per studiare questo tipo di situazioni».

C’è da chiedersi, specie per uno come Sun Yang-Ming,molto vicino ai teorici americani nell’approccio a Tai-wan, cosa pensino gli Stati Uniti dell’accordo economi-co: «Gli americani sono estasiati dall’Ecfa!», dice riden-do. «Erano terrorizzati dal Partito democratico e dai lo-ro continui balletti e sparate mediatiche contro la Cina.Per loro era un problema. Anche con gli Usa noi siamostati chiari: l’Ecfa non è un passo verso la riunificazionepolitica, siamo stati onesti e abbiamo specificato tuttoquanto vogliamo fare».

È la verità? «Sinceramente: una eventuale unificazio-ne politica non è un’opzione valida in questo momentodal nostro punto di vista. Alla popolazione di Taiwan or-mai non interessa più essere indipendente o essere con-siderata cinese: vogliono solo vivere in pace e in una si-tuazione economica tranquilla. Vogliono controllare ilproprio portafoglio e sentirlo pieno. La gente di Taiwandel resto non può essere spinta a una unificazione quan-do per cinquant’anni abbiamo detto peste e corna dei ci-nesi, sarebbe assurdo. Dopo un lavaggio del cervello delgenere, c’è bisogno di almeno una generazione, primache alcuni discorsi possano essere intavolati. Dobbiamoandarci cauti e prima di tutto garantire la ricchezza allapopolazione». .

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