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lmodóvar, Amenábar, Buñuel, ma non solo: questo straordinario volume ha il merito di farci conoscere, accanto alle produzioni di celebri maestri internazionali, altri cineasti, storie e generi cinematografici che – sebbene quasi o del tutto sconosciuti da noi – nei loro paesi di origine hanno trascinato nelle sale milioni di spettatori, consacrato attori e attrici di talento, rispecchiato sommovimenti politici dalle ripercussioni planetarie, conquistato premi in prestigiose rassegne e non di rado influenzato stili e temi dei grandi registi americani ed europei.
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Antxon Salvador
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Collana:GLI ALBUMLibri di cinema per la scuola e l’università
Titolo originale:Español de cine© 2009 Art Blume, S.L., Barcellona© 2009 Antxon Salvador Castiella
Testi:María Adell, Rosina Balboa, Aurora Chiaramonte, Llorenç Esteve, Violeta Kovacsics, Mayra Leciñana, Javier Rodríguez Marcos,Antxon Salvador Castiella, Guillem Servitja, José Tirado, Anatxu Zabalbeascoa
Impaginazione:Roger Zanni, Antxon Salvador Castiella, Usr Hilger
Documentazione:Guillem Servitja
Trattamento delle immagini:Roger Zanni,Leicrom (Barcellona)
Coordinazione/produzione:Cristina Rodríguez Fischer
Traduzione dallo spagnolo:Micol Bertolazzi
Copertina dell’edizione italiana:Patrizia Marrocco
In copertina:Dall’alto, in senso orario, immagini di Amanece, que no es poco, Lucía y el sexo, Volver e Mare dentro.
Fotocomposizione:Graphic Art 6 s.r.l. – Roma
Stampa:?????
Copyright dell’edizione italiana:GREMESE2011 © E.G.E. s.r.l. – Romawww.gremese.com
Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere registrata, riprodotta o trasmessa, in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore.
ISBN 978-88-8440-686-6
3
Autore e collaboratori 4Introduzione 6I film 10Indice dei film 272Indice dei paesi 274Indice dei registi 276Crediti fotografici 278Ringraziamenti 279
Sommario
4
Rosina Balboa Bas (RB)È nata in Uruguay, vive tra Montevideo, Barcellona e Buenos
Aires. Dal 1985 ha lavorato come giornalista indipendente
e come editor per varie case editrici spagnole e argentine,
coordinando opere di divulgazione di grande formato, in
particolare enciclopedie e dizionari. Si occupa di attualizzare
i contenuti di Ocenet, enciclopedia virtuale della casa editrice
Océano (Spagna), e supervisiona diverse collane della casa
editrice Capital Intelectual (Argentina). Attualmente studia
Lettere presso l’Università di Buenos Aires (UBA).
María Adell Carmona (MA)È nata a Valencia nel 1977 e vive a Barcellona dal 2002.
Laureata in Storia presso l’Università di Alicante e in
Comunicazione audiovisiva presso l’Università Pompeu Fabra
di Barcellona. Attualmente svolge il dottorato in Teoria e analisi
cinematografica presso la stessa università. Ha lavorato per
l’ufficio stampa di diversi festival del cinema (Sitges Festival,
Festival del cinema spagnolo di Malaga). Affianca al lavoro nel
settore Marketing e comunicazione della casa di produzione
DeAPlaneta l’analisi delle sceneggiature per la stessa società.
Pubblica su Projeccions de Cinema y Enfocarte.
Antxon Salvador Castiella (AS)È nato a Pamplona nel 1966 e vive a Barcellona dal 1985.
Disegnatore industriale per la Scuola Elisava di Barcellona.
Direttore di immagine di Tresserra Collection (dal 1996
a oggi). Contemporaneamente è stato direttore artistico
della rivista Section (monografie di architettura, Gustavo
Gili, 1997-1999). È anche autore di due sceneggiature per il
cinema: Polaroids (2000) e Uno ladra, dos muerden (2005).
Ha collaborato come analista di sceneggiatura per la casa di
produzione la Notro Films (associata a Manga Films). Scrive
di critica cinematografica sulla rivista Art&Co (pubblicata
dalla Fiera di Arte Contemporanea ARCO di Madrid).
Collaboratori
Autore
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Aurora Chiaramonte (AC)È nata in Argentina e vive a Barcellona. Laureata in Lettere
presso l’Università di Rosario, Argentina. Dal 1980 al 1983 è
stata responsabile della sezione Museografia della Filmoteca
della UNAM (Università Nazionale Autonoma del Messico). Ha
collaborato con editori messicani e spagnoli.
Llorenç Esteve de Udaeta (LE)È nato a Barcellona nel 1970, dove vive. Laureato in Storia
all’Università di Barcellona e in Comunicazione audiovisiva
presso la Università Aperta della Catalogna. Ha collaborato a
pubblicazioni come Historia y vida, Ajoblanco, Film-Historia,
Seqüències de Cinema o El viejo topo. È autore di Michael Powell
y Emeric Pressburger (Cátedra, 2002), coautore di La historia
a través del cine; las dos guerras mundiales (UPV, 2007), oltre
a collaborare con il Diccionario de Cine Iberoamericano (SGAE,
2009). È stato anche coordinatore del ciclo filmografico per la
mostra “Rendeix-te! ¡Ríndete!” (1999).
Violeta Kovacsics (VK)È nata a Barcellona nel 1981, dove vive. Laureata in
Comunicazione audiovisiva presso l’Università Pompeu
Fabra di Barcellona. Collabora abitualmente come critica
cinematografica e letteraria per la rivista Go Mag e per il
supplemento culturale del Diari de Tarragona. Ha scritto
per varie testate come Scope, il supplemento Cultura/s
del quotidiano La Vanguardia, Cahiers du cinéma Spagna,
Fotogramas e la rivista online Senses of Cinema, tra le tante.
Inoltre ha collaborato ai seguenti testi collettivi: Barbet
Schroeder: itinerarios y dilemas (pubblicato dal Festival
internazionale del cinema di San Sebastián); Larry Clark,
menores sin reparos (pubblicato dal Festival internazionale del
cinema di Gijón) e Montxo Armendáriz: itinerarios (pubblicato
dalla Filmoteca di Extremadura). Ha fatto parte della giuria
dei festival di Lecce, Locarno, Gijón e Buenos Aires.
Mayra Leciñana Blanchard (ML)È nata a Buenos Aires. Giornalista del quotidiano Crónica
dal 1986 fino a oggi. Diplomata all’Istituto Nazionale di
Cinematografia, specializzazione in regia. Assistente di scena
in Camila, regia di María Luisa Bemberg. Ha realizzato video
istituzionali e cortometraggi (A quien mi amor maltrata;
menzione speciale al III Festival “La Mujer y el cine”, Mar
del Plata, 1990. La fuerza de la fuerza; menzione speciale al
Festival latinoamericano del cinema, Santa Fe, 1990). Laureata
in Lettere all’Università di Buenos Aires (UBA), dove è
ricercatrice presso l’Istituto interdisciplinare di studi di genere.
Pubblica su riviste accademiche spagnole e argentine.
Javier Rodríguez Marcos (JRM)È nato a Nuñomoral, Cáceres, nel 1970 e vive a Madrid. Ha
pubblicato i libri di poesia Mientras Arden (Hiperión) e Frágil
(Hiperión, Premio El Ojo Crítico de Poesía della Radio nazionale
spagnola 2002). È anche autore dei libri di viaggio Los trabajos
del viajero (Editora Regional di Extremadura) e Medio mundo
(Llibros del Pexe). La sua opera è apparsa in recenti antologie
di poesia spagnola come Selección Nacional (Llibros del Pexe),
Milenio (Sial, Celeste), La generación del 99 (Nobel), La lógica de
Orfeo (Visor). È stato redattore del supplemento culturale di ABC
e attualmente lavora per El País. Ha pubblicato, in collaborazione
con Anatxu Zabalbeascoa, i libri Vidas construidas. Biografías
de arquitectos (Gustavo Gili) e il saggio Minimalismos (Gustavo
Gili). È stato uno dei responsabili della mostra “Minimalismos. Un
signo de los tiempos”, allestita nel museo Reina Sofía di Madrid
tra luglio e ottobre del 2001.
Guillem Servitja Dalmau (GS)È nato a Barcellona nel 1978, dove risiede. Ha vissuto due anni
in Messico. Dal 1999 è tecnico avanzato per la produzione di
audiovisivi ed eventi di spettacolo. Ha realizzato numerosi
progetti audiovisivi promozionali. Attualmente frequenta il corso
di laurea in Lettere presso l’Università Aperta della Catalogna.
José Tirado Muñoz (JT)È nato a Barcellona nel 1982, dove vive. Laureato in
Comunicazione audiovisiva presso l’Università Pompeu Fabra
di Barcellona. Ha frequentato corsi di regia cinematografica
alla ECAM e ha seguito un master in sceneggiatura alla ESCAC.
Unisce al lavoro di scrittura di programmi per l’infanzia e di
valutazione delle sceneggiature (DeAPlaneta, Morena Films)
quello per lo sviluppo di campagne di marketing e stampa
per vari distributori (Warner, Notro Films). Ha partecipato
alle riprese di La silla (Wallowits) e El silencio antes de Bach
(Portabella). Collabora con Temps Moderns e OjoDePez.
Anatxu Zabalbeascoa Conca (AZ)È nata a Barcellona nel 1966 e vive a Madrid dal 2001.
Giornalista e storica dell’arte, è corrispondente delle riviste
Art Press e Artforum e collabora abitualmente con numerose
testate specializzate nel settore dell’architettura e del disegno,
nonché con El País. È autrice di The New Spanish Architecture
(Rizzoli, 1992) e La casa del arquitecto (Gustavo Gili, 1995),
El taller del arquitecto (Gustavo Gili, 1996), Vidas construidas
(Gustavo Gili, 1998), Las casas del siglo (Gustavo Gili, 1998),
tutti tradotti in varie lingue. Attualmente pubblica letteratura
infantile per Tusquets, Beascoa e Blume.
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L’ avventura chiamata Il cinema spagnolo è iniziata con la scoperta di un vuoto editoriale, evento sempre più raro. La lingua spagnola non possedeva un repertorio cinematografico che riunisse il meglio della sua produzione internazionale. All’ampia bibliografia sul cinema iberico mancava un titolo che contemplasse anche i film girati in
America Latina. Alcuni autori hanno approfondito il cinema latinoamericano (Tierra en trance di Alberto Elena e Marina Díaz López ne è un buon esempio), ma il loro punto di vista è più geografico che culturale o linguistico (includono il cinema brasiliano ma non quello spagnolo).
Se quel libro, dunque, non esisteva, bisognava farlo.L’idea di questa antologia è quella di avvicinare lo spettatore – spagnolo o latinoamericano, francese, italiano o giapponese
– ai film di lingua spagnola più significativi tra quelli girati in qualsiasi paese che rientri in tale comunità idiomatica. Non pretendiamo di aver scritto un saggio esauriente su tutta la filmografia iberica; piuttosto, il nostro intendimento era redigere una lista di eccellenti lungometraggi capaci di comporre un ampio “paesaggio” culturale, proteso da un lato all’altro dell’Atlantico.
Preparare una selezione di film è tanto appassionante quanto frustrante: nessuno sarà completamente d’accordo con i titoli proposti. Ogni cinefilo ha la sua classifica. E ogni membro della redazione ha dovuto rinunciare a qualche film amato per rispettare il limite dei circa 250 titoli che ci eravano imposti. Perché tale quantità e non un’altra? Perché quel numero era sufficientemente ampio per offrire una visione dettagliata ma abbastanza gestibile per essere trasformato in un libro comodo da consultare. Un’altra decisione complicata è stata stabilire una quantità per ogni paese: quanti film spagnoli e quanti ispanoamericani? Decisione salomonica: la metà per ogni lato. Potrebbe sembrare arbitrario, addirittura eurocentrico, ma se consideriamo i premi internazionali ricevuti da questi due grandi gruppi, la salomonica decisione di cui sopra risulta pertinente. Nel gruppo ispanoamericano, sembrava logico che i paesi con una produzione maggiore avessero più titoli. Così Messico (che visse la sua epoca d’oro del cinema negli anni Trenta e Quaranta) e Argentina (sempre sul podio della nostra
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cultura) sono quelli con più pellicole. Li segue Cuba, che ha saputo mantenere una propria voce identitaria. Venezuela, Colombia, Cile, Perù, Bolivia, Uruguay ed Ecuador contribuiscono con la scarsa dote della loro filmografia.
D’altra parte, la globalizzazione culturale rende sempre più difficile determinare la nazionalità di un film. Uno spagnolo esiliato, Luis Buñuel, girò più di venti film in Messico, tutti molto messicani. Ma si può considerare molto messicano Il labirinto del fauno? Certo, è stato scritto e diretto da un messicano – Guillermo del Toro – ma la sua tematica è profondamente spagnola. Lo stesso accade, in direzione contraria, con Balseros, premiato documentario scritto, girato e prodotto da catalani tra Cuba e gli Stati Uniti. Allo stesso modo, un newyorkese – Joshua Marston – ha scritto e diretto Maria Full of Grace, un viaggio dal Sud (Colombia) al Nord (Stati Uniti). Barbet Schroeder, nato a Teheran ma cresciuto tra Bogotà e Parigi, ha adattato il romanzo La vergine dei sicari del colombiano Fernando Vallejo. Le frontiere, insomma, si incrociano, fino a mescolarsi. La lingua, invece, è un valore molto più stabile.
Dato l’idioma spagnolo come unico comun denominatore di questa raccolta, ci è sembrato opportuno prescindere dal cinema muto. La scelta linguistica ha inoltre, pur dolorosamente, lasciato fuori alcune pellicole girate soprattutto in catalano (l’interessante filmografia di Ventura Pons), in lingua quechua (il meglio del regista boliviano Jorge Sanjinés) o guaranì (La hamaca paraguaya), così come alcune delle recenti produzioni scritte e dirette da spagnoli (La mia vita senza di me, di Isabel Coixet, o The Others, di Alejandro Amenábar) e messicani (il glorioso Stellet licht, di Carlos Reygadas, o Babel, di González Iñárritu) ma in altre lingue.
Nel momento di definire la lista, abbiamo voluto inserire “un po’ di tutto”, sia per genere sia per epoca e paese. Film con una spiccata impronta commerciale dividono la programmazione con altri minori e più “difficili”: Torrente nella sala 1, Japón nella 2 e Amores perros nella 3. Hombre mirando al sudeste, La leyenda del tiempo e De cierta manera all’ultima proiezione notturna, Manolito Gafotas e Garbancito de la Mancha alla matinée per i ragazzi.
Il nostro obiettivo è, prima di tutto, quello di far conoscere buoni film piuttosto che elencare integralmente la filmografia dei registi più acclamati. Questo spiega perché abbiamo preferito limitare il numero di pellicole scelte dall’opera di Buñuel, Almodóvar o Gutiérrez Alea – tra i tanti – così da dare spazio a film di autori meno conosciuti ma altrettanto interessanti. Non avrebbe senso riempire le pagine con i titoli più noti per rinunciare a opere maledette (Tras el cristal), dimenticate (Carta de amor de un asesino), minoritarie (De niños) o circolate poco (Viaje hacia el mar). Per aiutare il lettore abbiamo diviso la tipica classifica a stelle in due rami: critica e pubblico. La prima valutazione si riferisce al giudizio critico del film, non tanto nel primo giorno di uscita – o quanto ai premi ottenuti – ma adesso. Così, alcuni film, che allora non ottennero particolari apprezzamenti, ora sono stati invece molto rivalutati (si veda Arrebato o Vida en sombras). Il secondo giudizio valuta l’appeal commerciale di un’opera, la sua attitudine a richiamare un pubblico ampio, piuttosto che il suo successo al botteghino nel momento e nel luogo dell’uscita.
Tutte le recensioni iniziano con una sinopsi – che non svela la trama – e proseguono con un breve accenno all’autore e un commento critico. Abbiamo cercato di realizzare un libro sia didattico sia critico. Un manuale da consultare – ogni pellicola ha la sua scheda tecnica –, interessante e ben illustrato – con le locandine e le immagini di tutti i film –, che invita il lettore a trasformarsi in spettatore.
I conoscitori del cinema spagnolo scopriranno che il cinema latinoamericano – un cugino lontano e poco conosciuto – ha prodotto valide storie, degne di essere scoperte e apprezzate. Boquitas pintadas, Tiempo de revancha, La ciénaga, La vendedora de rosas, Memorie del sottosviluppo, Soy Cuba, Vita rubata, Tiburoneros, El violín, Oriana, Araya, Machuca o Historias extraordinarias sono alcuni di questi film sconosciuti alla maggior parte del pubblico e meritevoli invece di essere applauditi. Accanto ad essi, figurano i titoli classici del cinema spagnolo – da Benvenuto, Mister Marshall! fino a Viridiana, passando per Marcellino pane e vino –, a loro volta affiancati da una serie di film con meno riconoscimenti, premi e biglietti venduti, ma capaci di illuminare ugualmente la cultura espressa dalla lingua spagnola. Una lingua che unisce più di 400 milioni di persone suddivise in una ventina di paesi.
Entrate (leggete) e guardate.Antxon Salvador
Nota della traduttrice sui titoli dei film recensiti:Nella intestazione delle schede, i film non distribuiti in Italia sono citati con il loro titolo originale, seguito tra parentesi da una traduzione letterale – ove opportuna per la comprensione. I film distribuiti sono invece riportati con il loro titolo italiano, seguito tra parentesi dal titolo spagnolo originale. Nel caso di film distribuiti in Italia con lo stesso titolo dell’edizione originale, il titolo spagnolo è seguito tra parentesi dalla sigla “id.”.
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I film
10
MessicoScenegg.
Produzione
Fotografia Musica
Vendo placer
Interpreti
SpagnaScenegg.
Produzione Fotografia
Musica
Interpreti
La mujer del puerto (La donna del porto)
Arcady Boytler 1933
Rosario, una giovane che vive insieme al padre, ha perso la
verginità con il suo fidanzato. Il padre è gravemente malato
e lei non ha i soldi per comprare le medicine. Quando va
dal fidanzato per chiedergli aiuto, scopre in realtà che lui
la tradisce con un’altra donna. Disonorata, sola, senza soldi,
affranta dal dolore e dal senso di colpa, Rosario non troverà
altra via d’uscita che quella di prostituirsi.
Arcady Boytler, nato in Russia, girò vari film nel suo paese
ma anche in Germania, Cile e Stati Uniti, prima di stabilirsi
definitivamente in Messico nel 1931. La mujer del puerto fu il
secondo lungometraggio sonoro che girò in quest’ultimo paese.
L’influenza dell’espressionismo, già presente nei film della sua
produzione di cinema muto, si manifesta nella direzione degli
attori e nella concezione visiva della storia, fatta di chiaroscuri
e primi piani caratteristici di quello stile.
Boytler narra con grande lirismo, creando atmosfere di pro-
fonda intensità drammatica. Spicca la sequenza dei festeg-
giamenti per il carnevale, in cui la macchina da presa di Alex
Phillips si sposta delicatamente – in contrapposizione al dolo-
re squassante che sta vivendo la protagonista – per cogliere
In un piccolo paese aragonese, María del Pilar e Sebastián
sono fidanzati. Ma Eusebio, il padre della ragazza, non accetta
la relazione poiché Sebastián è un semplice bracciante del
suo podere. Decide invece che sua figlia debba fidanzarsi con
Marco, un ricco possidente, così da risolvere alcune dispute
terriere. Per riuscire nell’intento, lo stesso Marco cerca di
screditare Sebastián facendo circolare la voce che di notte il
giovane vada a trovare María.
Florián Rey, giornalista e autore di teatro, finì per dedicarsi
Nobleza baturra (Nobiltà di campagna)
Florián Rey 1935
CriticaPubblico
CriticaPubblico
l’arrivo del carro funebre che trasporta la bara del padre e
insieme la comparsa delle maschere. O il momento in cui Rosa-
rio, avvolta in un lungo abito nero e con uno scialle attorno alle
spalle, percorre le strade in penombra del porto di Veracruz. E
intanto, una donna appoggiata allo stipite della finestra canta
Vendo placer. In questa scena è facile riconoscere l’influenza
esercitata dall’allora diva Marlene Dietrich sulla gestualità
della debuttante Andrea Palma. AC
al cinema, prima come attore poi come regista. La prima tap-
pa del suo percorso nel cinema, ai tempi del muto, culminò con
lo sperimentale La aldea maldita (1930). Quindi Rey si trasferì
per tre anni a Hollywood, dove apprese la tecnica del sonoro
e le regole base della narrazione classica. Rientrato, si dedicò
alla realizzazione di un cinema commerciale ma di alta qualità
tecnica. La vena folcloristica, con la presenza imprescindibile
di Imperio Argentina, emerse in alcune opere particolarmente
riuscite della sua carriera: La hermana San Sulpicio (1934),
Morena Clara (1936) e Carmen, la de Triana (1938). Su tutte
spicca però Nobleza baturra, eccellente compendio del cinema
del regista aragonese. Il suo stile popolare consisteva in una
mescolanza di tradizione e conservatorismo morale, con sto-
rie di integrazione sociale: da un lato, valori come la dignità,
l’onore o il potere della Chiesa nelle relazioni sociali; dall’altro,
il legame tra il povero lavoratore e la figlia del padrone, in una
velata critica al dispotico potere paterno. Il film possiede una
notevole fluidità narrativa, nella quale la storia principale e
quelle secondarie si combinano attraverso l’ausilio di danze e
canti tradizionali aragonesi. LE
11
MessicoScenegg.
Produzione Fotografia Musica Interpreti
Chaflán),
Vámonos con Pancho Villa (Uniamoci a Pancho Villa) Fernando de Fuentes 1935
CriticaPubblico
Durante la Rivoluzione, sei contadini del paese messicano
di San Pablo decidono di unirsi alle truppe di Pancho Villa.
Conosciuti come i Leoni di San Pablo e legati da una profonda
amicizia, prendono coraggiosamente parte a numerose
battaglie e insieme resistono alla tragedia e alla disperazione
generate da una lotta che a volte non possono che sentire,
loro stessi, vana.
La lavorazione di Vámonos con Pancho Villa incontrò molti
problemi, soprattutto finanziari. A causa delle prevalenti
riprese in esterni e delle numerose scene di battaglia, i costi
di produzione lievitarono, insufficientemente compensati
dalla messa a disposizione da parte del governo messicano
di treni, comparse prese dall’esercito e attrezzi militari. Per il
proprio film, De Fuentes introdusse in Messico nuove tecniche
di realizzazione, come la sonorizzazione sincronica e l’uso di
macchine da presa Mitchell.
Fu la prima superproduzione del cinema messicano e un
colossale flop al botteghino, tanto da portare al fallimento
la Clasa, la società che lo aveva prodotto. Alcuni decenni più
tardi, negli anni Sessanta, la critica e i cineclub riscattarono il
film, rendendolo protagonista di un processo di rivalutazione
protrattosi sino a oggi: ormai Vámonos con Pancho Villa è
considerato una delle perle del cinema messicano.
Attraverso una storia agile e una modalità di racconto molto
dinamica, De Fuentes riesce a sintetizzare magistralmente i
numerosi temi affrontati. A differenza di altri registi messicani
che trattano la Rivoluzione in modo idealista, egli offre allo
spettatore uno sguardo disilluso ma profondamente umano.
Nel suo lungometraggio non c’è trionfalismo ma piuttosto
vi aleggia un senso di sconfitta, anche se non mancano i
tratti umoristici. Tecnicamente, Vámonos con Pancho Villa è
un’opera notevole: De Fuentes filma in maniera impeccabile le
scene collettive, come quelle dei combattimenti o quelle che
vedono gli uomini e le donne fermi alle stazioni ferroviarie, con
particolari che evidenziano l’intenzione del regista di catturare
con autenticità la vita quotidiana dei rivoluzionari.
Tuttavia, prevale il tono intimista, e le scene incentrate
sui personaggi della storia sono quelle di maggiore intensità.
Alcune, anzi, sono davvero emozionanti pur tenendosi lontane
dallo scadimento melodrammatico: come quando Tiburcio
(Antonio Frausto), uno dei Leoni, si allontana definitivamente
dall’accampamento con il fucile in spalla e la macchina da
presa lo segue da dietro lungo le rotaie, finché non scompare
nell’oscurità della notte.
La musica malinconica di Revueltas, l’eccellente illumina-
zione di Draper e la compostezza recitativa degli attori con-
tribuiscono alla grandezza di quest’opera che lo scrittore José
de la Colina ha definito così: «Vámonos con Pancho Villa ini-
zia con la semplicità di una ballata popolare e termina con la
grandezza di una tragedia antica». AC
12
SpagnaScenegg.
Produzione Fotografia
Musica
Interpreti
SpagnaScenegg.
Produzione Fotografia
Musica
Interpreti
CriticaPubblico
CriticaPubblico
La verbena de la Paloma (La festa della Paloma) Benito Perojo 1935
Morena ClaraFlorián Rey 1936
Le sorelle Casta e Susana, piccole modiste nella Madrid
della fine del XIX secolo, partecipano alla festa della Paloma
invitate da don Hilarión, un ricco farmacista. Julián, umile
operaio in una tipografia, invaghitosi di Susana, prepara un
tranello al farmacista per conquistare la ragazza.
La Repubblica [iniziata nel 1931 con la cacciata del re Alfonso
XIII e terminata nel 1939 con la vittoria dei ribelli nazionalisti
guidati da Franco, N.d.T.] fu un periodo fruttuoso per il cinema
spagnolo. In pochi anni si sviluppò un’emergente industria
guidata da alcune case di produzione, come CIFESA e CEA, che
basarono il loro successo sull’adattamento dei generi musicali
autoctoni. L’esempio migliore è questo film diretto da Benito
Perojo (1893-1974), un cineasta di formazione cosmopolita
che arrivò a lavorare negli studi della Paramount a Joinville,
realizzando le versioni in castigliano dei film nordamericani.
La verbena de la Paloma è un adattamento piuttosto libero della
famosa zarzuela scritta da Ricardo de la Vega. Fedele all’am-
biente brioso e genuino delle feste madrilene, Perojo ne ritrae
con precisione il tessuto sociale, avvicinandosi realisticamente
al linguaggio e alle convenzioni delle classi popolari. Il cineasta
creò il film musicale più brillante del periodo inserendo fluida-
mente i momenti di spettacolo all’interno della storia. Lo stesso
dinamismo caratterizza le innovative soluzioni visive, come le so-
vrimpressioni usate mentre Julián e Susana cantano svolgendo
i rispettivi lavori. La nitida ed espressiva fotografia del film con-
tribuì a farne uno dei grandi successi del periodo repubblicano, in
grado di sopravanzare anche le pellicole provenienti da Hollywo-
od. Questa combinazione perfetta di qualità e commerciabilità si
convertì in una delle prime esportazioni del cinema iberico. LE
Morena Clara e suo fratello rubano sei prosciutti per rivenderli.
Quel piccolo crimine li porta in tribunale, dove a entrambi
viene di continuo ricordata la loro origine gitana. L’aggraziata
bellezza di Clara attira immediatamente l’attenzione del
pubblico accusatore, con il quale si incontrerà nuovamente.
Florián Rey approfittò di un incarico della CIFESA (nome
importante nella produzione dell’epoca) per adattare un’opera
del teatro popolare al terreno puramente cinematografico. Nelle
mani di Florián Rey, Morena Clara non ha nulla di teatrale. Rey
gioca in continuazione con le potenzialità della macchina da
presa e, soprattutto, dell’inquadratura: piani corti per definire
le relazioni e sostenere i dialoghi, lunghi per giocare con gli
spazi dell’architettura andalusa, piena di stipiti e parapetti
che incorniciano l’immagine. La vicenda rientra perfettamente
nell’immaginario abituale di Rey, amante del cinema popolare.
Questa è una storia di classi nel cuore dell’Andalusia, con
due personaggi che rappresentano i poli opposti: un educato
funzionario della classe più elevata e una gitana un po’
sfacciata e molto affascinante. Il folclore si mescola a una
messa in scena prevalentemente classica che ricorda alcune
commedie della Hollywood di quel tempo così come i suoi
musical (basti pensare alla scena dello spettacolo di danza).
La prima parte del film è esemplare per il ritmo morbido e
rilassato con cui Rey conduce la narrazione: il confronto tra la
gitana e uno dei fratelli della famiglia altolocata si trasforma
in un faccia a faccia ripreso in un unico piano, che lascia
affiorare la romantica tensione dell’innamoramento. Morena
Clara apriva le porte a un cinema popolare spagnolo di buona
fattura. Una finestra che l’imminente Guerra civile avrebbe
chiuso di colpo. VK
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MessicoScenegg.
Produzione
Fotografia Musica
Allá en el Rancho GrandeInterpreti
ChaflánPremi
Allá en el Rancho Grande (Là a Rancho Grande)
Fernando de Fuentes 1936
CriticaPubblico
Alla morte della madre, i fratelli José Francisco ed Eulalia, con
l’orfana Cruz che è stata adottata, vengono accolti dai padrini,
la stiratrice di Rancho Grande, Ángela, e suo marito, l’ubriacone
Florentino. José Francisco cresce con Felipe, il figlio di don
Rosendo, il padrone di Rancho Grande. Alla sua morte, Felipe
si fa carico della tenuta e nomina come fattore José Francisco.
L’amicizia tra i due si rafforza quando José Francisco viene
ferito da una pallottola mentre cerca di salvare la vita a Felipe.
José Francisco e Cruz sono innamorati e vorrebbero sposarsi,
ma la rete che sta tessendo Ángela fa vacillare la relazione e
insieme a essa l’amicizia tra i due uomini.
Dopo il fallimento finanziario di El compadre Mendoza
(1933) e Vámonos con Pancho Villa (1935), Allá en el Rancho
Grande rappresentò per il suo regista non solo un risarcimento
economico ma anche un successo personale, oltre a un
riconoscimento internazionale per il debole cinema messicano
di quegli anni. Nel paese, la nascita di una vera industria
cinematografica prese avvio da quel momento.
Paradossalmente, però, Allá en el Rancho Grande è, dei
tre film, quello più distante dai canoni artistici propri di De
Fuentes. È una realizzazione piuttosto piatta, quasi una
sequenza di scenette sui costumi rurali, anche se, va detto, con
una fotografia molto buona. Alcuni critici accusarono il regista
di fare del teatro filmato, seppure arricchito con canzoni e balli.
Di fatto, la musica contribuì non poco al trionfo dell’opera, che
sfrutta il folclore delle regioni del Jalisco e del Bajío, con i
loro contadini, le serve e i mariachi della tradizione popolare.
Il musicista di Veracruz Lorenzo Barcelata, che recita anche
nel film, compose proprio per l’occasione le cosiddette coplas
de retache.
De Fuentes scelse come attore principale il tenore messicano
Tito Guízar, fino a quel momento praticamente sconosciuto
in Messico ma già forte di una certa fama a Hollywood, e
ambientò i fatti in un’epoca indefinita, presso un’idilliaca tenuta
di campagna. Guízar, che interpreta José Francisco, e Barcelata,
che incarna Martín, recitano una delle scene memorabili del film
quando, in una taverna, si sfidano con le loro chitarre a colpi di
coplas de retache, che equivalgono a un duello di parole.
Inaugurato il genere della cosiddetta commedia ranchera,
il film catturò il pubblico di tutti i paesi di lingua spagnola e
fu la prima pellicola messicana a essere proiettata negli Stati
Uniti con sottotitoli in inglese.
Nel 1948 Fernando de Fuentes filmò una nuova versione di
Allá en el Rancho Grande per esibire Jorge Negrete, l’attore
più quotato del cinema messicano di quegli anni, chiamato
a condividere il nome in cartellone con Lilia del Valle e
Eduardo Noriega. In questo caso la fotografia venne affidata
all’eccellente tecnico delle luci statunitense Jack Draper. AC
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Espoir (Sierra de Teruel – L’Espoir) André Malraux 1939
Francia/SpagnaScenegg.
La Speranza
Produzione
Fotografia Musica
Interpreti
CriticaPubblico
Durante gli ultimi anni della Guerra civile, alla mancanza di
mezzi bellici che affligge uno squadrone repubblicano si ag-
giunge la morte di uno dei suoi membri, rendendo ancora più
complicata la situazione.
«Straniero, vai e di’ agli Spartani che siamo morti per di-
fendere la loro legge». Così Simonide commemorò la battaglia
delle Termopili, dove 300 Greci erano morti nello scontro con
i Persiani per difendere la democrazia. Oggi quest’idea suscita
sgomento proprio per l’uso che ne hanno fatto certi governi
democratici. Ma all’inizio del XX secolo piaceva a quegli ide-
alisti che, come Malraux, andarono fino in Spagna per lotta-
re contro la minaccia franchista. Lì, in piena Guerra civile, lo
scrittore francese convinse l’amministrazione repubblicana a
finanziare il film. Era un tentativo disperato di porre termine
al patto internazionale di non-intervento.
Il risultato è un insolito film bellico, una sintesi tra l’im-
mediatezza del neorealismo e l’epica del cinema sovietico. Di
fatto, le immagini finali in cui i soldati scendono dalla monta-
gna per unirsi al popolo evocano l’esaltazione della solidarietà
tipica della propaganda russa. Ma tra gli elementi caratteri-
stici della finzione si infiltrava, inevitabilmente, la realtà del
conflitto bellico. Le circostanze della guerra non permisero di
girare tutte le sequenze del copione, generando tagli impre-
visti nella storia. L’ultima parte si girò a Barcellona e fu con-
tinuamente interrotta dai bombardamenti. Quando le truppe
franchiste occuparono la città, la troupe tornò in Francia con
il film non finito.
Espoir fu terminato qualche mese dopo la conclusione della
guerra. I repubblicani avevano perso il conflitto. La sierra di
Teruel aveva assunto lo stesso significato delle Termopili, ma
mentre quella sconfitta era servita ai Greci per vincere succes-
sivamente la guerra, i repubblicani non ebbero la stessa fortu-
na. L’opera che sarebbe dovuta servire per reclamare il soste-
gno internazionale si trasformò dunque nella testimonianza di
una sconfitta – come accadde alla Guernica di Pablo Picasso.
Ma per un idealista come Malraux, la rivoluzione era la strada
che dava un senso alla vita di ogni uomo libero e, per questo,
era un privilegio morire in suo nome. In modo inatteso, l’unica
esperienza cinematografica di questo scrittore riproduceva
il pensiero della sua opera letteraria La condizione umana. Il
film Espoir fu il suo modo particolare di rendere omaggio a
chi era morto durante la Guerra civile spagnola. Così le pa-
role di Simonide recuperano il loro significato: Malraux fu lo
straniero incaricato di onorare chi era caduto per difendere
la legge. JT