88
r L. Iseppi C. Natali . C . Pacchiani F. Volpi FILOSOFIA PRATICA E SCIENZA POLITICA ;i n- �- . i, R. Ql .o:n A cura di Claudio Pacchiani

Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

Embed Size (px)

Citation preview

Page 1: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

r

L. Iseppi C. Natali . C. Pacchiani F. Volpi

FILOSOFIA PRATICA E SCIENZA POLITICA

;i n- �- . � � i, R. Ql'b .o:n

A cura di Claudio Pacchiani

Page 2: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

© Copyright 1980 by Aldo Francisci Editore Via Puccini, 27 - 35031 Abano Terme (Padova)

Tutti i diritti riservati Printed in Italy

INDICE

7 Presentazione

1 1 La rinascita della filosofia pratica in Germania di Franco Volpi

1 1 O. Considerazioni introduttive 17 1. La fase storico-filologica 1 8 1.1 La ripresa di Aristotele 3 8 1.2 La ripresa di Kant 54 2. La fase teorico-sistematica 55 2,1 L'ermeneutica 58 2.2 La fenomenologia 61 2.3 Il razionalismo critico 66 2.4 La teoria critica 72 2.5 Il costruttivismo 82 2.6 Le integrazioni di tradizione tedesca e tradizione anglosassone 89 3. Consi�erazioni conclusive

99 Aristotele e l'origine della filosofia pratica di Carlo Natali

123 Hobbes ed il problema storico delle guerre civili di Laura Iseppi

145 Normativismo e scienza della politica di Claudio Pacchiani

173 Indice dei nomi

177 Notizie sugli autori

--,

Page 3: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

Presentazione

Il presente lavoro raccoglie i risultati di un semina­rio, tenutosi nell'anno accademico 1978-79 presso la Scuola di perfezionamento in filosofia dell'Università di Padova, che ha avuto come oggetto di discussione il rapporto tra «Filosofia pratica e scienza politica». L'in­teresse per tale problematica è nato dal fatto che già fin dagli inizi degli anni sessanta, particolarmente in segui­to ad un ripensamento critico delle categorie della mo­derna scienza politica, ha preso l'avvio, prevalente­mente in Germania, un sempre più ampio dibattito in­torno ai problemi ed ai compiti della 'filosofia pratica'. Questa disciplina, di cui il volume costituisce la prima presentazione in Italia, ha come intento la ricerca di una fondazione razionale e di una giustificazione argo­mentativa delle norme dell'agire umano. Pertanto que­sta riproposizione va al di là del puro e semplice inte­resse archeologico: può essere utile, infatti, nel con­temporaneo dibattito sulla crisi della ragione, ripren­dere consapevolezza di una tradizione del pensiero eu­ropeo che, da Aristotele fino all'Ottocento, proponeva un'articolazione delle forme di razionalità che garantis­se l'autonomia del sapere pratico-politico rispetto al modello fisico-matematico di scientificità.

Page 4: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

Il primo contributo illustra le forme ed i modi se­condo i quali la filosofia pratica è stata ripresa in ambi­to culturale tedesco mediante un dibattito che è stato contrassegnato da una rinnovata attenzione per il pen­siero politico di Aristotele e di Kant e che ha coinvolto nella sua complessa articolazione le maggiori scuole fi­losofiche odierne. Gli altri saggi prendono in esame tre momenti fondamentali nella storia della tradizione del­la filosofia pratica, rispettivamente la sua fondazione in Aristotele, la sua crisi con Hobbes e la sua latente presenza in alcune delle più significative tra le moderne teorie dello Stato.

.i

l

FILOSOFIA PRATICA E SCIENZA POLITICA

Page 5: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA

di Franço Volpi

O. Considerazioni introduttive

Nel ricostruire le vicende e le fasi che caratterizza­no le prospettive e gli aspetti secondo i quali un autore, un testo o una problematica vengono recepiti in epo­che diverse, è consuetudine della storiografia filosofica - cosi come delle altre discipfine storico-filologiche -parlare della " fortuna » o dell'<< incidenza » dell' au­tore, del testo o della problematica in questione. Le vi­cende di tale fortuna vengono poi seguite con maggiore attenzione soprattutto là dove, dopo periodi di latenza e di dimenticanza più o meno prolungati, l'autore, il testo o la problematica in questione divengono oggetto di rinnovato interesse e acquisiscono col « rinascere » di tale interesse una incidenza più o meno rilevante. Là dove tale interesse e la conseguente incidenza assumo­no dimensioni considerevoli, si è soliti parlàre di << ri­nasc.ita », di �< riscoperta » o di « riabilitazione ».

E merito soprattutto dello storicismo e dell'erme­neutica l'avere messo in rilievo mediante una riflessio­ne spe�ifica il significato e la portata di tale fenomeno. In particolare, è stato rilevato che le rinascite e le risco­perte di un autore, di un testo o di una problematica nel corso di quella che, traducendo un termine gada­meriano, si può chiamare storia della sua incidenza (Wirkungsgeschichte) non avvengono mai in un clima di asettica neutralità, ma si sviluppano sempre sulla

Page 6: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

12 FRANCO VOLPI

base del rapporto essenziale che si instaura tra l'inter­prete e il contesto storico suo proprio, da un lato, e l'autore, il testo o la problematica recepiti, dall'altro. Di conseguenza, il richiamo a questi ultimi avviene sempre in relazione alle esigenze maturate nel contesto storico in cui l'interprete si trova a operare, in rapporto al quale, pertanto, il richiamo a tradizioni andate per­dute assume una funzione e un'incidenza produttiva nella ricerca del nuovo equilibrio o nella soluzione dei nuovi problemi. In questo modo, d'altro canto, si co­stituiscono le molteplici prospettive e le variegate sfac­cettature esegetiche secondo le quali un autore, un te­sto o una problematica vengono interpretati nel corso della storia della loro incidenza. Per certi classici parti­colarmente importanti, quindi oggetto di infinite risco­perte, come ad esempio Platone o Aristotele, lo studio della storia dello loro incidenza costituisce un elemen­to essenziale per l'esegesi delle loro opere. Si pensi ad esempio all'importanza della fortuna di Platone e di Aristotele nel mondo latino, nel mondo medievale e nel mondo rinascimentale, documentata in una serie infinita di traduzioni, di parafrasi e di commenti, e si pensi al peso che molte di queste opere ancor oggi con­servano nell'interpretazione dei testi platonici e aristo­telici.

Ma il fenomeno delle « rinascite » non riguarda so­lo la storiografia; là dove la coscienza della rinascita non viene prodotta a posteriori dalle scienze storiche, ma si matura parallelamente allo stesso processo di ri­nascita, tale fenomeno interessa e coinvolge la riflessio­ne e il dibattito teorico stessi. E questo il caso di un in­teressante fenomeno di rinascita attualmente riscontra­bile soprattutto in Germania, dove, a partire all'incirca dagli anni sessanta, esso si è imposto con sempre mag­giore evidenza, tanto che, dopo una prima fase di incu­bazione, esso va ora assumendo sempre più, oltre che proporzioni ragguardevoli, una �consapevolezza della propria collocazione storica e una diffusione interna­zionale: si tratta della cosiddetta « riabilitazione della

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 13

filosofia pratica » (Rehabilitierung der praktischen Philosophie).

. Coniata per la prima volta da Karl-Heinz Ilting1 e nr:resa nel titolo dt una grossa antologia in due volu­mt, curata da. Manfred Riedel, che costituisce la prima presa dt. cosctenza complessiva e la prima documenta­ztone dt questo fenomeno', l'espressione Rehabilitie­rung der praktischen Philosophie designa in generale la nnasCJta zn ambito filosofico di un interesse per i pro­blem� d�!la morale, della società e della politica, cui fi­nahta pm o meno espliCitamente dichiarata è la ripro­poszztone ftlosoftca del problema dell'agire moralmen­te gmsto, del p;oblem� del buon vivere in ambito pri­vato e m. ambtto polmco, nonché del problema del buon ordmamento politico fondamentale. Viene affer­mata, ci.o�, l'esigenz� di una riacquisizione di compe­tenza cnttco-normauva da parte della filosofia in rela­zione ai problemi dell'agire personale, sociale e politi­co. Dt fatto vtene quindi operato un collegamento - da qualche parte rivendicato poi di diritto - con la tradi­zione della filosofiayratica aristotelica, disciplina que­sta che. smo a t�tto ti secolo diciottesimo e in parte sino agh tmzt del dtctannovesimo era oggetto di insegna­mento ufftctale presso le università tedesche. . Se ':elle sue origini la tradizione della filosofia pra­

tica puo essere fatta _nsahre fmo ad Aristotele, e preci­samente alla dtstmztone da quest'ultimo introdotta e codificata tra scienze teoretiche, miranti alla conoscen­za del ver?, scienze poietiche, miranti alla produzione e alla reahzzaztone dt opere e scienze pratiche miranti all'azione e alla prassi ( Top. VI 6, 145 e 1 6; Metaph. Il l, 993 b 21 ; VI l, 1025 b 25), in realtà essa si costi­tu! e fu mantenuta viva soprattutto in terra tedesca dove sin dal medioevo lo studio della filosofia com: prendeva oltre al cosiddetto organicus, in cui venivano

1_ Cfr..K.-H. ILTING, Hobbes und die praktische Philosophie der

Neuz�lt, << Phdo.s��hisch;s Jahrbuc? "• LXXII (1964), 84-102.

Rehabzlttzerung der praktzschen Philosophie, hrsg. von M. RIE­DEL, 2 Bde., Freiburg i. Br., Rombach, 1972-1974 ( = RIEDEL I-11).

Page 7: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

14 FRANCO VOLPI

letti e interpretati i testi logici di Aristotele, anche il co­siddetto ethicus, che era dedicato prevalentemente alla lettura dell'Etica e della Politica, ma che includeva pu­re lo studio dell'economi.a e della crematistica3•

Mantenuto vivo nelle università tedesche - più in quelle protestanti che in quelle cattoliche' - pratica­mente fino alla fine del 1 700 e agli inizi del 1 800, l'in­segnamento della filosofia pratica garanti una connes­sione sistematica e unitaria, anche se spesso non scevra da sclerotizzazioni scolastiche, tra l'etica come studio dell'agire personale, l'economia come studio dell'agire nell'ambito della " famiglia , intesa in senso lato e la politica come studio dell'agire in ambito pubblico, cioè politico-sociale. L'ultimo grande sforzo sintetico nel quadro storico di questa tradizione è rappresentato dalla Philosophia practica universalis' di Christian Wolff, detta " universale , perché stava appunto a fondamento della Philosophia moralis sive Ethica6, dell'Oeconomica' e della Philosophia civilis sive Politica'.

Nonostante il profondo influsso dì Wolff e della sua scuola - in particolare di Alexander Gottlieb Baum­garten, di cui è da ricordare qui l'opera Initia philoso­phiae practicae primae atroamatice' -, già in epoca ra­zionalistica l'unità della filosofia pratica era stata in­taccata dalla diffusione delle scienze camerali che, su­bentrate inizialmente al posto dell'economia, si estese­ro ben presto a tal punto, da essere considerate, già in­torno al 1730, come scienze della res publica in generale". Tuttavia, poiché la cameralistica cercò di

� Cfr. H. MAIER, Die Lehre der Politik an den alteren deutschen Universitiiten, ora in ID., Politische Wissenschaft in Deutschland. Aufsiitze zur Lehrtradition und Bi/dungspraxis, Miinchen, Piper, 1969, 15-52.

4 Cfr. P, PETERSEN, Geschichte der aristotelischen Philosophilf-, im protestantischen Deutschland, Leipzig, Meiner, 1921, 166-186, 461-472.

5 Francofurti-Lipsiae, Renger, 1738-1739. Halae, Renger, 1750-1753. Halae, Renger, 17 54. Halae, Renger, 1756 .. 1759. Halae, Schwetschke, 1760. 1 ° Cfr. H. MAIER, Die iiltere deutsche Staats- und Verwaltungsleh�

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 15

integrarsi - almeno per un certo periodo e in certe sue parti - con la tradizione .della filosofia pratica, il pro­cesso di crisi da essa innescato all'interno di quest'ulti­ma fu a scoppio relativamente ritardato.

Il colpo decisivo alla tradizione aristotelica della fi­losofia pratica fu inflitto piuttosto da Kant, e precisa­mente dalla fondazione trascendentale kantiana dell'etica: se nelle lezioni di etica del periodo precritico Kant si rifaceva ancora, via Wolff e Baumgarten, alla tradizione della filosofia pratica intitolando appunto tali lezioni Philosophia practica universalis una cum Ethica", nella Critica della ragion pratica ( 1788) e poi nell'Introduzione alla Critica del giudizio ( 1 790) egli definiva inequivocabilmente il distacco da tale tradi­zione, sganciando l'etica, da lui fondata su basi auto­nome, dal corpus delle discipline afferenti alla filosofia pratica e assegnandole la collocazione tradizionalmen­te ricoperta dalla cosiddetta ethica solitaria o monasti­ca, cioè dall'etica considerata appunto non come parte della filosofia pratica. Per l'influenza di Kant e del kan­tismo, la filosofia pratica come oggetto di insegnamen­to ufficiale scomparve progressivamente dalle universi­tà tedesce a cominciare proprio da Konigsberg, anche se, almeno formalmente, essa influenzò ancora gran parte della pubblicistica filosofica fino a e addirittura dopo Hegel''..Con quest'ultimo, tuttavia, in particola-

re (Polizeiwissenschaft), Neuwied�Berlin, Luchterhand, 1966, 215-218. 1 1 Pubblicate da P. MENZER col titolo Eine Vorlesung Kants Uber Ethik (Berlin, Pan, 1924), esse sono state datate intorno al 1775-1780 (trad. it. di A. GUERRA, Lezioni di etica, Bari, Laterza, 1971). 1 2 Tra i titoli che testimoniano di questa influenza basta ricordare qui i più significativi: Ch. G. BARD ILI, Allgemeine praktische Philosophie, Stuttgart, LOssland, 1785; J. F. HERBART, Allgemeine praktische Philo� sophie, G6ttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1807; F. E . BENEKE, Grundlinien des natUrlichen Systems der praktischen Philosophie I: Grund­linien der Sittenlehre. Ein GegenstUck zu Kants Grundlegung der Metaphy­sik da Sitten, Berlin, Mittler, 1821; C. L . MICHELE T, Naturrecht oder Reihtsphilosophie als die praktische Philosophie enthaltend Rechts-, Sitten- und Gesellschaftslehre, 2 Bde., Berlin, Nicolai's Verlag, 1866. Per avere un'idea della larga influenza della filosofia pratica in questo periodo basta- del resto vedere la larga parte dedicata a tale disciplina nel manuale �lassico di J, ]. ERSCH - Ch. A. GEISSLER, Bibliographisches Handbuch

Page 8: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

-----------------

16 FRANCO VOLPI

re con l'assunzione a livello filosofico della separazione di società civile ( burgerliche Gesellschaft) e stato (Staat), già teorizzata da August Ludwig von Schloezer", e con la definitiva emigrazione dell'etica, separata come " moralità » dalla " legalità », nell' am­bito dell'interiorità, la dissoluzione della filosofia pra­tica è da considerarsi ormai compiuta. Parallela a tale dissoluzione è la nascita delle singole scienze autono­me, come la scienza economica, la scienza del diritto e la scienza della politica, le quali sostituirono singolar­mente, senza connessione sistematica reciproca, le di­scipline ormai dissanguate della filosofia pratica. Un ruolo determinante fu svolto in questo senso dall'eco­nomia politica che con Smith, Ricardo e Marx rag­giunse ben presto lo stato di scienza.

Lo sviluppo di queste discipline, poi, riguarda or­mai la storia del nostro secolo. Il ritmo del loro progre­dire ha messo in luce con sempre maggiore evidenza la sconnessione sistematica nella quale esse sono andate crescendo, portando quasi ovunque a crisi metodologi­che non sempre risolte. Paradigmatico è il caso della sociologia che, costituitasi come scienza apperia_q\lal: che decennio fa, e cioè con Max Weber, già si trova in una crisi di cui il Positivismusstreit" e -il successivo di­battito su Weber' ' rendono testimonianza.

E appunto su quella che in generale potrebbe essere chiamata la " crisi dei fondamenti '' delle scienze urna-

der philosophischen Literatur der Deutsçhen von der Mitte des achtzehnten ]Cthrhunderts bis auf die neueste Zeit, Leipzig, Brockhaus, 18531.

'3 Nell'opera Staatsgelehrsamkeit nach ìhren Haupttheilen und Zu� sammenhang: Allgemeines Staatsrecht und Staatsverfassungslehre, GOttin­gen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1793.

14 Cfr. Der Positivismusstreit in der deutschen Soziologie, Neuwied­Berlin, Luchterhand, 1969 (trad. i t, di A. MARIETTI SOLMI, Dialettica e positivismo in sociologia, Torino, Einaudi, 1972). Tale dibattito ebbe luo­go a Tubinga nel 1961.

15 Max Weber und die Soziologie heute, Verhandlungen cles 15. Deutschen Soziologentages vom 28. bis 30. April 1964 in Heidelberg, hrsg. von O. STAMMER, Tiibingen, Mohr, 1965 (trad. it. di I. BONALJ e G. E. RUSCONI, Max W e ber-e la sociologia oggi, Milano,Jaca Book, 1972).

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRA T! CA IN GERMANIA 17

ne e sociali - certo in concomitanza e in concorrenza di altre ragioni, come le riscoperte di Aristotele, di Kant e di Hegel dopo la §econda guerra mondiale, il rinnovato dibattito (soprattutto nel neomarxismo, ma anche in relazione alla riscoperta di Hegel) sul rapporto tra teo-

- ria e prassi e, iqfine, la diffusione dell'etica analitica - che ha preso piede e si è andata progressivamente af-fermando in Germania la rinascita della filosofia prati­ca.

In tale rinascita possono essere distinte due fasi: (l)­una fase di carattere prevalentemente storico­filologico, maturata negli anni sessanta, che è caratte­rizzata soprattutto da una ripresa di Aristotele e di Kant, ai cui due modelli di filosofia pratica ci si rifà nello sforzo di ricostruire tale disciplina; (2) una fase di carattere prevalentemente teorico-sistematico, nella quale le istanze sollevate in ambito storico-filologico trovano risposta nel quadro di un dibattito che coin­volge le principali scuole filosofiche della Germania d'oggi, in particolare il neomarxismo, il costruttivi­smo, l'ermeneutica e il razionalismo critico, nonché al­cuni tra i maggiori esponenti della filosofia accademica tedesca. Questa fase, che è tuttora in pieno svolgimen­to, può essere fatta cominciare dall969, cioè dalla da­ta del IX congresso tedesco di filosofia, nel quale - con le conferenze di Pau! Lorenzen Das Problem des Szien­tismus, di Jiirgen Habermas Bemerkungen zum Pro­blem der Begrundung von W erturteilen e di Richard M. Hare Wissenschaft und praktische Philosophie16 - i problemi della rinata filosofia pratica hanno comincia­to a essere affrontati da posizioni teorico-sistematiche.

l. La fase storico-filologica

Giunta a maturazione negli anni sessanta, questa fase è caratterizzata soprattutto da una ripresa della

16 I testi di tali conferenze sono ora pubblicati negli atti del congres­so stesso: Philosophie und Wissenschaft. 9. Deutscher KongrelS fiir Philo-

Page 9: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

18 FRANCO VOLPI

tradizione aristotelica della filosofia pratica; l'esigenza di un rinnovamento di tale tradizione viene affermata innanzitutto nel campo delle scienze storiche (0. Brun­ner, W. Conze) e in quello della filosofia politica (L. Strauss, E. Voegelin, W. Hennis), ma trova larga dif­fusione e consenso soprattutto in ambito filosofico (H. Arendt, H.-G. Gadamer, H.-J. Ritter, H. Kuhn, K.-H. Ilting), dove essa offre altresl occasione a una serie di · importanti studi specifici sull'Etica e la Politica (G. Bien, A. Miiller, O. Hoffe e altri) . Questo primo mo­mento è esaminato al paragrafo La ripresa di Aristotele (1.1). Successivamente, in ragione di alcune obiezioni sollevate nei confronti della concezione aristotelica della filosofia pratica (M. Riedel) , la fase storico­filologica vede pure il rinnovamento di quella che nella tradizione tedesca viene considerata come l'alternativa per eccellenza ad Aristotele, e cioè la filosofia pratica kantiana (E. Vollrath); anche qui si assiste al fiorire di una serie di studi specifici su Kant, nei quali il discorso kantiano viene spesso vagliato alla luce dei risultati conseguiti dalla filosofia analitica (F. Kaulbach, G. Patzig, K.-H. Ilting, K. Cramer, N. Hoerster, A. Pie­per) . Questo secondo momento è esaminato al para­grafo La ripresa di Kant (1.2).

1.1. La ripresa di Aristotele

Se - come si è osservato - l'esigenza di un rinnova­mento della filosofia pratica è stata affermata ed è nata sul terreno della « crisi dei fondamenti , e dei problemi ad essa connessi che travagliano le singole discipline di volta in volta interessate, oltremodo significativo è il fatto che tale richiamo alla tradizione aristotelica sia avvenuto innanzitutto, più che in ambito filosofico ge­nerale, nel campo di alcune scienze specifiche come le scienze storiche e le scienze politiche. sophie. Diisseldorf 1969, hrsg. von L. LANDGREBE, Meisenheim a, G. , Hain, 1972, rispettivamente 19-34, 89-99 e 79-88.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 19

Nel qÙadro delle scienze storiche esso è stato opera­to soprattutto da Otto Brunner17 e da Werner Conzel ', le cui opere attuano in concreto un collegamento con la tradizione della filosofia pratica mediante analisi storiche specifiche, dalle quali, tuttavia, emerge con evidenza l'assetto metodologico generale e la colloca­zione organica che il quadro unitario della rinnovata tradizione aristotelica conferisce loro.

Nell'ambito delle scienze politiche, in particolare nella cosiddetta polttica{ philosophy, tale rinnova­mento è stato iniziato da uno studiosotedesco emigra­to negli Stati Uniti, Leo Strauss, le cui opere, redatte in inglese e tradotte solo successivamente in tedesco, han­no avuto diffusione prima nell'ambiente anglosassone che in quello continentale europeo. In Diritto naturale e storia" Strauss afferma a chiare lettere l'esigenza di un chiarimento metodologico all'interno delle discipli­ne un tempo afferenti alla filosofia pratica, in partico­lare all'interno della scienza politica. Del resto, tale opera è mossa da un vigoroso intento critico nei con­fronti dello storicismo - cosa che le procurò diffusione anche in Italia, dove essa fu tradotta da un traduttore (N. Pierri) e per i tipi di un editore (Neri Pozza) en­trambi vicini allo storicismo crociano - nel quale è in­travista una delle ragioni fondamentali della dissolu­zione e della crisi della filosofia politica. Significativa e interessante, per meglio comprendere il contesto com-

17 Cfr. in particolare gli studi Neue Wege der Sozialgeschichte, G6t­tingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1956, apparsi ora in seconda edizione col titolo Neue Wege der Verfassungs- und Sozialgeschichte (ivi, 1968). Di tali studi esiste pure una trad. i t. a cura di P, SCHIERA, Per una nuova sto­ria costituzionale e sociale, Milano, Vita e pensiero, 1970. Di carattere più specifico sono invece gli altri lavori di Brunner: Adeliges Landleben und eu­ropiiischer Geist, Salzburg, O. Mi.iller, 1949 (trad. it. a cura di P. SCHIE­RA, Vita nobiliare e cultura europea, Bologna, Il Mulino, 1977); Lanq und Herrschaft. Grundfragen der territorialen Verfassungsgeschichte Oster­reichs im Mittelalter, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 19655'

18 Staat und Gesellschaft in der fritheren Epoche Deutschlands, « Historische Zeitschrift », CLXXXVI (1958), 1-34.

19 Trad. it. di N. PIERRI, Venezia, Neri Pozza, 1957 (ed. orig. Na­tura! right and history, Chicago, The University of Chicago press, 1953).

Page 10: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

20 FRANCO VOLPI

plessivo in cui viene fatto riferimento ad Aristotele e al­la tradizione della filosofia politica aristotelica, è la lunga e circostanziata critica a W e ber che Strauss espo­ne nel secondo capitolo del libro e che è intitolata " Il diritto naturale e la distinzione tra 'fatti' e 'valori' ,, . Senza prendere dettagliatamente in esame tale critica, sarà sufficiente ticordarne qui il senso generale, che è lapidariarnente, ma efficacemente, espresso dallo stes­so Strauss là dove egli afferma che " W e ber, il quale ha scritto molte migliaia di pagine, ne ha dedicato a mala­pena una trentina alla discussione dei terni che costitui­scono la base di tutta la sua dottrina »". Con questa osservazione critica Strauss denuncia quella che è una deficienza fondamentale delle moderne· scienze dell'agire sociale in generale e della scienza politica in particolare, e cioè la mancanza di una collocazione e di un fondamento organico complessivo. Questi ultimi, secondo Strauss, sono attingibili soltanto mediante un riferimento alla tradizione classico-antica della filoso­fia pratica. Questo riferimento, in forma di un con­fronto critico, è attuato dallo stesso Strauss in Diritto naturale e storia ed è sviluppato sistematicamente in al­tre opere come Che cos'è la filosofia politica?21 e The city and ma n". Soprattutto nella prima di queste due ultime opere citate risulta con evidenza l'opposizione che Strauss instaura tra il pensiero politico moderno e la filosofia politica classica, della quale viene in parti­colare apprezzata e rivalutata l'unità non ancora per­duta di funzionalità pratico-politica e competenza critico-normativa. Secondo Strauss, infatti, la filosofia politica classica nel suo insieme, dunque sia in Platone che in Aristotele, è un sapere di tipo non teoretico, bensi pratico, ma mantiene ad un tempo anche l'obbli­gatorietà e il carattere vincolante del sapere teoretico; questa obbligatorietà e questo carattere vincolante

20 lvi, 77. 21 Trad. it. a cura di P.T. TABONI, Urbino, Argalia, 1972 (ed. orig.

What is politica! philosophy?, Glencoe, Free press, 1960). 22 Chicago, Rand McNally, 1964.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 21

consisterebbero nel saper rimuovere e superare le mol­teplici opinioni degli uomini, riconducendole a leggi oggettivamente vere e universalmente riconosciute co­me valide. Ora, secondo Strauss, la crisi del pensiero politico moderno è superabile appunto mediante una ripresa della potenzialità critico-normativa della filoso­fia pratica antica.

Di carattere decisamente funzionale al rinnova­mento della scienza politica moderna è pure il ritorno al pensiero politico classico operato da un altro studio­so tedesco emigrato in America, e cioè Eric Voegelin. Sia pure con una maggiore attenzione nei confronti

. delle differenze tra Platone e Aristotele, anche Voege­lin dedica una rinnovata attenzione alla filosofia prati­ca di questi due classici, da lui trattati in uno studio specifico". Soprattutto in Aristotele Voegelin vede una soluzione rimasta insuperata del problema del rappor­to tra l'ordine universale dei valori e le situazioni stori­camente determinate in cui questi vengono concreta­mente realizzati, anche se la soluzione aristotelica cela dietro il suo mirabile equilibrio il rischio di essere fraintesa �el senso di una metafisica immanente, per l'autonomia che essa concede all'ambito dell'agire umano e degli eventi storici nei confronti dell'ordine universale dei valori. Essa si presta comunque molto

· bene a essere ripresa nell'ambito del rinnovamento del­la scienza politica moderna che Voegelin stesso intende operare e che consiste sostanzialmente in un tentativo di superare il carattere rnerarnente descrittivo che tale scienza ha assunto per l'influsso del positivisrno. Nella maggiore delle opere di Voegelin dedicata a questo compito, e cioè ne La nuova scienza politica", tale ten­tativo è definito, in relazione alla ripresa del pensiero politico classico di Platone e di Aristotele, come una « restaurazione »2S, anche se tale terrnirie è da intende-

n Order and history III: P lato and Aristotle, Baton Rouge, Louisia* na State University press, 1957.

24 Trad. it. di R. PAVETTO, Torino, Borla, 1968 (ed. orig. The new science of politics, Chicago, The University of Chicago press, 1952).

H lvi, 48.

Page 11: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

22 FRANCO VOLPI

re nel senso di un recupero della « consapevolezza dei principi , e non come « un puro e semplice ritorno al contenuto specifico di soluzioni del passato »26• E pro­prio tale consapevolezza dei principi - esemplarmente attuata nel pensiero di Platone e .di Aristotele e n evoca­ta da Voegelin nella sua sintesi di scienza politica e teo­ria della storia - che rende possibile il superamento del­la mera descrittività del pensiero politico moderno e contemporaneo, e cioè il superamento della distinzione e della separazione weberiana di fatti e valori: l' Intro­duzione metodologica premessa a La nuova scienza politica è per lunghi tratti costituita da una critica al positivismo della scienza politica contemporanea, la cui massima teorizzazione è secondo Voegelltl quella weberiana. Anche qui, come in Strauss, l'istanza di un rinnovamento della capacità normativa della scienza politica, affermata sulla base del modello della filoso­fia pratica classica, si scontra col principio dell'avalu­tatività.

Sia per le circostanze particolari nelle quali essa è stata avanzata, sia per il fatto che le opere in cui essa viene proposta sono redatte in inglese, l'esigenza di un rinnovamento della scienza politica, avanzata da Strauss e Voegelin mediante un ricorso allo spirito del­la filosofia pratica classica, non ha trovato subito in ambito tedesco i presupposti favorevoli alla sua diffu­sione. Essa è stata recepita sistematicamente solo in un secondo momento, quando cioè la riabilitazione della filosofia pratica in Germania ha preso piede in virtù di spinte autoctone. La più vigorosa delle quali nell'ambi­to della scienza politica è stata quella data da WJihelm Hennis con una serie di studi raccolti in Politik und praktische Philosophie. Eine Studie

.zur Rekonstruk­

tion der politischen Wissenschaft". T 1tolo e sottotitolo

"' l1·t 4'1 " Nt..'u\\'i�d-lkrlin, Luchterhand, 1963. Tale raccolta è stata recen­temente ristampata con l'aggiunta di nuovi studi col titolo Politik und prak­tische Philosophie. Schriften zur politischen Theorie, Stuttgart, Klett­Cotta, } 977.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 23

danno un'idea della direzione programmatica in cui procede il richiamo alla tradizione della filosofia prati­ca fatto da Hennis, il quale dichiara esplicitamente di volere trovare mediante tale richiamo le indicazioni metodologiche necessarie al superamento della crisi in cui la scienza politica, « alla ricerca del proprio ogget-

" . to >> , ogg1 versa. Secondo Hennis, infatti, mentre la filosofia pratica

aristotelica segue il metodo topico-dialettico e non quello apodittico-dimostrativo", la scienza politica e sociale moderna fondata da Hobbes - in conformità col mutamento dell'ideale di scientificità avvenuto con Descartes e testimoniato in particolare dalla formula della seconda regu/a"- espunge e rifiuta, invece, le co­noscenze solamente « probabili » della dialettica ed esce cos{ di fatto, sotto l'influsso cartesiano, dalla tra­dizione aristotelica. Per quest'ultima, infatti, vige il cri­terio fissato da Aristotele (Eth. Nic. I l, l 094 b 1 1 -27) secondo il quale in ogni genere di sapere è da richiedere tanta precisione (akribeta), quanta ne permette la na­tura del rispettivo oggetto; ora, come è noto, mentre le scienze teoretiche come la teologia e la matematica hanno per oggetto il necessario ( tò ananka'ion), le scienze pratiche come l'etica e la politica hanno per og­getto il « per lo più , (tà hos epì tò poi';). Il minor gra­do di precisione che di conseguenza viene richiesto in queste ultime, pertanto, non è indice di minor rigore o di minore scientificità, ma è perfettamente conforme alla natura dell'oggetto e al tipo diverso di razionalità che essa richiede. Tale distinzione metodologica viene .appiattita e annullata nella scienza politica moderna, la quale, orientandosi a partire da Hobbes sull'ideale cartesiano di scienza esatta, non salvaguarda più la specificità della propria razionalità nei confronti delle scienze matematico-naturali e finisce per assimilarne

·n lvi, 10 (nell'ed. de1 1977, 2). 29 lvi, 41 (nell'ed, del 1977, 36). lO Ibid.

Page 12: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

24 FRANCO VOLPI

modelli e procedure. Contro questo orientamento, co­mune a quasi tutto il pensiero politico moderno con al� cune rare eccezioni come Vico e Burke, in cui Hennis vede i custodi dell'antica tradizione, viene proposta una riabilitazione della filosofia pratica che ristabilisca la distinzione aristotelica tra i diversi ambiti di sapere e che sappia adeguatamente fondare la specificità del sa­pere pratico mediante il ripristino della " logica , ad e��o propria, e cioè il procedimento topico-dialettico.

· Il consenso che tale opera di rinnovamento ha su­scitato in Germania3 1 è stato tuttavia temperato da al­cune critiche avanzate nei confronti dell'entusiasmo, per certi toni quasi trionfalistico, col quale Hennis, nel sesto capitolo del suo libro, " Topica e politica , , salu­tava nella topica il recupero della logica propria della scienza politica. E stato infatti osservato" che questa riabilitazione del metodo tipico-dialettico come logica del sapere pratico, di un sapere, cioè, che per la natura del suo stesso oggetto non può ammettere conoscenze certe, ma solamente conoscenze probabili, misconosce il duplice senso del termine probabile e identifica erro­neamente quello che Aristotele tiene ben distinto, vale a dire la probabilità in senso proprio, che è determina­ta dalla natura stessa dell'oggetto esaminato, e la pro­babilità come verisimiglianza, che è invece determinata dalla diversità delle opinioni degli uomini. Mentre la probabilitas è una determinazione oggettiva e trova posto come tale all'interno del sistema scientifico, la verisimilitudo, che ha a che fare con gli éndoxa, è una determinazione soggettiva e come tale è incompatibile

31 Tale consenso è stato espresso soprattutto da Hans Maier, non� ché da alcuni esponenti della scuola di A. Bergstraesser, come D. Obern­dòrfer, Tra gli studi dedicati ad un'analisi del metodo topico-dialettico co­me metodo della scienza politica sono da ricordare qui]. DENNERT, Die ontologisch-aristotelische Politikwissenschaft und der Rationalismus. Eine Untersuchung des politischen Denkens Aristoteles', Descartes', Hobbes', RousSeaus und Kants, Berlin, Duncker & Humblot, 1970, e G. BIEN, Die Grundlegung der politischen Philosophie bei Aristate/es, Freiburg i. Br. -Miinchen, Alber, 1973.

32 H. KUHN, Aristate/es und die Methode der politischen Wissen­schaft, in RIEDEL II, 261-290.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 25

con la scienza; per questo Aristotele nega alla dialettica toptca Il carattere di scienza, attribuendole invece quel­lo di djmamis33• Ora, la filosofia pratica ha a che fare con cose che accadono " per lo più » ( tà hos epi tò po­ly) e, dunque, per la natura del suo stesso oggetto am­mette sol� �m sapere probabile in senso proprio,' cioè mteso posmvamente come sapere di ciò che sta a metà tra il necessario (tò ananka?on) e il causale; la topica (e con essa la dtaletnca e la retorica) ha invece a che fare con le diverse opinioni degli uomini col verosimile �ioè. con un'istanza di particolarità so�gettiva inconci� habt!e col sapere scientifico. Filosofia pratica e topica hanno dt conseguenza due statuti diversi e vedere in questa il metodo di quella significa negare alla filosofia pratica Il ca�attere di scienza34, Pertanto, mentre si è apprezzato m generale l'intento programmatico far-

. m ula t� e sostenuto da Hennis, si è ad un tempo affer­mata l esigenza d1 una maggiore attenzione filologica, dalla quale nsulterebbe che la riattualizzazione del me­todo topico;dialettico c�me metodo della scienza poli­tl�a non puo nchtamarst a buon diritto alla tradizione anstotel�ca. Tale rivalutazion� �i collocherebbe piutto­sto nel! ambito dt una tradtzwne moderna e cioè nelrambito della riabilitazione retorico-letter;ria della toptca tt;tmata da Giambattista Vico e introdotta in Germama da Ernst Robert Curtius, la quale avrebbe tro':'ato uno sbocco antologico con la ripresa della dia­lettica da pane di Nicolai Hartmann e, infine, addirit­tura con Hetdegger, dalla cui scuola proviene quel J o­hannes Loh':'ann alla �m teoria linguistica heideggeria­namente ISpirata si nfa Il maggwre fautore in ambito ft!os�;lco della rinascita della topica, e cioè Karl-Otto Ape! . Perfettamente consona a questa tradizione mo-33 Cfr. Metaph. IV, 2, 1004 b 25-26.

fl ;.4 Ku�n ritiene che �ell'ide?tificazione della topica col metodo della 1 os� ta pr�tica �a par�e dt Henms abbia influito l'interpretazione della fì­- rsoJa prattca anstotehca offerta da John Burnet (The Ethics of Arist t! on

do.n,

1 .rvt:ethuen, 1900), il quale identifica il sillogismo etico col sil}og��

smo Ia ettico. H Cfr. J. LOHMANN, Philosophie und Sprachwissenschaft, Berlin,

Page 13: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

26 FRANCO VOLPI

derna sarebbe pure la riscoperta del m.etodo topico­dialettico operata nell'ambito della gmnsprudenza da Theodor Viehweg, il cui fortunato trattato Topzk und ]urisprudenz36 risulta essere del resto un punto d1 nfe­rimento capitale per le citate ricerche dello stesso HenniS37• . . L'autore di queste precisazioni critiche ne1 �o':fron­ti del rinnovamento proposto da Henms, e cwe Hel­mut Kuhn, ha altrove dichiarato expresszs �erb�s 1l �en­so in cui egli intende vedere corretta la na?Ihta�wne della filosofia pratica, affermando che essa e d� mter� pretare come una rivalsa del pensiero filosofico '?el confronti delle scienze sociali, ovvero come �' u�; na­bilitazione della filosofia in quanto filosofia » • La rinnovata attenzione per il pensiero anstotehco nell'ambito delle scienze storiche e pohtlche ,viene c? n ciò trasferita su un terreno d1 d1scusswne pm. prol?na: mente filosofico, dove il peso maggwre del d1batt1to e stato sostenuto dalla scuola ermeneutica d1 Hans­Georg Gadamer e da quella di ]<nch1m Rmer.

Prima di passare all'esame d1 quest� ult1me, tutta-. ' opportuno ricordare che m ambito filosofiCo la v1a, e . , ta riabilitazione della filosofia pratica e stata pr�para dalle acute analisi condotte da Hannah Arendt m Vzta.

2 K -0 APEL Die-Idee der Spritche in de1· Duncker & Humblot, 1975 e ·D' b' ' v,·co Bonn Bouvier, 1963 · · d H anismus von ante ts • ' . d Tradttton es um

'd d' l' nella tradizione dell'umanestmo a (trad. it. di L. TOSTI, L't ea 1! mgr;75) Dante a Vico, Bolognak_Il r:5

u3lJ;lt974s Su

,ll'inddenza di tale scritto cfr. G. 36 Miinchen, Bee , 1 . • . : n Ertra und Aufgaben, « Rechts-OTT�, Zwanzig ]ahre

3�o�;kfr���:���i Più ret�nti sul rapp�rto tra meto­theone »,l (1970), 1� · d · d ll' rgomentazione giund1ca cfr. anche do della filosofia prauca e m�to 0

d e a

F kfurt a M Atheniium, 1971; UCK y pik und Junspru enz, ran · · • h G. STR ' o . d . . iischen Argumentation, Frankfurt a. M., Su r­R. ALEXY, Theorte er )UrtS

R h t ·und praktische Vernunft, G6ttir;.gen, kamp, 1978; M. KRIELE, 19e_;:9. C PERELMAN, ]uristische Log1k als Vandenhoeck & Ruprec�t

b,

. È · MUnchen Alber, 1979. Argumentationslehre, Fre� urg L r · - ' ;1 HENNIS, op. nt., :� s�g.Ph 'l ophie eine Tautologie?, in RIE­;g H. KUHN' Ist pra ttsc e l o�ssenschaft der Praxis und prakti-DEL 1 57-78 Dello stesso autore cfr. Wl h 'ft f" v E Freiherr •

· . . W d d Handeln. Festsc n ur · · . sche Philosophte, m er e'! un k 1963 157-190, e Der Staat. Eme von Gebsattel, Stuttgart, HtPP? r

chates,

K" t' 1967 philosophische Darstellung, Mun en, ose ,,

, . .

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 27 activa", un libro che ha lasciato un profondo segno nella cultura tedesca - e non solo in essa -, tanto da\n­fluenzare con la sua critica all'unilateralità del concetto marxiano di prassi persino autori neomarxisti come Habermas". Uno dei fini principali del libro della Arendt è appunto quello di fornire mediante un richia­mo alla tradizione classico-aristotelica una determina­zione concettuale sufficientemente ampia del concetto di agire, in grado di superare la sopravvalutazione marxiana del lavoro e della sua forza emancipatrice, ri­stabilendo cosi l'equilibrio " classico , tra le attività fondamentali indicate dal termine vita activa, e cioè l'attività lavorativa, l'operare e l'agire. Il richiamo ad Aristotele ricorrente nelle analisi della Arendt è quindi funzionale al ristabilimento di un quadro concettuale sufficientemente articolato, in grado di chiarire le radi­. ci della crisi della razionalità pratica nel mondo moderno. L'impulso più autorevole e più consistente alla ri­scoperta dell'attualità della filosofia pratica di Aristo­tele è stato dato in Germania dal caposcuola dell'erme­neutica filosofica, Hans-Georg Gadamer. In un capito-. lo della sua opera principale Verità e metodo", Gada­mer, nel presentare Aristotele come " il fondatore

39 Trad. it. di S. FINZI, Milano, BOmpiani: 1964 (ed. orig. The hu­'man condition, Chicago, The University of Chicago press, 1958). La tra­duzione tedesca Vita activa oder vom tiitigen Leben è del 1960 (Stuttgart, Kohlhammer), 40 Nonostante Habermas abbia espressamente criticato alcune tesi della Arendt (cfr" Kultur und Kritik, Frankfurt a , M., Suhrkamp, 1973, i.p. 365-370), l'influenza di quest'ultima sul suo pensiero è in alcuni punti evidentissima, come ad esempio nel saggio d'apertura di Technik und Wis­senschaft als «Ideologie », Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1968, 9A7 (trad. it. a·cura di M. G. MERIGGI, Lavoro e interazione, Milano, Feltrinelli, 1975) oppure nel saggio Dottrina politica classica éfilosofia sociale moder­na, in Prassi politica e teoria critica della società, trad. it. di A. GAJANO, Bologna, Il Mulino, 1973 (ed. orig. Theorie und Praxis. Sozialphilosophi­sche Studien, Neuwied-Berlin, Luchterhand, 1963). Sull'influenza del pen­siero politico della Arendt cfr. Hannah Arendt. Materialien zu ihrem Werk, hrsg. von A. REIF, Wien-Miinchen�Ziirich, Europa Verlag, 1979. 4' Trad. it. a cura di G. V ATTIMO, Milano, Fabbri, 1972 (ed. orig. Wah1·heit und Methode, Tiibingen, Mohr, 1960, 19721). Il capitolo -�L'attualità ermeneutica di Aristotele>> è alle pp. 363-376 (ed. orig., 295-307).

Page 14: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

28 FRANCO VOLPI

dell'etica in quanto disciplina autonoma ri�petto �Ila scienza » 42, sottolinea << l'attualità ermeneutica d�ll eti­ca di Aristotele , e coglie in essa " un modello de! pro­blemi che si pongono nel compito ermeneutiCO ':43·.

Una delle principali difficoltà che l'ermeneutica m­contra sulla via della determmaz1�ne dello statuto ?el proprio sapere è il problema dell apphcazwne? c10e 1l problema della determinazion� �� quel t1po d1 sapere nel quale l'applicazione di prmc1p1 umversah al �aso particolare non soffoca la concretezza della s1tuazwne determinata, bensi la coglie nella sua determmatezza stessa. In polemica con la confusiOne del pro�no meto­do specifico col metodo oggettivante delle scienze mo­derne operata dall'ermeneutica storicista, Gadamer sottolinea come in realtà l'ermeneutica non s1a una semplice « arte o tecnica dell'interpretaziOne " consi­stente nel mettere in relazione un umversale dato . a priori con la situazione particolare, ma come essa Sia piuttosto un sapere costitutivamente conness� con la particolarità della situazione. Ora, contro Il framtend1� mento storicista, Gadamer nprende quale modello d1 tale tipo di sapere il sapere delineato nella teona ansto­telica della phronesis, nella quale vengono esem�;lar­mente risolti sia il problema dell'apphcazwne, s1a Il problema della distinzio':� di tale sapere morale­pratico dal sapere sCienUfico e dal .sapere tecmco­pratico. L'attualità dell'euca anstoteh�a consiste ap­punto nel fatto che in essa vengono te�nzzau « una r�­gione e un sapere· che non sono staccau da un essere di­venuto, bensi sono determinati da questo essere e sono determinanti per lui , 44, in modo tale che l� connessiO­ne costitutiva di universale e particolare d1v1ene la de­terminazione qualificante di questo t1po d� sapere. Pro­prio per questa ragione esso non può r�ah�zare. la pre­cisione delle scienze esatte, le quah SI or.Ientano sull'universale e sul necessario soltanto: « Anstotele,

•2 Ivi, 363 (ed. orig., 295). 4l lvi, 376 (ed. orig., 307). •• lvi, 363 (ed. orig., 295).

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 29 contro la dottrina del bene determinata dalla teoria platonica delle idee, sottolinea il fatto che nel proble­ma etico non può pretendersi quell'esattezza estrema che c'è invece nella matematica » 45• Per di più, oltre che dalla scienza (epistéme), il sapere morale-pratico è distinto altresi dalla tecnica e dall'arte (téchne). Secon­do Gadamer il merito maggiore e, ad un tempo, l'at­tualità del pensiero etico di Aristotele consistono pro­prio in questo secondo momento, cioè nell'aver saputo distinguere chiaramente il sapere morale-pratico dal sapere tecnico-pratico, distinzione questa particolar­mente delicata e difficoltosa, se non altro per la circo­stanza che entrambi i tipi di sapere si presentano come una forma di applicazione dell'universale al particola­re. L'indice che rivela il coglimento di questa differenza da parte di Aristotele è il fatto che quest'ultimo rifiuta di servirsi del concetto di tecnica per determinare l'es­senza dell'uomo, come avrebbero fatto invece Socrate e Platone, per i quali l'uomo progetta se stesso in base a un eldos di sé allo stesso modo in cui l'artigiano fog­gia il materiale in base all' eidos dell'opera che egli vuo­le realizzare. Il luogo in cui la differenza tra sapere morale-pratico e sàpere tecnico-pratico si colloca è quello dell'applicazione: mentre la tecnica consiste nell'applicazione di una forma esattamente determina­ta a un materiale che la assume in maniera più o meno adeguata, ma mai perfetta, nell'ambito etico l'applica­zione alla situazione e al caso particolare di leggi e di principi universali non diminuisce la perfezione di que­sti, ma ne costituisce semmai la realizzazione e l'attua­zione ve'fa e propria. Cosi, ad esempio, la situazione del giudice che applica la giustizia è diversa da quella dell'artista che applica una forma. E vero che, cosi co­

me l'artista deve sacrificare la forma entro i limiti che il materiale le impone, anche il giudice deve prescindere nella situazione concreta dalla rigorosa esattezza della legge; ma, in quest'ultimo caso, ciò non accade perché

H lvi, 364 (ed. orig., 296).

Page 15: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

'C

30 FRANCO VOLPI

non sia possibile fare di meglio, bensi perché altrimenti non si farebbe il giusto. Allontanandosi dall'universali­tà della legge non si riduce la giustizia, ma la si mette concretamente in atto realizzando ciò che è più giusto. Di conseguenza, in ragione del fatto che " ogni legge implica una inevitabile disparità rispetto alla concre­tezza dell'agire, in quanto ha un carattere universale e non può contenere in sé la realtà pratica in tutta la sua concretezza » 46, il tipo di sapere realizzato nell'ambito della filosofia pratica non ha di mira la determinazione di valori universali, oggettivi e assoluti, che possono diventare oggetto di insegnamento e di apprendimen­to, ma attua piuttosto " una descrizione di forme tipi­che di giusto mezzo valide per l'essere e per il compor­tamento dell'uomo »47, in quanto " il sapere che ha per oggetto questi schemi ideali è lo stesso sapere che deve rispondere alle esigenze della situazione del momen­to »4s.

Come si vede, queste analisi, mosse originariamen­te dall'intento di determinare il metodo dell'" erme­neutica filosofica >> in contrapposizione a quello dell'« ermeneutica storicista », mettono in luce in ma­niera particolarmente efficace l'attualità della determi­nazione aristotelica delle peculiarità del sapere morale­pratico. Di conseguenza, al di là e al di fuori del conte­sto specifico entro il quale erano state pensate, esse hanno finito per incidere in modo specifico soprattutto sulla riabilitazione della filosofia pratica.

Sempre in ambito ermeneutico, ma per una via au­tonoma rispetto a quella gadameriana, e cioè seguendo un'impostazione meno teoretizzante, ma più versata all'analisi storico-filologica, ha promosso con partico­lare vigore la ripresa della tradizione aristotelica della filosofia pratica Joachim Ritter. Allo studio di questa tradizione, nell'ampio spazio storiografico che va da Aristotele a Hegel, Ritter ha dedicato una serie di studi

46 lvi, 370 (ed. orig., 301). 47 lvi, 373 (ed, orig., 305). 48 Ibid.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 31

scritti tra il 1953 e ill968 e raccolti poi organicamente nel volume Metaphyszk und Politik. Studien zu Arista­te/es un d H egei". Tali studi hanno segnato una traccia fondamenta!� nella ricostruzione della tradizione della filosofia J?ratJca . . In Aristotele Ritter individua la fon­da�JOne SIStematica d1 tale disciplina 50, in W olff il suo ultimo momento d1 splendore, in Kant e in Hegel il �o��nto ston�o della sua dissoluzione. Con questi ul­timi, mfatt1; " d pnnC!pio etico esce dal contesto di di­ntto, .s�Cleta e . stato; esso emigra nell'intimo della sog­gettivJta. La filosofia pratica v1ene ndotta in quanto etic� a postulati e a i�perativi del mero volere che solo nell mtimo � nella nflessJOne determinano l'agire. In �uanto .��ona della .':moralità" essa viene separata dalla legahta · C . . ) A CIO cornsponde il fatto che la teoria �el dJ,ntto SI eman�1pa dalla filosofia. Cosi si dissolve

l umta �ella filosofia pratica universale comprendente �orahta, dmtto, stato; il connubio filosofico di etica e fdosof1a del dmtto ha. fine »51 • Ora, secondo Ritter, il

. mo.ndo mode�n? v1ve m questa separazione di moralità e dmtto, m VJrtu della quale la soggettività si ritira dal­la realtà s?ci�l� divenutale estranea e conserva in se stessa d rnnc!p!O della moralità, mentre la società mi­nacCia d1 aumentare tale moralità come " meramente sog.gettJva ». D1 fronte alle conseguenze che tale lace­raziOne ha provocato, il modello della filosofia pratica può fungere da correttivo. . . Per il rigore filologico e per la coscienza dei proble­mi che ad esso Si accompagna, gli studi di Ritter hanno avuto m Germama u.na funzione metodologica guida e han�� spianato la v1a a una serie di ricerche storiche speCifiche sulla tradi�ione della filosfia pratica aristote­lica . . Dalla scuola d1 Rnter proviene infatti il miglior s�ud1� co�pless1vo ogg1 disponibile sulla filosofia poli­tica d1 AriStotele, e cioè la monografia di Giinther Bien

49 Frankfurt a , M., Suhrkamp 1969 SQ 01

' . .

tre .alla raccolta sop�a ci�ata _cfr. anche il saggio Zut Grundle­deJ Prakt1schen Phdosophte bet Anstoteles in RIEDEL [[ 479 500 51 lvi, 480. ' ' - ·

Page 16: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

32 FRANCO VOLPI

Die Grundlegung der politischen Philosophie bei Aristate/es". Contro la tesi di un altro allievo di Ritter, Reinhart Maurer, secondo la quale il padre della filo­sofia politica sarebbe Platone", Bien intende dimostra­re invece che tale disciplina trova la sua pnma vera e propria fondazione nell'ambito della filosofi� pratica aristotelica. Molto attento, pertanto, a sottolmeare le differenze tra Aristotele e Platone - per il quale viene assunta come determinante l'immagine matematicista proveniente da Tubinga (H.J. Kriùner, K. Gais�r), tal­ché il contrasto con l'antnnatematrctsmo dr Aristotele viene messo ancor più in risalto - Bien sostiene la tesi che la filosofia politica di Aristotele rappresenta una mediazione e un superamento della posizione sofistica e di quella platonica. Aristotele, infatti, " (a) lascia vale­re la molteplicità fenomenica dei dati umani con le loro relatività le loro contraddittorietà e le loro oscillazioni in contr�pposizione a un normativismo antologico e trascendente assoluto, ma (b) fa valere in essa, ad un tempo, anche il normativa e il paradigmatico :' " . In questo senso Bien si preoccupa di r�v.alutare la dtalettl­ca dei Topici quale metodo specifico della filosofia pratica in generale e della filosofia politica in particola­re· esso infatti permetterebbe dt mantenere ti gmsto e�uilibrlo tra d�scrittività e prescrittività, tra empirici� tà e normatività quali istanze entrambe rrnnunctabth ,

l' del discorso e del sapere pratico. Pertanto, contro os-servazione di Kant secondo la quale da quello che gli uomini fanno non è possibile ricavare quello che essi dovrebbero fare, Bien riabilita la concezione anstoteh-

n Freiburg i. Br. �Miinchen, Alber, 1973. Dello stes�o autore si v�� dana pure: Das Theorie-Praxis-Problem bei Pia ton und Ar:.s

toteles, ." Pht­losophisches Jahrbuch "• LXXVI _p9§,8

/69), 2tJ:4-314.; l mtroduz10ne a ARISTOTELES Nikomachische Ethik, Hamburg, Memer, 1972, XVII­LIX· Dle menschlichen Meinungen uhd daS Cute; in RIEDEL l, 345-371; vas' Geschii/t der Philosophie, am M odell des juristischen Prozesses erll:iu­tert, in Philosophie und Wissenschaft. 9. Deutscher Kongreg fUr Philoso­phie cit., 55-77.

53 Platons « Staat >> und die Demokratie. Historisch-systematische ùberlegungen zur politischen Ethik, Berlin, de Gruyter, 1970:

5• BIEN, Die menschlichen Meinungen und das Cute ctt,, 370.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 33 ca obiettando che si dovrebbe invece affermare con Aristotele che " ciò che dobbiamo fare può essere rica­vato non da quello che gli uomini di fatto fanno ma da quello che gli uomini - in particolare quelli qu�lificati tra dt loro - dzcono e ritengono che debba essere

fatto »55• Alla linea interpretativ� ,aperta da Ritter si rifà pu­re, anche se con nsultati pm modesti, t! lavoro di Are min Miiller sulla filosofia politica di Platone, Aristotele e Ctcerone56• Esso può essere qui menzionato assieme a un altro studio che si colloca anch'esso nell'ambito della tradizione erme�eutica, questa volta però di ispi­razw?e fortemente heideggeriana, e cioè lo studio sulla " logrca della prassi » dt Herbert Schweizer", per il quale la .r�abrhtaztone della filosofia pratica di Aristo­tele srgmfrca soprattutto la ripresa di un terreno sul quale è possibile l'unità di etica e politica di società e stato, di teoria e prassi, concetti questi p;ssati tutti da S�hwerzer attraverso il filtro terminologico heidegge­nano.

Sarebbero altresi da ricordare in maniera più diffu­sa, , m. questo cont�sto, numerose altre monografie sull etica e sulla pohtrca anstoteliche, come quella di Ada Ba bette Hentschke", quella di Martin Ganter" 0 quella di Peter Koslowski", nonché una nutrita serie di 55 lvi, 371. H Autonome Theorie und Interessedenken. Studien zur Philosophie bei Platon, Aristate/es, Cicero Wiesbaden Steiner 1971 H z.ur Logik. der �mxis� Die geschi;htlichen' Jmplikationen und die herf!lene�ttsche Retchwette der praktischen Philasophie des Aristate/es, Fretburg 1. Br.-Miinchen, Alber, 1971. 58 Palitik und Philosaphie bei Platon und Aristate/es, Frankfurt' a , M., Klostermann, 1971.

• 59 .Mittel und Zie! in der praktischen Philosophie des Aristate/es, Fretburg 1. Br.-Miinchen, Alber, 1974. 60 Zum Verhdltnis von Polis und Oikas bei Aristate/es Miinchen D�nau, 1976; dello stesso autore cfr. l'articolo Haus und Geld.' Zur arista� tehschen Unterscheidung von Politik, Okonomik und Chrematistik " Phi­las?phisches J�hrbuch >), L?'-XXVI (1979), 60-83. Tra tutti questi ;tudi su Ansto�ele me�1ta appena dt essere menzionato, invece, il lavoro alquanto farragmoso dt F. !OMBERG, Polis und Nationalstaat. Eine verg/eichende Oberbauanalyse tm Anschluss an Aristate/es Neuwied-Berlin Luchte•-_:;, .• , .uaua, 1973. ' ' L

Page 17: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

34 FRANCO VOLPl

articoli" , che, oltre a testimoniare la vivace npresa dell'interesse per la filosofia pratica aristotelica a parti­re dagli anni sessanta, hanno contribuito a far si che la rinascita di tale disciplina avvenisse su basi filologiche ben assodate. Un'analisi di tutti questi studi, tuttavia, proprio nella misura in cui essi procedono in direzione prevalentemente storiografica, appartiene piuttosto al­la filologia aristotelica e solo indirettamente riguarda la rinascita della filosofia pratica qui presa in esame.

Merita invece un'esplicita menzione, per il conside­revole interesse alla riabilitazione della filosofia pratica che lo sostiene, il lavoro sull'Etica nicomachea di un giovane studioso diventato nel frattempo uno dei mag­giori promotori di tale riabilitazione, e cioè la mono­grafia di Otfried Hoffe Praktische Philosophie. Das Modell des Aristate/es". L'esame dell'Etica nicoma­chea - opera presa in considerazione come l'esposizio­ne più esauriente del modello aristotelico di filosofia pratica" - viene occasionata e introdotta da una rifles­sione sistematica sul concetto stesso di sapere pratico, nel quale - in riferimento a una classificazione consueta in ambito analitico - vengono distinti tre livelli: il sape­

re morale che inerisce all'agire stesso, il sapere etico che esamina l'agire e il sapere morale in relazione alla loro struttura e ai loro principi e, infine, il sapere me-

61 Ricordo qui j· più importanti: ]. DERBOLAV, Freiheit und Naturordilung im Rahmcn der aristotelischen Ethik mit einl'lll :\us/,[ick auf Kant, " Kant-Studien "• LVII (1966), 32-60; T. EBERT, L'ruxis und Poiesis. Zu eù1er handlungstheoretischen Untascheidung des Aristoteles, « Zeitschrift fllr philosophische Forschung ,,, XXX (1976), 12-30; O. Gl­GON, Die Bestimmung des Menschen in der praktischen Philosophie des Aristate/es, " Allgemeine Zeitschrift fiir Philosophie "• l (1976), nr. 3, 1-251 H. RADERMACHER, Die politische Ethik des A1·istoteles, " Philo­sophts.ches Jahrbuch ''• LXXX (1973), 38-49; H. SEIDL, Zum Verhiiltnis von Wissenschaft und Praxis in Aristate/es' NìkOmachischer Ethik, « Zeit­schrift fiir philosophische Forschung "• XIX (1965), 553-562; ID., Das sittliche Gute (als GlUckseligkeit) nach Aristoteles. Formale Bestimmung und met.aphysische Voraussetzung, " Philosophisches Jahrbuch , , LXXXII (1 975), 31-53.

62 Miinchen-Salzburg, Pustet, 1971. 63 lvi, 17-18.

LA RINASClTA DELLA FlLOSOFlA PRATlCA lN GERMANlA 35

taetico che analizza la struttura e la scientificità dei lin­guagg� e delle. teone etiche .. Il primo tipo di sapere dà gmdlZI. rnorah,. d secondo tipo analizza tali giudizi, il t�rz� tlpo anahz.za a sua volta tale analisi 64• Le ricerche d1 Hoffe sono. d1 questo terzo tipo, hanno cioè caratte­re rnetaetico, m quanto si pongono come fine un'inda­�me sul .senso,. sulla .struttura e sul metodo della filoso­fia pratica anstotehca. La domanda sistematica h regg� e �he lega t�a loro tali ricerche è come sia possfbi� le U'_l etica. fdos'.'f1ca m quanto scienza pratica, e ciò si­�mflca chJed�rsi (a) come sia possibile l'etica in quanto fdos?fla pratica e (b) come sia possibile la filosofia pra­tica m .quant� s�Jenz�. In altre parole, HOffe si chiede come s1a possibile un etica filosofica la quale sia, ad un tempo, SC!entJÙca e moralmente non neutrale Or _ cond H ·· ff A · 1 h

· a, se . '.' o . e, nstote. e a posto e risolto per primo

questi due mterrogatJVI nella loro connessione sistema­tica, dimostrando la possibilità di un'etica filosofica come scienza pratica. Questa possibilità sarebbe stata colta da Anstotele n_ella sua concezione della filosofia pr�t1ca come scienza tipologica (Grundrifl­Wzsse:zs�haft), la quale, essendo scienza del concreto deve hrnita�e l'arnbito del proprio intervento all'indivi: duazwne d1 tipi, d1 sch�rni e di lineamenti fondamenta­h, lasCiando ogm ultenore determinazione alla concre­ZIOne specifiCa �ella situazione. In base a tale concezio­ne, pertanto, . l etica deve determinare da un lato le strutture e gh scherni formali dell'agire morale e in quanw tale è scienza, dall'altro deve tenere conto della SJtuazwne p:rticolare, lasciando spazio all'attuazione · concret,a dell aglre morale come agire libero, e in quan­to tale e disc1plma pratica non neutrale". C?n qu�sta sua inte�pretazione della filosofia prati­ca a�Istotehca come scienza t1pologica Hoffe intende mediare e superare le quattro tendenze interpretative fondamentali che emergono nell'analisi dell'etica an-

64 lvi, 15. H lvi, 187-193.

Page 18: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

36 FRANCO VOLPI

stotelica: (a) l'interpretazione teoreticista (]. Walter, E. Frank), secondo la quale sapere pratico e sapere eti­co sarebbero di natura diversa; mentre il sapere prati­co, cioè la phr6nesis, guida razionalmente l'agire senza filosofare su tale agire morale (cosi come il sapere poie­tico produce l'opera d'arte senza produrre una filosofia dell'arte), il sapere etico ha carattere teoretico, cioè ri­flette sulle azioni degli uomini; (b) l'interpretazione morale (G. Teichmiiller, R.A. Gauthier - J.Y. Joliv, W.F.R. Hardie), secondo la quale la phr6nesis è la fa­coltà sia del sapere morale, sia di quello etico; (c) l'in­terpretazione topi ca (A. Gran t, ]. Burnet, W. Hennis, G. Bien), secondo la quale la natura dell'oggetto col quale essi hanno rispettivamente a che fare distingue il sapere pratico da quello teoretico, demarcando cosi due tipi diversi di razionalità e di scienza, cui corri­spondono due diversi metodi: mentre il sapere teoreti­co segue il metodo apodittico, il sapere pratico segue invece quello topico-dialettico; l'interpretazione stati­stica (F. Susemihl, H. Kuhn, J.A. Stewart, O. Gigon, H.H. Joachim), secondo la quale ammettere che la fi­losofia pratica segua il metodo topico-dialettico signifi­ca negare ad essa il carattere di scienza, poiché Aristo­tele stesso nega esplicitamente alla dialettica topica tale carattere (cfr. ad esempio Metaph. IV 2, 1004 b 25), in quanto essa ha a che fare con le opinioni degli uomi­ni, e cioè con cose solamente verosimili; la filosofia pratica, invece, pur essendo limitata quanto alla preci­sione, è scienza; la minor precisione in essa ottenibile è relativa al fatto che le cose con cui essa ha a che fare sono solamente probabili; ora, a differenza della verisi­militudine, la probabilità può essere oggetto di scienza in virtù della " frequenza statistica » che in essa ricor­re. In altre parole, la filosofia pratica è limitata solo in relazione alla sua universalità, ma non in relazione alla sua certezza di sapere scientifico".

Vedendo delineato nell'etica aristotelica - in alter-

66 lvi, 22-31 .

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA I N GERMANIA 37 nativa a queste quattro tendenze interpretati ve - il mo­dello di una scienza tipologica che soddisfa in se sia l'istanza empirica che quella universale, Hoffe si apre altresi la possibilità di conciliare Aristotele e Kant, due classici, cioè, che nella tradizione tedesca vengono di solito considerati rispettivamente come il fondatore dell'etica empirico-descrittiva e dell'etica trascendenta­le-prescrittiva e che, di conseguenza, vengono contrap­posti l'uno all'altro. Cosi, a giudicare l'etica aristotelica dal punto di vista kantiano il momento della volontà risulta in essa ridotto a )lO minimo, cioè all' accettazio­ne o al rifiuto del fine da realizzare; d'altra parte, l'eti­ca kantiana considerata dal punto di vista aristotelico risulta insufficientemente determinata, in quanto essa è esclusivamente interessata all'obbligatorietà e al ca­rattere vincolante della legge morale e non si preoccu­pa .della concreta individuazione dei fini. Ora, Hoffe risolve questa contrapposizione in una complementari­tà, affermando che ai fini di una riabilitazione della fi­losofia pratica il modello aristotelico e quello kantiano sono da integrare l'uno con l'altro". Pertanto, la lettu­ra che egli propone dell'Etica nicomachea tende a in­terpretare la filosofia pratica aristotelica in modo tale che essa risulti conciliabile con la fondazione trascen­dentale kantiana dell'etica, cioè in modo tale da far ri­sultare che in essa vengano tenute presenti e risolte tan­to l'istanza pratico-empirica quanto quella uni­versale-trascendentale. Questa tendenza interpretativa emerge chiaramente dalle caratteristiche della scienza tipologica che HOffe vede relizzata nell'etica aristoteli­ca. Tale scienza fornisce infatti il modello di razionali­tà proprio del sapere pratico, il quale è in grado di of­frire schemi di orientamento universalemente validi e vincolanti, ma suscettibili, ad un tempo, di attuazioni diverse in corrispondenza della libertà dell'agire nelle molteplici situazioni concrete.

In tal modo, l'attualità della filosofia pratica aristo-

67 lvi, 41-42, 102, 125, 194.

Page 19: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

38 FRANCO VOLPI

telica - vista nella prospettiva di una sua complementa­rità con l'etica kantiana - consiste secondo Hoffe nel fatto che essa, individuando la specificità del sapere . pratico nonché il tipo di razionalità che gli è proprio, si colloca a metà tra un eccesso di ragione, in cui il com­portamento umano viene determinato unicamente a partire dall'istanza razionale, e la capitolazione della ragione, in cui la libertà dell'agire umano viene dichia­rata inconoscibile".

1 . 2 . La ripresa di Kant

Nonostante la tendenza manifestatasi in Hoffe a conciliare la posizione aristotelica e quella kantiana col considerarle come complementari, la contrapposizione tra Aristotele e Kant riemerge quale elemento determi­nante nell'attuale dibattito tedesco intorno alla rinasci­ta della filosofia pratica. La fondazione trascendentale kantiana dell'etica - la quale, come si è visto, segna di fatto la fme della tradizione aristotelica della filosofia · pratica - viene considerata come la prima fondazione razionale rigorosa dell'autonomia del sapere pratico ne1 confronti di quello teoretico e, ripresa nel dibattito attuale come modello di una scienza pratica normati­vo-prescrittiva, viene contrapposta alla concezione ari­stotelica, considerata invece come modello di una scienza pratica empirico-descrittiva.

Del resto, tale contrapposizione risale nelle sue ori­gini allo stesso Kant, e precisamente alla controversia da lui sostenuta con Christian Garve, il quale gli obiet­tava che la ragione pratica, in quanto autonoma for­male e rigorosa, non poteva essere praticament; effi­ciente e fondava questa sua obiezione su convinzioni aristoteliche". Kant rispondeva per esteso alle accuse

68 lvi, 1:96-197. 69 Ch. GARVE, Versuche Uber verschiedene GegenstCinde aus der

Mora!, der Literatur und dem gesellschaftlichen Leben Breslau Korn 1792-1802, i.p. I, 111-116. ' ' . '

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 39

. <( aristotelizzanti » mossegli da Gar�e nello scritto del 1793 Uber den Gemeinspruch: Das mag in der Theorie richtig sein, taugt a ber nicht fur di e Praxis70, rafforzan­do la propria convinzione che il momento empirico può rientrare in una fondazione dell'etica che intenda essere rigorosa. L'inconciliabilità delle due posizioni trovava un'ulteriore conferma nel fatto che di li a qual­che anno Garve ripeteva le sue obiezioni a Kant più o meno negli stessi termini nell'introduzione alla sua edi­zione dell'Etica nicomachea11, la cui prima parte, oc­cupata da un'ampia Darstellung der verschiedenen Maralsysteme von Aristate/es bis auf Kant (1-394 ), era in realtà dedicata per due terzi al confronto con la con­cezione kantiana dell'etica ( 183-3 84).

Subito dopo Hegel, con la cui filosofia del diritto la dissoluzione della filosofia pratica innescata da K.ant è da considerarsi compiuta72, la contrapposizione tra la concezione kantiana e la concezione aristotelica riap­pariva già in Adolf Trendelenburg, il quale, in un sag­gio dal titolo Der Widerstreit zwischen Aristate/es und Kant in der Ethik", respingeva il formalismo dell'etica kantiana e la determinazione meramente formale del volere, che, a suo avviso, doveva essere invece compre­so sulla base di una analisi delle condizioni concrete della realizzazione della felicità alla maniera di Aristo­tele. Questa riabilitazione della morale aristotelica da

70 - Edito da H. MAIER in I. KANT Gesammelte Schriften VIII Ber­lin, �eimer (de Gruyter), 1912-1923, 273�313 (trad. it. di G. SOLARi, So­pra_ t! �etto c_olr!une: « _Questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratt�a », m I. KANT, Scritti politici e di filosofia della storia e del dirit­to, Tonno, Utet, 1956, 237-281).

, . 7 1 Ch. GARVE, Die Ethik des Aristoteles, 2 Theile Breslau Korn 1798-1801.

.• ' ' • 12 Cfr: RITTER, Zur Grundlegung der praktischen Philosophie bei

Anstoteles ctt., 480, nonché le considerazioni conclusive in BIEN Die G�undlegung d�r. politischen Philosophie bei Aristate/es cit. (Tuttavi�, c'è cht.ha ten.tat<? dt mstaurare una connessione sistematica tra Hegel e la filo­s�fta l?ratlca t.n base a un'analisi della teorizzazione hegeliana della nozione di « nco�osctme_nto » _(cfr. �.SIEP, Anerkennung als Prinzip der prakti­schen Phtlosophze, Fretburg r. Br.-Miinchen, Alber, 1979).

7 3 In: Historische Beitriige zur Philosophie III: Vermischte Abhand­lurzgen, Berlin, Weber, 1867, 1 71-192.

Page 20: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

40 FRANCO VOLPI

parte di T rendelenburg suscitava la reazione di quello che era allora il campo avverso più consistente del neo aristotelismo di T rendelenburg, e cioè l'hegelismo, rappresentato nella fattispecie dalla scuola di Kuno Fi­scher. Un allievo di quest'ultimo, Julius W alter, assun­se le difese della posizione kantiana contro la tendenza aristotelizzante di Trendelenburg, il quale attribuiva alla ragione pratica una determinazione non solo for­male, ma anche empirica. Aderendo egli stesso a posi­zioni kantianeggianti, W alter si affannò a mostrare in un poderoso libello 74 che in Aristotele stesso esiste una distinzione ben precisa tra la phr6nesis, cioè il sapere pragmatico-empirico, e quel tipo di scienza che riflette su tale sapere e sull'agire da esso regolato. Questa in­terpretazione kantianeggiante di Aristotele induceva poi W alter a rilevare nell'Etica e nella Politica una serie di contraddizioni, in quanto in esse, per l'insufficiente determinazione dell'autonomia della ragione. pratica pura, si verificava una continua intersezione di princi­pio formale e di elementi empirico-reali. Tutto ciò non poteva significare per W alter nient'altro se non una conferma della sua convinzione di fondo, e cioè che la prima fondazione razionale rigorosa della filosofia pratica fosse quella kantiana. A buon diritto, pertanto, Gusta v T eichmiiller protestava di li a qualche anno contro lo zelo kantiano di Walter con una risposta piuttosto severa 7 5 , nella quale rimproverava a quest'ul­timo di avere distorto il concetto aristotelico di phr6-nesis, per avere voluto interpretarlo attraverso il filtro esegetico della ragione pratica kantiana.

Questa polemica, che va annoverata tra le contro­versie classiche nella storia della filosofia tedesca e che come tale è stata oggetto di attenzione e di studio", ha

7 4 Die Lehre von der Praktischen Vernunft in der griechischen Philo� sophie, Jena, Dufft, 1874.

7 5 Neue Studien zur Geschichte der Begriffe III: Die praktische Ver­nunft bei Aristate/es, Gotha, Perthes, 1 879.

7 � Ad esempio nell'ambito dei già ricordati lavori sulla" filosofia pra­tica aristotelica di O. Hòffe e G. Bien, ·ma anche in quello di studi mano-

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 41

contribuito in maniera decisiva a rendere pressoché ca­nonica la contrapposizione - già di per sé plausibile e facilmente evidenziabile sulla base dei testi - tra la con­cezione aristotelica di filosofia pratica e la fondazione trascendentale kantiana dell'etica. E significativo il fat­to che essa sia stata ripresa più volte anche nel nostro secolo, in particolare nella maggiore critica contempo­ranea alla morale kantiana, e cioè nel noto libro di Max Scheler Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori (1913-1916)".

Per questa lunga tradizione risalente allo stesso Kant e per ragioni immanenti all'attuale dibattito sulla riabilitazione della filosofia pratica, la ripresa del mo­dello kantiano appare dunque pressoché scontata di fronte al così consistente ricorso ad Aristotele fatto in tale dibattito. A promuovere una ripresa di Kant, dap­prima mediante una critica alla concezione aristotelica di filosofia pratica e successivamente in maniera sem­pre più sistematica, è stato innanzi tutto Manfred Rie­del, uno dei fautori più attivi della rinascita della filo­sofia pratica, del quale sono qui da ricordare in rela­zione alla critica di Aristotele e alla ripresa di Kant so­prattutto i lavori raccolti in Metaphysik und Metapoli­tik. Studien zu Aristate/es und zur politischen Sprache der neuzeitlichen Philosophie18• Ispirandosi critica­mente nel taglio complessivo di questi contributi, per un verso, all'analisi storica dei concetti introdotta dall'ermeneutica (Gadamer, Ritter) e alla tradizione degli storici di Heidelberg ( Conze, Koselleck) e, per l'altro, alla disciplina nota nel mondo anglosassone co­me politica/ philosophy, Riedel indaga il rapporto tra linguaggio e politica e tra politica e metafisica in Aristotele e nella filosofia politica moderna che si rifà grafici specifici come E. KRESS, Die aristotelische Lehre vom nus prakti­kos und die Polemik Walters und TeichmUllers, Bonn, Phil. Diss., 1921. •

77 Trad, it. parziale a cura di G. ALLINEY, Milano, Bocca, 1944 . ora l'edizione tedesca in Gesammelte Werke 2, Bern, Francke, 1966').

nuova traduzione di V. FILIPPONE THAULERO e G. CARONEL­è annunciata dagli editori Guida di Napoli.

7 8 Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1975.

Page 21: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

42 FRANCO VOLPI

alla tradizione della filosofia pratica aristotelica sia in direzione di una recezione e di un assenso, sia in quella di un confronto e di una contrapposizione critica. Egli intende offrire, cioè, i prolegomeni a una criti�a della ragione politica, la .quale viene a s�a volta conflgurat� come critica del lmguaggw poht1co e come anahs1 critico-filosofica di tipo storico e concettuale dei pre­supposti di contenuto e di valore nell'ambito della polì­tica. Per questo Riedel riprende i risultati di quelle ri­cerche che hanno messo in luce le ragioni dell'attuale · crisi delle scienze sociali in generale e delle scienze poli­tiche in particolare, tentando di recuperare col riferi­mento alla tradizione della filosofia pratica un quadro metodologico e concettuale organico in grado di far fronte a tale crisi. Tuttavia, a differenza di tali ricer­che Riedel assume un atteggiamento critico nei con­fro�ti della ripresa della tradizione della filosofia prati­ca come tale. Egli sottolinea, infatti, come lo scompa­rire e il dissolversi di tale tradizione in Germania sia conseguente allo scomparire e al dissolversi, in conse­guenza della critica di Kant, della metafisica nella sua forma generale (antologia) e nelle sue forme applicate (psicologia, cosmologia, teologia) e come l'attuale ri­presa della filosofia pratica in ambito tedesco tenga dietro a una ripresa dell'antologia, avvenuta soprattut­to con Scheler, Jaspers, Hartmann, Heidegger e con le relative scuole. Ora, Riedel intende mostrare appunto. come certi concetti metafisici vengano presupposti e rientrino nella comprensione dei concetti politici fon­damentali; pertanto, egli risale la tradizione della fil�­sofia pratica sino ad Aristotele, per correggere e enti­care, in un connubio metodologico di indagine storico­ermeneutica e tradizione analitica, la tendenza ancor oggi in atto a tradurre e a trasporre certi pre�upposti metafisici nella comprensione e nella cost1tuzwne de1 termini e dei concetti fondamentali della politica. Ado­perando poi la designazione " meta politica , per circo­scrivere questo suo ambito di indagine, egli non inten­de tanto definire la possibilità di una nuova disciplina,

43 LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA

quanto piuttosto richiamare l'attet;zione �ulla nec�ssità di una chiarificazione del hnguaggw e de1 concetti f�n­damentali della politica (Kliirung fundamentaler polztz­scher Be griffe) e di una giustificazione delle 1potes1 po­litiche fondamentali (Rechtfertigung fundamentaler politischer Annahmen). . . Pur essendo convinto che l' attuazwne d1 tale com­pito sia possibile solo mediante un continuo riferimen­to all'apparato filosofico-concettuale comato da An­stotele, Riedel ritiene imp�sstbile �ma npresa della filo­sofia pratica nella sua verswne anstotehca, osservando chè, semmai, è piuttosto la concez1?ne kanttana ad avere per noi valore di modello. A gmsttfKare quest� sue convinzioni egli enuclea · tre a pone fondamentali della filosofia pratica aristotelica, le. quali, a suo avvi­so rendono impraticabile una sua nabdttazwne. ' La prima aporia riguarda la distinzione aristotelica tra sapere teoretico e sapere pratico. Secondo Riedel, Aristotele confensce al sapere pratiCo una mmore pre­cisione e una minore dignità rispetto al sapere teoreti­co· infatti, mentre quest'ultimo ha a che fare con cose ne�essarie e ha come fine la verità, il sapere pratico, oc­cupandosi delle azioni degli uomini, le quali non sono necessarie bensi libere, non può conoscere d propno oggetto che in maniera approssimativa e ha �ome fine non tanto la verità, ma l'agire stesso. L'apona che ne segue può essere. così formulata: " Delle cose che sono mutevoli e non separate e che, pertanto, possono esse­re mutate mediante l'agire non c'è sapere metodiCa­mente certo· quelle cose, invece, che permettono un ta­le sapere ndn possono essere mutate per il loro stesso carattere ""· Secondo Riedel, quest'aporia avrebbe m­fluito negativamente sulla tradizio'.'e della filosofia pratica impedendo una determmazwne prec1sa della struttu;a e del metodo del sapere pratico. Con Hobbes

. si avrebbe poi una sorta di capovolgimento del princi-pio aristotelico, per cui noi potremmo conoscere con

19 lvi, 95-96.

Page 22: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

44 FRANCO VOLPI

certezza solo ciò di cui siamo artefici (ve rum et factum convertuntur). ·

La seconda aporia concerne il concetto di lavoro il qu�le, secondo Riedel, sarebbe stato determinato da Anstotele in maniera insufficiente. In particolare ciò che nmarrebbe da precisare è il rapporto tra lav�ro e a�wne, tra _ag1�e strumentale-produttivo e agire so­c!ale-comumcat!vo, tra poiesi e prassi. In Aristotele il concetto di poiesi, cioè il lavoro produttivo, rimarreb­be sottodeterminato rispetto alla prassi, all'interazione sociale, la quale rimane l'unico elemento determinante nella caratterizzazione della vita politica. Ciò avrebbe come conseguenza il fatto che nella tradizione occiden­tale accanto alla filosofia pratica non troverebbe svi­luppo una " filosofia poietica , ; questo vale almeno si­no agli albori dell'epoca contemporanea, cioè sino a Hegel, d 9uale �vrebbe risolto, secondo Riedel, questa apona anstotehca 80 •

La terza aporia è relativa all'insufficiente determi­nazione da parte di Aristotele della legittimazione del potere poht1co. Mentre infatti per il saggio ciò che è �oralmente bello e ciò che è giusto, cioè l'etico e il po­htico, cotnctdono e non è dunque necessaria nessuna �oercizione per attuare tale coincidenza, cioè per rea­lizzare 1l fme della vita politica, consistente nella buona convivenza, l'intervento di un potere coercitivo (bia) si rende mv��� necess::rio nel c�so dei molti (hai pollai), per 1 quah l mtegrazwne d1 etica e politica non è data di per sè. Per ,Riedel, in sostanza, la concezione politica di Anstotele e fondata sul presupposto della necessità di un potere coercitivo che funga ·da elemento. coesivo della comunità politica. L'aporia che ne deriva è la se­guente: " Se b _giustificazione normativa di un potere poht1co coerc1t1vo Sl basa sul fine del "buon" vivere ,

80 Sul confr�:mto d! Hegel con la filosofia pratica aristotelica cfr. del­lo st�sso RIEDEL t! saggto Objektiver Geist und praktische Philosophie in Studten zu H�gel� Recht.sphilosophie, Frankfurt A. M., Suhrkamp, 1969, 11-42 (trad. Jt. dt E. TOTA, Hegelfra tradizione e rivoluzione Bari La-terza, 1975, 5-33). ' '

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 45

cioè del vivere secondo felicità e secondo virtù, per co­loro che aderiscono a tale fine non c'è bisogno di alcun potere coercitivo. Se invece coloro che non perseguono tale fine devono essere costretti al buon vivere, allora l'uso della coercizione non può più essere giustificato normativamente >> 8 1 • Questa aporia, consistente in so­stanza in una insufficiente capacità di legittimare le istituzioni politiche, avrebbe gravato pesantemente su tutta la tradizione della filosofia pratica e sarebbe stata superata solo grazie alla moderna teoria contrattuali­stica. Kant avrebbe poi risolto definitivamente questa aporia aristotelica, costruendo una legittimazione della società borghese e del potere coercitivo dello stato me­diante una teoria normativa dell'obbligatorietà e della çoercitività del diritto, cioè mediante la moderna teoria dello stato costituzionale di diritto.

La maggiore riabilitazione del pensiero politico kantiano in ambito tedesco è da considerare tuttavia quella compiuta da Ernst Vollrath con la sua trattazio­ne Die Rekonstruktion der politischen Urteilskraft", anche se essa non è nata direttamente nel contesto del­la rinascita della filosofia pratica, ma è stata occasio­nata piuttosto da un'intensa frequentazione del pensie­ro di Hannah Arendt e dalla familiarità con la tradizio­ne liberale anglosassone. La tesi di fondo sostenuta da Vollrath è che l'ambito dell'agire umano - distinto in quanto prassi dalla poiesi e dalla teoria - non è stato sufficientemente indagato e compreso nella storia del pensiero occidentale, in quanto tale ambito è stato s�mpre interpretato, a cominciare da Aristotele, sulla base delle strutture categoriali, temporali e modali del sapere teoretico, prescindendo dal suo carattere speci-

81 RIEDEL, Metaphysik und Metapolitik ci t., 102-103. Per una di­scussione critica delle tre aporie sollevate da Riedel cfr. E. BER TI, Storicità e_ attualità della concezione aristotelica dello Stato, " Verifiche ''• VII (1978), 305-358. 82 Stuttgart, Klett, 1977. Le tesi qui sviluppate erano già state ab­

parzialmente dall'autore in Zum Begnff des Politischen bei Lenin, Henn, 1970.

Page 23: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

46 FRANCO VOLPI LA RINASCITA bELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 47

fico. Ora, secondo Vollrath, il sapere teoretico non è atte: a �on:prende�e la_ p_eculiarità dell'agire, cioè dell ambito m CUI si costitUisce la dimensione autenti­camente politica, perchè tale sapere ri( con)duce la li­bertà e le variegate possibilità dell'agire interpersonale a « .cause » e a « principi » , vale a dire ri( con)duce l'agire all'essere. La trasposizione della categorialità teoretlca nell'ambito dell'agire e la determinazione di tale categorialità come l'unica scientificamente contrassegnano s�condo Vollrath il pensiero politico o�cideT,Itale da Anstotele a Hobbes sino ai nostri gior­n_L T �h t�nde�lZe s��ebbero presenti anche nei tre prin­�Ipah mdi�IZZI og�� en:e.rgenti dalla discussione sul po­huco, e cwè nell mdmzzo ontologico-normativo in quello analitico-empirico e in quello critico-dialettico.

Contro questa tradizione Vollrath intende uncnrecil un'analisi del politico e del sapere ad esso relativo partire dalla categorialità e dalle strutture ·

specifiche di tale ambito. Egli sottolinea, pertanto, che d sapere poht1Co sogpace a un principio diverso rispet­to a quello del sapere teoretico e obbedisce a una mas­Sima che non è « oggettiva » , ma che è tuttavia vinco­l�nte � universale: Tale principio che è costitutivo per l ambito del politico e per il sapere ad esso relativo è chiamato da Vollrath « giudizio politico » (P<olil�isc:he· Urtedskraft). Per una determinazione più articolata piÙ p�ecisa di tale tipo di sapere viene fatto ricorso alcum momenti della tradizione del pensiero occiclenl­tale, da un'analisi dei quali sarebbe possibile ncav<ue. almeno alcune precisazioni in merito a una confiigura­zione di esso. Se è vero, infatti, che il pensiero oociden­tale dimostra un'occlusione di fondo nei confronti la specificità dell'interazione politica, per il fatto essa viene mterpretata a partire da quella che da stotele in poi, è riconosciuta come l'unica for,;,a di pere scientifico, e cioè il sapere teoretico-oggettivo, pur vero altresi che m tale tradizione di pensiero stono alcuni indizi cui una ricostruzione del gnwr:zw politico può e deve fare riferimento.

Un primo importante indizio cui riferirsi è reperibi­le in Aristotele, e precisamente nel fatto che in lui l'am­bito pratico-politico è caratterizzato da un proprio ti­po di sapere, la phr6nesis, la quale si distingue dalla teoria per il suo metodo topico-retorico-dialettico e ha nei confronti di essa una propria dignità e una propria verità (praktikè alétheta). La costruzione del giudizio politico rimane tuttavia in Aristotele precaria e parti­colare: sia (a) per il quadro categoriale, temporale, causale e modale in prevalenza pur sempre teoretico­oggettivo in cui essa viene attuata; sia (b) per la subor­dinazione dell'agire a una struttura teleologica deter­minata dalla preminenza della teoria; sia (c) per una in­sufficientè distinzione della prassi dalla poiesi, dell'agi­re interpersonale dall'agire strumentale-produttivo, talché le regole della phr6nesis sono in realtà regole so­lamente tecnico-pratiche; sia infine (d) per il fatto che l'<fmbito del politico non è costituito sulla base del suo sapere stesso, la phr6nesis, ma viene piuttosto demar­cato dall'esterno, in virtù di un sapere teoretico, da un nomoteta83•

Nonostante questo, la teoria aristotelica della . · phr6nesis rimane secondo Vollrath l'unico tentativo si­s���:���

i�

i.�- prima di Kant - di determinare la specificità

q · etico-pratico e politico-pratico. Altri indizi

presenza del giudizio politico possono essere in­ritrovati nel diritto romano, in pensatori come

�iccolò Machiavelli, Miche! de Montaigne, Giambat-Vico, Harrington, Edmund Burke, Alexis

Tncm1Pvi11P o nelle polemiche sul gusto del Seicento Settecento (Balthasar Gracian, Dominique Bou­Nicolas Boileau, Jean-Baptiste Dubos, Anthony Cooper of Shaftesbury); mai, però, tali indizi

sviluppati in maniera sistematica. La storia peJnsì<ero occidentale · è attraversata piuttosto da

che Vollrath chiama « la distruzione del giudi-

VOLLRATH, Die Rekonstruktion der politischen, Urteilskmft

Page 24: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

48

zio politico , , e cioè la ri( con)duzione di ogni sa�>enll pratico-politico alle forme e alle categorie del sar>enil teoretico come alle uniche forme di sapere scientifilcail mente valide. Tale distruzione del giudizio politico rebbe rigorizzata in epoca moderna da Hobbes e giungerebbe il suo culmine con Hegel e con Marx, quali si affermerebbe una concezione del politico, per cui l'ambito dell'interazione punnc@§ verrebbe colto e determinato a partire dell'uomo e non dal suo agire stesso.

Su questo corpo di considerazioni Vollrath int1es1:<11i!J la sua riabilitazione di Kant, nel cui pensiero egli già tracciata e sviluppata una « ricostruzione del gn1di.� zio politico , . L'opera in cui tale ricostruzione verre:bl be attuata è la Critica del giudizio. Secondo infatti, la determinazione del giudizio estetico giudizio riflettente in contrapposizione al giudizio retico come giudizio determinante si adatta perfettall mente a cogliere anche il giudizio politico nella sua cificità. In altre parole, la struttura del giudizio descritta da Kant sarebbe anche la struttura del zio politico. Se si definisce infatti il giudizio coltà di pensare il particolare come contenuto nPII',,nl'!li versale, nel caso del giudizio teoretico-oggettivo è l'universale (la regola, il principio, la legge) sotto assumere il particolare e si ha dunque un giudizio terminante, nel caso del giudizio estetico (e delgiu politico) è dato il particolare di cui si deve l'universale e allora il giudizio è riflettente"'. Il gHJUtZI\!1 politico che Vollrath intende ricostruire sulla una riabilitazione di Kant è giudizio riflettente e quanto tale non è oggettivo, non è determinato a re dalle categorie della teoria, ma possiede tntto�io proprio carattere vincolante e obbligatorio.

84 Cfr. L KANT, Kritik der Urteilskraft, edita da W. BAND in L KANT, Gesammelte Schriften V, Berlin, Reimer (de 1908, 179 (trad. it. diA. GARGIULO, riv. da V. VERRA, Critica dizio, Bari, Laterza, 1960, 19).

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 49

Ciò permette di comprendere l'agire a partire dalle proprie caratteristiche stesse, e cioè dalle sue quattro t;leterminazioni fondamentali che sono - parallelamen­te ai quattro principi kantiani secondo i quali i muta­menti degli oggetti vengono sottoposti a una legge e ri­condotti cosi all'unità dell'intelletto - la fatalità (in re­bus gestis atque gerendis datur fa tu m), l'accidentalità o contingenza (in rebus gestis atque gerendis datur ca­sus), la situatività (in rebus gestis atque gerendis datur hiatus) e la particolarità (in rebus gestis atque gerendis datur saltus). In base a queste quattro determinazioni fondamentali l'ambito politico si costituirebbe come ambito dell'agire umano libero, comune e pubblico". ,' L'importanza dell'analisi del politico a partire dalle categorie ad esso peculiari risulta in tutta la sua eviden­za se si considera, ad esempio, il diverso rapporto che intercorre tra universale e particolare rispettivamente nell'ambito teoretico-scientifico e nell'ambito politico­pratico: l'universale teoretico-scientifico, per essere ta­le, deve superare il proprio particolare, cioè le doxai . , m quanto queste sono come tali la negazione dell'uni-versalità , dell'oggettività e della scienza; l'universale politico, invece, si costituisce nei confronti del proprio particolare, cioè nei confronti delle diverse opinioni di coloro che partecipano alla comunità politica, come l'ambito in cui tutte le opinioni particolari vengono ri­spettate, cioè come l'ambito della libera convivenza . L'opinione politica si pone dunque nei confronti dell'ambito della convivenza degli uomini, cioè nei confronti dell'universale politico, in un rapporto diver­so rispetto a quello che intercorre tra la doxa e la scien­za, in cui l'una è contrapposta all'altra. Se l'intelletto (Verstand) e la ragione ( Vernunft) sono facoltà del sa­!'ere teoretico-oggettivo, esse non possono avere allora m �mbito politico che un'applicazione sussidiaria. Spe­c�f!ca e propria del politico è invece la facoltà del giudi­ZIO ( Urtezlskraft), la quale è in grado di costituire e di

85 • VOLLRATH, op. cit. , 64 sgg.

Page 25: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

50 FRANCO VOLPI

comprendere l'ambito dell'agire umano come ambito : della convivenza libera, comune e pubblica. Ora, l'as­

sociazione di uomini che agiscono liberamente, comu­nemente e pubblicamente è stata storicamente costitui­ta come repubblica. Vollrath giunge in tal modo, a conclusione della sua ricostruzione del giudizio politi­co sulla base del pensiero kantiano, a una giustificazio­ne del repubblicanesimo, da lui inteso tuttavia non tanto come la determinazione astratta dello stato di di­ritto, ma piuttosto come il fenomeno politico concreto dell'associazione e della convivenza di uomini che agi­scono liberamente, comunemente e pubblicamente, in cui l'unione stessa degli uomini e delle loro azioni di­venta costitutiva per la fondazione e la conservazione dell'ordine repubblicano. Preziosi elementi per una di­stinzione di questo concetto politico ,di repubblica dal concetto filosofico di repubblica possono essere ricava­ti secondo Vollrath dalla concezione romana di diritto"'.

La riabilitazione del pensiero kantiano, in partico-lare della teoria del giudizio riflettente, permette cosi a Vollrath, il quale si serve inoltre abilmente di molti al­tri elementi ricavati da Aristotele, dal diritto romano e da altri pensatori soprattutto del Seicento e del Sette­cento, di offrire una fondazione sistematica, autonoma e rigorosa del politico come ambito dell'agtre comune, pubblico e libero, nonché del sapere ad esso relativo. Il suo ambizioso programma di una ricostruzione del giudizio politico si presenta cosi come linea indicativa· per una soluzione dei problemi derivanti dalla dispoti­ca ipertrofia del sapere teoretico nei confronti del sape­re pratico e riguardanti non solo le scienze pratiche e, in particolare, le scienze politiche come tali, ma la mo­derna organizzazione della società e della convtvenza st�ssa degli uomini. Nell'individuare in distorsioni e in strozzature concettuali codificate e consolidate nel cor­so della tradizione occidentale l'origine di mali contem-

86 lvi, 75.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 51

poranei, Vollrath dimostra di perseguire rigorosamen­te il proprio intento di continuare l'opera di Hannah Arendt, cui egli dedica, del resto, la sua ricerca.

Oltre a tale riabilitazione proposta da Vollrath si è avut� �lt�esl in Germania una ripresa, meno integrale, ma pm dtffusa e generale, dell'interesse per la filosofia pratica kantiana in relazione alla diffusione dell'etica analitica. Pensiero kantiano ed etica analitica sono sta­ti c'?si oggetto di conf!onto, di connubio e di contrap­posiziOne. Un nome 1m portante in questo contesto è quello di Gunther Patzig, il quale è stato tra i primi in ambito ted�s�o a rece�ire l'etica analitica e a integrarla con la uadlZlone classtca. In numerosi saggi, i più im­portanti de1 quali sono stati raccolti nel volumetto Ethik ohne Metaphysik", egli ha messo in evidenza le lacune delle fondazioni classiche dell'etica (Platone Aristotele, Epicuro) e ha proposto come alternativ� una sintesi di pensiero etico kantiano e di utilitarismo88 affine a quella proposta in ambito anglossasone da W. K . Frankena. Alla luce di essa egli ha sciolto inoltre al­cuni nodi logici relativi alla formulazione di giudizi pratici nell'etica kantiana"'·

Orientati meno a un connubio, quanto piuttosto a un confronto critico tra la tradizione tedesca e quella anglosassone, m particolare attraverso un vaglio della fondazwne trascendentale kantiana dell'etica mediante gli strumenti concettuali messi a disposizione dalla filo­sofia analitica, sono invece altri studi, collocabili co­munque in questo contesto, di cui ricordo solo i princi­pali: Der naturalistische Fehlschlufl bei Kant di Karl­Heinz Ilting", in cui l'obiezione di una naturalistic fal­lacy, da G.E. Moore indirizzata alla volta dell'uti­litarismo, viene applicata a Kant, il quale, secondo Il-

87 G6ttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1971. 88 Nel saggio Di e BegrUndbarkeit moralischer Forderungen i vi con­te'nuto, 32-61. 89 Cfr. Die logischen Formen praktischer Séitze in Kants Ethik (iui 101-126).

,

90 In RIEDEL I, 113-130.

Page 26: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

52 FRANCO VOLPI

ting, ha sostituito la giustificazione delb validità nor­mativa della ragione con la d!Chwrazmne del fatto dell'imperativo categorico; Hypothetische Imperative di Konrad Cramer91 , dove la teana kantwna degh Im­perativi ipotetici viene analizzata in relazion� alla teo­ria dell'azione che in essa è presupposta; mfme Kants kategorischer Imperativ als Test unserer. sittlicher�; Pflichten di Norbert Hoerster", m cm s1 sostiene la tes1 che l'elevazione di una massima a legge umversale uene conto soltanto dell'incontraddittorietà della massima e non della qualità di essa. ·

Un'idea più precisa e articolata dell'integrazione e del confronto tra la filosofia pratica kantlana e l'etica analitica è fornita nell'ambito di una riabilitazione dell'etica trascendentale da Annemarie Pieper in Etica analitica e libertà pratica. Il problema dell'etica come scienza autonoma93, in cui viene ripercorso in via siste­matica lo sviluppo dell'etica da Kant all'indirizzo anali­tico dei nostri giorni. Attraverso un'analisi del ruolo delle scienze particolari nella comprensione dell'agire umano oggetto dell'etica, in p�rticolare attraverso un'analisi della psicoanalisi freudwna, della socmlog1a weberiana della filosofia della storia e della teologw (Th. Steinbuchel), la Pieper mostra come ognuna di queste discipline non costituisca che un'analisi parziale e, dunque, insufficiente dell'agire umano in quanm agire morale e come una comprensione complessiva d1 quest'ultimo sia possibile solo nell'a'!'bito del}'etica; Pur essendo integrata nel corpo della filosofia, l et1ca e concepita dalla Pieper come disciplina autonoma dota­ta di categorie proprie, le quali, a differenza delle cate­gorie del sapere teoretico che vertono sull'essere, ven-

9 1 lvi, 159-212. " In RIEDEL II, 455-475. 93 Trad. it. di L. PUSCI a cura di D. ANTISERI, Roma, Armando,

1976 (ed. orig. Sprachanalytische Ethik und praktische Freiheit. Das �ro­blem der Ethik als autonome Wissenschaft, Stuttgart-Berlin-Kòln-Mamz, Kohlhammer, 1973). Cfr. inoltre A. PIEPER, Analytische Ethik. Ein Uberblik Uber die seit 1900 in England und Amerika erschienene Ethik­Literatur, « PhilosophisChes Jahrbuch », LXXVIII (1971), 144-176,

LA RINASCJT A DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 53 go no invece applicate all'analisi del dover essere. I li­velli di riflessione cui le categorie pratiche vengono ri­ferite sono - secondo la distinzione analitica consueta -quello morale, quello etico e quello metaetico. Esisto­no poi diverse concezioni delle categorie etico­pratiche: la Pieper distingue una concezione ermeneutico-induttiva (diffusa soprattutto in ambito anglosassone) , una concezione analogico-dialogica (rappresentata in modi assai diversi da Platone, da Ari­stotele, dall'etica dialogica di F. Ebner, F. Rosenzweig, M. Buber, E, Griesebach e G. Marcel), una concezione trascendentale (Kant, Fichte) e una concezione meta e­tica. Il confronto avviene soprattutto con queste due ultime concezioni. Infatti, prese in esame le principali tendenze dell'etica analitica (Wittgenstein, Moore, Ayer, Hare, Ross, Noweii-Smith, Brandt, Stevenson, von Wright, Wellmann), la Pieper mette in rilievo le fondamentali aporie metodologiche che emergono da tale impostazione, denunciando soprattutto l'insuffi­ciente configurazione analitica dell'ambito dell'etica, la quale, come è noto, viene per lo più limitata all'analisi delle proposizioni morali, senza che venga spiegata la costituzione della moralità stessa. A risolvere queste aporie di fondo dell'etica analitica, secondo la Pieper, si presta molto bene una riabilitazione della teoria tra­�cendentale kantiana dell'etica. Kant, infatti, sarebbe stato il primo pensatore che ha offerto una fondazione razionale rigorosa del carattere morale dell'agire uma­no e una fondazione altrettanto rigorosa e razionale della possibilità di conoscere tale agire in relazione alla sua moralità mediante categorie pratiche. Kant avreb­be in sostanza fondato la possibilità del giudizio mora­le. L'operazione trascendentale kantiana sarebbe stata poi portata a termine da Fichte, col quale si avrebbe la legittimazione e la giustificazione di principio della co-. stituzione trascendendentale kantiana. La Pieper non dimentiCa tuttavia di rilevare che la riabilitazione della fondazione trascendentale dell'etica, se garantisce da

"" <d<.u la possibilità di concepire quest'ultima come

Page 27: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

54 FRANCO VOLPI

scienza autonoma e vincolante, le impone dall'altro un limite, e cioè l'impossibilità di assumere sotto una dete­minazione necessaria le condizioni empiriche della li­bertà e, quindi, la libertà pratica nella sua realizzazio­ne. Lo studio delle condizioni empiriche entro le quali la libertà pratica viene realizzata spetta invece a quelle scienze particolari dell'agire umano che si erano dimo­strate incapaci di cogliere di per sé la moralità dell'agi­re come fenomeno complessivo.

A conclusione di questo esame della ripresa di Kant nell'ambito più generale della riabilitazione della filo­sofia pratica è da ricordare, inoltre, che, come già nel caso della ripresa di Aristotele, la ripresa di un interes­se sistematico per la filosofia pratica kantiana ha dato luogo in Germania a una serie di studi specifici su di es­sa, di cui ricordo qui solo il più recente e il più impor­tante, e cioè la monografia di Friedrich Kaulbach sul concetto di agire in Kant94• Infine, è da rilevare che alla filosofia pratica kantiana si rifanno, a partire da posi­zioni teorico-sistematiche originali, alcune scuole e al­cuni pensatori di rilievo nella Germania d'oggi, come ad esempio Karl-Otto Ape! con la sua ermeneutica trascendentale" oppure Oswald Schwemmer nella sua prima esposizione del programma costrutti vista". Queste posizioni appartengono già alla fase teorico­sistematica e sono pertanto prese dettagliatamente in esame nel capitolo seguente.

2 . La fase teorico-sistematica

La ripresa di Aristotele e di Kant nel contesto della riabilitazione della filosofia pratica ha dato luogo in

94 Das Prinzip Handlung in der Philosophie Kants, Berlin-New York, de Gruyter, 1978.

9 � Tmnsfonnation der Philosophie, 2 Bde., Frankfurt a. M., Suhr­kamp, 1973 (trad. it. parziale di G. CARCHIA a cura di G. V ATTIMO, Comunità e comunicazione, Torino, Rosenberg & Sellier, 1977),

96 Philosophie der Pmxis. Versuch zur Grundlegung einer Lehre vom moralischen Argumentieren in Verbindung mit einer Interpretation

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 55 ambito filosofico a un interesse sempre più vasto e più articolato per I problemi della morale, della società e dello stato, intersecato da un vivace dibattito intorno alla legittimità o all'arbitrarietà delle pretese critico­normative avanzate dalla filosofia in merito a tali que­stwm pratiche. Questo rinnovato interesse e il relativo dib�ttito. metodolo!?ico sono stati sostenuti soprattutto nell ambito delle prtnCipah scuole filosofiche della Ger­mania d'oggi. Una posizione di rilievo spetta qui all'er­

. meneutlca (2 . 1 ) , accanto alla quale può essere ricorda­ta anche la fenomenologia, sia quella di ispirazione husserhana che quella di ispirazione heideggeriana (2.2) . Il momento centrale della fase teorico­sistematica è rappresentato però dalla controversia tra il razionalismo critico (2.3) e la teoria critica di Haber­mas (2.4), nella quale viene ripresa, nel contesto della discussione in merito ai problefl?i della filosofia prati­ca, la polemica sulla metodologw delle scienze sociali degli anni sessanta, nota come Positivismusstreit. In al­ternativa a queste due posizioni si pone poi il costrutti­vismo (2.5) , il quale propone una fondazione rigorosa­mente razwnale della fllosofia pratica in cui vengono raccolte e soddisfatte sia l'istanza scientista dei razio­nalisti critici, sia quella storico-dialettica di Habermas e della sua scuola. Emergono infine dal dibattito teorico-sistematic'? alCI�ne posizioni come quella di Karl-Otto Ape!, d1 Otfned Hoffe o di Manfred Riedel nelle quali viene tentata, sia pure in modi assai divers/ una integrazione di tradizione tedesca e tradizione an� glosassone (2.6) .

2.1 . L'ermeneutica

Il ruolo determinante che il caposcuola dell'erme­ne�tlca, Hans-Georg Gadamer, ha avuto nella riabili­della filosofia pratica aristotelica è già stato ri-'der praktischen Philosophie Kants, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1971. Cfr. c c.ovcco al § 2.5. .

Page 28: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

�··

56 FRANCO VOLPI

cordato. Le considerazioni svolte in quel contesto sono . state riprese da Gadamer in prospettiva si�tematica i': numerosi altri saggi miranti o alla preCisaziOne der compiti, della struttura e delle funzioni dell'ermeneuti­ca come filosofia pratica", oppure alla chranfrcazrone di alcuni concetti fondamentali della filosofia pratica stessa911•

Da un allievo di Gadamer, Riidìger Bubner, pro­viene poi uno degli interventi sistematici più rilevanti nel dibattito intorno alla filosofia pratica, e cwè rl vo­lume Sprache, Handlung, Vern�nft. Gru':dbegriffe praktischer Philosophie". Tale ncerca, artrcolata m una pars destruens e in una pars construens, sr prefrgge alcuni chiarimenti fondamentali in merito alla termi­nologia e all'apparato concettuale della filosofia prati� ca e della discussione ad essa limitrofa. Infatti, alcum concetti centrali in tale dibattito sono rimasti insoddì­sfacentemente chiariti e precisati, nonostante la loro fondamentalità. Esempio macroscopico è quello del concetto di azione, il quale non ha ancora trovato una chiarificazione filosofica sufficientemente adeguata nonostante la sua centralità nel dibattito sociologico da W e ber a Luhmann, nella teoria analitica dell'azione e nella riabilitazione della filosofia pratica stessa. Cosi, in sociologia il concetto di azione viene colto sempre mediante il rinvio al concetto di senso, ognora conce­pito secondo inflessìoni diverse, delle quali Bubn�r mette in luce, nella pars destruens del suo l�voro, le n­spettive insufficienze: in W e ber emergono 1 presuppo­sti della metodologia delle screnze dello spmto dr pro­venienza rickertiana; in Parsons la teoria funzionalista

n Cfr. ()ber die MOglichkeit einer philosophischen E_thik_ (1963 ), in Kleine Schriften I, Tiibingen, Mo�r, 196?, 179-191, �trad. tt. �� �- MAR­GIOTTA, Ermeneutica e metodtca umve_rsale, '!orma, M�nettl, 1 973, 145-164); Hermeneutik als praktische Phtlosophte (1 972), m RIEDEL l, 325·344. h J /' h v "t 9s Cfr. Was ist-Praxis? Die Bedingungen gesellsc a1t tc er ernunJ' • in Vernunft im Zeitalter der _Wissens_ch�ft, Fr_

ankfurt _a. M., Su�r�amp,

1976, 54-57; Theorie, Techmk, Praxts, m Kleme Schriften IV, Tubmgen, Moh,, 1 978, 173·195.

"" Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1976.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 57 poggia su un presupposto soggettivistico-volontari­stico; Luhmann riprende il modello di Parsons con la semplice introduzione di alcune varianti e integrazioni; in Schiitz, pm, è espressamente dichiarata l'assunzione del metodo fenomenologico; dal canto suo, nella sua critica a Luhmann, Habennas riprendè; per distinguere l'agire comunicativo dall'agire strumentale, il concetto di senso dell'ermeneutica; Touraine, infine, fa proprio il programma weberiano, ma ricade nell'ìndifferenzia­zione marxiana di prassi e poiesi. Analoghe deficienze nella determinazione del concetto di azione sì trovano pure nella filosofia analitica, nelle cui delucidazioni vengono impiegati i tre tipi fondamentali della spiega­zione teleologica ( col ricorso alle categorie mezzo-fine), della spiegazione causale (col ricorso alle categorie causa-effetto) e della spiegazione intenziona­le (col ricorso alle categorie fondamento-termine). Vi­zio comune di queste analisi del concetto di azione è di tematizzare tale concetto in prospettiva esclusivamente linguistica, tanto che ciò che rientra in esse quale og­getto d'indagine non è l'agire stesso, ma il discorso sull'agire. . . . Quale correttivo a tali insufficienze metodologiche Bubner propone nella pars construens delle sue ricer­che un richiamo alla distinzione aristotelica di logos e prassi, nonché di prassi e poiesi, di agire comunicativo

e agire produttivo. Alla luce di tale richiamo egli chia­rifica altresl alcuni momenti nodali della tradizione della filosofia pratica, come Kant e Marx. A proposito di .quest'ultimo, con un esplicito riferimento polemico ner confronti del consenso con cui Riedel saluta il con­cetto marxiano di lavoro come un progresso Bubner riprende l'obiezione di una insufficiente distin;ione tra la prassi come interazione sociale comunicativa e il la­voro come agire strumentale produttivo. Da ultimo, Bubner propone una teoria sistematica dell'azione su basi ermeneutiche, in cui egli indica acutamente i limiti e le possibilità della ragione pratica, senza restringere quest'ultima alla mera etica. Il punto cruciale in cui tali

Page 29: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

58 FRANCO VOLPI

limiti e tali possibilità possono essere chiaramente indi­viduati è il vincolo tra azione e ragione che emerge nell'intersezione di agire e linguaggio colta da Bubner nel ruolo delle « massime » . Individuando in queste ul­time il punto di incrocio tra linguaggio, azione e ragio­ne - di qui il titolo del volume -, Bubner mtende supe­rare le difficoltà cui le teorie comunicative (Habermas, scuola costruttivista) 100 vanno incontro nella determi­nazione del rapporto tra razionalità e prassi .concret�, senza per questo dover fare ricorst; a s?luzwm deci­sioniste'" . Bubner riconosce tuttavia 1 hm1t1 della ra­gione pratica, i quali consisterebbero nella sua f?rmali­tà: la ragione pratica deve sempre presupporre 1 conte­nuti della prassi concreta per poterli ordinare e orga­nizzare. Quest'ultima non rappresenterebbe nient'altro che la condizionatezza storica della ragione.

2.2. La fenomenologia

Accanto all'ermeneutica va ricordata la scuola fe­nomenologica, la quale, dopo un periodo di splendore raggiunto tra le due guerre, ha progressivamente perso d'importanza dopo la seconda guer:a mond;ale. In realtà pur rimanendo alquanto confmata nell ambito dell'a�cademia e senza mai raggiungere, per il suo stes­so carattere costitutivo, quella compattezza propria di altre scuole, la fenomenologia ha tuttavia trovato alcu­ni spazi nei quali collocarsi e nei quali incidere profi­cuamente.

N eli' ambito della filosofia pratica la fenomenolo­gia ha influito soprattutto grazie alla riscoperta del più

10" Vedi sotto ai §§ 2.4 e 2.5. '"' La più brillante difesa della posizione decisionista oggi in Germa�

nia è quella di H. LÙBBE, Theorie und Entscheidung. Studien z�m �rima� der praktischen Vernunft, Freiburg i. Br., Rombach,

. �97_1 . I� _ttahano st

veda l'articolo: Problemi della partecipazione alle dectstont poltttche, " Fe­nomenologia e società "• I (1978), 269-278. Di Liibbe cfr. anche la retro­spettiva storico-sistematica Politische Philosophie in Deutschland, Base!, Schwabe, 1963.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 59

considerevole tentativo di fondare la sociologia su basi filosofico-fenomenologiche, coniugando Husserl e W e ber, operato agli inizi degli anni trenta da Alfred Schiitz 102• La teoria fenomenologica dell'azione svilup­pata da Schiitz ha suscitato un nuovo interesse e ha trovato una discreta riabilitazione nell'ambito della di­scussione sulla metodologia delle scienze sociali negli anni sessanta, non da ultimo per l'alternativa che essa rappresenta - assieme al lavoro di un allievo di Schiitz, Thomas Luckmann, e di Peter Berger"' - nei confronti del funzionalismo sociologico di Talcott Parsons, ri­preso in Germania da Luhmann e criticato da Haber­mas.

In un quadro concettuale più ortodosso alla scuola fenomenologica e in direzione più specificatamente fi­losofica, un altro allievo di Husserl, Ludwig Landgre­be, ha fornito uno degli interventi più significativi di provenienza fenomenologica nel dibattito sulla riabili­tazione della filosofia pratica: Uber einige Grundfra­gen der Philosophie der Politik104• Facendo riferimento specifico alla posizione di Hennis, Landgrebe si dichia­ra concorde col programma generale di una ripresa della filosofia pratica aristotelica, soprattutto per il fat­to che il richiamo ad Aristotele permette la . chiarifica­zione rigorosa di concetti come quelli di prassi e di la­voro, in epoca moderna unilateralmente concepiti so­prattutto per l'influenza di Hegel e di Marx. Inoltre, nella riabilitazione della filosofia pratica viene messa in

. rilievo, secondo Landgrebe, quella funzione della ri-

102 Der sinnhafte A'ufbau der sozialen Welt, Wien, Springer, 1932 (,trad. it. La fenomenologia del mondo sociale, Bologna, il Mulino, 1975). Tale tentativo è stato perseguito, dopo la morte di Schiitz, da un suo allievo (cfr. A. SCHOTZ-Th. LUCKMANN, The structures of the life-world, London, Heinemann, 1974). Di Schiitz cfr. anche Collected Papers, 3 voU., The Hague, Nijhoff, 1962-1964-1966, e il carteggio con Parsons: A. SCHÙTZ-T. PARSONS, E in Briefwechsel, hrsg. von W. M. SPRONDEL, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1977. 103 P. BERGER - Th. LUCKMANN, The social contruction of reali­ty, Garden City, Doubleday, 1966 (trad. it. La realtà come costruzione so­ciale, Bologna, Il Mulino, 1969). 1 0 4 Ora in RIEDEL Il, 173-210.

Page 30: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

l' !. 60 FRANCO VOLPI

flessione filosofica da lui stesso rilevata nella sua filo­sofia fenomenologica della storia; egli afferma che la filosofia pratica è in ultima istanza filosofia della sto­ria, in quanto entrambe le discipline hanno per oggetto l'agire dell'uomo nella storia. Tuttavia, Landgrebe nl�­va i condizionamenti storici della filosofia prat1ca an­stotelica derivanti soprattutto dal fatto che tale disci­plina è c�struita in Aristotele su una base empirica, va­le a dire sulla realtà storica della polis greca; per Land­grebe, invece, il quale si attiene qui fedelmente all'inse­gnamento fenomenologico, una teoria rigorosa della prassi è possibile solo .su basi trascende�tah. Questo stesso atteggiamento dt consenso e d1 crttlca nel con­fronti della riabilitazione della filosofia pratica arista, telica è condiviso e difeso con intelligenza anche da Klaus H el d"'.

La discussione intorno ai problemi della filosofia pratica in ambito fenomenologico non è tuttavia limi­tata a questi autori e ai loro interventi. Essa è stata ri­presa e proseguita anche recentemente da diverse pr�­spettive, le quali, pur in una divergenza a volte appan­scente, si ispirano tutte alla fenomenologia 106• I proble­mi dell'agire e della prassi sociale stanno al centro so­prattutto del programma di un rinnovato dialog? tra la fenomenologia e il marxismo, promosso per mlZlatlva di Bernhard W aldenfels 1 ".

10' Cfr. La partecipazione politica come problema filosofico, " Feno­menologia e società "• l (1978), 235-268, e inoltre Stato politico e soc�età civile. Il loro rapporto in Hegel e nella critica marxiana, " Fenomenologia e società " • II (1979), 134-164.

106 Cfr. Phdnomenologie und Praxis, hrsg. von E.W. ORTH, (Phii­nomenologische Forschungen 3), Freiburg i. Br. - Miin�hen, Alber, 197?. Vedi inoltre G. BRAND, Entwurf einer Phiinomenologte des Handelns, m Handlungstheorien - interdisz{pliniir 2, hrsg. _von.H. LENI_<, Miinchen, Fink, 1978, 199-233, nonché dello stesso autore Welt, Geschtchte, Mythos und Politik Berlin-New York, de Gruyter, 1978, i. p. 95-137, 218-235.

'07 cfr. Phiinomenologie und Marxismus 2: Praktische Philosophie, h"g. von B. WALDENFELS, J.M. BROEKMAN, A. PAZANIN, Fca�k­furt a. M., Suhrkamp, 1977; Phiinomenologie und Marxismus 3: Sozwl­philosophie, hrsg. von B. WALDENFELS, J.M. BROEK�AN, A. P�ZA;­NIN, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1978. Di Waldenfels st veda pure l artt­colo Ethische und pragmatische Dimension der Praxis, in RIEDEL I, 375-· 393.

LA R!NASCIT A DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 61

· Sono da ricordare infine in questo contesto anche alcuni tentativi di arrivare alla filosofia pratica - o, quanto meno, a una chiarificazione dei suoi limiti e delle sue possibilità - attraverso Heidegger. La pratica­bilità di questa strada è stata s.ostenuta soprattutto da Reinhart Maurer108 ed è stata oggetto di discussione · _ anche per Otto Pòggeler nel proscritto alla seconda edizione del suo noto libello sul rapporto tra filosofia e politica in Heidegger'" . Il retroterra di tale correlazio­ne tra Heidegger e la filosofia pratica può essere indivi­duato in alcune fondazioni dell'etica su basi esistenzialistiche 1 1 0, nonché nel rilievo che la critica heideggeriana della tecnica ha assunto in questi ultimi annt.

2.3. Il razionalismo critico

Il maggior rappresentante del razionalismo critico in Germania è Hans Albert, il quale segue fedelmente Popper nella concezione generale della scuola. A diffe­renza di quest'ultimo, tuttavia, Albert ha tematizzato

· dal punto di vista critico-razionalista - rifacendosi a Max Weber e al dibattito sulla metodologia delle scienze sociali - i problemi della filosofia pratica in tut­ta l'ampiezza del loro spettro, assumendo per certi aspetti una funzione guida all'interno della scuola. La trattazione di tali problemi è stata affrontata da Albert soprattutto nel terzo capitolo " Conoscenza e decisio-

108 Cfr. Von Heidegger zur praktischen Philosophie, in RIEDEL I, 415-454, ora ripreso in Revolution und « Kehre ''· Studien zum Prob!em gesellschaftlicher Naturbeherrschung, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1975, 12-57.

1 09 Philosophie und Politik bei Heideggf!r, Freiburg i. Br.-Miinchen, Alber, 19742, 152-159. Su tale discussione cfr. le osservazioni critiche di A. SCHWAN, Martin Heidegger. Politik und praktische Philosophie, " Philo­sophisches Jahrbuch "• LXXXI (1974), 148-171. 1 1 ° Cfr. H. FAHRENBACH, Existenzphilosophie und Ethik, Frank­a, M.; XlosJ:ermann, 1970, i. p. 99-131; B. SITTER, Dasein und >>'''"!", Freiburg i. Br.-Miinchen, Alber, 1975.

Page 31: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

62 FRANCO VOLPI

ne » del trattato Per un razionalismo critico 1 1 ' , ora ri­preso assieme ad altri saggi nel volumetto Kritische Vernunft und menschliche Praxis"', ed è stata svilup­pata in maniera sistematica nel Traktat uber rationale Praxis 1 1 3•

Nei confronti del razionalismo critico ricorre molto spesso un pregiudizio - sorto non da ultimo per l'infeli­ce espressione " decisione irrazionale per la razionali­tà » usata da Popper ne La società aperta e i suoi nemi­ci - per cui si ritiene che in tale scuola venga negata tout court, con la semplice ripresa del principio webe­riano dell'avalutatività, la possibilità di una trattazione razionale dei problemi della filosofia pratica, in parti­colare dell'etica e della politica. E merito di Albert ave­re dimostrato come la negazione della possibilità di fondazioni ultime razionali in ambito pratico non si­gnifichi semplicemente negare la possibilità di discute­re razionalmente dei problemi della prassi' ". Albert ha più volte sottolineato come la negazione della possibili­tà di fondare in via definitiva norme e valori, quindi la negazione dell'immunità di ogni sistema di proposizio­ni etico-normative o politico-normative nei confronti della critica, non sia legata tanto al carattere peculiare dell'oggetto della filosofia pratica, ma corrisponda piuttosto alla fallibilità che secondo il razionalismo cri­tico caratterizza anche l'argomentazione teorico­scientifica, per la quale viene altresi negata nell'ambito di tale scuola la possibilità di fondazioni ultime.

Albert si richiama dunque a W e ber non - come da più parti si ritiene - per negare la possibilità di discutere razionalmente dei problemi della filosofia' pratica, ben-

1 1 1 Trad. it. di E . PICARDI, con una introd. di G.E. RUSCONI, Per un razionalismo critico, Bologna, Il Mulino, 1974 (ed. orig. Traktat Uber kritische Vernunjt, Tiibingen, Mohr, 1968, 1975l),

1 1 1 Stuttgart, Reclam, 1977. '0 Tiibingen, Mohr, 1978. 1 1 4 Tale merito gli è riconosciuto dallo stesso Habermas (cfr. Legiti�

mationsprob!eme im Spiitkapitalismus, Frankfurt a, M., Suhrkamp, 1973, 145, trad. it. di G. BACKHAUS, La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Bari, Laterza, 1975).

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 63

si per tracciare i limiti di tale discussione razionale. Egli ha osservato come il principio dell'avalutatività abbia una funzione metodico-normativa e come, in quanto tale, esso non abbia una validità assoluta e illi­mitata, ma valga semplicemente come principio rego­lativo del conoscere scientifico. Una precisazione circa l'ambito di validità di tale principio può venir ricavata osservando la distinzione tra i diversi piani in cui il lin­guaggio e la ricerca sociologica si articolano: (a) il pia­no degli oggetti sui quali le proposizioni sociologiche vertono, (b) il piano del linguaggio-oggetto, cioè il pia­no delle proposizioni socio logiche stesse, (c) il piano del metalinguaggio, cioè il piano delle affermazioni metodologiche sulla sociologia. La determinazione dell'ambito di validità del principio dell'avalutatività deve allora chiarire: (a) se norme e valutazioni possano essere oggetto di indagine sociologica, (b) se la sociolo­gia stessa possa esprimere giudizi di valore ed essere quindi scienza normativa, (c) quali siano le basi, il re­troterra e i condizionamenti di valore che stanno dietro a tale scienza. Ora, secondo Albert, se è chiaro che la sociologia può avere come oggetto d'indagine valuta­zioni, giudizi di valore e norme, è altrettanto chiaro 'che le proposizioni in cui i contenuti del suo sapere vengono espressi non possono essere né valutazioni né giudizi di valore né norme, ma solo analisi descrittive scientificamente e razionalmente controllabili, quindi avalutative. Quanto poi al punto (c), Albert non ha. difficoltà ad ammettere che la sociologia ha dietro di sé una base e un retroterra di valori, cioè un fondamento normativa, nonché dei condizionamenti sociali. Quel­lo che egli nega risolutamente è che tali elementi valu­tativi rientrino nel livello (b), cioè vengano ammessi quali elementi costitutivi delle proposizioni della scien­za sociologica stessa. Se cosi fosse, la sociologia perde­rebbe il proprio statuto di scienza. Albert intende sot­tolineare con questo che l'accettazione dell'avalutativi­tà quale principio del conoscere scientifico non signifi­ca sottrarre la sociologia in quanto scienza alla critica

Page 32: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

l ,i · !

64 FRANCO VOLPI

in merito ai suoi condizionamenti sociali e agli interessi che la sostengono, ma significa semplicemente distin­guere l'ambito in cui tale critica è possibile e, anzi, ne­cessaria dall'ambito della validità scientifica delle pro­posizioni sociologiche stesse. Solo cosi è possibile, se­condo Albert, salvaguardare la possibilità di un discor­so scientifico e razionale, indipendentemente dal fatto che esso sia una analisi dell'agire sociale o una critica di tale analisi. Per queste ragioni Albert non ha difficoltà ad ammettere la possibilità di discutere razionalmente norme e valori.

Tuttavia, ammettere la possibilità di una discussio­ne razionale di norme e valori non significa ancora am­mettere la possibilità di dare loro un fondamento ra­zionale. La discussione razionale, infatti, chiarisce le posizioni e il contesto nel quale le decisioni in merito a norme e valori vengono colte, ma esaurisce l'ambito delle proprie possibilità col mettere in evidenza la con­sistenza dei diversi punti di vista. Essa non può fonda­re sufficientemente la decisione per l'una o l'altra posi­zione. Gli assiomi di valore possono essere discussi ra­zionalmente, ma in ultima istanza essi sono oggetto di una decisione che non può scaturire secondo una de­terminazione sufficiente dalla conoscenza scientifico­razionale. Non perché essi riguardino norme prancne, cioè un ambito del tutto particolare, ma tale la struttura del conoscere scientifico in generale, nel quale le decisioni svolgono un ruolo determinante. Se­condo Albert, ad esempio, avrebbe un carattere deci­sionale la stessa accettazione del principio di non con­traddizione, cui è necessario ricorrere per poter argo­mentare razionalmente. In modo analogo, chi intende giustificare razionalmente valori e giudizi normativi senza regressus in infinitum deve ricorrere necessaria­mente ad assiomi ultimi, accettati come postulati. differenza di Weber, Albert ritiene tuttavia o�•pc>rt1una la discussione razionale di questi assiomi. na della prassi razionale orientata sul modello del nalismo critico, infatti, non deve separare ragicme

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 65 teoretico-scientifica e ragione pratica. Essa deve piut­tosto attivare quell'uso critico della ragione praticato anche nella scienza, il quale dà origine a un atteggia­mento raztonale consistente in un fallibilismo tanto scientifico quanto pratico. Tale uso critico della ragio­ne permette inoltre di stabilire dei principi-ponte in grado di colmare la discrepanza tra conoscenza e deci­sione, tra fatti e valori, tra proposizioni asseverative e proposizioni normative. In ogni caso, l'unicità dell'uso critico della ragione tanto in ambito teorico-scientifico che in ambito etico-pratico o politico-pratico intende ristabilire la riflessione razionale nelle sue piene com­petenze, cioè non solo nella sua facoltà di conoscere la realtà, ma anche nella sua capacità di offrire una guida razionale alla prassi e all'agire. Il recente volume Trak­tat iiber rationale Praxis è interamente dedicato a di­mostrare - di fronte alla rinascita della filosofia prati­ca - la fecondità del punto di vista del razionalismo cri­tico per la soluzione dei problemi dell'etica, della poli­tica, del diritto, dell'economia e dello stato.

Si ispira fortemente al razionalismo critico, inte-grandolo con istanze provenienti da una recezione cri­tica del pragmatismo americano e della filosofia anali­tica anglosassone, il tentativo di Hans Lenk di rinnova­re una " filosofia pragmatica , con intenti pratici" 5• Tale sforzo è stato recentemente integrato dall'elabo­razione di una teoria sistematica complessiva dell'azio­ne, nella quale Lenk tiene presente - ora elaborandole, ora contrapponendovisi criticamente - le indicazioni

.. più importanti provenienti dalla filosofia e dalla socio­logia contemporanee' ' ' .

P1·agmatische Philosophie, Hamburg, Hoffman und Campe,

als lnterpretationskonstrukt. Entwwf einer Handlungsphilosophie e

unter RUckgriff auf · 2 cit., 297-350 e in Theorien sozialen Handelns,

4, hrsg. von H. LENK, Miinchen,

Page 33: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

66 FRANCO VOLPI

2 . 4. La teoria critica (Habermas)

Il maggior avversario del razionalismo critico in Germania è Jiirgen Habermas, il quale, dopo aver po­lemizzato con Albert nel Positivismusstreit in rappre­sentanza della Scuola di Francoforte, ha successiva­mente ripreso tale polemica anche nel contesto del di­battito intorno alla riabilitazione e ai problemi della fi­losofia pratica, assumendo tuttavia una configurazione sempre più autonoma rispetto a Horkheimer e ad Adorno. Come nel Positivismusstreit Habermas aveva affermato contro Albert la possibilità di una sociologia critico-normativa, cosi nel dibattito intorno alla filoso­fia pratica egli respinge il « deci�i�nis,mo » dei razior:a­listi critici, per affermare la possJbiilta d1 una fondaZio­ne razionale di norme e valori. In questo nuovo conte­sto e in un dibattito allargato anche alla teoria sistemi­ca di Luhmann, al costruttivismo di Lorenzen e Schwemmer, alla pragmatica trascendentale di Ape!, nonché alla teoria contrattualistica di Rawls, Haber­mas è venuto sviluppando in maniera sistematica una teoria critico-dialettica, del tutto autonoma rispetto al neomarxismo di Francoforte, la quale si presenta come teoria della competenza comunicativa o pragmatica universale. In questo nuovo quadro sistematico Haber­mas ha definito - a volte in contrapposizione polemica con i vari tentativi di riabilitare la filosofia pratica ari­stotelica - la struttura e le possibilità della ragione pra­tica nella fondazione di norme e di valori.

I primi contributi di Habermas alla discussione dei problemi della filosofia pratic_a risalgor:o tuttavia ·

to più indietro, e cioè a lavon gwvamh come DrJtt:rina politica classica e filosofia sociale moderna e Drwr."alci­smo, ragione, decisione. Teoria e prassi nella sor:ietà scientificizzata, contenuti nel noto libro Theorie Praxis"'. Nel primo di questi due saggi, sulla base

117 Neuwied-Berlin, Luchterhand; 1963, ed. tasc. Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1971, 48-88 e 307-335 (trad. ìt. diA. GAJANO, "''"'. P"'""" e teoria critica della società, Bologna, Il Mulino, 1973, 77-125 e 3

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 67 un'analisi delle differenze tra la dottrina politica classi­ca(in Aristotele e nella versione tomista della concezio­ne politica aristotelica) e la scienza sociale moderna (in Macbiavelli, Moro e Hobbes), Habermas individua quelle che a suo avviso sono le ragioni dell' obsolescen­za della concezione aristotelica della politica e della sua inadeguatezza all'analisi e alla comprensione del feno­meno moderno dello stato. Tali ragioni sono secondo Habermas (a) il fondamento etico della politica aristo­telica, (b) il fatto che essa sia costruita sulla prassi e non sulla poi esi, (c) il carattere non rigoroso della scienza politica in quanto scienza pratica. Contro la tradizione aristotelica si affermano con Hobbes criteri pressoché opposti: (a) l'esigenza di una scientificità ri­gorosa dell'indagine sociale, (b) il carattere tecnico­applicativo della trasposizione delle conoscenze scien­tifiche elaborate' dall'indagine sociale in prassi, (c) la separazione di etica e politica. Nel passaggio dalla con-. cezione classica a quella moderna la politica si trasfor­ma da scienza pratica in arte pragmatica e in tecnica

. per il dominio e l'organizzazione della società. Se da un · lato Habermas intende collocarsi nell'ambito della tra­dizione moderna inaugurata da Hobbes per far valere l'istanza di una scienza rigorosa della società, dall'altro

:·egli ritiene che la scienza sociale moderna soggiaccia in Hobbes a due antinomie rimaste insolute, e cioè (a) il · sacrificio dei contenuti liberali alla forma assolutistica del loro sanzionamento e (b) l'impotenza pratica del sapere tecnico-sociale. Tali antinomie potrebbero esse­

·re superate solo mediante una ricostruzione dell'istan­za fondamentale del sapere pratico classico, e cioè il

Jegamte con la prassi in virtù del metodo topico-:::�:���;�:r,�r,ii�abilitato in epoca moderna da Vico. In ;;: tuttavia, la dialettica assume una conno-.. t�tzicme retorico-letteraria che la pone in antitesi con .;riìst�m2:a scientifica moderna. Solo là dove essa viene /integ)Cat:a con tale istanza moderna, e cioè in Hegel, la :l"tatctu<ca diventa secondo Habermas strumento e me­odoJ:ig<Dr<>so di una scienza sociale critica, nella quale

Page 34: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

68 FRANCO VOLPI

vengono soddisfatte tanto l'istanza classica del collega­mento e della conformità con la prassi quanto l'istanza moderna di un sapere scientifico.

Questa fiducia nelle possibilità del metodo dialetti­co è stata ripresa da Habermas anche nel secondo dei saggi sopra citati, soprattutto per affermare contro il decisionismo da più parti sostenuto, nel quale le norme vengono fatte dipendere in ultima istanza da decisioni, la possibilità di un collegamento razionale fra fatti e valori, tra asserzioni e valutazioni, tra teoria e prassi.

In relazione a questo insieme di problemi, nei quali si vede già configurata in alcuni suoi tratti la tematica della filosofia pratica, Habermas ha sviluppato tutta una serie di studi sulla Logica delle scienze sociali 1 1 8 , nei quali egli ha formulato la strategia concettuale di una sociologia normativa dagli intenti pratici, soste­nendo - soprattutto contro il razionalismo critico -possibilità di un'impostazione cognitiva e nonrtativa del problema della ragione pratica. Facendo r. t·t enm<:n­to alla ripresa di Weber da parte del razionalismo co, Habermas ha sottolineato l'ovvietà, da un punto vista epistemologico, del principio dell'avalutatività ha precisato che, di conseguenza, la sua critica è ta solamente contro l'uso " politico » di tale pr·mc:tpto, mirante a limitare le possibilità critiche gia.

Già nell'ambito di lavori di carattere orev,alent•e'' mente sociologico Habermas ha introdotto alcune cisazioni terminologiche preliminari a una teoria rale del sapere pratico, come ad esempio la toirrO:amen­tale distinzione tra lavoro e interazione, fatta già saggio che apre il volume Technik und Wissenscha) als " Ideologie » ' ". Con lavoro è inteso qui l'agire zionalmente diretto alla realizzazione di un fine,

1 1a Trad. it. di G. BONAZZI a cura di E. MELANDRI, H�;:��:��;; Mulino, 1970 (ed. orig. Zur Logik der Sozialwissenschaften, "" Mohr, 1967, ed. tasc. Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1973).

1 '9 Frankfurt a, M., Suhrkamp, 1968 (il saggio Lavoro e inte>-mtiot" stato tradotto a cura di M. G. MERIGGI, Milano, Feltrinelli, 1975).

RINASCITA DELLA HLOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 69

l'agire strumentale e la scelta razionale stessa che ad es­so si accompagna, ovvero la combinazione di entram­bi; l'agire strumentale si orienta su regole tecniche ba­sate sul sapere empirico, mentre la scelta razionale si orienta su strategie basate sul sapere analitico. Con in­terazione è inteso invece l'agire comunicativo, cioè l'agire interazionale mediato simbolicamente e orienta­to su norme che vigono come vincoli dell'agire stesso, definendo le reciproche aspettative di comportamento. E, evidente come in tale distinzione rientrino elementi della distinzione aristotelica di poiesi e prassi, recepita da Habermas attraverso i lavori della Arendt e di Gadamer' ", nonché della distinzione hegeliana di la­voro (Arbeit) e moralità (Sittlichkeit).

· Se originariamente l'introduzione della distinzione di lavoro e interazione è servita a Habermas per risol­vere le aporie cui il concetto marxiano di prassi - ridut­tivo nei confronti dell'interazione sociale per la pre­ponderanza in esso delle determinazioni del lavoro produttivo'" - dà origine in sociologia, impedendo qna fondazione di tale scienza su basi marxiste, in real­tà tale introduzione ha segnato per Habermas una svolta, nella misura in cui essa lo ha spinto a lasciare da l'ulteriore analisi del momento tecnico­:pn>dtJttiiVO dell'agire e la dimensione dell'economia po­

per dedicarsi invece all'indagine dettagliata del ccJnc:ett:o di interazione, colto al di fuori di ogni deter­

, .• _:_ .• :minazicme tecnico-produttiva come agire comunicati­come comunicazione intersoggettiva di senso. Ha-

1 2 ° Cfr. HABERMAS, Theorie und Praxis cit., 84. 121 « �arx ha cercato di ricostruire il processo storico della formazio­

specte umana partendo dalle leggi della riproduzione della vita so-delle trasformazioni del sistema del lavoro sociale lo indi vi­

contraddizione fra l'accumulazione delle capacità di controllare i naturali e il quadro i.s�ituzionale delle interazioni regolate secondo Nella pr�fonda a�ahs� contenuta ne!la prima parte dell'Ideologia

Marx pero non sptega tl rapporto fra mterazione e lavoro ma rido­all'altro, riconducendo il comportamento comunicativ� a quello

rurr.encale. L'attività produttiva ( . . . ) diventa il paradigma per la produ­le categorie; tutto si annulla nel movimento autonomo della

;odc<zione » (HABERMAS, Lavoro e interazione cit., 46).

Page 35: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

70

bermas ha di conseguenza sviluppato, in un u"J'"-"'v con la teoria sistemica di Luhmann"', col costrutl:ivii-. smo di Lorenzen e Schwemmer"' e con l'������t�:�:��· trascendentale di Ape!"', una teoria della comunicativa o pragmatica universale, la trassegna in maniera autonoma la sua 'l"""uauL>ue questi ultimi dieci anni - nei sempre più emancipandosi l'OJrigJina.ria aooa.rt<onE,n-• za alla Scuola di Francoforte.

La teoria della competenza comunicativa, nata contesto sociologico della controversia con Luhmann sviluppata sempre più in direzione di una teoria p lessi va della razionalità '", si presenta come wHu.aztu­ne e modello di un sapere argomentativo in grado garantire la connessione sistematica di ragione te<)r<oti­ca e ragione pratica. Mentre Luhmann dichiara esJ)f<OS­samente il suo distacco dal quadro categoriale " awL.<w naie e formula in termini funzionalistici una stemica che pretende di essere analisi complessiva società 1 2 6, Habermas riprende invece nella sua della competenza comunicativa la distinzione di e interazione e la sviluppa in maniera sistematica.

m Cfr. J. HABERMAS - N. LUHMANN, Theorie der G";d/.;ch,,fi oder Sozialtechnologie - Was leistet die Systemforschung?, ""nklurt M., Suhrkamp, 1971 (trad. it. di R. DI CORATO, Teoria della tecnologia sociale. Che cosa offre la ricerca del sistema sociale? Etas Kompass, 1973 ), Si vedano pure i successivi contributi a sione apparsi come « supplementi »: Theorie der Ge�eli'>ci•aft od,er S'oziai• technologie. Supplement 1-3, Frankfurt a. M., Suhrkamp,

m Cfr. Zwei Bemerkungen zum praktischen Diskurs, in struktion des Historischen Materialismus, Frankfurt a. JM��

-; ·�,;::�����mdel

1976, 338-346 (trad. it. a cura di F. CERUTTI, Per la n materialismo storico, Milano, Etas Kompass, 1979; il saggio qui non è tradotto nell'edizione italiana).

124 Cfr. il volume collettaneo Sprachpragmatik und Phi/o;;ophie hrsg. von K.-0. APEL, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1976, i. p. rm-rwolo Habermas Was heiflt Universalpragmatik?, 174-272.

1 2 1 Cfr. J. HABERMAS, Zur Logik des theoretischen und schen Diskurses, in RIEDEL II, 381-402. La versione integrale delll'articò era apparsa col titolo Wahrheitstheorien, in Wirklichkeit und Festschrift fiir W, SChulz, Pfullingen, Neske, 1973, 211-266.

126 Cfr. N. LUHMANN, Le teorie moderne del sistema come di analisi sociale complessiva, in HABERMAS-LUHMANN, società o tecnologia sociale cit., 1-66. Il distacco di Luhmann dalle

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 71

distingue due ambiti di oggetti (cose ed eventi; persone ed espressioni), nei confronti dei quali si costituiscono due tipi d'esperienza (sensoriale e comunicativa); nell'esperienza, poi, vengono rispettivamente utilizzati due tipi di linguaggio empirico (fisico e interazionale) e si esplicano due tipi di azione (lavoro e interazione). Per quanto riguarda il concetto di interazione, Haber­mas introduce un'ulteriore articolazione rispetto all'analisi di Tecnica e scienza come " ideologia ,, di­stinguendo l'interazione in agire comunicativo e di­scorso. In tal modo, il discorso viene inteso in una rela­ziòne essenziale con l'agire, per cui esso stesso assume il carattere di processo interattivo (atti discorsivi) o di guida di azioni (informazioni) . Nell'agire comunicati­v'o, inoltre, norme e valori vengono « adoperati » e

. presupposti, mentre nel discorso essi vengono sottopo­sti a vaglio critico. Ora, un consenso in merito alla va­.JJLUll·a di norme e valori è possibile solo mediante il rife­rìmento alle " condizioni ideali della situazione discor­siva ,, , le quali si rivelano altresi secondo Habermas come " condizioni di una ideale forma di vita , .

Una teoria della competenza comunicativa deve pei·laillu analizzare: (a) l'agire comunicativo, nel quale

norme vengono riconosciute e presupposte come pa­_;;orarnetri- di comportamento, senza essere ulteriormente <>,:ilis<:usse; (b) il discorso pratico, comprendente etica e >; rnel�aetica, p·oliltic:a e meta politica, in cui le regole nor­

vengono dialogicamente discusse in normatività, in modo che lo stesso .<·.�f�;����!��e:��� discorsivo venga consapevolmente te­

/ e fondato in un consenso razionale; (c) le > hrmnP morali, che vengono .giustificate col ricorso ar­g�::�:;��v� a norme etiche, le quali giustificano nel >� anche la correttezza dell'argomentazione;

szt:ua:ZI-'or.w discorsiva ideale, la quale viene esami-

Page 36: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

72

nata nella pragmatica universale in relazione alle dizioni della possibilità di un c�msenso autentiCO condizioni quasi-trascendentali del discorso. La

- matica universale, infatti, ope�a u.�a «. . . .

dei presupposti universali e inevitabili dei possibili cessi comunicativi » 127 • •

A partire dalla maturazione della teana della , petenza èomunicativa, in un confronto s�n:pre p tu vicinato con Ape!, con la scuola costruttlvista ':'• temente, anche con la teoria contrattualista d1 . Habermas ha pure avuto occasione d1 chi�rire Il porto in cui egli colloca queste sue. sulla tura e sulla logica del discorso pratico e . sociale in relazione alla rinascita in. Germama della Josofia pratica. A una relazione d1 Hem.us - uno maggiori fautori della ripresa della tradlZlone du"u'''

lica della filosofia pratica - al convegno di ( 1975) della Deutsche Vereinigung fiir Politlsche senschaft Habermas ha risposto con un mtervento, pubblicato in Per la ricostruzione dd

. storico"" nel quale egli illustra le ragmm per le sono da �itenere impraticabili le strade ne:m�n:e « neoaristotelismo » , emerso quale una più consistenti nel dibattito sulla filosofia . contrappom; l'istanza normativa avanzata. dai . . stotelici alle tendenze empmc1ste oggi dommanti m ciologia, dichiarando che l'intento �riti�o della teoria della competenza comumcat1va e quello grare normatività ed �mpiricità in una teana che ad un tempo, scientifica e cntica. ·

2 . 5. Il costruttivismo

Una posizione di preminenza nello .sforz'? per fondazione sistematica raziOnale della filosofia

m HABERMAS Was heiflt Universalpragmatik? cit., 198. 1 z 8 Trad. it. a c�ra di F. CERUTTI, Milano, Etas Kompass,

207-235 (per le indicazioni bibliografiche relative all'ed. ted. cfr.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 73

spetta senza dubbio al costruttivismo, scuola fondata negli anni sessanta da Pau! Lorenzen e da Wilhelm Kamlah "' e detta anche per la sua collocazione geo­grafica d'origine " Scuola di Erlangen " . Il programma della scuola è stato proseguito da Oswald Schwemmer, da F riedrich Kambartel e da Jiirgen MittelstraK

L'intento programmatico generale della scuola co­struttivista - la cui elaborazione è dovuta soprattutto a Paul Lorenzen 130, ma la cui esposizione più sistematica è nata dalla collaborazione di quest'ultimo con Oswald Schwemmer'" - prevede una costruzione razionale del­le condizioni dell'intervento dell'uomo nel mondo, cioè del discorso (Rede), dell'agire (Handeln) e del produrre

Questa « costruzione » , cioè analisi e · .. ·>.foiadaziiorie ad un tempo, viene proposta in un linguag­

scientifico detto ortolinguaggio, le cui regole e i cui · ....• concetti vengono introdotti mediante l'ausilio di un pa­

interno (che serve alla spiegazione dei """'""''''. mediante i quali viene costruito l'ortolinguag­

un linguaggio protreptico esterno (che intro­costruzione del paralinguaggio e dell'ortolin­

"'' l!ll:lg�(IUJ. In virtù di tale ortolinguaggio il sapere teore­e pratico cosi costruito può diventare oggetto di

) Ì!1s•egi1mmE:nto e, quindi, di apprendimento e può essere e sviluppato nelle singole discipline

base ad esso la scuola costruttivista si •.-·nn.nnP di analizzare e di fondare i concetti e le regole

razionale (logica) , le regole razionale (filosofia pratica) , nonché le regole

Per la comprensione dell'atteggiamento di Habermas nei confronti ei p•coblemi della filosofia pratica e della filosofia politica classica è di no­interesse anche la controversia da lui sostenuta con Robert Spae­(cfr. R. SPAEMANN, Zur Kritik de1· politischen Utopie, Stuttgart, 1977, i.p. 104-141). ��� W. KAMLAH - P. LORENZEN, Lngische Pmpàd('utik. Vm­

, d('S verni'o�ftii!.CII l<edr'IIS, M;lnnheim-Wien-ZGrich, Bibliographi­Institut, 1967. 00 Methodisches Denken, Frankfurt a, M., Suhrkamp, 1968, e

Wissenschaftstheorie, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1974, Logik, Ethik'und Wissenschaftstheorie, Mannheim­

'ie.n-Zfit·ich, Bibliographisches Institut, 1973, 1975•.

Page 37: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

74 FRANCO VOLPI

e i concetti delle scienze naturali e delle scienze sociali (teoria della scienza).

Per quanto concerne la filosofia pratica, cioè l'am­bito che qui interessa, il programma costruttivista - già esposto da Pau! Lorenzen in un testo originariamente apparso in inglese1 32 e incorporato poi nell'esposizione sistematica contenuta in Konstruktive Logik, Ethik und Wissenschaftstheorie"' di Pau! Lorenzen e Oswald Schwemmer - ha inciso in maniera particolare sul dibattito tedesco grazie all'intervento di Pau! Lo­renzen Szientismus versus Dialektik 13', nel quale la di­scussione intorno alla fondazione razionale del sapere pratico viene vista come il proseguimento della discus­sione sulla metodologia delle scienze sociali nota come Positivismussstreit. La contrapposizione tra scientisti e dialettici cbe caratterizzava quest'ultima controversia si ricostituisce altresi nel dibattito intorno ai limiti e al­le possibilità della ragione pratica: da un lato gli scien­tisti, i quali, seguendo Max Weber e il principio dell'avalutativita della scienza, riducono la ragione en­tro l'ambito del sapere scientifico-tecnico e respingono come irrazionale e non scientifica ogni fondazione di norme; dall'altro i dialettici, i quali, vedendo nella dia­lettica il metodo di una razionalità non semplicemente strumentale, bensi in grado di costituire l'unità di teo­ria e prassi, sostengono la possibilità di una giustifica­zione e di una fondazione razionale di norme, in base alle quali sarebbe tra l'altro possibile superare l'inevita­bile decisionismo cui gli scientisti devono ricorrere per spiegare il passaggio dalla teoria alla prassi.

112 Normative logics and ethics, Mannheim-Wien-ZUrich, Bibliogra­phisches Institut, 1969,

133 Cfr. nota 1 3 1 . 1 34 Pubblicato originalmente col titolo Das Problem des Szientismus

in Philosophie und Wissenschaft. 9 . Deutscher KongreR fiir Philosophie cit., 19-34, tale intervento è stato più volte ripubblicato col nuovo titolo Szientismus vasus Dialektik: in Hermeneutik und Dialektik. Festschrift fiir H.-G. Gadamer, hrsg. von R. BUBNER, K. CRAMER, R. WIEHL, Tii­bingen, Mohr, 1970, I, 52-72; in RIEDEL II, 335-351 ; in Praktische Philo­sophie und konstruktive Wissenschaftstheorie, hrsg. von F. KAMBAR­TEL, Frankfurt a. M., Suhrkarnp, 1974, 34-53.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA TN GERMANIA 7 5

Nell'affermare la possibilità di costruire razional­mente, dialogicamente e consensualmente le regole dell'agire, il costruttivismo si è posto dalla parte dei dialettici, anche se tale convinzione comune non can­cella in realtà le profonde differenze tra le due scuole"'. Il costruttivismo, del resto, si intende come superamento sia della « posizione » scientista, sia della « posizione » dialettica, nella misura in cui in esso vie­ne affermata la possibilità di una " costruzione , 136 ra­

. zionale della filosofia pratica che realizzi tanto l'istanza di scientificità avanzata dagli scientisti, quanto l'istan­za della congruenza con le determinazioni storico­sociali avanzata dai dialettici.

In analogia con la tripartizione tradizionale la scuola costruttivista concepisce la filosofia pratica co­me " nome comune per l'etica, la filosofia del diritto e la filosofia politica » 1 37, cui fine è l'analisi, la costruzio­ne e la fondazione razionale di tali ambiti di sapere. Si tratta qui, cioè, di una filosofia pratica pura. L'etica, ad esempio, non viene concepita né come teoria del buon vivere e del sapere ad esso relativo (Aristotele) , né come fondazione trascendentale della moralità (Kant) , ma - sulla base del presupposto di un interesse comune alla soluzione argomentativo-razionale dei conflitti e, quindi, alla vita pacifica - come analisi, co­struzione e fondazione razionale delle regole che per­mettono tale convivenza.

N eli' attuazione del compito di una fondazione ra- . zionale della filosofia pratica ha assunto una posizione di preminenza all'interno della scuola costruttivista Oswald Schwemmer, al quale si devono i lavori più ri-

1 35 Ciò è stato messo in luce da K.-H. ILTING, Anerkennung. Zur Rechtfe;tigung praktischer Siitze, ora in RIEDEL II, 353-368 (originaria­mente m Probleme der Ethik, hrsg. von G.-G. GRAU, Freiburg i. Br.-Miinchen, Alber, 1972, 83-107). Cfr. anche la critica di Habermas in Legitimationsprobleme im Spiitkapitalismus cit., 141 segg.

1 36 Vedi il programmatico titolo degli scritti in onore di Lorenzen Konstruktionen versus Positionen. Beitriige zur Diskussion um die Kon­struktive Wissenschaftstheorie, hrsg. von K. LORENZ, 2 Bde., Berlin­New York, de Gruyter, 1978.

'37 LORENZEN, Konstruktive Wissenschaftstheorie cit., 22.

Page 38: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

76 FRANCO VOLPI

levanti in questo campo: innanzitutto una for:da�ione della filosofia pratica su base costruttlvlsta m nfen­mento a Kant nel volume Philososophie der Praxis. V ersuch zur Grundlegung einer Lehre vom morali­schen Argumentieren in Verbindung mir einer Inter­pretation der praktischen Philosophie Kants' ' " ; poi il capitolo Ethik e il capitolo Theone des prakttschen Wissens in Konstruktive Logik, Ethtk und Wtssen­schaftstheorie, la cui seconda edizione ( 197 5) costitui­sce l'esposizione sistematica definitiva della concezwne costruttivista; quindi Theorie der ratzonalen Erkliirung"' e, infine, una serie di artic<;>li che temattz­zano la fondazione costruttivista della filosofia pratica da diversi punti di vista e che testimoniano gli sviluppi e l'evoluzione della concezione di Schwemmer"".

Poiché Philosophie der Praxis rappresenta sola­mente una prima versione della teoria .costruttivista, dd sapere pratico, preferisco segutre qm 1 cap1toh sull �ti­ca e sulla teoria del sapere pratico nella seconda edlZlo­ne di Konstruktive Logik, E thik und Wissenschafts­theorie: nell'etica viene trattato il problema della fon­dazione di azioni e di norme, senza riferimento alla specificità delle situazioni partic'?lari in cui esse debbo: no essere fondate- la situativita e le determmazwm concrete vengono invece tenute presenti nella teoria dd sapere pratico.

Schwemmer muove dalla considerazione

1 38 Frankfurt a, M., Suhrkamp, 1971. 1 39 Mtinchen, Beck, 1976. "" Cito qui i principali (tra parentesi, dopo il titolo, è indicato l'anno

di composizione, quando esso differisc� da quello �i pubblicazione): J.:fe­thode und Dialektik. V o1·schliige zu emer method1schen Rekonstruktwn Hegelscher Dialektik (1970), in RIEDEL I, 457-486 (in collaborazione con S. BLASCHE); Vernunft und Mora l. Versuch einer kritischen Rekonstruk­tion des kategorischen Imperativs bei Kant (1972), in Kant. Zur Deutung seiner ·'Theorie von Erkennen und Handeln, hrsg. von G. PRAUSS, KOln� Berlin, Kiepenheuer & Witsch, 1973, 255�273; Appell und Argumenta-· tion. Aufgaben und Grenzen einer praktischen Philosophie. Versuch einer Antwort auf die « Kritik der praktischen Philosophie . der Erlanger Schule », in P1·aktische Philosq_phie und konstruktive Wissenschaftstheorie cit. 148-211; Praktische Verhunft und NormbegrUndung. Grundproble­me 'beim Aufbau einer Theorie praktischer BegrUndungen, in Ethik im

77 LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA

fondazione di norme è necessaria là dove nascono delle difficoltà in merito alla realizzazione dei fini che le nor­me richiedono di realizzare. Tali difficoltà insorgono (a) per mancanza dei mezzi adatti ali� �ealizzazione dei fini cioè a causa dr sttuaztom dt defrc1enza (M angelst­tuatiol1en), (b) per l'inconciliabilità dei fini che si inten­dono perseguire, cioè a causa di situazioni conflittuali (Kon/liktsituationen), oppure (c) per framtend1ment1 linguistici. La teana costruttlvtsta presuppone una vo­lontà comune di superare argomentativamente queste difficoltà, cioè presuppone quale fine comune (a) il tro­vare dei mezzi adatti alla realizzazione dei fini posti, (b) il rendere conciliabili fra loro tali fini e (c) il chiari­mento dei fraintendimenti che derivano dal linguaggio adoperato. Il compito (c),, dato che le difficoltà debbo­no essere superate di<!logicamente e argomentativa­mente è condizione pet la realizzazione dei compiti (a) e (b). :La soluzione del compito (a), cioè il superamento delle situazioni di deficienza mediante l'approntamen­to dei mezzi necessari alla realizzazione dei fini, è affi­data al sapere tecnico. La soluzione del compito (b), cioè il superamento delle siwazioni conflittuali nella scelta dei fini, è affidata al sapere pratico. Soltanto questo secondo tipo di sapere è rilevante per l'etica, in quanto esso deve indicare il principio per la fondazwne di norme e valori in grado di superare le situazioni con­flittuali derivanti dalla preferenza di questo o di quel fi­ne cioè dalle diverse valutazioni ( Wertungen). E ovvio eh� tale principio riguarderà solo valutazioni " conflit­tualmente rilevanti , ( konfliktrelevant).

Kontext des Glaubens. Probleme - Grundsiitze - Methoden (1976), hrsg. von D. MIETH und F. COMPAGNONI, Freiburg i. Ue. - Freiburg i. Br. -Wien, Universitiitsverlag - Herder, 1978, 138-156; Praxi�, Methode,_ Ver­nunft. Schwierigkeiten der Moralbegriindung, <� Perspektlven der Philoso­phie ,, IV (1978), 233-25�; Praktische J3egrUf!dung, rationale R_ekon­struktion und methodische UberprUfung. Uber dze handlungstheoretlschen Grundiangen der Sozialwissenschaften, in Handlungstheorien - interdiszi­'pliniir 2 cit. . , 535-580; Verstehen als Meth[>de. VorUberlegungen zu einer Theorie der Handlungsdeutung, in Methodenpmbleme der Wis�enschaften vom gesellschaftlichen Handeln, hrsg. von J. MITTELSTRASS, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1979, 13-45.

Page 39: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

78 FRANCO VOLPI

Schwemmer chiama poi imperativi (Aufforderun­gen) quei comandi la cui esecuzione dà origine a un'azione, distinguendo tra imperativi afinali e impera­tivi finali, i quali provocano, rispettivamente, la sem­plice esecuzione di un'azione o la produzione di uno stato di cose mediante l'esecuzione di un'azione. Le si­tuazioni conflittuali nascono là dove vengono posti im­perativi diversi inconciliabili fra di loro. La soluzione argomentativa dei conflitti avviene innanzitutto me­diante la discussione razionale in via probativa di un imperativo che viene definito come proposta ( Vor­schlag). Se si giunge a un consenso in merito a una pro­posta, cioè se un imperativo viene accettato come co­mune, oppure se diversi imperativi vengono accettati come conciliabili, allora viene presa una decisione (Be­schluss) in merito all'esecuzione dell'azione comandata da tale imperativo comune o da tali imperativi tra di loro compatibili. La discussione razionale intorno alla decisione è detta consultazione (Beratung) e, in corri­spondenza della distinzione di sapere tecnico e sapere pratico, può essere tecnica o pratica, a seconda che ri­guardi i mezzi per l'esecuzione di un'azione oppure i fi­ni. Per quanto concerne le consultazioni tecniche, Schwemmer presuppone il facile conseguimento di un consenso, in quanto i criteri della consultazione tecni­ca coincidono con i criteri del sapere tecnico stesso. Ri­levanti per l'etica sono invece le consultazioni pratiche, in quanto in esse avviene il conseguimento di un con­senso razionale sulle norme.

In generale il raggiungimento del consenso raziona­le avviene (a) mediante l'unificazione e l'accordo in me­rito alla terminologia e al linguaggio usati, (b) median­te la formulazione di imperativi la cui obbligatorietà è estes.a a tutti i partecipanti alla discussione; cioè me­diante la generalizzazione ( Generalisierung) degli im­perativi, infine (c) mediante l'universalizzazione ( Uni­versalisierung) degli imperativi, cioè mediante l'esten­sione assoluta del loro carattere vincolante'" . Il princi­pio in virtù del quale la consultazione attraverso cui si

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 79 giunge al consenso razionale è condotta è detto princi­piO dt ragwne ( Vernunftprinzip).

Per quanto riguarda Ia consultazione pratica, oltre al momento argomentativo or ora descritto è necessa­rio il m�)!�ento ulteriore della fondazion� (Begriin­dung), cwe t1 momento della giustificazione razionale delle norme cui viene fatto ricorso per rendere ragione degh t�perattvt post!. Tale momento è raggiunto nelle seg�entt tre hst: (a)} esecu�ione di un'azione viene giu­stlftcata medtant� l mdtcazwne del fine per cui essa è compmta; (b) t1 fme stesso è giustificato mediante il ri­corso a una n_orma, a partire dalla quale è possibile de­durre m mamera vmcolante la posizione del fine; (c) le norme stesse vengono giustificate mediante il ricorso a supernorme rra loro conciliabili, corrispondenti alle norme usa.te per la posizione di fini inconciliabili e me­diante la sostituzione di tali norme con subno;me ad

. e�se corrispondenti, ma tra loro conciliabili. Il princi-piO che vtge per 1 momenti (a) e (b) è il principio prati­co dt ragwn':' (prakttsches Vernunftprinzip), definito come " prmc1p10 della transoggettività , in quanto es­so tmpone dt. trascendere la singola soggettività. (Schwemmer dtstmg':'e Ia transog�ettività come supe­ral!'�nto del punto dt vtsta sog�etttvo dall'intersogget­ttvtta c.ome cot;siderazwne det dtversi punti di vista so�g�Wvt . ) Per tl momento (c) vale invece il cosiddetto prmc1p10 morale (Moralprinzip)"'.

Il costruttivismo spiega così mediante un'etica nor­e<mattiva le regole e i principi per la fondazione di

azJturie, di un fine e di una norma. L'etica tiene con­tuttavia, solo della genesi normativa e non della ge-

Sc�4 1 Seguo qui �l p�rfezionamento terminologico-concettuale attuato

. wemmer nell articolo Praktische Vernun+t und No b ·· d t.p. 143-148.

J' rm egrun ung 142 Il principio' morale, così come Schwemmer lo introduce, è criticato

•:<.,��n1""'' da. un al

.tro_ esponen�e della s�uola costruttivista, e cioè da F.

, m Wte tst pra�ttsche Phtlo_sophie konstruktiv mOglich?

. . , _ _ , _ _ ) . e1_nes me�hodtschen Verstiindnisses prakti-DI_�kll!:,(;, m l rakt1schc Phd()sophw un d konstrukti/11' V?issenscha(ts­

Clt, , 9-33. Per la controversia interna alla scuola cfr. ivi, 225-24-0.

Page 40: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

80 FRANCO VOLPI

nesi effettiva dei sistemi di norme e deve, p�rtanto, es­sere integrata da una teoòa del sapere pr,atlco, la qua­le, mediante l'interpretaziOne della clVllta (Kulturde�­tung), cioè la costruzione della genesi . effettiva de1 s1: t mi. di norme"' e mediante la cntlca della Clvdta s e ' · ·

d ii ( Kulturkritik), cioè la valutazione cntlca � a gen�s1 effettiva in base alla genesi normativa, metta m relazw� ne dialettica fra di loro questi due momenti e open dr conseguenza la riforma della civiltà (Kulturrefo_rm): . Complessivamente la costru7;10ne della f1losofla pratica può essere cosi riassunta 1n quatt�o mome�t1: (a) la posizione del compito della fondaz.wne prat1�a�

l a dire l'elaborazione di metodi dwlogico-discorSIVI va e · fl' l' · d per il superamento delle situaziom con . 1ttua .'' atti a essere insegnati e appres1; (b) la co�truz1o?� d1 una ter­minologia ( ortolinguaggw) m cm s1a P?ss1bde formula­re i principi fondativi utili a t�le compito;. (c) ! elabora­zione di principi fondatiVI (p�mC!p!O.pratlco d1 rag1one e principio morale) in base m quah s1a poss1bde f?nda­re formalmente le norme; (d) l'elaborazione d1 cnten e di metodi per la fondazione materiale delle norme.

Questa teoria complessiva d1 un sapere pratico ra� zionalmente fondato - qui esposta nella verswne dt Schwemrrier - è stata oggetto di discussione e d1 vane elaborazioni all'interno della stessa scuola costruttivi­sta. Friedrich Kambartel, ad esempio, ha messo �n qu�­stione la formulazione schwemmenana del pnnc1p10 morale, sostenendo che esso non è tanto l� procedura della fondazione morale in generale, bens1 una deter­minata procedura dell'argome?tazione. razionalmente finalizzata che ha essa stessa btsogno d1 una fondaziO­ne morale e che, pertanto, non è in ,grado d1 formrla. Questa dialettica interna alla scuola e documentata nel

14J L'interpretazione della civiltà avviene mediante: (a� la �<?nstata:io: ne delle azioni di un· gruppo, (b) la generalizz�zione dt aztont n�

_modt dt

azione (c) l'interpretazione di tipi d'azione �edtante norme e (d) l �nterpre­tuion� di secondo grado, cioè la strutturaztone delle norme medtante su-pernorme� _

1 f · 1 · " Franldun .1. :VI., )uhrkamp, 1 974. Di Kambarte c r. mo tnc Theorie und BegrUndung, Frankfurt à. M., Suhrkamp, 1976.

tA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 81 volume a cura dello stesso Kambartel Praktische Philo­sophie und konstruktive Wissenschaftstheorie'44, nel quale è altresl esposta la polemica coi dialettici (Haber­mas e la sua scuola)"'.

Un'ulteriore conferma della sistematicità con cui il costruttivismo ha affrontato il compito di una fonda­zione razionale della filosofia pratica si è recentemente avuta con l'estensione dell'idea di una fondazione cognitivo-normativa - in conformità al programma della scuola secondo il quale la filosofia pratica non è da intendere solamente come etica, ma deve compren­dere anche le altre discipline pratiche - anche alle scien­ze dell'agire sociale come il diritto, la sociologia, la po­litica e l'economia. Il volume a cura di Jiirgen Mittel­straR M ethodenprobleme der Wissenschaften vom ,;e­sellschaftlichen Hande/n"' mostra in concreto come e in che senso i costruttivisti intendano attuare questo programma. Di fronte all'oscurità in cui ancora rimane il rapporto tra le scienze sociali caratterizzate da un'au­tocomprensione prevalentemente empirica e una teoria critica della società poggiante su elementi sostanzial­mente non empirici, bensi concettuali, nell'introduzio­ne a tale volume si afferma significativamente che il co­struttivismo si assume " il duplice compito che deriva da tale situazione, cioè l'analisi dei nessi di interazione sociale (sazia/e Wirkungszusammenhiinge) e l'elabora­zione di sistemi fondati di fini e di regole d'azione » "'. Altrettanto chiara è la coscienza dei problemi: " Le dif­ficoltà che si oppongono a una soluzione teoretica di questo duplice compito consistono attualmente soprat­tutto in una controversia metodologica ancora insolu­ta (da ultimo nella forma del cosiddetto Positivismus­

streit n·ella sociologia tedesca) e, in stretta relazione si­stematica con tale controversia, in un'oscurità di fondo a proposito del concetto di fondazione nella sua appli--,., lvi, 96-147 (M. LOOSER - R. LUSCHER - F. MACIEJEWSKI ­K. MENNE, Zur Kritik der praktischen Philosophie der Erlanger Schule).

14" Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1979. 147 lvi, 7.

Page 41: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

82 FRANCO VOLPI

cazione a norme e a regole d'azione. In questa. situazio­ne, una filosofia pratica che no? vuole essere m tesa so­lo in un senso ristretto come et1ca o come filosofia mo­rale è chiamata a dare il suo contributo metodolog!Co · per il superamento delle difficoltà emergenti. Face_ndo questo, essa ritorna ad un tempo alla sua fun;mne classica di essere fondamento delle scienze del! agtre

sociale » '"· Nell'attuazione concreta d1 questi mtentl programmatici sono da rilevare espressameme alcum momenti di notevole mteresse teonco, co�e 1! fruttuo­so colloquio con l'ermeneutica 149 o il tentat1v_o d1 neon­durre l'economia nel contesto della filosofia J?ra;��a, offrendole in tal modo un fondamento normat1vo .

2 . 6. Le integrazioni di tradizione tedesca e tradizione anglosassone

A partire dagli anni sessanta la tradizione di f>ensie­ro anglosassone, in pa�ticolare la filosofi� anaJit!ca del linguaggio, ha trovato m Germama una d1ffusmne � un consenso sempre maggiori. Dalla profonda recez�on_e di tale tradizione di pensiero è stato tocc�to anche 1! di­battito sulla riabilitazione della filosofw pratica, nel quale, tuttavia, a differenza di quanto è avvenuto nel campo dell'epistemol?gi:', la tendenza p�edommante non è quella di un' assim!lazmne pressoche_ mcondlZI�­nata bensf quella di un'integrazione delle 1stan�e d1 ��- . gore' e razionalità scientifica provenienti dalla filosofia analitica con elementi tipici della tradlZione filosofica tedesca non da ultimo per l'insoddisfacente quad�o metoddiogico offerto dall'etica analitica: L.'•.�semjJio più significativo di tale tendenza mtegrat1va e rappresentato dal connubio dell'utilitarismo e Josofia analitica col pensiero kantlano, d1 cm sono

, •• Jbid. . . ��9 T l'i, 1 t-296 ( « Pragm8tische Hermeneuttk und prakttsches

sen ,·) . . ' . h w· l •>o lvi, 297-454 ( « Okonomie und prakttsc es tssen » •

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 83

te ricordate sopra alcune fasi. Gli autori anglosassoni maggiormente discussi nell'ambito della filosofia prati­ca sono Hare, Rawls, Singer, Frankena, von Wright. Tra gli studi tedeschi più rilevanti per un'integrazione di tradizione tedesca e tradizione anglosassone sono da ricordare - oltre ai lavori già citati di Gùnther Patzig e di Annemarie Pieper'" - le ricerche di Norbert Hoester'", di Hans-Ulrich Hoche'"" e di Jngrid Craemer-Ruegenberg'". Anche Manfred Riedel, del quale sono stati esaminati in precedenza i contributi fi­lologici a una ricostruzione della tradizione della filo­sofia pratica, è andato approfondendo in direzione sempre più sistematica le proprie indagini sulla filoso­fia pratica, sondando la consistenza metodologica del connubio da lui proposto di tradizione ermeneutica e tradizione analitica 154•

Un'interessante integrazione di tradizione tedesca e tradizione anglosassone è rappresemata dalla pragma­tica trascendentale elaborata da Karl-Otto Ape!'" sulla base di una trasformazione del trascendentalismo kan­tiano, nella quale si dimostra come la struttura a priori della comunicazione possa fornire il fondamento di

. un'etica · intersoggettivamente valida. Secondo Ape!,

1 5 1 Cfr. sopra § 1 .2. ' ' ' Utilitaristt'sche Ethik und Verallgemeinerung, Freiburg i . Br.

-Miinchen, Alber, 19772• 1 5�" Elemente einer Anatomie der Verpflichtung. Versuch einer logi­

schen Grundlegung der Praktischen Philosophie (di prossima pubblicazio� ne). (Ho potuto esaminare questo testo nella versione xerocopiata [1977].)

1 53 Moralsprache und Moralitiit. Zu Thesen der sprachanalytischen Ethik. Diskussion, Kritik, Gegenmodell, Freiburg i. Br. - Miinchen, Alber, 1975.

154 Un primo frutto dello sviluppo sitematico che Riedel ha conferito alla propria ricerca è il trattato pubblicato in italiano Lineamenti di etica comunicativa, Padova, Liviana, 1980. Per una valutazione generale del contributo di Riedel alla riabilitazione della filosofia pratica nel contestodel dibattito filosofico tedesco di questi ultimi anni cfr. M. RIEDEL, Norm und We1·turteil, Stuttgart, Redam, 1979.

1 55 Transfarmation der Philosophie, 2 Bde., Frankfurt a. M. , Suhr-1973 (trad. it. parziale di G. CARCHIA a cura di G. V ATTIMO,

•---��';���·:i e comunicazione, Torino, Rosenberg & Sellier, 1978); Sprach­-:i--_, und Philosophie, hrsg. von I<.-0. APEL, Frankfurt a. M., Suhr-

1976.

Page 42: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

84 FRANCO VOLPI

ogni uomo non solo appartiene di fatto alla comunità reale di comunicazione rappresentata dal genere uma­no, ma possiede inoltre una competenza critica in rela­zione alla comunitiì ideale di comunicazione, in virtù della quale in ogni processo argomentativo e comuni­cativo vengono presupposti e valgono due principi re­golativi che .determinano le strategie d'azione: (a) in ogni àgire si tratta di assicurare la sopravvivenza del genere umano come comunità reale di comunicazione; (b) in ogni agire si tratta di realizzare nella comunità reale la comunità ideale di comunicazione. Su questa base Ape! mostra poi come nell'interazione argomenta­tiva e comunicativa determinate norme debbono sem­pre essere riconosciute e presupposte quale premessa pragmatico-trascendentale per la giustificazione, la le­gittimazione o la deduzione delle norme etiche, in mo­do tale che la struttura stessa a priori dell'argomenta­zione discorsiva, orientata sul modello della comunità ideale di comunicazione, viene vista come il possibile fondamento della validità intetsoggettiva delle norme etiche fondamentali o del principio base di un'etica norrnativa156 •

La pragmatica trascendentale di Ape! presenta nu­merose affinità con la pragmatica universale di Haber­mas. Come quest'ultimo, Ape! distingue la pragmatica empirica - come ad esempio la teoria chomskiana della competenza linguistica - dalla pragmatica trascenden­tale, cioè dalla teoria della competenza comunicativa, la quale soltanto sarebbe in grado di fondare su un pia­no intersoggettivo e universale la validità dei principi etici normativi. Mentre infatti la competenza linguisti­ca può essere relativizzata nella riflessione, la compe­tenza comunicativa, cioè il poter fare riferimento nell'interazione comunicativa reale alle regole della co­munità ideale di comunicazione, si rivela essere un fon­damento pragmatico-trascendentale insormontabile.

!H Cfr. K.-0. APEL, Das Apriori der Kommunikationsgemeinschaft und die Grundlagen der Ethik, in APEL, Transformation der Philosophie ci t., II, 358-435.

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 85

Ora, Ape! concepisce la fondazione ultima delle norme morali in termini di pragmatica trascendentale e vede nella pragmatica universale di Habermas la mediazio­ne e il passaggio dalla propria fondazione trascenden­tale alle cosiddette scienze sociali critico-ricostruttive. Col porre l'accento, contro Habermas, sul momento trascendentale, Ape! non intende mettere in dubbio che con la competenza comunicativa venga di fatto presupposta nell'interazione discorsiva la norma etica fondamentale - come Habermas sostiene -, ma vuole solamente rilevare come questo stato di cose, designa­bile come « il fatto della ragione , , non significhi anco­ra la fondazione definitiva della normatività dell'etica.

Ape!, come la fondazione della validità dell'imperativo categorico viene sostituita in Kant dalla spiegazione metafisica del fatto di tale imperativo, cosi in Habermas la fondazione della normatività viene so­stituita mediante il ricorso a un fatto, sociologico, al fatto, cioè, che nell'interazione discorsiva viene pre­supposta la norma etica fondamentale. In altre parole, mentre Habermas rinvia alla competenza comunicati­va come a una competenza discorsiva eticamente rile­

. yante, Ape! sottolinea invece come ogni partecipante ll'i1ntE:razicme discorsiva e comunicativa, nella misura

in cui il suo agire è sensato, deve avere necessariamente · · le norme di una situazione discorsiva cioè le norme della comunità ideale di comuni­

C����:d�c�o��m�e�t�p��ossibilità della realizzazione dei carat­

teri della comunicazione stessa, vale a di-comprensibilità ( V erstiindlichkeit) ," veracità ( W ahr­

haftigk eit) , verità ( Wa h rheit) ed e sattezza (Richtigkeit). Cosi, la validità di determinate regole etiche si rivela essere la condizione della possibilità del­

comunicazione e, nella misura in cui la competenza comumi·, :ativa viene . considerata come struttura tra­scendentale a priori, tali regole risultano fondate in quanto non sono negabili senza contraddizibne né so­

deducibili senza petitio principii. In altri termini, se la situazione argomentativa è insormontabile per

Page 43: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

FRANCO VOLPI

ogni soggetto di norme e se (b) la validità di determina­te �orme è condizione della possibilità di un'argomen­taziOne sensata, allora è possibile mostrare secondo Ape] che (c) ogni possibile soggetto di norme deve ave­re necessan�mente riconosciuto determinate noFme fonda.me':'t�h. In tal modo sarebbe possibile garantire la vahdlta mtersoggett!Va de1 prmcipi etici fondamen­tali. Merita�o infine rilievo nel contesto della recezione della tradlZlone anglosassone i lavori di Otfried Hòffe del quale è già stato esaminato il contributo a una ri: presa del mode�l,o aristotelico di filosofia pratica, svi­luppato,. come s. e visto, m base all'esigenza di integrare la tradlZl�:me anstotehca con la tradizione trascenden­tale kannana. In una serie di studi successivi recente­mente nelaborati e riuniti nel volume E thik �nd Poli­

ttk: Grundmodelle und -probleme der praktischen Phtlosophze'", Hoffe ha sviluppato in maniera siste­matica l'esigenza di vagliare - di fronte alla diffusione del nn�ovamento della filosofia pratica - la competen­z� cnt1co-normat1va della riflessione filosofica in rela­zwne m.problemi dell'agire etico, sociale e politico. A questo f1�� e�h ha n�o�mnto la struttura razionale dei modelli pm �IgmficatiVI d1 filosofia pratica, sia di quelli or�m das�ICI (Aristotele, Hobbes, Kant, Bentham, Mdl), Sia d1 quelli emt;r�I dal dibattito più recente (de­ctston theory, costruttiVIsmo, teoria critica) , concilian­do ed mtegrando con abilità la tradizione dassica e le IStanze moderne? la discussione anglosassone e quella tedesca. Il contnbuto sistematico più rilevante che in r questo senso, Hi:iffe ha fornito alla riabilitazione d�lla filosofia pratica è rappresentato dal trattato Strategien der Humamtat. Zur Ethik offentlicher Entscheidungs­pro_zesse'", nel quale egli prende le mosse dalla consta tazwne della Situazi�ne di stalla, caratteristica dell'epo­ca moderna, che SI e venuta a formare in seguito alla

::: Fra�kfur� a, -M. , Suhrkamp, 1979. Fre1burg 1. Br.-Miinchen, Alber, 1975.

LA RINASCITA DELLA FlLOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 87

separazione machiavelliana di etica e politica. Se, da un lato, tale rigorosa separazione di ambiti introdotta da Machiavelli sembra apportare un vantaggio meto­dologico rilevante per il progresso delle rispettive disci­pline (etica e politica) , essa ha come conseguenza, dall'altro, la divisione della filosofia pratica in una tec­nica politica e in una teoria della morale impermeabil­mente distinte fra di loro. Di conseguenza, le analisi nonnative di intenzioni morali perdono qualsiasi con­rtessione con la filosofia politica e la moralità, bandita dall'ambito del politico, viene ridotta alla sfera del pri­vato e dell'interiorità; altresi la politica, moralmente neutralizzata, si trova ad essere irrazionalmente fonda­ta sul residuo insoluto del potere-dominio (Machiavel-li) o dell'autoconservazione (Hobbes) . .JI

A partire, dunque, da questa constatazione della separazione moderna di etica e politica, Hi:iffe intende contribuire alla ricostruzione delle premesse necessarie per la realizzazione del collegamento tra questi due ambiti, indagando in particolare le condizioni necessa­rie per l'articolazione razionale della vita politica in si­tuazioni decisionali e nelle condizioni tipiche del conte­sto politico contemporaneo. Tre sono secondo Hi:iffe i fattori che caratterizzano la dinamica decisionale nell'ambito moderno del politico: razionalità, umanità e pluralismo. Razionalità, perché a differenza delle so­cietà precapitalistiche e paleocapitalistiche, in cui le forme della vita pubblica e politica sono fondate sull'etica del " costume , e della " tradizione », negli stati ad avanzato sviluppo industriale i momenti della vita politica e sociale perdono la capacità di legittimar­si in virtù di un collegamento con un conglomerato di costumi e di tradizioni, e vengono invece sottoposti all'istanza di controllo della pianificazione e della pre­visione razionale. Umanità, perché il controllo e la pia­nificazione razionali non costituiscono dei fini in sé; la razionalità che li permea e li sostiene è infatti una ra­Zionalità « ristretta )) ' strumentale, incapace di costi­tuire autonomamente dei fini. L'esplicazione di tale ra-

Page 44: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

88 FRANCO VOLPI

zionalità tecnico-scientifica, dunque, non è che un mezzo per la realizzazione del fine o, meglio, dei fini della vita sociale e politica. Questi ultimi possono esse-. re designati in base a quell'istanza tradizionalmente de­finita come « umanità » , la quale, se intesa generica­mente come principio regolativo formale, può ingloba­re le diverse rappresentazioni concrete del bene (felici­tà, benessere, emancipazione, giustizia ecc. ) . L'istanza di umanità funge cosi da istanza di controllo della ra­zionalità tecnico-strumentale, cui essa, pertanto, viene preposta di diritto. Pluralismo, perché fini e mezzi per la realizzazione dei fini sono tutt'altro che oggetto uni­voco e universale di riconoscimento da parte di tutti; la stessa idea di umanità è ben lontana dall'essere ricono­sciuta valida nei suoi contenuti all'unanimità, valendo universalmente, semmai, solo come istanza regolativa. Il pluralismo, tuttavia, che caratterizza sia la diversità degli interessi materiali, sia la molteplicità delle rap­presentazioni dei fini, sia infine la varietà dei mezzi ri­tenuti opportuni per la realizzazione dei fini prescelti, costituisce l'istanza ragionevole sulla cui base è possibi­le la formazione di un consenso in situazioni decisiona­li politiche.

Nello spazio che l'articolazione e l'intersezione re­ciproca di queste tre istanze demarcano, HOffe ricava le condizioni della normatività politica, individuando la struttura di quei processi decisionali riconducibili al­la denominazione di << strategie di umanità » , con cUi non sono da intendere strategie di legittimazione, di giustificazione o di fondazione, bensi strategie di deci­sione e di applicazione di principi umani. A differenza delle teorie della decisione razionale, Hi\ffe sostiene, mediante una dettagliata critica dell'etica utilitaristica, che i processi decisionali orientati sull'idea di umanità non sono una questione di informazione e di calcolo dei vantaggi, bensi un problema di comunicazione. Con ciò egli si riallaccia, in contrapposizione critica al­le teorie della decisione razionale e all'etica utilitaristi­ca prevalenti nell'ambito della discussione anglosasso-

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 89

al dl.battito tedesco costituitosi in seguito alla riabi­ne, l l ' . . litazione della filosofia pratica, _ne. 9ua e e posta m pn-rno piano la teoria della comumca�wne r�zwna�e. Tale dibattito è caratterizzato da d1vers1 cont�JbutJ: l 1dea d1 una società aperta di Popper .e d1 �lbert, il modello del­la consultazione transoggett1va d1 Lorenze1_1, Schwem-

r e Kambartel la trasformaziOne della filosofia tra­rn:ndentale alla ]�ce del concetto di comunità ideale di ��municazione di Ape! e, infine, la teoria della compe­tenza comunicativa di Habermas. Recel'endo l� Jstanz_e più significative emergenti da tal7 dibattito? Hoffe desi­gna la propria teoria dell� declSlone razwnale. c01_ne " kommunikative Entsche1dungstheo�1e ». Egh . m1ra con ciò a una teoria per la realiz�azwne d1 pnnc1p1 umani nel contesto decisionale pohuc'?, tene�do ben fermo, a evitare l'eufemistica e semphcJstJca ndupon� dell'umanità alla razionalità, che i processi decJSJO�ah fondati sulla comunicazione e sul consenso plmahst1�0 possono si essere razionalizzati, ma che tale �azl'?nahz­zazione non costituisce di per sé una garanzia d1 �ma­nità bensi solo una possibilità per reahzzarla: raziOna­lità � plmalismo sono condizioni necessane� ?'� non ancora sufficienti di umanità. L'idea d1 umamta, Istan­za centrale della teoria comunicativa di Ho�fe, con la quale egli intende soggiogare la strm_nent�hta e la con­venzionalità della ragione tecmco-scJentJfJca, funge d� principio regolativo - non operativo � in gr�do di n­comporre etica e politica in ur�a filosofia pratiCa dotata

· di competenza critico-normativa.

3. Considerazioni conclusive

La larga diffusione e i numerosi consensi ch,e la ri­nascita della filosofia pratica ha ottenuto non�he �l cre­scente interesse che essa ha risvegliato m ambito filo�o­fico per i problemi dell'etica, della società e della pohtl­ca - pur avendo contribuito in mamera determmante a,l chiarimento del carattere particolare della razwnahta

Page 45: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

90 FRANCO VOLPI

dell'ambito pratico e del discorso ad esso relativo - non hanno significato ancora il riconoscimento del caratte­re normativa che la riabilitata filosofia pratica rivendi­ca nei confronti delle scienze sociali.

In concomitanza del rinnovamento della filosofia pratica, che ha visto la ripresa ora di Aristotele e ora di Kant, e che è stato contraddistinto dalle polemiche e dalle alleanze delle maggiori scuole filosofiche della Germania d'oggi, si è sviluppata altresi una discussione metodologica nella quale ci si è interrogati sul senso di tale rinascita, ora per affermare l'esigenza di un'artico­lazione e di una differenziazione più precisa dei mo­menti di tale ripresa, ora per opporre ad essa argomen­ti e ragioni che, pur riconoscendo la validità degli in­tenti programmatici in essa affermati, ne mettono in luce l'obsolescenza delle soluzioni.

C'è, ad esempio, chi ha messo in dubbio che la filo­sofia possa avanzare una competenza normativa nell'ambito pratico'"; qualcun altro ha osservato che col termine " filosofia pratica » vengono intese e desi­gnate cose troppo diverse e disparate, perché si possa parlare per essa di una " riabilitazione » chiaramente definita e, di conseguenza, si è preferito considerare ta­le " rinascita » come la ripresa di vecchie problemati­che in relazione agli interrogativi di oggi'"; c'è pure chi ha visto o ha creduto di vedere nel dibattito intorno al­la filosofia pratica una ripresa della vecchia questione dei rapporti tra teoria e prassi'" . Questa stessa pro­spettiva, secondo la quale nella discussione sulla rina-

159 Ch. WILD, Skeptischer Einspruch gegen die Rehabilitierung der praktischen Philosophie, �' Philosophisches JahrbuCh " • LXXXI (1974), 237-246.

160 R. BUBNER, Bine Renaissance der praktischen Philosophie, " Philosophische Rundschau », XXII (1975), 1-34. 1 6 1 H.-J. WERNER, Positionen und Probleme der praktischen Philo­sophie, in " Philosophischer Lìteraturanzeiger "• XXXII (1979), 189-198. Il problema del rapporto tra teoria e prassi è stato sino a qualche anno fa al centro delle discussioni filosofiche neomarxiste in Germania, soprattutto per opera di Habermas; tale tema, tuttavia, è stato dibattuto con particola� re vivacità anche in relazione alla ripresa di Hegel (cfr. M. RIEDEL, Theo­�ie Ul!d Praxis im Denken Hegels, Stuttgart-Berlin-Ki:iln�Mainz, Kohlham-

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 91

scita della filosofia pratica è in gioco soprattutto la re­lazione tra teoria e prassi, è stata altresi utilizzata come occasione per una più sottile e differenziata critica del­la ripresa di tale tradizione, la quale avverrebbe m un contesto quasi esclusivamente « metateorico » ; pertan­to in alternativa alle diverse metateorie nate con la ria­biÙtazione della filosofia pratica, viene proposta una riflessione " essenzialistica , su alcuni momenti fonda­mentali della storia della filosofia pratica (Aristotele, Hegel, Marx), per evidenziare ancora una v<_>lta l'origi� naria ampiezza del concetto aristotelico di agire nei confronti delle restrizioni che esso subisce in epoca moderna, soprattutto con Marx"'.

Segno ulteriore della profonda incidenza della ria­bilitazione della filosofia pratica è il fatto che - oltre a queste prese di posizione e a questi giudizi critici - tale fenomeno è stato fatto oggetto di analisi, di panorami­che e pure di esposizioni introduttive ampie ed artico­late. Peter Baumanns, ad esempio, ha compilato un'in­troduzione generale alla filosofia pratica e ai problemi da essa sollevati"', nella quale egli distingue quattro possibili tipi di filosofia pratica: (a) una filosofia dell'azione di carattere antologico, in cui la determina­zione dell'ambito pratico e del sapere ad esso relativo verrebbe intrapresa sulla base di presupposizioni anto­logiche; tale posizione, presente in misura e in modi di­versi in Platone, in Aristotele, in Hobbes, in Spmoza e

mer 1965 ed tasc. Frankfurt a. M.-Berlin�Wien, U!lstein, 1976; - M. THÈUNISSEN, Die Verwirklichung der Vernunft. Zur T�eorie�Pr�:xis­Diskussion im Anschlufl an Hegel, " Philosophische Rundschau >>, Be1heft 6, Tiibingen, Mohr, 1970; R. BUBNER, Theorie und Praxis. Bine nachhe� gelsche Abstraktion,Frankfurt a. M., Klostermann, 1971).

1 6 � A. BARUZZI, Was ist praktische Philosophie?, Miinchen, Vi:igel, 1976. Alla riabilitazione della filosofia pratica, mediante il recupero della tradizione del pensiero politico classico, Baruzzi ha contribuito con a.�tri studi come gli articoli Platon e Aristoteles, in Politische Denker I, Mun­chen, Bayerische Landeszentrale fiir politische Bildungsarbeit, _1977',· 22_-32 e 33-45, e la nota Aristate/es und H egei vot dem Problem emer praktt­schen Philosophie. Ein Aufrifl, « Philosophisches Jahrbuch "• LXXXV (1978), 162-166.

' 6 1 Einfiihrung in die praktische Philosophie, Stuttgart-Bad Cann­statt, 1977.

Page 46: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

92

in Hegel, viene tuttavia respinta come insostenibile V: e�gono. riten�te invece praticabili: (b) la concezion� d1 filosofia pratica come saggezza nel senso aristotelico di phr6nesis, (c) 1:' �oncezione di filosofia pratica come filosofia naturalistJco-prasseologica dell'azione (per certi aspetti Hobbes, Locke, Rousseau, ma anche Ha­bermas? Ape! e il cost�uttivismo) e, infine, (d) la conce­ZIOne d1 filosofia pratica come filosofia dell'azione inte­s,a �ome pr�sseologia non naturalistica (Kant, Fichte e · l esistenzialismo). In queste quattro posizioni, in base alle. quali Baumanns organizza il proprio quadro del va�Iegaro panorama della filosofia pratica, sarebbero pOI m gioco sostanzialmente due istanze fondamentali · contrapposte, e cioè l'istanza trascendentale, in base alla .quale solo una ragione pratica pura è in grado di sussistere autonomamente, e l'istanza empirica in base alla quale la filosofia pratica può essere efficac� solo se f�ndat� �u radici naturalistiche. Baumanns stesso tenta d1 conCiliare queste due istanze con una propria " teo­n� tr�scendentale della performanza " , nella quale egli SI ISpira soprattutto alla quarta delle concezioni di filo­sofia pratica da lui delineate, per sottolineare " il pri­mato dell'illocuzione o della performanza sulle propo­sizioni » 1 64•

A un atteggiamento profondamente scettico nei conf�onti delle pretese e delle possibilità normativo­c'?gmtive della filosofia pratica si ispira invece il lavoro d1 W alter Golz1", il quale costituisce anch'esso in so­stanza, un'ampia analisi critica dei diversi te�tativi operati in Germania nel contesto della rinascita del!� filosofia pratica, di fondere razionalmente con l'aiuto di teorie etiche gli orientamenti morali dell'agire uma­no. Alla base dell'atteggiamento scettico di Golz sta una rigorosa appropriazione dello " scientismo , webe­rian,o, in particolare del principio dell'avalutatività, in v1rtu del quale vengono respinte le pretese di fonda-

164 lvi, 105.

C 165 Begriindungsprobieme der praktischen Philosophie Stuttgart-Bad

annstatt, 1978. '

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 93

re rigorosamente la razionalità normativa e vengono assegnati alla ragione pratica limiti strettamente defini­ti. Tali limiti, secondo Golz, non vengono rispettati nella riabilitazione della filosofia pratica, soprattutto da parte del costruttivismo di Lorenzen e della Scuola di Erlangen, da parte della teoria critica di Habermas, ma anche da parte dello stesso razionalismo critico di Popper e Albert (che pure si rifanno, in realtà, a Max Weber). In contrapposizione alle pretese normativisti­

. che Golz fa valere un'istanza di controllo razionale me' no forte, ma conscia dei propri limiti, la quale assegna alla ragione pratica funzioni di analisi e di verifica degli elementi costitutivi dell'ambito pratico. Tali funzioni consisrono, ad esempio, nella valutazione critica degli argomenti alla luce dei quali vengono prese le decisio­ni, nell'indagine razionale dei sistemi di norme e di va­lori storicamente riconosciuti, nell'analisi dei rapporti tra ricerca comportamentale, antropologia ed etica, e nell'elaborazione di una " logica della plausibilità " • orientata sul modello topico-dialettico d'origine aristo­telica, quale metodo dell'argomentazione razionale.

Esattamente opposta alla tesi di Golz è la convin-" zione che sta alla base della discussione critica e della panoramica sulle diverse concezioni di filosofia pratica offerta da Annemarie Pieper166• Secondo quest'ultima, sia nella metaetica anglosassone (Moore, Stevenson, Ayer), sia nelle principali posizioni emerse dal dibattito tedesco sulla filosofia pratica - in particolare vengono prese in esame le teorie normativa-discorsive di · Schwemmer e di Habermas, la teoria interdisciplinare di Lenk, quella dialettica di Schulz, nonché le tesi rivo­luzionarie di Marcuse -, la ragione pratica viene fonda­ta r,wn su basi etiche, ma su basi pragmatiche, in quan­to m tutte queste posizioni citate si presuppone che de­terminate procedure di verifica della validità effettiva o normativa di regole di comportamento e d'azione pos-

• '66 Pragmatische und ethische NormenbegrUndung. Zum Defizit an eth_tscher.Letztkegriindung in zeitgenOssischen Beitréigen zur Moralphiloso­phw, Fre1burg 1. Br.-Miinchen, Alber, 1979.

Page 47: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

94 FRANCO VOLPI

sano fornire criteri per l'orientamento morale dell'agi­re. La Pieper, invece, mostra come la normativa etica può essere fondata soltanto mediante il ricorso tra­scendentale a un principio ultimo, come ad esempio il criterio del buon vivere (Aristotele) o quello della liber-

� tà (Kant). Lo sforzo sistematico più recente inteso non solo a

dare un quadro complessivo dei risultati più rilevanti della discussione intorno alla filosofia pratica, ma an­che ad approfondirne i temi e i momenti più importan­ti, è senz' altro costituito dal ciclo di discvssioni pro­mosso da Willi Oelmiiller a Paderborn nel 1976, 1977 e 1978, nel quale specialisti delle principali discipline afferenti all'ambito delle scienze umane hanno trattato del problema della competenza normativa della ragio­ne nell'ambito del vivere e dell'agire morale, sociale, giuridico e politico, in relazione alla progressiva perdi­ta di efficacia della strategie e delle procedure di fonda­zione e di giustificazione razionalmente vincolanti di norme e valori .. Tali discussioni si sono snodate intor­no a tre complessi di problemi, vale a dire la fondazio­ne trascendentale di norme167, la giustificazione e il ri­conoscimento di norme168, la relazione tra norme e storia 169• A tale ciclo di discussioni promosso da Willi Oelmiiller hanno preso parte quasi tutte le scuole e i fi­losofi più significativamente coinvolti nel dibattito sul­la riabilitazione della filosofia pratica: il costruttivi­smo, rappresentato da Friedrich Kambartel; la teoria

1 6 1 Materialien zur Normendiskussion 1 : Transzendentalphilosophi� sche NormenbegrUndungen, hrsg. von W. OELMÙLLER, Paderborn, Schòningh, 1978.

1 6 1 Materialien zur Normendiskussiqn 2: NormenbegrUndung -Nm·­mendurchsetzung, hrsg. von W, OELMULLER, Paderborn, SchOningh 1978. '

169 Materialien .�ur Normendiskussion 3: Normen und Geschichte, �rsg. von W. OELMULLER, Paderborn, SchOningh, 1979. Si vedano, in­fme, ·sempre del gruppo di ricerca di Paderborn: Philosophische ArbeitsbU­cher .1 . Diskurs: Politik, hrsg. von W. OELMULLER, R. DÙLLE, R. PIEPMEIER, Paderborn, Sch6ningh, 1977; Philosophische ArbeitsbUcher 2. Diskurs: Sittliche Lebensformen, hrsg. von W. OELMULLER, R. DO L-LE, R. PIEPMEIER, Paderborn, SchOningh, 1978.

.

95 LA RINASClT A DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA

· critica sviluppata nel senso della pragmatica universa­le rappresentata da Jiirgen Habermas; la pragmatlca tr�scendentale, rappresentata da Kari-Otto Ape!; le di­verse posizioni emerse dalla scuola di J oachim Ritter, come quelle di Hermann Liibbe, di Odo Marquard o dello stesso Willi Oelmiiller; il neotrascendentahsmo, rappresentato da Hermann Krings e, in parte, dal suo allievo Otfried Hoffe; la poslZlone anahtlca, sostenuta da Norbert Hoerster.

Se ora, di fronte alla molteplicità delle prospettive secondo le quali l'idea di filosofia pratica è stata propo­sta realizzata e pure criticata, deve essere tentato un bil�ncio, necessariamente provvisorio, dei risultati cui essa ha condotto, è da dire che - nonostante la man­canza di una convergenza e di un'unità profonda - essa ha indubbiamente contribuito quanto meno a risolle­vare in ambito filosofico un consistente interesse per i problemi della morale, della società e della p�litica; con ciò essa ha riproposto, ad un tempo, anche 1! pro­blema della competenza critico-normativa della ragio­ne in tutti quegli ambiti del sapere pratico in cui l'eleva' to sviluppo disciplinare delle singole scienze umane ha prodotto - accanto ai risaputi vantaggi - anche un_a " crisi dei fondamenti » e un depauperamento m men­to ai criteri complessivi per l'orientamento normativa­cognitivo dell'agire.

Cosi, se può essere a buon diritto osservato che la riabilitazione della filosofia pratica è un fenomeno le­gato in maniera specifica al contesto culturale tedesco, in cui tale disciplina vanta nel passato anche non molto lontano la presenza di una considerevole tradizione, è anche vero, tuttavia, che la filosofia pratica può esibire ragioni sistematiche e motivi di interesse che la rendo­no rilevante anche là dove essa è stata meno presente o non lo è stata affatto.

Le ragioni di questo rilievo generale della filosofia pratica e delle istanze che essa h� �vanzato sono da m­tra vedere appunto in quella « cns1 de1 fondamenti » m

cui le scienze sociali e umane sono state coinvolte in ra-

Page 48: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1'':

96 FRANCO

gione del loro sviluppo disciplinare, orientato per lo più sull'idea di razionalità propria del sapere tecnico­scientifico, nel quale sviluppo esse hanno perso la con­nessione sistematica fra di loro e con i loro fondamenti.

Questo fenomeno non è poi che un aspetto di quel­la generale crisi della ·razionalità, individuabile in una perdita di competenza critico-normativa da parte della ragione, la quale lia trovato fondata analisi e brillante denuncia - per vie e da prospettive ognora diverse - in opere divenute ormai classiche come La crisi delle scienze europee di Husserl o Eclisse della ragione di Horkheimer. Il diffondersi nella cultura e nel pensiero contemporaneo di una sfiducia nelle possibilità critiche della ragione e il manifestarsi di forme sempre più in­calzanti di irrazionalismo sono consequenziali, da un lato, all'impotenza normativa della razionalità pratica e, dall'altro, alla riduzione della razionalità teoretica alla razionalità strumentale di tipo tecnico-scientifico.

Ora, la rinascita della filosofia pratica in Germa­nia, anche se nata sul terreno di una tradizione specifi­ca di tale paese, ha non solo riproposto il problema si­stematico della competenza normativa della ragione pratica, ma anche avanzato, ad un tempo, l'esigenza di ripristinare la razionalità nell'integralità delle sue fun­zioni e delle sue possibilità, salvandola dagli esiti stru­mentalistici cui la scienza e la tecnica inevitabilmente l'hanno condotta. Inoltre, la riabilitazione della filoso­fia pratica ha rinviato con indicazioni precise ai model­li storici (soprattutto ad Aristotele e a Kant) e sistema­tici, in direzione dei quali è opportuno rivolgersi per ri­stabilire le competenze della ragione teoretica e della ragione pratica nella loro integfalità.

In questo senso, allora, le istanze sollevate dalla ri­nata filosofia pratica assumono un interesse e un rilie-· vo di carattere internazionale, presentandosi con parti­colare urgenza là dove, come negli stati ad elevato svi­luppo industriale, i successi della ragione tecnico­scientifica hanno condotto alla perdita della connessio­ne sistematica tra i diversi momenti della vita e dell'agi-

LA RINASCITA DELLA FILOSOFIA PRATICA IN GERMANIA 97

re individuale sociale e politico, e del sapere ad ess.i re­lativo, dando 'origine a forme sempre più diffuse di ir­razionalismo.

Page 49: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA

·di Carlo Natali''.

Il pensiero politico di'Platone e Aristotele si presen­ta a noi sotto il segno di una differenza profonda, ri­spetto ai nostri interessi ed alle nostre discussioni: mentre noi, dall'inizio dell'età moderna, e cioè dalla nascita della 'scienza politica' con Machiavelli ed Hob­bes, abbiamo il problema del metodo delle scienze che hanno per oggetto il vivere sociale dell'uomo, e del rapporto tra questo metodo e quello delle scienze fisico-matematiche' , Platone e Aristotele si pongono un interrogativo diverso. Essi volevano infatti indivi­duare quale fosse il tipo di sapere adatto al politico che agisce concretamente all'interno della città.

Si aveva allora una minore complessità di figure: noi siamo abituati a distinguere il politico pratico dallo scienziato della politica (ad esempio Bismarck da Max

·weber e Pareto) , e recentemente ci siamo abituati pure a inserire tra i due la figura del 'politologo', personag­gio a metà tra il commentatore giornalistico degli even­ti della settimana, e lo scienziato che elabora schemi in-

*n presente testo riassume, in forma semplificata, le conclusioni di al­cuni studi sul metodo del sapere politico e dell'economia aristotelica, non­ché sulla posi:done storica della scuola di Aristotele nell'Atene del IV secolo a. C., in corso di pubblicazione. In essi si potranno trovare un'indagine te­stuale e delle indicazioni bibliografiche più complete.

t Molto chiaro il panorama delineato da G.H. v. WRIGHT, Spiega­zione e comprensione, tr. it. Bologna, Il Mulino, 1977, cap. l .

Page 50: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

.. .------------------------- -------------

100 CARLO NATALI

terpretativi e quadri di riferimento più generali. A que­sti si aggiunge poi il filosofo di professione, o chiunque gli corrisponda, a preoccup_arsi ?elle questioni di meto­do. Per i Greci, al contrano, c erano solo 1l cJttadm? dotato di diritti politici, che agiva nell'assemblea, gm­dato da una sua razionalità e un suo sapere, e il filoso­fo che aveva il compito di educare al buon tipo di sa­pe�e questo cittadino. La filosofia politica antica, per questo, tende ad identificarsi colla progettazwne d1 una città ben ordinata, in quanto tale progetto può ser­vire così sia come guida all'azione concreta, che come parametro con cui giudicare l'orga?izzazione della pr?: pria città e delle altre, d corso degh eventi, e le possJbih trasformazioni costituzionali subite dalle città nella lo­ro storia. Lo stesso problema delle leggi del succedersi ciclico delle forme di costituzione viene inserito in que­sta problematica, ed ha rispetto ad essa una funzione subordinata.

Da ciò un'ulteriore differenza rispetto a noi, anche nel modo di giudicare le varie strutture politiche e i va­lori morali. Tipicamente, nel mondo moderno preval­gono i problemi di legittimazione, cioè quelli riguar­danti i modi attraverso i quali un ordmamento pohuco è giudicato degno di essere riconosciuto' dalla popola­zione che lo vive ed opera al suo mterno, senza ncorre­re a criteri di giudizio di ordine superiore; invece per i Greci il problema dello stato legittimo tende a confon­dersi con il problema dello stato buono m assoluto, e solo fino ad un certo punto può essere distinto. Se l'in­tento dei filosofi antichi era quello di educare il cittadi­no a pensare bene, è stato giustamente notato' che tut: ta la loro riflessione e in particolare quella pohuca, SI

_ pone prima della dis�inzione tra giudizi di fatto e giudi-

2 J. HABERMAS, Problemi di legittimazione nello stato moderno, in: Per la Ticostruzione del materialismo storico, tr. it..Milano, Etas Kompass, 1979, 207.

3 E. BARKER, The politica l thought of P lato and Aristotle, Lonà<m, Methuen, 1906; New York, Dover, 1959'.-

ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA l 0 l

zi di valore. Infatti, come in sede logica Aristotele inse­gna il buon modo di costruire un sillogismo, come in biologia si insegnano le caratteristiche proprie dei vari animali considerati nel loro aspetto migliore (cioè si studieranno le caratteristiche del bue perfetto come bue, e non casi mostruosi), così etica e politica studie­ranno in linea di principio il buon comportamento del buon cittadino, e l'organizzazione della buona p6lis come condizione essenziale per vivere una vita buona.

Sia quella moderna che quella antica sono, in pri­ma approssimazione, delle forme di metadiscorso poli­tico, in quanto vogliono stabilire la natura del sapere politico, il suo status epistemologico, e la natura dei principi o delle leggi delle quali si serve; ma cambiano sia l'oggetto del metadiscorso (che per i Greci è più vi­cino alla prassi di quanto non sia per noi la scienza po­litica), sia i 'destinatari' di esso. Ciò non significa im­mediatamente che, come molti critici hanno ritenuto', il pensiero greco non facesse che stravolgere la purezza metodo logica delle 'scienze politiche', applicando ad esse dei principi morali estrinseci alla trattazione scien­tifica: tale giudizio presuppone appunto come già co­stituita una distinzione tra ·'scienza politica' e 'teoria morale' che qui non c'è ancora; c'è invece una conce­zione del sapere politico che è differente dalla nostra,

· originariamente. Nel vocabolario aristotelico, è la dia­lettica che studia i modi di argomentare intorno ai principi di una scienza 5, mentre la capacità di giudicare sul metodo di un discorso, se cioè il discorso vengà condotto bene o no, è compito della paidéia o cultura generale'; esistono quindi un livello di sapere politico concreto, che sta davanti alle singole scelte pratiche

4 La lista sarebbe vastissima: ci limitiamo a citare, tra i più facilmente reperibili, M. DUVERGER, Metodi della scienza politica, Milano, Etas Kompass, 1969; H. LASSWELL e I. KAPLAN, Potere e società, Milano, Etas Kompass, 1969; G. SARTORI, Introduzione, in: Antologia di scienza politica, a cura di G.S. , Bologna, Il Mulino, 1970.

5 Top. I 2, 101b 6. 6 De gen. anim'it]�-����:''t2rf�;:��::�J·�: e:}: ':;' ;

Page 51: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

102 CARLO NA TALI

(es. : fare o no la guerra a Sparta; comportarsi m un modo o in un altro in questo o in quel caso), e poi delle trattazioni generali impartite nella scuola del filosofo, sul metodo e sui principi delle decisioni. Queste hanno il compito di mostrare ai cittadini come utilizzare bene il livello di sapere e di decisione a loro disposizione, chiarendo anche il tipo di razionalità impegnata (non avalutativamente, in senso weberiano, ma nel senso sopra detto) . Tutti i discorsi sull'interesse del pensiero antico per noi devono tenere conto di tale disomoge­neità dei termini antichi del problema, rispetto ai no­stri, ed ogni confronto che si voglia impostare dovrà introdurre variabili apposite per rendere la compara­zione non insignificante.

Solo alcune frange della tradizione marxista mo­derna hanno ritenuto di potere superare le distinzioni qui indicate: pensiamo soprattutto a quelle forme di marxismo più rigidamente dogmatico, nelle quali si ri­teneva che il capo politico, sull'esempio di Lenin, fosse anche il massimo teorico vivente, e realizzasse in modo visibile, incarnandola nella propria persona, !'"unità di teoria e prassi". Fatte le debite, notevoli differenze tra i due personaggi, Stalin e Mao sono stati esempi di tale livello di indistinzione. Esso però pare non più accetta­bile, almeno in Italia, dove si è posto il problema di una specifica teoria marxista dello stato', oggetto di una ricerca autonoma.

Accomunati dai tratti che abbiamo indicato finora, Platone e Aristotele sono tuttavia differenziati dal mo­do di giudicare la natura del sapere del buon soggetto politico, cioè del cittadino dotato di phr6nesis. Trala­sciando qui il problema di opere come il Protreptico di Aristotele, si può dire che tale differenza di imposta­zione ha fatto dei due filosofi i capostipiti di due tradi­zioni di pensiero che, con varie vicende, si sono pro-

1 D. ZOLO. Stato socialista e libertà borghesi, Roma-Bari, Laterza, 1976.

ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 103

]ungate fino all'età moderna, nonostante l'accennata differenza di problemi di quest'ultima. Infatti per Pla­tone la politica è una scienza teoretica 8 , mentre per Aristotele essa è una scienza pratica', ed ha quindi ca­ratteristiche del tutto opposte.

Che per Platone, tuttavia, la politica sia una scien­za teoretica non significa affatto, come certe volte sem­bra volergli far dire Aristotele10 , che essa sia una forma di puro sapere descrittivo della buona organizzazione della città e delle caratteristiche che distinguono tra di loro le varie virtù, senza nessun insegnamento pratico. Significa piuttosto che Platone pone un rapporto tra il sapere politico e la metafisica, diverso da quello che pone Aristotele.

Per Platone le 'scienze' (cioè i vari tipi di sapere), si dividono dicotomicamente, secondo il metodo dell'ul­tima fase della sua evoluzione filosofica, cioè in due gruppi: scienze teoretiche e scienze pratiche. A loro volta le scienze teoretiche si suddividono di nuovo in due gruppi: quelle che esprimono semplicemente dei giudizi (la matematica) e quelle che esprimono dei co­mandi (l'architettura) 1 1 • Il criterio che permette di di­stinguere le scienze è quello della manualità: scienze pratiche nel Politico (che è il dialogo specificamente dedicato al chiarimento del problema dello statuto epi­stemologico del sapere politico) sono le tecniche arti­gianali, l'arte del vasaio o del carpentiere, le quali ri' chiedono l'uso della mano per essere messe in pratica". Delle scienze teoretiche, invece, ve ne saran­no alcune che si limitano a dare luogo a giudizi, mentre quelle produttive daranno luogo a realtà prima non

i Politico, 259c 1 0-d 1 . 9 E.N. I 2. ' " E. E. I 6: la critica è a Socrate 'il vecchio', ma si collega logicamente

colht successiva critica a PEuone, cfr. F. DIRLMEIER, in ARISTOTELE$, Eudemische Ethik, Ub. v. F.D., Berlin, Akademie Verlag, 1962, 180-181.

1 1 Politico, 258e 5. '-2 258d sgg.

Page 52: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

104 CARLONA TALI

esistenti. Platone ammette che ci siano scienze teoreti­che di questo tipo, e pone tra queste pure la politica: il loro essere teoretiche dipende dal fatto che non am­mettono l'uso delle mani". Inserendo la politica nell'ambito del sapere teoretico, Platone insiste sul suo essere scienza, anche al di là del suo naturale aspetto tecnico-applicativo.

Se la scienza teoretica delia politica è quella che co­nosce le caratteristiche del buon ordinamento della cit­tà, l'unico vero politico sarà quello caratterizzato dal possesso di questa scienza. Essa è ciò che fa di colui che la possiede il 'vero politico', anche se per caso o per la sciocca ostilità dei propri concittadini egli sia impe­dito a metterla in atto", cioè, sia che sia un magistrato o un re, sia che sia un cittadino privato o il consigliere del principe. In secondo luogo, il governo buono sarà per definizione quello secondo la scienza, qualsiasi mi­sura decida di prendere, anche senza il consenso dei governati". Ed è ovvio, sulla base della Repubblica, il rapporto tra questa scienza del politico e la dottrina delle idee". Gli interpreti tedeschi hanno messo in luce come Platone faccia qui scattare un corto circuito me­todologico tra teoria e prassi, rendendo impossibile l'idea di una pura teoresi politica, non legata all'azio­ne. L'antologia diviene la diretta fondazione della poli­tica, la quale da parte sua è considerata una disciplina unitaria ed organicamente connessa. Infatti non ci so­no differenze, per Platone, tra il capo di un grande complesso familiare, un 6ikos di vaste dimensioni, e il capo di una piccola città: entrambi si basano sulla stes­sa scienza. E importante notare come, nonostante l'as-

13 259e 8-11. 14 2S:9b 3-5; Gorgia, 521d. Cfr. A.E. TAYLOR, in PLATO, The So­

phist an d the Statesman, transl. a:nd introd. by A.E.T., ed. by R. KLIBAN­SKY and E. ANSCOMBE, Folkestone-London, Dawsons, 1972, 199.

1 5 293c 5-e 5. Critiche di Aristotele a ciò, Poi. III 15, 1286a 9 sgg. '1' U n r;lpporto più mediato, ma mm molto diverso, è suggerito da H.

ZEISE, lJcr Staah.lll<ll/11. E in lkitr,zg :.ur fnfl'rjm•tation des pfatonischen " Pofitikos », in " Philologus » Suppl. XXXI/3, 1938.

ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRA T! CA 105

serita opposizione fondamentale tra la filosofia politica greca e il pensiero politico moderno", Hobbes, su que­sto punto, riprenda del tutto la posizione di Platone", e che invece proprio su questo punto, fin dall'epoca de­gli scritti giovanili", inizi ad esercitarsi Aristotele per disgregare la compatta costruzione platonica.

Fin dai dialoghi giovanili, e poi nella Politica", Ari­stotele ha affermato l'impossibilità di ridurre ad uno la scienza dell'amministrazione domestica e quella della politica: infatti tra una città ed una proprietà familiare, anche di vaste dimensioni, non c'è solo una differenza di grandezza, come sembra intendere Platone, ma di natura. Se noi andiamo ad esaminare i rapporti che si instaurano tra cittadini, e tra magistrati e cittadini co­muni, vediamo che essi sono di natura diversa del rap­porto intercorrente tra marito e moglie, o da quello in­tercorrente tra padre e figli, tra padrone e schiavo: quindi anche il sapere da utilizzare nei due casi non po­trà essere lo stesso. Familia e città sono due specie di­verse di koinon{a (termine di difficile traduzione: qui potremmo intenderlo genericamente come 'comunità'): una è la comunità domestica, l'altra la koinon!a politi­ké, o societas civilis, la comunità di coloro che sono dotati dei diritti di cittadinanza, dato che non esiste per i Greci un concetto di stato paragonabile a quello moderno21 •

Secondo Aristotele, già tra 'economia' e 'politica' c'è una differenza di specie di sapere, e ciò impedisce di

11L. STRAUSS. Che cos'è la filosofia politica?, tr. it. Urbino Argalia 1972.

, ' 18 Leviatano II 20;, Elementi di legge naturale e politica II 3 , 2.

• • 19 P. MORAUX, A la recherche de l'Aristate perdu. Le dialogue sur la ;ustzce, Louvain-Paris, Pubbl. Uni v. de Louvain-Ed. Béatrice-Nauwelaerts 1957. '

10 Poi. I 1 , 1252a 7 sgg. '1 P.L. WEINACHT, Staat. Studien zur Bedeutungsgeschichte des

Wones von den Anfiingen bis ins 19. ]ahrhundert, Berlin, Duncker & Humblot, 1968; O. BRUNNER, Per una nuova storia costituzionale e so­dale, tr. it. Milano, Vita e Pensiero, 1970, 202.

Page 53: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

106 CARLO NA TALI

identificare le due scienze; ma questo non pone una completa alterità tra di esse. Infatti Aristotele ammette la possibilità di un rapporto di subordinazione di certe scienze ad altre, le quali sono per questo loro ruolo particolare dette 'architettoniche': ad esempio astrono­mia e geometria sono subordinate alla matematica in generale, e la politica è architettonica rispetto alla reto­rica, alla strategia, all'economica ed a tutte le altre for­me subordinate di sapere". Però un rapporto di questo genere può raggruppare, secondo Aristotele, solo alcu­ni tipi di scienze, e non si presta ad una unificazione completa: in particolare, né la filosofia prima è subor­dinata alla politica (nel senso che prende da essa i suoi principi), né viceversa. Mentr& Platone trovava per la politica uno spazio nell'ambito delle diverse scienze · teoretiche, Aristotele dice chiaramente che la 'scienza' si divide, con differenze specifiche, in teoretica, pratica e poietica. Ciò significa che ognuna delle tre specie di scienze è autonoma e non dipende da alcuna delle altre due: infatti la scienza teoretica non ha altro fine che sé stessa, e tra le scienze pratiche e quelle poietiche nessu­na perù!chetai, cioè comprende in sé l'altra come una sua parte". Invece di procedere con una divisione dico­tomica, come Platone, Aristotele fin dall'inizio pone tre specie indipendenti di sapere, divise tra di loro dal tipo di relazione che esse hanno con l'oggetto ( contem­plazione, comportamento pratico-politico, realizzazio­ne di un prodotto).

Aristotele d'altra parte afferma che le scienze si di­vidono, dal punto di vista del valore, in migliori e peg­giori: migliori, per esempio, per riguardare oggetti mi­gliori o per essere più precise e cosi via. Molti critici anche tra i più acuti" hanno ritenuto di potere imme­diatamente combinare tale distinzione con quella tra

1 1 Metaph. I 2, 984a 28; VI 1 1026a 25; E. N. I 2, 1094b 1-5. 23 E. N. VI 7, 1140a 3-6. ''1 G. BIEN, Die Grundlegung der politischen Philosophie bei Aristote­

les, Mtinchen, Alber, 1973, 81, 199, 125.

ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA l 07

· scienze teoretiche e scienze pratiche, in questo modo: siccome Aristotele afferma che la scienza pratica è scienza del 'per lo più'" e non è capace di una precisio­ne totale, come lo sono le matematiche, allora si è cre­duto di potere identificare le scienze teoretiche con le scienze più precise, in quanto osserverebbero i principi dei processi naturali sempre uguali, e le scienze prati­che colle scienze del 'per lo più' in quanto studierebbe­ro dei processi non naturali, ma derivati dalle decisioni umane, e quindi più difficilmente prevedibili. A noi non pare che le cose possano essere riassunte in questo modo. Tralasciando per ora il problema della filosofia prima o metafisica, che pur adottando dei procedimen­ti dialettici tende a dare delle dimostrazioni stringenti, in Aristotele generalmente esempio di esattezza scienti­fica sono le scienze matematiche, che studiano enti astratti della materia, e quindi non viziati dalla costitu­tiva inesattezza di questa", oppure astri divini, fatti di matena perfetta e dotati di movimenti regolari e perfet­tamente osservabili". Invece lo studio della realtà del mondo sublunare ha sempre la caratteristica di una scienza del 'per lo più', ed Aristotele attribuisce tale qualifica sia all'etica che alla fisica". Se si confrontano i passi della Fisica, della Metafisica e dell'Etica Nico­machea sulle due scienze, si trova un parallelismo im­pressionante: l . entrambe sono scienze del per lo più, cioè il loro ri­

gore non è assoluto, e 2. per questa ragione lo studio di entrambe richiede

una grande quantità di esperienza, e quindi un'età matura-dato che è il tempo che produce esperienza "-allora

3 . i giovani, e in generale gli inesperti", possono benis-H E. N. I 3, 1094b 19-22. 26 A. KOYRÉ, Dal mondo del pressappoco all'universo della precisio­

ne, tr. it., Torino, Einaudi, 1969. n P. MORAUX, Introduction ad: ARISTOTE Du ciel texte établi et

traduit par P.M., Paris, Les Belles Lettres, 1965, èv1 sgg.'

2•8 Phys. Il 5 e 8; E.N. l 3 . 2 9 -E.N. VI 8 , 1142a 15-1.9. 30 E. N. 1 3, 1095a 3 (dpeiros), e 6-7.

Page 54: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

108 CARLO NATALI

simo essere dei buoni matematici, perché le scienze matematiche non richiedono esperienza, ma non dei buoni cittadini o dei buoni fisici. 4 . Qui si vede già che l'esattezza della matematica non

solo non è indizio di una sua superiorità, ma anzi è segno del suo distacco dal mondo sensibile e prati­co, infatti,

5 . con argomentazioni simili, Aristotele afferma che, se non ci fosse nessuna sostanza superiore a quelle sensibili, la fisica sarebbe la prima tra le scienze (teoretiche)", e, se non ci fosse nulla di più divino rispetto all'uomo nell'universo, la phronesis o sa­pienza pratica e la politica sarebbero cosi le scienze più eccellenti di tutte".

Aristotele afferma, all'inizio dell'Etica Nicoma­chea, che non ci si deve aspettare in campo politico un'acribia perfetta, che questo sarebbe segno di man­canza di cultura, perché sarebbe come chiedere dimo­strazioni matematiche ad un retore o slanci retorici a chi dimostra un teorema"; egli quindi non tende a su­bordinare l'etica alla matematica per la maggiore preci­sione di questa, ma afferma che è esatto pretendere in ogni specie di scienza solo quella precisione adatta all'argomento: pretenderne di più sarebbe da incolti e renderebbe sbagliato il metodo adottato. In questo modo Aristotele si separa da Platone, che tende ad una concezione della politica come scienza teoretica ed · esatta, numerica", e allarga il campo della razionalità anche a discorsi che non ammettono la stessa rigorosi­tà delle dimostrazioni matematiche. Nello stesso modo nel de partibus animalium (l 5 ) è rivalutata la cono­scenza degli esseri del mondo sensibile, anche se meno nobili degli astri divini. Si può quindi dire che per Ari- ·

3 1 Metaph. Vl l , 1026b 27-30. 32 E.N. VI 7, 1 141a 20-b 2. lJ E. N. I 3, 1094b 25-27. 34 H.J. KRAMER, Aret� bei Plato und Aristoteles, Heidelberg, Win­

ter, 1959; Amsterdam, Schippers, 1967'.

E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 109

stotele la matematica non è il modello di ogni forma del sapere scientifico.

Non avendo bisogno di principi saldi, dato che ogni forma di sapere deve. ricorrere a principi adatti al tipo di oggetto studiato", la politica e l'etica di Aristo­tele non hanno più bisogno della dottrina platonica delle idee, che viene criticata in entrambe le E tiche

. (E. N. I 6-7; E. E. I 8).

Il rapporto di non subordinazione tra politica e me­tafisica in Aristotele non comporta una incommensu­rabilità ed una opposizione di principio tra le due for­me di sapere, come sarebbe se Aristotele contempora­neamente sostenesse una metafisica deduttivistica ed una politica basata sulla dialettica e sulle opinioni. Se da una parte la metafisica non può dare i principi alla scienza politica, la quale non parte da dottrine salde e immutabili, ma da principi 'per lo più', d'altra parte la metafisica, colla dottrina della pluralità dei sensi

· dell'essere e del bene, garantisce una struttura ontolo­gica abbastanza aperta da potere contenere come ele­mento autonomo una scienza pratica del tipo che stia­mo descrivendo. La critica alla dottrina platonica delle idee mostra il punto di maggiore vicinanza tra metafisi­ca e filosofia pratica, nel senso che è necessario alla fi­losofia pratica dimostrare che non esiste un bene asso­luto, identificabile in un tipo particolare di Essere (l'Uno, Dio o altro), che serva da fine comune a tutte le realtà, ma tale tipo di critica appartiene piuttosto alla filosofia prima, in quanto è un discorso sui principi del tutto". Nelle indagini recenti lo stesso esempio, di un termine che si dice in molti modi, è servito sia a descri-.

· vere il pluralismo ontologico, che la struttura dialettica

H H. BONITZ, Index aristotelicus, 112b 23-25. 36 E.N. I 6; E.E. I 8 (su cui E. BERTI, Multiplicité et unité du bien se­

ton E. E. I 8, in Untersuchungen zu Eudemischen Ethik, hrsg. v. P. MO­RAUX u. D. HARLFINGER, Berlin, De Gruyter, 1971, 157-184, e P. AUBENQUE, La prudence chez Aristate, Paris, P.U.F., 1963.

Page 55: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1 10 CARLO NA TAL!

della filosofia pratica di Aristotele".

Le caratteristiche di una scienza, in Aristotele, so­no le caratteristiche dei suoi principi: dobbiamo quindi stabilire le caratteristiche dei principi della scienza pra­tica. Essi saranno dei principi 'per lo più' come il tipo di sapere di cui sono principi, e per questo non saranno dedotti unicamente da verità superiori, ma indotti a partire dalle opinioni comuni sul bene e sul buon asset­to sociale. Aristotele afferma infatti che ogni uomo ha una certa capacità di verità, e che, partendo da cose af­fermate in modo vero, ma non chiaro, si potrà rag­giungere anche la chiarezza, colla discussione delle opi­nioni più accreditate e diffuse; c'è quindi un lato per cui Aristotele rimane nella tradizione socratica, ma con in meno quell'elemento ironico e quell'amore per la confutazione che era tipico del Socrate di Platone". L'esperienza comune è il punto di partenza per la de­terminazione dei principi pratici: in essa non va com­presa solo l'esperienza del singolo, ma anche le sedi­mentazioni storiche dell'esperienza delle generazioni passate, come si sono depositate nel senso comune di un popolo o di una nazione, nelle massime de1 suo1 sa­pienti, nei proverbi, nelle opere dei poeti, nelle raccolte di aneddoti ed esempi, · negli usi linguistici e terminologici". La vasta attività di raccolta di dati ed opinioni, tipica della scuola di Aristotele, non ha tanto un interesse puramente classificatorio e conoscitivo, non è la ricerca di curiosità erudite, quanto un racco­gliere il materiale da elaborare per stabilire poi, in mo­do chiaro, i principi delle varie scienze". La prima ca-

37 Si veda l'esempio della " salute " (Metaph. IV 2, 1003a 34 sgg.) in E. BERTI , L'unità del sapere in Aristotele, Padova, Cedam, 1965 e in G. BIEN, Die.menschlichen Meinungen und das Cute, in: Rehabilitierung der praktischen Philosophie, hrsg. v. M. RIEDEL, Freiburg i. Br., Rombach, 1972, I 345·371 .

H E.E. I 6; Metaph. II 1 . 3 9 G. VERBEKE, Philosophie et conceptions préphilosophiques chez

Aristate, in « Rev. Philos. de Louvain » LIX (1961), 405-430; anche J.M. LE BLOND, Logique et métode chez Aristate, Paris, Vrin, 1970�.

40 THEOPHR. de signis pluviarum . . . 1 (Wimme_:).

ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 1 1 1

ratteristica del sapere pratico sarà quindi quella di esse­re in accordo basilare colle opinioni più accreditate e diffuse, e di non essere, in nessun caso, paradossale.

Ciò pone un problema: descrivendo, in una discus­sione odierna, le rinascite di impostazioni aristoteliz­zanti nel pensiero etico-politico tedesco, J. Habermas obietta recentemente a questa interpretazione della fi­losofia pratica aristotelica (che in Germania ha il suo principale sostenitore in Gadamer)" , che essa minaccia di ridursi ad una semplice 'ermeneutica' delle idee quo­tidiane, intendendo con ciò il riprendere puramente il contenuto delle opinioni popolari: " . . . ma se l'etica fi­losofica e la teoria politica non possono sapere altro che quello che è già contenuto nella coscienza morale di popolazioni qualsivoglia . . . non possono allora di­stinguere in modo fondato un potere legittimo da uno illegittimo. Anche il potere illegittimo trova approva­zione . . . se invece ]'etica filosofica e la teoria politica devono evidenziare il nucleo etico della coscienza mo­rale e ricostmirla come concetto normativa dell'etico, non possono allora non indicare criteri e fondamen­ti . . . » 42• In realtà anche Aristotele sottopone ad una rielaborazione razionale le opinioni comuni, e spesso ad una rielaborazione estremamente radicale, come per esempio per quanto riguarda le opinioni mitiche sugli dèi tradizionali della Grecia; egli infatti sostiene · che, esaminate dal punto di vista della critica filosoficà le opinioni mitiche si rivelano contraddittorie43 e non sostenibili; che nei miti sulle divinità deli'Olimpio l'unico nucleo razionale che si ritrova, e che deve essere rivalutato, è che le realtà divine (che per Aristotele so­no prima di tutto gli astri visibili, nell'ordine del 'vero per noi') hanno la loro sede nel cielo; che tutto il resto, cioè il fatto che le divinità abbiano forma umana e si comportino umanamente, o deriva da un inconsapevo-

4 1 H. G. GADAMER, Verità e metodo, tr. it. Milano, Fabbri, 1972. 42 J. HABERMAS, Op. cit., 229. 41 Metaph. III 4, lOOOa 9-19.

Page 56: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1 1 2 CARLO NA TALI

le trasferire nel cielo i rapporti che intercorrono tra gli uomini a livello sociale e politico (e quindi affermare che gli dèi hanno un re, Zeus, perché in antico tutti i popoli avevano dei re)44, o deriva da un progetto poli­tico razionale degli antichi sacerdoti che hanno voluto incutere nelle popolazioni col timore religioso il rispet­to delle leggi e del bene comune". Il distacco della mentalità greca comune ancora procedente nelle forme tipiche del mythisches Denken è molto netto in questi testi.

Le opinioni comuni sono quindi sottoposte ad una robusta rielaborazione, che le modifica molto dalla lo­ro forma originaria; i metodi della rielaborazione sono molteplici, e consistono nell'applicazione ad esse di un vocabolario e di una serie di schematismi concettuali lontani dal sapere comune e tipici della scuola (le di­stinzioni di materia-forma, potenza-atto, delle quattro cause e cos{ via) . La stessa determinazione delle carat­teristiche del sapere pratico, dal punto di vista del me­todo, ha una funzione pratica: il chiarimento della struttura dell'azione intenzionale" è perciò stesso una facilitazione a ,preparare e a sviluppare i processi decisionali". Ciò vuoi dire che, se noi sappiamo che il sapere pratico è un decidere con regole valide solo per lo più, un typo peri/abéin valido solo grosso modo, e da precisare caso per caso, non ci trovi�m� J?ella neces­sità di stabilire una regola esatta, una gmstificazwne .. gorosa, o di tentare di applicare rigidamente un �iste­ma etico-politico dogmaticamente inteso ad una Situa­zione che non è adatta a recepirlo.

La rielaborazione razionale dei principi pratici deve avere le due caratteristiche di mantenere il loro caratte-

44 Poi. I 2, 1252b 24-27. " Metaph. XII 8, 1074b 1-14. 46 G.E.M. ANSCOMBE, Intention, Oxford, Blackwell, 1966, 57 47 G. EVEN-GRANDBOULIAN, Le syllogisme pratique chez

te, in « Les études philosophiques » 1976, 57 sgg.

ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 1 1 3

re dialettico e aperto, legato alla doxa, da una parte, e di rendere razionalmente chiaro il ragionamento etico­politico. I metodi con i quali Aristotele opera possono essere evidenziati con due esempi: la teoria del giusto mezzo, e la dottrina economica aristotelica. Vediamoli entrambi.

Per cominciare colla dottrina del giusto mezzo, es­sa deriva dal pensiero di Platone e della prima Accade­mia, e viene solo modificata da Aristotele. Platone in­fatti affermava che, dovendo misurare delle realtà (an­che delle realtà etiche, come la quantità di coraggio e freddezza necessarie per comporre un animo valoroso) , si hanno a disposizione due metodi: o com­parare tra loro il più e il meno (cioè: il troppo e il trop­po poco), oppure confrontare entrambi con la giusta misura". I resti delle dottrine accademiche e i dialoghi del tardo Platone ci mostrano che questa giusta misura (vista graficamente come il punto centrale di un seg­mento agli estremi del quale stanno il troppo e il trop­po poco) è un qualcosa di esattamente determinabile, in quanto è il contrario dei due estremi, e questi a loro volta sono l'eccesso e quindi il male. Aristotele ripren­de la teoria della giusta misura o del 'giusto mezzo', proprio nel corso della ricerca dei principi pratici, in quanto il giusto mezzo, come termine del sillogismo pratico, è il fine particolare cui tende la nostra ragione e non, come comunemente si crede, lo strumento per raggiungere dei fini altrimenti stabiliti. Il giusto mezzo, · cioè, è da vedersi come una delle premesse del sillogi­smo pratico49•

Se il sapere pratico è il sapere scegliere il buon com­portamento in una data situazione, come tale esso è ri­ducibile in forme sillogistiche in cui la conclusione del

41 Politico, 283c 3 sgg. 49 W.W. FORTENBAUGH, tà pròs tò télos and syllogistic vocabulary in Aristotle's Ethics, " Phronesis >> X (1965) 181-201.

Page 57: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1 14 CARLO NATALI

ragionamento, che è direttamente un'azione, derivi da una finalità universale (es . : la salute è un bene, deside­rabile eccetera) e da un termine medio particolare, che collega il fine universale alla situazione concreta (per avere salute devo fare questo e questo). Ora, l'analisi della situazione concreta, per Aristotele, viene fatta anche attraverso la teoria del giusto mezzo: in una gamma di comportamenti, in cui si vada da un estremo (la vigliaccheria più totale) all'altro (la temerarietà più ' sfrenata) , la determinazione del giusto tipo di compor­tamento è la determinazione del giusto mezzo. E qui Aristotele mette l'accento su tutti gli elementi relativiz­zanti tale nozione: il giusto mezzo non è lo stesso per tutti, ma varia da persona a persona, da condizione so-

. ciale a condizione sociale, secondo i momenti storici, secondo le età ed altre mille condizioni. Esso cioè non può essere ritrovato facendo una media matematica a partire dagli estremi, e tale concetto è espresso con un esempio: se mangiare dieci mine di cibo è troppo, e due è troppo poco, non ne seguirà che mangiare sei mine di cibo sia la giusta misura per tutti; questo infatti è il me" dio rispetto agli estremi, non il giusto mezzo rispetto a noi". Il giusto mezzo rispetto a noi è variabile: se per un atleta in superallenamento mangiare sei mine sarà poco, per un convalescente sarà troppo. Il fatto che Aristotele qui citi due casi particolari (atleta e convale­scente) non vuoi dire che per lui ci sia una condizione normale e naturale assoluta, rispetto alla quale definire come deviazioni i casi particolari, cioè un giusto mezzo per natura, ma tende proprio ad escludere quest'idea di un criterio naturale assoluto distinto dal giusto dei casi particolari, perché esso sarebbe un bene per sé, non pratico e quindi non utile a dirigere il buon comporta­mento. Ciò vale anche per il campo politico: qui l'idea­le dello stato perfetto non è il termine di paragone con cui valutare tutti gli stati in modo rigido, né il fine èui deve tendere ogni azione politica: infatti non in tutte le

50 E.N. II 5 � 9. E usuale il confronto con de ve t. med. 9.

ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 1 15

situazioni si deve mirare allo stato perfetto, ma spesso si deve accontentarsi di un grado di approssimazione minore, migliorando quanto si può una condizione di cose esistente, la quale non sopporterebbe, per esem­pio, l'introduzione violenta di una costituzione ideale".

Aristotele mette in luce che, nei singoli casi, è diffi- ' cile coghere esattamente il giusto mezzo, ma che è pos­sibile avvicinarsi sufficientemente ad esso per compor­tarsi bene: e che il cogliere questo in ogni singola situa­zione concreta, non è un'operazione che venga fatta all'interno della scuola filosofica, con un qualche tipo di casistica, ma è compito della sensibilità morale (ài­sthesis) dell'individuo", éducare la quale è il solo com- J piro possibile per il filosofo. Per tornare al nostro pro­blema, di come Aristotele rielabori le opinioni popolari in maniera razionale per trarre da esse i principi della scienza pratica, vediamo che egli ha apprestato in que­s,to caso . uno schema logico abbastanza complesso, l oppos1Z!one tra contrari (eccesso-difetto) e giusta mi­sura (bene), stabilendo nel contempo delle tecniche con le quali determinare questa giusta misura in rela­zione alla situazione, con un minimo di dogmaticità ed il massimo di fairness"; il discepolo di Aristotele sarà quindi abituato, sia nei rapporti sociali che in politica, a ragionare in termini di giusto mezzo relativo alla si­tuazione,_ e trovare in ciò il termine medio del sillogi­smo pratico.

Un altro esempio può essere tratto dallo studio dell'economia aristotelica, come viene esposta in Politi­ca I: a questo proposito tuttavia è necessario fare una precisazione. Comunemente si ritiene che la .mentalità

" Poi. IV l , 1288b 13-19; IO 1295a 35-40. H K. v. FRITZ, The relevance of ancient social and politica l philoso­

phy /or our times, Berlin-New York, De Gruyter, 1974. 53 Un ritorno della fairness oggi, in un contesto neocontrattualista, in

]. RAWLS, A theory of justice,Cambridge (Mass.), Harvard Univ. Press 1971. '

Page 58: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1 1 6 CARLO NATALI

greca, e in generale quella antica, non avessero una particolare attenzione ai problemi dell'arricchimento e si contrappongono volentieri i comportamenti econo­mici moderni a quelli antichi, affermando che, mentre il mondo borghese-capitalistico ha come fine la valo­rizzazione del capitale, nel mondo antico i valori erano diversi, non si tendeva ad un arricchimento assoluto, ma ad una sorta di pareggio del bilancio, che permet­tesse al cittadino dotato di diritti politici di essere libe­ro dai bisogni della sopravvivenza economica, per par­tecipare alla vita della città e realizzarsi completamente in essa. A dire il vero tale quadro è abbastanza lontano dall'opinione greca comune, e riflette piuttosto le dot­trine dei filosofi antichi; non è detto che tutti coloro che vivevano nell'antichità fossero d'accordo con tali inviti filosofici alla moderazione". Lo stesso Cicerone, ad un certo punto del De officiis, dice che non c'è nulla di male ad arrichire quanto si può, se ciò non è di dan­no ai propri concittadini". Ci sono infatti tracce del fatto che, il primo e più diffuso significato dell'espres­sione téchne oikonomiké o epistéme oikonomiké fosse quello di dottrina che insegna i comportamenti da te­nere per procurarsi molto denaro", in accordo coll'at­teggiamento della popolazione comune in riferimento a questo problema.

Opere come i Forai di Senofonte, o l'allegato eco­nomico che doveva seguire l'orazione di Demostene sul problema delle entrate economiche di Atene, oggi per­duto, rientrano direttamente nella categoria della 'cre­matistica' o arte di acquistare beni, anche se di una cre­matistica della città e non della casa privata, dell'6ikos. Dello stesso genere è il libro II dell'Economico dello Ps.

54 M. l. FINLEY, L'economia degli antichi e dei moderni, tr. it. Roma� Bari, Laterza, 1974, 39.

·

5 0 De officiis I 8, 25. )6 E.N. I l , 1094a 6-9, vedi E. BARKER, Introduction, a: The politics

of Aristotle, Oxford, Clarendon Press, 19682, LVI; R. LAURENTI, Filo­demo e il pensiero economico degli epicurei, Milano, Cisalpino-Goliardica, 1973, 22-25.

ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 1 17

Aristotele e la trattazione di Aristotele, Politica I 1 1 . Testimonianze epigrafiche abbastanza tarde, a quanto pare, attestano all'inizio del periodo ellenistico un uso di 'economia' non solo come « management of a hou­sehold or family » 5 7 ma come « bilancio » della città" . Oecon. II, l , 1345b 1 1 -14, ammette esplicitamente, oltre alla oikonomia idiotiké o privata, anche una oi­kononia politiké o amministrazione della città. Secon­do noi è possibile trovare un concetto abbastanza va­sto e indifferenziato di 'economia' nelle opere del pe­riodo; quando Aristotele, in Politica l, attribuisce all'economia il ruolo di una delle tre scienze pratiche distinta si dall'etica e dalla politica ma in parte dipen: dente da esse dal punto di vista dei fini", indirizzata solo all'amministrazione della casa", opera una sem­plificazione e una razionalizzazione dell'uso corrente.

Il problema è quindi quello di vedere i criteri con cui il filos�fo_ opera tale razionalizzazione, perché ciò permette d1 nspondere alla questione posta da Haber­mas. Secondo noi non si tratta qui di applicare all'eco­nomia dei principi morali esterni, provenienti da altre sfere concettuali e legittimati da sanzioni di natura teo­logica o antropologia. Per questo Aristotele è lontano da quella che nell'età moderna si chiamerà dottrina so­ciale della Chiesa cattolica, e che si richiama a lui attra­verso il filtro del pensiero medioevale.

Aristotele prende piuttosto le mosse da una analisi finalistica del processo economico: stabilito che il fine dell'amministrazione familiare è il 'vivere' (e ciò in ac­cordo colle opinioni popolari), stabilito inoltre che il vivere bene" è il partecipare al possesso comune dei

$, M.l. FINLEY, in " Classica! Review , NS XX (1970), 316. 's I dati in L. MORETTI, L'economia. Finanze della polis, ill Storia e

civiltà dei Greci, a cura di R. BIANCHI BANDINELLI, Milano, Bompia­ni, 1977, VIli 350·351 . ' 9 E.E. I 8 , 1218b 12-15. 60 H. BONITZ, Index m·istotelicus, SOOb 19-34. 6 1 Poi. I 2, 1253a 30 sgg.

Page 59: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1 1 8 CARLO NATALI

valori etici della città (giustizia, virtù etiche e via dicen­do), cioè vivere attivamente in essa, da ciò viene fatto derivare un criterio interno di valore dell'attività eco­nomica, un parametro con cui giudicare i comporta� menti di questo tipo, attraverso l'applicazione dello schema concettuale 'fine-mezzo': si deve organizzare l'economia in modo da potersi dedicare alla vita politi­ca o agli studi liberali". Ciò costituisce una trasforma­zione ed una razionalizzazione delle opinioni popolari.

Si giunge in questo modo a dare una definizione particolare di ricchezza, valutativa e non puramente descrittiva, del tutto tipica della società greca, come la seguente:

la ricchezza è infatti una massa (pléthos) di stru­menti per la vita della familia e della città".

Essa è stata infatti criticata da J .S . Mill64, mentre Marx la prese come termine di paragone per costruire, a con­trariis, la propria definizione di ricchezza, colla quale il Capitale si inizia:

La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, si presenta come una 'immane raccolta di merci'65•

Che la definizione data 9a Aristotele, oltre ad essere ti­pica dell'economia antica, e quindi strutturalmente dif­ferente da quelle caratterizzanti l'economia moderna, sia anche una rielao'orazione filosofica delle opinioni popolari, è chiarito da Aristotele stesso, che afferma che l'opinione più diffusa è differente:

e infatti spesso si fa consistere la ricchezza· in una massa (pléthos) di denaro".

ma tale opinione ora non è piu accettabile, dopo che la ragione filosofica ha compiuto il suo lavoro di chiari­mento razionale dei rapporti tra ricchezza e città. Deve quindi venire criticata:

62 1255b 25 sgg. 63 I 8, 1256b 36. 6'' J .S. MILL, Principles of politica! economy. Preliminary "Yemarks. London 1948.

6" K. MARX, Il Capitale, tr. it. Roma, Editori Riuniti, 19743, 67._ 66 Poi. I 9, 1257b 9 .

E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 1 1 9

per questo si cerca una differente determinazione della ricchezza e dell'arte di procurare denaro, e la si cerca con ragione67•

La valutatività della definizione data da Aristotele con­siste nell'uso del termine drganon ( = strumento); con esso si riconosce una finalità razionale all'attività eco­nomica, finalità la quale non è presente né nella defini­zione di ricchezza data dall'opinione popolare, né in quella di ricchezza tipica del modo di produzione capi­talistico, sia nella versione di Mill che in quel!a, critica, di Marx, Valutando come strumento il denaro, Aristo­tele può criticare quelle persone che rovesciano il cor­retto rapporto fine-mezzi, e si dedicano ad accumulare uno strumento (il denaro) senza usar! o per il suo fine proprio, ma anzi rendono tutta la loro vita uno stru­mento per accumulare questo strumento".

La rielaborazione teorica· delle opinioni porta quin­di a posizioni filosofiche originali, Ciò può essere veri­ficato anche da un altro punto di vista, dicendo quanto segue: 1 . Aristotele nella Politica parte da opinioni diffuse

nella popolazione, ed accettabili da parte dell'udito­rio cui egli rivolge le proprie lezioni di politica; per esempio, tutti sono d'accordo nel dire che il fine del­la scienza politica è una vita buona";

2. si tratta perciò di stabilire cosa sia la vita buona. Ciò viene fatto analizzando i valori e i comportamenti umani, con schemi teorici come quelli che abbiamo visto prima.

3 . Ma parlando di economia, ci si trova di fronte ad un'altra opinione popolare, altrettanto diffusa, la quale tende a ridurre questa scienza alla ricerca dei mezzi di fare molto denaro (nel linguaggio di Aristo­tele: identificare economia e crematistica) . Le due

67 1257b 17-Ì9. 6 3 1258a 2 sgg. 69 E. N. l 4, 1095a 17 sgg.

Page 60: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1 20 CARLO NA TALI

opinioni, al vaglio di un� critica filosofica che si basi, per esempio, s:'l pnnCip!O d1 .non-contraddi­zione si rivelano 1mposs!blh da conCJhare; ma Ansto­tele ;veva tratto dall'opinione di partenza una teoria della natura della città, e quindi essa vale co�e cnteno con cui definire, se l'economia e la crematlstlca Siano la stessa cosa. 4 In conclusione: Aristotele procede in modo sostan-.

zialmente dialettico, e ciò consiste nel mettere in corto circuito tra loro opinioni diffuse ed accettate, mostrando come esse non siano immediatam,ente com possibili e quindi P,O?gano ur:' aporza .? pr6blema70• L'intervento ongmale del filosofo, g1a presente nel modo di organizzare il c_onfronto delle dòxai, è particolarmente ev1dente p01 ne! momento dell' euporéin, quando egh trov� la venta raztonal� che sottostà alle opiniom e permette d1 organizzarle".

Ciò corrisponde a passare dal sapere �m�;irico, le­gato al singolo caso, alla con?scenza dell umv�rsale e della causa (qui: il fine della �1cchezza). Per Ar�stotele ciò corrisponde anche a cap1re la natura dell econo­mia ed utilizzare tale natura per avere un cnteno valu­tati;o con cui regolarsi nelle questioni pratiche. In que­ste, però, come abbiamo già visto, ci vorrà un adatta� mento del criterio generale al caso, Sl':golo, e q�md1 una sua parziale modifica, dato che e d1fferente CIO che può essere stabilito liberamente, sul plano della teona, e ciò che è legato alle necessità dell'esperienza"� i modi dell'adattamento saranno da trovarsi usando : cnten del giusto mezzo, e la sensibilità morale, d1 cm abbia­mo già parlato.

Ancora: per Aristotele il prestito ad interesse è la

70 Poi. I 9. 1' E.E. I 6 inizio. n Pol. I 11 inizio.

ARISTOTELE E L'ORIGINE DELLA FILOSOFIA PRATICA 121

forma più innaturale e ingiusta di procurarsi denaro": ma non è detto che la condanna filosofica del prestito ad interesse sia considerata legittima dalla mentalità popolare del V e del IV secolo a.C. ad Atene74• Nelle Nuvole di Aristofane c'è un personaggio che sostiene che l'interesse per il denaro prestato è una cosa innatu­rale: se il mare, nello scorrere del tempo, non cresce neanche ·con l'afflusso di tanti fiumi, non è naturale che il denaro prestato, giorno dopo giorno e mese do­po mese, si accresca cogli inter�s�i75,; ma �al� per�on��­gio Strepsiade, che parla come 1 filosofi, e un mdivi­du� che, dopo avere frequentato a modo proprio la scuola di Socrate è diventato un creditore insolvente, un imbroglione pronto a sofisticare e che, per non pa­gare quello eh, deve, è capace di far apparire come mi­gliore il discorso peggiore.

La città non si riconosce nella razionalizzazione delle sue stesse opinioni, che il filosofo le propone; ciò ha l'effetto di limitare l'efficacia della 'filosofia pratica' aristotelica alla ristretta cerchia dei discepoli". Il fatto che una scuola filosofica voglia intervenire direttamen­te nella vita politica di un paese per migliorarla, sia pu­re attraverso le tecniche ermeneutiche, e questo tipo di sapere particolarmente adatto alla pratica politica, di cui Aristotele ha stabilito metodi e condizioni di fun­zionamento, non ha garantito mai, in nessun tempo, che l'intervento sia efficace o che l'importanza del ruo­lo storico effettivamente svolto dalla scuola nell'imme­diato sia pari all'impegno soggettivo. E ciò, sia per il fatto che la rielaborazione filosofica delle opinioni può immediatamente giungere a conclusioni opposte alla mentalità corrente, dando per esempio per 'natura del-

13 Pol. I 10, 1285b 1 sgg. 74 K.J. DOVER, Greek popular morality in the times of P lato and Ari­sto t/e, Berkeley, University of California Press, 1975, 1-5 e 57-58. 15 Nub. 1286-1295. 76 I. DÙRING, Aristotle in the ancient biographical tradition, G6te­

borg, Acta Univ. Gotobourgensis, 1957, 459 sgg.

Page 61: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

11.1 J: '

122 CARLO NATALI

le cose' quel fondo di mentalità aristocratica di cui la cultura greca non si sbarazzò mai nemmeno nell'Atene democratica del IV secolo 77, sia per la ragione opposta che, in un periodo di difficoltà e crisi come quello che segu{ alla caduta del governo di Demetrio di Falero", pur non avendosi la repentina crisi della p6lis di cui troppo facilmente si parla", si cominciarono a cercare sempre più quadri organici stabili, certezze, indicazio­ni precise su come comportarsi, e non difficili tecniche ermeneutiche della situazione,

Allora il metodo aristotelico, legato ad uno specifi- . co modo di affrontare i problemi della razionalità pra­tica, con un suo statuto epistemologico non dogmatico e non dotato della stessa certezza delle scienze mate­matiche, capace di deliberare anche tenendo conto del­le ragioni e della razionalità degli avversari, non sem­pre trovò la possibilità di essere accettato, e visse una millenaria vicenda di rinascite e di periodi di eclisse pressoché totale. ·

71 L. GERNET, Anthropologie de la Grèce ancienne, Paris, Maspero, 1976', 343.

15 E.R. DODDS, I Greci e l'irrazionale, tr. it. Firenze, La Nuova Italia, 1959, p. 277 sgg.

19 A. MOMIGLJANO, Terzo contributo alla stoda degli studi classici, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1966, 32 sgg.; M. ISNARDT PA­RENTE, in " Rivista Critica di Storia della Filosofia )> XXXIII (1978), 3 sgg.

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI

di Laura [seppi

l. La recente pubblicazione dell'edizione italiana del Behemoth' di Thomas Hobbes è motivo di nuovo o ri';lnova�o interesse per il libro in cui il filosofo inglese, gw m eta avanzata', affronta t! tema della guerra civile, che SI era conclusa circa otto anni prima con la restau­razione monarchica.

1 Ci riferiamo all'edizione del Behemoth curata e tradotta da Ono­frio Ni�as�ro, pubblicata nel 1979 dalla casa editrice Laterza, In seguito fa­remo nfenmento a questa edizione salvo differente indicazione .

. Per quant? riguarda il significato del nome Behemoth che compare nel tttoio, e pe_r il quale Hobbes non fornisce alcuna spiegazione, sono state formulate. v_ane interessanti ipotesi, quali queile avanzate, ad esempio, da R. MacG!liivray ( Thomas Hobbes's history of the english dvii war. A stu­dy of Behemoth, "Journai of the history of ideas", (1970), 186-187), da D. Bra un (Der sterbliche Gott oder Leviathan gegen Behemoth Ziirich 1963 196) o da C. Schmitt (Der Leviathan in der Staatslehre des Thomas Hob: bes. Sinn. und Fehlschlag eines politischen Symbo!s, Hamburg 1938, 33� 35f. Pa�tlcola�n:ente_ interes�an�e. quest'ultima in quanto Schmitt compie un �mpta anailSl stanca del stgmfrcato attribuito rispettivamente ai termini Levratano e Behe�noth (9_-45). Tuttavia, mentre sia MacGillivray che Bra un �oncordano nel ntenere il Behemoth la controparte negativa dc! Leviatano, m quanto starebbe a rappresentare la condizione di lotta e confusione rota­I: in cui_viene. a troyarsi io S_tato quando ai suo interno trionfano i moltepli­c� pote�t partlc'?lan c'?ntro d potere sovrano, Schmitt considera questi due s�mboh esp�essmne dr mere forze, queila dello Stato e queila del!a rivolu­z�one, che, m quan.to tali, sarebbero su un piano di parità, salvo un mag­gmr potere del Levratano, esprimentesi nella capacità di reprimere costan­temente al suo interno le forze del Behemoth.

• 1 Hobbes �te�,so �ffe�ma di aver s�ritto il Behemoth quando aveva quast ott�nta _anm, ( �cr�p�s.tt prae�ere�, _ctrca annum aetatis sua e octogesi­mum, Htstonam belh ctvths anghcam mter Regem Carolum primum et Parlamentum eius ... " (Thomae Hobbes Malmesburiensis vita, Authore seipso, Opera Latina I, ed. W. Mol�sworth, London 1966, XX).

Page 62: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

124 LAURA !SEPPI

Hobbes espone il risultato della sua riflessione sugli avvenimenti succedutisi in Inghilterra negh anm com­presi fra il 1 640 e il 1 660 nella forma di un dialogo fra due ipotetici personaggi: A. e B. 3 • . •

La scelta dello stile dialogico, usato anche m altn scritti, non si attua però, come potrebbe suppor�t, 1n una vivace discussione dt opposte o dlV�rgentr,optmo­ni; si tratta piuttosto di una espos!Zlone m �m l mterlo­cutore raramente contraddice le tesi enunctate, anzt ne aiuta e favorisce lo sviluppo attraverso apprornate do­mande. Il libro risulta cos( una lineare e contmua spte� gazione degli avvenimenti in cui i due personaggt espongono alternativamente concetti strettamente con-nessi fra loro. .

La decisione di trattare un argomento stor�co ndla forma del dialogo, che non trova sufficiente gmsttftca­zione sul piano stilistico, è stata mterpret�ta come un accorgimento che permett� ad Hobbes dt ns�rvarst una maggiore libertà d'espresswn�' , ma essa puo anche es­sere connessa ad una sostanztale modtftcazwne nd SI­gnificato dell'interesse hobbesiano per la stona, mte­resse che risale com'è noto, alla traduzwne della Sto­ria della guerra

' del Peloponneso di Tucidide. In questo caso il dialogo, consentendo di esprimere soprat;utto considerazioni sui fatti, costituirebbe la ·forma pm a�­propriata ad esporre un'interpretazione della guerra Cl­vile, quella che Hobbes elab�ra alla luce del�a prece­dente formulazione della teona della sovramta come è

3 MacGillivray ritiene si tratti di un dialogo con�epito nella forma del colloquio fra un professore ed uno studente (denotatt attra�erso le_ d�� lettere dell'alfabeto A e B), dei quali il primo sarebbe da �ons�derars1 J?IU strettamente associato ad Hobbes (Tho.mas . Hobbes s _htsto.ry" Clt., 179-180). Anche O. Nicastro nota come fra 1 due mterlocutort B: sta quel,� Io che fa da spalla" anche se "non è sempre confinato nel ruolo dt studente (Behemoth, introduzione cit., XXX). . � Sia MacGillivray che Nicastro concor�a�:w �el ntenere.che sp�sso Hobbes faccia esprimere al personaggio B. opmton� dalle 9uah prefensce . mantenere un certo distacco. (Thomas Hobbes's lnstory c1t., 180; Behe­moth, introd. cit., XXX).

h è l Anche MacGillivray rileva che l'intento di Hobbes nel Beh_ernot prevalentemente interpretativo e nota come questo libro possa formre mag-

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 125

trattata in modo particolarmente compiuto nel Levìa­tano·5

Per alcuni aspetti, Hobbes si attiene anche nel Be­hemoth a quelle caratteristiche che nell'introduzione alla Storia di Tucidide sono ritenute essenziali all'opera di uno storico, quali la necessità che egli si mantenga fedele al criterio dell'imparzialità rispetto agli argo­menti trattati, che sia sufficientemente competente su essi e che l'esposizione degli avvenimenti riproduca la loro effettiva successione cronologica 6 • L'importante elemento invece, per il quale Hobbes apprezza partico­larmente lo storiografo greco, il fatto cioè che "egli non fece mai uso di digressioni per fini istruttivi e al­trettante manifeste trasmissioni di precetti, (cosa, que­sta, che spetta al filosofo)"', rimane completamente estraneo al Behemoth. In quest'ultimo, al contrario, le 'digressioni' abbondano; Hobbes trae occasione da ogni avvenimento e consuetudine inglese per esporre le proprie concezioni sullo Stato e, in particolare indi­cando i principi ai quali dovrebbe ispirarsi l'insegna­mento universitario, riferisce le linee generali della sua ormai compiuta teoria politica'.

Il motivo di maggior interesse di questo testo infatti, secondo l'esplicita indicazione dello stesso autore ', deve essere ricercato, non tanto nella narrazione dei fatti, quanto nella loro interpretazione quale si può ricavare prestando attenzione alla scelta degli avvenimenti10,

giori indicazioni utili alla cono�ccn/;1 del pensiero di Hobbes, che notizie sulla guerra civile ( Thomas Hoblxs's cit. , 179, 182). 6 The History of the Grecian war written by Thucydides. Translated by Thomas Hobbes of Malmesbury, English Works, VIII, ed. W. Mo­lesworth, London 1966, introd. XXI, XXIV, XXV.

7 lvi, XXII. s Behemoth, 68. 9 Jvi, 54. ' " ln particolare la trattazione della politica della Chiesa di Roma, al­

la quale Hobbes dedica buona parte del primo dialogo, rimarrebbe non del tutto giustificata se non venisse letta alla luce del secondo libro del Leviata­no, soprattutto della parte dedicata al 'Regno delle tenebre', dove l'autore sviluppa la critica a tutte le dottrine superstiziose divulgate dalla Chiesa di Roma. Hobbes stesso avverte la necessità di spiegare nel Behemoth per quale ·motivo abbia inserito l'azione politica svolta dai papisti, il cui potere

Page 63: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

126 LAURA !SEPPI

all'indicazione delle cause che li hanno prodotti, alle considerazioni dei due protagonisti del dialogo, in altre parole, al significato della complessiva ·ricostruzione del periodo rivoluzionario. Anche nel Behemoth Hob: bes si attiene alla convinzione, formulata ner testi m cm espone la teoria politica, secondo cui la spiegazione di eventi storici implica inevitabilmente l'assunzione di un'interpretazione. Stabilito che, quando si espongono dei 'fatti', in realtà se ne offre un'elaborazione concet­tuale, riguardo alla guerra civile si pone per Hobbes l'alternativa fra un'interpretazione di parte degh avve­nimenti stessi, finalizzata a scopi estranei ad un'indagi­ne conoscitiva, e la ricerca disinteressata delle cause dei conflitti. In conformità a quest'ultima prospettrva, Hobbes sceglie, quale unica via utile per parlare della guerra civile, quel tipo d'interpretazione degli avveni­menti che richiede l'assunzione dèll'atteggramento scientifico proprio di chi analizza i fatti e ne ricerca le cause per collegare poi queste ultime in una connessiO­ne logica significativa 1 1 •

era notevolmente diminuito in Inghilterra dopo l'Atto di supremazia di En­rico VIII, fra le cause di guerra civile: "i papisti inglesi - egli spiega - sono stati considerati come uo:rpini cui in questo paese non dispiacerebbe alcun disordine, che potesse in qualche modo spianare la strada ad una restaur�­zione de\l'aùtorità papale. Perciò io li ho indicati come una delle malattre dello Stato inglese al tempo del nostro defunto re Carlo" (Behemoth, 26). ' ' Se, per Hobbes, è scienza "la conoscenza delle conseguenze e della dipendenza di un fatto da un altro" (Leviatano, trad. it. Bari 1974, p. 38), si può dire che nel Behemoth egli attui un tipo di "scienza storica", o come afferma F. Tònnies "forse la prima trattazione razionalistica della nuova storia nel senso che divenne più tardi popolare con Voltaire" (Hobbes Le­ben und Lehre, Stuttgart 1925, p. 50). È da-notare come Hobbes, anche in · questo atteggiamento metodologico, si stacchi nettamente . dalle pretes.e che, dal punto di vista storiografico, sostenevano le opere de1 contrattu�h­sti monarcomachi suoi contemporanei. Ci si può riferire, come esempto, all'indicazione di metodo espressa nelle V indiciae contra tyrannos dove l'autore sOstiene, secondo la sintesi di P. Mesnard, che "l'autorità dei libri sacri e delle testimonianze storiche fornirà i principi da cui il ragionamento deduttivo, ricaverà, more geometrico, tutte le necessarie c�nclusioni" (TI pensiero politico rinascimentale, I, a cu�a di L. _Firp_o, B�r� 1_963, ?29), oper.azionc q�est.a �sclusa da I:Iobbe_s,, per. t!_ qu.a!e t fatti stonCJ d� per se ��:m formscono pnnctpt ed anche l autorlta det hbn c sempre subordtnat� ali m­terpretazione degli stessi'. Ma la critica hobbesiana si estende ed è dtretta a

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 127

Ma questa impostazione si differenzia notevolmen­te dai mo.tivi ispira tori la traduzione di Tucidide; non vi è infatti più traccia delle convinzioni espresse da Hobbes in quell'occasione sulla natura e funzione della storia. Nel periodo di tempo che intercorre fra il suo originario interessamento ad un'opera di carattere sto­rico ed il personale impegno ad occuparsi di un argo­mento storico, Hobbes ha abbandonato completamen­te l'idea che la "natura - della storia - sia meramente narrativa"" ed anche l'atteggiamento morale incline ad attribuire ad essa una funzione educativa utile alla con­creta conduzione delle azioni umane. La convinzione che "la conoscenza delle azioni passate - possa -istruire e rendere capaci gli uomini . . . di agire con prudenza nel presente e con previdenza verso il futuro" ", lascia il po­sto all'amara considerazione del Behemoth dove Hob­bes, a proposito del comportamento, delle azioni e scelte degli inglesi, afferma: "Se voi pensate che le re­centi sventure abbiano reso il popolo più saggio, sap­piate che esse saranno presto dimenticate, e noi non sa­remo più saggi di prima"14 •

La problematica, connessa alla comprensione di quest'ultimo libro, risulta estranea e nuova rispetto al primo interessamento di Hobbes per la storia, quale è espresso nell'introduzione a Tucidide. Anche se si pos­sono notare da alcune considerazioni presenti in quest'ultima gli elementi che Hobbes sviluppa nelle opere successive1 ' , manca in essa l'apporto della poste, riore elaborazione teorica, decisiva invece per com-

tutti gli atteggiamenti di coloro che, nella pretesa di possedere la verità, magari per diretta ispirazione divina, si ritengono autorizzati a diffondere pubblicamente mere opinioni private e a sostenere, in nome di esse, il dirit� to di resistenza contro il sovrano istituito per patto.

12 The history of the Grecian war, VIII. 1 3 lvi VIJ 14 Behem;th, 47. 15 Come, per esempio, le considerazioni espresse a proposito del com­portamento del popolo, della refigione, della retorica ( The history of the Grecian war, rispettivamente XI, XV, XVI-XVII),

Page 64: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

128 LAURA !SEPPI

prendere il modo specifico in c1Ù �obbes affronta il problema storico della guerra c1V!le .

2. Nel Behemoth l'analisi hobbesiana mette in luc� come proprio le azioni di tutti i grupJ?i in lotta contro 1l potere sovrano, che intendevano 1spua:s� ad es�mp1 d1 comportamento osservati _ed approvati m altn o, tra­mandati da autorevoh hbn, avessero quale es1to l osti� lità e la guerra. Hobbes esamina come i cet1 mercant1h dei grandi centri c?mmerciali ispirassero la loro az1�?,� proprio all"esempw' della nbelhone nel Paes1 Bass1 , come gli aristocratici e "un numero ecceztonalrnente grande di uomini di più elevata condizione""av�ssero conseguito la loro formazwne culturale legg�ndo 1 c.�as� sici latini e greci, dai quah potevano trarre esempi d1 governi popolari e monarchie �iste; come, mfme, l

,�

lettura delle S. Scritture e la stona del popolo ebrmco diffondessero l'usanza, da parte dei preti predicato:i, di commentare pubblicamente i brani tratti dalle Scnt-ture stesse. . . Il risultato rivoluzionario delle azioni che si !Spira­vano a questi esempi non deve tuttavia� second? Hob­bes essere connesso alla lettura in sé de1 testi anstoteh­ci e' scolastici o alla conoscenza delle azioni compiute nel passato c�me tali, quanto piuttosto all'interpreta-

' 6 Di opinione completamente diversa è �nvece L. S�rauss; il qu.aJe a t: tribuisce particolare importanza, nell'elabor�zwne della fliosofta P?htt.ca dt Hobbes, al primo periodo della sua f�nmazwne_ cultur�le eh� �gh ch�ama 'umanistico', caratterizzato dal!o studw e traduziOne det classtct e dal

_! ade�

si o ne alla filosofia aristotelica, alla quale, secondo l'autore, Hobbes n�ase essemialmente fedele in tutte. le sue opere dall'introd?�Ìone alla t�adnnc;>ne di l w.:idide al Behemoth (Che cos'è la filosofia polttzca?, trad. �� UrblllO 1977. In particolare sulla 'Storia' cap. 8° e sul Beh�m?th cap. �

' ) . _

R. Schlatter, addirittura, partendo dalla convmzwne che la lettura di Tucidide da parte di Hobbes, costituisca per lui la conferma o forse la cristallizza!iione delle principali linee e di molti particolari del suo .stesso pensiero" (p. 362), esamina la teoria hobbesiana consid?�and?,

la dJ com� plcta derÌ\'<ll_ione tucididea (Thonws Hohhcs ,md Thucydtdes, Journal of the lmtory of ideas", V! ( 1 945), 350-362).

'7 Behemoth, 8. I S lvi, 7. · � lvi, 21.

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 129

zione soggettiva attraverso la quale venivano assunti ed utilizzati dagli individui che agivano nella guerra ci­vile.

Lo stesso motivo; che consiste nel riconoscimento della differenza fra l'azione e il fatto passati e la concet­tualizzazione di essi, attraverso cui 'soltanto l'uomo può farsene un'opinione e conoscerli, è presente in Hobbes sia come ragione della sua intenzione di non esporre, nella storia della guerra civile, una semplice 'narrazione' di 'puri fatti', sia come fondamento della sua convinzione che il valore degli exempla e la loro eventuale funzione educativa è inestricabilmente con­nessa alle molteplici interpretazioni di essi.

Ne consegue che le norme suggerite dalla 'pruden­za' sono totalmente inadeguate a guidare e indirizzare le azioni umane non solo perché derivano direttamente dall'esperienza e dalla memoria, quindi presentano un alto grado di incertezza, ma soprattutto perché si tro­vano ad avere a che fare con azioni che costituiscono la manifestazione esterna di opinioni particolari. La di­versità e molteplicità di queste ultime causano il falli­mento dell"esperienza' e delle regole prudenziali, cui dà origine il ricordo della successione degli avvenimen­ti passati, in relazione alla necessità di ordinare pacifi­camente il comportamento umano.

Rispetto a questo tipo di impostazione del proble­ma dell'agire dell'uomo, nella prefazione a Tucidide, Hobbes dimostra di essere legato ad una concezione; derivata dai suoi studi ancora prevalentemente umani­stici, in base alla quale le azioni umane venivano consi­derate fondamentalmente suscettibili di miglioramen­to, purché fosse scelto con accortezza il modo in cui compierle. ·

La successiva teorizzazione delle proposizioni sulla natura umana ed il corpo politico segnano una decisiva diversificazione nei confronti dell'impostazione umani­stica sopra indicata. L'analisi hobbesiana del 'senso' dell"immaginazione' e 'memoria', della 'formazione dei concetti' e delle 'passioni', quale è esposta nel

Page 65: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

130 LAURA !SEPPI

Leviatano" ed in modo più esteso negli Elementi di legge naturale e politica2 1 , conduce alla concluswn,e s�­condo cui l'azione esterna è sempre gmdata da un .opi­nione intorno agli scopi che si propone d� consegu,Jre e questi ultimi differisco�o per c�ascun mdlVId�o. L op1� nione è espressione qumd1, m ogm cas'.', d1 ':'teress1 particolari verso il soddisfacimento de1 quah dmge l'azione. . Si deve notare come quest'ultima operazione s1a re­sa possibile dal linguaggio, anzi dall'uso arbitrano ed assurdo dei nomi che si attua quando la loro Imposi: zione risponde piutto�t'.' all'esi�e:'za d1 soddisfare gh appetiti che alla necessita d1 sJgmfJcare correttamente 11 mondo esterno per acquistarne conoscenz�. Questo spiega quale fonte . di errori si� ?n� val;',taz:o.n� delle azioni umane che mtenda stab1hre v1rtu e VIZI sull� base delle opinioni soggettive quali si esprimono ne1 termini 'buono, cattivo, dispregevole', dal mo'?ento che "queste parole . . . sono usate sempre m relazwne a colui che le .dice, poiché non c'è nulla semplicemente ' " l ed assolutamente tale, e non c e nessuna rego a comu� ne per il bene e per il male, estratta dalla natura degh oggetti stessi'"'. Attraverso l'affermazwne del �al�re decisivo dell'opinione personale nel determl:'are l agtre dell'individuo Hobbes attua "la completa dtssoluzwne della gerarchi� aristotelica dei beni e la liquidazio�e di qualsiasi possibilità di formare una gerarchia umca e

l '"23 ugua e per tutti . . , . , Ne deriva che il problema dell'agire ben� non e pm risolvibile a livello della singola aZione mdJvJduale, che sarà comunque giusta per colui che la comp1e,. ma comporta la necessità di stabilire delle regole che s1ano riconosciute e rispettate da tutti.

20 Leviatano, c�p. I, II, III, VI. . . 2 1 Elementi di legge naturale e politica, trad. 1t. Ftrenze 1972, cap. I ,.

II, III, IV, VII, VIII, IX. -n Leviatano, 43. . · 1· · ll f' 2J C.A. VIANO, Analisi della vita emotiVa e tec�;ca po tftca ne a t�

fosofia di Hobbes, "Rivista critica di storia della filosofia , XVII (1962), 371.

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILJ 131

Il valore della prudenza come guida per l'individuo e il cittadino decade con il riconoscimento dell'impos­sibilità di realizzare una convivenza pacifica e giusta sulla base di una semplice modificazione delle azioni umane già date. E tolta completamente da Hobbes l'idea che esista una 'ragione pratica' in grado di orga­nizzare in modo armonico gli interessi particolari degli individui. L'unico momento, nella teoria hobbesiana, in cui la ragione sembrerebbe assumere carattere 'prati­co', è costituito dal suggerimento dato all'uomo di ri­nunciare all'esercizio dei suoi diritti naturali, attraver­so il patto, quale unica condizione per uscire dallo sta­to di natura. Anche in questo caso però il dettame della ragione ha un significato tutto negativo: esso invita a non fare, a non seguire nell'azione l'immediato appeti­to. Inoltre la sua indicazione è funzionale alla necessità di creare le condizioni in cui possa essere vissuta da ogni singolo la propria ·'razionalità' che e tutt'uno con la 'spiritualità' dal momento che i teoremi della ragione coincidono pienamente con i fondamenti della fede in­teriore che suggerisce di ricercare la giustizia e la pace24•

A questo fine, la considerazione delle azioni umane rivela che esse, come tali, non sono in nessuna misura ordinabili razionalmente poiché rinviano ad opinioni nelle quali non è rintracciabile alcun nucleo di raziona­lità. Per questo l'intento di stabilire regole con pretesa scientifica a partire dalle azioni umane e dalle opinioni" precipita rovinosamente in una serie di di, spute senza fine. Risulta infatti al massimo grado opi­nabile ed incerta la valutazione delle azioni "in base ad

24 Elementi, 211. Anche F, Atger nota come l'obbligazione impli­cata dal patto hobbesiano consista in "un'astensione e non una prestazione" {L'Histoire des doctrines du contrat social, Paris 1906, 171).

H Lo scopo cd il metodo aristotelico sono esattamente opposti a quel­li hobbesiani su questo punto. Aristotele infatti dichiara di svolgere la sua ricerca "non per sapere che cosa è la virtù - problema a cui invece Hobbes intende dare la soluzione - bensì per diventare buoni, altrimenti la sua utili­tà sarebbe nulla", per questo "è necessario esaminare, intorno alle azioni, come dobbiamo compierle" (Etica Nicomachea, trad. it. Bari 1973, 31).

Page 66: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1 32 LAURA !SEPPI

un criterio di mediocrità delle passioni umane" o "in base alle lodi che queste ricevono""; tali metodi non riescono a penetrare il mondo delle apparenze sensibi­li, anzi ne rimangono del tutto imbrigliati. Da questo ha origine la confusione primaria, fonte di ogni altra, quella di credere reale ciò che solamente appare, e por­re quindi a fondamento del proprio ragionamento me­re credenze.

La distinzione, operata da Hobbes, fra la natura umana scientificamente analizzabile in quanto agisce e reagisce attraverso il movimento, ed il comportamento degli uomini che si basa invece su opinioni particolari, positive o negative a seconda che l'azione prodotta da­gli oggetti esterni, cui vengono attribuite, sia vissuta come favorevole o sfavorevole, introduce una frattura insanabile sul piano naturale fra scienza ed azione. La differenza stabilita fra i due piani evidenzia l'inadegua­tezza ed improponibilità dell'idea che vi sia un'azione naturalmente ed intrinsecamente razionale, che possa gradualmente, esplicandola, condurre a -compimento la razionalità di cui è portatrice.

Hobbes dimostra nel Behemoth in quale modo i concetti assunti dalle dottrine che sostengono questa possibilità siano ormai privati di qualsiasi validità scientifica. Durante la guerra civile, i predicatori, da un lato, si servono della filosofia di Aristotele per farne "un ingrediente della religione'"', in modo tale da ri­durre quest'ultima ad "arte", mero artificio con cui le- · gittimare la difesa e propaganda di interessi particolari all'interno dello Stato'"; d'altro lato, la lettura dei clas­sici di parte aristocratica mette in evidenza ed esalta il concetto di monarchia mista, in base al quale viene ri­tenuta possibile e realizza bile la divisibilità della sovra­nità e la presenza di più poteri all'interno dello Stato. I presbiteriani, presumendo di poter illimitatamente dif-

26 Behemoth, 52. 27 lvi, 49. n lvi, 32, ·51.

- ---- -----

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 133

fondere le loro interpretazioni private della Bibbia, fa­voriscono, cosi facendo, il sorgere di innumerevoli al­tre sette che saranno la causa della Ioro stessa sconfitta29, i realisti, incapaci di assumere una posizio­ne chiara nei confronti del potere sovrano, favoriranno il graduale indebolirsi della posizione del Re durante la guerr3.30•

Tutte le parti interessate al conflitto dimostrano, secondo Hobbes, di non saper comprendere corretta­mente le cause della crisi del potere sovrano e dello svi­lupparsi di una condizione rivoluzionaria, e tantome­no, organizzare un'azione adeguata a tale situazione.

3 . La condizione di lotta radicalizzata e totale qua­le è quella della guerra civile rende pienamente manife­sto il fallimento dei concetti legati alla filosofia pratica, e della stessa idea che possa esistere ed essere operante una 'ragione pratica' che guidi l'uomo alla realizzazio­ne della virtù.

O. Brunner connette la crisi di questi concetti alla decadenza e graduale scomparsa di ambiti socio­comunitari naturali nei quali l'elemento 'sociale' e quel­lo 'politico' coesistevano indistinti in una organizzazio­ne di tipo 'signorile'. Questo genere particolare di asso­ciazione caratterizzerebbe i vari ambiti autonomi dota­ti di potestas che, a partire dal XI secolo circa' 1 , con­corrono a costituire lo Stato per ceti, ma avrebbe il suo modello nell'organizzazione nel più piccolo tipo di co­munita naturale costituito dalla famiglia, intesa secon­do l'ampio significato di "casa nel suo complesso" (das ganze Haus)".

Lo storico tedesco mette in luce inoltre come la componente 'signorile' che fonda l'unità interna di tali

29 lvi, 158. '0 lvi, 134. ' 1 Sull'origine dello Stato per ceti cfr. O. BRUNNER, Per una nuova

storia costituzionale e sociale, trad. it. Milano '1970, 134, W. NAF, Le­prime forme dello stato moderno nel basso Medioevo, in Lo stato moder­no, I, Bologna 1971, 51-68.

1 2 BRUNNER, Per una nuova storia cit., 134.

Page 67: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1 34 LAURA !SEPPI

ambiti sia da connettere ad una conceZione nobiliare che avrebbe origine nella cultura greca antica ed avreb­be continuato ad esercitare la sua influenza durante tutto il Medioevo fino all'Età Moderna attraverso la diffusione della dottrina aristotelica 33 •

Pur non volendo entrare in problemi di carattere specificamente storico, bisogna notare che, nell'Inghil­terra del '600, il processo di decandeza del ceto nobi­liare si trovava in una fase già notevolmente avanzata. L. Stone documenta ampiamente tale fenomeno per il secolo precedente la rivoluzione34•

Dall'analisi fin qui svolta, si è potuto notare come anche Hobbes metta in luce la fragilità interna dei con­cetti legati alla filosofia pratica e la loro incapacità a si­gnificare una situazione evidentemente mutata, rispet­to alla cond!Zlone nella quale si erano formati ed in funzione della quale avevano un senso. La stessa con­cezione hobbesiana dello stato naturale come condi­zione in cui agiscono singoli individui isolati segna la netta differenziazione ed estraneità di Hobbes rispetto alle teorizzazioni che si fondano su concetti connessi alla realtà storica di un mondo organizzato in signorie costituenti centri autonomi di potere.

Lo sforzo di Hobbes sembra vada proprio nella di­rezione di 'risignificare' quei termini che, in quanto le­gati alla concenzione di un mondo nobiliare ormai ma­nifestamente e profondamente in crisi, si rivelano stru­menti non più utili a conoscere il complesso mondo delle azioni umane. In questa prospettiva può esser esaminata l'analisi e la definizione che egli compie del termine 'nobìlità'.

La modificazione di tale concetto, che, come dimo­stra Brunn�r, aveva un ruolo centrale nella speculazio­�e anstotehca, comporta anche il mutamento di signi­ficato degh elementi che erano strettamente connessi ad esso, come la concezione del potere e della virtù.

33 lvi, 148*149. 34 L. STONE, La crisi dell'aristocrazia: l'Inghilterra da Elisabetta a

Cromwell, trad. it. Torino, 1972.

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 135

Che ad Hobbes appaia puramente arbitrario e non valido il legame ancora comunemente accettato e non sottoposto ad analisi fra nobilità, virtù e potere, conse­gue all'impossibilità di constatare la prerogativa del 'si­gnore', del 'nobile' consistente essenzialmente nella fa­coltà di "trasformare la sua conoscenza in azione"35• La crisi di questo tipo di concezione nobiliare è eviden­ziata da Hobbes nell'analisi e valutazione del ruolo svolto, durante la guerra civile, dai Lords inglesi· la nobiltà e piccola nobiltà, anche i più diretti consigÌieri del Re dimostrano di fallire completamente nel com­prer:dere la loro stessa posizione e funzione nella guer­ra civtle36• La consapevolezza da parte di Hobbes dello stato di dissoluzione del mondo signorile trova confer­n:'a �nche nella trattazione di specifici episodi; ci si può nfenre m particolare alle considerazioni espresse ri­guardo alla scelta del conte di Arundel", appartemente ad una delle più nobili e realiste famiglie, quale genera­le dell'esercito contro gli Scozzesi. Proprio perché effet­tuata in considerazione della sua nobilità e dei suoi ascendenti, piuttosto che della capacità e abilità perso­nali, tale decisione è per Hobbes frutto di una credenza e di un costume privi di qualsiasi fondamento raziona­le: "non è se non una stupida superstizione -egli afferma- sperare che Dio abbia assegnato il successo in guerra ad un nome o famiglia"". Hobbes considera scisso "lo stretto rapporto fra nobiltà e virtù . . . per cui solo l'uomo nobile possiede virtù"" proprio perché le . connessioni concettuali del tipo nobiltà-virtù-signoria

35 BRUNNER, Per una nuova storia cit., 148. 36 Behemoth, 40, 179 .

• J 7 Facciamo riferimento, in questo caso, alla diretta traduzione dal te­st? mglese del Behemoth. In��ti sia l'edizione Molesworth (Behemoth: the h.rstory of tl:e causes of the cw!l wars of England and the counsels and arti­

/te es by whrch they were carned o n from the ,year 1640 to the year 1660 �ondon 1966, 202), che quella. di F. Tònnies (Behemoth or the long Par� ltament, London 1969, 31) nportano la forma indicativa inglese had bee n, che nella traduzione italiana viene resa con la forma condizionale 'sa­rebbe stata' (Behemoth 37), la quale modifica il senso della frase.

H Behemoth, 37; cfr. anche Leviatano, 95. 39 BRUNNER, Per una nuova storia cit., 150-151.

Page 68: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

136 LAURA

si scontrano con una realtà che le smentisce aperta­mente.

Si impone così la necessità di stabilire cosa si debba intendere per 'nobiltà'. Nell'uso che Hobbes compie di questo termine e nel significato che attribuisce ad esso è evidente l'attuazione di una separazione fra i due ele­menti che nell'organizzazione signorile si presentano un�ti, _quello. della pote�tas � quello della naturale capa­cita d1 eserCitarla, che 1mphca Ii saper mantenere ordi­nate ed unite l'insieme delle relazioni umane esistenti all'interno di tale ambito.

In Hobbes il concetto di nobiltà perde qualsiasi ac­ceziOne morale; essa, nella forma visibile esterna con­siste in una serie di privilegi, misura del suo po;ere40• La virtù invece acquisisce un significato del tutto inte­riorizzat�, divent� l'intenzione, il movente per le azio­ni d1 ogni uomo gmsto, che non deve perciò essere ne­cessariamente nobile per titolo. Connessa al riconosci­mento di uno spazio interno, separato e diverso da quello esterno delle azioni, acquista valore anche l'enu­merazione della 'nobiltà' fra le 'facoltà dell'animo'41• Tale concetto viene nuovamente usato da Hobbes solo dopo e�sere stato privato dell'elemento del potere, ri­velatoSI ormai, nella forma della presenza in molteplici ambtti part1colan ali mterno dello Stato fonte di lotta e disordine anziché armonia e pace. Ma è solo all'inter­n? _dello Stato, dove il potere non è più legato all'eser­CIZIO di una signoria, ma si legittima sulla base del con­senso di tutti i sudditi, che il concetto di nobiltà viene recuperato da Hobbes attraverso l'attribuzione ad esso di un significato puramente interiore: essa è 'onore' nella forma della dignità conferita dal sovrano".

Si rivela così un non senso la pretesa della nobiltà e

40 Levi{ltano, 73. 41 lvi 71 41 lvi, 161. È da notare che Hobbes, escludendo dal concetto di

n?bilit� quello di potere, rifiuta, oltre che la concezione connessa ai privile­gi �el ttto

_l�, anche qu�lla legata allo sviluppo del ceto arricchitosi attraver­

so 1 tr�fflct comme.rcta_li; . cosi infatti afferma ne.\ B&bemoth (46): "Abiti eleganti, gran sfoggw dt pmme, cortesia nei confronti degli uomini che non

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 137

piccola nobiltà inglese di partecipare al potere, non so­lo perché la sovranità è indivisibile, ma perché unica­mente dalla sua presenza nello Stato deriva la condizio­ne di uomo nobile.

4. Il potere sovrano riveste così la funzione di unica fonte di giudizio morale, anzi ogni decisione sovrana è in quanto tale, morale. Questo tuttavia non perché "l� legge- sia mero-imperio, mandatum di colui che detie­ne il potere supremo"43 , ma in quanto deve, per Hob­bes, sempre intendersi connessa alla realizzazione del bene del popolo, della salus populi, attraverso la crea­zione di un regno di giustizia e pace. La legge civile o comando sovrano che all'interno dello stato stabilisce le azioni giuste fonda infatti la sua legittimità nel con­senso dal quale sorge lo Stato e nell'essere conforme all'equità, alla legge di natura che impegna la coscienza del sovrano anche se unicamente nei confronti di Dio44•

Si può osservare come il concetto di sovranità, alla quale Hobbes attribuisce il valore di presenza totale all'interno dello Stato in quanto unico elemento Jon­d�nte e vivificatore la società civile, riproponga in ter­mim completamente mutati e del tutto originali l'antica concezione dell'organismo - il cui paragone con lo Sta­to è spesso usato da Hobbes - che viene vivificato dall'anima 45 • Ma ciò che più importa notare è che nell'uso che Hobbes compie di questi concetti acquista un'importanza nuova l'accezione per cui·-essi vengono ad assumere un significato del tutto 'spiritualizzato' ed 'interiore'. E infatti l'affermazione dell'esistenza di uno spazio interno della coscienza, ritenuto "l'ambito dei teoremi della ragione e della vera fede, che determina

sono disposti a mandar giò le offese, e offese nei confronti degli altri que-sta è la virtò cavalleresca dei tempi nostri", '

" C SCHMI!T, La dittatura dalle origini dell'idea moderna di so­/T,/1111<1 <�Ila lotta dr classe prolcf<ma, trad. it. Roma-Bari 1975, 32.

�" l l'l'iatano, 298. . . " ' \ull'u-;o hobhc�iano del concetto di 'anima', paragonata al potere

cJ�lle nello Stato, cfr. Levwtano, 294, 568. _

user
Highlight
Page 69: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

138 LAURA !SEPPI

in Hobbes quella particolare concezione del potere so­vrano, per cui esso risulta connesso proprio all'intento di realizzare i dettami delle leggi di natura attraverso la neutralizzazione di ogni conflitto.

In tutte le teorizzazioni della sua idea di sovranità, Hobbes pone a fondamento della creazione dello Stato il 'patto' inteso come elemento che "presuppone la fi­ducia"". L'attenzione al significato del contratto nella teoria hobbesiana è di particolare importanza se si con­sidera che anche nel Behemoth Hobbes non auspica mai la vittoria del gruppo più forte quale mezzo per ot­tenere la pace". In questo caso l'avvento della società giusta e pacifica non sarebbe altro che l'esito finale del­la lotta di opposti partiti che difendono i loro interessi. Al contrario egli fa riferimento sempre al mancato ri­conoscimento, da parte dei sudditi, del legittimo pote­re sovrano quale causa di guerra civile, e fa appello ad una adeguata conoscenza dell'origine e natura della so­vranità come unico mezzo che dovrebbe scongiurare ogni conflitto".

E così l'importanza della ragione che viene affer-

46 Elementi, 188 . , 41 Non ci sembrano cogliere il senso autentico della posizione di Ho h­

bes nei confronti della guerra civile inglese le interpretazioni che mirano ad identificarla con quella di un gruppo particolare interessato al conflitto. J. Lips, ad esempio, individua una reale corripondenza della teoria hobbesia­na, soprattutto quale è esposta nel Leviatano, sia al programma ed all'azio­ne politica, che alle posizioni teologiche del gruppo indipendente moderato intorno a Cromwell (Die Stel!Unfi des Thomas Hobbes zu den politischen Parteien der groj5en englischen Revolution. Mit einer EinfUhrung von F. Tònnies, Leipzig 1927, 46, 48, 56-62, 71-75). MacGillivray (Thomas Hobbes's history cit . , 195) e Schlatter (Thomas Hobbes and Thuc:ydjdes cit., 359) identificano invece la posizione di Hobbes nel Behemoth con quella dei realisti,

Ci sembra rispecchi una maggiore adesione al pensiero hobbesiano la p�sizione di J .. Plamenatz, il quale, riconosciuta l'influenza ed il peso deter­mmante esercitato su esso dalla situazione inglese, afferma che "la fonda­mentale posizione - di Hobbes - rip;uardo alb guerra civile era differente da quella di entrambi i partiti" (Man aJI{/ Society, l, Lmi.don 1974, 116) .

4 8 Hobbes auspica infatti una educazione alla 'vera politica' ed alla 'vera religione', in modo tale che "una volra che le università siano state or­dina t: in questo modo, ne verranno fuori predicatori dai sani principi; e quellt che orn hanno principi non buoni se ne terranno sempre lontani" (Be­hemoth, 68),

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 13 9

mata nel patto concepito come il momentò in cui la creazione delle condizioni, nelle quali le leggi di natura possono tradursi in pratica, segna il passaggio alla so­cietà civile. Lo spazio riconosciuto, nell'istituzione del­lo Stato artificiale, alla previsione, al calcolo, al ruolo della ragione nell'individuare la condizione che sola permette all'uomo di conseguire il suo vero interesse, è tale che il patto rappresenta la decisione maturata dalla considerazione razionale dei danni e pericoli derivanti dalla condizione naturale. Questo atto volontario è considerato 'necessario' da Hobbes in quanto unico mezzo per uscire dalla condizione naturale di totale in­sicurezza. Bisogna notare però che il carattere della 'necessità' gli deriva unicamente dall'essere la soluzione suggerita dalla ragione, la facoltà che perviene a risul­tati determinati solo in base a corrette connessioni di cause. La scelta, che si afferma nel patto, è quindi ne­cessaria in quanto espressione della forza necessitante del ragionamento scientifico". Ciò non toglie che, in quanto decisione consapevole dei singoli di abbando­nare i diritti naturali, essa implichi quel tipo di convin­zione che la rende autenticamente scelta ed in questo senso 'libera'. Che questi due aspetti apparentemente contrastanti, la necessità e la libertà possano per Hob­bes entrambi essere presenti nella creazione dello Sta­to, si spiega con il fatto che la libertà di cui egli parla non è quella di agire o non agire, ma la libertà interiore della coscienza che deve essere tutta presente al mo­mento del patto perché questo abbia un senso, e deve · determinarsi a scegliere con piena convinzione l'istitu­zione della sovranità. L'aspetto vincolante del patto che riguarda ogni singolo individuo e tutti contempo­raneamente pnò derivare unicamente da un impegno

49 "Le azioni, che gli uomini volontariamente fanno . . . poiché proce­dono dal loro volere, procedono dalla libertà, eppure, poiché ogni atto, ogni desiderio ed ogni inclinazione umana procedono da qualche causa, e questa da un'altra causa, in una catena continua - il cui primo anello è nella mano di Dio, prima di tutte le cause -, perciò procedono dalla necessità" (Leviatano, 186) .

Page 70: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

140 LAURA !SEPPI

assunto e partecipato dalla coscienza; solo quest'ambi- . to, che per sua natura non conosce costrizione, può ga­rantire la fedeltà e l'osservanza completa di esso.

Risulta così essenziale al rapporto di fiducia, che si viene ad instaurare con la cessione dei diritti naturali, la presenza in prima persona del singolo individuo; so­lo quest'ultimo può adeguatamente rappresentare se stesso ed obbligare la propria coscienza. E questo, ci sembra, il significato dell'individualismo hobbesiano, alla luce del quale va vista anche la particolare conce­zione del contratto ad esso connessa.

Il patto è concepito come vincolante per gli indivi­dui in virtù dell'accettazione stessa, cioè della manife­stazione della volontà di rinunciare ai loro diritti natu­rali ed obbedire alla sovranità. Questo atto volontario non è altro che espressione della fiducia concessa da ognuno a tutti gli altri, e da tutti singolarmente nella persona pubblica del sovrano. E secondo queste moda­lità che esso crea non semplice associazione o somma di individui, ma "reale unificazione di tutti quelli in una sola e medesima persona"". La decisione, con la quale ognuno afferma ed accetta la necessità di una unione convenzionale nella persona del pubbhco rap­presentante dello Stato, riveste cosi il significato di pri­mo atto veramente creativo, attraverso il quale gli uo­mini diventano finalmente autori della loro condizio­ne. La sottomissione totale al giudizio sovrano, che procede dalla rinuncia ad avvalersi dei diritti naturali, non ha il significato, per Hobbes, di una sopportazio­ne passiva delle decisioni sovrane; il suddito, dopo il momento del patto, diventa vero autore delle sue azio­ni, ognuno continua a riconoscersi "autore di qualun­que cosa colui, che così li rappresenta, possa fare o ca­gionare in quelle cose, che concernono la pace e la sal­vezza comune" 5 1 • Solo in questo modo l'autorità sovra­na rappresenta le parole e le azioni del popolo "vera-

�o lvi, 151. 5 1 [/;i, 151.

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE CUERRE CJVJLJ 141

mente"", e non ha più alcun significato proporre. la concezione di una sottomissione involontana o passrva alle leggi "poiché nessuna aZione involontaria può esse-. Il l "" re considerata come un sottomettersi a a egge .

La manifestazione di fede, e la certezza che la pre­senza della sovranità assicura, di poter costantemente piegare la volontà dei singoli ad attenersi alla fiducia prestata nel rispetto della loro retta cosCienza, rende ogni individuo, in quanto autore dello Stato, anche re­sponsabile della sua esistenza. . , .

L'inscindibile unità di popolo e sovrano cm da on­gine il patto hobbesiano rende impensabile la possibili­tà di opporre resistenza al sovrano IStituito. Hobbes supera cosf, attraverso la sua specrfrca concezrone del contratto ogni dualismo fra popolo e sovrano. Il con­cetto di 'popolo' ha significato :'?itario solo qu.ando ognuno si riconosce nella sovramta attravers'? rl nspet­to delle sue leggi, e quest'ultima è tale solo m qu�nto espressione della volontà di giustizia e pace dr tutti gh individui che l'hanno istituita.

La problematica connessa alle modalità secondo le quali concretamente deve avvemre rl patto ed allo sta­bilimento dei tipi di diritti-doveri che devono regolare il rapporto sudditi-sovrano, che occupa gran parte del­le teorizzazioni dei contrattualisti monarcomachi54, perde per Hobbes ogni valore.

Sovrano e popolo non sono, per il filosofo inglese, due entità poste l'una di fronte all'a� tra, i c?i rapporti siano resi problematrci a causa d1 un IrnduCibrle oppo­sizione. Al contrario all'atto dell'istituzione dello sta­to la distinzione e differenza fra i due termini si dissol­ve' nel concetto hobbesiano di 'sovranità', che è simbo­lo dell'unione di ognuno con tutti gli altri nella persona del pubblico rappresentante. , E la qualità tutta interiore ed ,assol'7ta della 'fede , la cui presenza m ogm smgolo e nch1esta dal patto

" lvi 141 53 Behemo"-th, 60. . . 0 54 Sull'argomento cfr. Atger, L'Histoire des doctnnes Clt,, cap. III .

user
Highlight
user
Highlight
user
Sticky Note
LA DISTINZIONE FRA SOVRANO E POPOLO SCOMPARE
Page 71: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1 42 LAURA !SEPPI

hobbesiano, a determinare il carattere unilaterale del contratto rispetto alla sovranità che viene istituita. Non vi è infatti patto fra popolo e sovrano"; non in te" ressa ad Hobbes stabilire da quale persona particolare e come, in ogni circostanza concreta, debba essere esercitato il potere, in quanto non esiste di fronte a quest'ultimo un popolo, inteso come universitas già precostituita al sorgere dello Stato, che rappresenti la controparte cui il sovrano debba rendere conto. Al contrario importa ad Hobbes stabilire che l'abbando­no dei diritti naturali e la 'fede' nel pubblico rappresen­tante da parte dei singoli deve essere totale. In questo modo solo il 'popolo' viene interamente caricato di tut­ta la responsabilità in caso di crisi del potere sovrano.

D'altra parte come 'popolo' propriamente non esi­ste in assenza della sovranità. Manca completamente in Hobbes l'idea di popolo inteso come Corpus, costi­tuente un insieme unitario, anèhe se articolato in asso­ciazioni, che sia unico e vero portatore di autorità e potere". La potestas che, ad esempio, per Althusius inerisce al popolo, costituisce in qualche modo "l'ani­ma di questo corpo"", per Hobbes, deve essere istitui­ta in quanto prima della creazione della sovranità non si dà corpo unitario ma moltitudine di persone partico­lari che, come tali, non possono appellarsi ad alcuna pretesa di diritto comune per sottrarsi all'assolvimento del contratto. Ne deriva che l'affermazione del diritto di resistenza contro il sovrano istutuito per patto, sia

55 Per una trattazione della differente concezione del patto in Hobbes e nei contrattualisti puritani, cfr. W. FORSTER, (Thomas Hobbes und der Puritanismus vor 1640, "Hobbes-Forschungen", Berlin 1969, 77-90), il quale riconosce il carattere ed il ruolo particolare dell'elemento della 'fe­de' in Hobbes dove afferma che "questo tipo di 'fid'1ç:ia' è in contrasto con !a definizione puritana, perché non permette alcun diritto di resistenza" (H l ); inoltr'e, per un'analisi del differente significato del 'patto' hobbesiano ri'ipetto alle esigenze cui risponde il patto di signorÌ;l dei monarcomachi,

· cfr. W. NAF, Staat und StaéJtsgedanke, Bern 1953, 116� 1 1 8 , ed anche O. \'O Il GIERK E, (,'iouanui Alt/msius e lo Sl'ilupjm storico de/h• teorie poli� fiche giuslwturalistiche, trad. it. Torino 1974.

5 6 ATGER, L'Histoire des doctrines cit., 125. 5 1 lvi, 125.

HOBBES ED IL PROBLEMA STORICO DELLE GUERRE CIVILI 143

che si esprima nella forma dell'opposizione dichiarata e attiva sia in quella cosiddetta, passiva'" è espressione della �olontà di inf;angere la fede nell'unico rappresen­tante pubblico, ed, in quanto tale, è azione pr�fonda­mente ingiusta. Dal momento che per Hobbes Il sovra­no non è il semplice magistrato delegato a rappresenta­re la volontà popolare, ma costituisce, attrav�rso le sue decisioni, questa stessa volontà, opporgh resistenza SI­gnifica porsi al di fuori del popolo e diventare nemico di esso. . Analizzata da questa prospettiva, l'azione �rgamz­zata durante la guerra civile, dai gruppi osnh al Re, che �irano in sostanza a rivendicare a sé parti essen­ziali della sovranità, si connota come espressione della volontà di infrangere la fiducia nel sovrano che doveva supporsi istituito per consenso, gi��ché si ,rit�neva .che quello avesse acqUISito la sovramta m v1rtu d1 un dmt� to di discendenza di oltre seicento anm e soprattutto SI preoccupasse unicamente di ass.olvere. i�

, suo . dovere

verso Dio governando bene 1 sum sudditi . , e dimostra l'ignoranza degli inglesi circa l'antica ongme dello sta­to ed il loro ruolo in essa. Nell'Inghilterra della guerra civile Carlo J D costituisce infatti, per Hobbes, la rap­prese�tazione visibile della persona politica del sovr�­no, l'unico legittimo rappresentante dello stato propno perché "ilpopolo, agendo per conto suo e dei suoi er�­di col suo consenso e con 1 gmramentl, ha collocato Il p�tere supremo della nazione nelle mani dei re, per lo­ro e i loro eredi· e di conseguenza, ha collocato Il po­tere supremo n eh e' mani di questo re, suo noto e legitti-mo sovrano"60• ·

Come nella concezione del potere sovrano, così in quella del patto che ne sta a fondamento, Hobbes teo-

H Per la trattazione del diritto di resistenza contro il sovrano afferma­- to Della for�a della resistenza passiva, cfr. Behemoth, 56-61.

59 lvi, 5-6. 6 0 lvi, 176.

Page 72: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

144 LAURA !SEPPI

rizza concetti del tutto particolari che si distinguono per la comune caratteristica di non costituire in nessun modo l'indicazione per la 'produzione' di concrete isti­tuzioni di governo.

Se, da un lato, il problema della filosofia politica in Hobbes non riguarda più "la prassi, la giusta condotta di vita" come rileva Hennis, la creazione dello Stato non può pero, neppure identificarsi con una produzio­ne di tipo 'poietico', secondo quanto propone lo stesso autore". l singoli, per Hobbes, sono creatori dello Sta­to non perché agiscano in qualche modo per 'produrlo' o ne promuovano, per esempio, la realizzazione dell'ordinamento costituzionale, ma solo in quanto rie­scano ad abbandonare i diritti naturali e a prestar fede costantemente nella persona sovrana. Il fondamento della concezione del potere sovrano consiste infatti nell'impiego interiore, che si manifesta nel patto, a ri­conoscere in ogni momento la sovranità. In essa i citta­dini si identificano come soggetti portatori di retta ra­gione e vera fede, in quanto nel sovrano e nelle sue leg­gi, nella realizzazione quindi di una società civile giusta e pacifica si rende realmente visibile e manifesta la pre­senza dello spirito in terra e la verità che 'Gesù è il Cri­sto'", attraverso l'unico legittimo rappresentante di Dio63•

6 1 W. HENNIS, Politik und praktische Philosophie, Neuwied am Rhein und Berlin 1963, 49. 6 2 "Che Gesù è il Cristo, that Jesus js_tf?fr;Christ, Hobbes ha spesso ed energidmèriie ·affermato. Questa frase è per liti non solo una confessione soggettiva, al contrario anche un asse del concettuale sistema di pensiero della sua teologia politica" (C .. SCHMITT, Die vollendete Reformation, "Der Staat'', 4 (1965), 52).

63 Sulla fine di Carlo JO Hobbes esclama: "e quali crimini maggiori che l'oltraggiare ed uccidere l'Unto del Signore, come avvenne per mano degli indipendenti ma a causa della follia e del primo tradimento dei Presbi­teriani, che tradirono e vendettero il re ai suoi assassini" (Behemoth, 179).

NORMA TIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA

di Claudio Pacchiani

1 . Karl Mannheim ha sostenuto in Ideologia ed Utopia come uno dei compiti fondamentali della socio­logia del sapere sia quello di spiegare le ragioni per le quali interi sistemi gnoseologici si sviluppino al punto da diventare dominanti in una certa epoca, per poi scomparire quasi del tutto senza lasciare traccia di se stessi 1• L'analisi cui viene affidata la funzione di fornire una risposta a questo tipo di questioni, dovrebbe con­sistere nel porre in relazione le forme culturali che si af­fermano in un determinato tempo ed in un determina­to luogo, con l'assetto generale della società in cui tale sviluppo si compie. Una conoscenza che fosse andata abbastanza avanti su questa via ci permetterebbe, se­condo Mannheim, di comprendere da un lato i motivi per i quali solo in epoca recente si sono formate scienze come l'economia e la sociologia, e dall'altro di spiegare perché lo stesso processo non si è verificato per quanto riguarda la politica.

Esistono certo delle discipline come la storia delle istituzioni, lo studio delle relazioni sociali e delle tradi­zioni di un determinato paese, da cui si ricavano delle nozioni che possono essere utili per chi esercita la pro­fessione della politica. Ma tutte queste, assunte nel lo­ro insieme, non costituiscono al tempo stesso la scien-

K. MANNHEIM, Ideologia e utopia, trad. it. Bologna 19683, 109 e segg.

Page 73: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

146 CLAUDIO PACCHIANI

za della politica; la loro funzione può essere eventual­mente quella di forme di conoscenza di tipo sussidia­rio. Ciò che caratterizza questo tipo di discipline è in­fatti la loro essenziale staticità, nel senso che esse si in­teressano della società e dello Stato solo in quanto ap­paiono come i prodotti finali di uno sviluppo storico già conclusosi. Connotazione propria della reale prassi politica, intesa nel suo aspetto dinamico, è invece l'in­teresse per la società e per lo Stato nel loro nascere e nel loro attuale costituirsi.

Da ciò appare evidente, per Mannheim, che non è sufficiente per sostenere l'esistenza della scienza della politica e della sua insegnabilità, limitarsi ad una sem­plice somma di nozioni utili per l'azione di un leader politico o di un uomo di partito. Piuttosto egli sembra ritenere che la scienza politica sia, nella sua essenza, proprio qualcosa di simile ad una teoria della prassi politica concreta, sia tesa cioè, più che verso le istitu­zioni passate o esistenti, verso la progettazione di un comportamento pratico futuro, che essa deve essere in grado di indirizzare secondo certe norme stabilite. Che una scienza di questo tipo non sia ancora nata, è per Mannheim un dato di fatto talmente evidente da non richiedere neppure dimostrazione. · In effetti, soprattutto a partire dagli anni cinquan-ta, sono diventati sempre più numerosi quegli autori che hanno evidenziato le difficoltà di fondo in cui si di­batte la scienza politica contemporanea. Sono trascorsi circa trent'anni infatti da quando, in un volume pub­blicato a cura dell'UNESCO, ed intitolato La science politique contemporaine', vennero raccolti i risultati di un'inchiesta sullo stato degli studi e degli orientamenti della scienza politica in un gran numero di paesi, sia europei che extraeuropei. L'impressione che si riceve scorrendo l'opera è quella di una notevole diversità di posizioni, sia per quanto attiene ai fini che per la meto-

• AA. VV., La science politique contemporaine, Contribution à la recherce, la méthode et l'einseignement, Liège 1950.

NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 147

dologia della disciplina. Sembra quasi che questa sia a tal punto poco sicura del suo oggetto e del suo metodo che difficilmente le si possa riconoscere un fondamento certo ed una definizione univoca. Ciò è confermato dal ·· fatto che . proprio tra i maggiori rappresentanti degli studi di politica nell'ambito della cultura contempora­nea c'è chi, per motivi diversi, pensa addirittura che la moderna teoria politica si trovi in un momento di fata­le e forse irreversibile decadenza (L. Strauss, H. Dom­bois, O.K. Flechtheim, W. Hennis, P.V. Oertzen)' . C. Schmitt poi, soprattutto in uno scritto del 1930, Staats­ethik und pluralistischer Staat', sembra ritenere che tutti gli errori sull'essenza dello Stato e della politica di­pendano dal fatto che si insiste nell'affermare l'esisten­za di una realtà propriamente politica accanto ad altre sfere. Che il politico non abbia alcuna sostanza sua propria, che esso non indichi alcun ambito di oggetti suo particolare, appare qui come il criterio proprio del­la sua definizione.

Più cautamente J. Maynaud sostiene che i margini di discussione che esistono di fatto tra i cultori della scienza politica non sono così ampi da non permettere l'individuazione di un ambito proprio della politica in quanto tale'. Di fatto però lo stesso Maynaud non si ri­tiene in grado di offrire una definizione dell'oggetto e delle finalità proprie della disciplina, in modo tale che sia possibile fornire una rigorosa delimitazione. Ciò che a suo modo di vedere è possibile fare, non è altro che enumerare quello che di fatto studiano ed insegna­no i suoi cultori in un determinato momento storico. Del resto per il Maynaud tutti i tentativi compiuti negli

3 Di L. Strauss cfr. Che cos'è la filosofia politica?, trad. it. Urbino 1977; di H . Dombois, Strukturelle Staatslehre, Berlin 1 952, 5; di O.K. FICcFith'eÌm, érundlegung der po!itischen Wissi?nschaft, Meisenheim a <ìj,\. 1958, vol. VI, 97; di W. Hennis, Politik und praktis�he Phi!o:Sophie, Neu­wied am Rhein und Berlìn 1963; di P. von Oertzen, Uberlegungen zur Stel­lung der Politik unter der Sozialwissenschaften, in Politologie und Soziolo­gie, Kòln und Opladen 1965.

4 "Kantstudien", 35 (1930), 28-42. ]. MEYNAUD, Introduction a la science politique, Paris 1959,

l J.12.

Page 74: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

148 CLAUDIO PACCHIANI

ultimi anni per stabilire in maniera univoca l'oggetto proprio della scienza politica non hanno avuto altro

· esito che quello di confermare l'eterogeneità dei punti di vista che esiste in questo settore'. Su di un punto, egli osserva, sembrerebbe essere d'accordo tuttavia al­meno la maggior parte dei cultori della disciplina. Sul fatto cioè di ritenere che solo in epoca recente la scien­za politica si è venuta separando e quindi rendendo au­tonoma nei confronti della pura speculazione da un la­to, e dall'altro dal semplice studio storico dei fenomeni politici. Si può dire infatti che fino a non molto tempo fa il teorico della politica non ha voluto rinunziare a proporre dei giudizi e delle direttive utili al comporta­mento pratico, muovendosi così tra i due poli opposti delle prescrizioni morali e della pura e semplice esplica­zione positiva dei dati.

2. L'esistenza di una netta linea di demarcazione tra una 'preistoria' della scienza politica ed un'epoca nella quale essa avrebbe invece raggiunto un suo auto­nomo statuto di scientificità, è sostenuta con decisione da quegli autori che, come M. Duverger, non mettono neppure in discussione come la progressiva acquisizio­ne di una prassi di ricerca sempre più rigorosamente scientifica, vada di pari passo con la liberazione dall'impostazione e dai problemi di quella che, in con­trapposizione alla scienza, viene definita come la filo­sofia sociale'. Nell'epoca 'prescientifica' il fine del ri­cercatore sarebbe stato, secondo Duverger, quello di indicare il modo in cui una determinata formazione so­ciale doveva essere organizzata, più che quello di esa- · minare la maniera in cui effettivamente quella sì era co­stituita. La filosofia sociale avrebbe così per secoli so­verchiato la scienza sociale: ancora in tutto il settecen­to sarebbe irrilevante "il numero degli autori che han-

6 lvi, 13. 7 M. DUVERGER, I metodi delle scienze sociali, trad. it. Milano

1963, 1 8 e segg.; cfr. dello stesso Introduzione alla politica, trad. it.-Bari 1966.

-, :

i '

NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 149

no fatto prevalere il punto di vista scientifico su quello filosofico"'. Nell'era 'premoderna' della teoria sociale, il fine ultimo dell'indagine sarebbe stato quello di indi­care i "principi di una organizzazione ideale"; solo in forma subordinata, e come condizione per porre le premesse per il raggiungimento di quella finalità, ci si sarebbe anche preoccupati di esaminare il funziona­mento delle organizzazioni politiche realmente esistenti.

Certo, anche nel primo stadio delle ricerche sociali vi sarebbero state comunque delle indagini a carattere scientifico. Tuttavia i risultati sarebbero stati per Du­verger assai ridotti se raffrontati alla quantità predomi­nante di indicazioni a carattere normativa. Poiché so­no sempre queste ultime che alla fine hanno finito per orientare l'azione dello studioso e per decidere dei suoi intenti finali, si deve affermare "che le prime teorie scientifiche sono il riflesso di dottrine metafisiche e morali e di posizioni aprioristiche"'.

La convinzione che solo nell'epoca moderna gli stu­di di politica abbiano raggiunto un effettivo livello di scientificità e si siano sostituiti ad un orientamento so­stanzialmente filosofico e prescientifico, sta alla base anche della policy sciences cos{ come la concepiscono negli Stati Uniti Harold Lasswell e la sua scuola''. An­che secondo il punto di vista di Lasswell è necessario innanzitutto distinguere tra quelle opere che formula­no proposizioni e principi di dottrina politica e quelle che si riferiscono invece più precisamente alla scienza politica. Un lavoro scientifico nel campo della ricerca politica esamina ciò che lo Stato e la società sono di fatto e non ha la pretesa di indicare ciò che dovrebbero essere. Ciò che garantisce infatti la scientificità dei pro­cedimenti nel campo delle scienze sociali è l'esclusione di quel tipo di elaborazioni teoriche che, sottraendosi alla "osservazione ed al controllo empirico", giungono

8 Metodi cit., 18. 9 Ibidem. 10 H. LASSWELL, A. KAPLAN, Potere e società, trad. it. Milano

1979.

Page 75: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

150 CLAUDIO PACCHIANI

a formulare delle astrazioni del tutto separate dalla realtà. Tutta una tradizione del pensiero politico alla quale, secondo Lasswell, appartengono anche filosofi come Platone, Locke, Rousseau ecc . . . , avrebbe avuto come scopo non tanto la pura e semplice conoscenza dei fatti, quanto piuttosto la giustificazione delle for­mazioni politiche esistenti o di quelle che essi stessi proponevano". Compito della scienza politica deve es­sere invece quello di configurarsi come una scienza em­pirica del comportamento umano: le stesse formazioni sociali ed istituzionali acquistano senso infatti solo se sono ricondotte a forme di comportamento. Anzi, per­fino i termini che formano il patrimonio lessicale di ba­se del linguaggio politico, come Stato, governo, dirit­to, potere ecc . . . "hanno un significato ambiguo, finché non sia chiaro il modo in cui devono essere impiegati per descrivere ciò che effettivamente la gente dice o fa" '2•

Sostenitore di una rigida distinzione tra atteggia­mento filosofico ed atteggiamento scientifico nel cam­po della ricerca politica è stato pure in Italia Giovanni Sartori. Anche per Sartori è un diverso uso del linguag­gio quello che permette di distinguere tra teorie empirico-scientifiche della politica e filosofia politica 1 3• Il linguaggio filosofico è definito da Sartori come lin­guaggio metaosservativo: in esso "le parole non servo­no per osservare, non significano quel che rappresenta­no". Al contrario, nella conoscenza scientifica è richie­sto un uso descrittivo, empirico del linguaggio, "nel quale le parole registrano osservazioni e 'stanno per' ciò che rappresentano"14 • Ciò dovrebbe apparire parti­colarmente evidente per quanto riguarda la teoria dello Stato. L'interesse del filosofo non verte qui tanto sulla realtà dello Stato esistente, quanto sul problema del si-

1 1 lvi, 3 . 11 Ivi 17 '·' G. SARTORI, Per una definizione della scienza politica, in Antolo­

gia di scienza politica, Bologna 1970, 1 1 . 14 lvi, 20.

NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 151

gnificato dello Stato. La filosofia va però al di là dei propri limiti non quando esprime giudizi di valore, ma solo quando ritiene di poter essere applicabile, quando si presenta cioè come una "teoria suscettibile di azione pratica". In questo caso accade infatti che una teoria che nella sua natura propria non è una teoria della pra­tica, vuole invece presentarsi come tale. Non si tratta qui di una insufficiente elaborazione o inadeguatezza della teoria, ma piuttosto della totale estraneità di ogni elaborazione filosofica ad interpretare la realtà politi­ca. Se infatti la politica è nella sua essenza propria, se­condo il punto di vista di Sartori, in primo luogo una tecnica, nel senso che ha in sé una componente tecnica, nello stesso tempo può essere . anche oggetto di una scienza di tipo ipotetico, tale che sia in grado cioè di fornire relazioni funzionali del tipo 'se . . . allora'. Se è certo che sotto questo aspetto la scienza politica può fornire solo conoscenze relative, è anche vero che all'interno di questi limiti essa è qualcosa di più che non arte o ideologia.

Bisogna osservare che Sartori non si pone nemme­no il problema di un metodo proprio delle scienze so­ciali che possa essere in qualche modo distinto da quel­lo delle cosiddette 'scienze esatte'. Piuttosto egli sem­bra partire dalla distinzione di diversi usi del linguag­gio e definisce senz'altro quello filosofico come lin­guaggio metaosservativo. Si tratta evidentemente dell'adozione di un luogo comune. Ciò che qui non vie­ne neppure messo in discussione è se l'oggetto proprio cui si rivolgono le scienze sociali sia eguale, nella sua essenza propria, all'oggetto delle scienze esatte.

3 . Il venir meno nella scienza politica contempora­nea di un'intenzione di carattere pratico normativa è particolarmente evidente in effetti, se si tiene presente che la quasi totalità degli specialisti nel campo delle scienze della società è d'accordo oggi nel ritenere che il loro scopo fondamentale è soltanto quello di esporre la dinamica e lo sviluppo delle relazioni sociali, mentre

Page 76: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

152 CLAUDIO PACCHIANI

non ritiene che faccia parte dei loro compiti la prescri­zione di concrete finalità sia relativamente agli Stati che alle altre associazioni inferiori. Tuttavia esiste an­che chi pensa che non ci si debba limitare ad una con­statazione puramente neutrale dei fatti politici. Tra co­storo E. Spranger1 ' , che ha attribuito ad esempio alla scienza politica la funzione di mettere in chiaro i criteri attraverso cui le differenti ideologie cercano di ottenere una loro propria legittimazione, oppure Th. Litt16 , che ritiene compito della scienza politica quello di stabilire quali siano le condizioni di base di forme di vita politico-associativa conformi ad una struttura sociale democratica, e quali forme di morale politica e di pe­dagogia sociale siano ad essa collegate. Che �me della dottrina politica sia innanzitutto la ncerca de1 presup­posti etici che caratterizzano l'agire sociale, è poi anche convinzione di chi, come ]. Maritain o ]. Messner, prende le mosse da una concezione generale dello Sta­to, o meglio della comunità politica, fondata su d1 un diritto naturale concepito conformemente ad una mo­rale statale cristiana".

Ma è stato soprattutto Leo Strauss che, a partire in modo specifico dal 1953, ha cercato di riaffermare l'importanza dell'elemento normativa nel campo delle dottrine politiche contrapponendosi decisamente a quello che gli è sembrato l'indirizzo oggi dominante' " . La premessa di fondo da cui prendono le mosse 1 mo­derni scienziati della politica, afferma Strauss, è l'idea che proprio emancipandosi dai problemi caratteristici della filosofia si possa guadagnare un rapporto dJretto

15 E. SPRANGER, Volk, Staat, Erziehung. Gesammelte Reden und Au(siitze, Leipzig 1932. ·

"' T. LTTT, Staatsgelf'{!lt und Sìttlichkeit, Miinchcn 1948, dello stes­so dr. pure lndil'iduum und Gemeinschaft, Leìpzig 19263•

' 7 Di J. Marita in cfr. L'uomo e lo Stato, trad. i t, Mil�mo 1963; di]. Messner Das Natun·echt, Innsbruch 1950, e Kulturethik mit Grundlegung durch Prinzipienethik und Personlichkeitsethik, Innsbruch 1954.

· � Cfr. soprattutto Natura! Right and History, Chicago 1953, trad. it. Venezia 1957; Che cos'è la filosofia politica? cit.; The City and Man, Chicago 1963.

NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 153

ed immediato con la realtà stessa della vita politica. In realtà le moderne scienze sociali stabiliscono tale rap­porto solo con la mediazione dell'apl?arato concettuale e terminologico delle sc1enze naturah, ed attraverso un corpus di concetti fondamentali che esse hanno assun­to da quella stessa tradizione filosofica che apparente­mente rifiutano e disprezzano. Ciò ha portato come n­sultato una perdita di consapevolezza riguardo agli scopi ed all'oggetto stesso della ricerc�. E questo sareb­be testimoniato dal fatto per cm ogg1 manca non sol­tanto un reale accordo riguardo all'oggetto, alla meto­dologia ed alla funzione propria della disciplina, ma persino la stessa natura della politica è diventata ogget­to di discussione. Tutto ciò è conseguenza, secondo Strauss del fatto che la scienza politica ha perso di vi­sta queÌlo che un tempo era il suo compito prindpale, e cioè la scelta del migliore ordine statale. Il vemr meno di tale finalità costituirebbe anzi il maggiore elemento di differenziazione tra antichi e moderni: alla sua origi­ne la filosofia politica non si distingueva neppure dalla scienza "e consisteva nello studio che abbracciava tut­ti i problemi umani, mentre oggi la troviamo tagliata a pezzi"1 9• • . • Vicino per molti aspetti alle tesi d1 Strauss, partico­larmente per quanto riguarda la rivalutazi�ne del pen­siero politico classico-antico, è Enc Voegelm. In modo specifico nell'Introduzione metodo/l;gica ad un suo la­voro pubblicato per la pnma volta m mgl�se nel 1952 ed intitolato La nuova scienza della poltttca, Voegehn si rivolge criticamente contro quella che a lui sembr� la presunzione di fondo delle moderne sc1enze . soCJah, e che consiste nella pretesa, espressa per la pnma volt� nella forma più compiuta nell'opera d1 Max We.�;r, d1 poter isolare e separare tra loro 1 fatti d�1 ;alon . . . .

La liberazione della scienza della soCJeta dai gmdlZI

'9 Chi' cos'P la filosofia politica? cit, 42. 20 E. VOEGELIN, La 11uo1-'" scien;:,a politica, trad. it. Torino 1968,

63 e segg.

Page 77: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

154 CLAUDIO PACCHIANI

di valore, nota Voegelin, doveva essere possibile per Weber attraverso l'elaborazione di tipi ideali che per­mettessero di individuare da un lato formazioni istitu­zionali di base e le deviazioni da esse, e dall'altro di permettere la formulazione di relazioni causali tipiche. Ciò implicava come presupposto di fondo la netta se­parazione dei valori dell'ordinamento politico, che ve­nivano sottratti così ad ogni considerazione critica, da una conoscenza scientifica della realtà sociale che do­veva essere resa disponibile e quindi utilizzata in senso tecnico nella concreta prassi politica. Voegelin con­trappone a quest'idea di fondo di Weber il suo proprio punto di vista, secondo il quale le formazioni sociali umane non possono essere intese alla stregua di eventi o fatti del mondo esterno che siano in qualche modo disponibili all'osservazione allo stesso modo di qualsia­si fenomeno naturale. A differenza delle realtà del mondo fisico, le formazioni sociali non sono per Voe­gelin dei dati oggettivi immediatamente disponibili all'indagine disinteressata dello scienziato. Ogni for­mazione associativa umana è invece una realtà essen­zialmente storica, che si costituisce diacronicamente come un cosmion, e cioè un piccolo universo autono­mo, attraverso i significati che gli attribuiscono nel corso del tempo gli individui che lo compongono21• L'elaborazione di quella forma letteraria che è una dot­trina politica compiuta non rappresenta pertanto nulla di diverso dalla manifestazione dello sforzo di autoin­terpretazione da parte di una società. Ciò presuppone la penetrazione di forme simboliche che si presentano a diversi livelli di formalizzazione, che vanno dalle sem­plici forme rituali, al mito, alle teorie razionalmente più compiute. Si tratta di un campo di elaborazioni so­ciolinguistiche che la scienza politica al suo nascere trova già predisposto, e dal quale tanto poco può pre­scindere, che anzi proprio esso deve formare l'oggetto primo delle sue indagini.

'1 lvi, 83.

NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 155

Non spetta dunque al ricercatore nel campo dei fat­ti politici di creare egli stesso, mediante definizioni ed assiomi, gli elementi di base sui quali deve poggiare la sua indagine; al contrario, egli deve partire da concetti che trova già presenti all'interno dell'orizzonte socio­culturale nel quale si muove. Le opere di etica e di poli­tica di Aristotele forniscono, secondo Voegelin, l'esempio migliore di un tipo di ricerca che parte ap­punto dalla consapevolezza di tali problemi fondamen­tali. L'uso che Aristotele ha fatto dei concetti fonda­mentali della politica, quali ad esempio quelli di pdlis, di cittadino, di costituzione, di forma di governo ecc. , dimostrano proprio come egli si sia ben guardato dall'attribuire a quelle parole un significato arbitrario, ma le abbia assunte nel senso che esse avevano nell'am­biente sociale che le aveva prodotte. Proprio il linguag­gio comune e l'insieme delle opinioni ricorrenti, oltre che naturalmente i diversi punti di vista precedente­mente elaborati da quei filosofi e poeti che avevano trattato le medesime questioni, aveva costituito il pun­to di partenza dell'indagine per Aristotele.

Per queste ragioni, conclude Voegelin, è necessario avere ben chiaro che il procedere ermeneutico della scienza politica è essenzialmente diverso da quello delle scienze empirico-analitiche. Chi si propone, ad esem­pio, di comprendere il senso di un'opera come la Re­pubblica di Platone, non ha certo bisogno della mate­matica; e viceversa, lo scienziato che si occupa della struttura cellulare non utilizza gli strumenti propri del­la filologia classica o i principi dell'ermeneutica".

4. Una delle conseguenze più importanti della ten­denza propria delle moderne scienze sociali ad intende­re i fenomeni politici come dati oggettivi, è quella per cui questi ultimi vengono ricondotti essenzialmente al­la categoria del potere. Non pochi sono infatti coloro che ritengono oggi che proprio nel potere debba esser�

22 lvi, 52.

Page 78: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

156 CLAUDIO PACCHIANI

vista la realtà specifica del politico. La problematica dell'acquisizione, dell'uso e della perdita del potere in un ordinamento determinato viene presentata anzi spesso come l'intento fondamentale della scienza poli­tica. Se si vuole proporre una determinazione generale del concetto di potere, ha osservato ad esempio O. Stammer, occorre dire in primo luogo che esso rappre­senta un fenomeno generale dell'ordine sociale, e che costituisce l'elemento di base di ogni associazione uma­na, in tutti i gradi del suo sviluppo".

Un esempio ormai classico di definizione del con­cetto di potere è quello fornito da Max W e ber. W e ber definisce il potere come la chance, all'interno di una re­lazione sociale, di far prevalere in ogni modo il proprio volere contro un'opposizione, ovunque si fondi o, in altre parole, la possibilità da parte di comandi determi­nati di trovare obbedienza24• Il potere equivale cos{ ad un'autorità che si manifesta a diversi livelli, a partire dalla cieca abitudine, fino a considerazioni puramente razionali rispetto allo scopo". Quello che deve essere as.sicurato in ogni caso è la possibilità di un agire il quale si renda comprensibile in base ai motivi che lo determinano, alle ragioni che spiegano cioè l'obbedien­za verso il detentore o i detentori del potere. Ciò vale naturalmente in primo luogo per lo Stato, che all'inter­no di un territorio determinato, sa rivendicare con suc­cesso il monopolio della costrizione fisica. Il potere po­litico diventa cos{ potere statale, ed i fenomeni di pote­re, sui quali lo scienziato della politica ha indirizzato la sua attenzione, sono messi in diretta relazione al pote-

i re statale; la scienza politica si riduce in tal modo ad ··' una vera e propria sociologia dell'autorità (Herr­

schaftssoziologie). Direttamente a Weber si riferiscono coloro che, co-

n O. STAMMER, Gesellschaft und Politik, in Handbuch der Sozio­logie, Stuttgart 1955, 571 e segg.

207. 24 M. WEBER, Economia e società, trad. it. Milano 1968, vol. I,

25 Ibidem,

NORMATIVJSMO E SCIENZA DELLA POLITICA 157

me H. Jahrreiss ritengono addirittura che tutto l'ordi­namento giuridico, la costituzione stessa dello Stato possono intendersi come parte e manifestazione dell'organizzazione del potere"; o che, come Th. Eschenburg riconducono la divisione delle diverse for­me di Stato alla formazione di diversi sistdmi d'autorità 27• Accanto all'autorità che deriva dalla so­vranità popolare, e quindi controllata e cooperativisti­ca (genossenschaftlich), si pone cos{ per Eschenburg un'autorità incontrollata, autoritaria ed autocratica che caratterizzerebbe i regimi assolutistici e dittatoria­li.

La problematica dell'autorità, cioè il problema dell'eserCizio del potere e dei metodi e delle tecniche utilizzate, viene trattato frequentemente dal punto di vista sociologico, esaminando il potere come sussisten­te quando e dove agiscono sull'individuo pressioni so­ciali ( social pressures) per raggiungere una condotta desiderata (G. Gurvitch, O.K. Flechtheim)'". La dot­trina del controllo sociale è divenuta anzi una discipli­na speciale della sociologia, la quale ha a che fare in questo caso con tutte le forme ed i mezzi attraverso cui il comportamento degli uomini viene influenzato da parte dei gruppi, nella società e nello Stato, sia che si tratti di abitudini, costumi, tradizioni, atteggiamenti di fede e idee, o di condizionamenti organizzati attraver­so l'educazione, l'opinione pubblica e la propaganda o la costrizione politica".

L'ipostatizzazione del potere a categoria propria

n H. JAHRREISS, Mensch und Staat, Kòln 1957 141 e segg. 21 T. ESCHENBURG, Staat und Gesellschaft in D�utschland, Stutt­

·gart 1956. '8 Una esposizione complessiva della posizione teorica di G. Gurvitch

si tr�wa nel Tmité de sociologie, la cui pubblicazione egli stesso ha diretto (Pans 1958, vol. I, 216-325). O.K. Flechtheim ha curato la pUbblicazione del volume Fundamentals of Politica! Science, New York 1952, dove la teo­ria de� social co

.ntrol viene .applicata sia in relazione ai meccanismi del pote­

re socrale che dt quello pohttco. Dello stesso cfr. Eine Welt oder keine? Bei­triige zur Politik, Politologie und Philosophie, Frankfurt 1964.

29 Cfr. Gesellschaft und Politik cit., 575.

i i

Page 79: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

158 CLAUDlO PACCHIANI

della scienza politica non riguarda certo solo la tradi­zione culturale tedesca, ma anche e soprattutto quella americana. H.D. Lasswell vede nella scienza poli;ica proprio una science of power, e nel p�t�re gumdi l og­getto peculiare di essa 30• Il potere non e q m concepitO come un ambito che possa essere mtes? sepa:atament� 0 come un aspetto particolare della Vita s�ciale, ma e presente in tutte le sue c?mponenti ��me c1o che ne co­stituisce l'aspetto propnamente polltlco. . Tuttavia bisogna dire che, soprattutto m

. Ger��­

nia, si è sviluppato un indirizzo del!� socwlogw pohtt� ca che si è opposto alla tendenza ad �nterpretare tutti l fenomeni sociali mediante la categona gener�le del p�­tere. t soprattutto in quello che è stato deflmto come 1l più importante. tentativo .prodotto 1� ambito tedesco negli anni venti d1 costrmre una teana dello Stato, la Verfassung und Verfassungsrecht di, R. Smend che questo modo di intendere la pohuca e stato mes�o m questione3 1 , Se già da tempo.' sostlel_'� Smend, �1a l� teoria dello Stato che la teana del dmtto pubbhco Sl trovano in Germania in uno stato di crisi o per lo meno di decadenza ciò è dovuto in modo particolare pro­prio alla grande influenz� che le concezioni di Weber e di Meinecke hanno esercitato sul modo d1 111tendere la realtà dello Stato. Attraverso questi autori si affe�me­rebbe in sostanza, secondo Smend, una te�na positlv� dello Stato come impresa (Betrieb), che svilup�;andost sulla base di una propria immanente teleologla,. non potrebbe apparire al singolo individuo altnr�ent1 che nella forma di una forza naturale o d1 un destmo che SI attua e procede secondo leggi autonome". Ciò avrebbe portato all'insolubile antinomia di Kmtos ed Ethos, e quindi all'idea di un carattere demomaco del potere e dell'autorità.

Il risultato di queste teorie è per Smend l'afferma-

.lo Cfr Potere e società cit., 89 e segg. . h 3 1 R. SMEND, Verfassung und Verfassungsrecht, in Staatsrechtltc e

Abhandlungen und andere Aufsiitze, Berhn 1955, 121 e segg. 32 lvi, 122.

T

NORMA TIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 159 zione di una totale estraneità delle concrete intenzioni pratico-politiche nei confronti dello Stato, estraneità che avrebbe avuto come immediata conseguenza nello stesso tempo un'astensione apolitica del privato indivi­duo nei confronti delle attività di governo ed un'altl·et­tanto apolitica adorazione del potere. Anche Hermann Heller ha criticato duramente nel­la sua Staatslehr� coloro che hanno rinunziato ad ogni 111terpretazwne 111 senso teleologico della realtà dello Stato, per vedere in esso unicamente un'espressione della costri�ione e della violenza". L'agnosticismo, egli afferma, di coloro che credono che non si possa ri­spondere alla questione del fine dello Stato conduce alla. triste �onclusio1_1e secondo la quale og�i gruppo pohtico puo defm1rs1 solo attraverso il suo strumento la 'violenza'. A questa dottrina, ed a maggior ragione � quelle che sostengono che il potere è il fine concettual­mente necessario dello Stato, più che di essere false ca­pita di non dire assolutamente nulla. Dato che tut�e le istituzioni umane dispiegano potere, se non si fissa una funzione del senso del potere specifico dello Stato non è possibile distinguerlo da un'accolita di banditi, ' o da un trust del carbone o da un club sportivo". Al di là ed al di sopra della pura analisi della forma­zione e del meccanismo dei rapporti di potere è la de­terminazione del senso immanente dello Stato' che è di importanza decisiva per la comprensione dello stesso 111 tutti i suoi dettagli. Senza un riferimento alla funzio­ne ed al senso dello Stato, conclude Heller, tutti i con­cetti della teoria dello Stato e del diritto appaiono privi di significato. Kurt Sontheimer si ricollega esplicitamente ad Hel­ler qua.ndo afferma che l'elemento essenziale che prima d1 ogm altro permette di distinguere le differenti for­mazioni sociali, non è la 'qualità' del potere presente in esse, ma i fini e le relazioni che sono loro proprie". t 33 H. HELLER, Staatslehre, Leiden 1934, 203. H Ibidem. 1° K. SONTHEIMER, Zum Begriff der Macht als Grundkategorie

Page 80: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

160 CLAUDIO PACCHIANI

indiscutibile il fatto che i rapporti di forza gi�chino un ruolo fondamentale, ma essi non sono sufficrent1 da soli a definire il politico in quanto tale. Se consrdena­mo dice Sontheimer nel contesto der suoi scnttr poh­tic/ la definizione d�! potere dello Stato d�ta da M. Weber possiamo concluderne che sr tratta dr una con­cezion� teorica che si trova completamente collocata nella tradizione specificamente tedesco-brsmar.ckrana dello Stato, tradizione che ha avuto m von Trertschke il suo primo e più celebre rappresen_tante.":

Che ciò sia vero nella sostanza, e drffrcrle d� nega­re; però occorre anche riconoscere che per Trertschke

. lo Stato non appare soltanto come una formaziOne dr potere, al contrari� �sso viene mteso soprattutto come una comunità pohtiCa onentata teleolo�rcamente,. � che riceve il suo significato propno dal fme o dar fim che è chiamata a realizzare. .

Particolarmente nella sua Gesellschaftswtssen­schaft del 1 859, von Treitschk� aveva n;resso m evrd�n­za in modo particolare le modrfrcazrom che la pohtiCa come scienza aveva assunte 'nel secol� �corso�' . Tanto l'antica concezione di una scienza pohtrca umtana, m­tesa al modo di Aristotele, quanto il sistema complessi­vo di una dottrina camerale dello Stato, egh afferma, erano venute meno, ed il loro posto era stato preso da · una molteplicità di discipline che sr erano succedute a quella. L'elemento c�ratterizzante queste n,nove scre';l-ze della politica consrsteva, da un lato nell autonomra del fine di ciascun ambito d'indagine, dall'altro nel c�­rattere proprio della ricerca, alla quale era ormai affr: data unicamente la funzione dr scopnre leggr e nessi dr carattere generale. Dominante er� in es�e. un rdeale scientifico di tipo teoretico: la teorta del dmtto pubblt-

f:?lr��;;:;:n�t:::s;::fJ;i�� �:de�h::��:

c;:efb���

kinEI;;:i;�r;!uU��:�

203. 2 6 Ibidem J H Il 1927 11 H. v. T.REITSCHKE, Die GesellschaftswissenschaJt, a e •

79 e segg.

NORMA TIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 161 co si limitava ad esempio ad indicare le linee fonda­mentali su cui doveva essere stabilita la costituzione propria dello Stato di diritto, sulla base della finalità principale che a questa veniva assegnata, che era quella di garantire giuridicamente la libertà individuale. Alla teoria generale dello Stato era affidato invece il compi­to di esporre le determinazioni generali che sono conte­nute nel concetto stesso di Stato; mentre all'economia politica, intesa come scienza autonoma, spettava di ri­cercare le relazioni necessarie che si costituivano all'in­terno di una disciplina speciale dei fatti economici". Da tutte queste scienze era assente, per Treitschke, il problema di fondo dell'antica politica costituita se­condo il modello di Aristotele: nessuna si chiedeva cioè come dovesse essere costituito l'ordine statale in fun­zione della realizzazione del bene di un popolo deter­minato in una determinata epoca, e come dovessero es­sere fatte le leggi perché ne potesse derivare il vantag­gio di tutti. Il dominio dei principi liberali, che affidava allo Stato l'unica funzione di assicurare il più alto gra­do di libertà ai cittadini da un lato, e dall'altro la sfidu­cia che argomenti di carattere pratico potessero essere oggetto di trattazione scientifica, avevano contribuito a provocare la progressiva esclusione di tali questioni fondamentali dalla scienza politica, e di conseguenza la perdita da parte di quest'ultima della cosapevolezza del suo compito e delle sue, finalità. Chi desidera riacqui­stare il senso autentico di ciò che significa la parola po­litica, affermerà più tardi von Treitschke nella sua Po­litik, deve rivolgersi all'antichità classica, e particolar­mente al più grande capolavoro teorico-politico che es­sa ha prodotto, e cioè la Politica di Aristotele". Secon­do la concezione classico-antica infatti la politica era semplicemente la dottrina dello Stato e trattava in for­ma unitaria ciò che si trova invece suddiviso oggi in do­mini autonomi e privi di connessiòne tra loro.

l i lvi, 81. . 39 H. v. TREITSCHKE, Politica, trad. it. Bari 1918, I, 2.

Page 81: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

1 62 CLAUDJO PACCHIANI

5 . Dieci anni dopo la Gesellschaftswissenschaft di Treitschke, Franz von Holzendorff sosteneva nel sum Principien der Politik come la crescita progressiva delle scienze umane e degli oggetti che essa andava u;duden­do nel suo campo d'interessi, avesse reso ormai Impos­sibile riferire tutto l'insieme delle conoscenze det feno­meni e delle nozioni che si riferivano �Ilo Stato ad un'unica scienza�0• Ciò a cui ci si �ro':'a �h �r�nte ogg�, affermava Holtzendorff, è una sene dt dtsCIJ.'lme relati­vamente autonome, del tipo di quelle che m FranCia, ad esempio, hanno assunto il nome dt sctences morales

et politiques. Tra di esse egh enumerava: 1 . La teona generale dello Stato (Allgemeine �taatsleh�e), .alla qua­le spettava di trattare le propneta: le funzt?m e le fo;­me giuridiche relative allo stato clV!le degh uo_mm�, m quanto potevano essere derivate dalla determmaztone della natura e dai fini dello Stato. 2 . Il dmtto pubbhco (Staatsrecht) che doveva contenere le non�e nguar­danti il rapporto tra il potere dello Stato ed t ctttadmt. 3 . Il diritto internazionale ( Volkerre�ht) che trattava delle relazioni che Stati autonomi stabthscono tra dt lo­ro. 4. La dottrina dell'economia. politica ( Volbwtrt­

schaftsléhre) che stabilisce i cnten seco_n�o t quah ven­gono governati all'interno di una soCieta orgamzzata dal punto di vista della vtta st�tale, . la produ�wne, ti consumo e la distribuzione d et bem matenah. 5. La scienza delle finanze (Finanzwissenschaft) che doveva interessarsi del complesso delle necessità dello Stato e dell'amministrazione dei beni statali, ed mfme 6 . La scienza della polizia (Polizeiwissenschaft) che contene­va i principi secondo i quali si doveva provvedere al be­ne comune ed alla difesa dello Stato dat pencoh che lo rninacciavan041• . . • •

L'autonomizzazione di questi diversi ambltt dtsct­plinari permette di affermare con una certa sicurezza,

•o F.v. HOLTZENDORFF, Die Principien der Politik, Berlin 1869, 4.

41 lvi, 4-5.

NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 163

dichiarava Holtzendorff, che anche per quanto riguar­da il senso dei termini, ci si allontana sempre di più da quella concezione secondo la quale la politica era inte­sa come l'insieme di tutte le scienze dello Stato (die ge­samte Staatswissenschaften)42• Già il fatto che nel no­stro tempo non si ponga in discussione che esiste una chiara differenza tra diritto, morale, politica, dimostra l'evidente contrapposizione che sussiste nei confronti delle filosofia politica dassica, e nello stesso tempo fa nascere l'esigenza di una nuova terminologia speciali­stica. Ma ciò che più importa è che la politica cessa di essere identificata tout court alla scienza dello Stato nel suo complesso, per diventare invece una scienza spe­ciale nell'ambito complessivo delle scienze statali.

Un'analoga convinzione si trova espressa nell'In­troduzione di J.K. Bluntschli alla sua Teoria generale dello Stato. "Gli antichi greci-sostiene BluntschJic da­vano il nome di politica all'insieme delle scienze dello Stato. Noi invece des\.gnamo il diritto pubblico (Staats- · ree h t) e la politica (Politik) come due scienze diverse"". Anche se la scienza politica, come la scienza del diritto pubblico, si riferiscono entrambe a quella stessa realtà che è lo Stato, occorre dire per Bluntschli che ciascuna di es­se lo considera da un diverso punto eli vista e secondo una diversa direzione. La scienza del diritto pubblico intende lo Stato come un ordinamento regolato giuri­dicamente e rappresenta la sua organizzazione, le rego­le della sua esistenza e la necessità dei suoi rapporti, tanto che si può affermare che il diritto pubblico è lo Stato stesso nel suo ordinamento interno. La scienza della politica lo considera invece nella sua vita, nel suo sviluppo; essa fa riferimento ai fini verso cui tende l'azione pubblica e insegna a conoscere i mezzi utili al conseguimento di questi fini. La vita dello Stato, Fazio-

42 "Dobbiamo considerare conie un dato acquisito che l'uso linguisti­co moderno si è sempre di più allontanato da quella determinazione concet­tuale che concepiva la politica come l'insieme delle scienze statali" (lvi, 7).

4' ].K. BLUNTSCHLI, Allgemeine Staatslehre, Aalen 19566, vol. I. 2.

Page 82: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

164 CLAUDIO PACCHIANI

ne statale, questo è l'oggetto della scie�za politic:'. Bluntschli non contrappone tuttavta alla sctenza

politica soltanto la scienza del diritto pubblico, ma opera anche una seconda e non meno importante di­stinzione. Di fronte alla politica come dottrina dello Stato sta infatti la politica come prassi statale (Staats­praxi�) , come azione concreta dell'uomo di Stato". Mentre la prima, in quanto è in definitiva solo una for­ma di conoscenza non ha bisogno né dell'autorità del­le leggi, né dell'approvazione della massa, _ma è. sicura di progredire unicamente se tratta bene 1 suot argp­menti; la politica come azione statale non può reahz­zarsi senza conflitti, e può attuare m concreto le sue idee unicamente attraverso l'uso del potere".

6. Alla fine del secolo XIX Jellinek ribadisce la po­sizione subordinata della politica nell'ambito delle al­tre scienze dello Stato, sostenendo nel contempo che una preliminare distinzione delle attività e delle forme in cui si esprime la vita statale dagli altri settori dell'at­tività sociale era indispensabile· perché le ricerche poli­tiche potessero conseguire valore di scientificità".

Il fatto che si continuino ad usare termini come science politique, scienza politica, politica! science o politics, non dimostra altro, per Jellinek, se non che st è mantenuta ancora ai nostri tempi, sia presso i popoli latini che presso gli inglesi, quell'antica concenzione che vedeva nella politica l'espressione dell'attività com­plessiva dei membri della città nei confronti della polis". Se è certo fuori discussione, egli afferma, che sussistono connessioni assai intime tra discipline come la scienza dello Stato e le scienze giuridiche, -certe parti sono loro comuni, come l'insieme delle dottrine del di- . ritto pubblico, tra. cui il diritto costituzionale, il diritto

44 lvi, vol. III, 5. 45 lvi, vol. III, 3. 46 G. JELLINEK, Das Recht des modernen Staates, vol i, Allgemeine

Staatslehre, Berlin 1905, 3-9. 47 lvi, S.

NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 165

amministrativo, quello internazionale ecc.-, occorre anche dire che una sis.tematizzazione razionale del campo della ricerca scientifica richiede certe distinzioni preliminari che erano assenti nell'antica filosofia politi­ca.

J ellinek distingue perciò tutte le scienze che si riferi­scono allo Stato in tre parti: scienze descrittive, scienze teoretiche o esplicative e scienze pratiche o applicate". Il fine delle scienze descrittive è di individuare i fatti e di classificadi, esporli nella loro evoluzione e quindi evidenziare le relazioni interne ed esterne da cui sono legati. La scienza descrittiva per eccellenza, che sta alla base di tutte le scienze sociali e quindi anche delle scienze dello Stato, è la storia.

La scienza teorica dello Stato o dottrina dello Stato (Staatslehre) comporta due branche: una è la dottrina generale dello Stato (allgemeine Staatslehre), l'altra la dottrina particolare dello Stato ( besondere Staats­lehre)". Quest'ultima ha la duplice funzione da un lato di comparare le istituzioni degli Stati in generale o di un gruppo di Stati in particolare, e dall'altro di studiare le istituzioni di un solo Stato, considerandole sia nella loro evoluzione storica, sia nella forma che esse rive­stono nel presente. La dottrina generale dello Stato si trova a sua volta suddivisa in due parti distinte: accan­to alla dottrina generale dello Stato dal punto di vista sociale (allgemeine Soziallehre des Staates), che segue il metodo sociologico, si colloca la dottrina generale del- . lo Stato dal punto di vista giuridico (allgemeine Staats­rechtslehre) che si identifica col diritto pubblico generale".

La dottrina del diritto pubblico è dunque una parte della scienza generale dello Stato, anche se per Jellinek il lato giuridico deve essere considerato come uno degli aspetti più importanti dell'idea dello Stato, dato che

48 lvi 6 4• lvi: 9�13. s o lvi, 1 1 .

Page 83: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

166 CLAUDIO PACCHIANI

non si può concepire Stato senza diritto. Ora, mentre sia la teoria dello Stato che quella del

diritto pubblico hanno come fine complessivo quello di studiare l'ordine statale in riposo, osservando quindi lo Stato come qualcosa di fisso e di sottoposto a regole, la politica si occupa invece dello Stato in quanto realtà dinamica, della sua vita propria e della sua attività. Sotto questo aspetto la politica, o la scienza politica è la scienza dello Stato applicata e che passa nella prati­ca: ad essa spetta di indagare come lo Stato può realiz­zare certi fini determinati 5 1 • Di conseguenza, pur par­tendo-dall'analisi di dati di fatto sociologicamente rile­vanti, la scienza politica non si limita, come fa la dot­trina dello Stato, a fornirci un insieme di conoscenze teoriche, ma si propone anche di emettere dei giudizi di

; valore in relazione ai dati che essa ha di fronte. "La po­. litica è una scienza pratica, dichiara Jellinek, ma essa è · nello stesso tempo un'arte; e si trova dunque essenzial­mente orientata dal punto di vista del futuro"". La scienza politica anzi può essere considerata come disci­plina autonoma solo nei limiti di questa sua specifica funzione teleologica e pratico-valntativa. ·

Sotto questo aspetto la moderna scienza dello Stato prodotta in ambito tedesco, non sarebbe altro per Jelli­nek che una migliore chiarificazione ed una più accura­ta esplicitazione di ciò che nell'antica nozione di politi­ca era già presente in modo ancora troppo confuso ed indistinto". Ma una conclusione di questo tipo ci pare in effetti assai difficile da accettare. In realtà ciò che nella rigida separazione tra teoria generale dello Stato e scienza della politica va perduto, è proprio il senso au­tentico della nozione classico-aristotelica di scienza pratica, di una forma di sapere cioè che intendendo le formazioni associative e quindi particolarmente le co­munità politiche come il prodotto ed il luogo dell'agire umano razionale, non può in alcun modo dare per

" lvi, 13. 52 Ivi, 14. '3 lvi, 13. ,., << <

� -i�h:-·

NORMA TIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 167 sc�)11tat� alcuna separazione tra la concreta azione po­huca e l ord111amento giuridico dello Stato.

7. La separazione che, come si è visto era valida ancora per J ellinek tra una dottrina sociolo�ica ed una puramente giuridico-normativa dello Stato è risolta decisamente da Kelsen in favore di quest'ultima. Men­tr� la pri�a studia il comportamento di fatto degli uo­m1111, ed e da 111tenders1 pertanto come scienza dell'es­s�re, come una s,cienza naturalistica e. fondata sul prin­crpw d1. causahta; la seconda 111vece 111 quanto serenza normatrva, non ha a che fare con l'efficacia delle nor­me dell'agire, ma soltanto con la loro validità54• Sol­tanto questa permette di definire correttamente Io Sta­to, che è per Kelsen "quell'ordinamento del comporta­mento. umano che chiamiamo giuridico, l'ordinamento versç d quale sono orientate certe azioni umane l'idea a cui gli individui adattano il loro comportame�to"ss . Al contran�, lo Stato non può essere concepito, secon­do qu_anto sr afferma nella Teoria generale, a partire da quegh elementi f�ttuah che formano oggetto d'interes­se della socwlogra, e cioè le azioni umane concrete, e tanto meno può essere identificato con qualcos.a di analogo ad un essere umano o ad un insieme di esseri reali.

Poiché dunque vi è soltanto un'idea possibile dello Stato, che è quella che trova attuazione nel concetto di ordinamento giuridico, la possibilità di assumere un qualsiasi modello reale di comportamento come ele­mento �ostitutivo del!a realtà statuale è in ogni modo fuon drscusswne. Cro comporta com'è stato notato l'esclusi'?ne da parte di Kelsen d�! concetto di politic�, d1 qualsrasr processo legato alla volontà ed all'azione e la sua risoluzione nei rapporti giuridici puri 56• Se 'Io

. ,. H. KELSEN, Lineamenti di una dottrina pura del dù·itto, trad. it. Tonno 1970, 53-54.

ll Teoria generale del Din'tto e dello Stato, trad. it. Milano 1963, 193. . H HELLE�, Staats!ehre ci t . , 51 c segg. Una critica al normativismo

dt Kelsen nell'onzzonte filosofico del neqkantìsmo è stata condotta da E.

Page 84: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

168 CLAUDIO PACCHIANI

Stato forma infatti un'unità necessaria con l'ordina­mento giuridico, si identifica anzi con esso, allora il ca­rattere politico di quest'ordinamento può consistere solo nel fatto che lo Stato stesso monopolizza e regola l'uso della forza 57• Ciò non significa tuttavia per Kelsen che il potere statuale stia, per cos{ dire, al di là o al di sopra del diritto, piuttosto il fatto che esista un tale po­tere non testimonia altro se non che il diritto è efficace, che le norme cioè che contengono in se stesse delle san­zioni, motivano effettivamente il comportamento degli individui 58•

Cos{ come esclude che il diritto possa essere spiega" to mediante la categoria del potere, la teoria pura re­spinge anche ogni concezione che in qualche modo ri­ferisca l'elemento giuridico a quello morale. "Come ca­tegoria morale, dice Kelsen, il diritto non significa al­tro che "giustizia" "59• Ma tutto ciò che ha a che fare con la giustizia esprime tutt'al più una tendenza ed un bisogno umani, e quindi delle aspirazioni e dei valori giustificabili psicologicamente, ma nulla che abbia un contenuto tale da poter essere determinato in forma ra­zionale nella dottrina pura del diritto. La giustizia si presenza pertanto di fronte al sistema del diritto positi­vo come un elemento trascendente, simile all'idea pla­tonica o alla kantiana cosa in sé che stanno al di là del mondo reale fenomenico".

Kaufmann, ·in Kritik der neukantischen Rechtsphilosophie, Tiibingen 1921, 20-35, Cfr. pure SMEND, Verfassung und Verfassungsrecht ci t., se­condo cui la Teoria generale dello Stato di Kelsen rappresenterebbe il pun­to più alto della crisi della dottrina dello Stato in Germania. Le tesi critiche di Kaufmann sono state riprese da H. Zech, per il quale l'eleminazione ope­rata da Kelsen dalla scienza del diritto di ogni realtà psicologica, politica e sociologica avrebbe avuto come ultima conseguenza l'impossibilità di stabi­lire delle distinzioni tra diritto privato, diritto pubblico e diritto internazio­nale (Die Rechtfertigung des Staates in der normativen Staatstheorie und der lntegrationslehre, Hamburg 1934, 28).

.

57 Teoria generale, 194-195. 58 lvi, 194. 59 Lineamenti, 56-57. 60 lvi, 57.

NORMATIVISMO E SCIENZA DELLA POLITICA 1 69 8 . Questo dualismo di diritto e di morale da cui prende le mosse la Wiener Schule e da cui Kelsen fa di­pendere quella che egli definisce la tendenza antiideo­

logica della dottrina pura del diritto, era del tutto im­pensabile nell'universo concettuale di Aristotele. Quanto strettamente il nJmos, ossia la legge o il diritto pubblicamente riconosciuto sia inseparabile dall'ele­mento etico, e cioè dalla teoria del giusto agire e delle sue condizioni, appare particolarmente chiaro in quel passo del quinto libro dell'E tica Nicomachea in cui Aristotele sembra sostenere addirittura l'identità di di­ritto e giustizia: "poiché dunque, come s'è detto affer­ma Aristotele, il trasgressore della legge è in�iusto mentre il rispettoso della legge è giusto, è evidente eh� tutte le cose legali sono in certo modo giuste· infatti le cose stabilite dal potere legislativo sono legali, e noi di­Ciamo che ciascuna di esse è giusta"". Cos{ come l'ele­mento legale del n6mos e quello morale dell' éthos si ri­feriscono l'uno all'altro, allo stesso modo ogni ordina­mento che è opera della politica è fondato da Aristotele sulla costituzione etica istituzionale della vita e dell'azione, che ha per oggetto il comportamento morale62• . Proprio a partire dal venir meno di questa imposta­Zione complessiva di Aristotele, ha affermato H. Maier", è possibile intendere il percorso che è caratte­ristico della scienza politica del ventesimo secolo e che consiste da un lato nella crescente scientificizzazi�ne di ambiti originariamente pratici, la quale ha come conse­guenza che le materie che non si lasciano trattare in modo teoretico vengono semplicemente messe da parte come non scientifiche; e dall'altro, in un allontanarsi centrifugo delle scienze sociali dal loro fondamento co­mune nella filosofia pratica.

61 Etica Nicomachea, V (E), 1 , 1129 b, 11-15. 6 2 G. BIEN, Die Grundlegung der politischen Philosophie bei Arista­

te/es, Miinchen 1973, 224. 6' H. MAIER, Die Lehre der Politik an den deutschen Universitiiten

in Wissenschaftliche Politik cit., 110. '

Page 85: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

INDICE DEI NOMI

Adorno Th. W., 66. Albert, H., 61, 62, 63, 64, 66,

89, 93, Alexy R., 41 n. Alliriey G., 41 n. Althusius J . , 142 e n. Antiseri D., 52 n. Ape! K.O., 25, 26 n , 54, 55, 66

70 e n, 72, 83 e n, 84 e n, 85, 86, 89, 92, 95.

Arendt H., 18, 26, 27 e n, 45, 51, 69,

Aristofane, 121, Aristotele, 12, 13, 14, 17, 18,

20, 21 e n, 22, 23, 24 e n, 25 e n , 27 e n, 28, 29, 30, 31 e n, 32 e n, 33 e n, 34 e n, 35, 36, 37, 38, 39 e n, 40 e n, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 50, 51, 53, 54, 59, 60, 67, 75, 96, 90, 91 e n, 94, 96, 99 e n, 100 n, 101, 102, 103 e n, 104 n , 105 e n, 106 e n, lO? e n, 108 e n, 109 e n, 110 e n, 111 , 1 1 2 n , 113 e n, 114, 115, 116 n, 1 17, 118 , 119 , 120, 121 e n, 132, 155, 160, 1610169 e n.

Arundel, 135. Ascombe E., 104 n, 112 n. Atger F., 131 n, 141 n, 142 n, Aubenque P., 109 n. Ayer A.]., 53, 93. Backhaus G., 62 n. Bardili Ch. G., 15n. Barker E., 100 n, 1 1 6 n.

Baruzzi A., 91 n. Baumanns P., 9 1 , 92. Baumgartefl A. G., 14, 15. Beneke F.E., 15 n. Benthan J., 86. Berger P., 59 e n. Bergstraesser A., 24 n, Bianchi Bandinelli R., 1 17 n, Bien G., 18, 24- n, 31 , 32 e n,

36, 39 n, 40 n, 106 n, 110 n; 169.

Bismarck 0., 99. Blasche S., 76 n. Bluntschli J.K., 163 e n, 164. Boileau N., 47. Banali I., 16 n. Bonazzi G., 68 n, Bonitz H., 109 n, 117 n. Bouhours D., 47. Brand G., 60 n , Brandt A.B., 53". Braun O., 123 n. BroekmanJ.M., 60 n. Brunner 0., 18, 19 e n, 105 n,

133 e n, 135 n. Buber. M., 53, 56, 57, 58. Burke E., 24, 47. Burnet J., 25 n, 36. Carchia G., 54 n, 83 n. Carlo L, 143, 144 n, Caronello G., 41 n. Cerutti F., 70 n, 72 n.

' Cicerone, 33 e n, 116. Compagnoni F,, 77 n. Conze W., 18, 19, 41.

Page 86: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

174

Craemer-Ruegenberg I . , 83. Cramer JS",, 18, 52 74 n. Cromwell 0., 134 n, 138 n. Curtius E.R., 25. Dante, 26 n. Demetrio di Falera, 122. Demostene, 116. Dennert J., 24 n. Derbolav J. , 34 n. Descartes R., 23, 24 n. Di Corato R., 70 n, Dirlmeier F., 103 n. Dodds E.R. , 122 n. J DOlle R., 94 n. Dombois H., 147 e n. Dover K.J., 121 n. Dubos J.B., 47. Diiring t, 121 n. Duverger M., 148 e n, 149. Ebert T., 34 n. Ebner F., 53. Elisabetta I, 134 n, Enrico VIII, 126 n. Epicuro, 51 . Ersch J.J., 15 n, Eschenburg T. , 157 e n. Even-Grandboulian G., 1 1 2 n. Fahrenbach H., 61 n. Fichte ] .G. , 53, 92. Filippone Thaulero V., 41 n. Finley M.L, 116 n, 117 n, Finzi S., 27 n. Firpo L., 126 n. Fischer K., 40. Flechtheim O.K., 147 e n,

157 e n. Forster W., 142 n. Fortenbaugh W.W., 113 n. Frank E., 36. Frankcna K., 51, 83. Fritz K., 115 n. Gadamer H.G., 18, 26, 27, 28,

29, 41, 55. Gaiser K., 32. Ganter M., 33. Gargiulo A., 48 n. Garve Ch., 38 e n, 39 e n. Gasano A., 27 n. Gauthier R. A., 36. Gebsattcl V.E., 26 n. GeifSler Ch. A., 15 n. Gernet L., 122 n. Gesù, 144 e n. Gierkc 0., 142 n.

INDICE DEI NOMI

Gigon O., 34 n, 36. GOlz W., 92, 93. Gracian B., 47. Gran G.G., 75 n. Grant A., 36. Griesebach E. , 53. Guerra A., 15 n. Gurvitch G., 157 e n. Habermas J., 17, 27 e n, 55,

57, 58, 59, 62 n, 66, 67 , 68 , 69 e n, 70 e n, 71, 72 e n, 73 n, 75 n, 81, 84, 85, 89, 90 n, 92, 93, 95, 100 n, 111 e n, 117.

Hardie W.F.R., 36. Hare R.M., 17, 53, 8�. Harlfinger D., 109 n. Harrington J., 47. Hartmann N., 25, 42. Hegel G.W.F., 15, 17, 30, 31,

39 e n, 44 e n, 48, 59, 60 n, 67, 90 n, 91 n, 92

Heidegger M., 25, 42, 61 e n. Held K., 60. Hennis W., 18, 22, 23, 24, 25 e

n, 26 e n, 36, 59, 72, 144 e n, 147 e n.

Hentschke A.B., 33. HerbartJ.F., 15 n, Hobbes T., 23, 24 n, 43, 46,

48, 67, 86, 87, 91, 92, 99, 105, 123 e n, 124 e n, 125 e n, 126 e n, 127, 128 e n, 129, 130 e n, 131 e n.

Hoche H.U., 83. H6ffe 0 . , 18, 34, 35, 37� 38,

40 n, 55, 86, 87, 88, 89, 95. Hoerster N., 18, 52, 83, 95. Holzendorf F., 162 e n, 163. Horkheimer M., 66, 96. Husserl E., 59, 96. Ilting K.H., 13 e n, 18, 51,

75 n. Isnardi Parente M., 122 n. Jahrreiss H. , 157 e n. Jaspers K. , 42. Jellinek G. , 164 e n, 165, 166,

167. Joachim H.H., 36. Joliv J.Y., 36. Kambartel F., 73, 74 n, 79 n,

80 e n, 81, 89, 94. Kamlah W., 73 e n. Kant 1., 15 e n, 17, 18, 24 n,

31, 32, 34 n, 37, 38, 39 e n,

INDICE DEI NOMI

41, 42, 45, 47, 48 e n, 51 e n, 52, 53, 54 e n, 55 n, 57, 75, 76 e n, 85, 86, 90, 92, 94, 96

Kaplan I . , 101 n, 149 n. Kaufmann E. , 168 n. Kaulbach F. , 18 . Kelsen H., 167 e n, 168 e n,

169. Klibansky R., 104 n. Koselleck R., 41. Koslowski P., 33. Koyré A., 107 n. Kriimer H.]., 32, 108 n. Kress E., 41 n. Kriele M., 26 n. Krings H. 95. Kuhn H., 18, 24 n, 25 n, 26 e

n, 36. Lasswell M., 101 n, 149 e n,

150, 158. Laurenti R., 116 n, Le Blond J.M., 110 n. Lenk H., 60 n, 65 e n , 93. Lips J., 138 n. Litt Th., 152 e n. Locke J., 92, 150. Lohmann J., 25 e n, Looser M., 81 n. Lorenzen P., 89, 33. Luckmann T., 59 e n. Liibbe H. , 58 n. Luhmann N., 56, 57, 59, 66,

70 e n. Luscher R., 81 n.

MacGillivray R., 123 n, 124 n, 138 n.

Machiavelli N., 47, 67, 87, 99. Macijewski F . , 81 n, Maier H., 14 n, 24 n, 39 n, 169

e n. Mannheim K. , 145 e n, 146. Mao, 102. Marcel G., 53. Marcuse M., 93. Margiotta U., 56 n, Marietti Salmi A., 16 n, Maritain ]., 152 e n. Marquard 0., 95. Marx K., 16, 48, 57, 59, 69 n,

91, 1 1 8 e n, 119. Maurer R., 32, 61. Maynaud J., 146 e n. Meinecke, 158

Melandri E., 68. Menp.e K. , 81 n. Menzer P., 15 n. Meriggi M.G., 27 n, 68 n, Mesnard P., 126 n. Messner ]., 152 e n. Michelet C.L., 15 n, Mieth D., 77 n.

175

Mill j.S., 86, 118 e n, 119. MittelstraR J., 63, 77 n, 81 . Momigliano A., 122 n. Montaigne M., 47. Moore G.E., 51, 53, 93. Moraux P., 105 n , 107 n,

109 n, M o retti L., 1 1 7 n. Moro T., 67. Miiller A. , 18 , 33. Nafw., 133 n, 142 n. Neri Pozza, 19. Nicastro 0., 123 n, 124 n, Nowell-Smith P.H., 53. Oberndòrfer D., 24 n. Oelmiiller W., 60 n. Oertzen P. V., 147 e n. Orth E. W., 60 n. Otte G., 26 n. Parsons T., 56, 57, 59 e n. Pareto U., 99. Patzig G., 51 . Pavetto R., 21. Pazanin A., 60. Perelman C., 26 n. Petersen P,, 14 n, Picardi E., 62 n. Pieper A., 18, 52 e n, 53, 83,

93, 94. Piepmcier R., 94 n. Pien·i N., 19 c n. Plamenatz J., 138 n. Platone, 12, 20, 21 e n, 22, 29,

32 e n, 33 e n, 51, 53, 91 e n, 99, 100 n, 102, 103 e n, 104 e n, :105, 106, 108 c n, 110, 113, 121 e n, 150, 155.

Pòggeler 0., 61 . Popper K., 62, 89, 93. Prauss G., 76 n, Puscì L., 52 n. Radermacher H., 34 n. Rawls I.J., 66, 72, 83, 115 n. Reif A. 27 n. Ricardo D. 16. Riedel M., 13 e n, 18, 24 n,

Page 87: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

176

2 6 n , 31 n , 3 2 n, 41 , 42, 43, 44 e n, 45 n, 51 n, 52 n, 55, 56 n, 57, 59 n, 60 n, 61 n, 70 n, 74 n, 75 n, 76 n, 83 e n, 90 n, 110 n,

Ritter H.J., 1 8-, 26, 30, 31 , 32, 33, 39 n, 41, 95.

Rusconi C.E., 16 n, 62 n, Rosenzweig F,, 53. Ross W .D., 53. Rousseau J.J., 24 n, 92, 150. Sartori G. , 101 n., 150 e n,

151. Scheler M., 41, 42. Schiera P., 19 n. Schlatter R., 128 n, 138 n. Schloezer A.L. 16. Schmitt C., 123 n, 137 n,

142 n, 147 e n. Schlitz A., 57, 59 e n, Schulz W., 70 n, 93. Schwan A., 61 n, Schweizer H., 33, Schwemmer 0., 54, 66, 70, 73,

74, 75, 76, 78, 79 n, 80, 89, 93.

Seidl H., 34 n, SeÌwfonte, 116. Siep L., 39 n, Singer M. G., 83. Sitter B., 61 n, Smend R., 158 e n, 168 n. Smith R., 16. Socrate, 29, 103 n, 110, 121. Solari G., 39 n, Sontheimer K., 159 e n, 160. Spaemann R., 73 n. Spinoza B., 91. Spranger E., 152 e n. Sprondel W .M., 59 n. Stalin, 102. Stammer 0., 16 n, 156 e n. Steinbiichel Th., 52. Stevenson C.L., 53, 93. SteWart J .A., 36. Stone L., 134 e n. Strauss L, 1 8 , 19, 20, 21, 22,

105 n, 128 n, 147 e n, 152, 153.

Strepsiade, 121. Struck G. , 26 n. Susemihl F., 36. Taboni P.T. 20 n. Taylor A.E. 104 n.

INDICE DEI NOMI

Teichmiiller G. , 36, 40, 41 n. Theunissen M., 91 n. Teofrasto, 110 n. Tocqueville A., 47. T6nnies F., 126 n, 135 n,

138 n. Tomberg F., 33 n. Treitschke H., 160 e n, 161 . Trendelenburg A. , 39, 40. Tosti L . , 26 n. Tota E. , 44 n. T ouraine A., 57. Tucidide, 124, 125 e n, 127,

128 n, 129, 138 n. V attimo G., 27 n, 54 n, 83 n, V erra V., 48 n. Verbeke G., 110 n, Viano C.A. 130 n. Viehweg T., 26. Voegelin E. , 18 , 21 , 22, 153 e

n, 154, 155. Vollrath E . , 18, 45, 46, 47 e n,

48, 49 n, 50, 51 . Voltaire, 126 n, Waldenfels B . , 60 e n. W alter J. 36, 40, 41 n. Weber M., 16 e n, 20, 56, 59.,

61, 62, 64, 68, 74. Weinacht P.L., 105 n. Wellmann C., 53. Werner H.J., 90 n. Wiehl R., 74 n. Wild Ch., 90 n. Windelband W., 48 n. Wright G.H. von, 53, 83, 99 n. Zech H., 168 n, Zeise H., 104 n. Zolo D., 102 n.

NOTIZIE SUGLI AUTORI

FRANCO VOLPI (Vicenza, 1952) ha studiato a Colonia, Wtirz­burg, Vienna e Padova, dove si è laureato e perfezionato in filoso� fia. 'Attualmente lavora presso l'Istituto di filosofia dell'Università di Padova come borsista del C.N.R.; è corrispondente dall'Italia del «Philosophischer Literaturanzeiger». Oltre a numerOsi articoli, ha pubblicato: Heidegger e Brentano (Padova 1976), Heidegger e Hegel (premesso a M. HEIDEGGER, Hegel e i greci, a Cura di F. V., Trento 1977). Ha curato inoltre la traduzione di R. Luxen� burg, Scritti sull'arte e sulla letteratura (Verona 1976) e il volume di AA.VV., La contraddizione in Aristotele, Kant, Hegel e Marx (Padova 1976). Per la casa editrice Adelphi sta preparando la tra­duzione del Nietzsche di Heidegger.

CARLO NATALI (Perugia, 1948) è assistente all'Università di Pa­dova e prof. incaricato di Storia della filosofia antica all'Università di Siena. Ha pubblicato il volume: Cosmo e divinitCl. La struttura logica della teologia aristotelica (L'Aquila 1974), nonché studi sul pensiero di Aristotele, e sugli influssi di questo nella filosofia mo� derna, in varie riviste (tra cui: «Riv. critica di storia della filosofia», «Riv. di filologia e d'istruzione classica)) , «Quaderni di storia» etc.) e in vari volumi collettivi (tra cui: La contraddizione, Roma 1977; La tradizione scotistica veneto�padovana, Roma 1978; La dimen� sione dell'economico, Padova 1979 etc.).

LAURA ISEPPI (Venezia, 1952) laureata in filosofia all'Università di Padova, collabora all'attività del gruppo 'Filosofia pratica e scienza politica' delia Scuola di perfezionamento in filosofia della stessa Università. Si occupa prevalentemente delle teorie politiche del seicento.

CLAUDIO PACCHIANI (Venezia, 1945) è docent� di filosofia morale presso la facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Pa­dova. Ha pubblicato i volumi: L'idea della scienza in Husserl (Pa� dova. 1973), Spinoza tra teologia e politica (Abano 1979); ed insie� me ad altri autori: Per una storia del moderno concetto di politica (Padova 1977), Il concetto di rivoluzione (Bari 1979), Teorie poli� tiche e stato nel pe�f{�rP\f7_�,

�����· !(�ql'?�.'l�8p);\'

i: l

Page 88: Claudio Pacchiani - Filosofia Pratica e Scienza Politica

Filosofia pratica e scienza politica. [Di] L. !seppi . . . [e altri]. A cura di Claudio Pacchiani. Abano Terme_, Francisci,

1980.

172

pp. 180 cm. 20 (Progetto. Sez. politica. 3) L. 6.000 1 . Politica e morale 2. Filosofia politica I. Iseppi, Laura II. Pacchiani Claudio

o

Tutti i volumi pubblicati dalla Cas·a Editrice Frariciscl·sOnO corre· . dati da una scheda bibliografica, redatta secondo le norme di cata· · legazione in uso presso la Bibliografia Nazionale ltalian�.

Questo impegno dell'editore vuole essere un sia pur modesto ma concreto contributo al lavoro svolto dai bibliotecari italiani ·per un migliore funzionamento degli istituti .in cui operano. L'iniziativa intende inoltre favorire l'organizZazione razionale delle informazioni bibliografiche In tutte le sedi _della doèumentazione (biblioteche scolastiche, specializzate, aziendali, ecc.)_�