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L. Iseppi C. Natali . C. Pacchiani F. Volpi
FILOSOFIA PRATICA E SCIENZA POLITICA
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A cura di Claudio Pacchiani
© Copyright 1980 by Aldo Francisci Editore Via Puccini, 27 - 35031 Abano Terme (Padova)
Tutti i diritti riservati Printed in Italy
INDICE
7 Presentazione
1 1 La rinascita della filosofia pratica in Germania di Franco Volpi
1 1 O. Considerazioni introduttive 17 1. La fase storico-filologica 1 8 1.1 La ripresa di Aristotele 3 8 1.2 La ripresa di Kant 54 2. La fase teorico-sistematica 55 2,1 L'ermeneutica 58 2.2 La fenomenologia 61 2.3 Il razionalismo critico 66 2.4 La teoria critica 72 2.5 Il costruttivismo 82 2.6 Le integrazioni di tradizione tedesca e tradizione anglosassone 89 3. Consi�erazioni conclusive
99 Aristotele e l'origine della filosofia pratica di Carlo Natali
123 Hobbes ed il problema storico delle guerre civili di Laura Iseppi
145 Normativismo e scienza della politica di Claudio Pacchiani
173 Indice dei nomi
177 Notizie sugli autori
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Presentazione
Il presente lavoro raccoglie i risultati di un seminario, tenutosi nell'anno accademico 1978-79 presso la Scuola di perfezionamento in filosofia dell'Università di Padova, che ha avuto come oggetto di discussione il rapporto tra «Filosofia pratica e scienza politica». L'interesse per tale problematica è nato dal fatto che già fin dagli inizi degli anni sessanta, particolarmente in seguito ad un ripensamento critico delle categorie della moderna scienza politica, ha preso l'avvio, prevalentemente in Germania, un sempre più ampio dibattito intorno ai problemi ed ai compiti della 'filosofia pratica'. Questa disciplina, di cui il volume costituisce la prima presentazione in Italia, ha come intento la ricerca di una fondazione razionale e di una giustificazione argomentativa delle norme dell'agire umano. Pertanto questa riproposizione va al di là del puro e semplice interesse archeologico: può essere utile, infatti, nel contemporaneo dibattito sulla crisi della ragione, riprendere consapevolezza di una tradizione del pensiero europeo che, da Aristotele fino all'Ottocento, proponeva un'articolazione delle forme di razionalità che garantisse l'autonomia del sapere pratico-politico rispetto al modello fisico-matematico di scientificità.
Il primo contributo illustra le forme ed i modi secondo i quali la filosofia pratica è stata ripresa in ambito culturale tedesco mediante un dibattito che è stato contrassegnato da una rinnovata attenzione per il pensiero politico di Aristotele e di Kant e che ha coinvolto nella sua complessa articolazione le maggiori scuole filosofiche odierne. Gli altri saggi prendono in esame tre momenti fondamentali nella storia della tradizione della filosofia pratica, rispettivamente la sua fondazione in Aristotele, la sua crisi con Hobbes e la sua latente presenza in alcune delle più significative tra le moderne teorie dello Stato.
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FILOSOFIA PRATICA E SCIENZA POLITICA
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA
di Franço Volpi
O. Considerazioni introduttive
Nel ricostruire le vicende e le fasi che caratterizzano le prospettive e gli aspetti secondo i quali un autore, un testo o una problematica vengono recepiti in epoche diverse, è consuetudine della storiografia filosofica - cosi come delle altre discipfine storico-filologiche -parlare della " fortuna » o dell'<< incidenza » dell' autore, del testo o della problematica in questione. Le vicende di tale fortuna vengono poi seguite con maggiore attenzione soprattutto là dove, dopo periodi di latenza e di dimenticanza più o meno prolungati, l'autore, il testo o la problematica in questione divengono oggetto di rinnovato interesse e acquisiscono col « rinascere » di tale interesse una incidenza più o meno rilevante. Là dove tale interesse e la conseguente incidenza assumono dimensioni considerevoli, si è soliti parlàre di << rinasc.ita », di �< riscoperta » o di « riabilitazione ».
E merito soprattutto dello storicismo e dell'ermeneutica l'avere messo in rilievo mediante una riflessione spe�ifica il significato e la portata di tale fenomeno. In particolare, è stato rilevato che le rinascite e le riscoperte di un autore, di un testo o di una problematica nel corso di quella che, traducendo un termine gadameriano, si può chiamare storia della sua incidenza (Wirkungsgeschichte) non avvengono mai in un clima di asettica neutralità, ma si sviluppano sempre sulla
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base del rapporto essenziale che si instaura tra l'interprete e il contesto storico suo proprio, da un lato, e l'autore, il testo o la problematica recepiti, dall'altro. Di conseguenza, il richiamo a questi ultimi avviene sempre in relazione alle esigenze maturate nel contesto storico in cui l'interprete si trova a operare, in rapporto al quale, pertanto, il richiamo a tradizioni andate perdute assume una funzione e un'incidenza produttiva nella ricerca del nuovo equilibrio o nella soluzione dei nuovi problemi. In questo modo, d'altro canto, si costituiscono le molteplici prospettive e le variegate sfaccettature esegetiche secondo le quali un autore, un testo o una problematica vengono interpretati nel corso della storia della loro incidenza. Per certi classici particolarmente importanti, quindi oggetto di infinite riscoperte, come ad esempio Platone o Aristotele, lo studio della storia dello loro incidenza costituisce un elemento essenziale per l'esegesi delle loro opere. Si pensi ad esempio all'importanza della fortuna di Platone e di Aristotele nel mondo latino, nel mondo medievale e nel mondo rinascimentale, documentata in una serie infinita di traduzioni, di parafrasi e di commenti, e si pensi al peso che molte di queste opere ancor oggi conservano nell'interpretazione dei testi platonici e aristotelici.
Ma il fenomeno delle « rinascite » non riguarda solo la storiografia; là dove la coscienza della rinascita non viene prodotta a posteriori dalle scienze storiche, ma si matura parallelamente allo stesso processo di rinascita, tale fenomeno interessa e coinvolge la riflessione e il dibattito teorico stessi. E questo il caso di un interessante fenomeno di rinascita attualmente riscontrabile soprattutto in Germania, dove, a partire all'incirca dagli anni sessanta, esso si è imposto con sempre maggiore evidenza, tanto che, dopo una prima fase di incubazione, esso va ora assumendo sempre più, oltre che proporzioni ragguardevoli, una �consapevolezza della propria collocazione storica e una diffusione internazionale: si tratta della cosiddetta « riabilitazione della
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 13
filosofia pratica » (Rehabilitierung der praktischen Philosophie).
. Coniata per la prima volta da Karl-Heinz Ilting1 e nr:resa nel titolo dt una grossa antologia in due volumt, curata da. Manfred Riedel, che costituisce la prima presa dt. cosctenza complessiva e la prima documentaztone dt questo fenomeno', l'espressione Rehabilitierung der praktischen Philosophie designa in generale la nnasCJta zn ambito filosofico di un interesse per i problem� d�!la morale, della società e della politica, cui finahta pm o meno espliCitamente dichiarata è la riproposzztone ftlosoftca del problema dell'agire moralmente gmsto, del p;oblem� del buon vivere in ambito privato e m. ambtto polmco, nonché del problema del buon ordmamento politico fondamentale. Viene affermata, ci.o�, l'esigenz� di una riacquisizione di competenza cnttco-normauva da parte della filosofia in relazione ai problemi dell'agire personale, sociale e politico. Dt fatto vtene quindi operato un collegamento - da qualche parte rivendicato poi di diritto - con la tradizione della filosofiayratica aristotelica, disciplina questa che. smo a t�tto ti secolo diciottesimo e in parte sino agh tmzt del dtctannovesimo era oggetto di insegnamento ufftctale presso le università tedesche. . Se ':elle sue origini la tradizione della filosofia pra
tica puo essere fatta _nsahre fmo ad Aristotele, e precisamente alla dtstmztone da quest'ultimo introdotta e codificata tra scienze teoretiche, miranti alla conoscenza del ver?, scienze poietiche, miranti alla produzione e alla reahzzaztone dt opere e scienze pratiche miranti all'azione e alla prassi ( Top. VI 6, 145 e 1 6; Metaph. Il l, 993 b 21 ; VI l, 1025 b 25), in realtà essa si costitu! e fu mantenuta viva soprattutto in terra tedesca dove sin dal medioevo lo studio della filosofia com: prendeva oltre al cosiddetto organicus, in cui venivano
1_ Cfr..K.-H. ILTING, Hobbes und die praktische Philosophie der
Neuz�lt, << Phdo.s��hisch;s Jahrbuc? "• LXXII (1964), 84-102.
Rehabzlttzerung der praktzschen Philosophie, hrsg. von M. RIEDEL, 2 Bde., Freiburg i. Br., Rombach, 1972-1974 ( = RIEDEL I-11).
14 FRANCO VOLPI
letti e interpretati i testi logici di Aristotele, anche il cosiddetto ethicus, che era dedicato prevalentemente alla lettura dell'Etica e della Politica, ma che includeva pure lo studio dell'economi.a e della crematistica3•
Mantenuto vivo nelle università tedesche - più in quelle protestanti che in quelle cattoliche' - praticamente fino alla fine del 1 700 e agli inizi del 1 800, l'insegnamento della filosofia pratica garanti una connessione sistematica e unitaria, anche se spesso non scevra da sclerotizzazioni scolastiche, tra l'etica come studio dell'agire personale, l'economia come studio dell'agire nell'ambito della " famiglia , intesa in senso lato e la politica come studio dell'agire in ambito pubblico, cioè politico-sociale. L'ultimo grande sforzo sintetico nel quadro storico di questa tradizione è rappresentato dalla Philosophia practica universalis' di Christian Wolff, detta " universale , perché stava appunto a fondamento della Philosophia moralis sive Ethica6, dell'Oeconomica' e della Philosophia civilis sive Politica'.
Nonostante il profondo influsso dì Wolff e della sua scuola - in particolare di Alexander Gottlieb Baumgarten, di cui è da ricordare qui l'opera Initia philosophiae practicae primae atroamatice' -, già in epoca razionalistica l'unità della filosofia pratica era stata intaccata dalla diffusione delle scienze camerali che, subentrate inizialmente al posto dell'economia, si estesero ben presto a tal punto, da essere considerate, già intorno al 1730, come scienze della res publica in generale". Tuttavia, poiché la cameralistica cercò di
� Cfr. H. MAIER, Die Lehre der Politik an den alteren deutschen Universitiiten, ora in ID., Politische Wissenschaft in Deutschland. Aufsiitze zur Lehrtradition und Bi/dungspraxis, Miinchen, Piper, 1969, 15-52.
4 Cfr. P, PETERSEN, Geschichte der aristotelischen Philosophilf-, im protestantischen Deutschland, Leipzig, Meiner, 1921, 166-186, 461-472.
5 Francofurti-Lipsiae, Renger, 1738-1739. Halae, Renger, 1750-1753. Halae, Renger, 17 54. Halae, Renger, 1756 .. 1759. Halae, Schwetschke, 1760. 1 ° Cfr. H. MAIER, Die iiltere deutsche Staats- und Verwaltungsleh�
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 15
integrarsi - almeno per un certo periodo e in certe sue parti - con la tradizione .della filosofia pratica, il processo di crisi da essa innescato all'interno di quest'ultima fu a scoppio relativamente ritardato.
Il colpo decisivo alla tradizione aristotelica della filosofia pratica fu inflitto piuttosto da Kant, e precisamente dalla fondazione trascendentale kantiana dell'etica: se nelle lezioni di etica del periodo precritico Kant si rifaceva ancora, via Wolff e Baumgarten, alla tradizione della filosofia pratica intitolando appunto tali lezioni Philosophia practica universalis una cum Ethica", nella Critica della ragion pratica ( 1788) e poi nell'Introduzione alla Critica del giudizio ( 1 790) egli definiva inequivocabilmente il distacco da tale tradizione, sganciando l'etica, da lui fondata su basi autonome, dal corpus delle discipline afferenti alla filosofia pratica e assegnandole la collocazione tradizionalmente ricoperta dalla cosiddetta ethica solitaria o monastica, cioè dall'etica considerata appunto non come parte della filosofia pratica. Per l'influenza di Kant e del kantismo, la filosofia pratica come oggetto di insegnamento ufficiale scomparve progressivamente dalle università tedesce a cominciare proprio da Konigsberg, anche se, almeno formalmente, essa influenzò ancora gran parte della pubblicistica filosofica fino a e addirittura dopo Hegel''..Con quest'ultimo, tuttavia, in particola-
re (Polizeiwissenschaft), Neuwied�Berlin, Luchterhand, 1966, 215-218. 1 1 Pubblicate da P. MENZER col titolo Eine Vorlesung Kants Uber Ethik (Berlin, Pan, 1924), esse sono state datate intorno al 1775-1780 (trad. it. di A. GUERRA, Lezioni di etica, Bari, Laterza, 1971). 1 2 Tra i titoli che testimoniano di questa influenza basta ricordare qui i più significativi: Ch. G. BARD ILI, Allgemeine praktische Philosophie, Stuttgart, LOssland, 1785; J. F. HERBART, Allgemeine praktische Philo� sophie, G6ttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1807; F. E . BENEKE, Grundlinien des natUrlichen Systems der praktischen Philosophie I: Grundlinien der Sittenlehre. Ein GegenstUck zu Kants Grundlegung der Metaphysik da Sitten, Berlin, Mittler, 1821; C. L . MICHELE T, Naturrecht oder Reihtsphilosophie als die praktische Philosophie enthaltend Rechts-, Sitten- und Gesellschaftslehre, 2 Bde., Berlin, Nicolai's Verlag, 1866. Per avere un'idea della larga influenza della filosofia pratica in questo periodo basta- del resto vedere la larga parte dedicata a tale disciplina nel manuale �lassico di J, ]. ERSCH - Ch. A. GEISSLER, Bibliographisches Handbuch
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re con l'assunzione a livello filosofico della separazione di società civile ( burgerliche Gesellschaft) e stato (Staat), già teorizzata da August Ludwig von Schloezer", e con la definitiva emigrazione dell'etica, separata come " moralità » dalla " legalità », nell' ambito dell'interiorità, la dissoluzione della filosofia pratica è da considerarsi ormai compiuta. Parallela a tale dissoluzione è la nascita delle singole scienze autonome, come la scienza economica, la scienza del diritto e la scienza della politica, le quali sostituirono singolarmente, senza connessione sistematica reciproca, le discipline ormai dissanguate della filosofia pratica. Un ruolo determinante fu svolto in questo senso dall'economia politica che con Smith, Ricardo e Marx raggiunse ben presto lo stato di scienza.
Lo sviluppo di queste discipline, poi, riguarda ormai la storia del nostro secolo. Il ritmo del loro progredire ha messo in luce con sempre maggiore evidenza la sconnessione sistematica nella quale esse sono andate crescendo, portando quasi ovunque a crisi metodologiche non sempre risolte. Paradigmatico è il caso della sociologia che, costituitasi come scienza apperia_q\lal: che decennio fa, e cioè con Max Weber, già si trova in una crisi di cui il Positivismusstreit" e -il successivo dibattito su Weber' ' rendono testimonianza.
E appunto su quella che in generale potrebbe essere chiamata la " crisi dei fondamenti '' delle scienze urna-
der philosophischen Literatur der Deutsçhen von der Mitte des achtzehnten ]Cthrhunderts bis auf die neueste Zeit, Leipzig, Brockhaus, 18531.
'3 Nell'opera Staatsgelehrsamkeit nach ìhren Haupttheilen und Zu� sammenhang: Allgemeines Staatsrecht und Staatsverfassungslehre, GOttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1793.
14 Cfr. Der Positivismusstreit in der deutschen Soziologie, NeuwiedBerlin, Luchterhand, 1969 (trad. i t, di A. MARIETTI SOLMI, Dialettica e positivismo in sociologia, Torino, Einaudi, 1972). Tale dibattito ebbe luogo a Tubinga nel 1961.
15 Max Weber und die Soziologie heute, Verhandlungen cles 15. Deutschen Soziologentages vom 28. bis 30. April 1964 in Heidelberg, hrsg. von O. STAMMER, Tiibingen, Mohr, 1965 (trad. it. di I. BONALJ e G. E. RUSCONI, Max W e ber-e la sociologia oggi, Milano,Jaca Book, 1972).
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRA T! CA IN GERMANIA 17
ne e sociali - certo in concomitanza e in concorrenza di altre ragioni, come le riscoperte di Aristotele, di Kant e di Hegel dopo la §econda guerra mondiale, il rinnovato dibattito (soprattutto nel neomarxismo, ma anche in relazione alla riscoperta di Hegel) sul rapporto tra teo-
- ria e prassi e, iqfine, la diffusione dell'etica analitica - che ha preso piede e si è andata progressivamente af-fermando in Germania la rinascita della filosofia pratica.
In tale rinascita possono essere distinte due fasi: (l)una fase di carattere prevalentemente storicofilologico, maturata negli anni sessanta, che è caratterizzata soprattutto da una ripresa di Aristotele e di Kant, ai cui due modelli di filosofia pratica ci si rifà nello sforzo di ricostruire tale disciplina; (2) una fase di carattere prevalentemente teorico-sistematico, nella quale le istanze sollevate in ambito storico-filologico trovano risposta nel quadro di un dibattito che coinvolge le principali scuole filosofiche della Germania d'oggi, in particolare il neomarxismo, il costruttivismo, l'ermeneutica e il razionalismo critico, nonché alcuni tra i maggiori esponenti della filosofia accademica tedesca. Questa fase, che è tuttora in pieno svolgimento, può essere fatta cominciare dall969, cioè dalla data del IX congresso tedesco di filosofia, nel quale - con le conferenze di Pau! Lorenzen Das Problem des Szientismus, di Jiirgen Habermas Bemerkungen zum Problem der Begrundung von W erturteilen e di Richard M. Hare Wissenschaft und praktische Philosophie16 - i problemi della rinata filosofia pratica hanno cominciato a essere affrontati da posizioni teorico-sistematiche.
l. La fase storico-filologica
Giunta a maturazione negli anni sessanta, questa fase è caratterizzata soprattutto da una ripresa della
16 I testi di tali conferenze sono ora pubblicati negli atti del congresso stesso: Philosophie und Wissenschaft. 9. Deutscher KongrelS fiir Philo-
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tradizione aristotelica della filosofia pratica; l'esigenza di un rinnovamento di tale tradizione viene affermata innanzitutto nel campo delle scienze storiche (0. Brunner, W. Conze) e in quello della filosofia politica (L. Strauss, E. Voegelin, W. Hennis), ma trova larga diffusione e consenso soprattutto in ambito filosofico (H. Arendt, H.-G. Gadamer, H.-J. Ritter, H. Kuhn, K.-H. Ilting), dove essa offre altresl occasione a una serie di · importanti studi specifici sull'Etica e la Politica (G. Bien, A. Miiller, O. Hoffe e altri) . Questo primo momento è esaminato al paragrafo La ripresa di Aristotele (1.1). Successivamente, in ragione di alcune obiezioni sollevate nei confronti della concezione aristotelica della filosofia pratica (M. Riedel) , la fase storicofilologica vede pure il rinnovamento di quella che nella tradizione tedesca viene considerata come l'alternativa per eccellenza ad Aristotele, e cioè la filosofia pratica kantiana (E. Vollrath); anche qui si assiste al fiorire di una serie di studi specifici su Kant, nei quali il discorso kantiano viene spesso vagliato alla luce dei risultati conseguiti dalla filosofia analitica (F. Kaulbach, G. Patzig, K.-H. Ilting, K. Cramer, N. Hoerster, A. Pieper) . Questo secondo momento è esaminato al paragrafo La ripresa di Kant (1.2).
1.1. La ripresa di Aristotele
Se - come si è osservato - l'esigenza di un rinnovamento della filosofia pratica è stata affermata ed è nata sul terreno della « crisi dei fondamenti , e dei problemi ad essa connessi che travagliano le singole discipline di volta in volta interessate, oltremodo significativo è il fatto che tale richiamo alla tradizione aristotelica sia avvenuto innanzitutto, più che in ambito filosofico generale, nel campo di alcune scienze specifiche come le scienze storiche e le scienze politiche. sophie. Diisseldorf 1969, hrsg. von L. LANDGREBE, Meisenheim a, G. , Hain, 1972, rispettivamente 19-34, 89-99 e 79-88.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 19
Nel qÙadro delle scienze storiche esso è stato operato soprattutto da Otto Brunner17 e da Werner Conzel ', le cui opere attuano in concreto un collegamento con la tradizione della filosofia pratica mediante analisi storiche specifiche, dalle quali, tuttavia, emerge con evidenza l'assetto metodologico generale e la collocazione organica che il quadro unitario della rinnovata tradizione aristotelica conferisce loro.
Nell'ambito delle scienze politiche, in particolare nella cosiddetta polttica{ philosophy, tale rinnovamento è stato iniziato da uno studiosotedesco emigrato negli Stati Uniti, Leo Strauss, le cui opere, redatte in inglese e tradotte solo successivamente in tedesco, hanno avuto diffusione prima nell'ambiente anglosassone che in quello continentale europeo. In Diritto naturale e storia" Strauss afferma a chiare lettere l'esigenza di un chiarimento metodologico all'interno delle discipline un tempo afferenti alla filosofia pratica, in particolare all'interno della scienza politica. Del resto, tale opera è mossa da un vigoroso intento critico nei confronti dello storicismo - cosa che le procurò diffusione anche in Italia, dove essa fu tradotta da un traduttore (N. Pierri) e per i tipi di un editore (Neri Pozza) entrambi vicini allo storicismo crociano - nel quale è intravista una delle ragioni fondamentali della dissoluzione e della crisi della filosofia politica. Significativa e interessante, per meglio comprendere il contesto com-
17 Cfr. in particolare gli studi Neue Wege der Sozialgeschichte, G6ttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1956, apparsi ora in seconda edizione col titolo Neue Wege der Verfassungs- und Sozialgeschichte (ivi, 1968). Di tali studi esiste pure una trad. i t. a cura di P, SCHIERA, Per una nuova storia costituzionale e sociale, Milano, Vita e pensiero, 1970. Di carattere più specifico sono invece gli altri lavori di Brunner: Adeliges Landleben und europiiischer Geist, Salzburg, O. Mi.iller, 1949 (trad. it. a cura di P. SCHIERA, Vita nobiliare e cultura europea, Bologna, Il Mulino, 1977); Lanq und Herrschaft. Grundfragen der territorialen Verfassungsgeschichte Osterreichs im Mittelalter, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 19655'
18 Staat und Gesellschaft in der fritheren Epoche Deutschlands, « Historische Zeitschrift », CLXXXVI (1958), 1-34.
19 Trad. it. di N. PIERRI, Venezia, Neri Pozza, 1957 (ed. orig. Natura! right and history, Chicago, The University of Chicago press, 1953).
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plessivo in cui viene fatto riferimento ad Aristotele e alla tradizione della filosofia politica aristotelica, è la lunga e circostanziata critica a W e ber che Strauss espone nel secondo capitolo del libro e che è intitolata " Il diritto naturale e la distinzione tra 'fatti' e 'valori' ,, . Senza prendere dettagliatamente in esame tale critica, sarà sufficiente ticordarne qui il senso generale, che è lapidariarnente, ma efficacemente, espresso dallo stesso Strauss là dove egli afferma che " W e ber, il quale ha scritto molte migliaia di pagine, ne ha dedicato a malapena una trentina alla discussione dei terni che costituiscono la base di tutta la sua dottrina »". Con questa osservazione critica Strauss denuncia quella che è una deficienza fondamentale delle moderne· scienze dell'agire sociale in generale e della scienza politica in particolare, e cioè la mancanza di una collocazione e di un fondamento organico complessivo. Questi ultimi, secondo Strauss, sono attingibili soltanto mediante un riferimento alla tradizione classico-antica della filosofia pratica. Questo riferimento, in forma di un confronto critico, è attuato dallo stesso Strauss in Diritto naturale e storia ed è sviluppato sistematicamente in altre opere come Che cos'è la filosofia politica?21 e The city and ma n". Soprattutto nella prima di queste due ultime opere citate risulta con evidenza l'opposizione che Strauss instaura tra il pensiero politico moderno e la filosofia politica classica, della quale viene in particolare apprezzata e rivalutata l'unità non ancora perduta di funzionalità pratico-politica e competenza critico-normativa. Secondo Strauss, infatti, la filosofia politica classica nel suo insieme, dunque sia in Platone che in Aristotele, è un sapere di tipo non teoretico, bensi pratico, ma mantiene ad un tempo anche l'obbligatorietà e il carattere vincolante del sapere teoretico; questa obbligatorietà e questo carattere vincolante
20 lvi, 77. 21 Trad. it. a cura di P.T. TABONI, Urbino, Argalia, 1972 (ed. orig.
What is politica! philosophy?, Glencoe, Free press, 1960). 22 Chicago, Rand McNally, 1964.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 21
consisterebbero nel saper rimuovere e superare le molteplici opinioni degli uomini, riconducendole a leggi oggettivamente vere e universalmente riconosciute come valide. Ora, secondo Strauss, la crisi del pensiero politico moderno è superabile appunto mediante una ripresa della potenzialità critico-normativa della filosofia pratica antica.
Di carattere decisamente funzionale al rinnovamento della scienza politica moderna è pure il ritorno al pensiero politico classico operato da un altro studioso tedesco emigrato in America, e cioè Eric Voegelin. Sia pure con una maggiore attenzione nei confronti
. delle differenze tra Platone e Aristotele, anche Voegelin dedica una rinnovata attenzione alla filosofia pratica di questi due classici, da lui trattati in uno studio specifico". Soprattutto in Aristotele Voegelin vede una soluzione rimasta insuperata del problema del rapporto tra l'ordine universale dei valori e le situazioni storicamente determinate in cui questi vengono concretamente realizzati, anche se la soluzione aristotelica cela dietro il suo mirabile equilibrio il rischio di essere fraintesa �el senso di una metafisica immanente, per l'autonomia che essa concede all'ambito dell'agire umano e degli eventi storici nei confronti dell'ordine universale dei valori. Essa si presta comunque molto
· bene a essere ripresa nell'ambito del rinnovamento della scienza politica moderna che Voegelin stesso intende operare e che consiste sostanzialmente in un tentativo di superare il carattere rnerarnente descrittivo che tale scienza ha assunto per l'influsso del positivisrno. Nella maggiore delle opere di Voegelin dedicata a questo compito, e cioè ne La nuova scienza politica", tale tentativo è definito, in relazione alla ripresa del pensiero politico classico di Platone e di Aristotele, come una « restaurazione »2S, anche se tale terrnirie è da intende-
n Order and history III: P lato and Aristotle, Baton Rouge, Louisia* na State University press, 1957.
24 Trad. it. di R. PAVETTO, Torino, Borla, 1968 (ed. orig. The new science of politics, Chicago, The University of Chicago press, 1952).
H lvi, 48.
22 FRANCO VOLPI
re nel senso di un recupero della « consapevolezza dei principi , e non come « un puro e semplice ritorno al contenuto specifico di soluzioni del passato »26• E proprio tale consapevolezza dei principi - esemplarmente attuata nel pensiero di Platone e .di Aristotele e n evocata da Voegelin nella sua sintesi di scienza politica e teoria della storia - che rende possibile il superamento della mera descrittività del pensiero politico moderno e contemporaneo, e cioè il superamento della distinzione e della separazione weberiana di fatti e valori: l' Introduzione metodologica premessa a La nuova scienza politica è per lunghi tratti costituita da una critica al positivismo della scienza politica contemporanea, la cui massima teorizzazione è secondo Voegelltl quella weberiana. Anche qui, come in Strauss, l'istanza di un rinnovamento della capacità normativa della scienza politica, affermata sulla base del modello della filosofia pratica classica, si scontra col principio dell'avalutatività.
Sia per le circostanze particolari nelle quali essa è stata avanzata, sia per il fatto che le opere in cui essa viene proposta sono redatte in inglese, l'esigenza di un rinnovamento della scienza politica, avanzata da Strauss e Voegelin mediante un ricorso allo spirito della filosofia pratica classica, non ha trovato subito in ambito tedesco i presupposti favorevoli alla sua diffusione. Essa è stata recepita sistematicamente solo in un secondo momento, quando cioè la riabilitazione della filosofia pratica in Germania ha preso piede in virtù di spinte autoctone. La più vigorosa delle quali nell'ambito della scienza politica è stata quella data da WJihelm Hennis con una serie di studi raccolti in Politik und praktische Philosophie. Eine Studie
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tion der politischen Wissenschaft". T 1tolo e sottotitolo
"' l1·t 4'1 " Nt..'u\\'i�d-lkrlin, Luchterhand, 1963. Tale raccolta è stata recentemente ristampata con l'aggiunta di nuovi studi col titolo Politik und praktische Philosophie. Schriften zur politischen Theorie, Stuttgart, KlettCotta, } 977.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 23
danno un'idea della direzione programmatica in cui procede il richiamo alla tradizione della filosofia pratica fatto da Hennis, il quale dichiara esplicitamente di volere trovare mediante tale richiamo le indicazioni metodologiche necessarie al superamento della crisi in cui la scienza politica, « alla ricerca del proprio ogget-
" . to >> , ogg1 versa. Secondo Hennis, infatti, mentre la filosofia pratica
aristotelica segue il metodo topico-dialettico e non quello apodittico-dimostrativo", la scienza politica e sociale moderna fondata da Hobbes - in conformità col mutamento dell'ideale di scientificità avvenuto con Descartes e testimoniato in particolare dalla formula della seconda regu/a"- espunge e rifiuta, invece, le conoscenze solamente « probabili » della dialettica ed esce cos{ di fatto, sotto l'influsso cartesiano, dalla tradizione aristotelica. Per quest'ultima, infatti, vige il criterio fissato da Aristotele (Eth. Nic. I l, l 094 b 1 1 -27) secondo il quale in ogni genere di sapere è da richiedere tanta precisione (akribeta), quanta ne permette la natura del rispettivo oggetto; ora, come è noto, mentre le scienze teoretiche come la teologia e la matematica hanno per oggetto il necessario ( tò ananka'ion), le scienze pratiche come l'etica e la politica hanno per oggetto il « per lo più , (tà hos epì tò poi';). Il minor grado di precisione che di conseguenza viene richiesto in queste ultime, pertanto, non è indice di minor rigore o di minore scientificità, ma è perfettamente conforme alla natura dell'oggetto e al tipo diverso di razionalità che essa richiede. Tale distinzione metodologica viene .appiattita e annullata nella scienza politica moderna, la quale, orientandosi a partire da Hobbes sull'ideale cartesiano di scienza esatta, non salvaguarda più la specificità della propria razionalità nei confronti delle scienze matematico-naturali e finisce per assimilarne
·n lvi, 10 (nell'ed. de1 1977, 2). 29 lvi, 41 (nell'ed, del 1977, 36). lO Ibid.
24 FRANCO VOLPI
modelli e procedure. Contro questo orientamento, comune a quasi tutto il pensiero politico moderno con al� cune rare eccezioni come Vico e Burke, in cui Hennis vede i custodi dell'antica tradizione, viene proposta una riabilitazione della filosofia pratica che ristabilisca la distinzione aristotelica tra i diversi ambiti di sapere e che sappia adeguatamente fondare la specificità del sapere pratico mediante il ripristino della " logica , ad e��o propria, e cioè il procedimento topico-dialettico.
· Il consenso che tale opera di rinnovamento ha suscitato in Germania3 1 è stato tuttavia temperato da alcune critiche avanzate nei confronti dell'entusiasmo, per certi toni quasi trionfalistico, col quale Hennis, nel sesto capitolo del suo libro, " Topica e politica , , salutava nella topica il recupero della logica propria della scienza politica. E stato infatti osservato" che questa riabilitazione del metodo tipico-dialettico come logica del sapere pratico, di un sapere, cioè, che per la natura del suo stesso oggetto non può ammettere conoscenze certe, ma solamente conoscenze probabili, misconosce il duplice senso del termine probabile e identifica erroneamente quello che Aristotele tiene ben distinto, vale a dire la probabilità in senso proprio, che è determinata dalla natura stessa dell'oggetto esaminato, e la probabilità come verisimiglianza, che è invece determinata dalla diversità delle opinioni degli uomini. Mentre la probabilitas è una determinazione oggettiva e trova posto come tale all'interno del sistema scientifico, la verisimilitudo, che ha a che fare con gli éndoxa, è una determinazione soggettiva e come tale è incompatibile
31 Tale consenso è stato espresso soprattutto da Hans Maier, non� ché da alcuni esponenti della scuola di A. Bergstraesser, come D. Oberndòrfer, Tra gli studi dedicati ad un'analisi del metodo topico-dialettico come metodo della scienza politica sono da ricordare qui]. DENNERT, Die ontologisch-aristotelische Politikwissenschaft und der Rationalismus. Eine Untersuchung des politischen Denkens Aristoteles', Descartes', Hobbes', RousSeaus und Kants, Berlin, Duncker & Humblot, 1970, e G. BIEN, Die Grundlegung der politischen Philosophie bei Aristate/es, Freiburg i. Br. -Miinchen, Alber, 1973.
32 H. KUHN, Aristate/es und die Methode der politischen Wissenschaft, in RIEDEL II, 261-290.
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con la scienza; per questo Aristotele nega alla dialettica toptca Il carattere di scienza, attribuendole invece quello di djmamis33• Ora, la filosofia pratica ha a che fare con cose che accadono " per lo più » ( tà hos epi tò poly) e, dunque, per la natura del suo stesso oggetto ammette sol� �m sapere probabile in senso proprio,' cioè mteso posmvamente come sapere di ciò che sta a metà tra il necessario (tò ananka?on) e il causale; la topica (e con essa la dtaletnca e la retorica) ha invece a che fare con le diverse opinioni degli uomini col verosimile �ioè. con un'istanza di particolarità so�gettiva inconci� habt!e col sapere scientifico. Filosofia pratica e topica hanno dt conseguenza due statuti diversi e vedere in questa il metodo di quella significa negare alla filosofia pratica Il ca�attere di scienza34, Pertanto, mentre si è apprezzato m generale l'intento programmatico far-
. m ula t� e sostenuto da Hennis, si è ad un tempo affermata l esigenza d1 una maggiore attenzione filologica, dalla quale nsulterebbe che la riattualizzazione del metodo topico;dialettico c�me metodo della scienza politl�a non puo nchtamarst a buon diritto alla tradizione anstotel�ca. Tale rivalutazion� �i collocherebbe piuttosto nel! ambito dt una tradtzwne moderna e cioè nelrambito della riabilitazione retorico-letter;ria della toptca tt;tmata da Giambattista Vico e introdotta in Germama da Ernst Robert Curtius, la quale avrebbe tro':'ato uno sbocco antologico con la ripresa della dialettica da pane di Nicolai Hartmann e, infine, addirittura con Hetdegger, dalla cui scuola proviene quel J ohannes Loh':'ann alla �m teoria linguistica heideggerianamente ISpirata si nfa Il maggwre fautore in ambito ft!os�;lco della rinascita della topica, e cioè Karl-Otto Ape! . Perfettamente consona a questa tradizione mo-33 Cfr. Metaph. IV, 2, 1004 b 25-26.
fl ;.4 Ku�n ritiene che �ell'ide?tificazione della topica col metodo della 1 os� ta pr�tica �a par�e dt Henms abbia influito l'interpretazione della fì- rsoJa prattca anstotehca offerta da John Burnet (The Ethics of Arist t! on
do.n,
1 .rvt:ethuen, 1900), il quale identifica il sillogismo etico col sil}og��
smo Ia ettico. H Cfr. J. LOHMANN, Philosophie und Sprachwissenschaft, Berlin,
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derna sarebbe pure la riscoperta del m.etodo topicodialettico operata nell'ambito della gmnsprudenza da Theodor Viehweg, il cui fortunato trattato Topzk und ]urisprudenz36 risulta essere del resto un punto d1 nferimento capitale per le citate ricerche dello stesso HenniS37• . . L'autore di queste precisazioni critiche ne1 �o':fronti del rinnovamento proposto da Henms, e cwe Helmut Kuhn, ha altrove dichiarato expresszs �erb�s 1l �enso in cui egli intende vedere corretta la na?Ihta�wne della filosofia pratica, affermando che essa e d� mter� pretare come una rivalsa del pensiero filosofico '?el confronti delle scienze sociali, ovvero come �' u�; nabilitazione della filosofia in quanto filosofia » • La rinnovata attenzione per il pensiero anstotehco nell'ambito delle scienze storiche e pohtlche ,viene c? n ciò trasferita su un terreno d1 d1scusswne pm. prol?na: mente filosofico, dove il peso maggwre del d1batt1to e stato sostenuto dalla scuola ermeneutica d1 HansGeorg Gadamer e da quella di ]<nch1m Rmer.
Prima di passare all'esame d1 quest� ult1me, tutta-. ' opportuno ricordare che m ambito filosofiCo la v1a, e . , ta riabilitazione della filosofia pratica e stata pr�para dalle acute analisi condotte da Hannah Arendt m Vzta.
2 K -0 APEL Die-Idee der Spritche in de1· Duncker & Humblot, 1975 e ·D' b' ' v,·co Bonn Bouvier, 1963 · · d H anismus von ante ts • ' . d Tradttton es um
'd d' l' nella tradizione dell'umanestmo a (trad. it. di L. TOSTI, L't ea 1! mgr;75) Dante a Vico, Bolognak_Il r:5
u3lJ;lt974s Su
,ll'inddenza di tale scritto cfr. G. 36 Miinchen, Bee , 1 . • . : n Ertra und Aufgaben, « Rechts-OTT�, Zwanzig ]ahre
3�o�;kfr���:���i Più ret�nti sul rapp�rto tra metotheone »,l (1970), 1� · d · d ll' rgomentazione giund1ca cfr. anche do della filosofia prauca e m�to 0
d e a
F kfurt a M Atheniium, 1971; UCK y pik und Junspru enz, ran · · • h G. STR ' o . d . . iischen Argumentation, Frankfurt a. M., Su rR. ALEXY, Theorte er )UrtS
R h t ·und praktische Vernunft, G6ttir;.gen, kamp, 1978; M. KRIELE, 19e_;:9. C PERELMAN, ]uristische Log1k als Vandenhoeck & Ruprec�t
b,
. È · MUnchen Alber, 1979. Argumentationslehre, Fre� urg L r · - ' ;1 HENNIS, op. nt., :� s�g.Ph 'l ophie eine Tautologie?, in RIE;g H. KUHN' Ist pra ttsc e l o�ssenschaft der Praxis und prakti-DEL 1 57-78 Dello stesso autore cfr. Wl h 'ft f" v E Freiherr •
· . . W d d Handeln. Festsc n ur · · . sche Philosophte, m er e'! un k 1963 157-190, e Der Staat. Eme von Gebsattel, Stuttgart, HtPP? r
chates,
K" t' 1967 philosophische Darstellung, Mun en, ose ,,
, . .
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 27 activa", un libro che ha lasciato un profondo segno nella cultura tedesca - e non solo in essa -, tanto da\nfluenzare con la sua critica all'unilateralità del concetto marxiano di prassi persino autori neomarxisti come Habermas". Uno dei fini principali del libro della Arendt è appunto quello di fornire mediante un richiamo alla tradizione classico-aristotelica una determinazione concettuale sufficientemente ampia del concetto di agire, in grado di superare la sopravvalutazione marxiana del lavoro e della sua forza emancipatrice, ristabilendo cosi l'equilibrio " classico , tra le attività fondamentali indicate dal termine vita activa, e cioè l'attività lavorativa, l'operare e l'agire. Il richiamo ad Aristotele ricorrente nelle analisi della Arendt è quindi funzionale al ristabilimento di un quadro concettuale sufficientemente articolato, in grado di chiarire le radi. ci della crisi della razionalità pratica nel mondo moderno. L'impulso più autorevole e più consistente alla riscoperta dell'attualità della filosofia pratica di Aristotele è stato dato in Germania dal caposcuola dell'ermeneutica filosofica, Hans-Georg Gadamer. In un capito-. lo della sua opera principale Verità e metodo", Gadamer, nel presentare Aristotele come " il fondatore
39 Trad. it. di S. FINZI, Milano, BOmpiani: 1964 (ed. orig. The hu'man condition, Chicago, The University of Chicago press, 1958). La traduzione tedesca Vita activa oder vom tiitigen Leben è del 1960 (Stuttgart, Kohlhammer), 40 Nonostante Habermas abbia espressamente criticato alcune tesi della Arendt (cfr" Kultur und Kritik, Frankfurt a , M., Suhrkamp, 1973, i.p. 365-370), l'influenza di quest'ultima sul suo pensiero è in alcuni punti evidentissima, come ad esempio nel saggio d'apertura di Technik und Wissenschaft als «Ideologie », Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1968, 9A7 (trad. it. a·cura di M. G. MERIGGI, Lavoro e interazione, Milano, Feltrinelli, 1975) oppure nel saggio Dottrina politica classica éfilosofia sociale moderna, in Prassi politica e teoria critica della società, trad. it. di A. GAJANO, Bologna, Il Mulino, 1973 (ed. orig. Theorie und Praxis. Sozialphilosophische Studien, Neuwied-Berlin, Luchterhand, 1963). Sull'influenza del pensiero politico della Arendt cfr. Hannah Arendt. Materialien zu ihrem Werk, hrsg. von A. REIF, Wien-Miinchen�Ziirich, Europa Verlag, 1979. 4' Trad. it. a cura di G. V ATTIMO, Milano, Fabbri, 1972 (ed. orig. Wah1·heit und Methode, Tiibingen, Mohr, 1960, 19721). Il capitolo -�L'attualità ermeneutica di Aristotele>> è alle pp. 363-376 (ed. orig., 295-307).
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dell'etica in quanto disciplina autonoma ri�petto �Ila scienza » 42, sottolinea << l'attualità ermeneutica d�ll etica di Aristotele , e coglie in essa " un modello de! problemi che si pongono nel compito ermeneutiCO ':43·.
Una delle principali difficoltà che l'ermeneutica mcontra sulla via della determmaz1�ne dello statuto ?el proprio sapere è il problema dell apphcazwne? c10e 1l problema della determinazion� �� quel t1po d1 sapere nel quale l'applicazione di prmc1p1 umversah al �aso particolare non soffoca la concretezza della s1tuazwne determinata, bensi la coglie nella sua determmatezza stessa. In polemica con la confusiOne del pro�no metodo specifico col metodo oggettivante delle scienze moderne operata dall'ermeneutica storicista, Gadamer sottolinea come in realtà l'ermeneutica non s1a una semplice « arte o tecnica dell'interpretaziOne " consistente nel mettere in relazione un umversale dato . a priori con la situazione particolare, ma come essa Sia piuttosto un sapere costitutivamente conness� con la particolarità della situazione. Ora, contro Il framtend1� mento storicista, Gadamer nprende quale modello d1 tale tipo di sapere il sapere delineato nella teona anstotelica della phronesis, nella quale vengono esem�;larmente risolti sia il problema dell'apphcazwne, s1a Il problema della distinzio':� di tale sapere moralepratico dal sapere sCienUfico e dal .sapere tecmcopratico. L'attualità dell'euca anstoteh�a consiste appunto nel fatto che in essa vengono te�nzzau « una r�gione e un sapere· che non sono staccau da un essere divenuto, bensi sono determinati da questo essere e sono determinanti per lui , 44, in modo tale che l� connessiOne costitutiva di universale e particolare d1v1ene la determinazione qualificante di questo t1po d� sapere. Proprio per questa ragione esso non può r�ah�zare. la precisione delle scienze esatte, le quah SI or.Ientano sull'universale e sul necessario soltanto: « Anstotele,
•2 Ivi, 363 (ed. orig., 295). 4l lvi, 376 (ed. orig., 307). •• lvi, 363 (ed. orig., 295).
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 29 contro la dottrina del bene determinata dalla teoria platonica delle idee, sottolinea il fatto che nel problema etico non può pretendersi quell'esattezza estrema che c'è invece nella matematica » 45• Per di più, oltre che dalla scienza (epistéme), il sapere morale-pratico è distinto altresi dalla tecnica e dall'arte (téchne). Secondo Gadamer il merito maggiore e, ad un tempo, l'attualità del pensiero etico di Aristotele consistono proprio in questo secondo momento, cioè nell'aver saputo distinguere chiaramente il sapere morale-pratico dal sapere tecnico-pratico, distinzione questa particolarmente delicata e difficoltosa, se non altro per la circostanza che entrambi i tipi di sapere si presentano come una forma di applicazione dell'universale al particolare. L'indice che rivela il coglimento di questa differenza da parte di Aristotele è il fatto che quest'ultimo rifiuta di servirsi del concetto di tecnica per determinare l'essenza dell'uomo, come avrebbero fatto invece Socrate e Platone, per i quali l'uomo progetta se stesso in base a un eldos di sé allo stesso modo in cui l'artigiano foggia il materiale in base all' eidos dell'opera che egli vuole realizzare. Il luogo in cui la differenza tra sapere morale-pratico e sàpere tecnico-pratico si colloca è quello dell'applicazione: mentre la tecnica consiste nell'applicazione di una forma esattamente determinata a un materiale che la assume in maniera più o meno adeguata, ma mai perfetta, nell'ambito etico l'applicazione alla situazione e al caso particolare di leggi e di principi universali non diminuisce la perfezione di questi, ma ne costituisce semmai la realizzazione e l'attuazione ve'fa e propria. Cosi, ad esempio, la situazione del giudice che applica la giustizia è diversa da quella dell'artista che applica una forma. E vero che, cosi co
me l'artista deve sacrificare la forma entro i limiti che il materiale le impone, anche il giudice deve prescindere nella situazione concreta dalla rigorosa esattezza della legge; ma, in quest'ultimo caso, ciò non accade perché
H lvi, 364 (ed. orig., 296).
'C
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non sia possibile fare di meglio, bensi perché altrimenti non si farebbe il giusto. Allontanandosi dall'universalità della legge non si riduce la giustizia, ma la si mette concretamente in atto realizzando ciò che è più giusto. Di conseguenza, in ragione del fatto che " ogni legge implica una inevitabile disparità rispetto alla concretezza dell'agire, in quanto ha un carattere universale e non può contenere in sé la realtà pratica in tutta la sua concretezza » 46, il tipo di sapere realizzato nell'ambito della filosofia pratica non ha di mira la determinazione di valori universali, oggettivi e assoluti, che possono diventare oggetto di insegnamento e di apprendimento, ma attua piuttosto " una descrizione di forme tipiche di giusto mezzo valide per l'essere e per il comportamento dell'uomo »47, in quanto " il sapere che ha per oggetto questi schemi ideali è lo stesso sapere che deve rispondere alle esigenze della situazione del momento »4s.
Come si vede, queste analisi, mosse originariamente dall'intento di determinare il metodo dell'" ermeneutica filosofica >> in contrapposizione a quello dell'« ermeneutica storicista », mettono in luce in maniera particolarmente efficace l'attualità della determinazione aristotelica delle peculiarità del sapere moralepratico. Di conseguenza, al di là e al di fuori del contesto specifico entro il quale erano state pensate, esse hanno finito per incidere in modo specifico soprattutto sulla riabilitazione della filosofia pratica.
Sempre in ambito ermeneutico, ma per una via autonoma rispetto a quella gadameriana, e cioè seguendo un'impostazione meno teoretizzante, ma più versata all'analisi storico-filologica, ha promosso con particolare vigore la ripresa della tradizione aristotelica della filosofia pratica Joachim Ritter. Allo studio di questa tradizione, nell'ampio spazio storiografico che va da Aristotele a Hegel, Ritter ha dedicato una serie di studi
46 lvi, 370 (ed. orig., 301). 47 lvi, 373 (ed, orig., 305). 48 Ibid.
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scritti tra il 1953 e ill968 e raccolti poi organicamente nel volume Metaphyszk und Politik. Studien zu Aristate/es un d H egei". Tali studi hanno segnato una traccia fondamenta!� nella ricostruzione della tradizione della filosofia J?ratJca . . In Aristotele Ritter individua la fonda�JOne SIStematica d1 tale disciplina 50, in W olff il suo ultimo momento d1 splendore, in Kant e in Hegel il �o��nto ston�o della sua dissoluzione. Con questi ultimi, mfatt1; " d pnnC!pio etico esce dal contesto di dintto, .s�Cleta e . stato; esso emigra nell'intimo della soggettivJta. La filosofia pratica v1ene ndotta in quanto etic� a postulati e a i�perativi del mero volere che solo nell mtimo � nella nflessJOne determinano l'agire. In �uanto .��ona della .':moralità" essa viene separata dalla legahta · C . . ) A CIO cornsponde il fatto che la teoria �el dJ,ntto SI eman�1pa dalla filosofia. Cosi si dissolve
l umta �ella filosofia pratica universale comprendente �orahta, dmtto, stato; il connubio filosofico di etica e fdosof1a del dmtto ha. fine »51 • Ora, secondo Ritter, il
. mo.ndo mode�n? v1ve m questa separazione di moralità e dmtto, m VJrtu della quale la soggettività si ritira dalla realtà s?ci�l� divenutale estranea e conserva in se stessa d rnnc!p!O della moralità, mentre la società minacCia d1 aumentare tale moralità come " meramente sog.gettJva ». D1 fronte alle conseguenze che tale laceraziOne ha provocato, il modello della filosofia pratica può fungere da correttivo. . . Per il rigore filologico e per la coscienza dei problemi che ad esso Si accompagna, gli studi di Ritter hanno avuto m Germama u.na funzione metodologica guida e han�� spianato la v1a a una serie di ricerche storiche speCifiche sulla tradi�ione della filosfia pratica aristotelica . . Dalla scuola d1 Rnter proviene infatti il miglior s�ud1� co�pless1vo ogg1 disponibile sulla filosofia politica d1 AriStotele, e cioè la monografia di Giinther Bien
49 Frankfurt a , M., Suhrkamp 1969 SQ 01
' . .
tre .alla raccolta sop�a ci�ata _cfr. anche il saggio Zut GrundledeJ Prakt1schen Phdosophte bet Anstoteles in RIEDEL [[ 479 500 51 lvi, 480. ' ' - ·
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Die Grundlegung der politischen Philosophie bei Aristate/es". Contro la tesi di un altro allievo di Ritter, Reinhart Maurer, secondo la quale il padre della filosofia politica sarebbe Platone", Bien intende dimostrare invece che tale disciplina trova la sua pnma vera e propria fondazione nell'ambito della filosofi� pratica aristotelica. Molto attento, pertanto, a sottolmeare le differenze tra Aristotele e Platone - per il quale viene assunta come determinante l'immagine matematicista proveniente da Tubinga (H.J. Kriùner, K. Gais�r), talché il contrasto con l'antnnatematrctsmo dr Aristotele viene messo ancor più in risalto - Bien sostiene la tesi che la filosofia politica di Aristotele rappresenta una mediazione e un superamento della posizione sofistica e di quella platonica. Aristotele, infatti, " (a) lascia valere la molteplicità fenomenica dei dati umani con le loro relatività le loro contraddittorietà e le loro oscillazioni in contr�pposizione a un normativismo antologico e trascendente assoluto, ma (b) fa valere in essa, ad un tempo, anche il normativa e il paradigmatico :' " . In questo senso Bien si preoccupa di r�v.alutare la dtalettlca dei Topici quale metodo specifico della filosofia pratica in generale e della filosofia politica in particolare· esso infatti permetterebbe dt mantenere ti gmsto e�uilibrlo tra d�scrittività e prescrittività, tra empirici� tà e normatività quali istanze entrambe rrnnunctabth ,
l' del discorso e del sapere pratico. Pertanto, contro os-servazione di Kant secondo la quale da quello che gli uomini fanno non è possibile ricavare quello che essi dovrebbero fare, Bien riabilita la concezione anstoteh-
n Freiburg i. Br. �Miinchen, Alber, 1973. Dello stes�o autore si v�� dana pure: Das Theorie-Praxis-Problem bei Pia ton und Ar:.s
toteles, ." Phtlosophisches Jahrbuch "• LXXVI _p9§,8
/69), 2tJ:4-314.; l mtroduz10ne a ARISTOTELES Nikomachische Ethik, Hamburg, Memer, 1972, XVIILIX· Dle menschlichen Meinungen uhd daS Cute; in RIEDEL l, 345-371; vas' Geschii/t der Philosophie, am M odell des juristischen Prozesses erll:iutert, in Philosophie und Wissenschaft. 9. Deutscher Kongreg fUr Philosophie cit., 55-77.
53 Platons « Staat >> und die Demokratie. Historisch-systematische ùberlegungen zur politischen Ethik, Berlin, de Gruyter, 1970:
5• BIEN, Die menschlichen Meinungen und das Cute ctt,, 370.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 33 ca obiettando che si dovrebbe invece affermare con Aristotele che " ciò che dobbiamo fare può essere ricavato non da quello che gli uomini di fatto fanno ma da quello che gli uomini - in particolare quelli qu�lificati tra dt loro - dzcono e ritengono che debba essere
fatto »55• Alla linea interpretativ� ,aperta da Ritter si rifà pure, anche se con nsultati pm modesti, t! lavoro di Are min Miiller sulla filosofia politica di Platone, Aristotele e Ctcerone56• Esso può essere qui menzionato assieme a un altro studio che si colloca anch'esso nell'ambito della tradizione erme�eutica, questa volta però di ispirazw?e fortemente heideggeriana, e cioè lo studio sulla " logrca della prassi » dt Herbert Schweizer", per il quale la .r�abrhtaztone della filosofia pratica di Aristotele srgmfrca soprattutto la ripresa di un terreno sul quale è possibile l'unità di etica e politica di società e stato, di teoria e prassi, concetti questi p;ssati tutti da S�hwerzer attraverso il filtro terminologico heideggenano.
Sarebbero altresi da ricordare in maniera più diffusa, , m. questo cont�sto, numerose altre monografie sull etica e sulla pohtrca anstoteliche, come quella di Ada Ba bette Hentschke", quella di Martin Ganter" 0 quella di Peter Koslowski", nonché una nutrita serie di 55 lvi, 371. H Autonome Theorie und Interessedenken. Studien zur Philosophie bei Platon, Aristate/es, Cicero Wiesbaden Steiner 1971 H z.ur Logik. der �mxis� Die geschi;htlichen' Jmplikationen und die herf!lene�ttsche Retchwette der praktischen Philasophie des Aristate/es, Fretburg 1. Br.-Miinchen, Alber, 1971. 58 Palitik und Philosaphie bei Platon und Aristate/es, Frankfurt' a , M., Klostermann, 1971.
• 59 .Mittel und Zie! in der praktischen Philosophie des Aristate/es, Fretburg 1. Br.-Miinchen, Alber, 1974. 60 Zum Verhdltnis von Polis und Oikas bei Aristate/es Miinchen D�nau, 1976; dello stesso autore cfr. l'articolo Haus und Geld.' Zur arista� tehschen Unterscheidung von Politik, Okonomik und Chrematistik " Philas?phisches J�hrbuch >), L?'-XXVI (1979), 60-83. Tra tutti questi ;tudi su Ansto�ele me�1ta appena dt essere menzionato, invece, il lavoro alquanto farragmoso dt F. !OMBERG, Polis und Nationalstaat. Eine verg/eichende Oberbauanalyse tm Anschluss an Aristate/es Neuwied-Berlin Luchte•-_:;, .• , .uaua, 1973. ' ' L
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articoli" , che, oltre a testimoniare la vivace npresa dell'interesse per la filosofia pratica aristotelica a partire dagli anni sessanta, hanno contribuito a far si che la rinascita di tale disciplina avvenisse su basi filologiche ben assodate. Un'analisi di tutti questi studi, tuttavia, proprio nella misura in cui essi procedono in direzione prevalentemente storiografica, appartiene piuttosto alla filologia aristotelica e solo indirettamente riguarda la rinascita della filosofia pratica qui presa in esame.
Merita invece un'esplicita menzione, per il considerevole interesse alla riabilitazione della filosofia pratica che lo sostiene, il lavoro sull'Etica nicomachea di un giovane studioso diventato nel frattempo uno dei maggiori promotori di tale riabilitazione, e cioè la monografia di Otfried Hoffe Praktische Philosophie. Das Modell des Aristate/es". L'esame dell'Etica nicomachea - opera presa in considerazione come l'esposizione più esauriente del modello aristotelico di filosofia pratica" - viene occasionata e introdotta da una riflessione sistematica sul concetto stesso di sapere pratico, nel quale - in riferimento a una classificazione consueta in ambito analitico - vengono distinti tre livelli: il sape
re morale che inerisce all'agire stesso, il sapere etico che esamina l'agire e il sapere morale in relazione alla loro struttura e ai loro principi e, infine, il sapere me-
61 Ricordo qui j· più importanti: ]. DERBOLAV, Freiheit und Naturordilung im Rahmcn der aristotelischen Ethik mit einl'lll :\us/,[ick auf Kant, " Kant-Studien "• LVII (1966), 32-60; T. EBERT, L'ruxis und Poiesis. Zu eù1er handlungstheoretischen Untascheidung des Aristoteles, « Zeitschrift fllr philosophische Forschung ,,, XXX (1976), 12-30; O. GlGON, Die Bestimmung des Menschen in der praktischen Philosophie des Aristate/es, " Allgemeine Zeitschrift fiir Philosophie "• l (1976), nr. 3, 1-251 H. RADERMACHER, Die politische Ethik des A1·istoteles, " Philosophts.ches Jahrbuch ''• LXXX (1973), 38-49; H. SEIDL, Zum Verhiiltnis von Wissenschaft und Praxis in Aristate/es' NìkOmachischer Ethik, « Zeitschrift fiir philosophische Forschung "• XIX (1965), 553-562; ID., Das sittliche Gute (als GlUckseligkeit) nach Aristoteles. Formale Bestimmung und met.aphysische Voraussetzung, " Philosophisches Jahrbuch , , LXXXII (1 975), 31-53.
62 Miinchen-Salzburg, Pustet, 1971. 63 lvi, 17-18.
LA RINASClTA DELLA FlLOSOFlA PRATlCA lN GERMANlA 35
taetico che analizza la struttura e la scientificità dei linguagg� e delle. teone etiche .. Il primo tipo di sapere dà gmdlZI. rnorah,. d secondo tipo analizza tali giudizi, il t�rz� tlpo anahz.za a sua volta tale analisi 64• Le ricerche d1 Hoffe sono. d1 questo terzo tipo, hanno cioè carattere rnetaetico, m quanto si pongono come fine un'inda�me sul .senso,. sulla .struttura e sul metodo della filosofia pratica anstotehca. La domanda sistematica h regg� e �he lega t�a loro tali ricerche è come sia possfbi� le U'_l etica. fdos'.'f1ca m quanto scienza pratica, e ciò si�mflca chJed�rsi (a) come sia possibile l'etica in quanto fdos?fla pratica e (b) come sia possibile la filosofia pratica m .quant� s�Jenz�. In altre parole, HOffe si chiede come s1a possibile un etica filosofica la quale sia, ad un tempo, SC!entJÙca e moralmente non neutrale Or _ cond H ·· ff A · 1 h
· a, se . '.' o . e, nstote. e a posto e risolto per primo
questi due mterrogatJVI nella loro connessione sistematica, dimostrando la possibilità di un'etica filosofica come scienza pratica. Questa possibilità sarebbe stata colta da Anstotele n_ella sua concezione della filosofia pr�t1ca come scienza tipologica (GrundriflWzsse:zs�haft), la quale, essendo scienza del concreto deve hrnita�e l'arnbito del proprio intervento all'indivi: duazwne d1 tipi, d1 sch�rni e di lineamenti fondamentah, lasCiando ogm ultenore determinazione alla concreZIOne specifiCa �ella situazione. In base a tale concezione, pertanto, . l etica deve determinare da un lato le strutture e gh scherni formali dell'agire morale e in quanw tale è scienza, dall'altro deve tenere conto della SJtuazwne p:rticolare, lasciando spazio all'attuazione · concret,a dell aglre morale come agire libero, e in quanto tale e disc1plma pratica non neutrale". C?n qu�sta sua inte�pretazione della filosofia pratica a�Istotehca come scienza t1pologica Hoffe intende mediare e superare le quattro tendenze interpretative fondamentali che emergono nell'analisi dell'etica an-
64 lvi, 15. H lvi, 187-193.
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stotelica: (a) l'interpretazione teoreticista (]. Walter, E. Frank), secondo la quale sapere pratico e sapere etico sarebbero di natura diversa; mentre il sapere pratico, cioè la phr6nesis, guida razionalmente l'agire senza filosofare su tale agire morale (cosi come il sapere poietico produce l'opera d'arte senza produrre una filosofia dell'arte), il sapere etico ha carattere teoretico, cioè riflette sulle azioni degli uomini; (b) l'interpretazione morale (G. Teichmiiller, R.A. Gauthier - J.Y. Joliv, W.F.R. Hardie), secondo la quale la phr6nesis è la facoltà sia del sapere morale, sia di quello etico; (c) l'interpretazione topi ca (A. Gran t, ]. Burnet, W. Hennis, G. Bien), secondo la quale la natura dell'oggetto col quale essi hanno rispettivamente a che fare distingue il sapere pratico da quello teoretico, demarcando cosi due tipi diversi di razionalità e di scienza, cui corrispondono due diversi metodi: mentre il sapere teoretico segue il metodo apodittico, il sapere pratico segue invece quello topico-dialettico; l'interpretazione statistica (F. Susemihl, H. Kuhn, J.A. Stewart, O. Gigon, H.H. Joachim), secondo la quale ammettere che la filosofia pratica segua il metodo topico-dialettico significa negare ad essa il carattere di scienza, poiché Aristotele stesso nega esplicitamente alla dialettica topica tale carattere (cfr. ad esempio Metaph. IV 2, 1004 b 25), in quanto essa ha a che fare con le opinioni degli uomini, e cioè con cose solamente verosimili; la filosofia pratica, invece, pur essendo limitata quanto alla precisione, è scienza; la minor precisione in essa ottenibile è relativa al fatto che le cose con cui essa ha a che fare sono solamente probabili; ora, a differenza della verisimilitudine, la probabilità può essere oggetto di scienza in virtù della " frequenza statistica » che in essa ricorre. In altre parole, la filosofia pratica è limitata solo in relazione alla sua universalità, ma non in relazione alla sua certezza di sapere scientifico".
Vedendo delineato nell'etica aristotelica - in alter-
66 lvi, 22-31 .
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA I N GERMANIA 37 nativa a queste quattro tendenze interpretati ve - il modello di una scienza tipologica che soddisfa in se sia l'istanza empirica che quella universale, Hoffe si apre altresi la possibilità di conciliare Aristotele e Kant, due classici, cioè, che nella tradizione tedesca vengono di solito considerati rispettivamente come il fondatore dell'etica empirico-descrittiva e dell'etica trascendentale-prescrittiva e che, di conseguenza, vengono contrapposti l'uno all'altro. Cosi, a giudicare l'etica aristotelica dal punto di vista kantiano il momento della volontà risulta in essa ridotto a )lO minimo, cioè all' accettazione o al rifiuto del fine da realizzare; d'altra parte, l'etica kantiana considerata dal punto di vista aristotelico risulta insufficientemente determinata, in quanto essa è esclusivamente interessata all'obbligatorietà e al carattere vincolante della legge morale e non si preoccupa .della concreta individuazione dei fini. Ora, Hoffe risolve questa contrapposizione in una complementarità, affermando che ai fini di una riabilitazione della filosofia pratica il modello aristotelico e quello kantiano sono da integrare l'uno con l'altro". Pertanto, la lettura che egli propone dell'Etica nicomachea tende a interpretare la filosofia pratica aristotelica in modo tale che essa risulti conciliabile con la fondazione trascendentale kantiana dell'etica, cioè in modo tale da far risultare che in essa vengano tenute presenti e risolte tanto l'istanza pratico-empirica quanto quella universale-trascendentale. Questa tendenza interpretativa emerge chiaramente dalle caratteristiche della scienza tipologica che HOffe vede relizzata nell'etica aristotelica. Tale scienza fornisce infatti il modello di razionalità proprio del sapere pratico, il quale è in grado di offrire schemi di orientamento universalemente validi e vincolanti, ma suscettibili, ad un tempo, di attuazioni diverse in corrispondenza della libertà dell'agire nelle molteplici situazioni concrete.
In tal modo, l'attualità della filosofia pratica aristo-
67 lvi, 41-42, 102, 125, 194.
38 FRANCO VOLPI
telica - vista nella prospettiva di una sua complementarità con l'etica kantiana - consiste secondo Hoffe nel fatto che essa, individuando la specificità del sapere . pratico nonché il tipo di razionalità che gli è proprio, si colloca a metà tra un eccesso di ragione, in cui il comportamento umano viene determinato unicamente a partire dall'istanza razionale, e la capitolazione della ragione, in cui la libertà dell'agire umano viene dichiarata inconoscibile".
1 . 2 . La ripresa di Kant
Nonostante la tendenza manifestatasi in Hoffe a conciliare la posizione aristotelica e quella kantiana col considerarle come complementari, la contrapposizione tra Aristotele e Kant riemerge quale elemento determinante nell'attuale dibattito tedesco intorno alla rinascita della filosofia pratica. La fondazione trascendentale kantiana dell'etica - la quale, come si è visto, segna di fatto la fme della tradizione aristotelica della filosofia · pratica - viene considerata come la prima fondazione razionale rigorosa dell'autonomia del sapere pratico ne1 confronti di quello teoretico e, ripresa nel dibattito attuale come modello di una scienza pratica normativo-prescrittiva, viene contrapposta alla concezione aristotelica, considerata invece come modello di una scienza pratica empirico-descrittiva.
Del resto, tale contrapposizione risale nelle sue origini allo stesso Kant, e precisamente alla controversia da lui sostenuta con Christian Garve, il quale gli obiettava che la ragione pratica, in quanto autonoma formale e rigorosa, non poteva essere praticament; efficiente e fondava questa sua obiezione su convinzioni aristoteliche". Kant rispondeva per esteso alle accuse
68 lvi, 1:96-197. 69 Ch. GARVE, Versuche Uber verschiedene GegenstCinde aus der
Mora!, der Literatur und dem gesellschaftlichen Leben Breslau Korn 1792-1802, i.p. I, 111-116. ' ' . '
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 39
. <( aristotelizzanti » mossegli da Gar�e nello scritto del 1793 Uber den Gemeinspruch: Das mag in der Theorie richtig sein, taugt a ber nicht fur di e Praxis70, rafforzando la propria convinzione che il momento empirico può rientrare in una fondazione dell'etica che intenda essere rigorosa. L'inconciliabilità delle due posizioni trovava un'ulteriore conferma nel fatto che di li a qualche anno Garve ripeteva le sue obiezioni a Kant più o meno negli stessi termini nell'introduzione alla sua edizione dell'Etica nicomachea11, la cui prima parte, occupata da un'ampia Darstellung der verschiedenen Maralsysteme von Aristate/es bis auf Kant (1-394 ), era in realtà dedicata per due terzi al confronto con la concezione kantiana dell'etica ( 183-3 84).
Subito dopo Hegel, con la cui filosofia del diritto la dissoluzione della filosofia pratica innescata da K.ant è da considerarsi compiuta72, la contrapposizione tra la concezione kantiana e la concezione aristotelica riappariva già in Adolf Trendelenburg, il quale, in un saggio dal titolo Der Widerstreit zwischen Aristate/es und Kant in der Ethik", respingeva il formalismo dell'etica kantiana e la determinazione meramente formale del volere, che, a suo avviso, doveva essere invece compreso sulla base di una analisi delle condizioni concrete della realizzazione della felicità alla maniera di Aristotele. Questa riabilitazione della morale aristotelica da
70 - Edito da H. MAIER in I. KANT Gesammelte Schriften VIII Berlin, �eimer (de Gruyter), 1912-1923, 273�313 (trad. it. di G. SOLARi, Sopra_ t! �etto c_olr!une: « _Questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratt�a », m I. KANT, Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, Tonno, Utet, 1956, 237-281).
, . 7 1 Ch. GARVE, Die Ethik des Aristoteles, 2 Theile Breslau Korn 1798-1801.
.• ' ' • 12 Cfr: RITTER, Zur Grundlegung der praktischen Philosophie bei
Anstoteles ctt., 480, nonché le considerazioni conclusive in BIEN Die G�undlegung d�r. politischen Philosophie bei Aristate/es cit. (Tuttavi�, c'è cht.ha ten.tat<? dt mstaurare una connessione sistematica tra Hegel e la filos�fta l?ratlca t.n base a un'analisi della teorizzazione hegeliana della nozione di « nco�osctme_nto » _(cfr. �.SIEP, Anerkennung als Prinzip der praktischen Phtlosophze, Fretburg r. Br.-Miinchen, Alber, 1979).
7 3 In: Historische Beitriige zur Philosophie III: Vermischte Abhandlurzgen, Berlin, Weber, 1867, 1 71-192.
40 FRANCO VOLPI
parte di T rendelenburg suscitava la reazione di quello che era allora il campo avverso più consistente del neo aristotelismo di T rendelenburg, e cioè l'hegelismo, rappresentato nella fattispecie dalla scuola di Kuno Fischer. Un allievo di quest'ultimo, Julius W alter, assunse le difese della posizione kantiana contro la tendenza aristotelizzante di Trendelenburg, il quale attribuiva alla ragione pratica una determinazione non solo formale, ma anche empirica. Aderendo egli stesso a posizioni kantianeggianti, W alter si affannò a mostrare in un poderoso libello 74 che in Aristotele stesso esiste una distinzione ben precisa tra la phr6nesis, cioè il sapere pragmatico-empirico, e quel tipo di scienza che riflette su tale sapere e sull'agire da esso regolato. Questa interpretazione kantianeggiante di Aristotele induceva poi W alter a rilevare nell'Etica e nella Politica una serie di contraddizioni, in quanto in esse, per l'insufficiente determinazione dell'autonomia della ragione. pratica pura, si verificava una continua intersezione di principio formale e di elementi empirico-reali. Tutto ciò non poteva significare per W alter nient'altro se non una conferma della sua convinzione di fondo, e cioè che la prima fondazione razionale rigorosa della filosofia pratica fosse quella kantiana. A buon diritto, pertanto, Gusta v T eichmiiller protestava di li a qualche anno contro lo zelo kantiano di Walter con una risposta piuttosto severa 7 5 , nella quale rimproverava a quest'ultimo di avere distorto il concetto aristotelico di phr6-nesis, per avere voluto interpretarlo attraverso il filtro esegetico della ragione pratica kantiana.
Questa polemica, che va annoverata tra le controversie classiche nella storia della filosofia tedesca e che come tale è stata oggetto di attenzione e di studio", ha
7 4 Die Lehre von der Praktischen Vernunft in der griechischen Philo� sophie, Jena, Dufft, 1874.
7 5 Neue Studien zur Geschichte der Begriffe III: Die praktische Vernunft bei Aristate/es, Gotha, Perthes, 1 879.
7 � Ad esempio nell'ambito dei già ricordati lavori sulla" filosofia pratica aristotelica di O. Hòffe e G. Bien, ·ma anche in quello di studi mano-
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 41
contribuito in maniera decisiva a rendere pressoché canonica la contrapposizione - già di per sé plausibile e facilmente evidenziabile sulla base dei testi - tra la concezione aristotelica di filosofia pratica e la fondazione trascendentale kantiana dell'etica. E significativo il fatto che essa sia stata ripresa più volte anche nel nostro secolo, in particolare nella maggiore critica contemporanea alla morale kantiana, e cioè nel noto libro di Max Scheler Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori (1913-1916)".
Per questa lunga tradizione risalente allo stesso Kant e per ragioni immanenti all'attuale dibattito sulla riabilitazione della filosofia pratica, la ripresa del modello kantiano appare dunque pressoché scontata di fronte al così consistente ricorso ad Aristotele fatto in tale dibattito. A promuovere una ripresa di Kant, dapprima mediante una critica alla concezione aristotelica di filosofia pratica e successivamente in maniera sempre più sistematica, è stato innanzi tutto Manfred Riedel, uno dei fautori più attivi della rinascita della filosofia pratica, del quale sono qui da ricordare in relazione alla critica di Aristotele e alla ripresa di Kant soprattutto i lavori raccolti in Metaphysik und Metapolitik. Studien zu Aristate/es und zur politischen Sprache der neuzeitlichen Philosophie18• Ispirandosi criticamente nel taglio complessivo di questi contributi, per un verso, all'analisi storica dei concetti introdotta dall'ermeneutica (Gadamer, Ritter) e alla tradizione degli storici di Heidelberg ( Conze, Koselleck) e, per l'altro, alla disciplina nota nel mondo anglosassone come politica/ philosophy, Riedel indaga il rapporto tra linguaggio e politica e tra politica e metafisica in Aristotele e nella filosofia politica moderna che si rifà grafici specifici come E. KRESS, Die aristotelische Lehre vom nus praktikos und die Polemik Walters und TeichmUllers, Bonn, Phil. Diss., 1921. •
77 Trad, it. parziale a cura di G. ALLINEY, Milano, Bocca, 1944 . ora l'edizione tedesca in Gesammelte Werke 2, Bern, Francke, 1966').
nuova traduzione di V. FILIPPONE THAULERO e G. CARONELè annunciata dagli editori Guida di Napoli.
7 8 Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1975.
42 FRANCO VOLPI
alla tradizione della filosofia pratica aristotelica sia in direzione di una recezione e di un assenso, sia in quella di un confronto e di una contrapposizione critica. Egli intende offrire, cioè, i prolegomeni a una criti�a della ragione politica, la .quale viene a s�a volta conflgurat� come critica del lmguaggw poht1co e come anahs1 critico-filosofica di tipo storico e concettuale dei presupposti di contenuto e di valore nell'ambito della polìtica. Per questo Riedel riprende i risultati di quelle ricerche che hanno messo in luce le ragioni dell'attuale · crisi delle scienze sociali in generale e delle scienze politiche in particolare, tentando di recuperare col riferimento alla tradizione della filosofia pratica un quadro metodologico e concettuale organico in grado di far fronte a tale crisi. Tuttavia, a differenza di tali ricerche Riedel assume un atteggiamento critico nei confro�ti della ripresa della tradizione della filosofia pratica come tale. Egli sottolinea, infatti, come lo scomparire e il dissolversi di tale tradizione in Germania sia conseguente allo scomparire e al dissolversi, in conseguenza della critica di Kant, della metafisica nella sua forma generale (antologia) e nelle sue forme applicate (psicologia, cosmologia, teologia) e come l'attuale ripresa della filosofia pratica in ambito tedesco tenga dietro a una ripresa dell'antologia, avvenuta soprattutto con Scheler, Jaspers, Hartmann, Heidegger e con le relative scuole. Ora, Riedel intende mostrare appunto. come certi concetti metafisici vengano presupposti e rientrino nella comprensione dei concetti politici fondamentali; pertanto, egli risale la tradizione della fil�sofia pratica sino ad Aristotele, per correggere e enticare, in un connubio metodologico di indagine storicoermeneutica e tradizione analitica, la tendenza ancor oggi in atto a tradurre e a trasporre certi pre�upposti metafisici nella comprensione e nella cost1tuzwne de1 termini e dei concetti fondamentali della politica. Adoperando poi la designazione " meta politica , per circoscrivere questo suo ambito di indagine, egli non intende tanto definire la possibilità di una nuova disciplina,
43 LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA
quanto piuttosto richiamare l'attet;zione �ulla nec�ssità di una chiarificazione del hnguaggw e de1 concetti f�ndamentali della politica (Kliirung fundamentaler polztzscher Be griffe) e di una giustificazione delle 1potes1 politiche fondamentali (Rechtfertigung fundamentaler politischer Annahmen). . . Pur essendo convinto che l' attuazwne d1 tale compito sia possibile solo mediante un continuo riferimento all'apparato filosofico-concettuale comato da Anstotele, Riedel ritiene imp�sstbile �ma npresa della filosofia pratica nella sua verswne anstotehca, osservando chè, semmai, è piuttosto la concez1?ne kanttana ad avere per noi valore di modello. A gmsttfKare quest� sue convinzioni egli enuclea · tre a pone fondamentali della filosofia pratica aristotelica, le. quali, a suo avviso rendono impraticabile una sua nabdttazwne. ' La prima aporia riguarda la distinzione aristotelica tra sapere teoretico e sapere pratico. Secondo Riedel, Aristotele confensce al sapere pratiCo una mmore precisione e una minore dignità rispetto al sapere teoretico· infatti, mentre quest'ultimo ha a che fare con cose ne�essarie e ha come fine la verità, il sapere pratico, occupandosi delle azioni degli uomini, le quali non sono necessarie bensi libere, non può conoscere d propno oggetto che in maniera approssimativa e ha �ome fine non tanto la verità, ma l'agire stesso. L'apona che ne segue può essere. così formulata: " Delle cose che sono mutevoli e non separate e che, pertanto, possono essere mutate mediante l'agire non c'è sapere metodiCamente certo· quelle cose, invece, che permettono un tale sapere ndn possono essere mutate per il loro stesso carattere ""· Secondo Riedel, quest'aporia avrebbe mfluito negativamente sulla tradizio'.'e della filosofia pratica impedendo una determmazwne prec1sa della struttu;a e del metodo del sapere pratico. Con Hobbes
. si avrebbe poi una sorta di capovolgimento del princi-pio aristotelico, per cui noi potremmo conoscere con
19 lvi, 95-96.
44 FRANCO VOLPI
certezza solo ciò di cui siamo artefici (ve rum et factum convertuntur). ·
La seconda aporia concerne il concetto di lavoro il qu�le, secondo Riedel, sarebbe stato determinato da Anstotele in maniera insufficiente. In particolare ciò che nmarrebbe da precisare è il rapporto tra lav�ro e a�wne, tra _ag1�e strumentale-produttivo e agire soc!ale-comumcat!vo, tra poiesi e prassi. In Aristotele il concetto di poiesi, cioè il lavoro produttivo, rimarrebbe sottodeterminato rispetto alla prassi, all'interazione sociale, la quale rimane l'unico elemento determinante nella caratterizzazione della vita politica. Ciò avrebbe come conseguenza il fatto che nella tradizione occidentale accanto alla filosofia pratica non troverebbe sviluppo una " filosofia poietica , ; questo vale almeno sino agli albori dell'epoca contemporanea, cioè sino a Hegel, d 9uale �vrebbe risolto, secondo Riedel, questa apona anstotehca 80 •
La terza aporia è relativa all'insufficiente determinazione da parte di Aristotele della legittimazione del potere poht1co. Mentre infatti per il saggio ciò che è �oralmente bello e ciò che è giusto, cioè l'etico e il pohtico, cotnctdono e non è dunque necessaria nessuna �oercizione per attuare tale coincidenza, cioè per realizzare 1l fme della vita politica, consistente nella buona convivenza, l'intervento di un potere coercitivo (bia) si rende mv��� necess::rio nel c�so dei molti (hai pollai), per 1 quah l mtegrazwne d1 etica e politica non è data di per sè. Per ,Riedel, in sostanza, la concezione politica di Anstotele e fondata sul presupposto della necessità di un potere coercitivo che funga ·da elemento. coesivo della comunità politica. L'aporia che ne deriva è la seguente: " Se b _giustificazione normativa di un potere poht1co coerc1t1vo Sl basa sul fine del "buon" vivere ,
80 Sul confr�:mto d! Hegel con la filosofia pratica aristotelica cfr. dello st�sso RIEDEL t! saggto Objektiver Geist und praktische Philosophie in Studten zu H�gel� Recht.sphilosophie, Frankfurt A. M., Suhrkamp, 1969, 11-42 (trad. Jt. dt E. TOTA, Hegelfra tradizione e rivoluzione Bari La-terza, 1975, 5-33). ' '
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 45
cioè del vivere secondo felicità e secondo virtù, per coloro che aderiscono a tale fine non c'è bisogno di alcun potere coercitivo. Se invece coloro che non perseguono tale fine devono essere costretti al buon vivere, allora l'uso della coercizione non può più essere giustificato normativamente >> 8 1 • Questa aporia, consistente in sostanza in una insufficiente capacità di legittimare le istituzioni politiche, avrebbe gravato pesantemente su tutta la tradizione della filosofia pratica e sarebbe stata superata solo grazie alla moderna teoria contrattualistica. Kant avrebbe poi risolto definitivamente questa aporia aristotelica, costruendo una legittimazione della società borghese e del potere coercitivo dello stato mediante una teoria normativa dell'obbligatorietà e della çoercitività del diritto, cioè mediante la moderna teoria dello stato costituzionale di diritto.
La maggiore riabilitazione del pensiero politico kantiano in ambito tedesco è da considerare tuttavia quella compiuta da Ernst Vollrath con la sua trattazione Die Rekonstruktion der politischen Urteilskraft", anche se essa non è nata direttamente nel contesto della rinascita della filosofia pratica, ma è stata occasionata piuttosto da un'intensa frequentazione del pensiero di Hannah Arendt e dalla familiarità con la tradizione liberale anglosassone. La tesi di fondo sostenuta da Vollrath è che l'ambito dell'agire umano - distinto in quanto prassi dalla poiesi e dalla teoria - non è stato sufficientemente indagato e compreso nella storia del pensiero occidentale, in quanto tale ambito è stato s�mpre interpretato, a cominciare da Aristotele, sulla base delle strutture categoriali, temporali e modali del sapere teoretico, prescindendo dal suo carattere speci-
81 RIEDEL, Metaphysik und Metapolitik ci t., 102-103. Per una discussione critica delle tre aporie sollevate da Riedel cfr. E. BER TI, Storicità e_ attualità della concezione aristotelica dello Stato, " Verifiche ''• VII (1978), 305-358. 82 Stuttgart, Klett, 1977. Le tesi qui sviluppate erano già state ab
parzialmente dall'autore in Zum Begnff des Politischen bei Lenin, Henn, 1970.
46 FRANCO VOLPI LA RINASCITA bELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 47
fico. Ora, secondo Vollrath, il sapere teoretico non è atte: a �on:prende�e la_ p_eculiarità dell'agire, cioè dell ambito m CUI si costitUisce la dimensione autenticamente politica, perchè tale sapere ri( con)duce la libertà e le variegate possibilità dell'agire interpersonale a « .cause » e a « principi » , vale a dire ri( con)duce l'agire all'essere. La trasposizione della categorialità teoretlca nell'ambito dell'agire e la determinazione di tale categorialità come l'unica scientificamente contrassegnano s�condo Vollrath il pensiero politico o�cideT,Itale da Anstotele a Hobbes sino ai nostri giorn_L T �h t�nde�lZe s��ebbero presenti anche nei tre prin�Ipah mdi�IZZI og�� en:e.rgenti dalla discussione sul pohuco, e cwè nell mdmzzo ontologico-normativo in quello analitico-empirico e in quello critico-dialettico.
Contro questa tradizione Vollrath intende uncnrecil un'analisi del politico e del sapere ad esso relativo partire dalla categorialità e dalle strutture ·
specifiche di tale ambito. Egli sottolinea, pertanto, che d sapere poht1Co sogpace a un principio diverso rispetto a quello del sapere teoretico e obbedisce a una masSima che non è « oggettiva » , ma che è tuttavia vincol�nte � universale: Tale principio che è costitutivo per l ambito del politico e per il sapere ad esso relativo è chiamato da Vollrath « giudizio politico » (P<olil�isc:he· Urtedskraft). Per una determinazione più articolata piÙ p�ecisa di tale tipo di sapere viene fatto ricorso alcum momenti della tradizione del pensiero occiclenltale, da un'analisi dei quali sarebbe possibile ncav<ue. almeno alcune precisazioni in merito a una confiigurazione di esso. Se è vero, infatti, che il pensiero oocidentale dimostra un'occlusione di fondo nei confronti la specificità dell'interazione politica, per il fatto essa viene mterpretata a partire da quella che da stotele in poi, è riconosciuta come l'unica for,;,a di pere scientifico, e cioè il sapere teoretico-oggettivo, pur vero altresi che m tale tradizione di pensiero stono alcuni indizi cui una ricostruzione del gnwr:zw politico può e deve fare riferimento.
Un primo importante indizio cui riferirsi è reperibile in Aristotele, e precisamente nel fatto che in lui l'ambito pratico-politico è caratterizzato da un proprio tipo di sapere, la phr6nesis, la quale si distingue dalla teoria per il suo metodo topico-retorico-dialettico e ha nei confronti di essa una propria dignità e una propria verità (praktikè alétheta). La costruzione del giudizio politico rimane tuttavia in Aristotele precaria e particolare: sia (a) per il quadro categoriale, temporale, causale e modale in prevalenza pur sempre teoreticooggettivo in cui essa viene attuata; sia (b) per la subordinazione dell'agire a una struttura teleologica determinata dalla preminenza della teoria; sia (c) per una insufficientè distinzione della prassi dalla poiesi, dell'agire interpersonale dall'agire strumentale-produttivo, talché le regole della phr6nesis sono in realtà regole solamente tecnico-pratiche; sia infine (d) per il fatto che l'<fmbito del politico non è costituito sulla base del suo sapere stesso, la phr6nesis, ma viene piuttosto demarcato dall'esterno, in virtù di un sapere teoretico, da un nomoteta83•
Nonostante questo, la teoria aristotelica della . · phr6nesis rimane secondo Vollrath l'unico tentativo sis���:���
i�
i.�- prima di Kant - di determinare la specificità
q · etico-pratico e politico-pratico. Altri indizi
presenza del giudizio politico possono essere inritrovati nel diritto romano, in pensatori come
�iccolò Machiavelli, Miche! de Montaigne, Giambat-Vico, Harrington, Edmund Burke, Alexis
Tncm1Pvi11P o nelle polemiche sul gusto del Seicento Settecento (Balthasar Gracian, Dominique BouNicolas Boileau, Jean-Baptiste Dubos, Anthony Cooper of Shaftesbury); mai, però, tali indizi
sviluppati in maniera sistematica. La storia peJnsì<ero occidentale · è attraversata piuttosto da
che Vollrath chiama « la distruzione del giudi-
VOLLRATH, Die Rekonstruktion der politischen, Urteilskmft
48
zio politico , , e cioè la ri( con)duzione di ogni sa�>enll pratico-politico alle forme e alle categorie del sar>enil teoretico come alle uniche forme di sapere scientifilcail mente valide. Tale distruzione del giudizio politico rebbe rigorizzata in epoca moderna da Hobbes e giungerebbe il suo culmine con Hegel e con Marx, quali si affermerebbe una concezione del politico, per cui l'ambito dell'interazione punnc@§ verrebbe colto e determinato a partire dell'uomo e non dal suo agire stesso.
Su questo corpo di considerazioni Vollrath int1es1:<11i!J la sua riabilitazione di Kant, nel cui pensiero egli già tracciata e sviluppata una « ricostruzione del gn1di.� zio politico , . L'opera in cui tale ricostruzione verre:bl be attuata è la Critica del giudizio. Secondo infatti, la determinazione del giudizio estetico giudizio riflettente in contrapposizione al giudizio retico come giudizio determinante si adatta perfettall mente a cogliere anche il giudizio politico nella sua cificità. In altre parole, la struttura del giudizio descritta da Kant sarebbe anche la struttura del zio politico. Se si definisce infatti il giudizio coltà di pensare il particolare come contenuto nPII',,nl'!li versale, nel caso del giudizio teoretico-oggettivo è l'universale (la regola, il principio, la legge) sotto assumere il particolare e si ha dunque un giudizio terminante, nel caso del giudizio estetico (e delgiu politico) è dato il particolare di cui si deve l'universale e allora il giudizio è riflettente"'. Il gHJUtZI\!1 politico che Vollrath intende ricostruire sulla una riabilitazione di Kant è giudizio riflettente e quanto tale non è oggettivo, non è determinato a re dalle categorie della teoria, ma possiede tntto�io proprio carattere vincolante e obbligatorio.
84 Cfr. L KANT, Kritik der Urteilskraft, edita da W. BAND in L KANT, Gesammelte Schriften V, Berlin, Reimer (de 1908, 179 (trad. it. diA. GARGIULO, riv. da V. VERRA, Critica dizio, Bari, Laterza, 1960, 19).
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 49
Ciò permette di comprendere l'agire a partire dalle proprie caratteristiche stesse, e cioè dalle sue quattro t;leterminazioni fondamentali che sono - parallelamente ai quattro principi kantiani secondo i quali i mutamenti degli oggetti vengono sottoposti a una legge e ricondotti cosi all'unità dell'intelletto - la fatalità (in rebus gestis atque gerendis datur fa tu m), l'accidentalità o contingenza (in rebus gestis atque gerendis datur casus), la situatività (in rebus gestis atque gerendis datur hiatus) e la particolarità (in rebus gestis atque gerendis datur saltus). In base a queste quattro determinazioni fondamentali l'ambito politico si costituirebbe come ambito dell'agire umano libero, comune e pubblico". ,' L'importanza dell'analisi del politico a partire dalle categorie ad esso peculiari risulta in tutta la sua evidenza se si considera, ad esempio, il diverso rapporto che intercorre tra universale e particolare rispettivamente nell'ambito teoretico-scientifico e nell'ambito politicopratico: l'universale teoretico-scientifico, per essere tale, deve superare il proprio particolare, cioè le doxai . , m quanto queste sono come tali la negazione dell'uni-versalità , dell'oggettività e della scienza; l'universale politico, invece, si costituisce nei confronti del proprio particolare, cioè nei confronti delle diverse opinioni di coloro che partecipano alla comunità politica, come l'ambito in cui tutte le opinioni particolari vengono rispettate, cioè come l'ambito della libera convivenza . L'opinione politica si pone dunque nei confronti dell'ambito della convivenza degli uomini, cioè nei confronti dell'universale politico, in un rapporto diverso rispetto a quello che intercorre tra la doxa e la scienza, in cui l'una è contrapposta all'altra. Se l'intelletto (Verstand) e la ragione ( Vernunft) sono facoltà del sa!'ere teoretico-oggettivo, esse non possono avere allora m �mbito politico che un'applicazione sussidiaria. Spec�f!ca e propria del politico è invece la facoltà del giudiZIO ( Urtezlskraft), la quale è in grado di costituire e di
85 • VOLLRATH, op. cit. , 64 sgg.
50 FRANCO VOLPI
comprendere l'ambito dell'agire umano come ambito : della convivenza libera, comune e pubblica. Ora, l'as
sociazione di uomini che agiscono liberamente, comunemente e pubblicamente è stata storicamente costituita come repubblica. Vollrath giunge in tal modo, a conclusione della sua ricostruzione del giudizio politico sulla base del pensiero kantiano, a una giustificazione del repubblicanesimo, da lui inteso tuttavia non tanto come la determinazione astratta dello stato di diritto, ma piuttosto come il fenomeno politico concreto dell'associazione e della convivenza di uomini che agiscono liberamente, comunemente e pubblicamente, in cui l'unione stessa degli uomini e delle loro azioni diventa costitutiva per la fondazione e la conservazione dell'ordine repubblicano. Preziosi elementi per una distinzione di questo concetto politico ,di repubblica dal concetto filosofico di repubblica possono essere ricavati secondo Vollrath dalla concezione romana di diritto"'.
La riabilitazione del pensiero kantiano, in partico-lare della teoria del giudizio riflettente, permette cosi a Vollrath, il quale si serve inoltre abilmente di molti altri elementi ricavati da Aristotele, dal diritto romano e da altri pensatori soprattutto del Seicento e del Settecento, di offrire una fondazione sistematica, autonoma e rigorosa del politico come ambito dell'agtre comune, pubblico e libero, nonché del sapere ad esso relativo. Il suo ambizioso programma di una ricostruzione del giudizio politico si presenta cosi come linea indicativa· per una soluzione dei problemi derivanti dalla dispotica ipertrofia del sapere teoretico nei confronti del sapere pratico e riguardanti non solo le scienze pratiche e, in particolare, le scienze politiche come tali, ma la moderna organizzazione della società e della convtvenza st�ssa degli uomini. Nell'individuare in distorsioni e in strozzature concettuali codificate e consolidate nel corso della tradizione occidentale l'origine di mali contem-
86 lvi, 75.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 51
poranei, Vollrath dimostra di perseguire rigorosamente il proprio intento di continuare l'opera di Hannah Arendt, cui egli dedica, del resto, la sua ricerca.
Oltre a tale riabilitazione proposta da Vollrath si è avut� �lt�esl in Germania una ripresa, meno integrale, ma pm dtffusa e generale, dell'interesse per la filosofia pratica kantiana in relazione alla diffusione dell'etica analitica. Pensiero kantiano ed etica analitica sono stati c'?si oggetto di conf!onto, di connubio e di contrapposiziOne. Un nome 1m portante in questo contesto è quello di Gunther Patzig, il quale è stato tra i primi in ambito ted�s�o a rece�ire l'etica analitica e a integrarla con la uadlZlone classtca. In numerosi saggi, i più importanti de1 quali sono stati raccolti nel volumetto Ethik ohne Metaphysik", egli ha messo in evidenza le lacune delle fondazioni classiche dell'etica (Platone Aristotele, Epicuro) e ha proposto come alternativ� una sintesi di pensiero etico kantiano e di utilitarismo88 affine a quella proposta in ambito anglossasone da W. K . Frankena. Alla luce di essa egli ha sciolto inoltre alcuni nodi logici relativi alla formulazione di giudizi pratici nell'etica kantiana"'·
Orientati meno a un connubio, quanto piuttosto a un confronto critico tra la tradizione tedesca e quella anglosassone, m particolare attraverso un vaglio della fondazwne trascendentale kantiana dell'etica mediante gli strumenti concettuali messi a disposizione dalla filosofia analitica, sono invece altri studi, collocabili comunque in questo contesto, di cui ricordo solo i principali: Der naturalistische Fehlschlufl bei Kant di KarlHeinz Ilting", in cui l'obiezione di una naturalistic fallacy, da G.E. Moore indirizzata alla volta dell'utilitarismo, viene applicata a Kant, il quale, secondo Il-
87 G6ttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1971. 88 Nel saggio Di e BegrUndbarkeit moralischer Forderungen i vi conte'nuto, 32-61. 89 Cfr. Die logischen Formen praktischer Séitze in Kants Ethik (iui 101-126).
,
90 In RIEDEL I, 113-130.
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ting, ha sostituito la giustificazione delb validità normativa della ragione con la d!Chwrazmne del fatto dell'imperativo categorico; Hypothetische Imperative di Konrad Cramer91 , dove la teana kantwna degh Imperativi ipotetici viene analizzata in relazion� alla teoria dell'azione che in essa è presupposta; mfme Kants kategorischer Imperativ als Test unserer. sittlicher�; Pflichten di Norbert Hoerster", m cm s1 sostiene la tes1 che l'elevazione di una massima a legge umversale uene conto soltanto dell'incontraddittorietà della massima e non della qualità di essa. ·
Un'idea più precisa e articolata dell'integrazione e del confronto tra la filosofia pratica kantlana e l'etica analitica è fornita nell'ambito di una riabilitazione dell'etica trascendentale da Annemarie Pieper in Etica analitica e libertà pratica. Il problema dell'etica come scienza autonoma93, in cui viene ripercorso in via sistematica lo sviluppo dell'etica da Kant all'indirizzo analitico dei nostri giorni. Attraverso un'analisi del ruolo delle scienze particolari nella comprensione dell'agire umano oggetto dell'etica, in p�rticolare attraverso un'analisi della psicoanalisi freudwna, della socmlog1a weberiana della filosofia della storia e della teologw (Th. Steinbuchel), la Pieper mostra come ognuna di queste discipline non costituisca che un'analisi parziale e, dunque, insufficiente dell'agire umano in quanm agire morale e come una comprensione complessiva d1 quest'ultimo sia possibile solo nell'a'!'bito del}'etica; Pur essendo integrata nel corpo della filosofia, l et1ca e concepita dalla Pieper come disciplina autonoma dotata di categorie proprie, le quali, a differenza delle categorie del sapere teoretico che vertono sull'essere, ven-
9 1 lvi, 159-212. " In RIEDEL II, 455-475. 93 Trad. it. di L. PUSCI a cura di D. ANTISERI, Roma, Armando,
1976 (ed. orig. Sprachanalytische Ethik und praktische Freiheit. Das �roblem der Ethik als autonome Wissenschaft, Stuttgart-Berlin-Kòln-Mamz, Kohlhammer, 1973). Cfr. inoltre A. PIEPER, Analytische Ethik. Ein Uberblik Uber die seit 1900 in England und Amerika erschienene EthikLiteratur, « PhilosophisChes Jahrbuch », LXXVIII (1971), 144-176,
LA RINASCJT A DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 53 go no invece applicate all'analisi del dover essere. I livelli di riflessione cui le categorie pratiche vengono riferite sono - secondo la distinzione analitica consueta -quello morale, quello etico e quello metaetico. Esistono poi diverse concezioni delle categorie eticopratiche: la Pieper distingue una concezione ermeneutico-induttiva (diffusa soprattutto in ambito anglosassone) , una concezione analogico-dialogica (rappresentata in modi assai diversi da Platone, da Aristotele, dall'etica dialogica di F. Ebner, F. Rosenzweig, M. Buber, E, Griesebach e G. Marcel), una concezione trascendentale (Kant, Fichte) e una concezione meta etica. Il confronto avviene soprattutto con queste due ultime concezioni. Infatti, prese in esame le principali tendenze dell'etica analitica (Wittgenstein, Moore, Ayer, Hare, Ross, Noweii-Smith, Brandt, Stevenson, von Wright, Wellmann), la Pieper mette in rilievo le fondamentali aporie metodologiche che emergono da tale impostazione, denunciando soprattutto l'insufficiente configurazione analitica dell'ambito dell'etica, la quale, come è noto, viene per lo più limitata all'analisi delle proposizioni morali, senza che venga spiegata la costituzione della moralità stessa. A risolvere queste aporie di fondo dell'etica analitica, secondo la Pieper, si presta molto bene una riabilitazione della teoria tra�cendentale kantiana dell'etica. Kant, infatti, sarebbe stato il primo pensatore che ha offerto una fondazione razionale rigorosa del carattere morale dell'agire umano e una fondazione altrettanto rigorosa e razionale della possibilità di conoscere tale agire in relazione alla sua moralità mediante categorie pratiche. Kant avrebbe in sostanza fondato la possibilità del giudizio morale. L'operazione trascendentale kantiana sarebbe stata poi portata a termine da Fichte, col quale si avrebbe la legittimazione e la giustificazione di principio della co-. stituzione trascendendentale kantiana. La Pieper non dimentiCa tuttavia di rilevare che la riabilitazione della fondazione trascendentale dell'etica, se garantisce da
"" <d<.u la possibilità di concepire quest'ultima come
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scienza autonoma e vincolante, le impone dall'altro un limite, e cioè l'impossibilità di assumere sotto una deteminazione necessaria le condizioni empiriche della libertà e, quindi, la libertà pratica nella sua realizzazione. Lo studio delle condizioni empiriche entro le quali la libertà pratica viene realizzata spetta invece a quelle scienze particolari dell'agire umano che si erano dimostrate incapaci di cogliere di per sé la moralità dell'agire come fenomeno complessivo.
A conclusione di questo esame della ripresa di Kant nell'ambito più generale della riabilitazione della filosofia pratica è da ricordare, inoltre, che, come già nel caso della ripresa di Aristotele, la ripresa di un interesse sistematico per la filosofia pratica kantiana ha dato luogo in Germania a una serie di studi specifici su di essa, di cui ricordo qui solo il più recente e il più importante, e cioè la monografia di Friedrich Kaulbach sul concetto di agire in Kant94• Infine, è da rilevare che alla filosofia pratica kantiana si rifanno, a partire da posizioni teorico-sistematiche originali, alcune scuole e alcuni pensatori di rilievo nella Germania d'oggi, come ad esempio Karl-Otto Ape! con la sua ermeneutica trascendentale" oppure Oswald Schwemmer nella sua prima esposizione del programma costrutti vista". Queste posizioni appartengono già alla fase teoricosistematica e sono pertanto prese dettagliatamente in esame nel capitolo seguente.
2 . La fase teorico-sistematica
La ripresa di Aristotele e di Kant nel contesto della riabilitazione della filosofia pratica ha dato luogo in
94 Das Prinzip Handlung in der Philosophie Kants, Berlin-New York, de Gruyter, 1978.
9 � Tmnsfonnation der Philosophie, 2 Bde., Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1973 (trad. it. parziale di G. CARCHIA a cura di G. V ATTIMO, Comunità e comunicazione, Torino, Rosenberg & Sellier, 1977),
96 Philosophie der Pmxis. Versuch zur Grundlegung einer Lehre vom moralischen Argumentieren in Verbindung mit einer Interpretation
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 55 ambito filosofico a un interesse sempre più vasto e più articolato per I problemi della morale, della società e dello stato, intersecato da un vivace dibattito intorno alla legittimità o all'arbitrarietà delle pretese criticonormative avanzate dalla filosofia in merito a tali questwm pratiche. Questo rinnovato interesse e il relativo dib�ttito. metodolo!?ico sono stati sostenuti soprattutto nell ambito delle prtnCipah scuole filosofiche della Germania d'oggi. Una posizione di rilievo spetta qui all'er
. meneutlca (2 . 1 ) , accanto alla quale può essere ricordata anche la fenomenologia, sia quella di ispirazione husserhana che quella di ispirazione heideggeriana (2.2) . Il momento centrale della fase teoricosistematica è rappresentato però dalla controversia tra il razionalismo critico (2.3) e la teoria critica di Habermas (2.4), nella quale viene ripresa, nel contesto della discussione in merito ai problefl?i della filosofia pratica, la polemica sulla metodologw delle scienze sociali degli anni sessanta, nota come Positivismusstreit. In alternativa a queste due posizioni si pone poi il costruttivismo (2.5) , il quale propone una fondazione rigorosamente razwnale della fllosofia pratica in cui vengono raccolte e soddisfatte sia l'istanza scientista dei razionalisti critici, sia quella storico-dialettica di Habermas e della sua scuola. Emergono infine dal dibattito teorico-sistematic'? alCI�ne posizioni come quella di Karl-Otto Ape!, d1 Otfned Hoffe o di Manfred Riedel nelle quali viene tentata, sia pure in modi assai divers/ una integrazione di tradizione tedesca e tradizione an� glosassone (2.6) .
2.1 . L'ermeneutica
Il ruolo determinante che il caposcuola dell'ermene�tlca, Hans-Georg Gadamer, ha avuto nella riabilidella filosofia pratica aristotelica è già stato ri-'der praktischen Philosophie Kants, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1971. Cfr. c c.ovcco al § 2.5. .
�··
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cordato. Le considerazioni svolte in quel contesto sono . state riprese da Gadamer in prospettiva si�tematica i': numerosi altri saggi miranti o alla preCisaziOne der compiti, della struttura e delle funzioni dell'ermeneutica come filosofia pratica", oppure alla chranfrcazrone di alcuni concetti fondamentali della filosofia pratica stessa911•
Da un allievo di Gadamer, Riidìger Bubner, proviene poi uno degli interventi sistematici più rilevanti nel dibattito intorno alla filosofia pratica, e cwè rl volume Sprache, Handlung, Vern�nft. Gru':dbegriffe praktischer Philosophie". Tale ncerca, artrcolata m una pars destruens e in una pars construens, sr prefrgge alcuni chiarimenti fondamentali in merito alla terminologia e all'apparato concettuale della filosofia prati� ca e della discussione ad essa limitrofa. Infatti, alcum concetti centrali in tale dibattito sono rimasti insoddìsfacentemente chiariti e precisati, nonostante la loro fondamentalità. Esempio macroscopico è quello del concetto di azione, il quale non ha ancora trovato una chiarificazione filosofica sufficientemente adeguata nonostante la sua centralità nel dibattito sociologico da W e ber a Luhmann, nella teoria analitica dell'azione e nella riabilitazione della filosofia pratica stessa. Cosi, in sociologia il concetto di azione viene colto sempre mediante il rinvio al concetto di senso, ognora concepito secondo inflessìoni diverse, delle quali Bubn�r mette in luce, nella pars destruens del suo l�voro, le nspettive insufficienze: in W e ber emergono 1 presupposti della metodologia delle screnze dello spmto dr provenienza rickertiana; in Parsons la teoria funzionalista
n Cfr. ()ber die MOglichkeit einer philosophischen E_thik_ (1963 ), in Kleine Schriften I, Tiibingen, Mo�r, 196?, 179-191, �trad. tt. �� �- MARGIOTTA, Ermeneutica e metodtca umve_rsale, '!orma, M�nettl, 1 973, 145-164); Hermeneutik als praktische Phtlosophte (1 972), m RIEDEL l, 325·344. h J /' h v "t 9s Cfr. Was ist-Praxis? Die Bedingungen gesellsc a1t tc er ernunJ' • in Vernunft im Zeitalter der _Wissens_ch�ft, Fr_
ankfurt _a. M., Su�r�amp,
1976, 54-57; Theorie, Techmk, Praxts, m Kleme Schriften IV, Tubmgen, Moh,, 1 978, 173·195.
"" Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1976.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 57 poggia su un presupposto soggettivistico-volontaristico; Luhmann riprende il modello di Parsons con la semplice introduzione di alcune varianti e integrazioni; in Schiitz, pm, è espressamente dichiarata l'assunzione del metodo fenomenologico; dal canto suo, nella sua critica a Luhmann, Habennas riprendè; per distinguere l'agire comunicativo dall'agire strumentale, il concetto di senso dell'ermeneutica; Touraine, infine, fa proprio il programma weberiano, ma ricade nell'ìndifferenziazione marxiana di prassi e poiesi. Analoghe deficienze nella determinazione del concetto di azione sì trovano pure nella filosofia analitica, nelle cui delucidazioni vengono impiegati i tre tipi fondamentali della spiegazione teleologica ( col ricorso alle categorie mezzo-fine), della spiegazione causale (col ricorso alle categorie causa-effetto) e della spiegazione intenzionale (col ricorso alle categorie fondamento-termine). Vizio comune di queste analisi del concetto di azione è di tematizzare tale concetto in prospettiva esclusivamente linguistica, tanto che ciò che rientra in esse quale oggetto d'indagine non è l'agire stesso, ma il discorso sull'agire. . . . Quale correttivo a tali insufficienze metodologiche Bubner propone nella pars construens delle sue ricerche un richiamo alla distinzione aristotelica di logos e prassi, nonché di prassi e poiesi, di agire comunicativo
e agire produttivo. Alla luce di tale richiamo egli chiarifica altresl alcuni momenti nodali della tradizione della filosofia pratica, come Kant e Marx. A proposito di .quest'ultimo, con un esplicito riferimento polemico ner confronti del consenso con cui Riedel saluta il concetto marxiano di lavoro come un progresso Bubner riprende l'obiezione di una insufficiente distin;ione tra la prassi come interazione sociale comunicativa e il lavoro come agire strumentale produttivo. Da ultimo, Bubner propone una teoria sistematica dell'azione su basi ermeneutiche, in cui egli indica acutamente i limiti e le possibilità della ragione pratica, senza restringere quest'ultima alla mera etica. Il punto cruciale in cui tali
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limiti e tali possibilità possono essere chiaramente individuati è il vincolo tra azione e ragione che emerge nell'intersezione di agire e linguaggio colta da Bubner nel ruolo delle « massime » . Individuando in queste ultime il punto di incrocio tra linguaggio, azione e ragione - di qui il titolo del volume -, Bubner mtende superare le difficoltà cui le teorie comunicative (Habermas, scuola costruttivista) 100 vanno incontro nella determinazione del rapporto tra razionalità e prassi .concret�, senza per questo dover fare ricorst; a s?luzwm decisioniste'" . Bubner riconosce tuttavia 1 hm1t1 della ragione pratica, i quali consisterebbero nella sua f?rmalità: la ragione pratica deve sempre presupporre 1 contenuti della prassi concreta per poterli ordinare e organizzare. Quest'ultima non rappresenterebbe nient'altro che la condizionatezza storica della ragione.
2.2. La fenomenologia
Accanto all'ermeneutica va ricordata la scuola fenomenologica, la quale, dopo un periodo di splendore raggiunto tra le due guerre, ha progressivamente perso d'importanza dopo la seconda guer:a mond;ale. In realtà pur rimanendo alquanto confmata nell ambito dell'a�cademia e senza mai raggiungere, per il suo stesso carattere costitutivo, quella compattezza propria di altre scuole, la fenomenologia ha tuttavia trovato alcuni spazi nei quali collocarsi e nei quali incidere proficuamente.
N eli' ambito della filosofia pratica la fenomenologia ha influito soprattutto grazie alla riscoperta del più
10" Vedi sotto ai §§ 2.4 e 2.5. '"' La più brillante difesa della posizione decisionista oggi in Germa�
nia è quella di H. LÙBBE, Theorie und Entscheidung. Studien z�m �rima� der praktischen Vernunft, Freiburg i. Br., Rombach,
. �97_1 . I� _ttahano st
veda l'articolo: Problemi della partecipazione alle dectstont poltttche, " Fenomenologia e società "• I (1978), 269-278. Di Liibbe cfr. anche la retrospettiva storico-sistematica Politische Philosophie in Deutschland, Base!, Schwabe, 1963.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 59
considerevole tentativo di fondare la sociologia su basi filosofico-fenomenologiche, coniugando Husserl e W e ber, operato agli inizi degli anni trenta da Alfred Schiitz 102• La teoria fenomenologica dell'azione sviluppata da Schiitz ha suscitato un nuovo interesse e ha trovato una discreta riabilitazione nell'ambito della discussione sulla metodologia delle scienze sociali negli anni sessanta, non da ultimo per l'alternativa che essa rappresenta - assieme al lavoro di un allievo di Schiitz, Thomas Luckmann, e di Peter Berger"' - nei confronti del funzionalismo sociologico di Talcott Parsons, ripreso in Germania da Luhmann e criticato da Habermas.
In un quadro concettuale più ortodosso alla scuola fenomenologica e in direzione più specificatamente filosofica, un altro allievo di Husserl, Ludwig Landgrebe, ha fornito uno degli interventi più significativi di provenienza fenomenologica nel dibattito sulla riabilitazione della filosofia pratica: Uber einige Grundfragen der Philosophie der Politik104• Facendo riferimento specifico alla posizione di Hennis, Landgrebe si dichiara concorde col programma generale di una ripresa della filosofia pratica aristotelica, soprattutto per il fatto che il richiamo ad Aristotele permette la . chiarificazione rigorosa di concetti come quelli di prassi e di lavoro, in epoca moderna unilateralmente concepiti soprattutto per l'influenza di Hegel e di Marx. Inoltre, nella riabilitazione della filosofia pratica viene messa in
. rilievo, secondo Landgrebe, quella funzione della ri-
102 Der sinnhafte A'ufbau der sozialen Welt, Wien, Springer, 1932 (,trad. it. La fenomenologia del mondo sociale, Bologna, il Mulino, 1975). Tale tentativo è stato perseguito, dopo la morte di Schiitz, da un suo allievo (cfr. A. SCHOTZ-Th. LUCKMANN, The structures of the life-world, London, Heinemann, 1974). Di Schiitz cfr. anche Collected Papers, 3 voU., The Hague, Nijhoff, 1962-1964-1966, e il carteggio con Parsons: A. SCHÙTZ-T. PARSONS, E in Briefwechsel, hrsg. von W. M. SPRONDEL, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1977. 103 P. BERGER - Th. LUCKMANN, The social contruction of reality, Garden City, Doubleday, 1966 (trad. it. La realtà come costruzione sociale, Bologna, Il Mulino, 1969). 1 0 4 Ora in RIEDEL Il, 173-210.
l' !. 60 FRANCO VOLPI
flessione filosofica da lui stesso rilevata nella sua filosofia fenomenologica della storia; egli afferma che la filosofia pratica è in ultima istanza filosofia della storia, in quanto entrambe le discipline hanno per oggetto l'agire dell'uomo nella storia. Tuttavia, Landgrebe nl�va i condizionamenti storici della filosofia prat1ca anstotelica derivanti soprattutto dal fatto che tale disciplina è c�struita in Aristotele su una base empirica, vale a dire sulla realtà storica della polis greca; per Landgrebe, invece, il quale si attiene qui fedelmente all'insegnamento fenomenologico, una teoria rigorosa della prassi è possibile solo .su basi trascende�tah. Questo stesso atteggiamento dt consenso e d1 crttlca nel confronti della riabilitazione della filosofia pratica arista, telica è condiviso e difeso con intelligenza anche da Klaus H el d"'.
La discussione intorno ai problemi della filosofia pratica in ambito fenomenologico non è tuttavia limitata a questi autori e ai loro interventi. Essa è stata ripresa e proseguita anche recentemente da diverse pr�spettive, le quali, pur in una divergenza a volte appanscente, si ispirano tutte alla fenomenologia 106• I problemi dell'agire e della prassi sociale stanno al centro soprattutto del programma di un rinnovato dialog? tra la fenomenologia e il marxismo, promosso per mlZlatlva di Bernhard W aldenfels 1 ".
10' Cfr. La partecipazione politica come problema filosofico, " Fenomenologia e società "• l (1978), 235-268, e inoltre Stato politico e soc�età civile. Il loro rapporto in Hegel e nella critica marxiana, " Fenomenologia e società " • II (1979), 134-164.
106 Cfr. Phdnomenologie und Praxis, hrsg. von E.W. ORTH, (Phiinomenologische Forschungen 3), Freiburg i. Br. - Miin�hen, Alber, 197?. Vedi inoltre G. BRAND, Entwurf einer Phiinomenologte des Handelns, m Handlungstheorien - interdisz{pliniir 2, hrsg. _von.H. LENI_<, Miinchen, Fink, 1978, 199-233, nonché dello stesso autore Welt, Geschtchte, Mythos und Politik Berlin-New York, de Gruyter, 1978, i. p. 95-137, 218-235.
'07 cfr. Phiinomenologie und Marxismus 2: Praktische Philosophie, h"g. von B. WALDENFELS, J.M. BROEKMAN, A. PAZANIN, Fca�kfurt a. M., Suhrkamp, 1977; Phiinomenologie und Marxismus 3: Sozwlphilosophie, hrsg. von B. WALDENFELS, J.M. BROEK�AN, A. P�ZA;NIN, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1978. Di Waldenfels st veda pure l arttcolo Ethische und pragmatische Dimension der Praxis, in RIEDEL I, 375-· 393.
LA R!NASCIT A DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 61
· Sono da ricordare infine in questo contesto anche alcuni tentativi di arrivare alla filosofia pratica - o, quanto meno, a una chiarificazione dei suoi limiti e delle sue possibilità - attraverso Heidegger. La praticabilità di questa strada è stata s.ostenuta soprattutto da Reinhart Maurer108 ed è stata oggetto di discussione · _ anche per Otto Pòggeler nel proscritto alla seconda edizione del suo noto libello sul rapporto tra filosofia e politica in Heidegger'" . Il retroterra di tale correlazione tra Heidegger e la filosofia pratica può essere individuato in alcune fondazioni dell'etica su basi esistenzialistiche 1 1 0, nonché nel rilievo che la critica heideggeriana della tecnica ha assunto in questi ultimi annt.
2.3. Il razionalismo critico
Il maggior rappresentante del razionalismo critico in Germania è Hans Albert, il quale segue fedelmente Popper nella concezione generale della scuola. A differenza di quest'ultimo, tuttavia, Albert ha tematizzato
· dal punto di vista critico-razionalista - rifacendosi a Max Weber e al dibattito sulla metodologia delle scienze sociali - i problemi della filosofia pratica in tutta l'ampiezza del loro spettro, assumendo per certi aspetti una funzione guida all'interno della scuola. La trattazione di tali problemi è stata affrontata da Albert soprattutto nel terzo capitolo " Conoscenza e decisio-
108 Cfr. Von Heidegger zur praktischen Philosophie, in RIEDEL I, 415-454, ora ripreso in Revolution und « Kehre ''· Studien zum Prob!em gesellschaftlicher Naturbeherrschung, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1975, 12-57.
1 09 Philosophie und Politik bei Heideggf!r, Freiburg i. Br.-Miinchen, Alber, 19742, 152-159. Su tale discussione cfr. le osservazioni critiche di A. SCHWAN, Martin Heidegger. Politik und praktische Philosophie, " Philosophisches Jahrbuch "• LXXXI (1974), 148-171. 1 1 ° Cfr. H. FAHRENBACH, Existenzphilosophie und Ethik, Franka, M.; XlosJ:ermann, 1970, i. p. 99-131; B. SITTER, Dasein und >>'''"!", Freiburg i. Br.-Miinchen, Alber, 1975.
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ne » del trattato Per un razionalismo critico 1 1 ' , ora ripreso assieme ad altri saggi nel volumetto Kritische Vernunft und menschliche Praxis"', ed è stata sviluppata in maniera sistematica nel Traktat uber rationale Praxis 1 1 3•
Nei confronti del razionalismo critico ricorre molto spesso un pregiudizio - sorto non da ultimo per l'infelice espressione " decisione irrazionale per la razionalità » usata da Popper ne La società aperta e i suoi nemici - per cui si ritiene che in tale scuola venga negata tout court, con la semplice ripresa del principio weberiano dell'avalutatività, la possibilità di una trattazione razionale dei problemi della filosofia pratica, in particolare dell'etica e della politica. E merito di Albert avere dimostrato come la negazione della possibilità di fondazioni ultime razionali in ambito pratico non significhi semplicemente negare la possibilità di discutere razionalmente dei problemi della prassi' ". Albert ha più volte sottolineato come la negazione della possibilità di fondare in via definitiva norme e valori, quindi la negazione dell'immunità di ogni sistema di proposizioni etico-normative o politico-normative nei confronti della critica, non sia legata tanto al carattere peculiare dell'oggetto della filosofia pratica, ma corrisponda piuttosto alla fallibilità che secondo il razionalismo critico caratterizza anche l'argomentazione teoricoscientifica, per la quale viene altresi negata nell'ambito di tale scuola la possibilità di fondazioni ultime.
Albert si richiama dunque a W e ber non - come da più parti si ritiene - per negare la possibilità di discutere razionalmente dei problemi della filosofia' pratica, ben-
1 1 1 Trad. it. di E . PICARDI, con una introd. di G.E. RUSCONI, Per un razionalismo critico, Bologna, Il Mulino, 1974 (ed. orig. Traktat Uber kritische Vernunjt, Tiibingen, Mohr, 1968, 1975l),
1 1 1 Stuttgart, Reclam, 1977. '0 Tiibingen, Mohr, 1978. 1 1 4 Tale merito gli è riconosciuto dallo stesso Habermas (cfr. Legiti�
mationsprob!eme im Spiitkapitalismus, Frankfurt a, M., Suhrkamp, 1973, 145, trad. it. di G. BACKHAUS, La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Bari, Laterza, 1975).
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 63
si per tracciare i limiti di tale discussione razionale. Egli ha osservato come il principio dell'avalutatività abbia una funzione metodico-normativa e come, in quanto tale, esso non abbia una validità assoluta e illimitata, ma valga semplicemente come principio regolativo del conoscere scientifico. Una precisazione circa l'ambito di validità di tale principio può venir ricavata osservando la distinzione tra i diversi piani in cui il linguaggio e la ricerca sociologica si articolano: (a) il piano degli oggetti sui quali le proposizioni sociologiche vertono, (b) il piano del linguaggio-oggetto, cioè il piano delle proposizioni socio logiche stesse, (c) il piano del metalinguaggio, cioè il piano delle affermazioni metodologiche sulla sociologia. La determinazione dell'ambito di validità del principio dell'avalutatività deve allora chiarire: (a) se norme e valutazioni possano essere oggetto di indagine sociologica, (b) se la sociologia stessa possa esprimere giudizi di valore ed essere quindi scienza normativa, (c) quali siano le basi, il retroterra e i condizionamenti di valore che stanno dietro a tale scienza. Ora, secondo Albert, se è chiaro che la sociologia può avere come oggetto d'indagine valutazioni, giudizi di valore e norme, è altrettanto chiaro 'che le proposizioni in cui i contenuti del suo sapere vengono espressi non possono essere né valutazioni né giudizi di valore né norme, ma solo analisi descrittive scientificamente e razionalmente controllabili, quindi avalutative. Quanto poi al punto (c), Albert non ha. difficoltà ad ammettere che la sociologia ha dietro di sé una base e un retroterra di valori, cioè un fondamento normativa, nonché dei condizionamenti sociali. Quello che egli nega risolutamente è che tali elementi valutativi rientrino nel livello (b), cioè vengano ammessi quali elementi costitutivi delle proposizioni della scienza sociologica stessa. Se cosi fosse, la sociologia perderebbe il proprio statuto di scienza. Albert intende sottolineare con questo che l'accettazione dell'avalutatività quale principio del conoscere scientifico non significa sottrarre la sociologia in quanto scienza alla critica
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in merito ai suoi condizionamenti sociali e agli interessi che la sostengono, ma significa semplicemente distinguere l'ambito in cui tale critica è possibile e, anzi, necessaria dall'ambito della validità scientifica delle proposizioni sociologiche stesse. Solo cosi è possibile, secondo Albert, salvaguardare la possibilità di un discorso scientifico e razionale, indipendentemente dal fatto che esso sia una analisi dell'agire sociale o una critica di tale analisi. Per queste ragioni Albert non ha difficoltà ad ammettere la possibilità di discutere razionalmente norme e valori.
Tuttavia, ammettere la possibilità di una discussione razionale di norme e valori non significa ancora ammettere la possibilità di dare loro un fondamento razionale. La discussione razionale, infatti, chiarisce le posizioni e il contesto nel quale le decisioni in merito a norme e valori vengono colte, ma esaurisce l'ambito delle proprie possibilità col mettere in evidenza la consistenza dei diversi punti di vista. Essa non può fondare sufficientemente la decisione per l'una o l'altra posizione. Gli assiomi di valore possono essere discussi razionalmente, ma in ultima istanza essi sono oggetto di una decisione che non può scaturire secondo una determinazione sufficiente dalla conoscenza scientificorazionale. Non perché essi riguardino norme prancne, cioè un ambito del tutto particolare, ma tale la struttura del conoscere scientifico in generale, nel quale le decisioni svolgono un ruolo determinante. Secondo Albert, ad esempio, avrebbe un carattere decisionale la stessa accettazione del principio di non contraddizione, cui è necessario ricorrere per poter argomentare razionalmente. In modo analogo, chi intende giustificare razionalmente valori e giudizi normativi senza regressus in infinitum deve ricorrere necessariamente ad assiomi ultimi, accettati come postulati. differenza di Weber, Albert ritiene tuttavia o�•pc>rt1una la discussione razionale di questi assiomi. na della prassi razionale orientata sul modello del nalismo critico, infatti, non deve separare ragicme
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 65 teoretico-scientifica e ragione pratica. Essa deve piuttosto attivare quell'uso critico della ragione praticato anche nella scienza, il quale dà origine a un atteggiamento raztonale consistente in un fallibilismo tanto scientifico quanto pratico. Tale uso critico della ragione permette inoltre di stabilire dei principi-ponte in grado di colmare la discrepanza tra conoscenza e decisione, tra fatti e valori, tra proposizioni asseverative e proposizioni normative. In ogni caso, l'unicità dell'uso critico della ragione tanto in ambito teorico-scientifico che in ambito etico-pratico o politico-pratico intende ristabilire la riflessione razionale nelle sue piene competenze, cioè non solo nella sua facoltà di conoscere la realtà, ma anche nella sua capacità di offrire una guida razionale alla prassi e all'agire. Il recente volume Traktat iiber rationale Praxis è interamente dedicato a dimostrare - di fronte alla rinascita della filosofia pratica - la fecondità del punto di vista del razionalismo critico per la soluzione dei problemi dell'etica, della politica, del diritto, dell'economia e dello stato.
Si ispira fortemente al razionalismo critico, inte-grandolo con istanze provenienti da una recezione critica del pragmatismo americano e della filosofia analitica anglosassone, il tentativo di Hans Lenk di rinnovare una " filosofia pragmatica , con intenti pratici" 5• Tale sforzo è stato recentemente integrato dall'elaborazione di una teoria sistematica complessiva dell'azione, nella quale Lenk tiene presente - ora elaborandole, ora contrapponendovisi criticamente - le indicazioni
.. più importanti provenienti dalla filosofia e dalla sociologia contemporanee' ' ' .
P1·agmatische Philosophie, Hamburg, Hoffman und Campe,
als lnterpretationskonstrukt. Entwwf einer Handlungsphilosophie e
unter RUckgriff auf · 2 cit., 297-350 e in Theorien sozialen Handelns,
4, hrsg. von H. LENK, Miinchen,
66 FRANCO VOLPI
2 . 4. La teoria critica (Habermas)
Il maggior avversario del razionalismo critico in Germania è Jiirgen Habermas, il quale, dopo aver polemizzato con Albert nel Positivismusstreit in rappresentanza della Scuola di Francoforte, ha successivamente ripreso tale polemica anche nel contesto del dibattito intorno alla riabilitazione e ai problemi della filosofia pratica, assumendo tuttavia una configurazione sempre più autonoma rispetto a Horkheimer e ad Adorno. Come nel Positivismusstreit Habermas aveva affermato contro Albert la possibilità di una sociologia critico-normativa, cosi nel dibattito intorno alla filosofia pratica egli respinge il « deci�i�nis,mo » dei razior:alisti critici, per affermare la possJbiilta d1 una fondaZione razionale di norme e valori. In questo nuovo contesto e in un dibattito allargato anche alla teoria sistemica di Luhmann, al costruttivismo di Lorenzen e Schwemmer, alla pragmatica trascendentale di Ape!, nonché alla teoria contrattualistica di Rawls, Habermas è venuto sviluppando in maniera sistematica una teoria critico-dialettica, del tutto autonoma rispetto al neomarxismo di Francoforte, la quale si presenta come teoria della competenza comunicativa o pragmatica universale. In questo nuovo quadro sistematico Habermas ha definito - a volte in contrapposizione polemica con i vari tentativi di riabilitare la filosofia pratica aristotelica - la struttura e le possibilità della ragione pratica nella fondazione di norme e di valori.
I primi contributi di Habermas alla discussione dei problemi della filosofia pratic_a risalgor:o tuttavia ·
to più indietro, e cioè a lavon gwvamh come DrJtt:rina politica classica e filosofia sociale moderna e Drwr."alcismo, ragione, decisione. Teoria e prassi nella sor:ietà scientificizzata, contenuti nel noto libro Theorie Praxis"'. Nel primo di questi due saggi, sulla base
117 Neuwied-Berlin, Luchterhand; 1963, ed. tasc. Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1971, 48-88 e 307-335 (trad. ìt. diA. GAJANO, "''"'. P"'""" e teoria critica della società, Bologna, Il Mulino, 1973, 77-125 e 3
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 67 un'analisi delle differenze tra la dottrina politica classica(in Aristotele e nella versione tomista della concezione politica aristotelica) e la scienza sociale moderna (in Macbiavelli, Moro e Hobbes), Habermas individua quelle che a suo avviso sono le ragioni dell' obsolescenza della concezione aristotelica della politica e della sua inadeguatezza all'analisi e alla comprensione del fenomeno moderno dello stato. Tali ragioni sono secondo Habermas (a) il fondamento etico della politica aristotelica, (b) il fatto che essa sia costruita sulla prassi e non sulla poi esi, (c) il carattere non rigoroso della scienza politica in quanto scienza pratica. Contro la tradizione aristotelica si affermano con Hobbes criteri pressoché opposti: (a) l'esigenza di una scientificità rigorosa dell'indagine sociale, (b) il carattere tecnicoapplicativo della trasposizione delle conoscenze scientifiche elaborate' dall'indagine sociale in prassi, (c) la separazione di etica e politica. Nel passaggio dalla con-. cezione classica a quella moderna la politica si trasforma da scienza pratica in arte pragmatica e in tecnica
. per il dominio e l'organizzazione della società. Se da un · lato Habermas intende collocarsi nell'ambito della tradizione moderna inaugurata da Hobbes per far valere l'istanza di una scienza rigorosa della società, dall'altro
:·egli ritiene che la scienza sociale moderna soggiaccia in Hobbes a due antinomie rimaste insolute, e cioè (a) il · sacrificio dei contenuti liberali alla forma assolutistica del loro sanzionamento e (b) l'impotenza pratica del sapere tecnico-sociale. Tali antinomie potrebbero esse
·re superate solo mediante una ricostruzione dell'istanza fondamentale del sapere pratico classico, e cioè il
Jegamte con la prassi in virtù del metodo topico-:::�:���;�:r,�r,ii�abilitato in epoca moderna da Vico. In ;;: tuttavia, la dialettica assume una conno-.. t�tzicme retorico-letteraria che la pone in antitesi con .;riìst�m2:a scientifica moderna. Solo là dove essa viene /integ)Cat:a con tale istanza moderna, e cioè in Hegel, la :l"tatctu<ca diventa secondo Habermas strumento e meodoJ:ig<Dr<>so di una scienza sociale critica, nella quale
68 FRANCO VOLPI
vengono soddisfatte tanto l'istanza classica del collegamento e della conformità con la prassi quanto l'istanza moderna di un sapere scientifico.
Questa fiducia nelle possibilità del metodo dialettico è stata ripresa da Habermas anche nel secondo dei saggi sopra citati, soprattutto per affermare contro il decisionismo da più parti sostenuto, nel quale le norme vengono fatte dipendere in ultima istanza da decisioni, la possibilità di un collegamento razionale fra fatti e valori, tra asserzioni e valutazioni, tra teoria e prassi.
In relazione a questo insieme di problemi, nei quali si vede già configurata in alcuni suoi tratti la tematica della filosofia pratica, Habermas ha sviluppato tutta una serie di studi sulla Logica delle scienze sociali 1 1 8 , nei quali egli ha formulato la strategia concettuale di una sociologia normativa dagli intenti pratici, sostenendo - soprattutto contro il razionalismo critico -possibilità di un'impostazione cognitiva e nonrtativa del problema della ragione pratica. Facendo r. t·t enm<:nto alla ripresa di Weber da parte del razionalismo co, Habermas ha sottolineato l'ovvietà, da un punto vista epistemologico, del principio dell'avalutatività ha precisato che, di conseguenza, la sua critica è ta solamente contro l'uso " politico » di tale pr·mc:tpto, mirante a limitare le possibilità critiche gia.
Già nell'ambito di lavori di carattere orev,alent•e'' mente sociologico Habermas ha introdotto alcune cisazioni terminologiche preliminari a una teoria rale del sapere pratico, come ad esempio la toirrO:amentale distinzione tra lavoro e interazione, fatta già saggio che apre il volume Technik und Wissenscha) als " Ideologie » ' ". Con lavoro è inteso qui l'agire zionalmente diretto alla realizzazione di un fine,
1 1a Trad. it. di G. BONAZZI a cura di E. MELANDRI, H�;:��:��;; Mulino, 1970 (ed. orig. Zur Logik der Sozialwissenschaften, "" Mohr, 1967, ed. tasc. Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1973).
1 '9 Frankfurt a, M., Suhrkamp, 1968 (il saggio Lavoro e inte>-mtiot" stato tradotto a cura di M. G. MERIGGI, Milano, Feltrinelli, 1975).
RINASCITA DELLA HLOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 69
l'agire strumentale e la scelta razionale stessa che ad esso si accompagna, ovvero la combinazione di entrambi; l'agire strumentale si orienta su regole tecniche basate sul sapere empirico, mentre la scelta razionale si orienta su strategie basate sul sapere analitico. Con interazione è inteso invece l'agire comunicativo, cioè l'agire interazionale mediato simbolicamente e orientato su norme che vigono come vincoli dell'agire stesso, definendo le reciproche aspettative di comportamento. E, evidente come in tale distinzione rientrino elementi della distinzione aristotelica di poiesi e prassi, recepita da Habermas attraverso i lavori della Arendt e di Gadamer' ", nonché della distinzione hegeliana di lavoro (Arbeit) e moralità (Sittlichkeit).
· Se originariamente l'introduzione della distinzione di lavoro e interazione è servita a Habermas per risolvere le aporie cui il concetto marxiano di prassi - riduttivo nei confronti dell'interazione sociale per la preponderanza in esso delle determinazioni del lavoro produttivo'" - dà origine in sociologia, impedendo qna fondazione di tale scienza su basi marxiste, in realtà tale introduzione ha segnato per Habermas una svolta, nella misura in cui essa lo ha spinto a lasciare da l'ulteriore analisi del momento tecnico:pn>dtJttiiVO dell'agire e la dimensione dell'economia po
per dedicarsi invece all'indagine dettagliata del ccJnc:ett:o di interazione, colto al di fuori di ogni deter
, .• _:_ .• :minazicme tecnico-produttiva come agire comunicaticome comunicazione intersoggettiva di senso. Ha-
1 2 ° Cfr. HABERMAS, Theorie und Praxis cit., 84. 121 « �arx ha cercato di ricostruire il processo storico della formazio
specte umana partendo dalle leggi della riproduzione della vita so-delle trasformazioni del sistema del lavoro sociale lo indi vi
contraddizione fra l'accumulazione delle capacità di controllare i naturali e il quadro i.s�ituzionale delle interazioni regolate secondo Nella pr�fonda a�ahs� contenuta ne!la prima parte dell'Ideologia
Marx pero non sptega tl rapporto fra mterazione e lavoro ma ridoall'altro, riconducendo il comportamento comunicativ� a quello
rurr.encale. L'attività produttiva ( . . . ) diventa il paradigma per la produle categorie; tutto si annulla nel movimento autonomo della
;odc<zione » (HABERMAS, Lavoro e interazione cit., 46).
70
bermas ha di conseguenza sviluppato, in un u"J'"-"'v con la teoria sistemica di Luhmann"', col costrutl:ivii-. smo di Lorenzen e Schwemmer"' e con l'������t�:�:��· trascendentale di Ape!"', una teoria della comunicativa o pragmatica universale, la trassegna in maniera autonoma la sua 'l"""uauL>ue questi ultimi dieci anni - nei sempre più emancipandosi l'OJrigJina.ria aooa.rt<onE,n-• za alla Scuola di Francoforte.
La teoria della competenza comunicativa, nata contesto sociologico della controversia con Luhmann sviluppata sempre più in direzione di una teoria p lessi va della razionalità '", si presenta come wHu.aztune e modello di un sapere argomentativo in grado garantire la connessione sistematica di ragione te<)r<otica e ragione pratica. Mentre Luhmann dichiara esJ)f<OSsamente il suo distacco dal quadro categoriale " awL.<w naie e formula in termini funzionalistici una stemica che pretende di essere analisi complessiva società 1 2 6, Habermas riprende invece nella sua della competenza comunicativa la distinzione di e interazione e la sviluppa in maniera sistematica.
m Cfr. J. HABERMAS - N. LUHMANN, Theorie der G";d/.;ch,,fi oder Sozialtechnologie - Was leistet die Systemforschung?, ""nklurt M., Suhrkamp, 1971 (trad. it. di R. DI CORATO, Teoria della tecnologia sociale. Che cosa offre la ricerca del sistema sociale? Etas Kompass, 1973 ), Si vedano pure i successivi contributi a sione apparsi come « supplementi »: Theorie der Ge�eli'>ci•aft od,er S'oziai• technologie. Supplement 1-3, Frankfurt a. M., Suhrkamp,
m Cfr. Zwei Bemerkungen zum praktischen Diskurs, in struktion des Historischen Materialismus, Frankfurt a. JM��
-; ·�,;::�����mdel
1976, 338-346 (trad. it. a cura di F. CERUTTI, Per la n materialismo storico, Milano, Etas Kompass, 1979; il saggio qui non è tradotto nell'edizione italiana).
124 Cfr. il volume collettaneo Sprachpragmatik und Phi/o;;ophie hrsg. von K.-0. APEL, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1976, i. p. rm-rwolo Habermas Was heiflt Universalpragmatik?, 174-272.
1 2 1 Cfr. J. HABERMAS, Zur Logik des theoretischen und schen Diskurses, in RIEDEL II, 381-402. La versione integrale delll'articò era apparsa col titolo Wahrheitstheorien, in Wirklichkeit und Festschrift fiir W, SChulz, Pfullingen, Neske, 1973, 211-266.
126 Cfr. N. LUHMANN, Le teorie moderne del sistema come di analisi sociale complessiva, in HABERMAS-LUHMANN, società o tecnologia sociale cit., 1-66. Il distacco di Luhmann dalle
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 71
distingue due ambiti di oggetti (cose ed eventi; persone ed espressioni), nei confronti dei quali si costituiscono due tipi d'esperienza (sensoriale e comunicativa); nell'esperienza, poi, vengono rispettivamente utilizzati due tipi di linguaggio empirico (fisico e interazionale) e si esplicano due tipi di azione (lavoro e interazione). Per quanto riguarda il concetto di interazione, Habermas introduce un'ulteriore articolazione rispetto all'analisi di Tecnica e scienza come " ideologia ,, distinguendo l'interazione in agire comunicativo e discorso. In tal modo, il discorso viene inteso in una relaziòne essenziale con l'agire, per cui esso stesso assume il carattere di processo interattivo (atti discorsivi) o di guida di azioni (informazioni) . Nell'agire comunicativ'o, inoltre, norme e valori vengono « adoperati » e
. presupposti, mentre nel discorso essi vengono sottoposti a vaglio critico. Ora, un consenso in merito alla va.JJLUll·a di norme e valori è possibile solo mediante il riferìmento alle " condizioni ideali della situazione discorsiva ,, , le quali si rivelano altresi secondo Habermas come " condizioni di una ideale forma di vita , .
Una teoria della competenza comunicativa deve pei·laillu analizzare: (a) l'agire comunicativo, nel quale
norme vengono riconosciute e presupposte come pa_;;orarnetri- di comportamento, senza essere ulteriormente <>,:ilis<:usse; (b) il discorso pratico, comprendente etica e >; rnel�aetica, p·oliltic:a e meta politica, in cui le regole nor
vengono dialogicamente discusse in normatività, in modo che lo stesso .<·.�f�;����!��e:��� discorsivo venga consapevolmente te
/ e fondato in un consenso razionale; (c) le > hrmnP morali, che vengono .giustificate col ricorso arg�::�:;��v� a norme etiche, le quali giustificano nel >� anche la correttezza dell'argomentazione;
szt:ua:ZI-'or.w discorsiva ideale, la quale viene esami-
72
nata nella pragmatica universale in relazione alle dizioni della possibilità di un c�msenso autentiCO condizioni quasi-trascendentali del discorso. La
- matica universale, infatti, ope�a u.�a «. . . .
dei presupposti universali e inevitabili dei possibili cessi comunicativi » 127 • •
A partire dalla maturazione della teana della , petenza èomunicativa, in un confronto s�n:pre p tu vicinato con Ape!, con la scuola costruttlvista ':'• temente, anche con la teoria contrattualista d1 . Habermas ha pure avuto occasione d1 chi�rire Il porto in cui egli colloca queste sue. sulla tura e sulla logica del discorso pratico e . sociale in relazione alla rinascita in. Germama della Josofia pratica. A una relazione d1 Hem.us - uno maggiori fautori della ripresa della tradlZlone du"u'''
lica della filosofia pratica - al convegno di ( 1975) della Deutsche Vereinigung fiir Politlsche senschaft Habermas ha risposto con un mtervento, pubblicato in Per la ricostruzione dd
. storico"" nel quale egli illustra le ragmm per le sono da �itenere impraticabili le strade ne:m�n:e « neoaristotelismo » , emerso quale una più consistenti nel dibattito sulla filosofia . contrappom; l'istanza normativa avanzata. dai . . stotelici alle tendenze empmc1ste oggi dommanti m ciologia, dichiarando che l'intento �riti�o della teoria della competenza comumcat1va e quello grare normatività ed �mpiricità in una teana che ad un tempo, scientifica e cntica. ·
2 . 5. Il costruttivismo
Una posizione di preminenza nello .sforz'? per fondazione sistematica raziOnale della filosofia
m HABERMAS Was heiflt Universalpragmatik? cit., 198. 1 z 8 Trad. it. a c�ra di F. CERUTTI, Milano, Etas Kompass,
207-235 (per le indicazioni bibliografiche relative all'ed. ted. cfr.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 73
spetta senza dubbio al costruttivismo, scuola fondata negli anni sessanta da Pau! Lorenzen e da Wilhelm Kamlah "' e detta anche per la sua collocazione geografica d'origine " Scuola di Erlangen " . Il programma della scuola è stato proseguito da Oswald Schwemmer, da F riedrich Kambartel e da Jiirgen MittelstraK
L'intento programmatico generale della scuola costruttivista - la cui elaborazione è dovuta soprattutto a Paul Lorenzen 130, ma la cui esposizione più sistematica è nata dalla collaborazione di quest'ultimo con Oswald Schwemmer'" - prevede una costruzione razionale delle condizioni dell'intervento dell'uomo nel mondo, cioè del discorso (Rede), dell'agire (Handeln) e del produrre
Questa « costruzione » , cioè analisi e · .. ·>.foiadaziiorie ad un tempo, viene proposta in un linguag
scientifico detto ortolinguaggio, le cui regole e i cui · ....• concetti vengono introdotti mediante l'ausilio di un pa
interno (che serve alla spiegazione dei """'""''''. mediante i quali viene costruito l'ortolinguag
un linguaggio protreptico esterno (che introcostruzione del paralinguaggio e dell'ortolin
"'' l!ll:lg�(IUJ. In virtù di tale ortolinguaggio il sapere teoree pratico cosi costruito può diventare oggetto di
) Ì!1s•egi1mmE:nto e, quindi, di apprendimento e può essere e sviluppato nelle singole discipline
base ad esso la scuola costruttivista si •.-·nn.nnP di analizzare e di fondare i concetti e le regole
razionale (logica) , le regole razionale (filosofia pratica) , nonché le regole
Per la comprensione dell'atteggiamento di Habermas nei confronti ei p•coblemi della filosofia pratica e della filosofia politica classica è di nointeresse anche la controversia da lui sostenuta con Robert Spae(cfr. R. SPAEMANN, Zur Kritik de1· politischen Utopie, Stuttgart, 1977, i.p. 104-141). ��� W. KAMLAH - P. LORENZEN, Lngische Pmpàd('utik. Vm
, d('S verni'o�ftii!.CII l<edr'IIS, M;lnnheim-Wien-ZGrich, BibliographiInstitut, 1967. 00 Methodisches Denken, Frankfurt a, M., Suhrkamp, 1968, e
Wissenschaftstheorie, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1974, Logik, Ethik'und Wissenschaftstheorie, Mannheim
'ie.n-Zfit·ich, Bibliographisches Institut, 1973, 1975•.
74 FRANCO VOLPI
e i concetti delle scienze naturali e delle scienze sociali (teoria della scienza).
Per quanto concerne la filosofia pratica, cioè l'ambito che qui interessa, il programma costruttivista - già esposto da Pau! Lorenzen in un testo originariamente apparso in inglese1 32 e incorporato poi nell'esposizione sistematica contenuta in Konstruktive Logik, Ethik und Wissenschaftstheorie"' di Pau! Lorenzen e Oswald Schwemmer - ha inciso in maniera particolare sul dibattito tedesco grazie all'intervento di Pau! Lorenzen Szientismus versus Dialektik 13', nel quale la discussione intorno alla fondazione razionale del sapere pratico viene vista come il proseguimento della discussione sulla metodologia delle scienze sociali nota come Positivismussstreit. La contrapposizione tra scientisti e dialettici cbe caratterizzava quest'ultima controversia si ricostituisce altresi nel dibattito intorno ai limiti e alle possibilità della ragione pratica: da un lato gli scientisti, i quali, seguendo Max Weber e il principio dell'avalutativita della scienza, riducono la ragione entro l'ambito del sapere scientifico-tecnico e respingono come irrazionale e non scientifica ogni fondazione di norme; dall'altro i dialettici, i quali, vedendo nella dialettica il metodo di una razionalità non semplicemente strumentale, bensi in grado di costituire l'unità di teoria e prassi, sostengono la possibilità di una giustificazione e di una fondazione razionale di norme, in base alle quali sarebbe tra l'altro possibile superare l'inevitabile decisionismo cui gli scientisti devono ricorrere per spiegare il passaggio dalla teoria alla prassi.
112 Normative logics and ethics, Mannheim-Wien-ZUrich, Bibliographisches Institut, 1969,
133 Cfr. nota 1 3 1 . 1 34 Pubblicato originalmente col titolo Das Problem des Szientismus
in Philosophie und Wissenschaft. 9 . Deutscher KongreR fiir Philosophie cit., 19-34, tale intervento è stato più volte ripubblicato col nuovo titolo Szientismus vasus Dialektik: in Hermeneutik und Dialektik. Festschrift fiir H.-G. Gadamer, hrsg. von R. BUBNER, K. CRAMER, R. WIEHL, Tiibingen, Mohr, 1970, I, 52-72; in RIEDEL II, 335-351 ; in Praktische Philosophie und konstruktive Wissenschaftstheorie, hrsg. von F. KAMBARTEL, Frankfurt a. M., Suhrkarnp, 1974, 34-53.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA TN GERMANIA 7 5
Nell'affermare la possibilità di costruire razionalmente, dialogicamente e consensualmente le regole dell'agire, il costruttivismo si è posto dalla parte dei dialettici, anche se tale convinzione comune non cancella in realtà le profonde differenze tra le due scuole"'. Il costruttivismo, del resto, si intende come superamento sia della « posizione » scientista, sia della « posizione » dialettica, nella misura in cui in esso viene affermata la possibilità di una " costruzione , 136 ra
. zionale della filosofia pratica che realizzi tanto l'istanza di scientificità avanzata dagli scientisti, quanto l'istanza della congruenza con le determinazioni storicosociali avanzata dai dialettici.
In analogia con la tripartizione tradizionale la scuola costruttivista concepisce la filosofia pratica come " nome comune per l'etica, la filosofia del diritto e la filosofia politica » 1 37, cui fine è l'analisi, la costruzione e la fondazione razionale di tali ambiti di sapere. Si tratta qui, cioè, di una filosofia pratica pura. L'etica, ad esempio, non viene concepita né come teoria del buon vivere e del sapere ad esso relativo (Aristotele) , né come fondazione trascendentale della moralità (Kant) , ma - sulla base del presupposto di un interesse comune alla soluzione argomentativo-razionale dei conflitti e, quindi, alla vita pacifica - come analisi, costruzione e fondazione razionale delle regole che permettono tale convivenza.
N eli' attuazione del compito di una fondazione ra- . zionale della filosofia pratica ha assunto una posizione di preminenza all'interno della scuola costruttivista Oswald Schwemmer, al quale si devono i lavori più ri-
1 35 Ciò è stato messo in luce da K.-H. ILTING, Anerkennung. Zur Rechtfe;tigung praktischer Siitze, ora in RIEDEL II, 353-368 (originariamente m Probleme der Ethik, hrsg. von G.-G. GRAU, Freiburg i. Br.-Miinchen, Alber, 1972, 83-107). Cfr. anche la critica di Habermas in Legitimationsprobleme im Spiitkapitalismus cit., 141 segg.
1 36 Vedi il programmatico titolo degli scritti in onore di Lorenzen Konstruktionen versus Positionen. Beitriige zur Diskussion um die Konstruktive Wissenschaftstheorie, hrsg. von K. LORENZ, 2 Bde., BerlinNew York, de Gruyter, 1978.
'37 LORENZEN, Konstruktive Wissenschaftstheorie cit., 22.
76 FRANCO VOLPI
levanti in questo campo: innanzitutto una for:da�ione della filosofia pratica su base costruttlvlsta m nfenmento a Kant nel volume Philososophie der Praxis. V ersuch zur Grundlegung einer Lehre vom moralischen Argumentieren in Verbindung mir einer Interpretation der praktischen Philosophie Kants' ' " ; poi il capitolo Ethik e il capitolo Theone des prakttschen Wissens in Konstruktive Logik, Ethtk und Wtssenschaftstheorie, la cui seconda edizione ( 197 5) costituisce l'esposizione sistematica definitiva della concezwne costruttivista; quindi Theorie der ratzonalen Erkliirung"' e, infine, una serie di artic<;>li che temattzzano la fondazione costruttivista della filosofia pratica da diversi punti di vista e che testimoniano gli sviluppi e l'evoluzione della concezione di Schwemmer"".
Poiché Philosophie der Praxis rappresenta solamente una prima versione della teoria .costruttivista, dd sapere pratico, preferisco segutre qm 1 cap1toh sull �tica e sulla teoria del sapere pratico nella seconda edlZlone di Konstruktive Logik, E thik und Wissenschaftstheorie: nell'etica viene trattato il problema della fondazione di azioni e di norme, senza riferimento alla specificità delle situazioni partic'?lari in cui esse debbo: no essere fondate- la situativita e le determmazwm concrete vengono invece tenute presenti nella teoria dd sapere pratico.
Schwemmer muove dalla considerazione
1 38 Frankfurt a, M., Suhrkamp, 1971. 1 39 Mtinchen, Beck, 1976. "" Cito qui i principali (tra parentesi, dopo il titolo, è indicato l'anno
di composizione, quando esso differisc� da quello �i pubblicazione): J.:fethode und Dialektik. V o1·schliige zu emer method1schen Rekonstruktwn Hegelscher Dialektik (1970), in RIEDEL I, 457-486 (in collaborazione con S. BLASCHE); Vernunft und Mora l. Versuch einer kritischen Rekonstruktion des kategorischen Imperativs bei Kant (1972), in Kant. Zur Deutung seiner ·'Theorie von Erkennen und Handeln, hrsg. von G. PRAUSS, KOln� Berlin, Kiepenheuer & Witsch, 1973, 255�273; Appell und Argumenta-· tion. Aufgaben und Grenzen einer praktischen Philosophie. Versuch einer Antwort auf die « Kritik der praktischen Philosophie . der Erlanger Schule », in P1·aktische Philosq_phie und konstruktive Wissenschaftstheorie cit. 148-211; Praktische Verhunft und NormbegrUndung. Grundprobleme 'beim Aufbau einer Theorie praktischer BegrUndungen, in Ethik im
77 LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA
fondazione di norme è necessaria là dove nascono delle difficoltà in merito alla realizzazione dei fini che le norme richiedono di realizzare. Tali difficoltà insorgono (a) per mancanza dei mezzi adatti ali� �ealizzazione dei fini cioè a causa dr sttuaztom dt defrc1enza (M angelsttuatiol1en), (b) per l'inconciliabilità dei fini che si intendono perseguire, cioè a causa di situazioni conflittuali (Kon/liktsituationen), oppure (c) per framtend1ment1 linguistici. La teana costruttlvtsta presuppone una volontà comune di superare argomentativamente queste difficoltà, cioè presuppone quale fine comune (a) il trovare dei mezzi adatti alla realizzazione dei fini posti, (b) il rendere conciliabili fra loro tali fini e (c) il chiarimento dei fraintendimenti che derivano dal linguaggio adoperato. Il compito (c),, dato che le difficoltà debbono essere superate di<!logicamente e argomentativamente è condizione pet la realizzazione dei compiti (a) e (b). :La soluzione del compito (a), cioè il superamento delle situazioni di deficienza mediante l'approntamento dei mezzi necessari alla realizzazione dei fini, è affidata al sapere tecnico. La soluzione del compito (b), cioè il superamento delle siwazioni conflittuali nella scelta dei fini, è affidata al sapere pratico. Soltanto questo secondo tipo di sapere è rilevante per l'etica, in quanto esso deve indicare il principio per la fondazwne di norme e valori in grado di superare le situazioni conflittuali derivanti dalla preferenza di questo o di quel fine cioè dalle diverse valutazioni ( Wertungen). E ovvio eh� tale principio riguarderà solo valutazioni " conflittualmente rilevanti , ( konfliktrelevant).
Kontext des Glaubens. Probleme - Grundsiitze - Methoden (1976), hrsg. von D. MIETH und F. COMPAGNONI, Freiburg i. Ue. - Freiburg i. Br. -Wien, Universitiitsverlag - Herder, 1978, 138-156; Praxi�, Methode,_ Vernunft. Schwierigkeiten der Moralbegriindung, <� Perspektlven der Philosophie ,, IV (1978), 233-25�; Praktische J3egrUf!dung, rationale R_ekonstruktion und methodische UberprUfung. Uber dze handlungstheoretlschen Grundiangen der Sozialwissenschaften, in Handlungstheorien - interdiszi'pliniir 2 cit. . , 535-580; Verstehen als Meth[>de. VorUberlegungen zu einer Theorie der Handlungsdeutung, in Methodenpmbleme der Wis�enschaften vom gesellschaftlichen Handeln, hrsg. von J. MITTELSTRASS, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1979, 13-45.
78 FRANCO VOLPI
Schwemmer chiama poi imperativi (Aufforderungen) quei comandi la cui esecuzione dà origine a un'azione, distinguendo tra imperativi afinali e imperativi finali, i quali provocano, rispettivamente, la semplice esecuzione di un'azione o la produzione di uno stato di cose mediante l'esecuzione di un'azione. Le situazioni conflittuali nascono là dove vengono posti imperativi diversi inconciliabili fra di loro. La soluzione argomentativa dei conflitti avviene innanzitutto mediante la discussione razionale in via probativa di un imperativo che viene definito come proposta ( Vorschlag). Se si giunge a un consenso in merito a una proposta, cioè se un imperativo viene accettato come comune, oppure se diversi imperativi vengono accettati come conciliabili, allora viene presa una decisione (Beschluss) in merito all'esecuzione dell'azione comandata da tale imperativo comune o da tali imperativi tra di loro compatibili. La discussione razionale intorno alla decisione è detta consultazione (Beratung) e, in corrispondenza della distinzione di sapere tecnico e sapere pratico, può essere tecnica o pratica, a seconda che riguardi i mezzi per l'esecuzione di un'azione oppure i fini. Per quanto concerne le consultazioni tecniche, Schwemmer presuppone il facile conseguimento di un consenso, in quanto i criteri della consultazione tecnica coincidono con i criteri del sapere tecnico stesso. Rilevanti per l'etica sono invece le consultazioni pratiche, in quanto in esse avviene il conseguimento di un consenso razionale sulle norme.
In generale il raggiungimento del consenso razionale avviene (a) mediante l'unificazione e l'accordo in merito alla terminologia e al linguaggio usati, (b) mediante la formulazione di imperativi la cui obbligatorietà è estes.a a tutti i partecipanti alla discussione; cioè mediante la generalizzazione ( Generalisierung) degli imperativi, infine (c) mediante l'universalizzazione ( Universalisierung) degli imperativi, cioè mediante l'estensione assoluta del loro carattere vincolante'" . Il principio in virtù del quale la consultazione attraverso cui si
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 79 giunge al consenso razionale è condotta è detto principiO dt ragwne ( Vernunftprinzip).
Per quanto riguarda Ia consultazione pratica, oltre al momento argomentativo or ora descritto è necessario il m�)!�ento ulteriore della fondazion� (Begriindung), cwe t1 momento della giustificazione razionale delle norme cui viene fatto ricorso per rendere ragione degh t�perattvt post!. Tale momento è raggiunto nelle seg�entt tre hst: (a)} esecu�ione di un'azione viene giustlftcata medtant� l mdtcazwne del fine per cui essa è compmta; (b) t1 fme stesso è giustificato mediante il ricorso a una n_orma, a partire dalla quale è possibile dedurre m mamera vmcolante la posizione del fine; (c) le norme stesse vengono giustificate mediante il ricorso a supernorme rra loro conciliabili, corrispondenti alle norme usa.te per la posizione di fini inconciliabili e mediante la sostituzione di tali norme con subno;me ad
. e�se corrispondenti, ma tra loro conciliabili. Il princi-piO che vtge per 1 momenti (a) e (b) è il principio pratico dt ragwn':' (prakttsches Vernunftprinzip), definito come " prmc1p10 della transoggettività , in quanto esso tmpone dt. trascendere la singola soggettività. (Schwemmer dtstmg':'e Ia transog�ettività come superal!'�nto del punto dt vtsta sog�etttvo dall'intersoggetttvtta c.ome cot;siderazwne det dtversi punti di vista so�g�Wvt . ) Per tl momento (c) vale invece il cosiddetto prmc1p10 morale (Moralprinzip)"'.
Il costruttivismo spiega così mediante un'etica nore<mattiva le regole e i principi per la fondazione di
azJturie, di un fine e di una norma. L'etica tiene contuttavia, solo della genesi normativa e non della ge-
Sc�4 1 Seguo qui �l p�rfezionamento terminologico-concettuale attuato
. wemmer nell articolo Praktische Vernun+t und No b ·· d t.p. 143-148.
J' rm egrun ung 142 Il principio' morale, così come Schwemmer lo introduce, è criticato
•:<.,��n1""'' da. un al
.tro_ esponen�e della s�uola costruttivista, e cioè da F.
, m Wte tst pra�ttsche Phtlo_sophie konstruktiv mOglich?
. . , _ _ , _ _ ) . e1_nes me�hodtschen Verstiindnisses prakti-DI_�kll!:,(;, m l rakt1schc Phd()sophw un d konstrukti/11' V?issenscha(ts
Clt, , 9-33. Per la controversia interna alla scuola cfr. ivi, 225-24-0.
80 FRANCO VOLPI
nesi effettiva dei sistemi di norme e deve, p�rtanto, essere integrata da una teoòa del sapere pr,atlco, la quale, mediante l'interpretaziOne della clVllta (Kulturde�tung), cioè la costruzione della genesi . effettiva de1 s1: t mi. di norme"' e mediante la cntlca della Clvdta s e ' · ·
d ii ( Kulturkritik), cioè la valutazione cntlca � a gen�s1 effettiva in base alla genesi normativa, metta m relazw� ne dialettica fra di loro questi due momenti e open dr conseguenza la riforma della civiltà (Kulturrefo_rm): . Complessivamente la costru7;10ne della f1losofla pratica può essere cosi riassunta 1n quatt�o mome�t1: (a) la posizione del compito della fondaz.wne prat1�a�
l a dire l'elaborazione di metodi dwlogico-discorSIVI va e · fl' l' · d per il superamento delle situaziom con . 1ttua .'' atti a essere insegnati e appres1; (b) la co�truz1o?� d1 una terminologia ( ortolinguaggw) m cm s1a P?ss1bde formulare i principi fondativi utili a t�le compito;. (c) ! elaborazione di principi fondatiVI (p�mC!p!O.pratlco d1 rag1one e principio morale) in base m quah s1a poss1bde f?ndare formalmente le norme; (d) l'elaborazione d1 cnten e di metodi per la fondazione materiale delle norme.
Questa teoria complessiva d1 un sapere pratico ra� zionalmente fondato - qui esposta nella verswne dt Schwemrrier - è stata oggetto di discussione e d1 vane elaborazioni all'interno della stessa scuola costruttivista. Friedrich Kambartel, ad esempio, ha messo �n qu�stione la formulazione schwemmenana del pnnc1p10 morale, sostenendo che esso non è tanto l� procedura della fondazione morale in generale, bens1 una determinata procedura dell'argome?tazione. razionalmente finalizzata che ha essa stessa btsogno d1 una fondaziOne morale e che, pertanto, non è in ,grado d1 formrla. Questa dialettica interna alla scuola e documentata nel
14J L'interpretazione della civiltà avviene mediante: (a� la �<?nstata:io: ne delle azioni di un· gruppo, (b) la generalizz�zione dt aztont n�
_modt dt
azione (c) l'interpretazione di tipi d'azione �edtante norme e (d) l �nterpretuion� di secondo grado, cioè la strutturaztone delle norme medtante su-pernorme� _
1 f · 1 · " Franldun .1. :VI., )uhrkamp, 1 974. Di Kambarte c r. mo tnc Theorie und BegrUndung, Frankfurt à. M., Suhrkamp, 1976.
tA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 81 volume a cura dello stesso Kambartel Praktische Philosophie und konstruktive Wissenschaftstheorie'44, nel quale è altresl esposta la polemica coi dialettici (Habermas e la sua scuola)"'.
Un'ulteriore conferma della sistematicità con cui il costruttivismo ha affrontato il compito di una fondazione razionale della filosofia pratica si è recentemente avuta con l'estensione dell'idea di una fondazione cognitivo-normativa - in conformità al programma della scuola secondo il quale la filosofia pratica non è da intendere solamente come etica, ma deve comprendere anche le altre discipline pratiche - anche alle scienze dell'agire sociale come il diritto, la sociologia, la politica e l'economia. Il volume a cura di Jiirgen MittelstraR M ethodenprobleme der Wissenschaften vom ,;esellschaftlichen Hande/n"' mostra in concreto come e in che senso i costruttivisti intendano attuare questo programma. Di fronte all'oscurità in cui ancora rimane il rapporto tra le scienze sociali caratterizzate da un'autocomprensione prevalentemente empirica e una teoria critica della società poggiante su elementi sostanzialmente non empirici, bensi concettuali, nell'introduzione a tale volume si afferma significativamente che il costruttivismo si assume " il duplice compito che deriva da tale situazione, cioè l'analisi dei nessi di interazione sociale (sazia/e Wirkungszusammenhiinge) e l'elaborazione di sistemi fondati di fini e di regole d'azione » "'. Altrettanto chiara è la coscienza dei problemi: " Le difficoltà che si oppongono a una soluzione teoretica di questo duplice compito consistono attualmente soprattutto in una controversia metodologica ancora insoluta (da ultimo nella forma del cosiddetto Positivismus
streit n·ella sociologia tedesca) e, in stretta relazione sistematica con tale controversia, in un'oscurità di fondo a proposito del concetto di fondazione nella sua appli--,., lvi, 96-147 (M. LOOSER - R. LUSCHER - F. MACIEJEWSKI K. MENNE, Zur Kritik der praktischen Philosophie der Erlanger Schule).
14" Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1979. 147 lvi, 7.
82 FRANCO VOLPI
cazione a norme e a regole d'azione. In questa. situazione, una filosofia pratica che no? vuole essere m tesa solo in un senso ristretto come et1ca o come filosofia morale è chiamata a dare il suo contributo metodolog!Co · per il superamento delle difficoltà emergenti. Face_ndo questo, essa ritorna ad un tempo alla sua fun;mne classica di essere fondamento delle scienze del! agtre
sociale » '"· Nell'attuazione concreta d1 questi mtentl programmatici sono da rilevare espressameme alcum momenti di notevole mteresse teonco, co�e 1! fruttuoso colloquio con l'ermeneutica 149 o il tentat1v_o d1 neondurre l'economia nel contesto della filosofia J?ra;��a, offrendole in tal modo un fondamento normat1vo .
2 . 6. Le integrazioni di tradizione tedesca e tradizione anglosassone
A partire dagli anni sessanta la tradizione di f>ensiero anglosassone, in pa�ticolare la filosofi� anaJit!ca del linguaggio, ha trovato m Germama una d1ffusmne � un consenso sempre maggiori. Dalla profonda recez�on_e di tale tradizione di pensiero è stato tocc�to anche 1! dibattito sulla riabilitazione della filosofw pratica, nel quale, tuttavia, a differenza di quanto è avvenuto nel campo dell'epistemol?gi:', la tendenza p�edommante non è quella di un' assim!lazmne pressoche_ mcondlZI�nata bensf quella di un'integrazione delle 1stan�e d1 ��- . gore' e razionalità scientifica provenienti dalla filosofia analitica con elementi tipici della tradlZione filosofica tedesca non da ultimo per l'insoddisfacente quad�o metoddiogico offerto dall'etica analitica: L.'•.�semjJio più significativo di tale tendenza mtegrat1va e rappresentato dal connubio dell'utilitarismo e Josofia analitica col pensiero kantlano, d1 cm sono
, •• Jbid. . . ��9 T l'i, 1 t-296 ( « Pragm8tische Hermeneuttk und prakttsches
sen ,·) . . ' . h w· l •>o lvi, 297-454 ( « Okonomie und prakttsc es tssen » •
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 83
te ricordate sopra alcune fasi. Gli autori anglosassoni maggiormente discussi nell'ambito della filosofia pratica sono Hare, Rawls, Singer, Frankena, von Wright. Tra gli studi tedeschi più rilevanti per un'integrazione di tradizione tedesca e tradizione anglosassone sono da ricordare - oltre ai lavori già citati di Gùnther Patzig e di Annemarie Pieper'" - le ricerche di Norbert Hoester'", di Hans-Ulrich Hoche'"" e di Jngrid Craemer-Ruegenberg'". Anche Manfred Riedel, del quale sono stati esaminati in precedenza i contributi filologici a una ricostruzione della tradizione della filosofia pratica, è andato approfondendo in direzione sempre più sistematica le proprie indagini sulla filosofia pratica, sondando la consistenza metodologica del connubio da lui proposto di tradizione ermeneutica e tradizione analitica 154•
Un'interessante integrazione di tradizione tedesca e tradizione anglosassone è rappresemata dalla pragmatica trascendentale elaborata da Karl-Otto Ape!'" sulla base di una trasformazione del trascendentalismo kantiano, nella quale si dimostra come la struttura a priori della comunicazione possa fornire il fondamento di
. un'etica · intersoggettivamente valida. Secondo Ape!,
1 5 1 Cfr. sopra § 1 .2. ' ' ' Utilitaristt'sche Ethik und Verallgemeinerung, Freiburg i . Br.
-Miinchen, Alber, 19772• 1 5�" Elemente einer Anatomie der Verpflichtung. Versuch einer logi
schen Grundlegung der Praktischen Philosophie (di prossima pubblicazio� ne). (Ho potuto esaminare questo testo nella versione xerocopiata [1977].)
1 53 Moralsprache und Moralitiit. Zu Thesen der sprachanalytischen Ethik. Diskussion, Kritik, Gegenmodell, Freiburg i. Br. - Miinchen, Alber, 1975.
154 Un primo frutto dello sviluppo sitematico che Riedel ha conferito alla propria ricerca è il trattato pubblicato in italiano Lineamenti di etica comunicativa, Padova, Liviana, 1980. Per una valutazione generale del contributo di Riedel alla riabilitazione della filosofia pratica nel contestodel dibattito filosofico tedesco di questi ultimi anni cfr. M. RIEDEL, Norm und We1·turteil, Stuttgart, Redam, 1979.
1 55 Transfarmation der Philosophie, 2 Bde., Frankfurt a. M. , Suhr-1973 (trad. it. parziale di G. CARCHIA a cura di G. V ATTIMO,
•---��';���·:i e comunicazione, Torino, Rosenberg & Sellier, 1978); Sprach-:i--_, und Philosophie, hrsg. von I<.-0. APEL, Frankfurt a. M., Suhr-
1976.
84 FRANCO VOLPI
ogni uomo non solo appartiene di fatto alla comunità reale di comunicazione rappresentata dal genere umano, ma possiede inoltre una competenza critica in relazione alla comunitiì ideale di comunicazione, in virtù della quale in ogni processo argomentativo e comunicativo vengono presupposti e valgono due principi regolativi che .determinano le strategie d'azione: (a) in ogni àgire si tratta di assicurare la sopravvivenza del genere umano come comunità reale di comunicazione; (b) in ogni agire si tratta di realizzare nella comunità reale la comunità ideale di comunicazione. Su questa base Ape! mostra poi come nell'interazione argomentativa e comunicativa determinate norme debbono sempre essere riconosciute e presupposte quale premessa pragmatico-trascendentale per la giustificazione, la legittimazione o la deduzione delle norme etiche, in modo tale che la struttura stessa a priori dell'argomentazione discorsiva, orientata sul modello della comunità ideale di comunicazione, viene vista come il possibile fondamento della validità intetsoggettiva delle norme etiche fondamentali o del principio base di un'etica norrnativa156 •
La pragmatica trascendentale di Ape! presenta numerose affinità con la pragmatica universale di Habermas. Come quest'ultimo, Ape! distingue la pragmatica empirica - come ad esempio la teoria chomskiana della competenza linguistica - dalla pragmatica trascendentale, cioè dalla teoria della competenza comunicativa, la quale soltanto sarebbe in grado di fondare su un piano intersoggettivo e universale la validità dei principi etici normativi. Mentre infatti la competenza linguistica può essere relativizzata nella riflessione, la competenza comunicativa, cioè il poter fare riferimento nell'interazione comunicativa reale alle regole della comunità ideale di comunicazione, si rivela essere un fondamento pragmatico-trascendentale insormontabile.
!H Cfr. K.-0. APEL, Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft und die Grundlagen der Ethik, in APEL, Transformation der Philosophie ci t., II, 358-435.
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 85
Ora, Ape! concepisce la fondazione ultima delle norme morali in termini di pragmatica trascendentale e vede nella pragmatica universale di Habermas la mediazione e il passaggio dalla propria fondazione trascendentale alle cosiddette scienze sociali critico-ricostruttive. Col porre l'accento, contro Habermas, sul momento trascendentale, Ape! non intende mettere in dubbio che con la competenza comunicativa venga di fatto presupposta nell'interazione discorsiva la norma etica fondamentale - come Habermas sostiene -, ma vuole solamente rilevare come questo stato di cose, designabile come « il fatto della ragione , , non significhi ancora la fondazione definitiva della normatività dell'etica.
Ape!, come la fondazione della validità dell'imperativo categorico viene sostituita in Kant dalla spiegazione metafisica del fatto di tale imperativo, cosi in Habermas la fondazione della normatività viene sostituita mediante il ricorso a un fatto, sociologico, al fatto, cioè, che nell'interazione discorsiva viene presupposta la norma etica fondamentale. In altre parole, mentre Habermas rinvia alla competenza comunicativa come a una competenza discorsiva eticamente rile
. yante, Ape! sottolinea invece come ogni partecipante ll'i1ntE:razicme discorsiva e comunicativa, nella misura
in cui il suo agire è sensato, deve avere necessariamente · · le norme di una situazione discorsiva cioè le norme della comunità ideale di comuni
C����:d�c�o��m�e�t�p��ossibilità della realizzazione dei carat
teri della comunicazione stessa, vale a di-comprensibilità ( V erstiindlichkeit) ," veracità ( W ahr
haftigk eit) , verità ( Wa h rheit) ed e sattezza (Richtigkeit). Cosi, la validità di determinate regole etiche si rivela essere la condizione della possibilità del
comunicazione e, nella misura in cui la competenza comumi·, :ativa viene . considerata come struttura trascendentale a priori, tali regole risultano fondate in quanto non sono negabili senza contraddizibne né so
deducibili senza petitio principii. In altri termini, se la situazione argomentativa è insormontabile per
FRANCO VOLPI
ogni soggetto di norme e se (b) la validità di determinate �orme è condizione della possibilità di un'argomentaziOne sensata, allora è possibile mostrare secondo Ape] che (c) ogni possibile soggetto di norme deve avere necessan�mente riconosciuto determinate noFme fonda.me':'t�h. In tal modo sarebbe possibile garantire la vahdlta mtersoggett!Va de1 prmcipi etici fondamentali. Merita�o infine rilievo nel contesto della recezione della tradlZlone anglosassone i lavori di Otfried Hòffe del quale è già stato esaminato il contributo a una ri: presa del mode�l,o aristotelico di filosofia pratica, sviluppato,. come s. e visto, m base all'esigenza di integrare la tradlZl�:me anstotehca con la tradizione trascendentale kannana. In una serie di studi successivi recentemente nelaborati e riuniti nel volume E thik �nd Poli
ttk: Grundmodelle und -probleme der praktischen Phtlosophze'", Hoffe ha sviluppato in maniera sistematica l'esigenza di vagliare - di fronte alla diffusione del nn�ovamento della filosofia pratica - la competenz� cnt1co-normat1va della riflessione filosofica in relazwne m.problemi dell'agire etico, sociale e politico. A questo f1�� e�h ha n�o�mnto la struttura razionale dei modelli pm �IgmficatiVI d1 filosofia pratica, sia di quelli or�m das�ICI (Aristotele, Hobbes, Kant, Bentham, Mdl), Sia d1 quelli emt;r�I dal dibattito più recente (dectston theory, costruttiVIsmo, teoria critica) , conciliando ed mtegrando con abilità la tradizione dassica e le IStanze moderne? la discussione anglosassone e quella tedesca. Il contnbuto sistematico più rilevante che in r questo senso, Hi:iffe ha fornito alla riabilitazione d�lla filosofia pratica è rappresentato dal trattato Strategien der Humamtat. Zur Ethik offentlicher Entscheidungspro_zesse'", nel quale egli prende le mosse dalla consta tazwne della Situazi�ne di stalla, caratteristica dell'epoca moderna, che SI e venuta a formare in seguito alla
::: Fra�kfur� a, -M. , Suhrkamp, 1979. Fre1burg 1. Br.-Miinchen, Alber, 1975.
LA RINASCITA DELLA FlLOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 87
separazione machiavelliana di etica e politica. Se, da un lato, tale rigorosa separazione di ambiti introdotta da Machiavelli sembra apportare un vantaggio metodologico rilevante per il progresso delle rispettive discipline (etica e politica) , essa ha come conseguenza, dall'altro, la divisione della filosofia pratica in una tecnica politica e in una teoria della morale impermeabilmente distinte fra di loro. Di conseguenza, le analisi nonnative di intenzioni morali perdono qualsiasi conrtessione con la filosofia politica e la moralità, bandita dall'ambito del politico, viene ridotta alla sfera del privato e dell'interiorità; altresi la politica, moralmente neutralizzata, si trova ad essere irrazionalmente fondata sul residuo insoluto del potere-dominio (Machiavel-li) o dell'autoconservazione (Hobbes) . .JI
A partire, dunque, da questa constatazione della separazione moderna di etica e politica, Hi:iffe intende contribuire alla ricostruzione delle premesse necessarie per la realizzazione del collegamento tra questi due ambiti, indagando in particolare le condizioni necessarie per l'articolazione razionale della vita politica in situazioni decisionali e nelle condizioni tipiche del contesto politico contemporaneo. Tre sono secondo Hi:iffe i fattori che caratterizzano la dinamica decisionale nell'ambito moderno del politico: razionalità, umanità e pluralismo. Razionalità, perché a differenza delle società precapitalistiche e paleocapitalistiche, in cui le forme della vita pubblica e politica sono fondate sull'etica del " costume , e della " tradizione », negli stati ad avanzato sviluppo industriale i momenti della vita politica e sociale perdono la capacità di legittimarsi in virtù di un collegamento con un conglomerato di costumi e di tradizioni, e vengono invece sottoposti all'istanza di controllo della pianificazione e della previsione razionale. Umanità, perché il controllo e la pianificazione razionali non costituiscono dei fini in sé; la razionalità che li permea e li sostiene è infatti una raZionalità « ristretta )) ' strumentale, incapace di costituire autonomamente dei fini. L'esplicazione di tale ra-
88 FRANCO VOLPI
zionalità tecnico-scientifica, dunque, non è che un mezzo per la realizzazione del fine o, meglio, dei fini della vita sociale e politica. Questi ultimi possono esse-. re designati in base a quell'istanza tradizionalmente definita come « umanità » , la quale, se intesa genericamente come principio regolativo formale, può inglobare le diverse rappresentazioni concrete del bene (felicità, benessere, emancipazione, giustizia ecc. ) . L'istanza di umanità funge cosi da istanza di controllo della razionalità tecnico-strumentale, cui essa, pertanto, viene preposta di diritto. Pluralismo, perché fini e mezzi per la realizzazione dei fini sono tutt'altro che oggetto univoco e universale di riconoscimento da parte di tutti; la stessa idea di umanità è ben lontana dall'essere riconosciuta valida nei suoi contenuti all'unanimità, valendo universalmente, semmai, solo come istanza regolativa. Il pluralismo, tuttavia, che caratterizza sia la diversità degli interessi materiali, sia la molteplicità delle rappresentazioni dei fini, sia infine la varietà dei mezzi ritenuti opportuni per la realizzazione dei fini prescelti, costituisce l'istanza ragionevole sulla cui base è possibile la formazione di un consenso in situazioni decisionali politiche.
Nello spazio che l'articolazione e l'intersezione reciproca di queste tre istanze demarcano, HOffe ricava le condizioni della normatività politica, individuando la struttura di quei processi decisionali riconducibili alla denominazione di << strategie di umanità » , con cUi non sono da intendere strategie di legittimazione, di giustificazione o di fondazione, bensi strategie di decisione e di applicazione di principi umani. A differenza delle teorie della decisione razionale, Hi\ffe sostiene, mediante una dettagliata critica dell'etica utilitaristica, che i processi decisionali orientati sull'idea di umanità non sono una questione di informazione e di calcolo dei vantaggi, bensi un problema di comunicazione. Con ciò egli si riallaccia, in contrapposizione critica alle teorie della decisione razionale e all'etica utilitaristica prevalenti nell'ambito della discussione anglosasso-
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 89
al dl.battito tedesco costituitosi in seguito alla riabine, l l ' . . litazione della filosofia pratica, _ne. 9ua e e posta m pn-rno piano la teoria della comumca�wne r�zwna�e. Tale dibattito è caratterizzato da d1vers1 cont�JbutJ: l 1dea d1 una società aperta di Popper .e d1 �lbert, il modello della consultazione transoggett1va d1 Lorenze1_1, Schwem-
r e Kambartel la trasformaziOne della filosofia trarn:ndentale alla ]�ce del concetto di comunità ideale di ��municazione di Ape! e, infine, la teoria della competenza comunicativa di Habermas. Recel'endo l� Jstanz_e più significative emergenti da tal7 dibattito? Hoffe designa la propria teoria dell� declSlone razwnale. c01_ne " kommunikative Entsche1dungstheo�1e ». Egh . m1ra con ciò a una teoria per la realiz�azwne d1 pnnc1p1 umani nel contesto decisionale pohuc'?, tene�do ben fermo, a evitare l'eufemistica e semphcJstJca ndupon� dell'umanità alla razionalità, che i processi decJSJO�ah fondati sulla comunicazione e sul consenso plmahst1�0 possono si essere razionalizzati, ma che tale �azl'?nahzzazione non costituisce di per sé una garanzia d1 �manità bensi solo una possibilità per reahzzarla: raziOnalità � plmalismo sono condizioni necessane� ?'� non ancora sufficienti di umanità. L'idea d1 umamta, Istanza centrale della teoria comunicativa di Ho�fe, con la quale egli intende soggiogare la strm_nent�hta e la convenzionalità della ragione tecmco-scJentJfJca, funge d� principio regolativo - non operativo � in gr�do di ncomporre etica e politica in ur�a filosofia pratiCa dotata
· di competenza critico-normativa.
3. Considerazioni conclusive
La larga diffusione e i numerosi consensi ch,e la rinascita della filosofia pratica ha ottenuto non�he �l crescente interesse che essa ha risvegliato m ambito filo�ofico per i problemi dell'etica, della società e della pohtlca - pur avendo contribuito in mamera determmante a,l chiarimento del carattere particolare della razwnahta
90 FRANCO VOLPI
dell'ambito pratico e del discorso ad esso relativo - non hanno significato ancora il riconoscimento del carattere normativa che la riabilitata filosofia pratica rivendica nei confronti delle scienze sociali.
In concomitanza del rinnovamento della filosofia pratica, che ha visto la ripresa ora di Aristotele e ora di Kant, e che è stato contraddistinto dalle polemiche e dalle alleanze delle maggiori scuole filosofiche della Germania d'oggi, si è sviluppata altresi una discussione metodologica nella quale ci si è interrogati sul senso di tale rinascita, ora per affermare l'esigenza di un'articolazione e di una differenziazione più precisa dei momenti di tale ripresa, ora per opporre ad essa argomenti e ragioni che, pur riconoscendo la validità degli intenti programmatici in essa affermati, ne mettono in luce l'obsolescenza delle soluzioni.
C'è, ad esempio, chi ha messo in dubbio che la filosofia possa avanzare una competenza normativa nell'ambito pratico'"; qualcun altro ha osservato che col termine " filosofia pratica » vengono intese e designate cose troppo diverse e disparate, perché si possa parlare per essa di una " riabilitazione » chiaramente definita e, di conseguenza, si è preferito considerare tale " rinascita » come la ripresa di vecchie problematiche in relazione agli interrogativi di oggi'"; c'è pure chi ha visto o ha creduto di vedere nel dibattito intorno alla filosofia pratica una ripresa della vecchia questione dei rapporti tra teoria e prassi'" . Questa stessa prospettiva, secondo la quale nella discussione sulla rina-
159 Ch. WILD, Skeptischer Einspruch gegen die Rehabilitierung der praktischen Philosophie, �' Philosophisches JahrbuCh " • LXXXI (1974), 237-246.
160 R. BUBNER, Bine Renaissance der praktischen Philosophie, " Philosophische Rundschau », XXII (1975), 1-34. 1 6 1 H.-J. WERNER, Positionen und Probleme der praktischen Philosophie, in " Philosophischer Lìteraturanzeiger "• XXXII (1979), 189-198. Il problema del rapporto tra teoria e prassi è stato sino a qualche anno fa al centro delle discussioni filosofiche neomarxiste in Germania, soprattutto per opera di Habermas; tale tema, tuttavia, è stato dibattuto con particola� re vivacità anche in relazione alla ripresa di Hegel (cfr. M. RIEDEL, Theo�ie Ul!d Praxis im Denken Hegels, Stuttgart-Berlin-Ki:iln�Mainz, Kohlham-
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 91
scita della filosofia pratica è in gioco soprattutto la relazione tra teoria e prassi, è stata altresi utilizzata come occasione per una più sottile e differenziata critica della ripresa di tale tradizione, la quale avverrebbe m un contesto quasi esclusivamente « metateorico » ; pertanto in alternativa alle diverse metateorie nate con la riabiÙtazione della filosofia pratica, viene proposta una riflessione " essenzialistica , su alcuni momenti fondamentali della storia della filosofia pratica (Aristotele, Hegel, Marx), per evidenziare ancora una v<_>lta l'origi� naria ampiezza del concetto aristotelico di agire nei confronti delle restrizioni che esso subisce in epoca moderna, soprattutto con Marx"'.
Segno ulteriore della profonda incidenza della riabilitazione della filosofia pratica è il fatto che - oltre a queste prese di posizione e a questi giudizi critici - tale fenomeno è stato fatto oggetto di analisi, di panoramiche e pure di esposizioni introduttive ampie ed articolate. Peter Baumanns, ad esempio, ha compilato un'introduzione generale alla filosofia pratica e ai problemi da essa sollevati"', nella quale egli distingue quattro possibili tipi di filosofia pratica: (a) una filosofia dell'azione di carattere antologico, in cui la determinazione dell'ambito pratico e del sapere ad esso relativo verrebbe intrapresa sulla base di presupposizioni antologiche; tale posizione, presente in misura e in modi diversi in Platone, in Aristotele, in Hobbes, in Spmoza e
mer 1965 ed tasc. Frankfurt a. M.-Berlin�Wien, U!lstein, 1976; - M. THÈUNISSEN, Die Verwirklichung der Vernunft. Zur T�eorie�Pr�:xisDiskussion im Anschlufl an Hegel, " Philosophische Rundschau >>, Be1heft 6, Tiibingen, Mohr, 1970; R. BUBNER, Theorie und Praxis. Bine nachhe� gelsche Abstraktion,Frankfurt a. M., Klostermann, 1971).
1 6 � A. BARUZZI, Was ist praktische Philosophie?, Miinchen, Vi:igel, 1976. Alla riabilitazione della filosofia pratica, mediante il recupero della tradizione del pensiero politico classico, Baruzzi ha contribuito con a.�tri studi come gli articoli Platon e Aristoteles, in Politische Denker I, Munchen, Bayerische Landeszentrale fiir politische Bildungsarbeit, _1977',· 22_-32 e 33-45, e la nota Aristate/es und H egei vot dem Problem emer prakttschen Philosophie. Ein Aufrifl, « Philosophisches Jahrbuch "• LXXXV (1978), 162-166.
' 6 1 Einfiihrung in die praktische Philosophie, Stuttgart-Bad Cannstatt, 1977.
92
in Hegel, viene tuttavia respinta come insostenibile V: e�gono. riten�te invece praticabili: (b) la concezion� d1 filosofia pratica come saggezza nel senso aristotelico di phr6nesis, (c) 1:' �oncezione di filosofia pratica come filosofia naturalistJco-prasseologica dell'azione (per certi aspetti Hobbes, Locke, Rousseau, ma anche Habermas? Ape! e il cost�uttivismo) e, infine, (d) la conceZIOne d1 filosofia pratica come filosofia dell'azione intes,a �ome pr�sseologia non naturalistica (Kant, Fichte e · l esistenzialismo). In queste quattro posizioni, in base alle. quali Baumanns organizza il proprio quadro del va�Iegaro panorama della filosofia pratica, sarebbero pOI m gioco sostanzialmente due istanze fondamentali · contrapposte, e cioè l'istanza trascendentale, in base alla .quale solo una ragione pratica pura è in grado di sussistere autonomamente, e l'istanza empirica in base alla quale la filosofia pratica può essere efficac� solo se f�ndat� �u radici naturalistiche. Baumanns stesso tenta d1 conCiliare queste due istanze con una propria " teon� tr�scendentale della performanza " , nella quale egli SI ISpira soprattutto alla quarta delle concezioni di filosofia pratica da lui delineate, per sottolineare " il primato dell'illocuzione o della performanza sulle proposizioni » 1 64•
A un atteggiamento profondamente scettico nei conf�onti delle pretese e delle possibilità normativoc'?gmtive della filosofia pratica si ispira invece il lavoro d1 W alter Golz1", il quale costituisce anch'esso in sostanza, un'ampia analisi critica dei diversi te�tativi operati in Germania nel contesto della rinascita del!� filosofia pratica, di fondere razionalmente con l'aiuto di teorie etiche gli orientamenti morali dell'agire umano. Alla base dell'atteggiamento scettico di Golz sta una rigorosa appropriazione dello " scientismo , weberian,o, in particolare del principio dell'avalutatività, in v1rtu del quale vengono respinte le pretese di fonda-
164 lvi, 105.
C 165 Begriindungsprobieme der praktischen Philosophie Stuttgart-Bad
annstatt, 1978. '
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 93
re rigorosamente la razionalità normativa e vengono assegnati alla ragione pratica limiti strettamente definiti. Tali limiti, secondo Golz, non vengono rispettati nella riabilitazione della filosofia pratica, soprattutto da parte del costruttivismo di Lorenzen e della Scuola di Erlangen, da parte della teoria critica di Habermas, ma anche da parte dello stesso razionalismo critico di Popper e Albert (che pure si rifanno, in realtà, a Max Weber). In contrapposizione alle pretese normativisti
. che Golz fa valere un'istanza di controllo razionale me' no forte, ma conscia dei propri limiti, la quale assegna alla ragione pratica funzioni di analisi e di verifica degli elementi costitutivi dell'ambito pratico. Tali funzioni consisrono, ad esempio, nella valutazione critica degli argomenti alla luce dei quali vengono prese le decisioni, nell'indagine razionale dei sistemi di norme e di valori storicamente riconosciuti, nell'analisi dei rapporti tra ricerca comportamentale, antropologia ed etica, e nell'elaborazione di una " logica della plausibilità " • orientata sul modello topico-dialettico d'origine aristotelica, quale metodo dell'argomentazione razionale.
Esattamente opposta alla tesi di Golz è la convin-" zione che sta alla base della discussione critica e della panoramica sulle diverse concezioni di filosofia pratica offerta da Annemarie Pieper166• Secondo quest'ultima, sia nella metaetica anglosassone (Moore, Stevenson, Ayer), sia nelle principali posizioni emerse dal dibattito tedesco sulla filosofia pratica - in particolare vengono prese in esame le teorie normativa-discorsive di · Schwemmer e di Habermas, la teoria interdisciplinare di Lenk, quella dialettica di Schulz, nonché le tesi rivoluzionarie di Marcuse -, la ragione pratica viene fondata r,wn su basi etiche, ma su basi pragmatiche, in quanto m tutte queste posizioni citate si presuppone che determinate procedure di verifica della validità effettiva o normativa di regole di comportamento e d'azione pos-
• '66 Pragmatische und ethische NormenbegrUndung. Zum Defizit an eth_tscher.Letztkegriindung in zeitgenOssischen Beitréigen zur Moralphilosophw, Fre1burg 1. Br.-Miinchen, Alber, 1979.
94 FRANCO VOLPI
sano fornire criteri per l'orientamento morale dell'agire. La Pieper, invece, mostra come la normativa etica può essere fondata soltanto mediante il ricorso trascendentale a un principio ultimo, come ad esempio il criterio del buon vivere (Aristotele) o quello della liber-
� tà (Kant). Lo sforzo sistematico più recente inteso non solo a
dare un quadro complessivo dei risultati più rilevanti della discussione intorno alla filosofia pratica, ma anche ad approfondirne i temi e i momenti più importanti, è senz' altro costituito dal ciclo di discvssioni promosso da Willi Oelmiiller a Paderborn nel 1976, 1977 e 1978, nel quale specialisti delle principali discipline afferenti all'ambito delle scienze umane hanno trattato del problema della competenza normativa della ragione nell'ambito del vivere e dell'agire morale, sociale, giuridico e politico, in relazione alla progressiva perdita di efficacia della strategie e delle procedure di fondazione e di giustificazione razionalmente vincolanti di norme e valori .. Tali discussioni si sono snodate intorno a tre complessi di problemi, vale a dire la fondazione trascendentale di norme167, la giustificazione e il riconoscimento di norme168, la relazione tra norme e storia 169• A tale ciclo di discussioni promosso da Willi Oelmiiller hanno preso parte quasi tutte le scuole e i filosofi più significativamente coinvolti nel dibattito sulla riabilitazione della filosofia pratica: il costruttivismo, rappresentato da Friedrich Kambartel; la teoria
1 6 1 Materialien zur Normendiskussion 1 : Transzendentalphilosophi� sche NormenbegrUndungen, hrsg. von W. OELMÙLLER, Paderborn, Schòningh, 1978.
1 6 1 Materialien zur Normendiskussiqn 2: NormenbegrUndung -Nm·mendurchsetzung, hrsg. von W, OELMULLER, Paderborn, SchOningh 1978. '
169 Materialien .�ur Normendiskussion 3: Normen und Geschichte, �rsg. von W. OELMULLER, Paderborn, SchOningh, 1979. Si vedano, infme, ·sempre del gruppo di ricerca di Paderborn: Philosophische ArbeitsbUcher .1 . Diskurs: Politik, hrsg. von W. OELMULLER, R. DÙLLE, R. PIEPMEIER, Paderborn, Sch6ningh, 1977; Philosophische ArbeitsbUcher 2. Diskurs: Sittliche Lebensformen, hrsg. von W. OELMULLER, R. DO L-LE, R. PIEPMEIER, Paderborn, SchOningh, 1978.
.
95 LA RINASClT A DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA
· critica sviluppata nel senso della pragmatica universale rappresentata da Jiirgen Habermas; la pragmatlca tr�scendentale, rappresentata da Kari-Otto Ape!; le diverse posizioni emerse dalla scuola di J oachim Ritter, come quelle di Hermann Liibbe, di Odo Marquard o dello stesso Willi Oelmiiller; il neotrascendentahsmo, rappresentato da Hermann Krings e, in parte, dal suo allievo Otfried Hoffe; la poslZlone anahtlca, sostenuta da Norbert Hoerster.
Se ora, di fronte alla molteplicità delle prospettive secondo le quali l'idea di filosofia pratica è stata proposta realizzata e pure criticata, deve essere tentato un bil�ncio, necessariamente provvisorio, dei risultati cui essa ha condotto, è da dire che - nonostante la mancanza di una convergenza e di un'unità profonda - essa ha indubbiamente contribuito quanto meno a risollevare in ambito filosofico un consistente interesse per i problemi della morale, della società e della p�litica; con ciò essa ha riproposto, ad un tempo, anche 1! problema della competenza critico-normativa della ragione in tutti quegli ambiti del sapere pratico in cui l'eleva' to sviluppo disciplinare delle singole scienze umane ha prodotto - accanto ai risaputi vantaggi - anche un_a " crisi dei fondamenti » e un depauperamento m mento ai criteri complessivi per l'orientamento normativacognitivo dell'agire.
Cosi, se può essere a buon diritto osservato che la riabilitazione della filosofia pratica è un fenomeno legato in maniera specifica al contesto culturale tedesco, in cui tale disciplina vanta nel passato anche non molto lontano la presenza di una considerevole tradizione, è anche vero, tuttavia, che la filosofia pratica può esibire ragioni sistematiche e motivi di interesse che la rendono rilevante anche là dove essa è stata meno presente o non lo è stata affatto.
Le ragioni di questo rilievo generale della filosofia pratica e delle istanze che essa h� �vanzato sono da mtra vedere appunto in quella « cns1 de1 fondamenti » m
cui le scienze sociali e umane sono state coinvolte in ra-
1'':
96 FRANCO
gione del loro sviluppo disciplinare, orientato per lo più sull'idea di razionalità propria del sapere tecnicoscientifico, nel quale sviluppo esse hanno perso la connessione sistematica fra di loro e con i loro fondamenti.
Questo fenomeno non è poi che un aspetto di quella generale crisi della ·razionalità, individuabile in una perdita di competenza critico-normativa da parte della ragione, la quale lia trovato fondata analisi e brillante denuncia - per vie e da prospettive ognora diverse - in opere divenute ormai classiche come La crisi delle scienze europee di Husserl o Eclisse della ragione di Horkheimer. Il diffondersi nella cultura e nel pensiero contemporaneo di una sfiducia nelle possibilità critiche della ragione e il manifestarsi di forme sempre più incalzanti di irrazionalismo sono consequenziali, da un lato, all'impotenza normativa della razionalità pratica e, dall'altro, alla riduzione della razionalità teoretica alla razionalità strumentale di tipo tecnico-scientifico.
Ora, la rinascita della filosofia pratica in Germania, anche se nata sul terreno di una tradizione specifica di tale paese, ha non solo riproposto il problema sistematico della competenza normativa della ragione pratica, ma anche avanzato, ad un tempo, l'esigenza di ripristinare la razionalità nell'integralità delle sue funzioni e delle sue possibilità, salvandola dagli esiti strumentalistici cui la scienza e la tecnica inevitabilmente l'hanno condotta. Inoltre, la riabilitazione della filosofia pratica ha rinviato con indicazioni precise ai modelli storici (soprattutto ad Aristotele e a Kant) e sistematici, in direzione dei quali è opportuno rivolgersi per ristabilire le competenze della ragione teoretica e della ragione pratica nella loro integfalità.
In questo senso, allora, le istanze sollevate dalla rinata filosofia pratica assumono un interesse e un rilie-· vo di carattere internazionale, presentandosi con particolare urgenza là dove, come negli stati ad elevato sviluppo industriale, i successi della ragione tecnicoscientifica hanno condotto alla perdita della connessione sistematica tra i diversi momenti della vita e dell'agi-
LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 97
re individuale sociale e politico, e del sapere ad ess.i relativo, dando 'origine a forme sempre più diffuse di irrazionalismo.
ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA
·di Carlo Natali''.
Il pensiero politico di'Platone e Aristotele si presenta a noi sotto il segno di una differenza profonda, rispetto ai nostri interessi ed alle nostre discussioni: mentre noi, dall'inizio dell'età moderna, e cioè dalla nascita della 'scienza politica' con Machiavelli ed Hobbes, abbiamo il problema del metodo delle scienze che hanno per oggetto il vivere sociale dell'uomo, e del rapporto tra questo metodo e quello delle scienze fisico-matematiche' , Platone e Aristotele si pongono un interrogativo diverso. Essi volevano infatti individuare quale fosse il tipo di sapere adatto al politico che agisce concretamente all'interno della città.
Si aveva allora una minore complessità di figure: noi siamo abituati a distinguere il politico pratico dallo scienziato della politica (ad esempio Bismarck da Max
·weber e Pareto) , e recentemente ci siamo abituati pure a inserire tra i due la figura del 'politologo', personaggio a metà tra il commentatore giornalistico degli eventi della settimana, e lo scienziato che elabora schemi in-
*n presente testo riassume, in forma semplificata, le conclusioni di alcuni studi sul metodo del sapere politico e dell'economia aristotelica, nonché sulla posi:done storica della scuola di Aristotele nell'Atene del IV secolo a. C., in corso di pubblicazione. In essi si potranno trovare un'indagine testuale e delle indicazioni bibliografiche più complete.
t Molto chiaro il panorama delineato da G.H. v. WRIGHT, Spiegazione e comprensione, tr. it. Bologna, Il Mulino, 1977, cap. l .
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100 CARLO NATALI
terpretativi e quadri di riferimento più generali. A questi si aggiunge poi il filosofo di professione, o chiunque gli corrisponda, a preoccup_arsi ?elle questioni di metodo. Per i Greci, al contrano, c erano solo 1l cJttadm? dotato di diritti politici, che agiva nell'assemblea, gmdato da una sua razionalità e un suo sapere, e il filosofo che aveva il compito di educare al buon tipo di sape�e questo cittadino. La filosofia politica antica, per questo, tende ad identificarsi colla progettazwne d1 una città ben ordinata, in quanto tale progetto può servire così sia come guida all'azione concreta, che come parametro con cui giudicare l'orga?izzazione della pr?: pria città e delle altre, d corso degh eventi, e le possJbih trasformazioni costituzionali subite dalle città nella loro storia. Lo stesso problema delle leggi del succedersi ciclico delle forme di costituzione viene inserito in questa problematica, ed ha rispetto ad essa una funzione subordinata.
Da ciò un'ulteriore differenza rispetto a noi, anche nel modo di giudicare le varie strutture politiche e i valori morali. Tipicamente, nel mondo moderno prevalgono i problemi di legittimazione, cioè quelli riguardanti i modi attraverso i quali un ordmamento pohuco è giudicato degno di essere riconosciuto' dalla popolazione che lo vive ed opera al suo mterno, senza ncorrere a criteri di giudizio di ordine superiore; invece per i Greci il problema dello stato legittimo tende a confondersi con il problema dello stato buono m assoluto, e solo fino ad un certo punto può essere distinto. Se l'intento dei filosofi antichi era quello di educare il cittadino a pensare bene, è stato giustamente notato' che tut: ta la loro riflessione e in particolare quella pohuca, SI
_ pone prima della dis�inzione tra giudizi di fatto e giudi-
2 J. HABERMAS, Problemi di legittimazione nello stato moderno, in: Per la Ticostruzione del materialismo storico, tr. it..Milano, Etas Kompass, 1979, 207.
3 E. BARKER, The politica l thought of P lato and Aristotle, Lonà<m, Methuen, 1906; New York, Dover, 1959'.-
ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA l 0 l
zi di valore. Infatti, come in sede logica Aristotele insegna il buon modo di costruire un sillogismo, come in biologia si insegnano le caratteristiche proprie dei vari animali considerati nel loro aspetto migliore (cioè si studieranno le caratteristiche del bue perfetto come bue, e non casi mostruosi), così etica e politica studieranno in linea di principio il buon comportamento del buon cittadino, e l'organizzazione della buona p6lis come condizione essenziale per vivere una vita buona.
Sia quella moderna che quella antica sono, in prima approssimazione, delle forme di metadiscorso politico, in quanto vogliono stabilire la natura del sapere politico, il suo status epistemologico, e la natura dei principi o delle leggi delle quali si serve; ma cambiano sia l'oggetto del metadiscorso (che per i Greci è più vicino alla prassi di quanto non sia per noi la scienza politica), sia i 'destinatari' di esso. Ciò non significa immediatamente che, come molti critici hanno ritenuto', il pensiero greco non facesse che stravolgere la purezza metodo logica delle 'scienze politiche', applicando ad esse dei principi morali estrinseci alla trattazione scientifica: tale giudizio presuppone appunto come già costituita una distinzione tra ·'scienza politica' e 'teoria morale' che qui non c'è ancora; c'è invece una concezione del sapere politico che è differente dalla nostra,
· originariamente. Nel vocabolario aristotelico, è la dialettica che studia i modi di argomentare intorno ai principi di una scienza 5, mentre la capacità di giudicare sul metodo di un discorso, se cioè il discorso vengà condotto bene o no, è compito della paidéia o cultura generale'; esistono quindi un livello di sapere politico concreto, che sta davanti alle singole scelte pratiche
4 La lista sarebbe vastissima: ci limitiamo a citare, tra i più facilmente reperibili, M. DUVERGER, Metodi della scienza politica, Milano, Etas Kompass, 1969; H. LASSWELL e I. KAPLAN, Potere e società, Milano, Etas Kompass, 1969; G. SARTORI, Introduzione, in: Antologia di scienza politica, a cura di G.S. , Bologna, Il Mulino, 1970.
5 Top. I 2, 101b 6. 6 De gen. anim'it]�-����:''t2rf�;:��::�J·�: e:}: ':;' ;
102 CARLO NA TALI
(es. : fare o no la guerra a Sparta; comportarsi m un modo o in un altro in questo o in quel caso), e poi delle trattazioni generali impartite nella scuola del filosofo, sul metodo e sui principi delle decisioni. Queste hanno il compito di mostrare ai cittadini come utilizzare bene il livello di sapere e di decisione a loro disposizione, chiarendo anche il tipo di razionalità impegnata (non avalutativamente, in senso weberiano, ma nel senso sopra detto) . Tutti i discorsi sull'interesse del pensiero antico per noi devono tenere conto di tale disomogeneità dei termini antichi del problema, rispetto ai nostri, ed ogni confronto che si voglia impostare dovrà introdurre variabili apposite per rendere la comparazione non insignificante.
Solo alcune frange della tradizione marxista moderna hanno ritenuto di potere superare le distinzioni qui indicate: pensiamo soprattutto a quelle forme di marxismo più rigidamente dogmatico, nelle quali si riteneva che il capo politico, sull'esempio di Lenin, fosse anche il massimo teorico vivente, e realizzasse in modo visibile, incarnandola nella propria persona, !'"unità di teoria e prassi". Fatte le debite, notevoli differenze tra i due personaggi, Stalin e Mao sono stati esempi di tale livello di indistinzione. Esso però pare non più accettabile, almeno in Italia, dove si è posto il problema di una specifica teoria marxista dello stato', oggetto di una ricerca autonoma.
Accomunati dai tratti che abbiamo indicato finora, Platone e Aristotele sono tuttavia differenziati dal modo di giudicare la natura del sapere del buon soggetto politico, cioè del cittadino dotato di phr6nesis. Tralasciando qui il problema di opere come il Protreptico di Aristotele, si può dire che tale differenza di impostazione ha fatto dei due filosofi i capostipiti di due tradizioni di pensiero che, con varie vicende, si sono pro-
1 D. ZOLO. Stato socialista e libertà borghesi, Roma-Bari, Laterza, 1976.
ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 103
]ungate fino all'età moderna, nonostante l'accennata differenza di problemi di quest'ultima. Infatti per Platone la politica è una scienza teoretica 8 , mentre per Aristotele essa è una scienza pratica', ed ha quindi caratteristiche del tutto opposte.
Che per Platone, tuttavia, la politica sia una scienza teoretica non significa affatto, come certe volte sembra volergli far dire Aristotele10 , che essa sia una forma di puro sapere descrittivo della buona organizzazione della città e delle caratteristiche che distinguono tra di loro le varie virtù, senza nessun insegnamento pratico. Significa piuttosto che Platone pone un rapporto tra il sapere politico e la metafisica, diverso da quello che pone Aristotele.
Per Platone le 'scienze' (cioè i vari tipi di sapere), si dividono dicotomicamente, secondo il metodo dell'ultima fase della sua evoluzione filosofica, cioè in due gruppi: scienze teoretiche e scienze pratiche. A loro volta le scienze teoretiche si suddividono di nuovo in due gruppi: quelle che esprimono semplicemente dei giudizi (la matematica) e quelle che esprimono dei comandi (l'architettura) 1 1 • Il criterio che permette di distinguere le scienze è quello della manualità: scienze pratiche nel Politico (che è il dialogo specificamente dedicato al chiarimento del problema dello statuto epistemologico del sapere politico) sono le tecniche artigianali, l'arte del vasaio o del carpentiere, le quali ri' chiedono l'uso della mano per essere messe in pratica". Delle scienze teoretiche, invece, ve ne saranno alcune che si limitano a dare luogo a giudizi, mentre quelle produttive daranno luogo a realtà prima non
i Politico, 259c 1 0-d 1 . 9 E.N. I 2. ' " E. E. I 6: la critica è a Socrate 'il vecchio', ma si collega logicamente
colht successiva critica a PEuone, cfr. F. DIRLMEIER, in ARISTOTELE$, Eudemische Ethik, Ub. v. F.D., Berlin, Akademie Verlag, 1962, 180-181.
1 1 Politico, 258e 5. '-2 258d sgg.
104 CARLONA TALI
esistenti. Platone ammette che ci siano scienze teoretiche di questo tipo, e pone tra queste pure la politica: il loro essere teoretiche dipende dal fatto che non ammettono l'uso delle mani". Inserendo la politica nell'ambito del sapere teoretico, Platone insiste sul suo essere scienza, anche al di là del suo naturale aspetto tecnico-applicativo.
Se la scienza teoretica delia politica è quella che conosce le caratteristiche del buon ordinamento della città, l'unico vero politico sarà quello caratterizzato dal possesso di questa scienza. Essa è ciò che fa di colui che la possiede il 'vero politico', anche se per caso o per la sciocca ostilità dei propri concittadini egli sia impedito a metterla in atto", cioè, sia che sia un magistrato o un re, sia che sia un cittadino privato o il consigliere del principe. In secondo luogo, il governo buono sarà per definizione quello secondo la scienza, qualsiasi misura decida di prendere, anche senza il consenso dei governati". Ed è ovvio, sulla base della Repubblica, il rapporto tra questa scienza del politico e la dottrina delle idee". Gli interpreti tedeschi hanno messo in luce come Platone faccia qui scattare un corto circuito metodologico tra teoria e prassi, rendendo impossibile l'idea di una pura teoresi politica, non legata all'azione. L'antologia diviene la diretta fondazione della politica, la quale da parte sua è considerata una disciplina unitaria ed organicamente connessa. Infatti non ci sono differenze, per Platone, tra il capo di un grande complesso familiare, un 6ikos di vaste dimensioni, e il capo di una piccola città: entrambi si basano sulla stessa scienza. E importante notare come, nonostante l'as-
13 259e 8-11. 14 2S:9b 3-5; Gorgia, 521d. Cfr. A.E. TAYLOR, in PLATO, The So
phist an d the Statesman, transl. a:nd introd. by A.E.T., ed. by R. KLIBANSKY and E. ANSCOMBE, Folkestone-London, Dawsons, 1972, 199.
1 5 293c 5-e 5. Critiche di Aristotele a ciò, Poi. III 15, 1286a 9 sgg. '1' U n r;lpporto più mediato, ma mm molto diverso, è suggerito da H.
ZEISE, lJcr Staah.lll<ll/11. E in lkitr,zg :.ur fnfl'rjm•tation des pfatonischen " Pofitikos », in " Philologus » Suppl. XXXI/3, 1938.
ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRA T! CA 105
serita opposizione fondamentale tra la filosofia politica greca e il pensiero politico moderno", Hobbes, su questo punto, riprenda del tutto la posizione di Platone", e che invece proprio su questo punto, fin dall'epoca degli scritti giovanili", inizi ad esercitarsi Aristotele per disgregare la compatta costruzione platonica.
Fin dai dialoghi giovanili, e poi nella Politica", Aristotele ha affermato l'impossibilità di ridurre ad uno la scienza dell'amministrazione domestica e quella della politica: infatti tra una città ed una proprietà familiare, anche di vaste dimensioni, non c'è solo una differenza di grandezza, come sembra intendere Platone, ma di natura. Se noi andiamo ad esaminare i rapporti che si instaurano tra cittadini, e tra magistrati e cittadini comuni, vediamo che essi sono di natura diversa del rapporto intercorrente tra marito e moglie, o da quello intercorrente tra padre e figli, tra padrone e schiavo: quindi anche il sapere da utilizzare nei due casi non potrà essere lo stesso. Familia e città sono due specie diverse di koinon{a (termine di difficile traduzione: qui potremmo intenderlo genericamente come 'comunità'): una è la comunità domestica, l'altra la koinon!a politiké, o societas civilis, la comunità di coloro che sono dotati dei diritti di cittadinanza, dato che non esiste per i Greci un concetto di stato paragonabile a quello moderno21 •
Secondo Aristotele, già tra 'economia' e 'politica' c'è una differenza di specie di sapere, e ciò impedisce di
11L. STRAUSS. Che cos'è la filosofia politica?, tr. it. Urbino Argalia 1972.
, ' 18 Leviatano II 20;, Elementi di legge naturale e politica II 3 , 2.
• • 19 P. MORAUX, A la recherche de l'Aristate perdu. Le dialogue sur la ;ustzce, Louvain-Paris, Pubbl. Uni v. de Louvain-Ed. Béatrice-Nauwelaerts 1957. '
10 Poi. I 1 , 1252a 7 sgg. '1 P.L. WEINACHT, Staat. Studien zur Bedeutungsgeschichte des
Wones von den Anfiingen bis ins 19. ]ahrhundert, Berlin, Duncker & Humblot, 1968; O. BRUNNER, Per una nuova storia costituzionale e sodale, tr. it. Milano, Vita e Pensiero, 1970, 202.
106 CARLO NA TALI
identificare le due scienze; ma questo non pone una completa alterità tra di esse. Infatti Aristotele ammette la possibilità di un rapporto di subordinazione di certe scienze ad altre, le quali sono per questo loro ruolo particolare dette 'architettoniche': ad esempio astronomia e geometria sono subordinate alla matematica in generale, e la politica è architettonica rispetto alla retorica, alla strategia, all'economica ed a tutte le altre forme subordinate di sapere". Però un rapporto di questo genere può raggruppare, secondo Aristotele, solo alcuni tipi di scienze, e non si presta ad una unificazione completa: in particolare, né la filosofia prima è subordinata alla politica (nel senso che prende da essa i suoi principi), né viceversa. Mentr& Platone trovava per la politica uno spazio nell'ambito delle diverse scienze · teoretiche, Aristotele dice chiaramente che la 'scienza' si divide, con differenze specifiche, in teoretica, pratica e poietica. Ciò significa che ognuna delle tre specie di scienze è autonoma e non dipende da alcuna delle altre due: infatti la scienza teoretica non ha altro fine che sé stessa, e tra le scienze pratiche e quelle poietiche nessuna perù!chetai, cioè comprende in sé l'altra come una sua parte". Invece di procedere con una divisione dicotomica, come Platone, Aristotele fin dall'inizio pone tre specie indipendenti di sapere, divise tra di loro dal tipo di relazione che esse hanno con l'oggetto ( contemplazione, comportamento pratico-politico, realizzazione di un prodotto).
Aristotele d'altra parte afferma che le scienze si dividono, dal punto di vista del valore, in migliori e peggiori: migliori, per esempio, per riguardare oggetti migliori o per essere più precise e cosi via. Molti critici anche tra i più acuti" hanno ritenuto di potere immediatamente combinare tale distinzione con quella tra
1 1 Metaph. I 2, 984a 28; VI 1 1026a 25; E. N. I 2, 1094b 1-5. 23 E. N. VI 7, 1140a 3-6. ''1 G. BIEN, Die Grundlegung der politischen Philosophie bei Aristote
les, Mtinchen, Alber, 1973, 81, 199, 125.
ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA l 07
· scienze teoretiche e scienze pratiche, in questo modo: siccome Aristotele afferma che la scienza pratica è scienza del 'per lo più'" e non è capace di una precisione totale, come lo sono le matematiche, allora si è creduto di potere identificare le scienze teoretiche con le scienze più precise, in quanto osserverebbero i principi dei processi naturali sempre uguali, e le scienze pratiche colle scienze del 'per lo più' in quanto studierebbero dei processi non naturali, ma derivati dalle decisioni umane, e quindi più difficilmente prevedibili. A noi non pare che le cose possano essere riassunte in questo modo. Tralasciando per ora il problema della filosofia prima o metafisica, che pur adottando dei procedimenti dialettici tende a dare delle dimostrazioni stringenti, in Aristotele generalmente esempio di esattezza scientifica sono le scienze matematiche, che studiano enti astratti della materia, e quindi non viziati dalla costitutiva inesattezza di questa", oppure astri divini, fatti di matena perfetta e dotati di movimenti regolari e perfettamente osservabili". Invece lo studio della realtà del mondo sublunare ha sempre la caratteristica di una scienza del 'per lo più', ed Aristotele attribuisce tale qualifica sia all'etica che alla fisica". Se si confrontano i passi della Fisica, della Metafisica e dell'Etica Nicomachea sulle due scienze, si trova un parallelismo impressionante: l . entrambe sono scienze del per lo più, cioè il loro ri
gore non è assoluto, e 2. per questa ragione lo studio di entrambe richiede
una grande quantità di esperienza, e quindi un'età matura-dato che è il tempo che produce esperienza "-allora
3 . i giovani, e in generale gli inesperti", possono benis-H E. N. I 3, 1094b 19-22. 26 A. KOYRÉ, Dal mondo del pressappoco all'universo della precisio
ne, tr. it., Torino, Einaudi, 1969. n P. MORAUX, Introduction ad: ARISTOTE Du ciel texte établi et
traduit par P.M., Paris, Les Belles Lettres, 1965, èv1 sgg.'
2•8 Phys. Il 5 e 8; E.N. l 3 . 2 9 -E.N. VI 8 , 1142a 15-1.9. 30 E. N. 1 3, 1095a 3 (dpeiros), e 6-7.
108 CARLO NATALI
simo essere dei buoni matematici, perché le scienze matematiche non richiedono esperienza, ma non dei buoni cittadini o dei buoni fisici. 4 . Qui si vede già che l'esattezza della matematica non
solo non è indizio di una sua superiorità, ma anzi è segno del suo distacco dal mondo sensibile e pratico, infatti,
5 . con argomentazioni simili, Aristotele afferma che, se non ci fosse nessuna sostanza superiore a quelle sensibili, la fisica sarebbe la prima tra le scienze (teoretiche)", e, se non ci fosse nulla di più divino rispetto all'uomo nell'universo, la phronesis o sapienza pratica e la politica sarebbero cosi le scienze più eccellenti di tutte".
Aristotele afferma, all'inizio dell'Etica Nicomachea, che non ci si deve aspettare in campo politico un'acribia perfetta, che questo sarebbe segno di mancanza di cultura, perché sarebbe come chiedere dimostrazioni matematiche ad un retore o slanci retorici a chi dimostra un teorema"; egli quindi non tende a subordinare l'etica alla matematica per la maggiore precisione di questa, ma afferma che è esatto pretendere in ogni specie di scienza solo quella precisione adatta all'argomento: pretenderne di più sarebbe da incolti e renderebbe sbagliato il metodo adottato. In questo modo Aristotele si separa da Platone, che tende ad una concezione della politica come scienza teoretica ed · esatta, numerica", e allarga il campo della razionalità anche a discorsi che non ammettono la stessa rigorosità delle dimostrazioni matematiche. Nello stesso modo nel de partibus animalium (l 5 ) è rivalutata la conoscenza degli esseri del mondo sensibile, anche se meno nobili degli astri divini. Si può quindi dire che per Ari- ·
3 1 Metaph. Vl l , 1026b 27-30. 32 E.N. VI 7, 1 141a 20-b 2. lJ E. N. I 3, 1094b 25-27. 34 H.J. KRAMER, Aret� bei Plato und Aristoteles, Heidelberg, Win
ter, 1959; Amsterdam, Schippers, 1967'.
E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 109
stotele la matematica non è il modello di ogni forma del sapere scientifico.
Non avendo bisogno di principi saldi, dato che ogni forma di sapere deve. ricorrere a principi adatti al tipo di oggetto studiato", la politica e l'etica di Aristotele non hanno più bisogno della dottrina platonica delle idee, che viene criticata in entrambe le E tiche
. (E. N. I 6-7; E. E. I 8).
Il rapporto di non subordinazione tra politica e metafisica in Aristotele non comporta una incommensurabilità ed una opposizione di principio tra le due forme di sapere, come sarebbe se Aristotele contemporaneamente sostenesse una metafisica deduttivistica ed una politica basata sulla dialettica e sulle opinioni. Se da una parte la metafisica non può dare i principi alla scienza politica, la quale non parte da dottrine salde e immutabili, ma da principi 'per lo più', d'altra parte la metafisica, colla dottrina della pluralità dei sensi
· dell'essere e del bene, garantisce una struttura ontologica abbastanza aperta da potere contenere come elemento autonomo una scienza pratica del tipo che stiamo descrivendo. La critica alla dottrina platonica delle idee mostra il punto di maggiore vicinanza tra metafisica e filosofia pratica, nel senso che è necessario alla filosofia pratica dimostrare che non esiste un bene assoluto, identificabile in un tipo particolare di Essere (l'Uno, Dio o altro), che serva da fine comune a tutte le realtà, ma tale tipo di critica appartiene piuttosto alla filosofia prima, in quanto è un discorso sui principi del tutto". Nelle indagini recenti lo stesso esempio, di un termine che si dice in molti modi, è servito sia a descri-.
· vere il pluralismo ontologico, che la struttura dialettica
H H. BONITZ, Index aristotelicus, 112b 23-25. 36 E.N. I 6; E.E. I 8 (su cui E. BERTI, Multiplicité et unité du bien se
ton E. E. I 8, in Untersuchungen zu Eudemischen Ethik, hrsg. v. P. MORAUX u. D. HARLFINGER, Berlin, De Gruyter, 1971, 157-184, e P. AUBENQUE, La prudence chez Aristate, Paris, P.U.F., 1963.
1 10 CARLO NA TAL!
della filosofia pratica di Aristotele".
Le caratteristiche di una scienza, in Aristotele, sono le caratteristiche dei suoi principi: dobbiamo quindi stabilire le caratteristiche dei principi della scienza pratica. Essi saranno dei principi 'per lo più' come il tipo di sapere di cui sono principi, e per questo non saranno dedotti unicamente da verità superiori, ma indotti a partire dalle opinioni comuni sul bene e sul buon assetto sociale. Aristotele afferma infatti che ogni uomo ha una certa capacità di verità, e che, partendo da cose affermate in modo vero, ma non chiaro, si potrà raggiungere anche la chiarezza, colla discussione delle opinioni più accreditate e diffuse; c'è quindi un lato per cui Aristotele rimane nella tradizione socratica, ma con in meno quell'elemento ironico e quell'amore per la confutazione che era tipico del Socrate di Platone". L'esperienza comune è il punto di partenza per la determinazione dei principi pratici: in essa non va compresa solo l'esperienza del singolo, ma anche le sedimentazioni storiche dell'esperienza delle generazioni passate, come si sono depositate nel senso comune di un popolo o di una nazione, nelle massime de1 suo1 sapienti, nei proverbi, nelle opere dei poeti, nelle raccolte di aneddoti ed esempi, · negli usi linguistici e terminologici". La vasta attività di raccolta di dati ed opinioni, tipica della scuola di Aristotele, non ha tanto un interesse puramente classificatorio e conoscitivo, non è la ricerca di curiosità erudite, quanto un raccogliere il materiale da elaborare per stabilire poi, in modo chiaro, i principi delle varie scienze". La prima ca-
37 Si veda l'esempio della " salute " (Metaph. IV 2, 1003a 34 sgg.) in E. BERTI , L'unità del sapere in Aristotele, Padova, Cedam, 1965 e in G. BIEN, Die.menschlichen Meinungen und das Cute, in: Rehabilitierung der praktischen Philosophie, hrsg. v. M. RIEDEL, Freiburg i. Br., Rombach, 1972, I 345·371 .
H E.E. I 6; Metaph. II 1 . 3 9 G. VERBEKE, Philosophie et conceptions préphilosophiques chez
Aristate, in « Rev. Philos. de Louvain » LIX (1961), 405-430; anche J.M. LE BLOND, Logique et métode chez Aristate, Paris, Vrin, 1970�.
40 THEOPHR. de signis pluviarum . . . 1 (Wimme_:).
ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 1 1 1
ratteristica del sapere pratico sarà quindi quella di essere in accordo basilare colle opinioni più accreditate e diffuse, e di non essere, in nessun caso, paradossale.
Ciò pone un problema: descrivendo, in una discussione odierna, le rinascite di impostazioni aristotelizzanti nel pensiero etico-politico tedesco, J. Habermas obietta recentemente a questa interpretazione della filosofia pratica aristotelica (che in Germania ha il suo principale sostenitore in Gadamer)" , che essa minaccia di ridursi ad una semplice 'ermeneutica' delle idee quotidiane, intendendo con ciò il riprendere puramente il contenuto delle opinioni popolari: " . . . ma se l'etica filosofica e la teoria politica non possono sapere altro che quello che è già contenuto nella coscienza morale di popolazioni qualsivoglia . . . non possono allora distinguere in modo fondato un potere legittimo da uno illegittimo. Anche il potere illegittimo trova approvazione . . . se invece ]'etica filosofica e la teoria politica devono evidenziare il nucleo etico della coscienza morale e ricostmirla come concetto normativa dell'etico, non possono allora non indicare criteri e fondamenti . . . » 42• In realtà anche Aristotele sottopone ad una rielaborazione razionale le opinioni comuni, e spesso ad una rielaborazione estremamente radicale, come per esempio per quanto riguarda le opinioni mitiche sugli dèi tradizionali della Grecia; egli infatti sostiene · che, esaminate dal punto di vista della critica filosoficà le opinioni mitiche si rivelano contraddittorie43 e non sostenibili; che nei miti sulle divinità deli'Olimpio l'unico nucleo razionale che si ritrova, e che deve essere rivalutato, è che le realtà divine (che per Aristotele sono prima di tutto gli astri visibili, nell'ordine del 'vero per noi') hanno la loro sede nel cielo; che tutto il resto, cioè il fatto che le divinità abbiano forma umana e si comportino umanamente, o deriva da un inconsapevo-
4 1 H. G. GADAMER, Verità e metodo, tr. it. Milano, Fabbri, 1972. 42 J. HABERMAS, Op. cit., 229. 41 Metaph. III 4, lOOOa 9-19.
1 1 2 CARLO NA TALI
le trasferire nel cielo i rapporti che intercorrono tra gli uomini a livello sociale e politico (e quindi affermare che gli dèi hanno un re, Zeus, perché in antico tutti i popoli avevano dei re)44, o deriva da un progetto politico razionale degli antichi sacerdoti che hanno voluto incutere nelle popolazioni col timore religioso il rispetto delle leggi e del bene comune". Il distacco della mentalità greca comune ancora procedente nelle forme tipiche del mythisches Denken è molto netto in questi testi.
Le opinioni comuni sono quindi sottoposte ad una robusta rielaborazione, che le modifica molto dalla loro forma originaria; i metodi della rielaborazione sono molteplici, e consistono nell'applicazione ad esse di un vocabolario e di una serie di schematismi concettuali lontani dal sapere comune e tipici della scuola (le distinzioni di materia-forma, potenza-atto, delle quattro cause e cos{ via) . La stessa determinazione delle caratteristiche del sapere pratico, dal punto di vista del metodo, ha una funzione pratica: il chiarimento della struttura dell'azione intenzionale" è perciò stesso una facilitazione a ,preparare e a sviluppare i processi decisionali". Ciò vuoi dire che, se noi sappiamo che il sapere pratico è un decidere con regole valide solo per lo più, un typo peri/abéin valido solo grosso modo, e da precisare caso per caso, non ci trovi�m� J?ella necessità di stabilire una regola esatta, una gmstificazwne .. gorosa, o di tentare di applicare rigidamente un �istema etico-politico dogmaticamente inteso ad una Situazione che non è adatta a recepirlo.
La rielaborazione razionale dei principi pratici deve avere le due caratteristiche di mantenere il loro caratte-
44 Poi. I 2, 1252b 24-27. " Metaph. XII 8, 1074b 1-14. 46 G.E.M. ANSCOMBE, Intention, Oxford, Blackwell, 1966, 57 47 G. EVEN-GRANDBOULIAN, Le syllogisme pratique chez
te, in « Les études philosophiques » 1976, 57 sgg.
ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 1 1 3
re dialettico e aperto, legato alla doxa, da una parte, e di rendere razionalmente chiaro il ragionamento eticopolitico. I metodi con i quali Aristotele opera possono essere evidenziati con due esempi: la teoria del giusto mezzo, e la dottrina economica aristotelica. Vediamoli entrambi.
Per cominciare colla dottrina del giusto mezzo, essa deriva dal pensiero di Platone e della prima Accademia, e viene solo modificata da Aristotele. Platone infatti affermava che, dovendo misurare delle realtà (anche delle realtà etiche, come la quantità di coraggio e freddezza necessarie per comporre un animo valoroso) , si hanno a disposizione due metodi: o comparare tra loro il più e il meno (cioè: il troppo e il troppo poco), oppure confrontare entrambi con la giusta misura". I resti delle dottrine accademiche e i dialoghi del tardo Platone ci mostrano che questa giusta misura (vista graficamente come il punto centrale di un segmento agli estremi del quale stanno il troppo e il troppo poco) è un qualcosa di esattamente determinabile, in quanto è il contrario dei due estremi, e questi a loro volta sono l'eccesso e quindi il male. Aristotele riprende la teoria della giusta misura o del 'giusto mezzo', proprio nel corso della ricerca dei principi pratici, in quanto il giusto mezzo, come termine del sillogismo pratico, è il fine particolare cui tende la nostra ragione e non, come comunemente si crede, lo strumento per raggiungere dei fini altrimenti stabiliti. Il giusto mezzo, · cioè, è da vedersi come una delle premesse del sillogismo pratico49•
Se il sapere pratico è il sapere scegliere il buon comportamento in una data situazione, come tale esso è riducibile in forme sillogistiche in cui la conclusione del
41 Politico, 283c 3 sgg. 49 W.W. FORTENBAUGH, tà pròs tò télos and syllogistic vocabulary in Aristotle's Ethics, " Phronesis >> X (1965) 181-201.
1 14 CARLO NATALI
ragionamento, che è direttamente un'azione, derivi da una finalità universale (es . : la salute è un bene, desiderabile eccetera) e da un termine medio particolare, che collega il fine universale alla situazione concreta (per avere salute devo fare questo e questo). Ora, l'analisi della situazione concreta, per Aristotele, viene fatta anche attraverso la teoria del giusto mezzo: in una gamma di comportamenti, in cui si vada da un estremo (la vigliaccheria più totale) all'altro (la temerarietà più ' sfrenata) , la determinazione del giusto tipo di comportamento è la determinazione del giusto mezzo. E qui Aristotele mette l'accento su tutti gli elementi relativizzanti tale nozione: il giusto mezzo non è lo stesso per tutti, ma varia da persona a persona, da condizione so-
. ciale a condizione sociale, secondo i momenti storici, secondo le età ed altre mille condizioni. Esso cioè non può essere ritrovato facendo una media matematica a partire dagli estremi, e tale concetto è espresso con un esempio: se mangiare dieci mine di cibo è troppo, e due è troppo poco, non ne seguirà che mangiare sei mine di cibo sia la giusta misura per tutti; questo infatti è il me" dio rispetto agli estremi, non il giusto mezzo rispetto a noi". Il giusto mezzo rispetto a noi è variabile: se per un atleta in superallenamento mangiare sei mine sarà poco, per un convalescente sarà troppo. Il fatto che Aristotele qui citi due casi particolari (atleta e convalescente) non vuoi dire che per lui ci sia una condizione normale e naturale assoluta, rispetto alla quale definire come deviazioni i casi particolari, cioè un giusto mezzo per natura, ma tende proprio ad escludere quest'idea di un criterio naturale assoluto distinto dal giusto dei casi particolari, perché esso sarebbe un bene per sé, non pratico e quindi non utile a dirigere il buon comportamento. Ciò vale anche per il campo politico: qui l'ideale dello stato perfetto non è il termine di paragone con cui valutare tutti gli stati in modo rigido, né il fine èui deve tendere ogni azione politica: infatti non in tutte le
50 E.N. II 5 � 9. E usuale il confronto con de ve t. med. 9.
ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 1 15
situazioni si deve mirare allo stato perfetto, ma spesso si deve accontentarsi di un grado di approssimazione minore, migliorando quanto si può una condizione di cose esistente, la quale non sopporterebbe, per esempio, l'introduzione violenta di una costituzione ideale".
Aristotele mette in luce che, nei singoli casi, è diffi- ' cile coghere esattamente il giusto mezzo, ma che è possibile avvicinarsi sufficientemente ad esso per comportarsi bene: e che il cogliere questo in ogni singola situazione concreta, non è un'operazione che venga fatta all'interno della scuola filosofica, con un qualche tipo di casistica, ma è compito della sensibilità morale (àisthesis) dell'individuo", éducare la quale è il solo com- J piro possibile per il filosofo. Per tornare al nostro problema, di come Aristotele rielabori le opinioni popolari in maniera razionale per trarre da esse i principi della scienza pratica, vediamo che egli ha apprestato in ques,to caso . uno schema logico abbastanza complesso, l oppos1Z!one tra contrari (eccesso-difetto) e giusta misura (bene), stabilendo nel contempo delle tecniche con le quali determinare questa giusta misura in relazione alla situazione, con un minimo di dogmaticità ed il massimo di fairness"; il discepolo di Aristotele sarà quindi abituato, sia nei rapporti sociali che in politica, a ragionare in termini di giusto mezzo relativo alla situazione,_ e trovare in ciò il termine medio del sillogismo pratico.
Un altro esempio può essere tratto dallo studio dell'economia aristotelica, come viene esposta in Politica I: a questo proposito tuttavia è necessario fare una precisazione. Comunemente si ritiene che la .mentalità
" Poi. IV l , 1288b 13-19; IO 1295a 35-40. H K. v. FRITZ, The relevance of ancient social and politica l philoso
phy /or our times, Berlin-New York, De Gruyter, 1974. 53 Un ritorno della fairness oggi, in un contesto neocontrattualista, in
]. RAWLS, A theory of justice,Cambridge (Mass.), Harvard Univ. Press 1971. '
1 1 6 CARLO NATALI
greca, e in generale quella antica, non avessero una particolare attenzione ai problemi dell'arricchimento e si contrappongono volentieri i comportamenti economici moderni a quelli antichi, affermando che, mentre il mondo borghese-capitalistico ha come fine la valorizzazione del capitale, nel mondo antico i valori erano diversi, non si tendeva ad un arricchimento assoluto, ma ad una sorta di pareggio del bilancio, che permettesse al cittadino dotato di diritti politici di essere libero dai bisogni della sopravvivenza economica, per partecipare alla vita della città e realizzarsi completamente in essa. A dire il vero tale quadro è abbastanza lontano dall'opinione greca comune, e riflette piuttosto le dottrine dei filosofi antichi; non è detto che tutti coloro che vivevano nell'antichità fossero d'accordo con tali inviti filosofici alla moderazione". Lo stesso Cicerone, ad un certo punto del De officiis, dice che non c'è nulla di male ad arrichire quanto si può, se ciò non è di danno ai propri concittadini". Ci sono infatti tracce del fatto che, il primo e più diffuso significato dell'espressione téchne oikonomiké o epistéme oikonomiké fosse quello di dottrina che insegna i comportamenti da tenere per procurarsi molto denaro", in accordo coll'atteggiamento della popolazione comune in riferimento a questo problema.
Opere come i Forai di Senofonte, o l'allegato economico che doveva seguire l'orazione di Demostene sul problema delle entrate economiche di Atene, oggi perduto, rientrano direttamente nella categoria della 'crematistica' o arte di acquistare beni, anche se di una crematistica della città e non della casa privata, dell'6ikos. Dello stesso genere è il libro II dell'Economico dello Ps.
54 M. l. FINLEY, L'economia degli antichi e dei moderni, tr. it. Roma� Bari, Laterza, 1974, 39.
·
5 0 De officiis I 8, 25. )6 E.N. I l , 1094a 6-9, vedi E. BARKER, Introduction, a: The politics
of Aristotle, Oxford, Clarendon Press, 19682, LVI; R. LAURENTI, Filodemo e il pensiero economico degli epicurei, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1973, 22-25.
ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 1 17
Aristotele e la trattazione di Aristotele, Politica I 1 1 . Testimonianze epigrafiche abbastanza tarde, a quanto pare, attestano all'inizio del periodo ellenistico un uso di 'economia' non solo come « management of a household or family » 5 7 ma come « bilancio » della città" . Oecon. II, l , 1345b 1 1 -14, ammette esplicitamente, oltre alla oikonomia idiotiké o privata, anche una oikononia politiké o amministrazione della città. Secondo noi è possibile trovare un concetto abbastanza vasto e indifferenziato di 'economia' nelle opere del periodo; quando Aristotele, in Politica l, attribuisce all'economia il ruolo di una delle tre scienze pratiche distinta si dall'etica e dalla politica ma in parte dipen: dente da esse dal punto di vista dei fini", indirizzata solo all'amministrazione della casa", opera una semplificazione e una razionalizzazione dell'uso corrente.
Il problema è quindi quello di vedere i criteri con cui il filos�fo_ opera tale razionalizzazione, perché ciò permette d1 nspondere alla questione posta da Habermas. Secondo noi non si tratta qui di applicare all'economia dei principi morali esterni, provenienti da altre sfere concettuali e legittimati da sanzioni di natura teologica o antropologia. Per questo Aristotele è lontano da quella che nell'età moderna si chiamerà dottrina sociale della Chiesa cattolica, e che si richiama a lui attraverso il filtro del pensiero medioevale.
Aristotele prende piuttosto le mosse da una analisi finalistica del processo economico: stabilito che il fine dell'amministrazione familiare è il 'vivere' (e ciò in accordo colle opinioni popolari), stabilito inoltre che il vivere bene" è il partecipare al possesso comune dei
$, M.l. FINLEY, in " Classica! Review , NS XX (1970), 316. 's I dati in L. MORETTI, L'economia. Finanze della polis, ill Storia e
civiltà dei Greci, a cura di R. BIANCHI BANDINELLI, Milano, Bompiani, 1977, VIli 350·351 . ' 9 E.E. I 8 , 1218b 12-15. 60 H. BONITZ, Index m·istotelicus, SOOb 19-34. 6 1 Poi. I 2, 1253a 30 sgg.
1 1 8 CARLO NATALI
valori etici della città (giustizia, virtù etiche e via dicendo), cioè vivere attivamente in essa, da ciò viene fatto derivare un criterio interno di valore dell'attività economica, un parametro con cui giudicare i comporta� menti di questo tipo, attraverso l'applicazione dello schema concettuale 'fine-mezzo': si deve organizzare l'economia in modo da potersi dedicare alla vita politica o agli studi liberali". Ciò costituisce una trasformazione ed una razionalizzazione delle opinioni popolari.
Si giunge in questo modo a dare una definizione particolare di ricchezza, valutativa e non puramente descrittiva, del tutto tipica della società greca, come la seguente:
la ricchezza è infatti una massa (pléthos) di strumenti per la vita della familia e della città".
Essa è stata infatti criticata da J .S . Mill64, mentre Marx la prese come termine di paragone per costruire, a contrariis, la propria definizione di ricchezza, colla quale il Capitale si inizia:
La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, si presenta come una 'immane raccolta di merci'65•
Che la definizione data 9a Aristotele, oltre ad essere tipica dell'economia antica, e quindi strutturalmente differente da quelle caratterizzanti l'economia moderna, sia anche una rielao'orazione filosofica delle opinioni popolari, è chiarito da Aristotele stesso, che afferma che l'opinione più diffusa è differente:
e infatti spesso si fa consistere la ricchezza· in una massa (pléthos) di denaro".
ma tale opinione ora non è piu accettabile, dopo che la ragione filosofica ha compiuto il suo lavoro di chiarimento razionale dei rapporti tra ricchezza e città. Deve quindi venire criticata:
62 1255b 25 sgg. 63 I 8, 1256b 36. 6'' J .S. MILL, Principles of politica! economy. Preliminary "Yemarks. London 1948.
6" K. MARX, Il Capitale, tr. it. Roma, Editori Riuniti, 19743, 67._ 66 Poi. I 9, 1257b 9 .
E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 1 1 9
per questo si cerca una differente determinazione della ricchezza e dell'arte di procurare denaro, e la si cerca con ragione67•
La valutatività della definizione data da Aristotele consiste nell'uso del termine drganon ( = strumento); con esso si riconosce una finalità razionale all'attività economica, finalità la quale non è presente né nella definizione di ricchezza data dall'opinione popolare, né in quella di ricchezza tipica del modo di produzione capitalistico, sia nella versione di Mill che in quel!a, critica, di Marx, Valutando come strumento il denaro, Aristotele può criticare quelle persone che rovesciano il corretto rapporto fine-mezzi, e si dedicano ad accumulare uno strumento (il denaro) senza usar! o per il suo fine proprio, ma anzi rendono tutta la loro vita uno strumento per accumulare questo strumento".
La rielaborazione teorica· delle opinioni porta quindi a posizioni filosofiche originali, Ciò può essere verificato anche da un altro punto di vista, dicendo quanto segue: 1 . Aristotele nella Politica parte da opinioni diffuse
nella popolazione, ed accettabili da parte dell'uditorio cui egli rivolge le proprie lezioni di politica; per esempio, tutti sono d'accordo nel dire che il fine della scienza politica è una vita buona";
2. si tratta perciò di stabilire cosa sia la vita buona. Ciò viene fatto analizzando i valori e i comportamenti umani, con schemi teorici come quelli che abbiamo visto prima.
3 . Ma parlando di economia, ci si trova di fronte ad un'altra opinione popolare, altrettanto diffusa, la quale tende a ridurre questa scienza alla ricerca dei mezzi di fare molto denaro (nel linguaggio di Aristotele: identificare economia e crematistica) . Le due
67 1257b 17-Ì9. 6 3 1258a 2 sgg. 69 E. N. l 4, 1095a 17 sgg.
1 20 CARLO NA TALI
opinioni, al vaglio di un� critica filosofica che si basi, per esempio, s:'l pnnCip!O d1 .non-contraddizione si rivelano 1mposs!blh da conCJhare; ma Anstotele ;veva tratto dall'opinione di partenza una teoria della natura della città, e quindi essa vale co�e cnteno con cui definire, se l'economia e la crematlstlca Siano la stessa cosa. 4 In conclusione: Aristotele procede in modo sostan-.
zialmente dialettico, e ciò consiste nel mettere in corto circuito tra loro opinioni diffuse ed accettate, mostrando come esse non siano immediatam,ente com possibili e quindi P,O?gano ur:' aporza .? pr6blema70• L'intervento ongmale del filosofo, g1a presente nel modo di organizzare il c_onfronto delle dòxai, è particolarmente ev1dente p01 ne! momento dell' euporéin, quando egh trov� la venta raztonal� che sottostà alle opiniom e permette d1 organizzarle".
Ciò corrisponde a passare dal sapere �m�;irico, legato al singolo caso, alla con?scenza dell umv�rsale e della causa (qui: il fine della �1cchezza). Per Ar�stotele ciò corrisponde anche a cap1re la natura dell economia ed utilizzare tale natura per avere un cnteno valutati;o con cui regolarsi nelle questioni pratiche. In queste, però, come abbiamo già visto, ci vorrà un adatta� mento del criterio generale al caso, Sl':golo, e q�md1 una sua parziale modifica, dato che e d1fferente CIO che può essere stabilito liberamente, sul plano della teona, e ciò che è legato alle necessità dell'esperienza"� i modi dell'adattamento saranno da trovarsi usando : cnten del giusto mezzo, e la sensibilità morale, d1 cm abbiamo già parlato.
Ancora: per Aristotele il prestito ad interesse è la
70 Poi. I 9. 1' E.E. I 6 inizio. n Pol. I 11 inizio.
ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 121
forma più innaturale e ingiusta di procurarsi denaro": ma non è detto che la condanna filosofica del prestito ad interesse sia considerata legittima dalla mentalità popolare del V e del IV secolo a.C. ad Atene74• Nelle Nuvole di Aristofane c'è un personaggio che sostiene che l'interesse per il denaro prestato è una cosa innaturale: se il mare, nello scorrere del tempo, non cresce neanche ·con l'afflusso di tanti fiumi, non è naturale che il denaro prestato, giorno dopo giorno e mese dopo mese, si accresca cogli inter�s�i75,; ma �al� per�on��gio Strepsiade, che parla come 1 filosofi, e un mdividu� che, dopo avere frequentato a modo proprio la scuola di Socrate è diventato un creditore insolvente, un imbroglione pronto a sofisticare e che, per non pagare quello eh, deve, è capace di far apparire come migliore il discorso peggiore.
La città non si riconosce nella razionalizzazione delle sue stesse opinioni, che il filosofo le propone; ciò ha l'effetto di limitare l'efficacia della 'filosofia pratica' aristotelica alla ristretta cerchia dei discepoli". Il fatto che una scuola filosofica voglia intervenire direttamente nella vita politica di un paese per migliorarla, sia pure attraverso le tecniche ermeneutiche, e questo tipo di sapere particolarmente adatto alla pratica politica, di cui Aristotele ha stabilito metodi e condizioni di funzionamento, non ha garantito mai, in nessun tempo, che l'intervento sia efficace o che l'importanza del ruolo storico effettivamente svolto dalla scuola nell'immediato sia pari all'impegno soggettivo. E ciò, sia per il fatto che la rielaborazione filosofica delle opinioni può immediatamente giungere a conclusioni opposte alla mentalità corrente, dando per esempio per 'natura del-
13 Pol. I 10, 1285b 1 sgg. 74 K.J. DOVER, Greek popular morality in the times of P lato and Aristo t/e, Berkeley, University of California Press, 1975, 1-5 e 57-58. 15 Nub. 1286-1295. 76 I. DÙRING, Aristotle in the ancient biographical tradition, G6te
borg, Acta Univ. Gotobourgensis, 1957, 459 sgg.
11.1 J: '
122 CARLO NATALI
le cose' quel fondo di mentalità aristocratica di cui la cultura greca non si sbarazzò mai nemmeno nell'Atene democratica del IV secolo 77, sia per la ragione opposta che, in un periodo di difficoltà e crisi come quello che segu{ alla caduta del governo di Demetrio di Falero", pur non avendosi la repentina crisi della p6lis di cui troppo facilmente si parla", si cominciarono a cercare sempre più quadri organici stabili, certezze, indicazioni precise su come comportarsi, e non difficili tecniche ermeneutiche della situazione,
Allora il metodo aristotelico, legato ad uno specifi- . co modo di affrontare i problemi della razionalità pratica, con un suo statuto epistemologico non dogmatico e non dotato della stessa certezza delle scienze matematiche, capace di deliberare anche tenendo conto delle ragioni e della razionalità degli avversari, non sempre trovò la possibilità di essere accettato, e visse una millenaria vicenda di rinascite e di periodi di eclisse pressoché totale. ·
71 L. GERNET, Anthropologie de la Grèce ancienne, Paris, Maspero, 1976', 343.
15 E.R. DODDS, I Greci e l'irrazionale, tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1959, p. 277 sgg.
19 A. MOMIGLJANO, Terzo contributo alla stoda degli studi classici, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1966, 32 sgg.; M. ISNARDT PARENTE, in " Rivista Critica di Storia della Filosofia )> XXXIII (1978), 3 sgg.
HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI
di Laura [seppi
l. La recente pubblicazione dell'edizione italiana del Behemoth' di Thomas Hobbes è motivo di nuovo o ri';lnova�o interesse per il libro in cui il filosofo inglese, gw m eta avanzata', affronta t! tema della guerra civile, che SI era conclusa circa otto anni prima con la restaurazione monarchica.
1 Ci riferiamo all'edizione del Behemoth curata e tradotta da Onofrio Ni�as�ro, pubblicata nel 1979 dalla casa editrice Laterza, In seguito faremo nfenmento a questa edizione salvo differente indicazione .
. Per quant? riguarda il significato del nome Behemoth che compare nel tttoio, e pe_r il quale Hobbes non fornisce alcuna spiegazione, sono state formulate. v_ane interessanti ipotesi, quali queile avanzate, ad esempio, da R. MacG!liivray ( Thomas Hobbes's history of the english dvii war. A study of Behemoth, "Journai of the history of ideas", (1970), 186-187), da D. Bra un (Der sterbliche Gott oder Leviathan gegen Behemoth Ziirich 1963 196) o da C. Schmitt (Der Leviathan in der Staatslehre des Thomas Hob: bes. Sinn. und Fehlschlag eines politischen Symbo!s, Hamburg 1938, 33� 35f. Pa�tlcola�n:ente_ interes�an�e. quest'ultima in quanto Schmitt compie un �mpta anailSl stanca del stgmfrcato attribuito rispettivamente ai termini Levratano e Behe�noth (9_-45). Tuttavia, mentre sia MacGillivray che Bra un �oncordano nel ntenere il Behemoth la controparte negativa dc! Leviatano, m quanto starebbe a rappresentare la condizione di lotta e confusione rotaI: in cui_viene. a troyarsi io S_tato quando ai suo interno trionfano i molteplic� pote�t partlc'?lan c'?ntro d potere sovrano, Schmitt considera questi due s�mboh esp�essmne dr mere forze, queila dello Stato e queila del!a rivoluz�one, che, m quan.to tali, sarebbero su un piano di parità, salvo un maggmr potere del Levratano, esprimentesi nella capacità di reprimere costantemente al suo interno le forze del Behemoth.
• 1 Hobbes �te�,so �ffe�ma di aver s�ritto il Behemoth quando aveva quast ott�nta _anm, ( �cr�p�s.tt prae�ere�, _ctrca annum aetatis sua e octogesimum, Htstonam belh ctvths anghcam mter Regem Carolum primum et Parlamentum eius ... " (Thomae Hobbes Malmesburiensis vita, Authore seipso, Opera Latina I, ed. W. Mol�sworth, London 1966, XX).
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Hobbes espone il risultato della sua riflessione sugli avvenimenti succedutisi in Inghilterra negh anm compresi fra il 1 640 e il 1 660 nella forma di un dialogo fra due ipotetici personaggi: A. e B. 3 • . •
La scelta dello stile dialogico, usato anche m altn scritti, non si attua però, come potrebbe suppor�t, 1n una vivace discussione dt opposte o dlV�rgentr,optmoni; si tratta piuttosto di una espos!Zlone m �m l mterlocutore raramente contraddice le tesi enunctate, anzt ne aiuta e favorisce lo sviluppo attraverso apprornate domande. Il libro risulta cos( una lineare e contmua spte� gazione degli avvenimenti in cui i due personaggt espongono alternativamente concetti strettamente con-nessi fra loro. .
La decisione di trattare un argomento stor�co ndla forma del dialogo, che non trova sufficiente gmsttftcazione sul piano stilistico, è stata mterpret�ta come un accorgimento che permett� ad Hobbes dt ns�rvarst una maggiore libertà d'espresswn�' , ma essa puo anche essere connessa ad una sostanztale modtftcazwne nd SIgnificato dell'interesse hobbesiano per la stona, mteresse che risale com'è noto, alla traduzwne della Storia della guerra
' del Peloponneso di Tucidide. In questo caso il dialogo, consentendo di esprimere soprat;utto considerazioni sui fatti, costituirebbe la ·forma pm a�propriata ad esporre un'interpretazione della guerra Clvile, quella che Hobbes elab�ra alla luce del�a precedente formulazione della teona della sovramta come è
3 MacGillivray ritiene si tratti di un dialogo con�epito nella forma del colloquio fra un professore ed uno studente (denotatt attra�erso le_ d�� lettere dell'alfabeto A e B), dei quali il primo sarebbe da �ons�derars1 J?IU strettamente associato ad Hobbes (Tho.mas . Hobbes s _htsto.ry" Clt., 179-180). Anche O. Nicastro nota come fra 1 due mterlocutort B: sta quel,� Io che fa da spalla" anche se "non è sempre confinato nel ruolo dt studente (Behemoth, introduzione cit., XXX). . � Sia MacGillivray che Nicastro concor�a�:w �el ntenere.che sp�sso Hobbes faccia esprimere al personaggio B. opmton� dalle 9uah prefensce . mantenere un certo distacco. (Thomas Hobbes's lnstory c1t., 180; Behemoth, introd. cit., XXX).
h è l Anche MacGillivray rileva che l'intento di Hobbes nel Beh_ernot prevalentemente interpretativo e nota come questo libro possa formre mag-
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trattata in modo particolarmente compiuto nel Levìatano·5
Per alcuni aspetti, Hobbes si attiene anche nel Behemoth a quelle caratteristiche che nell'introduzione alla Storia di Tucidide sono ritenute essenziali all'opera di uno storico, quali la necessità che egli si mantenga fedele al criterio dell'imparzialità rispetto agli argomenti trattati, che sia sufficientemente competente su essi e che l'esposizione degli avvenimenti riproduca la loro effettiva successione cronologica 6 • L'importante elemento invece, per il quale Hobbes apprezza particolarmente lo storiografo greco, il fatto cioè che "egli non fece mai uso di digressioni per fini istruttivi e altrettante manifeste trasmissioni di precetti, (cosa, questa, che spetta al filosofo)"', rimane completamente estraneo al Behemoth. In quest'ultimo, al contrario, le 'digressioni' abbondano; Hobbes trae occasione da ogni avvenimento e consuetudine inglese per esporre le proprie concezioni sullo Stato e, in particolare indicando i principi ai quali dovrebbe ispirarsi l'insegnamento universitario, riferisce le linee generali della sua ormai compiuta teoria politica'.
Il motivo di maggior interesse di questo testo infatti, secondo l'esplicita indicazione dello stesso autore ', deve essere ricercato, non tanto nella narrazione dei fatti, quanto nella loro interpretazione quale si può ricavare prestando attenzione alla scelta degli avvenimenti10,
giori indicazioni utili alla cono�ccn/;1 del pensiero di Hobbes, che notizie sulla guerra civile ( Thomas Hoblxs's cit. , 179, 182). 6 The History of the Grecian war written by Thucydides. Translated by Thomas Hobbes of Malmesbury, English Works, VIII, ed. W. Molesworth, London 1966, introd. XXI, XXIV, XXV.
7 lvi, XXII. s Behemoth, 68. 9 Jvi, 54. ' " ln particolare la trattazione della politica della Chiesa di Roma, al
la quale Hobbes dedica buona parte del primo dialogo, rimarrebbe non del tutto giustificata se non venisse letta alla luce del secondo libro del Leviatano, soprattutto della parte dedicata al 'Regno delle tenebre', dove l'autore sviluppa la critica a tutte le dottrine superstiziose divulgate dalla Chiesa di Roma. Hobbes stesso avverte la necessità di spiegare nel Behemoth per quale ·motivo abbia inserito l'azione politica svolta dai papisti, il cui potere
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all'indicazione delle cause che li hanno prodotti, alle considerazioni dei due protagonisti del dialogo, in altre parole, al significato della complessiva ·ricostruzione del periodo rivoluzionario. Anche nel Behemoth Hob: bes si attiene alla convinzione, formulata ner testi m cm espone la teoria politica, secondo cui la spiegazione di eventi storici implica inevitabilmente l'assunzione di un'interpretazione. Stabilito che, quando si espongono dei 'fatti', in realtà se ne offre un'elaborazione concettuale, riguardo alla guerra civile si pone per Hobbes l'alternativa fra un'interpretazione di parte degh avvenimenti stessi, finalizzata a scopi estranei ad un'indagine conoscitiva, e la ricerca disinteressata delle cause dei conflitti. In conformità a quest'ultima prospettrva, Hobbes sceglie, quale unica via utile per parlare della guerra civile, quel tipo d'interpretazione degli avvenimenti che richiede l'assunzione dèll'atteggramento scientifico proprio di chi analizza i fatti e ne ricerca le cause per collegare poi queste ultime in una connessiOne logica significativa 1 1 •
era notevolmente diminuito in Inghilterra dopo l'Atto di supremazia di Enrico VIII, fra le cause di guerra civile: "i papisti inglesi - egli spiega - sono stati considerati come uo:rpini cui in questo paese non dispiacerebbe alcun disordine, che potesse in qualche modo spianare la strada ad una restaur�zione de\l'aùtorità papale. Perciò io li ho indicati come una delle malattre dello Stato inglese al tempo del nostro defunto re Carlo" (Behemoth, 26). ' ' Se, per Hobbes, è scienza "la conoscenza delle conseguenze e della dipendenza di un fatto da un altro" (Leviatano, trad. it. Bari 1974, p. 38), si può dire che nel Behemoth egli attui un tipo di "scienza storica", o come afferma F. Tònnies "forse la prima trattazione razionalistica della nuova storia nel senso che divenne più tardi popolare con Voltaire" (Hobbes Leben und Lehre, Stuttgart 1925, p. 50). È da-notare come Hobbes, anche in · questo atteggiamento metodologico, si stacchi nettamente . dalle pretes.e che, dal punto di vista storiografico, sostenevano le opere de1 contrattu�hsti monarcomachi suoi contemporanei. Ci si può riferire, come esempto, all'indicazione di metodo espressa nelle V indiciae contra tyrannos dove l'autore sOstiene, secondo la sintesi di P. Mesnard, che "l'autorità dei libri sacri e delle testimonianze storiche fornirà i principi da cui il ragionamento deduttivo, ricaverà, more geometrico, tutte le necessarie c�nclusioni" (TI pensiero politico rinascimentale, I, a cu�a di L. _Firp_o, B�r� 1_963, ?29), oper.azionc q�est.a �sclusa da I:Iobbe_s,, per. t!_ qu.a!e t fatti stonCJ d� per se ��:m formscono pnnctpt ed anche l autorlta det hbn c sempre subordtnat� ali mterpretazione degli stessi'. Ma la critica hobbesiana si estende ed è dtretta a
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Ma questa impostazione si differenzia notevolmente dai mo.tivi ispira tori la traduzione di Tucidide; non vi è infatti più traccia delle convinzioni espresse da Hobbes in quell'occasione sulla natura e funzione della storia. Nel periodo di tempo che intercorre fra il suo originario interessamento ad un'opera di carattere storico ed il personale impegno ad occuparsi di un argomento storico, Hobbes ha abbandonato completamente l'idea che la "natura - della storia - sia meramente narrativa"" ed anche l'atteggiamento morale incline ad attribuire ad essa una funzione educativa utile alla concreta conduzione delle azioni umane. La convinzione che "la conoscenza delle azioni passate - possa -istruire e rendere capaci gli uomini . . . di agire con prudenza nel presente e con previdenza verso il futuro" ", lascia il posto all'amara considerazione del Behemoth dove Hobbes, a proposito del comportamento, delle azioni e scelte degli inglesi, afferma: "Se voi pensate che le recenti sventure abbiano reso il popolo più saggio, sappiate che esse saranno presto dimenticate, e noi non saremo più saggi di prima"14 •
La problematica, connessa alla comprensione di quest'ultimo libro, risulta estranea e nuova rispetto al primo interessamento di Hobbes per la storia, quale è espresso nell'introduzione a Tucidide. Anche se si possono notare da alcune considerazioni presenti in quest'ultima gli elementi che Hobbes sviluppa nelle opere successive1 ' , manca in essa l'apporto della poste, riore elaborazione teorica, decisiva invece per com-
tutti gli atteggiamenti di coloro che, nella pretesa di possedere la verità, magari per diretta ispirazione divina, si ritengono autorizzati a diffondere pubblicamente mere opinioni private e a sostenere, in nome di esse, il dirit� to di resistenza contro il sovrano istituito per patto.
12 The history of the Grecian war, VIII. 1 3 lvi VIJ 14 Behem;th, 47. 15 Come, per esempio, le considerazioni espresse a proposito del comportamento del popolo, della refigione, della retorica ( The history of the Grecian war, rispettivamente XI, XV, XVI-XVII),
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prendere il modo specifico in c1Ù �obbes affronta il problema storico della guerra c1V!le .
2. Nel Behemoth l'analisi hobbesiana mette in luc� come proprio le azioni di tutti i grupJ?i in lotta contro 1l potere sovrano, che intendevano 1spua:s� ad es�mp1 d1 comportamento osservati _ed approvati m altn o, tramandati da autorevoh hbn, avessero quale es1to l osti� lità e la guerra. Hobbes esamina come i cet1 mercant1h dei grandi centri c?mmerciali ispirassero la loro az1�?,� proprio all"esempw' della nbelhone nel Paes1 Bass1 , come gli aristocratici e "un numero ecceztonalrnente grande di uomini di più elevata condizione""av�ssero conseguito la loro formazwne culturale legg�ndo 1 c.�as� sici latini e greci, dai quah potevano trarre esempi d1 governi popolari e monarchie �iste; come, mfme, l
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lettura delle S. Scritture e la stona del popolo ebrmco diffondessero l'usanza, da parte dei preti predicato:i, di commentare pubblicamente i brani tratti dalle Scnt-ture stesse. . . Il risultato rivoluzionario delle azioni che si !Spiravano a questi esempi non deve tuttavia� second? Hobbes essere connesso alla lettura in sé de1 testi anstotehci e' scolastici o alla conoscenza delle azioni compiute nel passato c�me tali, quanto piuttosto all'interpreta-
' 6 Di opinione completamente diversa è �nvece L. S�rauss; il qu.aJe a t: tribuisce particolare importanza, nell'elabor�zwne della fliosofta P?htt.ca dt Hobbes, al primo periodo della sua f�nmazwne_ cultur�le eh� �gh ch�ama 'umanistico', caratterizzato dal!o studw e traduziOne det classtct e dal
_! ade�
si o ne alla filosofia aristotelica, alla quale, secondo l'autore, Hobbes n�ase essemialmente fedele in tutte. le sue opere dall'introd?�Ìone alla t�adnnc;>ne di l w.:idide al Behemoth (Che cos'è la filosofia polttzca?, trad. �� UrblllO 1977. In particolare sulla 'Storia' cap. 8° e sul Beh�m?th cap. �
' ) . _
R. Schlatter, addirittura, partendo dalla convmzwne che la lettura di Tucidide da parte di Hobbes, costituisca per lui la conferma o forse la cristallizza!iione delle principali linee e di molti particolari del suo .stesso pensiero" (p. 362), esamina la teoria hobbesiana consid?�and?,
la dJ com� plcta derÌ\'<ll_ione tucididea (Thonws Hohhcs ,md Thucydtdes, Journal of the lmtory of ideas", V! ( 1 945), 350-362).
'7 Behemoth, 8. I S lvi, 7. · � lvi, 21.
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zione soggettiva attraverso la quale venivano assunti ed utilizzati dagli individui che agivano nella guerra civile.
Lo stesso motivo; che consiste nel riconoscimento della differenza fra l'azione e il fatto passati e la concettualizzazione di essi, attraverso cui 'soltanto l'uomo può farsene un'opinione e conoscerli, è presente in Hobbes sia come ragione della sua intenzione di non esporre, nella storia della guerra civile, una semplice 'narrazione' di 'puri fatti', sia come fondamento della sua convinzione che il valore degli exempla e la loro eventuale funzione educativa è inestricabilmente connessa alle molteplici interpretazioni di essi.
Ne consegue che le norme suggerite dalla 'prudenza' sono totalmente inadeguate a guidare e indirizzare le azioni umane non solo perché derivano direttamente dall'esperienza e dalla memoria, quindi presentano un alto grado di incertezza, ma soprattutto perché si trovano ad avere a che fare con azioni che costituiscono la manifestazione esterna di opinioni particolari. La diversità e molteplicità di queste ultime causano il fallimento dell"esperienza' e delle regole prudenziali, cui dà origine il ricordo della successione degli avvenimenti passati, in relazione alla necessità di ordinare pacificamente il comportamento umano.
Rispetto a questo tipo di impostazione del problema dell'agire dell'uomo, nella prefazione a Tucidide, Hobbes dimostra di essere legato ad una concezione; derivata dai suoi studi ancora prevalentemente umanistici, in base alla quale le azioni umane venivano considerate fondamentalmente suscettibili di miglioramento, purché fosse scelto con accortezza il modo in cui compierle. ·
La successiva teorizzazione delle proposizioni sulla natura umana ed il corpo politico segnano una decisiva diversificazione nei confronti dell'impostazione umanistica sopra indicata. L'analisi hobbesiana del 'senso' dell"immaginazione' e 'memoria', della 'formazione dei concetti' e delle 'passioni', quale è esposta nel
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Leviatano" ed in modo più esteso negli Elementi di legge naturale e politica2 1 , conduce alla concluswn,e s�condo cui l'azione esterna è sempre gmdata da un .opinione intorno agli scopi che si propone d� consegu,Jre e questi ultimi differisco�o per c�ascun mdlVId�o. L op1� nione è espressione qumd1, m ogm cas'.', d1 ':'teress1 particolari verso il soddisfacimento de1 quah dmge l'azione. . Si deve notare come quest'ultima operazione s1a resa possibile dal linguaggio, anzi dall'uso arbitrano ed assurdo dei nomi che si attua quando la loro Imposi: zione risponde piutto�t'.' all'esi�e:'za d1 soddisfare gh appetiti che alla necessita d1 sJgmfJcare correttamente 11 mondo esterno per acquistarne conoscenz�. Questo spiega quale fonte . di errori si� ?n� val;',taz:o.n� delle azioni umane che mtenda stab1hre v1rtu e VIZI sull� base delle opinioni soggettive quali si esprimono ne1 termini 'buono, cattivo, dispregevole', dal mo'?ento che "queste parole . . . sono usate sempre m relazwne a colui che le .dice, poiché non c'è nulla semplicemente ' " l ed assolutamente tale, e non c e nessuna rego a comu� ne per il bene e per il male, estratta dalla natura degh oggetti stessi'"'. Attraverso l'affermazwne del �al�re decisivo dell'opinione personale nel determl:'are l agtre dell'individuo Hobbes attua "la completa dtssoluzwne della gerarchi� aristotelica dei beni e la liquidazio�e di qualsiasi possibilità di formare una gerarchia umca e
l '"23 ugua e per tutti . . , . , Ne deriva che il problema dell'agire ben� non e pm risolvibile a livello della singola aZione mdJvJduale, che sarà comunque giusta per colui che la comp1e,. ma comporta la necessità di stabilire delle regole che s1ano riconosciute e rispettate da tutti.
20 Leviatano, c�p. I, II, III, VI. . . 2 1 Elementi di legge naturale e politica, trad. 1t. Ftrenze 1972, cap. I ,.
II, III, IV, VII, VIII, IX. -n Leviatano, 43. . · 1· · ll f' 2J C.A. VIANO, Analisi della vita emotiVa e tec�;ca po tftca ne a t�
fosofia di Hobbes, "Rivista critica di storia della filosofia , XVII (1962), 371.
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Il valore della prudenza come guida per l'individuo e il cittadino decade con il riconoscimento dell'impossibilità di realizzare una convivenza pacifica e giusta sulla base di una semplice modificazione delle azioni umane già date. E tolta completamente da Hobbes l'idea che esista una 'ragione pratica' in grado di organizzare in modo armonico gli interessi particolari degli individui. L'unico momento, nella teoria hobbesiana, in cui la ragione sembrerebbe assumere carattere 'pratico', è costituito dal suggerimento dato all'uomo di rinunciare all'esercizio dei suoi diritti naturali, attraverso il patto, quale unica condizione per uscire dallo stato di natura. Anche in questo caso però il dettame della ragione ha un significato tutto negativo: esso invita a non fare, a non seguire nell'azione l'immediato appetito. Inoltre la sua indicazione è funzionale alla necessità di creare le condizioni in cui possa essere vissuta da ogni singolo la propria ·'razionalità' che e tutt'uno con la 'spiritualità' dal momento che i teoremi della ragione coincidono pienamente con i fondamenti della fede interiore che suggerisce di ricercare la giustizia e la pace24•
A questo fine, la considerazione delle azioni umane rivela che esse, come tali, non sono in nessuna misura ordinabili razionalmente poiché rinviano ad opinioni nelle quali non è rintracciabile alcun nucleo di razionalità. Per questo l'intento di stabilire regole con pretesa scientifica a partire dalle azioni umane e dalle opinioni" precipita rovinosamente in una serie di di, spute senza fine. Risulta infatti al massimo grado opinabile ed incerta la valutazione delle azioni "in base ad
24 Elementi, 211. Anche F, Atger nota come l'obbligazione implicata dal patto hobbesiano consista in "un'astensione e non una prestazione" {L'Histoire des doctrines du contrat social, Paris 1906, 171).
H Lo scopo cd il metodo aristotelico sono esattamente opposti a quelli hobbesiani su questo punto. Aristotele infatti dichiara di svolgere la sua ricerca "non per sapere che cosa è la virtù - problema a cui invece Hobbes intende dare la soluzione - bensì per diventare buoni, altrimenti la sua utilità sarebbe nulla", per questo "è necessario esaminare, intorno alle azioni, come dobbiamo compierle" (Etica Nicomachea, trad. it. Bari 1973, 31).
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un criterio di mediocrità delle passioni umane" o "in base alle lodi che queste ricevono""; tali metodi non riescono a penetrare il mondo delle apparenze sensibili, anzi ne rimangono del tutto imbrigliati. Da questo ha origine la confusione primaria, fonte di ogni altra, quella di credere reale ciò che solamente appare, e porre quindi a fondamento del proprio ragionamento mere credenze.
La distinzione, operata da Hobbes, fra la natura umana scientificamente analizzabile in quanto agisce e reagisce attraverso il movimento, ed il comportamento degli uomini che si basa invece su opinioni particolari, positive o negative a seconda che l'azione prodotta dagli oggetti esterni, cui vengono attribuite, sia vissuta come favorevole o sfavorevole, introduce una frattura insanabile sul piano naturale fra scienza ed azione. La differenza stabilita fra i due piani evidenzia l'inadeguatezza ed improponibilità dell'idea che vi sia un'azione naturalmente ed intrinsecamente razionale, che possa gradualmente, esplicandola, condurre a -compimento la razionalità di cui è portatrice.
Hobbes dimostra nel Behemoth in quale modo i concetti assunti dalle dottrine che sostengono questa possibilità siano ormai privati di qualsiasi validità scientifica. Durante la guerra civile, i predicatori, da un lato, si servono della filosofia di Aristotele per farne "un ingrediente della religione'"', in modo tale da ridurre quest'ultima ad "arte", mero artificio con cui le- · gittimare la difesa e propaganda di interessi particolari all'interno dello Stato'"; d'altro lato, la lettura dei classici di parte aristocratica mette in evidenza ed esalta il concetto di monarchia mista, in base al quale viene ritenuta possibile e realizza bile la divisibilità della sovranità e la presenza di più poteri all'interno dello Stato. I presbiteriani, presumendo di poter illimitatamente dif-
26 Behemoth, 52. 27 lvi, 49. n lvi, 32, ·51.
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fondere le loro interpretazioni private della Bibbia, favoriscono, cosi facendo, il sorgere di innumerevoli altre sette che saranno la causa della Ioro stessa sconfitta29, i realisti, incapaci di assumere una posizione chiara nei confronti del potere sovrano, favoriranno il graduale indebolirsi della posizione del Re durante la guerr3.30•
Tutte le parti interessate al conflitto dimostrano, secondo Hobbes, di non saper comprendere correttamente le cause della crisi del potere sovrano e dello svilupparsi di una condizione rivoluzionaria, e tantomeno, organizzare un'azione adeguata a tale situazione.
3 . La condizione di lotta radicalizzata e totale quale è quella della guerra civile rende pienamente manifesto il fallimento dei concetti legati alla filosofia pratica, e della stessa idea che possa esistere ed essere operante una 'ragione pratica' che guidi l'uomo alla realizzazione della virtù.
O. Brunner connette la crisi di questi concetti alla decadenza e graduale scomparsa di ambiti sociocomunitari naturali nei quali l'elemento 'sociale' e quello 'politico' coesistevano indistinti in una organizzazione di tipo 'signorile'. Questo genere particolare di associazione caratterizzerebbe i vari ambiti autonomi dotati di potestas che, a partire dal XI secolo circa' 1 , concorrono a costituire lo Stato per ceti, ma avrebbe il suo modello nell'organizzazione nel più piccolo tipo di comunita naturale costituito dalla famiglia, intesa secondo l'ampio significato di "casa nel suo complesso" (das ganze Haus)".
Lo storico tedesco mette in luce inoltre come la componente 'signorile' che fonda l'unità interna di tali
29 lvi, 158. '0 lvi, 134. ' 1 Sull'origine dello Stato per ceti cfr. O. BRUNNER, Per una nuova
storia costituzionale e sociale, trad. it. Milano '1970, 134, W. NAF, Leprime forme dello stato moderno nel basso Medioevo, in Lo stato moderno, I, Bologna 1971, 51-68.
1 2 BRUNNER, Per una nuova storia cit., 134.
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ambiti sia da connettere ad una conceZione nobiliare che avrebbe origine nella cultura greca antica ed avrebbe continuato ad esercitare la sua influenza durante tutto il Medioevo fino all'Età Moderna attraverso la diffusione della dottrina aristotelica 33 •
Pur non volendo entrare in problemi di carattere specificamente storico, bisogna notare che, nell'Inghilterra del '600, il processo di decandeza del ceto nobiliare si trovava in una fase già notevolmente avanzata. L. Stone documenta ampiamente tale fenomeno per il secolo precedente la rivoluzione34•
Dall'analisi fin qui svolta, si è potuto notare come anche Hobbes metta in luce la fragilità interna dei concetti legati alla filosofia pratica e la loro incapacità a significare una situazione evidentemente mutata, rispetto alla cond!Zlone nella quale si erano formati ed in funzione della quale avevano un senso. La stessa concezione hobbesiana dello stato naturale come condizione in cui agiscono singoli individui isolati segna la netta differenziazione ed estraneità di Hobbes rispetto alle teorizzazioni che si fondano su concetti connessi alla realtà storica di un mondo organizzato in signorie costituenti centri autonomi di potere.
Lo sforzo di Hobbes sembra vada proprio nella direzione di 'risignificare' quei termini che, in quanto legati alla concenzione di un mondo nobiliare ormai manifestamente e profondamente in crisi, si rivelano strumenti non più utili a conoscere il complesso mondo delle azioni umane. In questa prospettiva può esser esaminata l'analisi e la definizione che egli compie del termine 'nobìlità'.
La modificazione di tale concetto, che, come dimostra Brunn�r, aveva un ruolo centrale nella speculazio�e anstotehca, comporta anche il mutamento di significato degh elementi che erano strettamente connessi ad esso, come la concezione del potere e della virtù.
33 lvi, 148*149. 34 L. STONE, La crisi dell'aristocrazia: l'Inghilterra da Elisabetta a
Cromwell, trad. it. Torino, 1972.
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Che ad Hobbes appaia puramente arbitrario e non valido il legame ancora comunemente accettato e non sottoposto ad analisi fra nobilità, virtù e potere, consegue all'impossibilità di constatare la prerogativa del 'signore', del 'nobile' consistente essenzialmente nella facoltà di "trasformare la sua conoscenza in azione"35• La crisi di questo tipo di concezione nobiliare è evidenziata da Hobbes nell'analisi e valutazione del ruolo svolto, durante la guerra civile, dai Lords inglesi· la nobiltà e piccola nobiltà, anche i più diretti consigÌieri del Re dimostrano di fallire completamente nel comprer:dere la loro stessa posizione e funzione nella guerra civtle36• La consapevolezza da parte di Hobbes dello stato di dissoluzione del mondo signorile trova confern:'a �nche nella trattazione di specifici episodi; ci si può nfenre m particolare alle considerazioni espresse riguardo alla scelta del conte di Arundel", appartemente ad una delle più nobili e realiste famiglie, quale generale dell'esercito contro gli Scozzesi. Proprio perché effettuata in considerazione della sua nobilità e dei suoi ascendenti, piuttosto che della capacità e abilità personali, tale decisione è per Hobbes frutto di una credenza e di un costume privi di qualsiasi fondamento razionale: "non è se non una stupida superstizione -egli afferma- sperare che Dio abbia assegnato il successo in guerra ad un nome o famiglia"". Hobbes considera scisso "lo stretto rapporto fra nobiltà e virtù . . . per cui solo l'uomo nobile possiede virtù"" proprio perché le . connessioni concettuali del tipo nobiltà-virtù-signoria
35 BRUNNER, Per una nuova storia cit., 148. 36 Behemoth, 40, 179 .
• J 7 Facciamo riferimento, in questo caso, alla diretta traduzione dal test? mglese del Behemoth. In��ti sia l'edizione Molesworth (Behemoth: the h.rstory of tl:e causes of the cw!l wars of England and the counsels and arti
/te es by whrch they were carned o n from the ,year 1640 to the year 1660 �ondon 1966, 202), che quella. di F. Tònnies (Behemoth or the long Par� ltament, London 1969, 31) nportano la forma indicativa inglese had bee n, che nella traduzione italiana viene resa con la forma condizionale 'sarebbe stata' (Behemoth 37), la quale modifica il senso della frase.
H Behemoth, 37; cfr. anche Leviatano, 95. 39 BRUNNER, Per una nuova storia cit., 150-151.
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si scontrano con una realtà che le smentisce apertamente.
Si impone così la necessità di stabilire cosa si debba intendere per 'nobiltà'. Nell'uso che Hobbes compie di questo termine e nel significato che attribuisce ad esso è evidente l'attuazione di una separazione fra i due elementi che nell'organizzazione signorile si presentano un�ti, _quello. della pote�tas � quello della naturale capacita d1 eserCitarla, che 1mphca Ii saper mantenere ordinate ed unite l'insieme delle relazioni umane esistenti all'interno di tale ambito.
In Hobbes il concetto di nobiltà perde qualsiasi acceziOne morale; essa, nella forma visibile esterna consiste in una serie di privilegi, misura del suo po;ere40• La virtù invece acquisisce un significato del tutto interiorizzat�, divent� l'intenzione, il movente per le azioni d1 ogni uomo gmsto, che non deve perciò essere necessariamente nobile per titolo. Connessa al riconoscimento di uno spazio interno, separato e diverso da quello esterno delle azioni, acquista valore anche l'enumerazione della 'nobiltà' fra le 'facoltà dell'animo'41• Tale concetto viene nuovamente usato da Hobbes solo dopo e�sere stato privato dell'elemento del potere, rivelatoSI ormai, nella forma della presenza in molteplici ambtti part1colan ali mterno dello Stato fonte di lotta e disordine anziché armonia e pace. Ma è solo all'intern? _dello Stato, dove il potere non è più legato all'eserCIZIO di una signoria, ma si legittima sulla base del consenso di tutti i sudditi, che il concetto di nobiltà viene recuperato da Hobbes attraverso l'attribuzione ad esso di un significato puramente interiore: essa è 'onore' nella forma della dignità conferita dal sovrano".
Si rivela così un non senso la pretesa della nobiltà e
40 Levi{ltano, 73. 41 lvi 71 41 lvi, 161. È da notare che Hobbes, escludendo dal concetto di
n?bilit� quello di potere, rifiuta, oltre che la concezione connessa ai privilegi �el ttto
_l�, anche qu�lla legata allo sviluppo del ceto arricchitosi attraver
so 1 tr�fflct comme.rcta_li; . cosi infatti afferma ne.\ B&bemoth (46): "Abiti eleganti, gran sfoggw dt pmme, cortesia nei confronti degli uomini che non
HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 137
piccola nobiltà inglese di partecipare al potere, non solo perché la sovranità è indivisibile, ma perché unicamente dalla sua presenza nello Stato deriva la condizione di uomo nobile.
4. Il potere sovrano riveste così la funzione di unica fonte di giudizio morale, anzi ogni decisione sovrana è in quanto tale, morale. Questo tuttavia non perché "l� legge- sia mero-imperio, mandatum di colui che detiene il potere supremo"43 , ma in quanto deve, per Hobbes, sempre intendersi connessa alla realizzazione del bene del popolo, della salus populi, attraverso la creazione di un regno di giustizia e pace. La legge civile o comando sovrano che all'interno dello stato stabilisce le azioni giuste fonda infatti la sua legittimità nel consenso dal quale sorge lo Stato e nell'essere conforme all'equità, alla legge di natura che impegna la coscienza del sovrano anche se unicamente nei confronti di Dio44•
Si può osservare come il concetto di sovranità, alla quale Hobbes attribuisce il valore di presenza totale all'interno dello Stato in quanto unico elemento Jond�nte e vivificatore la società civile, riproponga in termim completamente mutati e del tutto originali l'antica concezione dell'organismo - il cui paragone con lo Stato è spesso usato da Hobbes - che viene vivificato dall'anima 45 • Ma ciò che più importa notare è che nell'uso che Hobbes compie di questi concetti acquista un'importanza nuova l'accezione per cui·-essi vengono ad assumere un significato del tutto 'spiritualizzato' ed 'interiore'. E infatti l'affermazione dell'esistenza di uno spazio interno della coscienza, ritenuto "l'ambito dei teoremi della ragione e della vera fede, che determina
sono disposti a mandar giò le offese, e offese nei confronti degli altri que-sta è la virtò cavalleresca dei tempi nostri", '
" C SCHMI!T, La dittatura dalle origini dell'idea moderna di so/T,/1111<1 <�Ila lotta dr classe prolcf<ma, trad. it. Roma-Bari 1975, 32.
�" l l'l'iatano, 298. . . " ' \ull'u-;o hobhc�iano del concetto di 'anima', paragonata al potere
cJ�lle nello Stato, cfr. Levwtano, 294, 568. _
138 LAURA !SEPPI
in Hobbes quella particolare concezione del potere sovrano, per cui esso risulta connesso proprio all'intento di realizzare i dettami delle leggi di natura attraverso la neutralizzazione di ogni conflitto.
In tutte le teorizzazioni della sua idea di sovranità, Hobbes pone a fondamento della creazione dello Stato il 'patto' inteso come elemento che "presuppone la fiducia"". L'attenzione al significato del contratto nella teoria hobbesiana è di particolare importanza se si considera che anche nel Behemoth Hobbes non auspica mai la vittoria del gruppo più forte quale mezzo per ottenere la pace". In questo caso l'avvento della società giusta e pacifica non sarebbe altro che l'esito finale della lotta di opposti partiti che difendono i loro interessi. Al contrario egli fa riferimento sempre al mancato riconoscimento, da parte dei sudditi, del legittimo potere sovrano quale causa di guerra civile, e fa appello ad una adeguata conoscenza dell'origine e natura della sovranità come unico mezzo che dovrebbe scongiurare ogni conflitto".
E così l'importanza della ragione che viene affer-
46 Elementi, 188 . , 41 Non ci sembrano cogliere il senso autentico della posizione di Ho h
bes nei confronti della guerra civile inglese le interpretazioni che mirano ad identificarla con quella di un gruppo particolare interessato al conflitto. J. Lips, ad esempio, individua una reale corripondenza della teoria hobbesiana, soprattutto quale è esposta nel Leviatano, sia al programma ed all'azione politica, che alle posizioni teologiche del gruppo indipendente moderato intorno a Cromwell (Die Stel!Unfi des Thomas Hobbes zu den politischen Parteien der groj5en englischen Revolution. Mit einer EinfUhrung von F. Tònnies, Leipzig 1927, 46, 48, 56-62, 71-75). MacGillivray (Thomas Hobbes's history cit . , 195) e Schlatter (Thomas Hobbes and Thuc:ydjdes cit., 359) identificano invece la posizione di Hobbes nel Behemoth con quella dei realisti,
Ci sembra rispecchi una maggiore adesione al pensiero hobbesiano la p�sizione di J .. Plamenatz, il quale, riconosciuta l'influenza ed il peso determmante esercitato su esso dalla situazione inglese, afferma che "la fondamentale posizione - di Hobbes - rip;uardo alb guerra civile era differente da quella di entrambi i partiti" (Man aJI{/ Society, l, Lmi.don 1974, 116) .
4 8 Hobbes auspica infatti una educazione alla 'vera politica' ed alla 'vera religione', in modo tale che "una volra che le università siano state ordina t: in questo modo, ne verranno fuori predicatori dai sani principi; e quellt che orn hanno principi non buoni se ne terranno sempre lontani" (Behemoth, 68),
HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 13 9
mata nel patto concepito come il momentò in cui la creazione delle condizioni, nelle quali le leggi di natura possono tradursi in pratica, segna il passaggio alla società civile. Lo spazio riconosciuto, nell'istituzione dello Stato artificiale, alla previsione, al calcolo, al ruolo della ragione nell'individuare la condizione che sola permette all'uomo di conseguire il suo vero interesse, è tale che il patto rappresenta la decisione maturata dalla considerazione razionale dei danni e pericoli derivanti dalla condizione naturale. Questo atto volontario è considerato 'necessario' da Hobbes in quanto unico mezzo per uscire dalla condizione naturale di totale insicurezza. Bisogna notare però che il carattere della 'necessità' gli deriva unicamente dall'essere la soluzione suggerita dalla ragione, la facoltà che perviene a risultati determinati solo in base a corrette connessioni di cause. La scelta, che si afferma nel patto, è quindi necessaria in quanto espressione della forza necessitante del ragionamento scientifico". Ciò non toglie che, in quanto decisione consapevole dei singoli di abbandonare i diritti naturali, essa implichi quel tipo di convinzione che la rende autenticamente scelta ed in questo senso 'libera'. Che questi due aspetti apparentemente contrastanti, la necessità e la libertà possano per Hobbes entrambi essere presenti nella creazione dello Stato, si spiega con il fatto che la libertà di cui egli parla non è quella di agire o non agire, ma la libertà interiore della coscienza che deve essere tutta presente al momento del patto perché questo abbia un senso, e deve · determinarsi a scegliere con piena convinzione l'istituzione della sovranità. L'aspetto vincolante del patto che riguarda ogni singolo individuo e tutti contemporaneamente pnò derivare unicamente da un impegno
49 "Le azioni, che gli uomini volontariamente fanno . . . poiché procedono dal loro volere, procedono dalla libertà, eppure, poiché ogni atto, ogni desiderio ed ogni inclinazione umana procedono da qualche causa, e questa da un'altra causa, in una catena continua - il cui primo anello è nella mano di Dio, prima di tutte le cause -, perciò procedono dalla necessità" (Leviatano, 186) .
140 LAURA !SEPPI
assunto e partecipato dalla coscienza; solo quest'ambi- . to, che per sua natura non conosce costrizione, può garantire la fedeltà e l'osservanza completa di esso.
Risulta così essenziale al rapporto di fiducia, che si viene ad instaurare con la cessione dei diritti naturali, la presenza in prima persona del singolo individuo; solo quest'ultimo può adeguatamente rappresentare se stesso ed obbligare la propria coscienza. E questo, ci sembra, il significato dell'individualismo hobbesiano, alla luce del quale va vista anche la particolare concezione del contratto ad esso connessa.
Il patto è concepito come vincolante per gli individui in virtù dell'accettazione stessa, cioè della manifestazione della volontà di rinunciare ai loro diritti naturali ed obbedire alla sovranità. Questo atto volontario non è altro che espressione della fiducia concessa da ognuno a tutti gli altri, e da tutti singolarmente nella persona pubblica del sovrano. E secondo queste modalità che esso crea non semplice associazione o somma di individui, ma "reale unificazione di tutti quelli in una sola e medesima persona"". La decisione, con la quale ognuno afferma ed accetta la necessità di una unione convenzionale nella persona del pubbhco rappresentante dello Stato, riveste cosi il significato di primo atto veramente creativo, attraverso il quale gli uomini diventano finalmente autori della loro condizione. La sottomissione totale al giudizio sovrano, che procede dalla rinuncia ad avvalersi dei diritti naturali, non ha il significato, per Hobbes, di una sopportazione passiva delle decisioni sovrane; il suddito, dopo il momento del patto, diventa vero autore delle sue azioni, ognuno continua a riconoscersi "autore di qualunque cosa colui, che così li rappresenta, possa fare o cagionare in quelle cose, che concernono la pace e la salvezza comune" 5 1 • Solo in questo modo l'autorità sovrana rappresenta le parole e le azioni del popolo "vera-
�o lvi, 151. 5 1 [/;i, 151.
HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE CUERRE CJVJLJ 141
mente"", e non ha più alcun significato proporre. la concezione di una sottomissione involontana o passrva alle leggi "poiché nessuna aZione involontaria può esse-. Il l "" re considerata come un sottomettersi a a egge .
La manifestazione di fede, e la certezza che la presenza della sovranità assicura, di poter costantemente piegare la volontà dei singoli ad attenersi alla fiducia prestata nel rispetto della loro retta cosCienza, rende ogni individuo, in quanto autore dello Stato, anche responsabile della sua esistenza. . , .
L'inscindibile unità di popolo e sovrano cm da ongine il patto hobbesiano rende impensabile la possibilità di opporre resistenza al sovrano IStituito. Hobbes supera cosf, attraverso la sua specrfrca concezrone del contratto ogni dualismo fra popolo e sovrano. Il concetto di 'popolo' ha significato :'?itario solo qu.ando ognuno si riconosce nella sovramta attravers'? rl nspetto delle sue leggi, e quest'ultima è tale solo m qu�nto espressione della volontà di giustizia e pace dr tutti gh individui che l'hanno istituita.
La problematica connessa alle modalità secondo le quali concretamente deve avvemre rl patto ed allo stabilimento dei tipi di diritti-doveri che devono regolare il rapporto sudditi-sovrano, che occupa gran parte delle teorizzazioni dei contrattualisti monarcomachi54, perde per Hobbes ogni valore.
Sovrano e popolo non sono, per il filosofo inglese, due entità poste l'una di fronte all'a� tra, i c?i rapporti siano resi problematrci a causa d1 un IrnduCibrle opposizione. Al contrario all'atto dell'istituzione dello stato la distinzione e differenza fra i due termini si dissolve' nel concetto hobbesiano di 'sovranità', che è simbolo dell'unione di ognuno con tutti gli altri nella persona del pubblico rappresentante. , E la qualità tutta interiore ed ,assol'7ta della 'fede , la cui presenza m ogm smgolo e nch1esta dal patto
" lvi 141 53 Behemo"-th, 60. . . 0 54 Sull'argomento cfr. Atger, L'Histoire des doctnnes Clt,, cap. III .
1 42 LAURA !SEPPI
hobbesiano, a determinare il carattere unilaterale del contratto rispetto alla sovranità che viene istituita. Non vi è infatti patto fra popolo e sovrano"; non in te" ressa ad Hobbes stabilire da quale persona particolare e come, in ogni circostanza concreta, debba essere esercitato il potere, in quanto non esiste di fronte a quest'ultimo un popolo, inteso come universitas già precostituita al sorgere dello Stato, che rappresenti la controparte cui il sovrano debba rendere conto. Al contrario importa ad Hobbes stabilire che l'abbandono dei diritti naturali e la 'fede' nel pubblico rappresentante da parte dei singoli deve essere totale. In questo modo solo il 'popolo' viene interamente caricato di tutta la responsabilità in caso di crisi del potere sovrano.
D'altra parte come 'popolo' propriamente non esiste in assenza della sovranità. Manca completamente in Hobbes l'idea di popolo inteso come Corpus, costituente un insieme unitario, anèhe se articolato in associazioni, che sia unico e vero portatore di autorità e potere". La potestas che, ad esempio, per Althusius inerisce al popolo, costituisce in qualche modo "l'anima di questo corpo"", per Hobbes, deve essere istituita in quanto prima della creazione della sovranità non si dà corpo unitario ma moltitudine di persone particolari che, come tali, non possono appellarsi ad alcuna pretesa di diritto comune per sottrarsi all'assolvimento del contratto. Ne deriva che l'affermazione del diritto di resistenza contro il sovrano istutuito per patto, sia
55 Per una trattazione della differente concezione del patto in Hobbes e nei contrattualisti puritani, cfr. W. FORSTER, (Thomas Hobbes und der Puritanismus vor 1640, "Hobbes-Forschungen", Berlin 1969, 77-90), il quale riconosce il carattere ed il ruolo particolare dell'elemento della 'fede' in Hobbes dove afferma che "questo tipo di 'fid'1ç:ia' è in contrasto con !a definizione puritana, perché non permette alcun diritto di resistenza" (H l ); inoltr'e, per un'analisi del differente significato del 'patto' hobbesiano ri'ipetto alle esigenze cui risponde il patto di signorÌ;l dei monarcomachi,
· cfr. W. NAF, Staat und StaéJtsgedanke, Bern 1953, 116� 1 1 8 , ed anche O. \'O Il GIERK E, (,'iouanui Alt/msius e lo Sl'ilupjm storico de/h• teorie poli� fiche giuslwturalistiche, trad. it. Torino 1974.
5 6 ATGER, L'Histoire des doctrines cit., 125. 5 1 lvi, 125.
HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 143
che si esprima nella forma dell'opposizione dichiarata e attiva sia in quella cosiddetta, passiva'" è espressione della �olontà di inf;angere la fede nell'unico rappresentante pubblico, ed, in quanto tale, è azione pr�fondamente ingiusta. Dal momento che per Hobbes Il sovrano non è il semplice magistrato delegato a rappresentare la volontà popolare, ma costituisce, attrav�rso le sue decisioni, questa stessa volontà, opporgh resistenza SIgnifica porsi al di fuori del popolo e diventare nemico di esso. . Analizzata da questa prospettiva, l'azione �rgamzzata durante la guerra civile, dai gruppi osnh al Re, che �irano in sostanza a rivendicare a sé parti essenziali della sovranità, si connota come espressione della volontà di infrangere la fiducia nel sovrano che doveva supporsi istituito per consenso, gi��ché si ,rit�neva .che quello avesse acqUISito la sovramta m v1rtu d1 un dmt� to di discendenza di oltre seicento anm e soprattutto SI preoccupasse unicamente di ass.olvere. i�
, suo . dovere
verso Dio governando bene 1 sum sudditi . , e dimostra l'ignoranza degli inglesi circa l'antica ongme dello stato ed il loro ruolo in essa. Nell'Inghilterra della guerra civile Carlo J D costituisce infatti, per Hobbes, la rapprese�tazione visibile della persona politica del sovr�no, l'unico legittimo rappresentante dello stato propno perché "ilpopolo, agendo per conto suo e dei suoi er�di col suo consenso e con 1 gmramentl, ha collocato Il p�tere supremo della nazione nelle mani dei re, per loro e i loro eredi· e di conseguenza, ha collocato Il potere supremo n eh e' mani di questo re, suo noto e legitti-mo sovrano"60• ·
Come nella concezione del potere sovrano, così in quella del patto che ne sta a fondamento, Hobbes teo-
H Per la trattazione del diritto di resistenza contro il sovrano afferma- to Della for�a della resistenza passiva, cfr. Behemoth, 56-61.
59 lvi, 5-6. 6 0 lvi, 176.
144 LAURA !SEPPI
rizza concetti del tutto particolari che si distinguono per la comune caratteristica di non costituire in nessun modo l'indicazione per la 'produzione' di concrete istituzioni di governo.
Se, da un lato, il problema della filosofia politica in Hobbes non riguarda più "la prassi, la giusta condotta di vita" come rileva Hennis, la creazione dello Stato non può pero, neppure identificarsi con una produzione di tipo 'poietico', secondo quanto propone lo stesso autore". l singoli, per Hobbes, sono creatori dello Stato non perché agiscano in qualche modo per 'produrlo' o ne promuovano, per esempio, la realizzazione dell'ordinamento costituzionale, ma solo in quanto riescano ad abbandonare i diritti naturali e a prestar fede costantemente nella persona sovrana. Il fondamento della concezione del potere sovrano consiste infatti nell'impiego interiore, che si manifesta nel patto, a riconoscere in ogni momento la sovranità. In essa i cittadini si identificano come soggetti portatori di retta ragione e vera fede, in quanto nel sovrano e nelle sue leggi, nella realizzazione quindi di una società civile giusta e pacifica si rende realmente visibile e manifesta la presenza dello spirito in terra e la verità che 'Gesù è il Cristo'", attraverso l'unico legittimo rappresentante di Dio63•
6 1 W. HENNIS, Politik und praktische Philosophie, Neuwied am Rhein und Berlin 1963, 49. 6 2 "Che Gesù è il Cristo, that Jesus js_tf?fr;Christ, Hobbes ha spesso ed energidmèriie ·affermato. Questa frase è per liti non solo una confessione soggettiva, al contrario anche un asse del concettuale sistema di pensiero della sua teologia politica" (C .. SCHMITT, Die vollendete Reformation, "Der Staat'', 4 (1965), 52).
63 Sulla fine di Carlo JO Hobbes esclama: "e quali crimini maggiori che l'oltraggiare ed uccidere l'Unto del Signore, come avvenne per mano degli indipendenti ma a causa della follia e del primo tradimento dei Presbiteriani, che tradirono e vendettero il re ai suoi assassini" (Behemoth, 179).
NORMA TIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA
di Claudio Pacchiani
1 . Karl Mannheim ha sostenuto in Ideologia ed Utopia come uno dei compiti fondamentali della sociologia del sapere sia quello di spiegare le ragioni per le quali interi sistemi gnoseologici si sviluppino al punto da diventare dominanti in una certa epoca, per poi scomparire quasi del tutto senza lasciare traccia di se stessi 1• L'analisi cui viene affidata la funzione di fornire una risposta a questo tipo di questioni, dovrebbe consistere nel porre in relazione le forme culturali che si affermano in un determinato tempo ed in un determinato luogo, con l'assetto generale della società in cui tale sviluppo si compie. Una conoscenza che fosse andata abbastanza avanti su questa via ci permetterebbe, secondo Mannheim, di comprendere da un lato i motivi per i quali solo in epoca recente si sono formate scienze come l'economia e la sociologia, e dall'altro di spiegare perché lo stesso processo non si è verificato per quanto riguarda la politica.
Esistono certo delle discipline come la storia delle istituzioni, lo studio delle relazioni sociali e delle tradizioni di un determinato paese, da cui si ricavano delle nozioni che possono essere utili per chi esercita la professione della politica. Ma tutte queste, assunte nel loro insieme, non costituiscono al tempo stesso la scien-
K. MANNHEIM, Ideologia e utopia, trad. it. Bologna 19683, 109 e segg.
146 CLAUDIO PACCHIANI
za della politica; la loro funzione può essere eventualmente quella di forme di conoscenza di tipo sussidiario. Ciò che caratterizza questo tipo di discipline è infatti la loro essenziale staticità, nel senso che esse si interessano della società e dello Stato solo in quanto appaiono come i prodotti finali di uno sviluppo storico già conclusosi. Connotazione propria della reale prassi politica, intesa nel suo aspetto dinamico, è invece l'interesse per la società e per lo Stato nel loro nascere e nel loro attuale costituirsi.
Da ciò appare evidente, per Mannheim, che non è sufficiente per sostenere l'esistenza della scienza della politica e della sua insegnabilità, limitarsi ad una semplice somma di nozioni utili per l'azione di un leader politico o di un uomo di partito. Piuttosto egli sembra ritenere che la scienza politica sia, nella sua essenza, proprio qualcosa di simile ad una teoria della prassi politica concreta, sia tesa cioè, più che verso le istituzioni passate o esistenti, verso la progettazione di un comportamento pratico futuro, che essa deve essere in grado di indirizzare secondo certe norme stabilite. Che una scienza di questo tipo non sia ancora nata, è per Mannheim un dato di fatto talmente evidente da non richiedere neppure dimostrazione. · In effetti, soprattutto a partire dagli anni cinquan-ta, sono diventati sempre più numerosi quegli autori che hanno evidenziato le difficoltà di fondo in cui si dibatte la scienza politica contemporanea. Sono trascorsi circa trent'anni infatti da quando, in un volume pubblicato a cura dell'UNESCO, ed intitolato La science politique contemporaine', vennero raccolti i risultati di un'inchiesta sullo stato degli studi e degli orientamenti della scienza politica in un gran numero di paesi, sia europei che extraeuropei. L'impressione che si riceve scorrendo l'opera è quella di una notevole diversità di posizioni, sia per quanto attiene ai fini che per la meto-
• AA. VV., La science politique contemporaine, Contribution à la recherce, la méthode et l'einseignement, Liège 1950.
NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 147
dologia della disciplina. Sembra quasi che questa sia a tal punto poco sicura del suo oggetto e del suo metodo che difficilmente le si possa riconoscere un fondamento certo ed una definizione univoca. Ciò è confermato dal ·· fatto che . proprio tra i maggiori rappresentanti degli studi di politica nell'ambito della cultura contemporanea c'è chi, per motivi diversi, pensa addirittura che la moderna teoria politica si trovi in un momento di fatale e forse irreversibile decadenza (L. Strauss, H. Dombois, O.K. Flechtheim, W. Hennis, P.V. Oertzen)' . C. Schmitt poi, soprattutto in uno scritto del 1930, Staatsethik und pluralistischer Staat', sembra ritenere che tutti gli errori sull'essenza dello Stato e della politica dipendano dal fatto che si insiste nell'affermare l'esistenza di una realtà propriamente politica accanto ad altre sfere. Che il politico non abbia alcuna sostanza sua propria, che esso non indichi alcun ambito di oggetti suo particolare, appare qui come il criterio proprio della sua definizione.
Più cautamente J. Maynaud sostiene che i margini di discussione che esistono di fatto tra i cultori della scienza politica non sono così ampi da non permettere l'individuazione di un ambito proprio della politica in quanto tale'. Di fatto però lo stesso Maynaud non si ritiene in grado di offrire una definizione dell'oggetto e delle finalità proprie della disciplina, in modo tale che sia possibile fornire una rigorosa delimitazione. Ciò che a suo modo di vedere è possibile fare, non è altro che enumerare quello che di fatto studiano ed insegnano i suoi cultori in un determinato momento storico. Del resto per il Maynaud tutti i tentativi compiuti negli
3 Di L. Strauss cfr. Che cos'è la filosofia politica?, trad. it. Urbino 1977; di H . Dombois, Strukturelle Staatslehre, Berlin 1 952, 5; di O.K. FICcFith'eÌm, érundlegung der po!itischen Wissi?nschaft, Meisenheim a <ìj,\. 1958, vol. VI, 97; di W. Hennis, Politik und praktis�he Phi!o:Sophie, Neuwied am Rhein und Berlìn 1963; di P. von Oertzen, Uberlegungen zur Stellung der Politik unter der Sozialwissenschaften, in Politologie und Soziologie, Kòln und Opladen 1965.
4 "Kantstudien", 35 (1930), 28-42. ]. MEYNAUD, Introduction a la science politique, Paris 1959,
l J.12.
148 CLAUDIO PACCHIANI
ultimi anni per stabilire in maniera univoca l'oggetto proprio della scienza politica non hanno avuto altro
· esito che quello di confermare l'eterogeneità dei punti di vista che esiste in questo settore'. Su di un punto, egli osserva, sembrerebbe essere d'accordo tuttavia almeno la maggior parte dei cultori della disciplina. Sul fatto cioè di ritenere che solo in epoca recente la scienza politica si è venuta separando e quindi rendendo autonoma nei confronti della pura speculazione da un lato, e dall'altro dal semplice studio storico dei fenomeni politici. Si può dire infatti che fino a non molto tempo fa il teorico della politica non ha voluto rinunziare a proporre dei giudizi e delle direttive utili al comportamento pratico, muovendosi così tra i due poli opposti delle prescrizioni morali e della pura e semplice esplicazione positiva dei dati.
2. L'esistenza di una netta linea di demarcazione tra una 'preistoria' della scienza politica ed un'epoca nella quale essa avrebbe invece raggiunto un suo autonomo statuto di scientificità, è sostenuta con decisione da quegli autori che, come M. Duverger, non mettono neppure in discussione come la progressiva acquisizione di una prassi di ricerca sempre più rigorosamente scientifica, vada di pari passo con la liberazione dall'impostazione e dai problemi di quella che, in contrapposizione alla scienza, viene definita come la filosofia sociale'. Nell'epoca 'prescientifica' il fine del ricercatore sarebbe stato, secondo Duverger, quello di indicare il modo in cui una determinata formazione sociale doveva essere organizzata, più che quello di esa- · minare la maniera in cui effettivamente quella sì era costituita. La filosofia sociale avrebbe così per secoli soverchiato la scienza sociale: ancora in tutto il settecento sarebbe irrilevante "il numero degli autori che han-
6 lvi, 13. 7 M. DUVERGER, I metodi delle scienze sociali, trad. it. Milano
1963, 1 8 e segg.; cfr. dello stesso Introduzione alla politica, trad. it.-Bari 1966.
-, :
i '
NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 149
no fatto prevalere il punto di vista scientifico su quello filosofico"'. Nell'era 'premoderna' della teoria sociale, il fine ultimo dell'indagine sarebbe stato quello di indicare i "principi di una organizzazione ideale"; solo in forma subordinata, e come condizione per porre le premesse per il raggiungimento di quella finalità, ci si sarebbe anche preoccupati di esaminare il funzionamento delle organizzazioni politiche realmente esistenti.
Certo, anche nel primo stadio delle ricerche sociali vi sarebbero state comunque delle indagini a carattere scientifico. Tuttavia i risultati sarebbero stati per Duverger assai ridotti se raffrontati alla quantità predominante di indicazioni a carattere normativa. Poiché sono sempre queste ultime che alla fine hanno finito per orientare l'azione dello studioso e per decidere dei suoi intenti finali, si deve affermare "che le prime teorie scientifiche sono il riflesso di dottrine metafisiche e morali e di posizioni aprioristiche"'.
La convinzione che solo nell'epoca moderna gli studi di politica abbiano raggiunto un effettivo livello di scientificità e si siano sostituiti ad un orientamento sostanzialmente filosofico e prescientifico, sta alla base anche della policy sciences cos{ come la concepiscono negli Stati Uniti Harold Lasswell e la sua scuola''. Anche secondo il punto di vista di Lasswell è necessario innanzitutto distinguere tra quelle opere che formulano proposizioni e principi di dottrina politica e quelle che si riferiscono invece più precisamente alla scienza politica. Un lavoro scientifico nel campo della ricerca politica esamina ciò che lo Stato e la società sono di fatto e non ha la pretesa di indicare ciò che dovrebbero essere. Ciò che garantisce infatti la scientificità dei procedimenti nel campo delle scienze sociali è l'esclusione di quel tipo di elaborazioni teoriche che, sottraendosi alla "osservazione ed al controllo empirico", giungono
8 Metodi cit., 18. 9 Ibidem. 10 H. LASSWELL, A. KAPLAN, Potere e società, trad. it. Milano
1979.
150 CLAUDIO PACCHIANI
a formulare delle astrazioni del tutto separate dalla realtà. Tutta una tradizione del pensiero politico alla quale, secondo Lasswell, appartengono anche filosofi come Platone, Locke, Rousseau ecc . . . , avrebbe avuto come scopo non tanto la pura e semplice conoscenza dei fatti, quanto piuttosto la giustificazione delle formazioni politiche esistenti o di quelle che essi stessi proponevano". Compito della scienza politica deve essere invece quello di configurarsi come una scienza empirica del comportamento umano: le stesse formazioni sociali ed istituzionali acquistano senso infatti solo se sono ricondotte a forme di comportamento. Anzi, perfino i termini che formano il patrimonio lessicale di base del linguaggio politico, come Stato, governo, diritto, potere ecc . . . "hanno un significato ambiguo, finché non sia chiaro il modo in cui devono essere impiegati per descrivere ciò che effettivamente la gente dice o fa" '2•
Sostenitore di una rigida distinzione tra atteggiamento filosofico ed atteggiamento scientifico nel campo della ricerca politica è stato pure in Italia Giovanni Sartori. Anche per Sartori è un diverso uso del linguaggio quello che permette di distinguere tra teorie empirico-scientifiche della politica e filosofia politica 1 3• Il linguaggio filosofico è definito da Sartori come linguaggio metaosservativo: in esso "le parole non servono per osservare, non significano quel che rappresentano". Al contrario, nella conoscenza scientifica è richiesto un uso descrittivo, empirico del linguaggio, "nel quale le parole registrano osservazioni e 'stanno per' ciò che rappresentano"14 • Ciò dovrebbe apparire particolarmente evidente per quanto riguarda la teoria dello Stato. L'interesse del filosofo non verte qui tanto sulla realtà dello Stato esistente, quanto sul problema del si-
1 1 lvi, 3 . 11 Ivi 17 '·' G. SARTORI, Per una definizione della scienza politica, in Antolo
gia di scienza politica, Bologna 1970, 1 1 . 14 lvi, 20.
NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 151
gnificato dello Stato. La filosofia va però al di là dei propri limiti non quando esprime giudizi di valore, ma solo quando ritiene di poter essere applicabile, quando si presenta cioè come una "teoria suscettibile di azione pratica". In questo caso accade infatti che una teoria che nella sua natura propria non è una teoria della pratica, vuole invece presentarsi come tale. Non si tratta qui di una insufficiente elaborazione o inadeguatezza della teoria, ma piuttosto della totale estraneità di ogni elaborazione filosofica ad interpretare la realtà politica. Se infatti la politica è nella sua essenza propria, secondo il punto di vista di Sartori, in primo luogo una tecnica, nel senso che ha in sé una componente tecnica, nello stesso tempo può essere . anche oggetto di una scienza di tipo ipotetico, tale che sia in grado cioè di fornire relazioni funzionali del tipo 'se . . . allora'. Se è certo che sotto questo aspetto la scienza politica può fornire solo conoscenze relative, è anche vero che all'interno di questi limiti essa è qualcosa di più che non arte o ideologia.
Bisogna osservare che Sartori non si pone nemmeno il problema di un metodo proprio delle scienze sociali che possa essere in qualche modo distinto da quello delle cosiddette 'scienze esatte'. Piuttosto egli sembra partire dalla distinzione di diversi usi del linguaggio e definisce senz'altro quello filosofico come linguaggio metaosservativo. Si tratta evidentemente dell'adozione di un luogo comune. Ciò che qui non viene neppure messo in discussione è se l'oggetto proprio cui si rivolgono le scienze sociali sia eguale, nella sua essenza propria, all'oggetto delle scienze esatte.
3 . Il venir meno nella scienza politica contemporanea di un'intenzione di carattere pratico normativa è particolarmente evidente in effetti, se si tiene presente che la quasi totalità degli specialisti nel campo delle scienze della società è d'accordo oggi nel ritenere che il loro scopo fondamentale è soltanto quello di esporre la dinamica e lo sviluppo delle relazioni sociali, mentre
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non ritiene che faccia parte dei loro compiti la prescrizione di concrete finalità sia relativamente agli Stati che alle altre associazioni inferiori. Tuttavia esiste anche chi pensa che non ci si debba limitare ad una constatazione puramente neutrale dei fatti politici. Tra costoro E. Spranger1 ' , che ha attribuito ad esempio alla scienza politica la funzione di mettere in chiaro i criteri attraverso cui le differenti ideologie cercano di ottenere una loro propria legittimazione, oppure Th. Litt16 , che ritiene compito della scienza politica quello di stabilire quali siano le condizioni di base di forme di vita politico-associativa conformi ad una struttura sociale democratica, e quali forme di morale politica e di pedagogia sociale siano ad essa collegate. Che �me della dottrina politica sia innanzitutto la ncerca de1 presupposti etici che caratterizzano l'agire sociale, è poi anche convinzione di chi, come ]. Maritain o ]. Messner, prende le mosse da una concezione generale dello Stato, o meglio della comunità politica, fondata su d1 un diritto naturale concepito conformemente ad una morale statale cristiana".
Ma è stato soprattutto Leo Strauss che, a partire in modo specifico dal 1953, ha cercato di riaffermare l'importanza dell'elemento normativa nel campo delle dottrine politiche contrapponendosi decisamente a quello che gli è sembrato l'indirizzo oggi dominante' " . La premessa di fondo da cui prendono le mosse 1 moderni scienziati della politica, afferma Strauss, è l'idea che proprio emancipandosi dai problemi caratteristici della filosofia si possa guadagnare un rapporto dJretto
15 E. SPRANGER, Volk, Staat, Erziehung. Gesammelte Reden und Au(siitze, Leipzig 1932. ·
"' T. LTTT, Staatsgelf'{!lt und Sìttlichkeit, Miinchcn 1948, dello stesso dr. pure lndil'iduum und Gemeinschaft, Leìpzig 19263•
' 7 Di J. Marita in cfr. L'uomo e lo Stato, trad. i t, Mil�mo 1963; di]. Messner Das Natun·echt, Innsbruch 1950, e Kulturethik mit Grundlegung durch Prinzipienethik und Personlichkeitsethik, Innsbruch 1954.
· � Cfr. soprattutto Natura! Right and History, Chicago 1953, trad. it. Venezia 1957; Che cos'è la filosofia politica? cit.; The City and Man, Chicago 1963.
NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 153
ed immediato con la realtà stessa della vita politica. In realtà le moderne scienze sociali stabiliscono tale rapporto solo con la mediazione dell'apl?arato concettuale e terminologico delle sc1enze naturah, ed attraverso un corpus di concetti fondamentali che esse hanno assunto da quella stessa tradizione filosofica che apparentemente rifiutano e disprezzano. Ciò ha portato come nsultato una perdita di consapevolezza riguardo agli scopi ed all'oggetto stesso della ricerc�. E questo sarebbe testimoniato dal fatto per cm ogg1 manca non soltanto un reale accordo riguardo all'oggetto, alla metodologia ed alla funzione propria della disciplina, ma persino la stessa natura della politica è diventata oggetto di discussione. Tutto ciò è conseguenza, secondo Strauss del fatto che la scienza politica ha perso di vista queÌlo che un tempo era il suo compito prindpale, e cioè la scelta del migliore ordine statale. Il vemr meno di tale finalità costituirebbe anzi il maggiore elemento di differenziazione tra antichi e moderni: alla sua origine la filosofia politica non si distingueva neppure dalla scienza "e consisteva nello studio che abbracciava tutti i problemi umani, mentre oggi la troviamo tagliata a pezzi"1 9• • . • Vicino per molti aspetti alle tesi d1 Strauss, particolarmente per quanto riguarda la rivalutazi�ne del pensiero politico classico-antico, è Enc Voegelm. In modo specifico nell'Introduzione metodo/l;gica ad un suo lavoro pubblicato per la pnma volta m mgl�se nel 1952 ed intitolato La nuova scienza della poltttca, Voegehn si rivolge criticamente contro quella che a lui sembr� la presunzione di fondo delle moderne sc1enze . soCJah, e che consiste nella pretesa, espressa per la pnma volt� nella forma più compiuta nell'opera d1 Max We.�;r, d1 poter isolare e separare tra loro 1 fatti d�1 ;alon . . . .
La liberazione della scienza della soCJeta dai gmdlZI
'9 Chi' cos'P la filosofia politica? cit, 42. 20 E. VOEGELIN, La 11uo1-'" scien;:,a politica, trad. it. Torino 1968,
63 e segg.
154 CLAUDIO PACCHIANI
di valore, nota Voegelin, doveva essere possibile per Weber attraverso l'elaborazione di tipi ideali che permettessero di individuare da un lato formazioni istituzionali di base e le deviazioni da esse, e dall'altro di permettere la formulazione di relazioni causali tipiche. Ciò implicava come presupposto di fondo la netta separazione dei valori dell'ordinamento politico, che venivano sottratti così ad ogni considerazione critica, da una conoscenza scientifica della realtà sociale che doveva essere resa disponibile e quindi utilizzata in senso tecnico nella concreta prassi politica. Voegelin contrappone a quest'idea di fondo di Weber il suo proprio punto di vista, secondo il quale le formazioni sociali umane non possono essere intese alla stregua di eventi o fatti del mondo esterno che siano in qualche modo disponibili all'osservazione allo stesso modo di qualsiasi fenomeno naturale. A differenza delle realtà del mondo fisico, le formazioni sociali non sono per Voegelin dei dati oggettivi immediatamente disponibili all'indagine disinteressata dello scienziato. Ogni formazione associativa umana è invece una realtà essenzialmente storica, che si costituisce diacronicamente come un cosmion, e cioè un piccolo universo autonomo, attraverso i significati che gli attribuiscono nel corso del tempo gli individui che lo compongono21• L'elaborazione di quella forma letteraria che è una dottrina politica compiuta non rappresenta pertanto nulla di diverso dalla manifestazione dello sforzo di autointerpretazione da parte di una società. Ciò presuppone la penetrazione di forme simboliche che si presentano a diversi livelli di formalizzazione, che vanno dalle semplici forme rituali, al mito, alle teorie razionalmente più compiute. Si tratta di un campo di elaborazioni sociolinguistiche che la scienza politica al suo nascere trova già predisposto, e dal quale tanto poco può prescindere, che anzi proprio esso deve formare l'oggetto primo delle sue indagini.
'1 lvi, 83.
NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 155
Non spetta dunque al ricercatore nel campo dei fatti politici di creare egli stesso, mediante definizioni ed assiomi, gli elementi di base sui quali deve poggiare la sua indagine; al contrario, egli deve partire da concetti che trova già presenti all'interno dell'orizzonte socioculturale nel quale si muove. Le opere di etica e di politica di Aristotele forniscono, secondo Voegelin, l'esempio migliore di un tipo di ricerca che parte appunto dalla consapevolezza di tali problemi fondamentali. L'uso che Aristotele ha fatto dei concetti fondamentali della politica, quali ad esempio quelli di pdlis, di cittadino, di costituzione, di forma di governo ecc. , dimostrano proprio come egli si sia ben guardato dall'attribuire a quelle parole un significato arbitrario, ma le abbia assunte nel senso che esse avevano nell'ambiente sociale che le aveva prodotte. Proprio il linguaggio comune e l'insieme delle opinioni ricorrenti, oltre che naturalmente i diversi punti di vista precedentemente elaborati da quei filosofi e poeti che avevano trattato le medesime questioni, aveva costituito il punto di partenza dell'indagine per Aristotele.
Per queste ragioni, conclude Voegelin, è necessario avere ben chiaro che il procedere ermeneutico della scienza politica è essenzialmente diverso da quello delle scienze empirico-analitiche. Chi si propone, ad esempio, di comprendere il senso di un'opera come la Repubblica di Platone, non ha certo bisogno della matematica; e viceversa, lo scienziato che si occupa della struttura cellulare non utilizza gli strumenti propri della filologia classica o i principi dell'ermeneutica".
4. Una delle conseguenze più importanti della tendenza propria delle moderne scienze sociali ad intendere i fenomeni politici come dati oggettivi, è quella per cui questi ultimi vengono ricondotti essenzialmente alla categoria del potere. Non pochi sono infatti coloro che ritengono oggi che proprio nel potere debba esser�
22 lvi, 52.
156 CLAUDIO PACCHIANI
vista la realtà specifica del politico. La problematica dell'acquisizione, dell'uso e della perdita del potere in un ordinamento determinato viene presentata anzi spesso come l'intento fondamentale della scienza politica. Se si vuole proporre una determinazione generale del concetto di potere, ha osservato ad esempio O. Stammer, occorre dire in primo luogo che esso rappresenta un fenomeno generale dell'ordine sociale, e che costituisce l'elemento di base di ogni associazione umana, in tutti i gradi del suo sviluppo".
Un esempio ormai classico di definizione del concetto di potere è quello fornito da Max W e ber. W e ber definisce il potere come la chance, all'interno di una relazione sociale, di far prevalere in ogni modo il proprio volere contro un'opposizione, ovunque si fondi o, in altre parole, la possibilità da parte di comandi determinati di trovare obbedienza24• Il potere equivale cos{ ad un'autorità che si manifesta a diversi livelli, a partire dalla cieca abitudine, fino a considerazioni puramente razionali rispetto allo scopo". Quello che deve essere as.sicurato in ogni caso è la possibilità di un agire il quale si renda comprensibile in base ai motivi che lo determinano, alle ragioni che spiegano cioè l'obbedienza verso il detentore o i detentori del potere. Ciò vale naturalmente in primo luogo per lo Stato, che all'interno di un territorio determinato, sa rivendicare con successo il monopolio della costrizione fisica. Il potere politico diventa cos{ potere statale, ed i fenomeni di potere, sui quali lo scienziato della politica ha indirizzato la sua attenzione, sono messi in diretta relazione al pote-
i re statale; la scienza politica si riduce in tal modo ad ··' una vera e propria sociologia dell'autorità (Herr
schaftssoziologie). Direttamente a Weber si riferiscono coloro che, co-
n O. STAMMER, Gesellschaft und Politik, in Handbuch der Soziologie, Stuttgart 1955, 571 e segg.
207. 24 M. WEBER, Economia e società, trad. it. Milano 1968, vol. I,
25 Ibidem,
NORMATIVJSMO E SCIENZA DELLA POLITICA 157
me H. Jahrreiss ritengono addirittura che tutto l'ordinamento giuridico, la costituzione stessa dello Stato possono intendersi come parte e manifestazione dell'organizzazione del potere"; o che, come Th. Eschenburg riconducono la divisione delle diverse forme di Stato alla formazione di diversi sistdmi d'autorità 27• Accanto all'autorità che deriva dalla sovranità popolare, e quindi controllata e cooperativistica (genossenschaftlich), si pone cos{ per Eschenburg un'autorità incontrollata, autoritaria ed autocratica che caratterizzerebbe i regimi assolutistici e dittatoriali.
La problematica dell'autorità, cioè il problema dell'eserCizio del potere e dei metodi e delle tecniche utilizzate, viene trattato frequentemente dal punto di vista sociologico, esaminando il potere come sussistente quando e dove agiscono sull'individuo pressioni sociali ( social pressures) per raggiungere una condotta desiderata (G. Gurvitch, O.K. Flechtheim)'". La dottrina del controllo sociale è divenuta anzi una disciplina speciale della sociologia, la quale ha a che fare in questo caso con tutte le forme ed i mezzi attraverso cui il comportamento degli uomini viene influenzato da parte dei gruppi, nella società e nello Stato, sia che si tratti di abitudini, costumi, tradizioni, atteggiamenti di fede e idee, o di condizionamenti organizzati attraverso l'educazione, l'opinione pubblica e la propaganda o la costrizione politica".
L'ipostatizzazione del potere a categoria propria
n H. JAHRREISS, Mensch und Staat, Kòln 1957 141 e segg. 21 T. ESCHENBURG, Staat und Gesellschaft in D�utschland, Stutt
·gart 1956. '8 Una esposizione complessiva della posizione teorica di G. Gurvitch
si tr�wa nel Tmité de sociologie, la cui pubblicazione egli stesso ha diretto (Pans 1958, vol. I, 216-325). O.K. Flechtheim ha curato la pUbblicazione del volume Fundamentals of Politica! Science, New York 1952, dove la teoria de� social co
.ntrol viene .applicata sia in relazione ai meccanismi del pote
re socrale che dt quello pohttco. Dello stesso cfr. Eine Welt oder keine? Beitriige zur Politik, Politologie und Philosophie, Frankfurt 1964.
29 Cfr. Gesellschaft und Politik cit., 575.
i i
158 CLAUDlO PACCHIANI
della scienza politica non riguarda certo solo la tradizione culturale tedesca, ma anche e soprattutto quella americana. H.D. Lasswell vede nella scienza poli;ica proprio una science of power, e nel p�t�re gumdi l oggetto peculiare di essa 30• Il potere non e q m concepitO come un ambito che possa essere mtes? sepa:atament� 0 come un aspetto particolare della Vita s�ciale, ma e presente in tutte le sue c?mponenti ��me c1o che ne costituisce l'aspetto propnamente polltlco. . Tuttavia bisogna dire che, soprattutto m
. Ger��
nia, si è sviluppato un indirizzo del!� socwlogw pohtt� ca che si è opposto alla tendenza ad �nterpretare tutti l fenomeni sociali mediante la categona gener�le del p�tere. t soprattutto in quello che è stato deflmto come 1l più importante. tentativo .prodotto 1� ambito tedesco negli anni venti d1 costrmre una teana dello Stato, la Verfassung und Verfassungsrecht di, R. Smend che questo modo di intendere la pohuca e stato mes�o m questione3 1 , Se già da tempo.' sostlel_'� Smend, �1a l� teoria dello Stato che la teana del dmtto pubbhco Sl trovano in Germania in uno stato di crisi o per lo meno di decadenza ciò è dovuto in modo particolare proprio alla grande influenz� che le concezioni di Weber e di Meinecke hanno esercitato sul modo d1 111tendere la realtà dello Stato. Attraverso questi autori si affe�merebbe in sostanza, secondo Smend, una te�na positlv� dello Stato come impresa (Betrieb), che svilup�;andost sulla base di una propria immanente teleologla,. non potrebbe apparire al singolo individuo altnr�ent1 che nella forma di una forza naturale o d1 un destmo che SI attua e procede secondo leggi autonome". Ciò avrebbe portato all'insolubile antinomia di Kmtos ed Ethos, e quindi all'idea di un carattere demomaco del potere e dell'autorità.
Il risultato di queste teorie è per Smend l'afferma-
.lo Cfr Potere e società cit., 89 e segg. . h 3 1 R. SMEND, Verfassung und Verfassungsrecht, in Staatsrechtltc e
Abhandlungen und andere Aufsiitze, Berhn 1955, 121 e segg. 32 lvi, 122.
T
NORMA TIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 159 zione di una totale estraneità delle concrete intenzioni pratico-politiche nei confronti dello Stato, estraneità che avrebbe avuto come immediata conseguenza nello stesso tempo un'astensione apolitica del privato individuo nei confronti delle attività di governo ed un'altl·ettanto apolitica adorazione del potere. Anche Hermann Heller ha criticato duramente nella sua Staatslehr� coloro che hanno rinunziato ad ogni 111terpretazwne 111 senso teleologico della realtà dello Stato, per vedere in esso unicamente un'espressione della costri�ione e della violenza". L'agnosticismo, egli afferma, di coloro che credono che non si possa rispondere alla questione del fine dello Stato conduce alla. triste �onclusio1_1e secondo la quale og�i gruppo pohtico puo defm1rs1 solo attraverso il suo strumento la 'violenza'. A questa dottrina, ed a maggior ragione � quelle che sostengono che il potere è il fine concettualmente necessario dello Stato, più che di essere false capita di non dire assolutamente nulla. Dato che tut�e le istituzioni umane dispiegano potere, se non si fissa una funzione del senso del potere specifico dello Stato non è possibile distinguerlo da un'accolita di banditi, ' o da un trust del carbone o da un club sportivo". Al di là ed al di sopra della pura analisi della formazione e del meccanismo dei rapporti di potere è la determinazione del senso immanente dello Stato' che è di importanza decisiva per la comprensione dello stesso 111 tutti i suoi dettagli. Senza un riferimento alla funzione ed al senso dello Stato, conclude Heller, tutti i concetti della teoria dello Stato e del diritto appaiono privi di significato. Kurt Sontheimer si ricollega esplicitamente ad Heller qua.ndo afferma che l'elemento essenziale che prima d1 ogm altro permette di distinguere le differenti formazioni sociali, non è la 'qualità' del potere presente in esse, ma i fini e le relazioni che sono loro proprie". t 33 H. HELLER, Staatslehre, Leiden 1934, 203. H Ibidem. 1° K. SONTHEIMER, Zum Begriff der Macht als Grundkategorie
160 CLAUDIO PACCHIANI
indiscutibile il fatto che i rapporti di forza gi�chino un ruolo fondamentale, ma essi non sono sufficrent1 da soli a definire il politico in quanto tale. Se consrdenamo dice Sontheimer nel contesto der suoi scnttr pohtic/ la definizione d�! potere dello Stato d�ta da M. Weber possiamo concluderne che sr tratta dr una concezion� teorica che si trova completamente collocata nella tradizione specificamente tedesco-brsmar.ckrana dello Stato, tradizione che ha avuto m von Trertschke il suo primo e più celebre rappresen_tante.":
Che ciò sia vero nella sostanza, e drffrcrle d� negare; però occorre anche riconoscere che per Trertschke
. lo Stato non appare soltanto come una formaziOne dr potere, al contrari� �sso viene mteso soprattutto come una comunità pohtiCa onentata teleolo�rcamente,. � che riceve il suo significato propno dal fme o dar fim che è chiamata a realizzare. .
Particolarmente nella sua Gesellschaftswtssenschaft del 1 859, von Treitschk� aveva n;resso m evrd�nza in modo particolare le modrfrcazrom che la pohtiCa come scienza aveva assunte 'nel secol� �corso�' . Tanto l'antica concezione di una scienza pohtrca umtana, mtesa al modo di Aristotele, quanto il sistema complessivo di una dottrina camerale dello Stato, egh afferma, erano venute meno, ed il loro posto era stato preso da · una molteplicità di discipline che sr erano succedute a quella. L'elemento c�ratterizzante queste n,nove scre';l-ze della politica consrsteva, da un lato nell autonomra del fine di ciascun ambito d'indagine, dall'altro nel c�rattere proprio della ricerca, alla quale era ormai affr: data unicamente la funzione dr scopnre leggr e nessi dr carattere generale. Dominante er� in es�e. un rdeale scientifico di tipo teoretico: la teorta del dmtto pubblt-
f:?lr��;;:;:n�t:::s;::fJ;i�� �:de�h::��:
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kinEI;;:i;�r;!uU��:�
203. 2 6 Ibidem J H Il 1927 11 H. v. T.REITSCHKE, Die GesellschaftswissenschaJt, a e •
79 e segg.
NORMA TIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 161 co si limitava ad esempio ad indicare le linee fondamentali su cui doveva essere stabilita la costituzione propria dello Stato di diritto, sulla base della finalità principale che a questa veniva assegnata, che era quella di garantire giuridicamente la libertà individuale. Alla teoria generale dello Stato era affidato invece il compito di esporre le determinazioni generali che sono contenute nel concetto stesso di Stato; mentre all'economia politica, intesa come scienza autonoma, spettava di ricercare le relazioni necessarie che si costituivano all'interno di una disciplina speciale dei fatti economici". Da tutte queste scienze era assente, per Treitschke, il problema di fondo dell'antica politica costituita secondo il modello di Aristotele: nessuna si chiedeva cioè come dovesse essere costituito l'ordine statale in funzione della realizzazione del bene di un popolo determinato in una determinata epoca, e come dovessero essere fatte le leggi perché ne potesse derivare il vantaggio di tutti. Il dominio dei principi liberali, che affidava allo Stato l'unica funzione di assicurare il più alto grado di libertà ai cittadini da un lato, e dall'altro la sfiducia che argomenti di carattere pratico potessero essere oggetto di trattazione scientifica, avevano contribuito a provocare la progressiva esclusione di tali questioni fondamentali dalla scienza politica, e di conseguenza la perdita da parte di quest'ultima della cosapevolezza del suo compito e delle sue, finalità. Chi desidera riacquistare il senso autentico di ciò che significa la parola politica, affermerà più tardi von Treitschke nella sua Politik, deve rivolgersi all'antichità classica, e particolarmente al più grande capolavoro teorico-politico che essa ha prodotto, e cioè la Politica di Aristotele". Secondo la concezione classico-antica infatti la politica era semplicemente la dottrina dello Stato e trattava in forma unitaria ciò che si trova invece suddiviso oggi in domini autonomi e privi di connessiòne tra loro.
l i lvi, 81. . 39 H. v. TREITSCHKE, Politica, trad. it. Bari 1918, I, 2.
1 62 CLAUDJO PACCHIANI
5 . Dieci anni dopo la Gesellschaftswissenschaft di Treitschke, Franz von Holzendorff sosteneva nel sum Principien der Politik come la crescita progressiva delle scienze umane e degli oggetti che essa andava u;dudendo nel suo campo d'interessi, avesse reso ormai Impossibile riferire tutto l'insieme delle conoscenze det fenomeni e delle nozioni che si riferivano �Ilo Stato ad un'unica scienza�0• Ciò a cui ci si �ro':'a �h �r�nte ogg�, affermava Holtzendorff, è una sene dt dtsCIJ.'lme relativamente autonome, del tipo di quelle che m FranCia, ad esempio, hanno assunto il nome dt sctences morales
et politiques. Tra di esse egh enumerava: 1 . La teona generale dello Stato (Allgemeine �taatsleh�e), .alla quale spettava di trattare le propneta: le funzt?m e le fo;me giuridiche relative allo stato clV!le degh uo_mm�, m quanto potevano essere derivate dalla determmaztone della natura e dai fini dello Stato. 2 . Il dmtto pubbhco (Staatsrecht) che doveva contenere le non�e nguardanti il rapporto tra il potere dello Stato ed t ctttadmt. 3 . Il diritto internazionale ( Volkerre�ht) che trattava delle relazioni che Stati autonomi stabthscono tra dt loro. 4. La dottrina dell'economia. politica ( Volbwtrt
schaftsléhre) che stabilisce i cnten seco_n�o t quah vengono governati all'interno di una soCieta orgamzzata dal punto di vista della vtta st�tale, . la produ�wne, ti consumo e la distribuzione d et bem matenah. 5. La scienza delle finanze (Finanzwissenschaft) che doveva interessarsi del complesso delle necessità dello Stato e dell'amministrazione dei beni statali, ed mfme 6 . La scienza della polizia (Polizeiwissenschaft) che conteneva i principi secondo i quali si doveva provvedere al bene comune ed alla difesa dello Stato dat pencoh che lo rninacciavan041• . . • •
L'autonomizzazione di questi diversi ambltt dtsctplinari permette di affermare con una certa sicurezza,
•o F.v. HOLTZENDORFF, Die Principien der Politik, Berlin 1869, 4.
41 lvi, 4-5.
NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 163
dichiarava Holtzendorff, che anche per quanto riguarda il senso dei termini, ci si allontana sempre di più da quella concezione secondo la quale la politica era intesa come l'insieme di tutte le scienze dello Stato (die gesamte Staatswissenschaften)42• Già il fatto che nel nostro tempo non si ponga in discussione che esiste una chiara differenza tra diritto, morale, politica, dimostra l'evidente contrapposizione che sussiste nei confronti delle filosofia politica dassica, e nello stesso tempo fa nascere l'esigenza di una nuova terminologia specialistica. Ma ciò che più importa è che la politica cessa di essere identificata tout court alla scienza dello Stato nel suo complesso, per diventare invece una scienza speciale nell'ambito complessivo delle scienze statali.
Un'analoga convinzione si trova espressa nell'Introduzione di J.K. Bluntschli alla sua Teoria generale dello Stato. "Gli antichi greci-sostiene BluntschJic davano il nome di politica all'insieme delle scienze dello Stato. Noi invece des\.gnamo il diritto pubblico (Staats- · ree h t) e la politica (Politik) come due scienze diverse"". Anche se la scienza politica, come la scienza del diritto pubblico, si riferiscono entrambe a quella stessa realtà che è lo Stato, occorre dire per Bluntschli che ciascuna di esse lo considera da un diverso punto eli vista e secondo una diversa direzione. La scienza del diritto pubblico intende lo Stato come un ordinamento regolato giuridicamente e rappresenta la sua organizzazione, le regole della sua esistenza e la necessità dei suoi rapporti, tanto che si può affermare che il diritto pubblico è lo Stato stesso nel suo ordinamento interno. La scienza della politica lo considera invece nella sua vita, nel suo sviluppo; essa fa riferimento ai fini verso cui tende l'azione pubblica e insegna a conoscere i mezzi utili al conseguimento di questi fini. La vita dello Stato, Fazio-
42 "Dobbiamo considerare conie un dato acquisito che l'uso linguistico moderno si è sempre di più allontanato da quella determinazione concettuale che concepiva la politica come l'insieme delle scienze statali" (lvi, 7).
4' ].K. BLUNTSCHLI, Allgemeine Staatslehre, Aalen 19566, vol. I. 2.
164 CLAUDIO PACCHIANI
ne statale, questo è l'oggetto della scie�za politic:'. Bluntschli non contrappone tuttavta alla sctenza
politica soltanto la scienza del diritto pubblico, ma opera anche una seconda e non meno importante distinzione. Di fronte alla politica come dottrina dello Stato sta infatti la politica come prassi statale (Staatspraxi�) , come azione concreta dell'uomo di Stato". Mentre la prima, in quanto è in definitiva solo una forma di conoscenza non ha bisogno né dell'autorità delle leggi, né dell'approvazione della massa, _ma è. sicura di progredire unicamente se tratta bene 1 suot argpmenti; la politica come azione statale non può reahzzarsi senza conflitti, e può attuare m concreto le sue idee unicamente attraverso l'uso del potere".
6. Alla fine del secolo XIX Jellinek ribadisce la posizione subordinata della politica nell'ambito delle altre scienze dello Stato, sostenendo nel contempo che una preliminare distinzione delle attività e delle forme in cui si esprime la vita statale dagli altri settori dell'attività sociale era indispensabile· perché le ricerche politiche potessero conseguire valore di scientificità".
Il fatto che si continuino ad usare termini come science politique, scienza politica, politica! science o politics, non dimostra altro, per Jellinek, se non che st è mantenuta ancora ai nostri tempi, sia presso i popoli latini che presso gli inglesi, quell'antica concenzione che vedeva nella politica l'espressione dell'attività complessiva dei membri della città nei confronti della polis". Se è certo fuori discussione, egli afferma, che sussistono connessioni assai intime tra discipline come la scienza dello Stato e le scienze giuridiche, -certe parti sono loro comuni, come l'insieme delle dottrine del di- . ritto pubblico, tra. cui il diritto costituzionale, il diritto
44 lvi, vol. III, 5. 45 lvi, vol. III, 3. 46 G. JELLINEK, Das Recht des modernen Staates, vol i, Allgemeine
Staatslehre, Berlin 1905, 3-9. 47 lvi, S.
NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 165
amministrativo, quello internazionale ecc.-, occorre anche dire che una sis.tematizzazione razionale del campo della ricerca scientifica richiede certe distinzioni preliminari che erano assenti nell'antica filosofia politica.
J ellinek distingue perciò tutte le scienze che si riferiscono allo Stato in tre parti: scienze descrittive, scienze teoretiche o esplicative e scienze pratiche o applicate". Il fine delle scienze descrittive è di individuare i fatti e di classificadi, esporli nella loro evoluzione e quindi evidenziare le relazioni interne ed esterne da cui sono legati. La scienza descrittiva per eccellenza, che sta alla base di tutte le scienze sociali e quindi anche delle scienze dello Stato, è la storia.
La scienza teorica dello Stato o dottrina dello Stato (Staatslehre) comporta due branche: una è la dottrina generale dello Stato (allgemeine Staatslehre), l'altra la dottrina particolare dello Stato ( besondere Staatslehre)". Quest'ultima ha la duplice funzione da un lato di comparare le istituzioni degli Stati in generale o di un gruppo di Stati in particolare, e dall'altro di studiare le istituzioni di un solo Stato, considerandole sia nella loro evoluzione storica, sia nella forma che esse rivestono nel presente. La dottrina generale dello Stato si trova a sua volta suddivisa in due parti distinte: accanto alla dottrina generale dello Stato dal punto di vista sociale (allgemeine Soziallehre des Staates), che segue il metodo sociologico, si colloca la dottrina generale del- . lo Stato dal punto di vista giuridico (allgemeine Staatsrechtslehre) che si identifica col diritto pubblico generale".
La dottrina del diritto pubblico è dunque una parte della scienza generale dello Stato, anche se per Jellinek il lato giuridico deve essere considerato come uno degli aspetti più importanti dell'idea dello Stato, dato che
48 lvi 6 4• lvi: 9�13. s o lvi, 1 1 .
166 CLAUDIO PACCHIANI
non si può concepire Stato senza diritto. Ora, mentre sia la teoria dello Stato che quella del
diritto pubblico hanno come fine complessivo quello di studiare l'ordine statale in riposo, osservando quindi lo Stato come qualcosa di fisso e di sottoposto a regole, la politica si occupa invece dello Stato in quanto realtà dinamica, della sua vita propria e della sua attività. Sotto questo aspetto la politica, o la scienza politica è la scienza dello Stato applicata e che passa nella pratica: ad essa spetta di indagare come lo Stato può realizzare certi fini determinati 5 1 • Di conseguenza, pur partendo-dall'analisi di dati di fatto sociologicamente rilevanti, la scienza politica non si limita, come fa la dottrina dello Stato, a fornirci un insieme di conoscenze teoriche, ma si propone anche di emettere dei giudizi di
; valore in relazione ai dati che essa ha di fronte. "La po. litica è una scienza pratica, dichiara Jellinek, ma essa è · nello stesso tempo un'arte; e si trova dunque essenzialmente orientata dal punto di vista del futuro"". La scienza politica anzi può essere considerata come disciplina autonoma solo nei limiti di questa sua specifica funzione teleologica e pratico-valntativa. ·
Sotto questo aspetto la moderna scienza dello Stato prodotta in ambito tedesco, non sarebbe altro per Jellinek che una migliore chiarificazione ed una più accurata esplicitazione di ciò che nell'antica nozione di politica era già presente in modo ancora troppo confuso ed indistinto". Ma una conclusione di questo tipo ci pare in effetti assai difficile da accettare. In realtà ciò che nella rigida separazione tra teoria generale dello Stato e scienza della politica va perduto, è proprio il senso autentico della nozione classico-aristotelica di scienza pratica, di una forma di sapere cioè che intendendo le formazioni associative e quindi particolarmente le comunità politiche come il prodotto ed il luogo dell'agire umano razionale, non può in alcun modo dare per
" lvi, 13. 52 Ivi, 14. '3 lvi, 13. ,., << <
� -i�h:-·
NORMA TIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 167 sc�)11tat� alcuna separazione tra la concreta azione pohuca e l ord111amento giuridico dello Stato.
7. La separazione che, come si è visto era valida ancora per J ellinek tra una dottrina sociolo�ica ed una puramente giuridico-normativa dello Stato è risolta decisamente da Kelsen in favore di quest'ultima. Mentr� la pri�a studia il comportamento di fatto degli uom1111, ed e da 111tenders1 pertanto come scienza dell'ess�re, come una s,cienza naturalistica e. fondata sul princrpw d1. causahta; la seconda 111vece 111 quanto serenza normatrva, non ha a che fare con l'efficacia delle norme dell'agire, ma soltanto con la loro validità54• Soltanto questa permette di definire correttamente Io Stato, che è per Kelsen "quell'ordinamento del comportamento. umano che chiamiamo giuridico, l'ordinamento versç d quale sono orientate certe azioni umane l'idea a cui gli individui adattano il loro comportame�to"ss . Al contran�, lo Stato non può essere concepito, secondo qu_anto sr afferma nella Teoria generale, a partire da quegh elementi f�ttuah che formano oggetto d'interesse della socwlogra, e cioè le azioni umane concrete, e tanto meno può essere identificato con qualcos.a di analogo ad un essere umano o ad un insieme di esseri reali.
Poiché dunque vi è soltanto un'idea possibile dello Stato, che è quella che trova attuazione nel concetto di ordinamento giuridico, la possibilità di assumere un qualsiasi modello reale di comportamento come elemento �ostitutivo del!a realtà statuale è in ogni modo fuon drscusswne. Cro comporta com'è stato notato l'esclusi'?ne da parte di Kelsen d�! concetto di politic�, d1 qualsrasr processo legato alla volontà ed all'azione e la sua risoluzione nei rapporti giuridici puri 56• Se 'Io
. ,. H. KELSEN, Lineamenti di una dottrina pura del dù·itto, trad. it. Tonno 1970, 53-54.
ll Teoria generale del Din'tto e dello Stato, trad. it. Milano 1963, 193. . H HELLE�, Staats!ehre ci t . , 51 c segg. Una critica al normativismo
dt Kelsen nell'onzzonte filosofico del neqkantìsmo è stata condotta da E.
168 CLAUDIO PACCHIANI
Stato forma infatti un'unità necessaria con l'ordinamento giuridico, si identifica anzi con esso, allora il carattere politico di quest'ordinamento può consistere solo nel fatto che lo Stato stesso monopolizza e regola l'uso della forza 57• Ciò non significa tuttavia per Kelsen che il potere statuale stia, per cos{ dire, al di là o al di sopra del diritto, piuttosto il fatto che esista un tale potere non testimonia altro se non che il diritto è efficace, che le norme cioè che contengono in se stesse delle sanzioni, motivano effettivamente il comportamento degli individui 58•
Cos{ come esclude che il diritto possa essere spiega" to mediante la categoria del potere, la teoria pura respinge anche ogni concezione che in qualche modo riferisca l'elemento giuridico a quello morale. "Come categoria morale, dice Kelsen, il diritto non significa altro che "giustizia" "59• Ma tutto ciò che ha a che fare con la giustizia esprime tutt'al più una tendenza ed un bisogno umani, e quindi delle aspirazioni e dei valori giustificabili psicologicamente, ma nulla che abbia un contenuto tale da poter essere determinato in forma razionale nella dottrina pura del diritto. La giustizia si presenza pertanto di fronte al sistema del diritto positivo come un elemento trascendente, simile all'idea platonica o alla kantiana cosa in sé che stanno al di là del mondo reale fenomenico".
Kaufmann, ·in Kritik der neukantischen Rechtsphilosophie, Tiibingen 1921, 20-35, Cfr. pure SMEND, Verfassung und Verfassungsrecht ci t., secondo cui la Teoria generale dello Stato di Kelsen rappresenterebbe il punto più alto della crisi della dottrina dello Stato in Germania. Le tesi critiche di Kaufmann sono state riprese da H. Zech, per il quale l'eleminazione operata da Kelsen dalla scienza del diritto di ogni realtà psicologica, politica e sociologica avrebbe avuto come ultima conseguenza l'impossibilità di stabilire delle distinzioni tra diritto privato, diritto pubblico e diritto internazionale (Die Rechtfertigung des Staates in der normativen Staatstheorie und der lntegrationslehre, Hamburg 1934, 28).
.
57 Teoria generale, 194-195. 58 lvi, 194. 59 Lineamenti, 56-57. 60 lvi, 57.
NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 1 69 8 . Questo dualismo di diritto e di morale da cui prende le mosse la Wiener Schule e da cui Kelsen fa dipendere quella che egli definisce la tendenza antiideo
logica della dottrina pura del diritto, era del tutto impensabile nell'universo concettuale di Aristotele. Quanto strettamente il nJmos, ossia la legge o il diritto pubblicamente riconosciuto sia inseparabile dall'elemento etico, e cioè dalla teoria del giusto agire e delle sue condizioni, appare particolarmente chiaro in quel passo del quinto libro dell'E tica Nicomachea in cui Aristotele sembra sostenere addirittura l'identità di diritto e giustizia: "poiché dunque, come s'è detto afferma Aristotele, il trasgressore della legge è in�iusto mentre il rispettoso della legge è giusto, è evidente eh� tutte le cose legali sono in certo modo giuste· infatti le cose stabilite dal potere legislativo sono legali, e noi diCiamo che ciascuna di esse è giusta"". Cos{ come l'elemento legale del n6mos e quello morale dell' éthos si riferiscono l'uno all'altro, allo stesso modo ogni ordinamento che è opera della politica è fondato da Aristotele sulla costituzione etica istituzionale della vita e dell'azione, che ha per oggetto il comportamento morale62• . Proprio a partire dal venir meno di questa impostaZione complessiva di Aristotele, ha affermato H. Maier", è possibile intendere il percorso che è caratteristico della scienza politica del ventesimo secolo e che consiste da un lato nella crescente scientificizzazi�ne di ambiti originariamente pratici, la quale ha come conseguenza che le materie che non si lasciano trattare in modo teoretico vengono semplicemente messe da parte come non scientifiche; e dall'altro, in un allontanarsi centrifugo delle scienze sociali dal loro fondamento comune nella filosofia pratica.
61 Etica Nicomachea, V (E), 1 , 1129 b, 11-15. 6 2 G. BIEN, Die Grundlegung der politischen Philosophie bei Arista
te/es, Miinchen 1973, 224. 6' H. MAIER, Die Lehre der Politik an den deutschen Universitiiten
in Wissenschaftliche Politik cit., 110. '
INDICE DEI NOMI
Adorno Th. W., 66. Albert, H., 61, 62, 63, 64, 66,
89, 93, Alexy R., 41 n. Alliriey G., 41 n. Althusius J . , 142 e n. Antiseri D., 52 n. Ape! K.O., 25, 26 n , 54, 55, 66
70 e n, 72, 83 e n, 84 e n, 85, 86, 89, 92, 95.
Arendt H., 18, 26, 27 e n, 45, 51, 69,
Aristofane, 121, Aristotele, 12, 13, 14, 17, 18,
20, 21 e n, 22, 23, 24 e n, 25 e n , 27 e n, 28, 29, 30, 31 e n, 32 e n, 33 e n, 34 e n, 35, 36, 37, 38, 39 e n, 40 e n, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 50, 51, 53, 54, 59, 60, 67, 75, 96, 90, 91 e n, 94, 96, 99 e n, 100 n, 101, 102, 103 e n, 104 n , 105 e n, 106 e n, lO? e n, 108 e n, 109 e n, 110 e n, 111 , 1 1 2 n , 113 e n, 114, 115, 116 n, 1 17, 118 , 119 , 120, 121 e n, 132, 155, 160, 1610169 e n.
Arundel, 135. Ascombe E., 104 n, 112 n. Atger F., 131 n, 141 n, 142 n, Aubenque P., 109 n. Ayer A.]., 53, 93. Backhaus G., 62 n. Bardili Ch. G., 15n. Barker E., 100 n, 1 1 6 n.
Baruzzi A., 91 n. Baumanns P., 9 1 , 92. Baumgartefl A. G., 14, 15. Beneke F.E., 15 n. Benthan J., 86. Berger P., 59 e n. Bergstraesser A., 24 n, Bianchi Bandinelli R., 1 17 n, Bien G., 18, 24- n, 31 , 32 e n,
36, 39 n, 40 n, 106 n, 110 n; 169.
Bismarck 0., 99. Blasche S., 76 n. Bluntschli J.K., 163 e n, 164. Boileau N., 47. Banali I., 16 n. Bonazzi G., 68 n, Bonitz H., 109 n, 117 n. Bouhours D., 47. Brand G., 60 n , Brandt A.B., 53". Braun O., 123 n. BroekmanJ.M., 60 n. Brunner 0., 18, 19 e n, 105 n,
133 e n, 135 n. Buber. M., 53, 56, 57, 58. Burke E., 24, 47. Burnet J., 25 n, 36. Carchia G., 54 n, 83 n. Carlo L, 143, 144 n, Caronello G., 41 n. Cerutti F., 70 n, 72 n.
' Cicerone, 33 e n, 116. Compagnoni F,, 77 n. Conze W., 18, 19, 41.
174
Craemer-Ruegenberg I . , 83. Cramer JS",, 18, 52 74 n. Cromwell 0., 134 n, 138 n. Curtius E.R., 25. Dante, 26 n. Demetrio di Falera, 122. Demostene, 116. Dennert J., 24 n. Derbolav J. , 34 n. Descartes R., 23, 24 n. Di Corato R., 70 n, Dirlmeier F., 103 n. Dodds E.R. , 122 n. J DOlle R., 94 n. Dombois H., 147 e n. Dover K.J., 121 n. Dubos J.B., 47. Diiring t, 121 n. Duverger M., 148 e n, 149. Ebert T., 34 n. Ebner F., 53. Elisabetta I, 134 n, Enrico VIII, 126 n. Epicuro, 51 . Ersch J.J., 15 n, Eschenburg T. , 157 e n. Even-Grandboulian G., 1 1 2 n. Fahrenbach H., 61 n. Fichte ] .G. , 53, 92. Filippone Thaulero V., 41 n. Finley M.L, 116 n, 117 n, Finzi S., 27 n. Firpo L., 126 n. Fischer K., 40. Flechtheim O.K., 147 e n,
157 e n. Forster W., 142 n. Fortenbaugh W.W., 113 n. Frank E., 36. Frankcna K., 51, 83. Fritz K., 115 n. Gadamer H.G., 18, 26, 27, 28,
29, 41, 55. Gaiser K., 32. Ganter M., 33. Gargiulo A., 48 n. Garve Ch., 38 e n, 39 e n. Gasano A., 27 n. Gauthier R. A., 36. Gebsattcl V.E., 26 n. GeifSler Ch. A., 15 n. Gernet L., 122 n. Gesù, 144 e n. Gierkc 0., 142 n.
INDICE DEI NOMI
Gigon O., 34 n, 36. GOlz W., 92, 93. Gracian B., 47. Gran G.G., 75 n. Grant A., 36. Griesebach E. , 53. Guerra A., 15 n. Gurvitch G., 157 e n. Habermas J., 17, 27 e n, 55,
57, 58, 59, 62 n, 66, 67 , 68 , 69 e n, 70 e n, 71, 72 e n, 73 n, 75 n, 81, 84, 85, 89, 90 n, 92, 93, 95, 100 n, 111 e n, 117.
Hardie W.F.R., 36. Hare R.M., 17, 53, 8�. Harlfinger D., 109 n. Harrington J., 47. Hartmann N., 25, 42. Hegel G.W.F., 15, 17, 30, 31,
39 e n, 44 e n, 48, 59, 60 n, 67, 90 n, 91 n, 92
Heidegger M., 25, 42, 61 e n. Held K., 60. Hennis W., 18, 22, 23, 24, 25 e
n, 26 e n, 36, 59, 72, 144 e n, 147 e n.
Hentschke A.B., 33. HerbartJ.F., 15 n, Hobbes T., 23, 24 n, 43, 46,
48, 67, 86, 87, 91, 92, 99, 105, 123 e n, 124 e n, 125 e n, 126 e n, 127, 128 e n, 129, 130 e n, 131 e n.
Hoche H.U., 83. H6ffe 0 . , 18, 34, 35, 37� 38,
40 n, 55, 86, 87, 88, 89, 95. Hoerster N., 18, 52, 83, 95. Holzendorf F., 162 e n, 163. Horkheimer M., 66, 96. Husserl E., 59, 96. Ilting K.H., 13 e n, 18, 51,
75 n. Isnardi Parente M., 122 n. Jahrreiss H. , 157 e n. Jaspers K. , 42. Jellinek G. , 164 e n, 165, 166,
167. Joachim H.H., 36. Joliv J.Y., 36. Kambartel F., 73, 74 n, 79 n,
80 e n, 81, 89, 94. Kamlah W., 73 e n. Kant 1., 15 e n, 17, 18, 24 n,
31, 32, 34 n, 37, 38, 39 e n,
INDICE DEI NOMI
41, 42, 45, 47, 48 e n, 51 e n, 52, 53, 54 e n, 55 n, 57, 75, 76 e n, 85, 86, 90, 92, 94, 96
Kaplan I . , 101 n, 149 n. Kaufmann E. , 168 n. Kaulbach F. , 18 . Kelsen H., 167 e n, 168 e n,
169. Klibansky R., 104 n. Koselleck R., 41. Koslowski P., 33. Koyré A., 107 n. Kriimer H.]., 32, 108 n. Kress E., 41 n. Kriele M., 26 n. Krings H. 95. Kuhn H., 18, 24 n, 25 n, 26 e
n, 36. Lasswell M., 101 n, 149 e n,
150, 158. Laurenti R., 116 n, Le Blond J.M., 110 n. Lenk H., 60 n, 65 e n , 93. Lips J., 138 n. Litt Th., 152 e n. Locke J., 92, 150. Lohmann J., 25 e n, Looser M., 81 n. Lorenzen P., 89, 33. Luckmann T., 59 e n. Liibbe H. , 58 n. Luhmann N., 56, 57, 59, 66,
70 e n. Luscher R., 81 n.
MacGillivray R., 123 n, 124 n, 138 n.
Machiavelli N., 47, 67, 87, 99. Macijewski F . , 81 n, Maier H., 14 n, 24 n, 39 n, 169
e n. Mannheim K. , 145 e n, 146. Mao, 102. Marcel G., 53. Marcuse M., 93. Margiotta U., 56 n, Marietti Salmi A., 16 n, Maritain ]., 152 e n. Marquard 0., 95. Marx K., 16, 48, 57, 59, 69 n,
91, 1 1 8 e n, 119. Maurer R., 32, 61. Maynaud J., 146 e n. Meinecke, 158
Melandri E., 68. Menp.e K. , 81 n. Menzer P., 15 n. Meriggi M.G., 27 n, 68 n, Mesnard P., 126 n. Messner ]., 152 e n. Michelet C.L., 15 n, Mieth D., 77 n.
175
Mill j.S., 86, 118 e n, 119. MittelstraR J., 63, 77 n, 81 . Momigliano A., 122 n. Montaigne M., 47. Moore G.E., 51, 53, 93. Moraux P., 105 n , 107 n,
109 n, M o retti L., 1 1 7 n. Moro T., 67. Miiller A. , 18 , 33. Nafw., 133 n, 142 n. Neri Pozza, 19. Nicastro 0., 123 n, 124 n, Nowell-Smith P.H., 53. Oberndòrfer D., 24 n. Oelmiiller W., 60 n. Oertzen P. V., 147 e n. Orth E. W., 60 n. Otte G., 26 n. Parsons T., 56, 57, 59 e n. Pareto U., 99. Patzig G., 51 . Pavetto R., 21. Pazanin A., 60. Perelman C., 26 n. Petersen P,, 14 n, Picardi E., 62 n. Pieper A., 18, 52 e n, 53, 83,
93, 94. Piepmcier R., 94 n. Pien·i N., 19 c n. Plamenatz J., 138 n. Platone, 12, 20, 21 e n, 22, 29,
32 e n, 33 e n, 51, 53, 91 e n, 99, 100 n, 102, 103 e n, 104 e n, :105, 106, 108 c n, 110, 113, 121 e n, 150, 155.
Pòggeler 0., 61 . Popper K., 62, 89, 93. Prauss G., 76 n, Puscì L., 52 n. Radermacher H., 34 n. Rawls I.J., 66, 72, 83, 115 n. Reif A. 27 n. Ricardo D. 16. Riedel M., 13 e n, 18, 24 n,
176
2 6 n , 31 n , 3 2 n, 41 , 42, 43, 44 e n, 45 n, 51 n, 52 n, 55, 56 n, 57, 59 n, 60 n, 61 n, 70 n, 74 n, 75 n, 76 n, 83 e n, 90 n, 110 n,
Ritter H.J., 1 8-, 26, 30, 31 , 32, 33, 39 n, 41, 95.
Rusconi C.E., 16 n, 62 n, Rosenzweig F,, 53. Ross W .D., 53. Rousseau J.J., 24 n, 92, 150. Sartori G. , 101 n., 150 e n,
151. Scheler M., 41, 42. Schiera P., 19 n. Schlatter R., 128 n, 138 n. Schloezer A.L. 16. Schmitt C., 123 n, 137 n,
142 n, 147 e n. Schlitz A., 57, 59 e n, Schulz W., 70 n, 93. Schwan A., 61 n, Schweizer H., 33, Schwemmer 0., 54, 66, 70, 73,
74, 75, 76, 78, 79 n, 80, 89, 93.
Seidl H., 34 n, SeÌwfonte, 116. Siep L., 39 n, Singer M. G., 83. Sitter B., 61 n, Smend R., 158 e n, 168 n. Smith R., 16. Socrate, 29, 103 n, 110, 121. Solari G., 39 n, Sontheimer K., 159 e n, 160. Spaemann R., 73 n. Spinoza B., 91. Spranger E., 152 e n. Sprondel W .M., 59 n. Stalin, 102. Stammer 0., 16 n, 156 e n. Steinbiichel Th., 52. Stevenson C.L., 53, 93. SteWart J .A., 36. Stone L., 134 e n. Strauss L, 1 8 , 19, 20, 21, 22,
105 n, 128 n, 147 e n, 152, 153.
Strepsiade, 121. Struck G. , 26 n. Susemihl F., 36. Taboni P.T. 20 n. Taylor A.E. 104 n.
INDICE DEI NOMI
Teichmiiller G. , 36, 40, 41 n. Theunissen M., 91 n. Teofrasto, 110 n. Tocqueville A., 47. T6nnies F., 126 n, 135 n,
138 n. Tomberg F., 33 n. Treitschke H., 160 e n, 161 . Trendelenburg A. , 39, 40. Tosti L . , 26 n. Tota E. , 44 n. T ouraine A., 57. Tucidide, 124, 125 e n, 127,
128 n, 129, 138 n. V attimo G., 27 n, 54 n, 83 n, V erra V., 48 n. Verbeke G., 110 n, Viano C.A. 130 n. Viehweg T., 26. Voegelin E. , 18 , 21 , 22, 153 e
n, 154, 155. Vollrath E . , 18, 45, 46, 47 e n,
48, 49 n, 50, 51 . Voltaire, 126 n, Waldenfels B . , 60 e n. W alter J. 36, 40, 41 n. Weber M., 16 e n, 20, 56, 59.,
61, 62, 64, 68, 74. Weinacht P.L., 105 n. Wellmann C., 53. Werner H.J., 90 n. Wiehl R., 74 n. Wild Ch., 90 n. Windelband W., 48 n. Wright G.H. von, 53, 83, 99 n. Zech H., 168 n, Zeise H., 104 n. Zolo D., 102 n.
NOTIZIE SUGLI AUTORI
FRANCO VOLPI (Vicenza, 1952) ha studiato a Colonia, Wtirzburg, Vienna e Padova, dove si è laureato e perfezionato in filoso� fia. 'Attualmente lavora presso l'Istituto di filosofia dell'Università di Padova come borsista del C.N.R.; è corrispondente dall'Italia del «Philosophischer Literaturanzeiger». Oltre a numerOsi articoli, ha pubblicato: Heidegger e Brentano (Padova 1976), Heidegger e Hegel (premesso a M. HEIDEGGER, Hegel e i greci, a Cura di F. V., Trento 1977). Ha curato inoltre la traduzione di R. Luxen� burg, Scritti sull'arte e sulla letteratura (Verona 1976) e il volume di AA.VV., La contraddizione in Aristotele, Kant, Hegel e Marx (Padova 1976). Per la casa editrice Adelphi sta preparando la traduzione del Nietzsche di Heidegger.
CARLO NATALI (Perugia, 1948) è assistente all'Università di Padova e prof. incaricato di Storia della filosofia antica all'Università di Siena. Ha pubblicato il volume: Cosmo e divinitCl. La struttura logica della teologia aristotelica (L'Aquila 1974), nonché studi sul pensiero di Aristotele, e sugli influssi di questo nella filosofia mo� derna, in varie riviste (tra cui: «Riv. critica di storia della filosofia», «Riv. di filologia e d'istruzione classica)) , «Quaderni di storia» etc.) e in vari volumi collettivi (tra cui: La contraddizione, Roma 1977; La tradizione scotistica veneto�padovana, Roma 1978; La dimen� sione dell'economico, Padova 1979 etc.).
LAURA ISEPPI (Venezia, 1952) laureata in filosofia all'Università di Padova, collabora all'attività del gruppo 'Filosofia pratica e scienza politica' delia Scuola di perfezionamento in filosofia della stessa Università. Si occupa prevalentemente delle teorie politiche del seicento.
CLAUDIO PACCHIANI (Venezia, 1945) è docent� di filosofia morale presso la facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Padova. Ha pubblicato i volumi: L'idea della scienza in Husserl (Pa� dova. 1973), Spinoza tra teologia e politica (Abano 1979); ed insie� me ad altri autori: Per una storia del moderno concetto di politica (Padova 1977), Il concetto di rivoluzione (Bari 1979), Teorie poli� tiche e stato nel pe�f{�rP\f7_�,
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Filosofia pratica e scienza politica. [Di] L. !seppi . . . [e altri]. A cura di Claudio Pacchiani. Abano Terme_, Francisci,
1980.
172
pp. 180 cm. 20 (Progetto. Sez. politica. 3) L. 6.000 1 . Politica e morale 2. Filosofia politica I. Iseppi, Laura II. Pacchiani Claudio
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Tutti i volumi pubblicati dalla Cas·a Editrice Frariciscl·sOnO corre· . dati da una scheda bibliografica, redatta secondo le norme di cata· · legazione in uso presso la Bibliografia Nazionale ltalian�.
Questo impegno dell'editore vuole essere un sia pur modesto ma concreto contributo al lavoro svolto dai bibliotecari italiani ·per un migliore funzionamento degli istituti .in cui operano. L'iniziativa intende inoltre favorire l'organizZazione razionale delle informazioni bibliografiche In tutte le sedi _della doèumentazione (biblioteche scolastiche, specializzate, aziendali, ecc.)_�