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Codice di procedura penale - latribuna.it · 1. D.P.R. 22 settembre 1988, n. Ap-447. provazione del codice di procedura penale (Suppl. ord. n. 92 alla Gazzetta Ufficiale Serie gen

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Codice di procedura penale

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1.

D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447. Ap-provazione del codice di procedura penale (Suppl. ord. n. 92 alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 250 del 24 otto-bre 1988) e avvisi di rettifica in Gazzetta Ufficiale n. 291 del 13 dicembre 1988, n. 293 del 15 dicembre 1988 e n. 304 del 29 dicembre 1988.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli artt. 76 e 87 della Costituzione;Vista la L. 16 febbraio 1987, n. 81, recante

delega legislativa al Governo della Repubbli-ca per l’emanazione del nuovo codice di pro-cedura penale;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 29 gennaio 1988;

Visto il parere espresso in data 16 maggio 1988 della Commissione parlamentare istitu-ita a norma dell’art. 8 della citata legge n. 81 del 1987;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Mi-nistri, adottata nella riunione del 18 luglio 1988;

Visto il parere espresso in data 4 agosto 1988 dalla Commissione parlamentare a nor-ma dell’art. 8, comma 3, della citata legge n. 81 del 1987;

Visto il parere espresso in data 19 luglio 1988 dal Consiglio Superiore della Magistratura;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 settem-bre 1988;

Sulla proposta del Ministro di grazia e giu-stizia.

Emanail seguente decreto:

1. 1. È approvato il testo del codice di pro-cedura penale, allegato al presente decreto.

2. Le disposizioni del nuovo codice di procedura penale entrano in vigore un an-no dopo la loro pubblicazione nella Gazzet-ta Ufficiale.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta uf-ficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 22 settembre 1988.

COSSIGA

De Mita, Presidente del Consiglio dei Mi-nistri

VASSALLI, Ministro di grazia e giustizia

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libro iSOGGETTI

Il Libro in commento è costituito dalle norme relative ai profili dei diversi protagonisti della vi-cenda processuale.

In via preliminare, appare opportuno sottoli-neare come la scelta di collocare tali disposizioni all’inizio del codice di rito è perfettamente co-erente con le peculiarità del modello accusato-rio per il quale ha optato il legislatore del 1989, il quale da un processo inquisitorio caratteriz-zato dalla centralità dell’azione penale, alla cu-i disciplina erano, appunto, riservate le norme di apertura del codice previgente, è addivenuto alla costruzione di un nuovo sistema di rego-le funzionali a garantire una corretta dialettica tra accusa e difesa nell’accertamento della ve-rità processuale, al cospetto di un giudice terzo e imparziale.

Ogni soggetto coinvolto in tale contesto dina-mico risulta avere, pertanto, una sua precisa di-mensione e collocazione a seconda del ruolo che è chiamato a ricoprire. Si è, in altri termini, in presenza di una normativa sistematica che, par-tendo da colui che esercita l’attività giurisdizio-nale, si sviluppa attraverso la regolamentazione degli aspetti strutturali e funzionali del pubblico ministero, della polizia giudiziaria, dell’impu-tato, della parte civile, del responsabile civile e civilmente obbligato per pena pecuniaria, della persona offesa dal reato e del difensore.

La disciplina, senza dubbio organica e nutrita, non presenta, tuttavia, prescrizioni specifiche in relazione agli ausiliari del giudice e del pubbli-co ministero né ad altri protagonisti del processo, quali testimoni, periti e consulenti tecnici, i cui profili vengono trattati in contesti del codice di-versi dal libro in esame, sulla base della conside-razione precipua del ruolo da essi svolto nel pro-cedimento di formazione del quadro istruttorio.

Pur rilevando l’assenza di una definizione le-gislativa “neutra” della nozione di soggetto pro-cessuale, risulta senza dubbio utile una distin-zione tra tale figura e quella di parte processuale in senso proprio. Se nella prima categoria sono

annoverabili indistintamente tutti coloro i quali prendono parte alla vicenda processuale, con il termine “parte” si fa esclusivo riferimento a chi è titolare del diritto alla pronuncia giurisdizionale finale sulla base di uno specifico interesse, perso-nale (imputato, ed eventualmente persona civil-mente obbligata per la pena pecuniaria, parte civi-le e responsabile civile) o istituzionale (pubblico ministero), fatto valere nel procedimento nel ri-spetto dei principi che lo informano. È evidente, pertanto, come la qualità di parte non possa essere riconosciuta né all’organo giudicante, vista la su-a posizione istituzionale di terzietà e imparzialità (art. 111 Cost.), né alla persona offesa dal reato, in considerazione della sua funzione sollecitatoria, né alla polizia giudiziaria e al difensore, le cui at-tività sono semplicemente funzionali a sostenere, nelle rispettive sfere di azione, il pubblico mini-stero, nell’esercizio dell’azione penale, e l’impu-tato, nell’esercizio del diritto costituzionale alla difesa della propria situazione in relazione all’im-putazione formulata.

TiTolo iGIUDICE

Il Titolo in commento riguarda l’organo al quale l’ordinamento attribuisce in via esclusiva, ex art. 102 Cost., l’esercizio della funzione giu-risdizionale, cioè il compito di decidere l’esito della vicenda processuale penale sulla base del principio del giusto processo affermato nell’art. 111 della Costituzione.

La collocazione topografica delle norme in questione, all’interno del codice di rito vigente, si rivela sicuramente non casuale, ma finalizzata ad affermare la centralità del ruolo del giudice nel contesto di un processo concepito non più co-me strumento per la realizzazione della pretesa punitiva in relazione ai fatti oggetto di imputa-zione, bensì quale “sistema di garanzie” nel cui ambito vengano contemperati i diritti fondamen-tali dell’imputato e l’esigenza di accertamento della verità processuale.

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1 LIBRO I - SOGGETTI

Dal punto di vista ordinamentale, alla luce dei diversi precetti costituzionali relativi alla magistra-tura intesa come potere dello Stato e al giudice qua-le organo deputato all’esercizio della giurisdizione, preclusa in radice la possibilità di istituire giudici straordinari, chiamati, cioè, a pronunciarsi su un fatto determinato verificatosi prima della loro isti-tuzione, all’interno della categoria dei giudici or-dinari si possono effettuare le seguenti distinzioni:

- giudici togati (magistrati professionali ap-partenenti all’ordinamento giudiziario in via defi-nitiva, nominati per concorso sulla base di quanto previsto dall’art. 106 comma 1, Cost.) e giudici laici (cittadini chiamati ad esercitare la funzione giurisdizionale temporaneamente sulla base di specifici requisiti fissati dalla legge, come i giudi-ci di pace o i sei membri laici della corte d’assise);

- giudici monocratici (l’organo giudicante è costituito da una sola persona fisica) e giudi-ci collegiali (l’organo giudicante è composto da una pluralità di persone fisiche).

Rispetto alle funzioni esercitate, gli organi giudicanti ordinari possono essere così suddivisi:

- giudice di pace, organo monocratico; - giudice per le indagini preliminari e giudice

per l’udienza preliminare, entrambi monocratici; - tribunale ordinario, il quale giudica in com-

posizione monocratica o collegiale (in tal caso con il numero invariabile di tre componenti) a se-conda della gravità o delle peculiarità del reato;

- corte d’assise, organo collegiale composto da otto membri di cui due togati e sei laici;

- corte d’appello, organo collegiale compo-sto da tre magistrati togati;

- corte d’assise d’appello, organo collegia-le la cui composizione ricalca quella della corte d’assise di primo grado;

- magistrato di sorveglianza, organo mono-cratico;

- tribunale di sorveglianza, organo collegiale composto da quattro magistrati di cui due togati e due laici;

- Corte di Cassazione, giudice supremo di le-gittimità, costituita in Sezioni chiamate a giudica-re con il numero invariabile di cinque votanti, o di nove nel caso di composizione a Sezioni unite.

CaPo iGIURISDIZIONE

1. Giurisdizione penale (1). – 1. La giurisdizione penale è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudizia-

rio (102 Cost.) secondo le norme di questo codice.

(1) Si veda il R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, recante la normativa fondamentale sull’ordinamento giudiziario.

La norma in esame fissa un principio cardi-ne riguardo all’esercizio della funzione giurisdi-zionale penale: titolari del potere di definizione della vicenda processuale possono essere solo ed esclusivamente quei magistrati ai quali l’or-dinamento giudiziario attribuisce la qualità di “organi giudicanti”, mediante uno specifico atto di investitura o di nomina, la cui conformità al-le previsioni legali è presupposto indispensabile perché possa dirsi ricorrente, nel loro concreto operare, una valida e corretta attività di giurisdi-zione.

Il disposto dell’articolo in commento, pertan-to, determina un profondo legame tra le previ-sioni ordinamentali in senso stretto e l’effettivi-tà dell’attività procedimentale posta in essere dal magistrato che, sempre stando alla lettera della norma, deve conformarsi alle previsioni del co-dice di rito. Tale raccordo emerge indirettamente dalla previsione dell’art. 178, a norma del quale l’inosservanza delle disposizioni concernenti la capacità del giudice contenute nel R.D. 30 gen-naio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) cau-sa la nullità assoluta di ogni singolo atto posto in essere da colui il quale solo apparentemente rive-ste la qualità di magistrato giudicante.

Pertanto, soltanto l’investitura rituale di colui il quale è chiamato a pronunciarsi sui fatti ogget-to di imputazione assicura la validità di tutti gli atti dallo stesso compiuti.

u  In tempo di pace la giurisdizione “norma-le” è quella ordinaria, mentre quella militare ha carattere eccezionale, ed è comunque con riferimento al solo processo di cognizione che opera il principio di cui all’art. 103, comma ter-zo, Cost. Ne consegue che esso non è invocabile in tema di giurisdizione nel processo esecutivo, e in particolare in quello di sorveglianza, anche se stabilisce il criterio generale per delimitare l’ambito di estensione rispettivo della giurisdi-zione ordinaria e di quella speciale in detto pro-cesso (2634/1994, rv 198172).

u   È giuridicamente inesistente il provvedi-mento giurisdizionale che, quantunque mate-rialmente esistente e ascrivibile a un giudice, sia tuttavia privo del requisito minimo della

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2 Titolo I - Giudice

provenienza da un organo giudiziario investito del potere di decisione in una materia riservata agli organi della giurisdizione penale e, come tale, risulti esorbitante, siccome invasivo dello specifico campo riservato al giudice penale, dai limiti interni e oggettivi che, alla stregua dell’ordinamento positivo, discriminano il ramo civile e quello penale nella distribuzione della “iurisdictio” (25/1999, rv 214694).

u   L’Amministrazione militare deve inten-dersi circoscritta nelle strutture occorrenti per l’organizzazione del personale e dei mezzi ma-teriali destinati alla difesa armata dello Stato, e i beni in dotazione della stessa si identificano in quelli che, a norma delle leggi sulla contabilità generale dello Stato, sono amministrati dal Mi-nistero della difesa o dai corpi militari, mentre non possono essere compresi tra quelli appar-tenenti all’Amministrazione militare i beni as-segnati ad altri Ministeri, per l’uso degli stessi o dei servizi da essi dipendenti o da essi ammini-strati, ovvero quelli che rappresentano ogget-to di gestione sotto un profilo esclusivamente privatistico. Ne consegue che, poiché il corpo della Guardia di Finanza fa parte integrante delle Forze armate dello Stato, è configurabile la giurisdizione dell’autorità giudiziaria milita-re, e non di quella ordinaria, in tema di truffa consumata da sottufficiale di detto corpo in danno dell’Amministrazione di appartenenza, mediante il conseguimento dell’indebito rim-borso di spese di missione eccedenti quanto effettivamente pagato (1410/2000, rv 215224).

u   Non può dirsi inesistente la sentenza di condanna pronunciata dal tribunale ordinario per fatti commessi da un soggetto all’epoca de-gli stessi minorenne, perché la sentenza è inesi-stente quando è emessa da un soggetto estra-neo all’ordinamento giudiziario (45603/2010).

2. Cognizione del giudice. – 1. Il giu-dice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversa-mente stabilito (3, 30, 2633, 3248, 479) (1).

2. La decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione civi-le, amministrativa o penale non ha efficacia vincolante in nessun altro processo (651, 652, 654).

(1) La pregiudiziale relativa alla legittimità costitu-zionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge è di competenza della Corte costituzionale (art. 134 Cost.). Per la c.d. pregiudiziale comunitaria e la competenza

della Corte di giustizia della Comunità europea, si veda l’art. 3 della L. 13 marzo 1958, n. 204.

La disposizione in commento individua i confini dello spatium deliberandi riconosciuto dall’ordinamento a quell’organo giudicante che costituisce il protagonista principe del processo penale, cioè la possibilità, per lo stesso, di pro-nunciarsi su tutte quelle questioni che potrebbero costituire oggetto di un diverso procedimento ci-vile, penale o amministrativo, e che, nella singo-la fattispecie, si pongono in rapporto di pregiudi-zialità logica con la pronuncia finale relativa ai fatti oggetto di imputazione.

Occorre sottolineare come la ratio di tale pre-visione debba necessariamente essere individuata nell’esigenza di garantire quei principi di massi-ma semplificazione e celerità nell’attività di ac-certamento della verità processuale, imposti dal-la legge delega ed ulteriormente avvalorati dalla recente introduzione del parametro costituzionale della ragionevole durata del processo, che verreb-bero irrimediabilmente compromessi laddove ri-sultasse necessario sospendere il processo penale tutte le volte in cui si imponga l’indefettibile pre-liminare definizione di simili questioni. La nor-ma, tuttavia, richiama l’esistenza nel sistema di una serie di eccezioni a tale regola la cui indubbia tassatività ne impone una specifica elencazione:

– questioni pregiudiziali [➠ 3] per le quali il codice consente la sospensione del processo;

– controversia relativa alla proprietà del be-ne sottoposto a sequestro [263, comma 3, e 324, comma 8];

– altre questioni civili e amministrative [➠ 479];

– questioni di legittimità costituzionale (art. 1, L. cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e art. 23, L. 11 marzo 1953, n. 87);

– questioni concernenti l’interpretazione del-le norme del Trattato CE (art. 177, Trattato CE);

– conflitti di giurisdizione e competenza [➠ 28], oggetto di specifica disciplina, in relazione ai quali il giudice è obbligato a trasmettere im-mediatamente gli atti alla Corte di Cassazione che risolve il conflitto.

In tutte le suddette fattispecie il giudice non può esercitare i poteri decisori generalmente ri-conosciutigli nel contesto di una singola vicenda processuale, ma deve attendere e successivamen-te attenersi alle pronunce degli organi competenti.

Il secondo comma precisa poi chiaramente come gli esiti di questa cognizione occasionale

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3 LIBRO I - SOGGETTI

non possano in alcun modo riverberarsi all’ester-no dello specifico processo penale nel quale in-tervengono (esempio).

Ciò che il giudice penale deciderà, in tema di status di fallito dell’imprenditore coinvolto nel procedimento o di sussistenza dei presuppo-sti per la sospensione di una concessione edili-zia presumibilmente affetta da vizi di legittimità, non può in alcun modo vincolare le valutazioni del giudice civile o amministrativo chiamato a pronunciarsi in altro processo sulle medesime questioni, potendo al massimo configurarsi, nel-la ricostruzione incidentale del giudice penale, la ricorrenza di un principio di prova liberamente valutabile o il suggerimento di ulteriori prospet-tive istruttorie.

u  Ai sensi dell’art. 2 c.p.p. spetta al giudice penale decidere in via incidentale la natura pubblica o privata di un ente quando la que-stione assuma rilevanza ai fini della qualifica-zione giuridica del fatto oggetto dell’imputa-zione (3035/1999, rv 212941).

u  Se il giudice civile ha dichiarato il fallimen-to di persona insolvente, ritenuta imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c., il giudice penale deve bensì verificare la sussistenza della sua pronun-cia, per accertare un elemento costitutivo inde-fettibile della fattispecie di reato fallimentare. Ma, poiché la sentenza dichiarativa di fallimen-to non fa stato nel processo penale, tale accer-tamento è insufficiente ad integrare la prova della qualità di imprenditore, e cioè di soggetto attivo del reato, della persona dichiarata fallita, se essa è controversa ai fini dell’art. 2221 c.c. e 1 del R.D. n. 267 del 1942 per emergenze che in-ducano ad attribuire all’imputato lo svolgimen-to dell’attività di piccolo imprenditore, prevista dall’art. 2083 c.c. (5544/1999, rv 213529).

u  L’aggravante del nesso teleologico, previ-sta dall’art. 61 c.p., n. 2, può essere ritenuta, in applicazione dell’art. 2 c.p.p., comma 2, anche se il reato fine viene giudicato separatamente (12707/2003, rv 224063).

u  In tema di misure di prevenzione, sussiste il difetto assoluto di giurisdizione del giudice penale in favore del giudice civile in ordine alla domanda di rilascio promossa dal proprietario di un complesso immobiliare occupato dai beni del complesso aziendale di un’impresa confisca-ta in via definitiva (21063/2010).

u  In tema di reati fallimentari i pagamenti indicati in fatture rivelatesi relative ad opera-

zioni inesistenti sono da considerare come di-strazioni di somme dal patrimonio delle rispet-tive società e dato il principio dell’autonomia dell’azione penale sancito dall’art. 2 c.p.p. la sentenza civile relativa al risarcimento del dan-no da contratto, ancorché irrevocabile, non fa stato nel processo penale quanto alla valutazio-ne del fatto operata nel processo civile, soprat-tutto se quest’ultimo era nei confronti di parti rimaste estranee all’azione penale (Trib. Milano 13 marzo 2012).

u  Non viola il divieto di “reformatio in pe-ius” il giudice di appello che, su impugnazione del solo imputato, proceda alla derubricazione del reato, per cui vi era stata condanna in pri-mo grado, in altro meno grave e a un giudizio di bilanciamento delle circostanze deteriore ri-spetto a quello formulato dal giudice di prime cure (41279/2012).

u  In tema di sequestro probatorio, il sinda-cato del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa (il cui riscon-tro è riservato della cognizione nel merito), ma deve essere limitato alla verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato ed al controllo dell’esatta qualificazione dell’og-getto del provvedimento come “corpo del rea-to “ o “cosa pertinente al reato” (19962/2013).

u   In caso di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, ma solo come illecito amministrativo, il giudice non ha l’obbligo di trasmettere gli atti all’autorità am-ministrativa competente a sanzionare l’illecito amministrativo qualora la legge di depenalizza-zione non preveda norme transitorie analoghe a quelle di cui agli artt. 40 e 41, l. 24 novembre 1981, n. 689, la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione (11884/2014).

3. Questioni pregiudiziali. – 1. Quan-do la decisione dipende dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza, il giudice, se la questione è se-ria e se l’azione a norma delle leggi civili è già in corso, può sospendere il processo fi-no al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione (479, 630, lett. b); 324 c.p.c.) (1) (2).

2. La sospensione è disposta con ordi-nanza soggetta a ricorso per cassazione. La corte decide in camera di consiglio (127).

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3 Titolo I - Giudice

3. La sospensione del processo non impe-disce il compimento degli atti urgenti (467).

4. La sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo sta-to di famiglia o di cittadinanza ha efficacia di giudicato nel procedimento penale.

(1) Ipotesi di sospensione obbligatoria del processo penale sono quelle di pregiudiziale costituzionale e di pregiudiziale comunitaria di cui alla nota 1 dell’arti-colo precedente.

(2) A norma dell’art. 20 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione.

La norma in commento costituisce espres-sa eccezione rispetto alla regola generale conte-nuta nella disposizione precedente. Essa, infatti, consente all’organo giudicante di sospendere il processo penale nel momento in cui la decisione che in esso deve essere assunta dipende dalla so-luzione di una questione pregiudiziale di natura civilistica o amministrativa attinente allo stato di famiglia o alla cittadinanza. Tuttavia occorre os-servare, in via preliminare, come la rigida indica-zione dei presupposti che consentono la sospen-sione e la previsione di un meccanismo di “stasi processuale” che si attiva non automaticamente ma solo a seguito di una decisione discrezionale da parte del giudice consentono di circoscriverne l’operatività in modo tale da non compromettere il valore della celerità nella definizione della vicen-da processuale, al contrario di quanto avverrebbe in una fattispecie di sospensione obbligatoria.

Condizioni per l’applicazione dell’istituto sono: – il rapporto di pregiudizialità tra la que-

stione insorta e la decisione del giudizio penale; – la serietà della questione medesima, cioè

la fondatezza delle ragioni prospettate dalle parti; – la pendenza del procedimento incidentale

riguardante la specifica questione innanzi al giu-dice civile.

Il provvedimento di sospensione, rimesso al-la scelta discrezionale del giudice penale, deve essere adottato con ordinanza motivata, seppur succintamente, in relazione alla sussistenza dei presupposti suddetti. Tale valutazione è soggetta a ricorso davanti ai giudici di legittimità, i qua-li sono chiamati esclusivamente a verificare la mera sussistenza, nel caso di specie, dei requisiti

normativamente previsti. Peraltro l’esplicita pre-visione di poteri di impugnazione esercitabili av-verso l’ordinanza sospensiva si giustifica ove si consideri che la medesima è idonea a cagionare la sospensione dei termini di prescrizione del re-ato (così Cassazione n. 10849 del 1991).

La stasi del procedimento penale perdura fino al passaggio in giudicato della pronuncia che de-finisce la questione sullo stato di famiglia o sulla cittadinanza, ma, nelle more della decisione in-cidentale, non è preclusa la possibilità di adot-tare atti urgenti, come l’assunzione di prove non rinviabili (esempio). Sempre al fine di evitare il contrasto tra giudicati, la norma prevede espres-samente che la sentenza emessa dal giudice civi-le vincoli la cognizione dell’organo giudicante in sede penale per ciò che attiene alla pregiudiziale controversa.

Audizione di un testimone che versi in con-dizioni di salute tali da far ragionevolmente rite-nere che lo stesso non potrà essere sottoposto ad esame alla ripresa del processo penale.

u   In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’obbligo, penalmente san-zionato, di corrispondere i mezzi vitali permane finché lo “status” dell’avente diritto al sostenta-mento non muti a seguito di sentenza passata in giudicato. Trattasi, infatti, di obbligazione “ex lege” a tutela dell’interesse primario del fami-liare in stato di bisogno, rafforzata dalla proce-dibilità d’ufficio del reato. La controversia sulla validità del vincolo parentale non costituisce questione pregiudiziale rispetto all’accertamen-to degli obblighi in questione e non legittima la sospensione del relativo procedimento penale in quanto gli effetti del vincolo stesso perman-gono finché questo non sia stato dichiarato giu-dizialmente cessato (850/1994, rv 196323).

u   Nel nuovo codice di procedura penale le questioni pregiudiziali sono state ridotte a quelle relative allo stato di famiglia ed alla cit-tadinanza, mentre gli artt. 651, 652, 653 e 654 c.p.p. regolano l’efficacia delle sentenze penali di condanna o di assoluzione nel giudizio civi-le, amministrativo e disciplinare. Non è invece prevista né regolata l’efficacia delle senten-ze penali di assoluzione in altro o nello stesso giudizio penale sicché, essendo i relativi giudi-zi fra loro autonomi dato che in quello penale deve essere ricercata la verità, quanto accertato nella precedente pronuncia penale non fa sta-

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3 LIBRO I - SOGGETTI

to in quello successivo. Ne consegue che è da escludere che il giudice del delitto di associazio-ne per delinquere sia vincolato da precedente pronuncia su di un reato-fine e non possa rin-novare l’indagine né riconsiderare le valenze probatorie degli elementi posti a base dell’as-soluzione definitiva di quel reato-fine, quando ciò serva al giudizio tuttora in corso sul delitto associativo (4609/1995, rv 201147).

u   Poiché possa disporsi la sospensione del procedimento penale in relazione a controver-sia civile sulla questione di stato, è necessario che l’illiceità penale dell’azione od omissione contestata all’imputato dipenda dal preceden-te stato di una persona e che, essendo tale stato controverso, la decisione della questione rela-tiva sia destinata a costituire l’antecedente lo-gico-giuridico della pronuncia sull’esistenza del reato. Non può disporsi la sospensione quando il fatto ascritto all’imputato coincida e si iden-tifichi con quello da cui ha tratto origine lo stato che si assume falsamente attribuito a una persona. Ne consegue che, di fronte alla conte-stazione del delitto di cui all’art. 567 c.p., con-trovertendosi sullo stato che secondo l’accusa ha tratto origine proprio dalla falsità ascritta al prevenuto, non ricorrono i presupposti per l’o-peratività della sospensione del procedimento penale (8060/1995, rv 202151).

u   In tema di pregiudiziale costituzionale, la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87 consegue ob-bligatoriamente solo alla trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale, che il giudice dispone previa delibazione della rilevanza nel procedi-mento in corso e della non manifesta infonda-tezza della questione sollevata; ove pertanto una questione di legittimità costituzionale sia stata rimessa alla Consulta in un procedimento diverso, non può configurarsi l’esistenza di una pregiudiziale in senso proprio con conseguente obbligo del giudice di sospendere – a pena di nullità – il giudizio in cui la medesima questione si sia riproposta, potendosi al più desumere, sul-la base della disciplina generale delle questioni pregiudiziali quale positivamente realizzata da-gli artt. 2 e 3 c.p.p., una semplice facoltà in tal senso da parte del secondo giudice, previa deli-bazione della questione in termini di “serietà” (2267/1997, rv 207554).

u   La sospensione del procedimento è un mezzo eccezionale cui il giudice, secondo i casi, deve o può far ricorso solo quando la legge espressamente lo prevede e cioè solo quando la decisione dipenda dalla risoluzione di una que-stione pregiudiziale costituzionale, ovvero dalla

risoluzione di una questione civile o amministra-tiva. In ogni altro caso, il giudice penale è tenuto a risolvere ogni questione pregiudiziale, pur con efficacia non vincolante (503/1998, rv 210767).

u  In tema di bancarotta, la dichiarazione di fallimento, una volta che abbia acquistato il ca-rattere della irrevocabilità, costituisce un dato definitivo e vincolante sul quale non possono più sorgere questioni non collegate alla produ-zione formale della prova della sua giuridica esistenza (4427/1998, rv 211139).

u  Poiché a norma dell’art. 3, comma quarto, c.p.p., è riconosciuta efficacia di giudicato nel procedimento penale e, per il rinvio contenuto nell’art. 4 della legge n. 1423 del 1956, anche nel procedimento di prevenzione, alle sentenze irrevocabili del giudice civile relative allo stato di famiglia o di cittadinanza, la sentenza dichia-rativa di morte presunta, che non riguarda né lo “status familiae”, né lo “status civitatis”, né statuisce sul modo di essere di un rapporto giu-ridico o sulla modificazione di esso, ma soltanto sull’accertamento in via presuntiva, attraverso un procedimento logico, di un fatto naturale come la morte, non può avere efficacia nel pro-cedimento penale e in quelli, come la procedu-ra per l’applicazione delle misure di prevenzio-ne, che sono regolati dalle norme del codice di procedura penale (5830/1999, rv 212667).

u  In tema di bancarotta, l’imputato che, ai sensi dell’art. 479 c.p.p., richiede la sospensio-ne del dibattimento, in attesa della definizione del processo instaurato contro la dichiarazione di fallimento, è tenuto allo scopo di consenti-re al giudice penale di valutare la opportunità dell’esercizio del proprio potere discrezionale sul punto a fornire allegazioni non solo alla esi-stenza della procedura in sede civile, ma anche in ordine alla serietà della questione sollevata, atteso che costituisce presupposto, normativa-mente postulato, della invocata sospensione la complessità del giudizio instaurato in sede civile o amministrativa (31074/2001, rv 219636).

u   Anche nel rito abbreviato è possibile la sospensione del procedimento, tanto in attesa della risoluzione di questione sullo stato di fami-glia o di cittadinanza (ai sensi dell’art. 3 c.p.p.), quanto in pendenza di giudizio su altre questioni pregiudiziali civili o amministrative di particola-re complessità, come previsto dall’art. 479 stesso codice, atteso che non può ritenersi vincolante la lettera di tale articolo, la quale fa riferimento solo alla sospensione del dibattimento, anche in considerazione del fatto che detta sospensione non è finalizzata ad operare sul momento della acquisizione probatoria, ma su quello della de-

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3 Titolo I - Giudice

cisione; invero, proprio dalla decisione pregiudi-ziale di altro giudice, il giudice penale attende la possibilità di acquisire non ulteriori dati probato-ri, quanto elementi indispensabili al fine di per-venire ad una corretta soluzione (13780/2002).

u  Il codice di procedura penale vigente, ap-provato con d.P.R. n. 447 del 1988, non contiene una norma analoga a quella di cui all’art. 3 del codice abrogato, il quale, al comma 1, statuiva che, quando nel corso di un giudizio civile ap-pariva un fatto nel quale fossero ravvisabili gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, il giu-dice doveva farne rapporto al procuratore della Repubblica. Ne consegue che in nessun caso il giudice civile è tenuto a trasmettere gli atti al suddetto procuratore qualora abbia ricevuto una specifica richiesta in tal senso. (Fattispecie relativa ad un giudizio in materia di locazione, iniziato in primo grado nel 1996, nel corso del quale il conduttore aveva addotto responsabi-lità penali del locatore in relazione a presunte condotte di estorsione di dichiarazioni non veri-tiere e di rilascio di ricevute (10490/2009).

u   La richiesta di sospensione del dibatti-mento ai sensi dell’art. 479 c.p.p., pur essendo oggetto di valutazione discrezionale, obbliga il giudice a fornire puntuale motivazione delle ragioni per le quali ritenga superfluo attende-re l’esito del giudizio civile o amministrativo dalla cui risoluzione può dipendere la decisione sull’esistenza del reato (17528/2010).

u   Ai fini dell’integrazione del reato di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza nei confronti di minore non nato in costanza di ma-trimonio, è richiesta la prova della filiazione, da acquisirsi o mediante l’atto di riconoscimento formale ovvero mediante altro modo consen-tito, non esclusa eventualmente l’applicazione della pregiudiziale di stato ai sensi e per gli ef-fetti dell’art. 3 c.p.p. (In applicazione del princi-pio la Corte ha annullato con rinvio la senten-za impugnata che aveva ritenuto la filiazione provata in base alla mera testimonianza della madre in ordine all’avvenuto riconoscimento di paternità non confortato da atti giudiziali e neppure da riscontri anagrafici) (15952/2012).

CaPo iiCOMPETENZA

Il Capo in commento, relativo al tema della competenza, fissa i criteri normativi funzionali all’attuazione di una ordinata distribuzione, in senso orizzontale e verticale, delle regiudican-

de penali, ed all’individuazione del giudice na-turale precostituito per legge ai sensi dell’art. 25 comma 1, Cost., nel pieno rispetto del principio della buona efficienza dell’amministrazione giu-diziaria.

La precostituzione dell’organo giudicante, anteriormente all’insorgere della controversia sui fatti oggetto di imputazione, è predisposta dall’ordinamento giudiziario a garanzia dell’in-dipendenza di colui il quale è chiamato a pro-nunciarsi e, contestualmente, della libertà dei cit-tadini.

I due cardini di ripartizione individuati dal le-gislatore sono:

- la competenza per materia, che consente di suddividere il lavoro tra i diversi uffici giudizia-ri in ragione sia del criterio qualitativo (natura e tipologia del reato) sia di quello quantitativo (en-tità e gravità della pena edittale);

- la competenza per territorio, che permet-te di individuare, tra i vari uffici giudiziari dello stesso tipo dislocati sul territorio della Repubbli-ca, quello competente a conoscere del procedi-mento.

Accanto alle due tradizionali figure di ripar-tizione il legislatore ne ha introdotte ex novo al-trettante:

- la competenza per connessione, la quale tiene conto della necessità di operare una tratta-zione unitaria di cause collegate alla luce di pa-rametri di riferimento tassativamente prefissati, in conformità ai principi di celerità e speditezza dell’attività processuale;

- la competenza funzionale, la quale fa riferi-mento alla distribuzione del carico giudiziario di un medesimo procedimento, in virtù del princi-pio di separazione delle diverse fasi processuali fatto proprio dal modello accusatorio dell’attuale codice di rito.

Regole particolari sono poi dettate per la in-dividuazione del giudice relativamente ai reati commessi all’estero [c.p. 10] ed ai procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona indagata, imputata, offesa o danneggiata dal reato (criterio della circolarità). Riguardo agli imputa-ti che al momento del fatto erano minorenni non operano le ordinarie regole di connessione, es-sendo riservata l’esclusiva cognizione delle cause di questo tipo al Tribunale minorile. Infine, circa le regole di individuazione della competenza del giudice di pace penale, occorre far rinvio a quanto previsto dagli artt. 4-8 del D.Lgs. n. 274 del 2000.

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4 LIBRO I - SOGGETTI

Sezione iDISPOSIZIONE GENERALE

4. Regole per la determinazione del-la competenza. – 1. Per determinare la competenza (coord. 210) si ha riguardo al-la pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato (56 c.p.). Non si tiene conto della continuazione (81 c.p.), della re-cidiva (99 c.p.) e delle circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (633 c.p.).

La norma in esame stabilisce i parametri che devono essere osservati nella determinazione della competenza, riferendosi esclusivamente al criterio quantitativo della pena edittale fissata dalla legge penale in relazione al delitto tentato o consumato.

La disposizione contiene, poi, una specifica disciplina di quei fattori che, ricorrendo sin dal momento dell’esercizio dell’azione penale, po-trebbero incidere sulla portata effettiva della pe-na medesima in occasione della pronuncia fina-le. Nessun rilievo è attribuito alle variazioni del quantum della sanzione dipendenti dall’applica-zione della continuazione e della recidiva. In re-lazione alle circostanze assumono rilievo le sole aggravanti ricorrendo le quali la legge prevede il passaggio dalla pena originariamente prevista ad una sanzione di specie differente ovvero quelle ad effetto speciale che importano un incremento superiore ad un terzo della misura base, ai sen-si dell’art. 63 c.p. Non si considerano in alcun modo le circostanze attenuanti, né la diminuente della minore età.

u  L’art. 4 c.p.p. esclude ogni incidenza delle circostanze attenuanti, quale che sia la loro na-tura, nella determinazione della competenza (3838/1991, rv 186928).

u  L’art. 4 c.p.p., nel prevedere la rilevanza, ai fini della determinazione della competenza, delle circostanze ad effetto speciale, si riferisce unicamente alle circostanze aggravanti e non anche a quelle attenuanti (907/1993, rv 193672).

u  Le norme sulla competenza hanno carat-tere processuale ed, in applicazione del princi-pio d’ordine generale “tempus regit actum”,

sono di immediata applicazione anche ai reati commessi in epoca antecedente alla data della loro entrata in vigore, salvo che il relativo pro-cesso sia già radicato legittimamente davanti ad altro giudice, competente secondo le dispo-sizioni previgenti, perché in tal caso – e solo in esso – opera la cosiddetta “perpetuatio compe-tentiae” (4729/1993, rv 192680).

u  Il decreto penale di condanna costituisce un provvedimento giurisdizionale assimilabi-le alla sentenza di condanna, che presuppone l’esistenza d’un processo, il quale in esso vede uno dei possibili modi di propria definizione e l’avvenuto radicamento della competenza in capo al giudice che lo emette; l’opposizione, infatti, serve a instaurare il giudizio ordinario davanti al pretore – giudice del dibattimento – della stessa sede cui appartiene il G.I.P. che ha emesso il decreto opposto. Ne consegue che, radicandosi la competenza a giudicare al mo-mento dell’emissione del decreto, non trovano applicazione, in virtù del principio della “per-petuatio competentiae”, le norme modificatrici dei criteri di determinazione della competen-za per territorio, successive a tale momento (4729/1993, rv 192681).

u   L’incompetenza funzionale equivale al disconoscimento della ripartizione delle attri-buzioni del giudice in relazione allo sviluppo del processo e riflette i suoi effetti direttamen-te sull’idoneità specifica dell’organo all’ado-zione di un determinato provvedimento. Essa, pur non avendo trovato un’esplicita previsione neppure nel nuovo codice di procedura penale, proprio perché connaturata alla costruzione normativa delle attribuzioni del giudice ed allo sviluppo del rapporto processuale, è desumibile dal sistema ed esprime tutta la sua imponente rilevanza in relazione alla legittimità del prov-vedimento emesso dal giudice, perché la sua mancanza rende tale provvedimento non più conforme a parametri normativi di riferimento (14/1994, rv 198219).

u  In tema di competenza penale vige, in li-nea generale il principio “tempus regit actum” in forza del quale – intervenuta una legge mo-dificatrice “ratione materiae” della competen-za prevista al momento della commissione del reato – vanno applicate le regole sulla compe-tenza con riferimento al tempo in cui una de-terminata attività di giurisdizione deve essere esercitata, col contemperamento del principio della “perpetuatio iurisdictionis” nell’ipotesi in cui il procedimento sia pervenuto alla fase del dibattimento. In materia di reati di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, la

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4 Titolo I - Giudice

legge 13 dicembre 1989 n. 401 è meno favore-vole rispetto all’art. 718 c.p., essendo prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni (art. 4) a fronte della pena da tre mesi ad un anno di arresto e dell’ammenda non inferiore a lire quattrocentomila prevista dall’art. 718 c.p. Tale nuova legge ha riflessi che appartengono, in quanto tali, alla cognizione del tribunale non essendo prevista la sola pena della multa o dell’ammenda (art. 10 della legge 31 luglio 1984 n. 400); in tal caso peraltro si verte in ipotesi di successione di leggi penali regolata dall’art. 2 c.p.: ne consegue che, per i fatti previsti dall’art. 4 della legge 13 dicembre 1989 n. 401, commes-si prima dell’entrata in vigore della legge stessa, resta applicabile la regola generale (artt. 4 e 7 c.p.p.) della competenza del giudice che l’aveva al tempo del commesso reato, e cioè il pretore (280/1994, rv 197131).

u   L’art. 11 del D.L. 8 giugno 1992 n. 306 convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356 ha elevato da tre a sei anni di reclusione la pena massima per il reato di falsa testimonian-za previsto dall’art. 372 c.p. Trattasi di norma che – pur avendo riflesso sulla competenza per materia, ora del tribunale e non più del preto-re – è di carattere sostanziale perché modifica l’entità della sanzione prevista per il reato, sicché rispetto ad essa non trova applicazione la regola “tempus regit actum”, propria delle norme processuali, ma l’altra relativa alle nor-me di natura sostanziale, dell’ultrattività della disposizione più favorevole. Ne consegue che per i fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della norma modificativa in questione, permane la competenza a conoscerne del pre-tore (1823/1994, rv 197632).

u   In materia di reati concernenti carte di credito e documenti ad esse assimilati, quali attualmente previsti dall’art. 12 del D.L. 3 mag-gio 1991 n. 143, convertito con modificazioni in legge 5 luglio 1991 n. 197, la competenza a conoscere del fatto originariamente qualificato come ricettazione e commesso prima dell’entra-ta in vigore di detta normativa speciale spetta al tribunale e non al pretore, in applicazione (mancando norma transitoria), del principio di ordine generale circa l’immediata operatività delle disposizioni incidenti sulla disciplina pro-cessuale (3407/1994, rv 199296).

u  La nuova disciplina attributiva della com-petenza per materia al tribunale in tema di illeciti relativi a carte di credito, deve ritenersi applicabile ai fatti anteriormente commessi, per la considerazione che non può prescindersi dall’osservanza del canone tradizionale, di por-

tata generale, per cui la disciplina processuale, anche se modificativa di competenze, preco-stituite, deve trovare immediata applicazione nei procedimenti in corso. Ed invero la com-petenza va verificata sul contenuto formale dei capi di imputazione, così come contestati nell’esercizio dell’azione penale, per cui anche qualora sia dubbia la qualificazione giuridica del fatto dell’acquisizione di carte di credito di provenienza illecita il conflitto di competenza va risolto con l’attribuzione della cognizione al giudice di competenza superiore, il quale è in grado di decidere sulla esatta qualificazione giuridica del fatto e sul trattamento sanziona-torio, pronunziandosi anche sul reato di compe-tenza inferiore (5370/1994, rv 196104).

u  In tema di competenza, in ipotesi di mo-dificazioni legislative, non accompagnate da disposizioni transitorie, va operata una distin-zione tra il caso in cui la norma modificativa concerna direttamente ed espressamente la competenza per materia (ovvero, per la com-petenza pretorile, i limiti di pena generalmente previsti nel primo comma dell’art. 7 c.p.p.), e il caso in cui la modificazione riguardi, invece, la pena per un reato determinato, da ciò derivan-do, ma soltanto come effetto mediato, anche uno spostamento di competenza. Mentre nel primo caso il principio “tempus regit actum” è rettamente applicato, per la natura schietta-mente processuale della norma sopravvenuta, nella seconda ipotesi la modificazione riguarda direttamente ed esclusivamente la pena, soltan-to da ciò emergendo, come derivato indiretto, lo spostamento della competenza per il reato, sulla base del parametro “edittale”. Ne conse-gue che, in questa seconda ipotesi, resta ferma la competenza radicatasi prima dell’intervento di modifica legislativa (5559/1994, rv 196115).

u   Il criterio della norma più favorevole al reo può essere utilizzato solo al fine di indi-viduare la disposizione di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, non quella pro-cessuale, come è quella disciplinante la compe-tenza tra diversi organi giudicanti, per la quale, in assenza di un’apposita norma transitoria, si deve far riferimento al principio generale del “tempus regit actum”, secondo cui la nuova disciplina processuale, anche se immuta la com-petenza precostituita, trova immediata applica-zione nei procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, sempre che, naturalmen-te, il giudice non sia stato già legittimamente investito del relativo giudizio, in quanto, in tal caso, essendosi già radicata la competenza, la

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5 LIBRO I - SOGGETTI

nuova disciplina processuale non ha efficacia (2537/1997, rv 207700).

u   Il principio generale della immediata applicazione delle nuove norme deve conside-rarsi temperato da quello della “perpetuatio iurisdictionis”, nel senso che, nel caso in cui il procedimento sia pervenuto alla fase del di-battimento (senza che abbia rilievo l’emissione del decreto di citazione a giudizio) la compe-tenza deve ritenersi radicata presso il giudice anteriore. Perché, quindi, lo “iudicium” possa considerarsi “acceptum” (con la conseguenza che “ibi et finem accipere debet”) non è suffi-ciente la semplice pendenza del procedimento davanti ad un ufficio giudiziario, ma è necessa-rio che il giudice abbia iniziato a conoscere del procedimento, abbia cioè esercitato attività di giurisdizione. Ne consegue che, affinché possa ritenersi operante il criterio della “perpetuatio iurisdictionis” non è sufficiente la mera presen-tazione di un’istanza ad un ufficio, ma è neces-sario che il giudice al quale l’istanza è rivolta ne abbia iniziato concretamente la trattazione prima dell’entrata in vigore delle nuove norme (3819/1997, rv 208823).

u   È abnorme, in quanto determina uno stallo del procedimento, l’ordinanza del Gup che, investito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga la trasmissione degli atti al P.M. per l’emissione del decreto di citazione a giudizio sull’erroneo presupposto che la richiesta riguar-di un reato punito con la pena della reclusio-ne non superiore nel massimo a quattro anni. (Nella specie la Corte ha rilevato che il delitto di cui all’art. 2, comma terzo, del D.Lgs. n. 74 del 2000 è circostanza attenuante e non fattispecie autonoma di reato sicché della stessa non può tenersi conto ai fini della determinazione della pena) (25204/2008).

Sezione iiCOMPETENZA PER MATERIA

5. Competenza della corte di assise. – 1. La corte di assise è competente:

a) per i delitti per i quali la legge stabi-lisce la pena dell’ergastolo o della reclusio-ne non inferiore nel massimo a ventiquattro anni (1), esclusi i delitti, comunque aggrava-ti, di tentato omicidio, di rapina, di estorsio-ne e di associazioni di tipo mafioso anche straniere, e i delitti, comunque aggravati, previsti dal decreto del Presidente della Re-pubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (2);

b) per i delitti consumati previsti dagli artt. 579, 580, 584 [, 600, 601 e 602] (3) del codice penale;

c) per ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, escluse le ipotesi previste dagli artt. 586, 588 e 593 del codice penale;

d) per i delitti previsti dalle leggi di at-tuazione della XII disposizione finale della Costituzione (4), dalla L. 9 ottobre 1967 n. 962 (5) e nel titolo I del libro II del codice penale (241 - 313 c.p.), sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni (6).

d bis) per i delitti consumati o tentati di cui agli articoli 416, sesto comma, 600, 601, 602 del codice penale, nonché per i delitti con finalità di terrorismo sempre che per ta-li delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni (7).

(1) Si tratta dei delitti previsti e puniti dagli artt. 422, 438, 439, 575, 576, 577, 5782 c.p.

(2) Questa lettera è stata così, da ultimo, sostituita dall’art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, convertito, con modificazioni, nella L. 6 aprile 2010, n. 52.

A norma dell’art. 1, comma 2, dello stesso decreto tali disposizioni si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto solo nei casi in cui alla data del 30 giugno 2010, non sia stata esercitata l’azione penale.

A norma dell’art. 2, comma 1, del citato D.L. n. 10/2010, in deroga a quanto previsto nell’articolo 1, comma 2, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, relativi ai delitti di cui all’articolo 416 bis, c.p., comunque aggravati, è com-petente il tribunale, anche nell’ipotesi in cui sia stata già esercitata l’azione penale, salvo che, prima della suddetta data, sia stato dichiarato aperto il dibattimen-to davanti alla corte di assise.

(3) Le parole poste fra parentesi quadrate sono sta-te soppresse dall’art. 6, comma 1, lett. a), della L. 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone. A norma dell’art. 16, comma 1, della stessa legge, questa disposizione si applica solo ai reati com-messi successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.

(4) Si tratta delle norme che prevedono e puniscono la ricostituzione del partito fascista (L. 20 giugno 1952, n. 645 e successive modificazioni).

(5) Si tratta della normativa in tema di prevenzione e repressione del delitto di genocidio.

(6) Il rinvio, per quanto attiene il codice penale, è da intendersi fatto agli artt. 241, 242, 2432, 2441, 245,

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5 Titolo I - Giudice

247, 248, 249, 252, 253, 255, 2564, 257, 258, 2611-2-3-4, 2621-2-3-4, 263, 264, 265, 267, 269, 2701-2, 270 bis, 276, 277, 280, 283, 284, 285, 286, 287, 2891, 289 bis, 295, 303, 3051, 3061.

(7) Questa lettera è stata aggiunta dall’art. 1, com-ma 1, lett. b), del D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, conver-tito, con modificazioni, nella L. 6 aprile 2010, n. 52.

La competenza della Corte d’Assise, compo-sta da due giudici togati e da sei giudici popolari, riguarda tutte quelle fattispecie delittuose che, per la natura della condotta posta in essere o per la gravità delle conseguenze che ne derivano, susci-tano un allarme sociale particolarmente rilevante, richiedendo, perciò, la partecipazione diretta dei cittadini alla procedura di accertamento dei fat-ti per i quali è stata esercitata l’azione penale, in conformità a quanto previsto dall’art. 102, Cost.

L’articolo in argomento, alla stregua delle in-dicazioni contenute nella legge delega, contiene un sistema organico di individuazione delle di-verse fattispecie, fondato sull’operatività di un “criterio misto” quanti-qualitativo.

Con D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, convertito in L. 6 aprile 2010, n. 52, il legislatore ha prov-veduto d’urgenza per risolvere la questione giuri-sprudenziale di cui è espressione la sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione n. 4964 del 21 gennaio 2010 in ordine al conflit-to di competenza tra tribunale e Corte d’Assise per i delitti di associazione mafiosa di cui all’art. 416 bis c.p., comunque aggravati. È stato, dun-que, scongiurato il pericolo della scarcerazione di molti imputati nei processi di mafia, per decor-renza dei termini di custodia cautelare in carce-re. Il citato decreto, infatti, pone fine al conflit-to con l’attribuzione definitiva ai tribunali della competenza a giudicare sulle associazioni di tipo mafioso comunque aggravate. Contestualmente il provvedimento governativo anticipa una nor-ma contenuta nel più generale disegno di legge di riforma del processo penale in discussione in Parlamento, estendendo, con la modifica al testo dell’articolo in commento, la competenza delle Corti d’Assise ad alcuni gravissimi reati (terrori-smo, riduzione in schiavitù, sequestro di persona, traffico di stupefacenti, contrabbando ecc.).

Nella lettera a) – nella versione previgente la riforma del 2010 – erano previsti tutti i reati la cui pena edittale sia l’ergastolo o comunque una pena non inferiore nel massimo a ventiquat-tro anni. Espressamente vengono esclusi i delitti di tentato omicidio, rapina ed estorsione, comun-

que aggravati, il sequestro di persona a scopo di estorsione e tutti i reati afferenti le sostanze stu-pefacenti. Nella versione successiva alla riforma del 2010, dalla citata lettera a) è prevista l’esclu-sione della competenza della Corte d’assise (da cui conseguentemente deriva la competenza del tribunale) per i delitti, comunque aggravati, di associazioni di tipo mafioso anche straniere (an-che quindi se dall’applicazione di circostanze ag-gravanti deriva la pena della reclusione superiore nel massimo a 24 anni), nonché la competenza della Corte d’assise per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione (punito con la re-clusione da 25 a 30 anni).

Nella lettera b) sono indicati i delitti consu-mati di omicidio del consenziente, l’istigazione o aiuto al suicidio e l’omicidio preterintenzionale. Nella formulazione precedente alla modifica ap-portata a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 228 del 2003, erano altresì indicati i delitti di riduzione in schiavitù, tratta, commercio, aliena-zione e acquisto di schiavi, fattispecie integral-mente riformulate dall’intervento novellistico e confluite nella competenza del Tribunale in com-posizione collegiale.

Nella lettera c) la competenza è estesa a tutti i delitti dolosi in cui sia derivata la morte di una o più persone. Sono esclusi i reati di rissa e di omissione di soccorso e l’ipotesi generale di mor-te come conseguenza di altro delitto. Quest’ulti-ma specifica previsione permette di evidenziare come, ai fini dell’attribuzione della competenza alla corte d’assise, l’evento morte sia rilevante solo nelle ipotesi in cui esso sia riferibile alla co-scienza e volontà del soggetto agente.

La lettera d) indica espressamente i delitti, consumati o tentati, relativi alla riorganizzazione del partito fascista, il genocidio ed i reati a que-sto relativi ed i delitti contro la personalità dello Stato purché la pena edittale in questi ultimi non sia inferiore nel massimo a dieci anni.

La nuova lettera d bis), introdotta dal D.L. 10/2010, radica nella competenza della Corte d’as-sise i seguenti ulteriori delitti consumati o tentati:

– associazione a delinquere diretta a com-mettere taluno dei delitti di cui agli articoli 600 (riduzione o mantenimento in schiavitù o in ser-vitù), 601 (tratta di persone) e 602 (acquisto e alienazione di schiavi), nonché all’articolo 12, comma 3 bis, del testo unico immigrazione (ipo-tesi aggravate di favoreggiamento dell’immigra-zione clandestina) (articolo 416, sesto comma, del codice penale);

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6 LIBRO I - SOGGETTI

– riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (articolo 600 del codice penale), tratta di persone (articolo 601 del codice penale) e ac-quisto e alienazione di schiavi (articolo 602 del codice penale);

– delitti con finalità di terrorismo sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni.

L’articolo 1, comma 2 e l’articolo 2, del citato D.L. 10/2010 dettano due disposizioni transito-rie, la prima di portata generale, la seconda (for-mulata in termini derogatori rispetto alla prima) specificamente riferita ai procedimenti in corso relativi al delitto di associazioni di tipo mafioso anche straniere. L’articolo 1, comma 2 prevede, in particolare, l’applicabilità dei nuovi criteri di ripartizione della competenza tra tribunale e cor-te d’appello anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge (ov-vero, in base all’articolo 4, al 13 febbraio 2010, giorno successivo alla sua pubblicazione nella “Gazzetta ufficiale”) limitatamente ai casi in cui, alla data del 30 giugno 2010, non sia stata eserci-tata l’azione penale.

u  A seguito della modifica dell’art. 5 c.p.p., apportata con il D.L. 22 febbraio 1999 n. 29, convertito in legge 21 aprile 1999 n. 109, i delitti di rapina aggravata appartengono alla competenza del tribunale, e quindi della Cor-te d’Appello in secondo grado. La stessa legge, all’art. 3, dispone che l’anzidetta norma si ap-plica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge sopra in-dicato, salvo che, prima di tale data, sia stato dichiarato aperto il dibattimento davanti alla Corte di Assise. Quest’ultima norma non contra-sta con il principio costituzionale di cui all’art. 25 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere sottratto al giudice naturale, sia perché la norma ha carattere generale sia perché deve riconoscersi la discrezionalità del legislatore nel determinare la disciplina della competenza, laddove un contrasto con la norma costituzio-nale dell’art. 25 potrebbe ravvisarsi solo se una disposizione di legge sottraesse il caso concreto alle regole generali (5400/2000, rv 216148).

u  Ai sensi dell’art. 5 c.p.p., il delitto di as-sociazione per delinquere di stampo mafioso appartiene "quoad poenam" alla competenza della Corte d’assise quando ai soggetti di verti-ce (promotori, dirigenti o organizzatori) è con-testata l’aggravante dell’associazione armata, essendo in tal caso l’art. 416 bis, commi quarto

e sesto, c.p. punibile con un massimo edittale non inferiore a ventiquattro anni di reclusione, alla luce dell’aumento di pena introdotto con la l. n. 251/2005 (4964/2010).

u   Pur dopo l’entrata in vigore del d.l. 12 febbraio 2010 n. 10 (Disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti pe-nali a carico di autori di reati di grave allarme sociale), conv. nella l. 6 aprile 2010 n. 52, che ha attribuito al tribunale la competenza per l’as-sociazione di tipo mafioso pluriaggravata, già rientrante, per effetto della l. n. 251 del 2005, in quella della Corte d’assise, a quest’ultima con-tinua ad appartenere la competenza per detto reato in ordine a quei procedimenti nei quali non sia stato ancora dichiarato aperto il dibatti-mento, ma sui quali eserciti "vis attractiva" per connessione altro procedimento per lo stesso fatto pendente in fase dibattimentale dinanzi alla Corte medesima. (Nella specie, relativa a conflitto negativo, il procedimento non ancora in fase dibattimentale, iniziato nei confronti di promotore di un’associazione mafiosa, era sta-to separato dal troncone principale, ma non era approdato ancora al dibattimento, come quello principale, in corso di celebrazione dinanzi alla Corte d’assise, designata come giudice compe-tente dalla Corte di cassazione in sede di riso-luzione di precedente conflitto) (27254/2010).

6. (1) Competenza del tribunale. – 1. Il tribunale è competente per i reati che non appartengono alla competenza della corte di assise o del giudice di pace (2) (5; 210, 259 coord.).

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 166 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istitu-zione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente:

«6. (Competenza del tribunale). 1. Il tribunale è competente per i reati che non appartengono alla com-petenza della corte di assise o del pretore.

«2. Il tribunale è altresì competente per i reati, con-sumati o tentati, previsti dal capo I del titolo II del li-bro II del codice penale, esclusi quelli di cui agli artt. 329, 330, primo comma, 331, primo comma, 332, 333, 334 e 335».

(2) Le parole: «o del giudice di pace» sono state ag-giunte dall’art. 47 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274. Per la relativa disciplina si veda l’art. 4 del predetto D.L.vo.

L’attuale formulazione dell’articolo in com-mento è, almeno in parte, il risultato delle mo-difiche determinate nell’ordinamento processua-

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6 Titolo I - Giudice

le penale dall’introduzione del giudice unico di primo grado.

Infatti, se da un lato è rimasto inalterato il cri-terio generale di definizione della competenza del tribunale, individuata per relationem e in via resi-duale rispetto a quella della corte d’assise e del giu-dice di pace, dall’altro sono stati eliminati tutti gli originari riferimenti a specifiche fattispecie delit-tuose, quali, ad esempio, alcuni delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., che servivano a specificare ulteriormente gli spazi riservati alla cognizione del tribunale stesso rispetto a quelli del “previgente” pretore. Relativamente ai criteri di ripartizione del-le attribuzioni tra tribunale in composizione mo-nocratica e tribunale in composizione collegiale si rinvia agli artt. 33 bis e 33 ter.

u  In tema di competenza in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione, la norma di cui all’art. 19 della legge 26 aprile 1990 n. 86, che ha modificato l’art. 6 c.p.p. per il principio “tempus regit actum”, tipico in materia proces-suale, si applica anche ai fatti commessi ante-riormente, pure quando, in base alla normativa previgente, apparterebbero alla competenza del pretore (3143/1991, rv 188365).

u  La competenza a conoscere dei reati indi-cati nel comma secondo dell’art. 6 c.p.p., intro-dotto dall’art. 19 della legge 26 aprile 1990 n. 86, appartiene in ogni caso al tribunale, anche quando trattasi di fatti commessi anteriormen-te all’entrata in vigore di detta legge; ciò in ap-plicazione, trattandosi di materia processuale, del principio generale “tempus regit actum”, al quale il legislatore, non avendo dettato alcuna norma transitoria, non ha evidentemente inte-so apportare deroghe (296/1992, rv 189499).

u   La competenza per materia, determina-ta in base al fatto contestato in relazione al momento della commissione dello stesso, per il principio generale del “tempus regit actum”, applicabile alle norme processuali, resta radi-cata presso il giudice della cognizione, anche nell’ipotesi in cui, dopo il decreto di investitura per il giudizio, sopravvenga una legge che mo-difichi la struttura del reato, con conseguente modifica della competenza, che non derivi da disposizioni di natura processuale (4147/1992, rv 189883).

u   Poiché il reato permanente costituisce un’entità giuridicamente unitaria che non può essere scissa, esso, se attribuito a persona che all’epoca di inizio dell’attività criminosa era mi-nore d’età, rientra per intero nella competenza per materia del tribunale penale ordinario, e

non – frazionatamente – in quella del Tribuna-le minorile e in quella ordinaria, anche perché un’eventuale scissione finirebbe in pregiudizio per l’imputato (912/1993, rv 193634).

u  In tema di competenza penale vige, in li-nea generale il principio “tempus regit actum” in forza del quale – intervenuta una legge mo-dificatrice “ratione materiae” della competen-za prevista al momento della commissione del reato – vanno applicate le regole sulla compe-tenza con riferimento al tempo in cui una de-terminata attività di giurisdizione deve essere esercitata, col contemperamento del principio della “perpetuatio iurisdictionis” nell’ipotesi in cui il procedimento sia pervenuto alla fase del dibattimento. In materia di reati di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, la legge 13 dicembre 1989 n. 401 è meno favore-vole rispetto all’art. 718 c.p., essendo prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni (art. 4) a fronte della pena da tre mesi ad un anno di arresto e dell’ammenda non inferiore a lire quattrocentomila prevista dall’art. 718 c.p. Tale nuova legge ha riflessi che appartengono, in quanto tali, alla cognizione del tribunale non essendo prevista la sola pena della multa o dell’ammenda (art. 10 della legge 31 luglio 1984 n. 400); in tal caso peraltro si verte in ipotesi di successione di leggi penali regolata dall’art. 2 c.p.: ne consegue che, per i fatti previsti dall’art. 4 della legge 13 dicembre 1989 n. 401, commes-si prima dell’entrata in vigore della legge stessa, resta applicabile la regola generale (artt. 4 e 7 c.p.p.) della competenza del giudice che l’aveva al tempo del commesso reato, e cioè il pretore (280/1994, rv 197131).

u   Il reato di cui all’art. 4, primo comma, della legge 13 dicembre 1989 n. 401 (Esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa), ha natura di illecito finanziario benché la norma sia volta a tutelare interessi diversi, come l’or-dine pubblico e il contrasto alle attività illegali della criminalità organizzata. Ciò in quanto per reato finanziario deve intendersi ogni illeci-to, penalmente sanzionato, che contrasti con l’interesse finanziario dello Stato, sotteso alla imposizione di tributi e di altri diritti erariali, ovvero, in forma indiretta, all’esercizio mono-polistico di attività lucrative sottratte alla or-ganizzazione da parte di privati, come lotterie, scommesse, pronostici relativi a competizioni sportive. Tali attività, riservate allo Stato, rea-lizzano un interesse finanziario dello stesso, at-teso che una quota degli importi, riscossi con la raccolta delle puntate degli scommettitori, vie-ne versata all’Erario a titolo di tributo. Poiché

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il citato reato di cui all’art. 4 della legge n. 401 del 1989 è sanzionato con pena detentiva, la competenza a giudicare appartiene al tribunale e non al pretore, in applicazione del criterio in-dicato dall’art. 21 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, così come modificato dall’art. 10 della legge 31 luglio 1984 n. 400: norme di carattere specia-le rispetto a quelle di cui agli artt. 6 e 7 c.p.p., in quanto tali, derogatrici delle norme generali sulla competenza (2389/1998, rv 210771).

u   È da inammissibile il ricorso avverso il provvedimento mediante il quale il Giudice di Pace dichiara l’inammissibilità del ricorso imme-diato per la citazione in giudizio (36717/2008).

u   Il delitto di promozione, direzione od or-ganizzazione di un’associazione di tipo mafioso aggravato ai sensi dell’art. 416 bis, comma quar-to, c.p. (associazione armata), appartiene alla competenza della Corte d’Assise e non a quella del Tribunale, qualora la consumazione del reato si sia protratta anche successivamente all’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 (4964/2010).

u  La competenza per tutte le ipotesi di rea-to contenute nell’art. 416 bis c.p., a prescindere dalla pena edittale prevista in riferimento alla violazione contestata, appartiene al Tribuna-le anche con riguardo ai procedimenti avviati precedentemente al momento dell’entrata in vigore del d.l. 12 febbraio 2010, n. 10, salvo che a quella data il giudizio non fosse già iniziato dinanzi alla Corte d’Assise (21063/2011).

7. (1) [Competenza del pretore. – 1. Il pretore è competente per i reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni ovve-ro una pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena detentiva.

2. Il pretore è inoltre competente per i seguenti reati:

a) violenza o minaccia a un pubblico uf-ficiale prevista dall’art. 336 comma 1 del codice penale;

b) resistenza a un pubblico ufficiale pre-vista dall’art. 337 del codice penale;

c) oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell’art. 343 comma 2 del codice penale;

d) violazione di sigilli aggravata a nor-ma dell’art. 349 comma 2 del codice penale;

e) favoreggiamento reale previsto dall’art. 379 del codice penale;

f) maltrattamenti in famiglia o verso i fan-ciulli, quando non ricorre l’aggravante previ-sta dall’art. 572 comma 2 del codice penale;

g) rissa aggravata a norma dell’art. 588 comma 2 del codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia ri-masto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime;

h) omicidio colposo previsto dall’art. 589 del codice penale;

i) violazione di domicilio aggravata a nor-ma dell’art. 614 comma 4 del codice penale;

l) furto aggravato a norma dell’art. 625 del codice penale;

m) truffa aggravata a norma dell’art. 640 comma 2 del codice penale;

n) ricettazione prevista dall’art. 648 del codice penale].

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 218 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

Sezione iiiCOMPETENZA PER TERRITORIO (1)(1) Per la competenza per territorio del giudice di

pace si veda l’art. 5 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274.

8. Regole generali (1). – 1. La compe-tenza per territorio è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato (coord. 210).

2. Se si tratta di fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l’azio-ne o l’omissione (162).

3. Se si tratta di reato permanente, è com-petente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone.

4. Se si tratta di delitto tentato (56 c.p.), è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l’ultimo atto diretto a com-mettere il delitto.

(1) Deroghe a questi criteri sono contenute: nell’art. 3 del R.D. 20 luglio 1934, n. 1404, convertito in L. 27 maggio 1935, n. 835, per i reati commessi dai minoren-ni, secondo cui il Tribunale per i minorenni ha giurisdi-zione su tutto il territorio della Corte d’appello o della sezione di Corte d’appello in cui è istituito; nell’art. 14 della L. 2 aprile 1962, n. 161, che fissa la competenza

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del giudice del luogo in cui è stata effettuata la prima proiezione in pubblico del film o la prima rappresenta-zione dell’opera teatrale per i reati commessi a mezzo della cinematografia o della rappresentazione teatra-le; nell’art. 29 comma 2 della L. 13 settembre 1982, n. 646, che per i reati finanziari e societari contesta-ti a persone sottoposte a misure di prevenzione secon-do la L. n. 575/1965, o condannate per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. attribuisce la competenza al tribu-nale che ha applicato la misura di prevenzione o che è stato competente per l’associazione mafiosa; nell’art. 11 comma 1 della L. Cost. 16 gennaio 1989, n. 1, per i reati ministeriali, che attribuisce la competenza «al tribunale del capoluogo di distretto di Corte d’appello competente per territorio»; nell’art. 30 comma 5 del L. 6 agosto 1990, n. 223, secondo cui, per i reati di diffa-mazione consistenti nell’attribuzione di un fatto deter-minato commessi attraverso trasmissioni la competen-za è determinata dal luogo di residenza della persona offesa; identico criterio è fissato nell’art. 11 comma e bis del D.L. 27 agosto 1993, n. 323, convertito in L. 27 ottobre 1993, n. 422, per i reati di diffamazione consi-stenti nell’attribuzione di un fatto determinato commes-si attraverso trasmissioni televisive in forma codificata; nell’art. 14 comma 3 della L. 8 luglio 1998, n. 230, per i reati in materia di obiezione di coscienza al servizio militare, che fissa la competenza «nel luogo dove de-ve essere svolto il servizio civile o il servizio militare»; nell’art. 18 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, che adot-ta il criterio del «luogo di accertamento per i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto».

L’articolo in esame contiene i principi gene-rali fissati dal legislatore ai fini di determinare la competenza “in senso orizzontale” degli organi della giurisdizione dislocati su tutto il territorio nazionale. È evidente, infatti, che all’individua-zione del giudice astrattamente competente per materia, in relazione alla natura e alle caratteri-stiche della fattispecie criminosa, deve neces-sariamente accompagnarsi la specifica identi-ficazione della circoscrizione nella quale opera l’ufficio giudiziario deputato a pronunciarsi.

A tal fine il criterio guida normativamente imposto è quello del locus commissi delicti, in-tendendosi con tale espressione il luogo in cui si è concretamente perfezionato il reato in rela-zione a tutti gli elementi previsti in astratto dal-le disposizioni della legge penale. Sulla corretta determinazione del momento consumativo, ogni figura delittuosa richiede riflessioni appropriate che, comunque, non possono prescindere dal-la considerazione della specifica situazione de-terminatasi e, in particolare, del momento in cui si verifica la lesione del bene giuridico tutelato (esempio n. 1).

Nel secondo comma il legislatore ha introdot-to una deroga al principio generale, riguardo a quelle fattispecie nelle quali la morte di una o più persone sia conseguenza della manifestazione criminosa, tanto laddove essa sia elemento costi-tutivo del reato base quanto nel caso in cui confi-guri una condizione obiettiva di punibilità. In ta-le evenienza l’ordinamento radica la competenza a giudicare in capo al giudice del luogo in cui si è verificata l’azione o l’omissione, proprio perché in quello specifico contesto è stato provocato un allarme sociale ed è più semplice il reperimento di quegli elementi di prova su cui deve basarsi la pronuncia finale (esempio n. 2).

Sempre al fine di favorire l’accertamento dei fatti, nella singolare ipotesi di reato permanen-te, cioè di fattispecie caratterizzata da una consu-mazione che si protrae nel tempo, l’ordinamento ha preferito optare per la competenza dell’ufficio giudiziario operante nel luogo in cui la condotta incriminata ha avuto inizio, qualunque siano stati gli esiti dell’agire delittuoso in punto di morte di uno o più soggetti, senza, perciò, considerare il momento di cessazione della permanenza (esem-pio n. 3).

Infine, ricorrendo la fattispecie di delitto ten-tato, ai fini della competenza rileva il luogo in cui è stato posto in essere l’ultimo atto diretto a com-mettere il delitto, rappresentando esso il momen-to finale di manifestazione dell’intento criminoso da parte del soggetto agente.

Occorre altresì precisare che le regole gene-rali fissate dalla disposizione in commento non precludono la possibilità per il legislatore di fis-sare speciali, e per questo prevalenti, parametri determinativi della competenza territoriale nel contesto di leggi volte a perseguire specifiche condotte criminose (esempio n. 4).

1. Gianni commette un furto nell’abitazione di Carlo sita a Roma. Competente a giudicare è il Tribunale di Roma.

2. Gianni, presso la Stazione ferroviaria di Napoli, spara con un’arma da fuoco a Carlo fe-rendolo a morte e spingendolo all’interno di un treno merci diretto a Firenze. Anche se il corpo ormai esanime viene rinvenuto nel capoluogo to-scano competente a pronunciarsi sarà il Tribuna-le di Napoli.

3. Luigi sequestra Francesco nella sua casa di Sassari e dopo una lunga permanenza nell’en-troterra nuorese, una volta ottenuto il riscatto, lo

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rilascia nei pressi di Cagliari. Competente a pro-nunciarsi è il Tribunale di Sassari.

4. Si consideri quanto previsto dalla legge n. 223 del 1990 in materia di diffamazione aggra-vata dall’attribuzione di un fatto determinato me-diante il ricorso al mezzo televisivo (in proposito vedi Cassazione n. 1291 del 1996).

u   Considerata la natura permanente del reato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti non è cen-surabile l’affermazione di competenza “ratione loci” del giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato associativo, quando nel territorio facente capo a tale giudice, secon-do contestazione niente affatto strumentale, debba ritenersi intervenuto e perfezionato l’ac-cordo di tre o più soggetti per la costituzione di quel vincolo comune teso alla commissione di pluralità di reati in tema di sostanze stupefa-centi (3784/1995, rv 201849).

u  Il reato di trasporto abusivo di cose previ-sto dall’art. 46 della legge 6 giugno 1974 n. 298 non è reato istantaneo, in quanto la condotta che ne integra gli estremi si protrae nel tem-po, durante tutto il periodo del trasporto. Ne consegue che il reato deve essere ritenuto per-manente e che la competenza territoriale per esso deve essere determinata ai sensi dell’art. 8, comma terzo, c.p.p., e pertanto appartiene al giudice del luogo in cui ha avuto inizio la con-sumazione (79/1996, rv 204397).

u  In tema di corruzione, la materiale dazio-ne di somme di danaro può costituire un sem-plice momento satisfattivo della complessiva vi-cenda. Pertanto, quando la corruzione riguarda l’attività giudiziaria, così asservita agli interessi di un determinato gruppo imprenditoriale, in-teressi assecondati secondo determinazioni, ideazioni ed illecite concertazioni incentrate nel luogo stesso di collocazione e diffusione degli scopi delittuosi, identificabile con quello della sede delle società gestite dal gruppo stes-so, irrilevante – ai fini della competenza territo-riale – è il luogo in cui sia avvenuta la consegna del danaro (1616/1996, rv 204846).

u   La temporanea impossibilità di formare un collegio giudicante (nella specie, a cagione dell’astensione di uno dei magistrati che avreb-bero dovuto comporlo) non può costituire causa di spostamento della competenza terri-toriale ad altro giudice, dovendosi far ricorso, in siffatta ipotesi, agli istituti della supplenza e dell’applicazione, da ritenere operanti anche nell’ordinamento giudiziario militare, in virtù

del richiamo di cui all’art. 1 della legge 7 mag-gio 1981 n. 180 (2079/1996, rv 204917).

u   L’eccezione di incompetenza territoriale del giudice è proponibile anche nella fase delle indagini preliminari (5668/1996, rv 206251).

u  Qualora una legge istitutiva di nuovo tri-bunale disponga che la competenza rimanga attribuita a quello in precedenza competente per i procedimenti per i quali sia stato dichia-rato aperto il dibattimento, la circostanza che, essendo intervenuta siffatta dichiarazione, il processo sia stato rinviato a nuovo ruolo non vale ad escludere la “perpetuatio iurisdictionis” (6095/1996, rv 203867).

u   Al fine della determinazione della com-petenza per territorio di un reato associativo, occorre far riferimento al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono le attività di program-mazione e di ideazione riguardanti l’associazio-ne, essendo irrilevante il luogo di commissione dei singoli reati riferibili all’associazione. Tut-tavia, qualora ci si trovi in presenza di un’orga-nizzazione criminale composta di vari gruppi operanti su di un vasto territorio nazionale ed estero, i cui raccordi per il conseguimento dei fini dell’associazione prescindono dal territorio, né sono collegati allo stesso per la realizzazione dei suddetti fini, la competenza per territorio a conoscere del reato associativo non può essere individuata sulla base di elementi i quali, pur essendo rilevanti ai fini probatori per l’accerta-mento della responsabilità degli imputati, non sono particolarmente significativi ai fini della determinazione della competenza territoriale, essendo in contrasto con altri elementi ben più significativi i quali lasciano desumere che il luo-go di programmazione e di ideazione dell’atti-vità riferibile all’associazione non possa essere individuato con certezza (6171/1996, rv 206261).

u  Il reato di bancarotta semplice si consuma con la sentenza dichiarativa di fallimento che ne è elemento costitutivo: pertanto la compe-tenza territoriale del pretore va individuata con riguardo al luogo ove è stata emessa tale sen-tenza, a nulla rilevando il fatto che a seguito della costituzione di nuovo tribunale gli atti del fallimento sono stati trasmessi a quest’ultimo (6641/1996, rv 204531).

u   Il principio generale della immediata applicazione delle nuove norme deve conside-rarsi temperato da quello della “perpetuatio iurisdictionis”, nel senso che, nel caso in cui il procedimento sia pervenuto alla fase del di-battimento (senza che abbia rilievo l’emissione del decreto di citazione a giudizio) la compe-tenza deve ritenersi radicata presso il giudice

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anteriore. Perché, quindi, lo “iudicium” possa considerarsi “acceptum” (con la conseguenza che “ibi et finem accipere debet”) non è suffi-ciente la semplice pendenza del procedimento davanti ad un ufficio giudiziario, ma è necessa-rio che il giudice abbia iniziato a conoscere del procedimento, abbia cioè esercitato attività di giurisdizione. Ne consegue che, affinché possa ritenersi operante il criterio della “perpetuatio iurisdictionis” non è sufficiente la mera presen-tazione di un’istanza ad un ufficio, ma è neces-sario che il giudice al quale l’istanza è rivolta ne abbia iniziato concretamente la trattazione prima dell’entrata in vigore delle nuove norme (3819/1997, rv 208823).

u   Poiché il reato di ricettazione ha carat-tere istantaneo, ai fini della determinazione della competenza per territorio non può essere attribuito alcun rilievo al luogo in cui è stata accertata la detenzione della cosa, ma occorre, invece, verificare l’esistenza di dati indicativi del luogo in cui la cosa può essere venuta in posses-so del reo (4127/1997, rv 208400).

u   In tema di competenza territoriale nel settore dei reati riguardanti sostanze stupefa-centi, le diverse condotte previste dall’art. 73 del D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309 (acquisto, de-tenzione, raffinazione, trasporto, cessione), tra loro in rapporto di alternatività formale, perdo-no la loro individualità e, quando si riferiscano alla stessa sostanza stupefacente e siano indiriz-zate a un unico fine, senza un’apprezzabile so-luzione di continuità, costituiscono, in una sorta di progressione criminosa, condotte plurime di un unico reato. Pertanto, per determinare, in tal caso, la competenza occorre fare riferimento al luogo di compimento della prima delle con-dotte addebitate (2411/1998, rv 211264).

u   In tema di associazione per delinquere, trattandosi di reato permanente, la competen-za territoriale va individuata ex art. 8, comma terzo, c.p.p., con la conseguenza che essa spet-ta al giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato. Tuttavia, qualora gli atti del processo non offrano elementi certi per l’individuazione di tale luogo, deve farsi ricorso ai criteri sussidiari previsti dall’art. 9 c.p.p. Alla luce di tale disposizione, ove non siano comun-que percepibili neppure elementi presuntivi che valgano a radicare la competenza territoriale nel luogo in cui il sodalizio criminoso si mani-festi per la prima volta all’esterno, possono utilizzarsi criteri desumibili dai reati fine, con particolare riferimento a quello della consuma-zione dell’ultimo reato fine, specialmente nel caso in cui detti reati siano stati tutti commessi

nello stesso luogo e siano tutti dello stesso tipo (3067/1999, rv 214944).

u  In tema di associazione per delinquere di tipo mafioso, relativamente all’individuazione del giudice territorialmente competente a giu-dicare del reato associativo, data la natura per-manente del delitto, occorre fare riferimento al luogo in cui ha avuto inizio la consumazione (art. 8, comma terzo, c.p.) e, solo in caso di man-canza di prova sul luogo e sul momento della costituzione dell’organizzazione, possono soc-correre i criteri sussidiari e presuntivi del luogo in cui fu commesso l’ultimo reato-fine concre-tamente accertato, del luogo di arresto dell’im-putato ovvero del luogo di domicilio, residen-za o dimora dello stesso (attualmente stabiliti dall’art. 9 c.p.p. del 1988 e, in precedenza, pre-visti dall’art. 40 c.p.p. del 1930 operante in caso di impossibilità di determinare la competenza in base ai criteri di cui all’art. 39, comma terzo, c.p.p. siccome modificato dall’art. 1 della legge 8 agosto 1977 n. 534) (3089/1999, rv 213573).

u   La competenza territoriale in ordine al reato di associazione per delinquere di tipo mafioso non può determinarsi con riferimento al luogo in cui l’associazione si è costituita né a quello in cui sono stati eseguiti i reati fine, bensì, trattandosi di reato permanente, con riguardo al luogo in cui ha avuto inizio la con-sumazione del reato stesso, secondo la regola dettata dall’art. 8, terzo comma, c.p.p., cioè al luogo in cui il sodalizio ha manifestato la sua operatività e, ove neppure tale luogo sia deter-minabile in base agli atti processuali, è neces-sario fare riferimento ai criteri suppletivi di cui all’art. 9 (2324/2000, rv 217561).

u  La competenza per territorio, nel caso di reati commessi con il mezzo della stampa, va determinata con riferimento al luogo di prima diffusione dello stampato, che di solito coinci-de con quello in cui la stampa viene effettuata. Tale coincidenza, tuttavia, non può verificarsi qualora le varie parti di cui un giornale perio-dico può essere composto (copertina, inserti, etc.), siano realizzate in luoghi diversi, per cui, in siffatta ipotesi, il luogo di prima diffusione va necessariamente individuato in quello in cui avviene il deposito in questura delle cosiddette “copie d’obbligo” (4158/2000, rv 216824).

u   La competenza territoriale in ordine al reato di associazione per delinquere si radica nel luogo in cui ha avuto inizio la consumazio-ne, ai sensi dell’art. 8, comma 3, c.p.p., per tale dovendosi intendere il luogo di costituzione del sodalizio criminoso, a prescindere dalla localiz-

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zazione dei reati-fine eventualmente realizzati (24849/2001, rv 219220).

u   La competenza in ordine al reato di as-sociazione per delinquere non è determinabile dal luogo di costituzione dell’associazione, ma da quello in cui l’associazione ha dato i pri-mi segnali di esistenza e di operatività, quale luogo di inizio della consumazione del rea-to permanente ex articolo 8, comma 3, c.p.p. (25592/2003).

u   In tema di competenza per territorio, per il reato di ricettazione, qualora non possa determinarsi il luogo in cui è stato commesso il reato, che deve essere individuato in quello in cui il bene sia stato ricevuto, devono trovare applicazione le regole suppletive di cui all’art. 9 c.p.p. (36819/2010).

u   Nell’ipotesi di reati connessi, per la de-terminazione della competenza per territorio, qualora non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave, non è con-sentito far ricorso alle regole suppletive stabili-te nell’art. 9 c.p.p. – che, sia per la collocazione, sia per il contenuto letterale, si riferisce a pro-cedimenti con reato singolo – ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave fra quelli residui (40825/2010).

u  In tema di reati associativi, la competenza per territorio si determina in relazione al luogo in cui ha sede la base ove si svolgono program-mazione, ideazione e direzione delle attività criminose facenti capo al sodalizio; in partico-lare, considerato che l’associazione è una realtà criminosa destinata a svolgere una concreta at-tività, assume rilievo non tanto il luogo in cui si è radicato il "pactum sceleris", quanto quello in cui si è effettivamente manifestata e realizzata l’operatività della struttura (22953/2012).

u  L’eccezione di incompetenza territoriale è proponibile "in limine" al giudizio abbreviato non preceduto dall’udienza preliminare, men-tre, qualora il rito alternativo venga instaurato nella stessa udienza, l’incidente di competen-za può essere sollevato, sempre "in limine" a tale giudizio, solo se già proposto e rigettato in sede di udienza preliminare. (In motivazione la Corte ha precisato che, pur in assenza nel giu-dizio speciale di una fase dedicata alla soluzio-ne delle questioni preliminari, l’eccezione può essere proposta in quella dedicata alla verifica della costituzione delle parti) (S.U. 27996/2012).

9. Regole suppletive. – 1. Se la com-petenza non può essere determinata a norma dell’art. 8, è competente il giudice dell’ulti-

mo luogo in cui è avvenuta una parte dell’a-zione o dell’omissione.

2. Se non è noto il luogo indicato nel comma 1, la competenza appartiene succes-sivamente al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell’imputato.

3. Se nemmeno in tale modo è possibile determinare la competenza, questa appar-tiene al giudice del luogo in cui ha sede l’uf-ficio del pubblico ministero che ha provve-duto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’art. 335.

La disposizione in esame opera solo nel ca-so in cui non sia stato possibile individuare il giudice competente ricorrendo ai principi ge-nerali tratteggiati dalla norma precedentemente analizzata. Sottolineata, pertanto, l’esistenza di una precisa gerarchia di regole operative chiara-mente voluta dal legislatore, va specificato che quest’ultima è vincolante, nel senso che i criteri delineati nei vari commi devono essere applicati necessariamente in via successiva, senza possibi-lità di alterare l’ordine predisposto.

In primis occorre verificare l’ubicazione di una parte della condotta attiva od omissiva, la quale ovviamente integri un elemento essenziale ai fini del perfezionamento del reato.

Se neanche attraverso questo criterio è stato individuato il giudice competente, deve aversi ri-guardo, sempre in via rigorosamente successiva, agli elementi della residenza, della dimora o del domicilio del soggetto che ha acquisito la quali-tà di imputato. Proprio il riferimento normativo all’avvenuto esercizio dell’azione penale apre la strada alla fissazione del criterio di chiusura ai fini della determinazione della competenza, dal momento che, in ultima analisi, si deve tener pre-sente il luogo in cui opera l’ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nell’apposito registro, arrivandosi in que-sto modo alla ormai inevitabile individuazione del giudice competente.

u   Nell’ipotesi di reati connessi, per la de-terminazione della competenza per territorio, ove non sia possibile individuare il luogo di con-sumazione del reato più grave, non è consen-tito far ricorso alle regole suppletive stabilite dall’art. 9 c.p.p. – che, sia per la collocazione, sia per il contenuto letterale, si riferisce a pro-

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cedimenti con reato singolo – ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave tra quelli residui (3624/1993, rv 195429).

u   In tema di competenza per territorio in ordine a reati permanenti commessi in parte all’estero, si applica il criterio dettato dall’art. 8, comma terzo, c.p.p. quando la condotta crimi-nosa ha avuto inizio in un’individuata località nel territorio nazionale, proseguendo poi all’e-stero. Invece, il luogo d’inizio della permanenza non può fungere quale criterio di riparto fra i giudici italiani se è ubicato al di fuori dello Sta-to. In tal caso, la competenza si stabilisce secon-do il criterio suppletivo di cui all’art. 9, comma primo, c.p.p., con riferimento all’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’o-missione (1972/1994, rv 197365).

u   In tema di reati permanenti concernenti la disciplina igienica della produzione e del commercio di sostanze alimentari, quando tali sostanze, riscontrate irregolari per vizi presumi-bilmente originari, siano state importate dall’e-stero, la competenza per territorio a procedere nei confronti del soggetto operante in Italia, ove non risulti il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato da parte sua, non può che essere determinata alla stregua dei criteri sussidiari dettati dall’art. 9 c.p.p., nell’ordine di gradualità ivi indicato (367/1995, rv 200577).

u  Qualora, per l’inidoneità degli altri criteri, debba farsi ricorso, al fine di determinare la competenza per territorio, alla regola supple-tiva di cui al secondo comma dell’art. 9 c.p.p. – che indica il giudice del luogo della residen-za, del domicilio o della dimora dell’imputato – ma più siano gli imputati, ciascuno dei qua-li residente, domiciliato o dimorante in luogo appartenente a circondario diverso dagli altri, stante la mancanza di univocità del dato di collegamento deve necessariamente applicarsi l’ulteriore residuale criterio previsto dal ter-zo comma dell’art. 9 c.p.p., il quale indica la competenza del giudice del luogo ove ha sede l’ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. (1312/1997, rv 207125).

u  Ai fini della determinazione della compe-tenza per territorio nell’ipotesi di reati connes-si, ove non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave non è con-sentito far ricorso alle regole suppletive stabi-lite dall’art. 9 c.p.p., ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave tra quelli residui (17516/2001, rv 218684).

u   Al fine di determinare la competenza per territorio facendo ricorso alla regola sup-pletiva di cui al terzo comma dell’art. 9 c.p.p., che indica la competenza del giudice del luogo ove ha sede l’ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato nel re-gistro di cui all’art. 335 c.p.p., non può essere assegnata giuridica idoneità a determinare lo spostamento della competenza “ratione loci” ad una precedente iscrizione di una notizia di reato vertente su fatti criminosi naturaliter di-versi (11849/2003, rv 223833).

u   Qualora si proceda per associazione fi-nalizzata al narcotraffico e reati connessi, una volta accertata l’impossibilità di determinare il luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del delitto associativo, per il quale è prevista l’appli-cazione delle regole derogatorie della compe-tenza stabilite nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p., al fine di individuare il giudice competente non si può fare applicazione "tout court" delle re-gole suppletive indicate nell’art. 9, comma 3, stesso codice, con la conseguente determinazio-ne della "vis attractiva" del giudice distrettuale anche su reati originariamente sottratti alla sua competenza, ma si deve tenere conto del luogo di consumazione dei reati via via meno gravi, e solo quando quest’operazione non approdi ad alcun risultato utile, far ricorso alle predette regole suppletive. (Fattispecie in tema di proce-dimento "de libertate") (27561/2010).

u  In tema di sanzioni amministrative, la vio-lazione accertata con il sistema Sicve (Sistema informativo controllo della velocità) c.d. "Tutor si distingue dai sistemi automatici di controllo della velocità, c.d. "Autovelox", poiché rileva non la velocità istantanea di un veicolo in un dato momento ed in un preciso luogo, ma la velocità media di un veicolo in un certo tratto di strada, che può essere ricompreso tra due Co-muni diversi. Pertanto, non potendo conoscere con precisione il punto esatto in cui il condu-cente di un’auto ha superato i limiti di velocità, per stabilire il giudice competente a conoscere occorre fare ricorso all’art. 9 c.p.p. nella parte in cui prevede che se la competenza non possa es-sere determinata secondo il principio generale di cui all’articolo 8 (ossia con riferimento in cui il reato è stato consumato), la competenza è del giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione. Pertanto, se il veicolo percorre un tratto di strada com-preso tra due Comuni limitrofi si deve ritenere che la competenza territoriale è del Giudice di Pace dove è situata la porta di uscita del sistema Sicve (9486/2012).

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u  Ai fini della determinazione della compe-tenza per territorio nell’ipotesi di reati connes-si, ove non sia possibile individuare il luogo di consumazione del reato più grave non è con-sentito fare ricorso alle regole suppletive stabi-lite dall’art. 9 c.p.p., ma si deve avere riguardo al luogo di consumazione del reato che, in via decrescente, si presenta come il più grave tra quelli residui (16129/2012).

10. Competenza per reati commessi all’estero (1). – 1. Se il reato è stato com-messo interamente all’estero (att. 78; 7 ss. c.p.; 1240 c.n.), la competenza è determina-ta successivamente dal luogo della residen-za, della dimora, del domicilio, dell’arresto o della consegna dell’imputato. Nel caso di pluralità di imputati, procede il giudice competente per il maggior numero di essi.

1 bis. Se il reato è stato commesso a danno del cittadino e non sussistono i casi previsti dagli articoli 12 e 371, comma 2, lettera b), la competenza è del tribunale o della corte di assise di Roma quando non è possibile determinarla nei modi indicati nel comma 1 (2).

2. In tutti gli altri casi, se (3) non è possi-bile determinare nei modi indicati nei com-mi 1 e 1 bis (4) la competenza, questa ap-partiene al giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha prov-veduto per primo a iscrivere la notizia di re-ato nel registro previsto dall’art. 335.

3. Se il reato è stato commesso in parte all’estero (6 c.p.), la competenza è determi-nata a norma degli artt. 8 e 9.

(1) I reati di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato sono puniti secondo la legge italiana anche se commessi all’estero, ai sensi dell’art. 182 D.L.vo 24 febbraio 1998, n. 58 come sosti-tuito con L. 18 aprile 2005, n. 62.

(2) Questo comma è stato inserito dall’art. 6, com-ma 3, lett. a), del D.L. 16 maggio 2016, n. 67, converti-to, con modificazioni, nella L. 14 luglio 2016, n. 131. A norma dell’art. 6, comma 4, del medesimo decreto, tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successiva-mente all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

(3) La parola: «Se» è stata così sostituita dalle pa-role: «In tutti gli altri casi, se» dall’art. 6, comma 3, lett. b), n. 1), del D.L. 16 maggio 2016, n. 67, converti-to, con modificazioni, nella L. 14 luglio 2016, n. 131. A

norma dell’art. 6, comma 4, del medesimo decreto, tali disposizioni si applicano ai fatti commessi successiva-mente all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

(4) Le parole: «nel comma 1» sono state così so-stituite dalle attuali: «nei commi 1 e 1 bis» dall’art. 6, comma 3, lett. b), n. 2), del D.L. 16 maggio 2016, n. 67, convertito, con modificazioni, nella L. 14 luglio 2016, n. 131. A norma dell’art. 6, comma 4, del medesimo decreto, tali disposizioni si applicano ai fatti commes-si successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Prima della riforma del 2016Questa disposizione fissa la disciplina spe-

ciale che permette di individuare il giudice com-petente in tutte le ipotesi in cui la legge penale italiana debba essere applicata in relazione a fat-tispecie criminose commesse in territorio estero.

A tal riguardo, verificata preliminarmente la ri-correnza dei presupposti per l’applicazione delle disposizioni del nostro ordinamento penale, oc-corre rilevare se il reato sia stato compiuto inte-ramente o solo parzialmente al di fuori dei confi-ni dello Stato italiano. Infatti nella prima ipotesi è operativa la norma speciale, mentre nell’altra fat-tispecie tornano ad applicarsi i criteri generali fis-sati nei due articoli precedenti, trattandosi di situa-zione legislativamente equiparata a quella in cui il reato sia stato commesso integralmente in Italia.

Anche in questo peculiare contesto i crite-ri della residenza, della dimora, del domicilio, dell’arresto o della consegna dell’imputato sono normativamente ordinati ai fini di una loro utiliz-zazione “seriale”, cioè in via successiva laddo-ve il criterio adoperato per primo non permetta di individuare il giudice competente. Il legisla-tore, poi, ricorrendo ad un parametro quantitati-vo, prevede che nel caso di pluralità di imputati, e, quindi, di pluralità di organi giudicanti poten-zialmente competenti, debba procedere il giudice che avrebbe la cognizione sul maggior numero di procedimenti.

Ulteriore elemento di conformità alle previ-sioni contenute nella norma precedente è dato dal riferimento all’ufficio del giudice della cir-coscrizione in cui opera il P.M. che per primo ha iscritto la notizia di reato quale parametro di de-terminazione della competenza applicabile in via residuale a fronte dell’impossibilità di arrivare altrimenti alla soluzione della questione.

Occorre, infine, precisare che le suddette rego-le non trovano applicazione nella peculiare fatti-specie di connessione tra reati commessi in terri-

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11 Titolo I - Giudice

torio italiano e reati perpetrati all’estero, laddove devono ritenersi operativi i parametri di determina-zione della competenza territoriale sanciti nell’art. 16 c.p.p. (così Cassazione n. 4089 del 2000).

Dopo la riforma del 2016L’art. 6, D.L. 16 maggio 2016, n. 67, converti-

to in L. 14 luglio 2016, n. 131 (Proroga delle mis-sioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabiliz-zazione, nonché misure urgenti per la sicurezza. Proroga del termine per l’esercizio di delega le-gislativa), ha introdotto il comma 1-bis in base al quale, se il reato è stato commesso a danno di un cittadino, qualora la competenza non sia determi-nabile ai sensi del citato comma 1, sia competente il tribunale o la corte di assise di Roma, sempre che non ricorrano i casi previsti dagli articoli 12 (connessione di procedimenti) e 371, comma 2, lettera b) (che dispone che le indagini di uffici di-versi del pubblico ministero si considerano colle-gate se la prova di un reato influisce sulla prova di un altro) del codice di procedura penale.

Qualora poi non sia possibile determinare la competenza nei modi indicati dai predetti commi 1 e 1-bis, sarà competente, ai sensi del comma 2, il giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che per primo ha iscritto la notizia di reato.

È previsto, infine, che la nuova disciplina si applichi ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della legge di conversio-ne del citato decreto-legge 67/2016 (16 luglio 2016).

u  In tema di competenza per reati commes-si all’estero, ai fini dell’applicazione dell’art. 10, comma primo, c.p.p., non sussiste equipollenza tra esecuzione dell’ordine di accompagnamen-to e arresto. La norma, così come, quanto ai concetti di residenza, dimora e domicilio, rin-via evidentemente alle norme del codice civile (art. 43 c.c. e segg.), allo stesso modo, quanto all’arresto e alla consegna, rinvia a quelle del codice di procedura penale, le quali distinguo-no nettamente tra arresto e consegna. Tratta-si cioè di nozioni assunte dalla norma nel loro peculiare significato tecnico-giuridico, che non vi è ragione di estendere a situazioni consimili, avendo il legislatore inteso utilizzare una plura-

lità di succedanei criteri di collegamento, talché non sussistendo nella legge alcuna lacuna, non vi è necessità di colmarla in sede interpretativa (3624/1995, rv 201934).

u  Nel caso di delitti commessi all’estero da uno straniero in danno di un cittadino italiano, la presenza del colpevole nel territorio dello Stato, richiesta dall’art. 10 c.p.p. per la loro perseguibilità in Italia, costituisce condizione di procedibilità la cui sussistenza è richiesta anche ai fini dell’applicazione di misure cautelari da adottarsi nella fase delle indagini preliminari (41333/2003).

u  Qualora si proceda per reato associativo che rientri nel novero di quelli indicati nell’art. 51, comma 3 bis c.p.p., e per reati connessi, la competenza territoriale per il primo esercita una "vis attractiva" anche su quella degli altri, sempre che ne sia accertato il luogo di consu-mazione, sulla base delle regole stabilite negli art. 8 e 9, comma 1, c.p.p. o, quando sia impos-sibile la loro applicazione, in base a quelle del successivo art. 16, potendosi far ricorso ai criteri sussidiari indicati nei commi secondo e terzo del citato art. 9 solo in via residuale, allorché non possano trovare applicazione quei parametri oggettivi che, garantendo il collegamento tra competenza territoriale e luogo di manifesta-zione di almeno uno degli episodi che costitu-iscono la vicenda criminosa, meglio assicurano il principio costituzionale della "naturalità" del giudice, come fisiologica allocazione del pro-cesso, fin quando e dove possibile nel "locus commissi delicti". (Nella specie, relativa a proce-dimento per associazione per delinquere fina-lizzata al contrabbando di t. l.e., risultando che il sodalizio criminoso operava, oltre che in terri-torio cinese, nella città di Brescia, dove risiede-vano gli organizzatori stranieri dei traffici illeci-ti, la Corte ha dichiarato la competenza dell’a.g. bresciana, sulla base del comb. disp. art. 9, comma 1, e decimo, comma 3, c.p.p., ritenendo del tutto irrilevante che il sequestro del tabacco importato dall’organizzazione fosse avvenuto nel porto di Gioia Tauro) (13929/2010).

11. (1) Competenza per i procedi-menti riguardanti i magistrati. – 1. I procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagi-ni, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che secondo le nor-me di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario com-preso nel distretto di corte d’appello in cui

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il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente com-petente per materia, che ha sede nel capo-luogo del distretto di corte di appello deter-minato dalla legge.

2. Se nel distretto determinato ai sensi del comma 1 il magistrato stesso è venuto ad esercitare le proprie funzioni in un mo-mento successivo a quello del fatto, è com-petente il giudice che ha sede nel capoluogo del diverso distretto di corte d’appello de-terminato ai sensi del medesimo comma 1.

3. I procedimenti connessi (12 ss.) a quelli in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di impu-tato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato sono di competenza del medesimo giudice individuato a norma del comma 1.

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 1 della L. 2 dicembre 1998, n. 420. Ai sensi dell’art. 8 della predetta legge, questo articolo, così come sostitu-ito, si applica ai procedimenti relativi ai reati commessi successivamente alla data di entrata in vigore della L. 2 dicembre 1998, n. 420, pubblicata sulla Gazzetta Uf-ficiale del 7 dicembre 1998.

In via preliminare, occorre evidenziare come la specifica regola predisposta dal legislatore, per la determinazione della competenza nelle ipotesi di procedimenti che coinvolgano dei magistrati, operi solo ed esclusivamente in quei casi in cui l’applicazione delle disposizioni precedentemen-te analizzate porterebbe ad individuare un ufficio compreso in un distretto di Corte d’appello nel quale il magistrato eserciti le funzioni al momen-to del procedimento stesso o le abbia esercitate in concomitanza del fatto reato attribuitogli. Simile evenienza determinerebbe un grave pericolo per l’imparzialità di giudizio dell’organo chiamato a pronunciarsi, provocando, così, una palese vio-lazione di uno dei principi sanciti dall’art. 111 della Costituzione, norma cardine per l’esercizio della giurisdizione. Pertanto, proprio la tutela di tale valore giustifica la deroga ai precetti prece-dentemente analizzati, strutturalmente funziona-li alla salvaguardia dell’altro canone di rilevanza costituzionale del giudice naturale precostituito (così Cassazione n. 4788 del 1998). Le Sezioni Unite penali (sent. n. 292 del 2005) hanno risol-to la controversa questione relativa alla riferibili-

tà anche ai magistrati onorari della competenza speciale stabilita per i magistrati. Sul punto i giu-dici di legittimità hanno stabilito che l’articolo in commento – che deroga alle regole generali del-la competenza per territorio, nell’ipotesi in cui si tratti di un procedimento che vede coinvolto un magistrato – trova applicazione anche per quelle figure di magistrati onorari il cui incarico sia ca-ratterizzato dalla stabilità, ossia dalla continui-tà riconosciuta formalmente per un arco tempo-rale significativo, a prescindere dalla maggiore o minore continuità nel concreto esercizio delle funzioni, dipendente dalla contingente situazione dell’ufficio e dalle scelte del rispettivo dirigente. Ciò non vale per i giudici popolari di corte d’as-sise e di corte d’assise d’appello i quali, designati per sorteggio, espletano un incarico meramente interinale, “espressione non dell’ausilio istitu-zionale previsto dal secondo comma dell’art. 106 Cost., bensì dal principio di partecipazione diret-ta del popolo all’amministrazione della giustizia, di cui all’ultimo comma dell’art. 102 Cost.”.

La formulazione della norma previgente alla modifica del 1998 prevedeva, per tali fattispecie, un meccanismo di deroga alle prescrizioni gene-rali sulla competenza territoriale che si concretiz-zava nell’attribuzione della cognizione al giudice del capoluogo del distretto di Corte d’appello più vicino a quello del magistrato coinvolto, prefi-gurandosi, così, la possibilità di ripetuti passag-gi reciproci tra uffici giudiziari “confinanti” che avrebbero minato ancora di più la serenità di giu-dizio dell’organo decidente.

Con la novella legislativa da un lato è stato ampliato il novero delle situazioni in grado di le-gittimare l’operatività del precetto in commen-to, introducendo la possibilità che il magistrato coinvolto nel procedimento a suo carico rivesta in esso la qualità non solo di imputato o persona offesa o danneggiata dal reato, ma anche sem-plicemente di persona sottoposta alle indagini; per altro verso è stato reso vigente il dispositi-vo dello spostamento circolare, attraverso il ri-corso a una tabella, allegata al codice di rito, la quale permette di individuare automaticamente il giudice naturale del procedimento senza correre il rischio di “competenze reciproche” (esempio).

Il secondo comma specifica che laddove l’ap-plicazione della regola suddetta comporti il ra-dicamento della competenza in capo all’ufficio giudiziario nel quale il magistrato abbia eserci-tato le funzioni in un momento successivo alla commissione del reato, lo spostamento automati-

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co deve operare nuovamente, sempre sulla scor-ta di quanto previsto dalla tabella predisposta ad hoc dal legislatore.

La disposizione si chiude con l’estensione del meccanismo di “progressione” tabellare alle fat-tispecie di procedimenti connessi a quello in cui è coinvolto il magistrato. Occorre precisare come tale prescrizione non deroga, bensì presuppone l’operatività delle norme sulla connessione di cui al successivo art. 16: solo laddove queste ultime comportino la competenza dell’ufficio giudizia-rio in cui il magistrato eserciti o abbia esercitato le funzioni si ricorre alla regola generale fissata dal primo comma.

Raffaele, magistrato presso il Tribunale di Roma, è sottoposto ad indagini in relazione ad un omicidio avvenuto nella zona di Ostia. Com-petente a giudicare i fatti oggetto di imputazione dovrebbe essere il Tribunale di Roma, ma in for-za del meccanismo in esame sarà chiamato a pro-nunciarsi il Collegio giudicante di Perugia.

u  Nei procedimenti in cui un magistrato as-sume la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato, che sarebbero di competenza di un ufficio giudiziario compre-so nel distretto in cui tale magistrato esercita le sue funzioni ovvero le esercitava al momento del fatto, ai fini dello spostamento di compe-tenza previsto dall’art. 11, comma primo, c.p.p. (all’ufficio ugualmente competente per materia che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d’Appello più vicino) è sufficiente l’esercizio in questione e non anche che il giudice sia concre-tamente ed organicamente addetto all’ufficio al quale, secondo i criteri ordinari, spetterebbe la cognizione in primo o in secondo grado del procedimento (4685/1995, rv 200319).

u   Lo spostamento della competenza per territorio, previsto dal secondo comma dell’art. 11 c.p.p. per i procedimenti connessi a quello che riguarda un magistrato (sia questi indagato o imputato, persona offesa o danneggiata dal reato) permane anche nel caso di successiva ar-chiviazione nei confronti del magistrato stesso (1333/1996, rv 204506).

u  In tema di competenza per i procedimen-ti riguardanti i magistrati, mentre l’art. 41 bis dell’abrogato codice di rito non consentiva la deroga alla competenza territoriale nell’ipo-tesi in cui il magistrato non fosse persona of-fesa, bensì danneggiata dal reato, il codice di

procedura penale vigente stabilisce la deroga alla competenza territoriale per i procedimenti riguardanti il magistrato anche nel caso in cui questi assuma la qualità di persona danneg-giata dal reato, legittimata quindi a costituirsi parte civile, e non solo quella di persona offesa, titolare dell’interesse protetto dalla fattispecie incriminatrice (5464/1996, rv 206085).

u  In tema di connessione e di relativi effetti sulla competenza, pur dovendosi ritenere che la connessione, nel sistema del vigente codice di procedura penale, operi come criterio autono-mo e originario di attribuzione della competen-za, ciò non implica che detta attribuzione as-suma carattere definitivo ed irreversibile anche nelle fasi procedimentali diverse e antecedenti rispetto a quella del giudizio. Conseguente-mente, qualora le ragioni della connessione vengano meno prima che sia stata instaurata la fase del giudizio, correttamente il giudice per le indagini preliminari, a suo tempo individua-to sulla base delle suddette ragioni, si spoglia del procedimento relativo ai reati per i quali le stesse non sono più operanti; regola, questa, che ragionevolmente soffre eccezione nel caso di spostamento di competenza determinato da connessione con procedimenti riguardanti ma-gistrati (art. 11, comma secondo, c.p.p.), doven-do prevalere in detta ipotesi, la speciale “ratio” dello istituto, finalizzato allo scopo di garantire il prestigio della magistratura e l’imparzialità del giudice fugando ogni sospetto di favoriti-smo (3308/1997, rv 207757).

u  L’art. 11 c.p.p., che prevede lo spostamen-to di competenza nei procedimenti riguardanti magistrati, non trova applicazione con riguardo ai vice pretori onorari (4516/1997, rv 208339).

u  La normativa contenuta nell’art. 11 c.p.p. in deroga all’ordinaria disciplina della compe-tenza per territorio, presuppone, per la sua applicazione, che venga contestato, a carico o in danno del magistrato, un fatto di rilevanza penale, anche se ne conseguano soltanto misu-re di sicurezza, come nei casi previsti dagli artt. 49 e 115 c.p., e non può essere estesa ai casi in cui la condotta del magistrato, fuori dall’ipotesi di concorso, abbia inconsapevolmente fornito l’occasione o il mezzo per l’azione criminosa da altri commessa e non rivolta contro di lui, o addirittura abbia materialmente realizzato il reato per errore determinato dal colpevole (667/1999, rv 213286).

u   La disciplina dettata dall’art. 11 c.p.p. si applica anche nel caso in cui un magistrato, addetto alla Corte di Appello, sia imputato o persona offesa da un reato in ordine al quale la

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stessa Corte di Appello è chiamata a decidere. E ciò ancorché il giudizio di primo grado sia stato regolarmente celebrato davanti al giudice na-turale, individuato secondo le regole generali, non sussistendo a quel momento per il magi-strato interessato le condizioni di cui al medesi-mo art. 11 c.p.p. (3766/1999, rv 213869).

u  La deroga agli ordinari criteri di attribu-zione della competenza per territorio stabilita dall’art. 11 c.p.p. per i procedimenti riguardan-ti magistrati si applica anche agli esperti delle sezioni agrarie dei tribunali, che sono membri necessari dell’organo giudicante ed esercitano, pertanto, le funzioni di cui sono investiti non in via suppletiva e saltuaria, ma piena e continua-tiva (4307/1999, rv 214010).

u   In materia di competenza per territorio, la connessione con procedimenti riguardanti magistrati, che determina lo spostamento della competenza ai sensi dell’art. 11 c.p.p., resta fer-ma per tutte le fasi successive del giudizio, an-che nel caso in cui venga meno la connessione tra reati ravvisata nella fase delle indagini pre-liminari per intervenuta archiviazione nei con-fronti del solo magistrato indagato (6183/1999, rv 212285).

u  Avuto riguardo alla “ratio” della discipli-na dettata dall’art. 11 c.p.p., che è essenzial-mente quella di eliminare presso l’opinione pubblica qualsiasi sospetto di parzialità deter-minato dal rapporto di colleganza e dalla nor-male frequentazione tra magistrati operanti in uffici giudiziari del medesimo distretto di Corte d’Appello, e tenuto conto del fatto che i magistrati onorari, ai sensi tanto dell’abroga-to art. 32 dell’Ordinamento giudiziario quanto del vigente art. 42 quinquies dell’Ordinamento giudiziario medesimo, durano in carica per un periodo di tre anni, con possibilità di rinnovo, è da ritenere che anche nel caso di procedimenti riguardanti i suddetti magistrati debba trova-re applicazione l’art. 11 c.p.p. citato e debbasi quindi dar luogo allo spostamento di compe-tenza da esso previsto (7124/1999, rv 214842).

u  Le norme sulla speciale competenza terri-toriale per i procedimenti nei quali un magistra-to è imputato, persona offesa o danneggiato dal reato si applicano esclusivamente ai magi-strati ordinari e non anche a quelli amministra-tivi (4027/2000, rv 217110).

u  In tema di spostamento della competenza territoriale nei procedimenti riguardanti magi-strati, la disciplina prevista dall’art. 11 c.p.p., in virtù della modifica intervenuta con la legge n. 420 del 1998, che sancisce la competenza tabel-lare con rinvio ad altro tribunale previamente

determinato, si applica solo ai procedimenti re-lativi ai reati commessi successivamente all’en-trata in vigore della predetta legge n. 420 del 1998 con la conseguenza che ai fatti precedenti si applica la disciplina previgente, e cioè la rego-la attributiva di competenza al capoluogo del distretto più vicino a quello nel quale ha sede l’ufficio del giudice (13105/2001, rv 218585).

u  Le regole sulla competenza per i procedi-menti riguardanti i magistrati, dettate dall’art. 11 c.p.p., si applicano anche ai giudici di pace, atteso il carattere non episodico dell’esercizio della giurisdizione e l’inserimento di tale figura professionale tra gli organi deputati all’Ammini-strazione della Giustizia ai sensi del vigente art. 1, primo comma, dell’ordinamento giudiziario (R.D. 30 gennaio 1941, n. 12) (24837/2001, rv 219218).

u  In tema di procedimenti connessi a quel-li in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta a indagini, di imputato, di persona offesa o danneggiata, la competenza si radica secondo i criteri di cui all’art. 11 c.p.p., e, in ragione del principio della “perpetuatio com-petentiae”, non ha rilievo la circostanza che il procedimento relativo al magistrato, la cui pen-denza aveva determinato lo spostamento della competenza, venga successivamente archiviato (27741/2001, rv 219972).

u  Le norme sulla speciale competenza terri-toriale per i procedimenti nei quali un magistra-to è imputato, persona offesa o danneggiato dal reato si applicano esclusivamente ai magi-strati ordinari e non anche a quelli amministra-tivi (2874/2002, rv 224098).

u   La disciplina dettata dall’art. 11 c.p.p. in materia di competenza per i procedimenti riguardanti magistrati trova applicazione an-che con riguardo ai giudici dì pace, essendo a costoro attribuito, sia pure per il periodo di tempo indicato nel decreto di nomina, il pieno e stabile esercizio della funzione giudiziaria (30568/2003).

u   L’articolo 3 della legge 24 marzo 2001 n. 89 che preclude nei giudizi per equa ripara-zione la competenza della Corte d’appello nel cui distretto ha avuto luogo il processo di cui si lamenta l’irragionevole durata, fissando le regole di competenza stabilite dall’articolo 11 c.p.p. per il processo penale in cui sia coinvolto un magistrato, non è applicabile per i ritardi nei giudizi definiti dal Tar e dalla Corte dei conti, in relazione ai quali vige invece la regola gene-rale di competenza fissata dall’articolo 25 c.p.c. e ciò non confligge con quanto disposto né dall’articolo 97 della Costituzione, che non at-tiene all’amministrazione della giustizia, né con

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l’articolo 108 della Costituzione non potendosi ritenere il richiamato articolo 11 c.p.p. avere va-lenza generalizzata o estensibile a ogni tipo di giudizio (Corte cost. 287/2007).

u  In tema di individuazione della competen-za per territorio nel caso di corruzione di magi-strato, quando il reato per il quale si procede è commesso all’estero, ma non interamente, essendo ignoto, ma non collocabile all’estero, il luogo dell’accordo, la competenza territoria-le si radica nell’ultimo luogo «in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione», ai sensi dell’articolo 9, comma 1, del codice di procedura penale, con l’ulteriore avvertenza che, qualora questo segmento dell’azione penalmente rile-vante sia avvenuto nello stesso luogo in cui il magistrato esercita le sue funzioni il processo deve transitare, ai sensi dell’articolo 11 c.p.p., al giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di Corte d’appello determinato dalla legge (40249/2007).

u  Le azioni civili concernenti le restituzioni e il risarcimento del danno da reato, di cui sia parte un magistrato, nei termini di cui all’art. 11 del codice di procedura penale, che secon-do le norme del presente capo sarebbero attri-buite alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni, sono di competenza del giudice ugualmente compe-tente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale (4185/2010).

u  In tema di equa riparazione per violazio-ne del termine di durata ragionevole del pro-cesso, l’art. 3 comma 1 l. 24 marzo 2001 n. 89 deve essere interpretato, non incompatibilmen-te con il suo dato letterale, in modo tale da con-siderare unitariamente il giudizio del quale si lamenta l’eccessiva durata ed assumere a fatto-re determinante della sua localizzazione la sede del giudice di merito distribuito sul territorio, sia esso ordinario o speciale, davanti al quale il giudizio è iniziato. Al luogo in tal modo indivi-duato si attribuisce la funzione di attivazione del criterio di collegamento della competenza e di individuazione del giudice competente sulla domanda in questione, che è stabilito dall’art.

11 c.p.p. ed è richiamato dal comma 1 dell’art. 3 l. cit. (6306/2010).

u  La speciale competenza stabilita dall’art. 11 c.p.p. per i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ov-vero di persona offesa o danneggiata dal reato ha natura funzionale, e non semplicemente ter-ritoriale, con conseguente rilevabilità, anche di ufficio, del relativo vizio in ogni stato e grado del procedimento (13182/2012).

11 bis. (1) Competenza per i procedi-menti riguardanti i magistrati della Di-rezione nazionale antimafia e antiterro-rismo (2). – 1. I procedimenti in cui assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneg-giata dal reato un magistrato addetto alla Di-rezione nazionale antimafia e antiterrorismo (2) di cui all’articolo 76 bis dell’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modifica-zioni, sono di competenza del giudice deter-minato ai sensi dell’articolo 11.

(1) Questo articolo è stato inserito dall’art. 2 della L. 2 dicembre 1998, n. 420.

(2) Le parole: «Direzione nazionale antimafia» si intendono sostituite dalle attuali: «Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo» a norma dell’art. 20, com-ma 4, del D.L. 18 febbraio 2015, n. 7, convertito, con modificazioni, nella L. 17 aprile 2015, n. 43.

La norma in commento si limita ad estendere l’operatività dell’articolo precedente alle ipotesi in cui il procedimento penale riguardi un magi-strato della Direzione nazionale antimafia, orga-nismo istituito ad hoc presso la Procura generale della Corte di Cassazione, che sia stato chiamato a svolgere le proprie funzioni presso un ufficio giudiziario periferico. Infatti proprio durante il periodo di applicazione presso tali strutture può verificarsi l’eventualità che il magistrato com-metta un reato per il quale dovrebbe essere chia-mato a pronunciarsi l’ufficio di destinazione, con evidenti pericoli per l’imparzialità di giudizio dell’organo decidente.

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