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Circa le sue origini, poco note, Dionigi d'Alicarnasso la voleva fondata da Eracle e, quindi, al di là d'ogni implicazione leggendaria, la riteneva d'origine

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Circa le sue origini, poco note, Dionigi d'Alicarnasso la voleva fondata da Eracle e, quindi, al di là d'ogni implicazione leggendaria, la riteneva d'origine greca, mentre Strabone – poco attendibilmente – la riteneva una città osca in seguito conquistata dagli Etruschi e dai Pelasgi e quindi dai Sanniti, prima di diventare

cittadina romana.

•Oggi non si crede più, come per Pompei, che la città abbia avuto origine greca, anche se non è da escludere un primitivo insediamento nell'ambito della difesa costiera del golfo di Napoli sotto il controllo dei greci di Cuma. Dagli scavi stratigrafici appare come una città italica che non può risalire a prima del IV secolo a.C. E' incerto se Ercolano abbia avuto un ruolo nella seconda guerra sannitica; sappiamo, invece, che partecipò alla guerra sociale, ma che fu vinta ed espugnata nell'89 a.C. da un legato di Silla, Tito Didio, divenendo municipio

sotto il potere di Roma.

•La vita della città continuò fino alla prima età imperiale senza avvenimenti di rilievo. Ercolano rimase un piccolo centro di provincia, per il clima e il paesaggio incantevole era tra i luoghi preferiti di villeggiatura dei Romani colti e benestanti.

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 Già gravemente danneggiata dal terremoto del 62, la città venne poi distrutta dall'eruzione del Vesuvio (79), che la coprì con un'ingente massa di fango, cenere ed altri materiali eruttivi trascinati dall'acqua piovana che, penetrando in ogni apertura, si solidificò in uno strato compatto e duro di 15-20 metri. L'eruzione del Vesuvio si articolò in due fasi: la prima fu della durata complessiva di 12 ore, con caduta di pomici bianche e grigie; la seconda della durata di sette ore costituita dall'alternarsi di nubi ardenti e di colate piroclastiche. E fu questa seconda fase che colpì principalmente Ercolano, seppellendola sotto una coltre di oltre 20 metri.

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« Il nono giorno prima delle calende di settembre, verso l'ora settima, mia madre gli mostra una nube inconsueta sia per forma che per grandezza. »

La data dell'eruzione del Vesuvio del 79 ci è stata trasmessa da Plinio il Giovane attraverso una lettera contenuta nel suo epistolario spedita a Tacito. Egli si trovava con la sua famiglia al seguito dello zio Plinio il

Vecchio che era al suo posto di comando della flotta romana dislocata a Miseno. Assistette così all’eruzione e descrisse con tali parole la nube molto densa che si elevava in direzione del Vesuvio:

« Non posso darvi una descrizione più precisa della sua forma se non paragonarla a quella di un albero di pino; infatti si elevava a grande altezza come un enorme tronco, dalla cui cima si

disperdevano formazioni simili a rami. Sembrava in alcuni punti più chiara ed in altri più scura, a seconda di quanto fosse impregnata di terra e cenere. »

Vedendo questa notevole apparizione, Plinio il Vecchio, grande naturalista e, ovviamente, attento all'osservazione di fenomeni insoliti, fece approntare una nave per andare a vedere più da vicino cosa

stesse avvenendo, e offrì al nipote l'opportunità di accompagnarlo. Plinio il Giovane che preferì restare a casa a studiare, nelle già citate lettere, a Tacito, descrive anche la fine dello zio.

 

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 « Ecco il Vesuvio, poc'anzi verdeggiante di vigneti ombrosi, qui un'uva pregiata faceva traboccare le tinozze; Bacco amò questi balzi più dei colli di Nisa, su questo monte i Satiri in passato sciolsero le lor danze; questa, di Sparta più gradita, era di Venere la sede, questo era il luogo rinomato per il nome di Ercole. Or tutto giace sommerso in fiamme ed in tristo lapillo: ora non vorrebbero gli dèi che fosse stato loro consentito d'esercitare qui tanto potere. » (Marziale Lib. IV. Ep. 44 )

 

« Crederanno le generazioni a venire che sotto i loro piedi sono città e popolazioni, e che le campagne degli avi s'inabissarono? » (Stazio Silvarum Liber III )

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Ercolano, come città, non scomparì: anzi fu in seguito costruita una nuova città sullo stesso sito che ospitava quella antica, anche se non rivestì più l'importanza dell'insediamento precedente.Col trascorrere del tempo, la memoria dell'esistenza della città antica si perse, e fu dimenticata per molti secoli.

Nel corso del tempo in una parte del territorio s'era installata la moderna città di Resina. La riscoperta d’Ercolano dunque avvenne in circostanze del tutto casuali, al principio del XVIII secolo, quando il duca d'Elboeuf, proprietario d'una Villa d'Elboeuf a Portici, seppe che un pozzo scavato nell'orto dei Frati Alcantarini s'era imbattuto in un antico edificio adorno di marmi: il teatro di Ercolano. L'Elboeuf continuò l'esplorazione del monumento, asportando statue, marmi di rivestimento, colonne, iscrizioni e bronzi, che vennero raccolti nella Villa Reale di Portici.

Dopo alterne vicende, i lavori vennero definitivamente sospesi nel 1790 per privilegiare quelli più semplici, a cielo aperto, di Pompei e Stabia. Ripresero per interessamento di Francesco I solo nel 1828: stavolta però si adottò la tecnica dello sterro e non più quella dei cunicoli sotterranei e dei pozzi di discesa. Un’altra fase di scavi, sempre a cielo aperto, si ebbe fra il 1869 e il 1875, grazie a Giuseppe Fiorelli e a un contributo personale di Vittorio Emanuele II.

Dal 1927, con Amedeo Maiuri e poi Alfonso De Franciscis, si è avviata una campagna sistematica che ha prodotto il progressivo disseppellimento di buona parte della città verso sud, fino al rinvenimento dell’antica spiaggia e del tempio di Venere; nel frattempo è stata resa visitabile anche parte della Villa dei papiri. Proprio a sud – in cavità destinate al rimessaggio delle imbarcazioni, i cosiddetti fornici – sono stati rinvenuti oltre 250 scheletri degli abitanti che ivi si erano rifugiati in attesa di poter prendere il largo, una volta calmatesi le acque, e che qui furono invece sorpresi dalla nube ardente.

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 Ercolano ci appare oggi solo in una parte della sua estensione, quella più vicina al mare, mentre restano ancora sepolti parte del Foro, i templi, numerose case e le necropoli, soprattutto per il fatto che vengono a trovarsi sotto il moderno abitato di Resìna, che dal 1969 ha mutato il nome della città in quello antico di Ercolano.

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Composte, com'era consueto per questo di tipo di edifici, da due parti, una riservata agli uomini e l'altra alle donne, risalgono all'età augustea, ma subirono rifacimenti in posteriore. Si accede alla sezione maschile dal Cardine III, dove un lungo corridoio immette nella palestra porticata su tre lati, che veniva usata dai frequentatori delle terme non solo per gli esercizi ginnici, ma anche come luogo d'attesa o di ritrovo. Di qui si passa nello spogliatoio (apodyterium), con volta a botte, sedili su tre lati e mensole per appendere le vesti. Una grande vasca a forma di labrum in marmo cipollino è ancora al suo posto, nell'abside della parete di fondo, mentre ben poco resta della piccola vasca rettangolare che si trovava nelle vicinanze. Dallo spogliatoio si passa direttamente nel frigidarium e nel tepidarium. Il primo, di dimensioni piuttosto ridotte, presenta una volta a cupola dipinte con animali marini raffigurati sul fondo d'un mare grigio-celestino, che, riflettendo nelle acque della vasca centrale, dava l'impressione di trovarsi, a chi vi s'immergesse, in un mare popolato di pesci.Il tepidarium, riscaldato mediante circolazione d'aria calda sotto al pavimento (Ipocausto), rialzato da colonnine di terracotta (suspensurae), conserva un'interessante pavimentazione musiva, con un tritone circondato da quattro delfini. Una porta immette nel grande calidarium, riscaldato sempre col sistema delle suspensurae, dotato di vasca per i bagni d'acqua calda e di labrum per le abluzioni con acqua fredda. Più piccole e sobrie nella decorazione, ma meglio conservate, sono le terme femminilicon ingresso dal Cardine IV: una porta immetteva nella vasta aula che fungeva da vestibolo, ma sicuramente anche da sala d'attesa. Di qui un piccolo e stretto vestibolo conduce all'apodyterium, simile nella decorazione a quello della sezione maschile e con sul pavimento un mosaico del tipo di quello del tepidarium maschile, raffigurante un tritone con una pala di timone sulla spalla, circondato da Un amorino, quattro delfini, un polpo ed una seppia. Sempre per quanto riguardala parte femminile delle terme, interessante è il pavimento musivo del tepidarium a disegni geometrici e pannelli con emblemata decorativi; ampio e spazioso è il calidarium, illuminato da un occhio aperto sulla sommità della volta. A questi si devono aggiungere altri ambienti, come quello dov'erano sistemate le caldaie per il riscaldamento d'entrambe le sezioni; annessi alla palestra erano infine alcune stanzette ed uno sferisterio per il gioco della palla.

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Così chiamata solo per la sua ampiezza, mentre era sicuramente un'elegante e ricca abitazione privata, in splendida posizione panoramica verso il mare. Le sue strutture architettoniche e la disposizione risultano molto interessanti, anche se la casa c'è pervenuta in pessimo stato di conservazione, per i danni causati durante l'eruzione dal torrente di fango e per i cunicoli scavati dai primi esploratori. Edificata in età augustea e successivamente alquanto modificata, comprende numerose stanze ai fianchi dell'atrio, un bagno privato, un grande peristilio (col giardino ad un livello inferiore a quello del portico) ed un ampio quadriportico-belvedere, sotto al quale erano stati ricavati alcuni ambienti. Da alcune trasformazioni subite dalla casa sembrerebbe che, danneggiata dal terremoto del 62 d. C., sia stata venduta a dei nuovi proprietari, che l'avrebbero convertita in abitazione mercantile con botteghe ed officine.

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Tutta la parte orientale dell'insula è invece costituita da una

grandiosa Palestra, con al centro un ampio spazio scoperto, nel quale si trovano una piscina di notevoli dimensioni ed una più

piccola. Quest'area scoperta era circondata per tre lati da un

portico con colonne ed aveva un criptoportico sul lato rimanente.

La palestra, cui s'accedeva da due ingressi monumentali, uno

sul Cardine V e l'altro sul Decumano Massimo, aveva tutta

una serie d'ambienti accessori, destinati a vari usi.

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Segue la Casa a Graticcio, interessante per la particolare tecnica costruttiva,l’opus craticium: le pareti, al piano inferiore come a quello superiore, sono realizzate con pilastri laterizi ed intelaiature lignee riempite di opus incertum. Si tratta d'un tipo di costruzione molto economico e di rapida realizzazione, che doveva essere piuttosto diffuso tra il ceto popolare, di cui però questo d'Ercolano è il più compiuto e meglio conservato esempio. Anche la disposizione degli ambienti lascia intuire che qui coabitavano più famiglie. La facciata della casa si presenta con un piccolo portico sovrastato da un loggiato. Il largo ingresso conduce, invece che nell'atrio, in un cortiletto scoperto da cui prendono luce gli ambienti dei due piani. Particolarmente interessanti sono le stanze del piano superiore, con la povera suppellettile ancora al suo posto: i telai lignei dei letti, una tavola di marmo, un armadio con le stoviglie e pochi oggetti di corredo, le statuette dei Lari, ci fanno sentire straordinariamente vicini alle persone che abitarono qui. La casa comprendeva un altro quartierino, reso indipendente da una scala e scarsamente illuminato, ad eccezione della facciata, dov'erano sistemati il letto tricliniare ed un piccolo larario domestico.

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Il primo edificio che s'incontra, già nell'area del Foro, è il cosiddetto Sacello degli Augustali, probabilmente centro del culto imperiale e al tempo stesso sede del Collegio degli Augustali, o forse Curia cittadina. Si tratta di una grande sala simile ad un atrio tetrastilo d'abitazione privata: il tetto, infatti, è sostenuto da quattro colonne e la luce piove dall'alto, tramite un lucernario. Al centro della parete di fondo è un piccolo ambiente, il sacello vero e proprio, dove si dovevano svolgere i riti in onore dell'Imperatore; le sue pareti sono decorate da fini pitture, tra cui due pannelli figurate, uno con Ercole, Giunone, e Minerva e l'altro con Nettuno ed Anfitrite.

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Adiacente è la Casa del Mosaico di Nettuno e Anfitrite, appartenuta all'ignoto mercante, ricco e raffinato, che esercitava il suo commercio nella vasta bottega aperta sulla strada e comunicante col resto dell'edificio. Arredata con estrema cura, la bottega è giunta sino a noi in ottimo stato di conservazione, con ancora le merci sul bancone e le anfore vinarie sistemate in ordine in una scansia. La sistemazione degl'ambienti della casa è semplice: dall'atrio s'accede al tablino, e quindi al triclinio estivo con una mensa tricliniare in muratura rivestita di marmo e con le pareti coperte da fini mosaici. Sul lato di fondo è un ninfeo con una nicchia centrale absidata affiancata da due nicchie rettangolari di minori dimensioni, il cui prospetto è rivestito da un mosaico a paste vitree: da quattro vasi (cantaroi) posti alla base degli stipiti delle nicchie prendono origine altrettanti cespi di vite che salgono sinuosamente fino agli architravi delle nicchie laterali; qui iniziano due scene di caccia (con cani e cervi su un fondo azzurro intenso) sovrastate da festoni di foglie e frutta e riquadrate da un'elegante cornice. Gli orli delle nicchie ed il loro fondo sono ornati da conchiglie e madreperla, mentre alcune maschere teatrali ed una vigorosa testa di sileno sono collocate sul fastigio del ninfeo e sulla parete di fondo del cortile. Sulla parete a lato del ninfeo è il quadro musivo che ha dato il nome alla casa, con Nettuno ed Anfitrite inquadrati in una fantasiosa ed elaborata composizione architettonica. Le stanze del piano superiore, il cui interno ci appare fin dalla strada, in quanto il terremoto che s'accompagnò all'eruzione abbatté le loro pareti sul prospetto, conservano parte della loro decorazione pittorica e della loro suppellettile. Una statuetta di Giove che si trovava nell'atrio ed una piccola erma bronzea di Ercole confermano il gusto raffinato del proprietario della casa.

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