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Codice di procedura penale - latribuna.it · procedura penale, allegato al presente de-creto. 2. Le disposizioni del nuovo codice di procedura penale entrano in vigore un an-no dopo

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Codice di procedura penale

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1.

D.P.R. 22 settembre 1988, n. 447. Ap-provazione del codice di procedura penale (Suppl. ord. n. 92 alla Gazzetta Ufficiale Serie gen. - n. 250 del 24 otto-bre 1988) e avvisi di rettifica in Gazzetta Ufficiale n. 291 del 13 dicembre 1988, n. 293 del 15 dicembre 1988 e n. 304 del 29 dicembre 1988.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli artt. 76 e 87 della Costituzione;Vista la L. 16 febbraio 1987, n. 81, recante

delega legislativa al Governo della Repubbli-ca per l’emanazione del nuovo codice di pro-cedura penale;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 29 genna-io 1988;

Visto il parere espresso in data 16 maggio 1988 della Commissione parlamentare istitu-ita a norma dell’art. 8 della citata legge n. 81 del 1987;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 18 luglio 1988;

Visto il parere espresso in data 4 agosto 1988 dalla Commissione parlamentare a nor-ma dell’art. 8, comma 3, della citata legge n. 81 del 1987;

Visto il parere espresso in data 19 luglio 1988 dal Consiglio Superiore della Magistratura;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 22 settem-bre 1988;

Sulla proposta del Ministro di grazia e giu-stizia.

Emana il seguente decreto:

1. 1. È approvato il testo del codice di procedura penale, allegato al presente de-creto.

2. Le disposizioni del nuovo codice di procedura penale entrano in vigore un an-no dopo la loro pubblicazione nella Gazzet-ta Ufficiale.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta uf-ficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addì 22 settembre 1988.

COSSIGA

De Mita, Presidente del Consiglio dei Mi-nistri

VASSALLI, Ministro di grazia e giustizia

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libro iSOGGETTI

Il Libro in commento è costituito dalle norme relative ai profili dei diversi protagonisti della vi-cenda processuale.

In via preliminare, appare opportuno sottoli-neare come la scelta di collocare tali disposizioni all’inizio del codice di rito è perfettamente co-erente con le peculiarità del modello accusato-rio per il quale ha optato il legislatore del 1989, il quale da un processo inquisitorio caratteriz-zato dalla centralità dell’azione penale, alla cu-i disciplina erano, appunto, riservate le norme di apertura del codice previgente, è addivenuto alla costruzione di un nuovo sistema di rego-le funzionali a garantire una corretta dialettica tra accusa e difesa nell’accertamento della ve-rità processuale, al cospetto di un giudice terzo e imparziale.

Ogni soggetto coinvolto in tale contesto di-namico risulta avere, pertanto, una sua precisa dimensione e collocazione a seconda del ruo-lo che è chiamato a ricoprire. Si è, in altri ter-mini, in presenza di una normativa sistemati-ca che, partendo da colui che esercita l’attività giurisdizionale, si sviluppa attraverso la regola-mentazione degli aspetti strutturali e funzionali del pubblico ministero, della polizia giudiziaria, dell’imputato, della parte civile, del responsabi-le civile e civilmente obbligato per pena pecu-niaria, della persona offesa dal reato e del difen-sore.

La disciplina, senza dubbio organica e nutri-ta, non presenta, tuttavia, prescrizioni specifiche in relazione agli ausiliari del giudice e del pub-blico ministero né ad altri protagonisti del pro-cesso, quali testimoni, periti e consulenti tecnici, i cui profili vengono trattati in contesti del codice diversi dal libro in esame, sulla base della con-siderazione precipua del ruolo da essi svolto nel procedimento di formazione del quadro istrutto-rio.

Pur rilevando l’assenza di una definizione le-gislativa “neutra” della nozione di soggetto pro-cessuale, risulta senza dubbio utile una distin-zione tra tale figura e quella di parte processuale in senso proprio. Se nella prima categoria sono

annoverabili indistintamente tutti coloro i quali prendono parte alla vicenda processuale, con il termine “parte” si fa esclusivo riferimento a chi è titolare del diritto alla pronuncia giurisdizionale finale sulla base di uno specifico interesse, perso-nale (imputato, ed eventualmente persona civil-mente obbligata per la pena pecuniaria, parte civi-le e responsabile civile) o istituzionale (pubblico ministero), fatto valere nel procedimento nel ri-spetto dei principi che lo informano. È evidente, pertanto, come la qualità di parte non possa essere riconosciuta né all’organo giudicante, vista la su-a posizione istituzionale di terzietà e imparzialità (art. 111 Cost.), né alla persona offesa dal reato, in considerazione della sua funzione sollecitatoria, né alla polizia giudiziaria e al difensore, le cui at-tività sono semplicemente funzionali a sostenere, nelle rispettive sfere di azione, il pubblico mini-stero, nell’esercizio dell’azione penale, e l’impu-tato, nell’esercizio del diritto costituzionale alla difesa della propria situazione in relazione all’im-putazione formulata.

TiTolo iGIUDICE

Il Titolo in commento riguarda l’organo al quale l’ordinamento attribuisce in via esclusiva, ex art. 102 Cost., l’esercizio della funzione giu-risdizionale, cioè il compito di decidere l’esito della vicenda processuale penale sulla base del principio del giusto processo affermato nell’art. 111 della Costituzione.

La collocazione topografica delle norme in questione, all’interno del codice di rito vigente, si rivela sicuramente non casuale, ma finalizzata ad affermare la centralità del ruolo del giudice nel contesto di un processo concepito non più co-me strumento per la realizzazione della pretesa punitiva in relazione ai fatti oggetto di imputa-zione, bensì quale “sistema di garanzie” nel cui ambito vengano contemperati i diritti fondamen-tali dell’imputato e l’esigenza di accertamento della verità processuale.

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1 LIBRO I - SOGGETTI

Dal punto di vista ordinamentale, alla lu-ce dei diversi precetti costituzionali relativi alla magistratura intesa come potere dello Stato e al giudice quale organo deputato all’esercizio del-la giurisdizione, preclusa in radice la possibilità di istituire giudici straordinari, chiamati, cioè, a pronunciarsi su un fatto determinato verificatosi prima della loro istituzione, all’interno della ca-tegoria dei giudici ordinari si possono effettuare le seguenti distinzioni:

– giudici togati (magistrati professionali ap-partenenti all’ordinamento giudiziario in via definitiva, nominati per concorso sulla base di quanto previsto dall’art. 106 comma 1, Cost.) e giudici laici (cittadini chiamati ad esercitare la funzione giurisdizionale temporaneamente sulla base di specifici requisiti fissati dalla legge, co-me i giudici di pace o i sei membri laici della corte d’assise);

– giudici monocratici (l’organo giudicante è costituito da una sola persona fisica) e giudi-ci collegiali (l’organo giudicante è composto da una pluralità di persone fisiche).

Rispetto alle funzioni esercitate, gli organi giudicanti ordinari possono essere così suddivisi:

– giudice di pace, organo monocratico;– giudice per le indagini preliminari e giu-

dice per l’udienza preliminare, entrambi mono-cratici;

– tribunale ordinario, il quale giudica in composizione monocratica o collegiale (in tal caso con il numero invariabile di tre componen-ti) a seconda della gravità o delle peculiarità del reato;

– corte d’assise, organo collegiale composto da otto membri di cui due togati e sei laici;

– corte d’appello, organo collegiale compo-sto da tre magistrati togati;

– corte d’assise d’appello, organo collegia-le la cui composizione ricalca quella della corte d’assise di primo grado;

– magistrato di sorveglianza, organo mono-cratico;

– tribunale di sorveglianza, organo collegiale composto da quattro magistrati di cui due togati e due laici;

– Corte di Cassazione, giudice supremo di legittimità, costituita in Sezioni chiamate a giu-dicare con il numero invariabile di cinque votan-ti, o di nove nel caso di composizione a Sezioni unite.

CaPo iGIURISDIZIONE

1. Giurisdizione penale (1). – 1. La giurisdizione penale è esercitata dai giudici previsti dalle leggi di ordinamento giudizia-rio (102 Cost.) secondo le norme di questo codice.

(1) Si veda il R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, recante la normativa fondamentale sull’ordinamento giudiziario.

La norma in esame fissa un principio cardi-ne riguardo all’esercizio della funzione giurisdi-zionale penale: titolari del potere di definizione della vicenda processuale possono essere solo ed esclusivamente quei magistrati ai quali l’or-dinamento giudiziario attribuisce la qualità di “organi giudicanti”, mediante uno specifico atto di investitura o di nomina, la cui conformità al-le previsioni legali è presupposto indispensabile perché possa dirsi ricorrente, nel loro concreto operare, una valida e corretta attività di giurisdi-zione.

Il disposto dell’articolo in commento, pertan-to, determina un profondo legame tra le previ-sioni ordinamentali in senso stretto e l’effettivi-tà dell’attività procedimentale posta in essere dal magistrato che, sempre stando alla lettera della norma, deve conformarsi alle previsioni del co-dice di rito. Tale raccordo emerge indirettamente dalla previsione dell’art. 178, a norma del quale l’inosservanza delle disposizioni concernenti la capacità del giudice contenute nel R.D. 30 gen-naio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario) cau-sa la nullità assoluta di ogni singolo atto posto in essere da colui il quale solo apparentemente rive-ste la qualità di magistrato giudicante.

Pertanto, soltanto l’investitura rituale di colui il quale è chiamato a pronunciarsi sui fatti ogget-to di imputazione assicura la validità di tutti gli atti dallo stesso compiuti.

u  In tempo di pace la giurisdizione “norma-le” è quella ordinaria, mentre quella militare ha carattere eccezionale, ed è comunque con riferimento al solo processo di cognizione che opera il principio di cui all’art. 103, comma ter-zo, Cost. Ne consegue che esso non è invocabile in tema di giurisdizione nel processo esecutivo, e in particolare in quello di sorveglianza, anche se stabilisce il criterio generale per delimitare

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2 Titolo I - Giudice

l’ambito di estensione rispettivo della giurisdi-zione ordinaria e di quella speciale in detto pro-cesso (2634/1994, rv 198172).

u   È giuridicamente inesistente il provvedi-mento giurisdizionale che, quantunque mate-rialmente esistente e ascrivibile a un giudice, sia tuttavia privo del requisito minimo della provenienza da un organo giudiziario investito del potere di decisione in una materia riservata agli organi della giurisdizione penale e, come tale, risulti esorbitante, siccome invasivo dello specifico campo riservato al giudice penale, dai limiti interni e oggettivi che, alla stregua dell’ordinamento positivo, discriminano il ramo civile e quello penale nella distribuzione della “iurisdictio” (25/1999, rv 214694).

u   L’Amministrazione militare deve inten-dersi circoscritta nelle strutture occorrenti per l’organizzazione del personale e dei mezzi ma-teriali destinati alla difesa armata dello Stato, e i beni in dotazione della stessa si identificano in quelli che, a norma delle leggi sulla contabilità generale dello Stato, sono amministrati dal Mi-nistero della difesa o dai corpi militari, mentre non possono essere compresi tra quelli appar-tenenti all’Amministrazione militare i beni as-segnati ad altri Ministeri, per l’uso degli stessi o dei servizi da essi dipendenti o da essi ammini-strati, ovvero quelli che rappresentano ogget-to di gestione sotto un profilo esclusivamente privatistico. Ne consegue che, poiché il corpo della Guardia di Finanza fa parte integrante delle Forze armate dello Stato, è configurabile la giurisdizione dell’autorità giudiziaria milita-re, e non di quella ordinaria, in tema di truffa consumata da sottufficiale di detto corpo in danno dell’Amministrazione di appartenenza, mediante il conseguimento dell’indebito rim-borso di spese di missione eccedenti quanto effettivamente pagato (1410/2000, rv 215224).

u   Non può dirsi inesistente la sentenza di condanna pronunciata dal tribunale ordinario per fatti commessi da un soggetto all’epoca de-gli stessi minorenne, perché la sentenza è inesi-stente quando è emessa da un soggetto estra-neo all’ordinamento giudiziario (45603/2010).

2. Cognizione del giudice. – 1. Il giu-dice penale risolve ogni questione da cui dipende la decisione, salvo che sia diversa-mente stabilito (3, 30, 2633, 3248, 479) (1).

2. La decisione del giudice penale che risolve incidentalmente una questione civi-le, amministrativa o penale non ha efficacia

vincolante in nessun altro processo (651, 652, 654).

(1) La pregiudiziale relativa alla legittimità costitu-zionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge è di competenza della Corte costituzionale (art. 134 Cost.). Per la c.d. pregiudiziale comunitaria e la competenza della Corte di giustizia della Comunità europea, si veda l’art. 3 della L. 13 marzo 1958, n. 204.

La disposizione in commento individua i confini dello spatium deliberandi riconosciuto dall’ordinamento a quell’organo giudicante che costituisce il protagonista principe del processo penale, cioè la possibilità, per lo stesso, di pro-nunciarsi su tutte quelle questioni che potrebbero costituire oggetto di un diverso procedimento ci-vile, penale o amministrativo, e che, nella singo-la fattispecie, si pongono in rapporto di pregiudi-zialità logica con la pronuncia finale relativa ai fatti oggetto di imputazione.

Occorre sottolineare come la ratio di tale pre-visione debba necessariamente essere individuata nell’esigenza di garantire quei principi di massi-ma semplificazione e celerità nell’attività di ac-certamento della verità processuale, imposti dal-la legge delega ed ulteriormente avvalorati dalla recente introduzione del parametro costituzionale della ragionevole durata del processo, che verreb-bero irrimediabilmente compromessi laddove ri-sultasse necessario sospendere il processo penale tutte le volte in cui si imponga l’indefettibile pre-liminare definizione di simili questioni. La nor-ma, tuttavia, richiama l’esistenza nel sistema di una serie di eccezioni a tale regola la cui indubbia tassatività ne impone una specifica elencazione:

– questioni pregiudiziali [➠ 3] per le quali il codice consente la sospensione del processo;

– controversia relativa alla proprietà del be-ne sottoposto a sequestro [263, comma 3, e 324, comma 8];

– altre questioni civili e amministrative [➠ 479];

– questioni di legittimità costituzionale (art. 1, L. cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e art. 23, L. 11 marzo 1953, n. 87);

– questioni concernenti l’interpretazione del-le norme del Trattato CE (art. 177, Trattato CE);

– conflitti di giurisdizione e competenza [➠ 28], oggetto di specifica disciplina, in relazione ai quali il giudice è obbligato a trasmettere im-mediatamente gli atti alla Corte di Cassazione che risolve il conflitto.

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2 LIBRO I - SOGGETTI

In tutte le suddette fattispecie il giudice non può esercitare i poteri decisori generalmente ri-conosciutigli nel contesto di una singola vicenda processuale, ma deve attendere e successivamen-te attenersi alle pronunce degli organi competenti.

Il secondo comma precisa poi chiaramente come gli esiti di questa cognizione occasionale non possano in alcun modo riverberarsi all’ester-no dello specifico processo penale nel quale in-tervengono (esempio).

Le Sezioni Unite della Cassazione ci ricorda-no che in tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare appli-cazione la legge vigente al momento della con-dotta (così Cassazione, S.U., n. 40986 del 2018).

Ciò che il giudice penale deciderà, in tema di status di fallito dell’imprenditore coinvolto nel procedimento o di sussistenza dei presuppo-sti per la sospensione di una concessione edili-zia presumibilmente affetta da vizi di legittimità, non può in alcun modo vincolare le valutazioni del giudice civile o amministrativo chiamato a pronunciarsi in altro processo sulle medesime questioni, potendo al massimo configurarsi, nel-la ricostruzione incidentale del giudice penale, la ricorrenza di un principio di prova liberamente valutabile o il suggerimento di ulteriori prospet-tive istruttorie.

u  Ai sensi dell’art. 2 c.p.p. spetta al giudice penale decidere in via incidentale la natura pubblica o privata di un ente quando la que-stione assuma rilevanza ai fini della qualifica-zione giuridica del fatto oggetto dell’imputa-zione (3035/1999, rv 212941).

u  Se il giudice civile ha dichiarato il fallimen-to di persona insolvente, ritenuta imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c., il giudice penale deve bensì verificare la sussistenza della sua pronun-cia, per accertare un elemento costitutivo inde-fettibile della fattispecie di reato fallimentare. Ma, poiché la sentenza dichiarativa di fallimen-to non fa stato nel processo penale, tale accer-tamento è insufficiente ad integrare la prova della qualità di imprenditore, e cioè di soggetto attivo del reato, della persona dichiarata fallita, se essa è controversa ai fini dell’art. 2221 c.c. e 1 del R.D. n. 267 del 1942 per emergenze che in-ducano ad attribuire all’imputato lo svolgimen-

to dell’attività di piccolo imprenditore, prevista dall’art. 2083 c.c. (5544/1999, rv 213529).

u  L’aggravante del nesso teleologico, previ-sta dall’art. 61 c.p., n. 2, può essere ritenuta, in applicazione dell’art. 2 c.p.p., comma 2, anche se il reato fine viene giudicato separatamente (12707/2003, rv 224063).

u  In tema di misure di prevenzione, sussiste il difetto assoluto di giurisdizione del giudice penale in favore del giudice civile in ordine alla domanda di rilascio promossa dal proprietario di un complesso immobiliare occupato dai beni del complesso aziendale di un’impresa confisca-ta in via definitiva (21063/2010).

u  In tema di reati fallimentari i pagamenti in-dicati in fatture rivelatesi relative ad operazioni inesistenti sono da considerare come distrazioni di somme dal patrimonio delle rispettive società e dato il principio dell’autonomia dell’azione penale sancito dall’art. 2 c.p.p. la sentenza civile relativa al risarcimento del danno da contratto, ancorché irrevocabile, non fa stato nel processo penale quanto alla valutazione del fatto opera-ta nel processo civile, soprattutto se quest’ultimo era nei confronti di parti rimaste estranee all’a-zione penale (Trib. Milano 13 marzo 2012).

u  Non viola il divieto di “reformatio in pe-ius” il giudice di appello che, su impugnazione del solo imputato, proceda alla derubricazione del reato, per cui vi era stata condanna in pri-mo grado, in altro meno grave e a un giudizio di bilanciamento delle circostanze deteriore ri-spetto a quello formulato dal giudice di prime cure (41279/2012).

u  In tema di sequestro probatorio, il sinda-cato del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa (il cui riscon-tro è riservato della cognizione nel merito), ma deve essere limitato alla verifica dell’astratta possibilità di sussumere il fatto attribuito ad un soggetto in una determinata ipotesi di reato ed al controllo dell’esatta qualificazione dell’og-getto del provvedimento come “corpo del rea-to “ o “cosa pertinente al reato” (19962/2013).

u   In caso di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per non essere il fatto previsto dalla legge come reato, ma solo come illecito amministrativo, il giudice non ha l’obbligo di trasmettere gli atti all’autorità am-ministrativa competente a sanzionare l’illecito amministrativo qualora la legge di depenalizza-zione non preveda norme transitorie analoghe a quelle di cui agli artt. 40 e 41, l. 24 novembre 1981, n. 689, la cui operatività è limitata agli illeciti da essa depenalizzati e non riguarda gli altri casi di depenalizzazione (11884/2014).

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3 Titolo I - Giudice

u  Al giudice penale è preclusa la valutazio-ne della legittimità dei provvedimenti ammini-strativi che costituiscono il presupposto dell’il-lecito penale qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice ammini-strativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede pe-nale, non dedotti ed effettivamente decisi dal giudice amministrativo (17991/2018).

3. Questioni pregiudiziali. – 1. Quan-do la decisione dipende dalla risoluzione di una controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza, il giudice, se la questione è se-ria e se l’azione a norma delle leggi civili è già in corso, può sospendere il processo fi-no al passaggio in giudicato della sentenza che definisce la questione (479, 630, lett. b); 324 c.p.c.) (1) (2).

2. La sospensione è disposta con ordi-nanza soggetta a ricorso per cassazione. La corte decide in camera di consiglio (127).

3. La sospensione del processo non im-pedisce il compimento degli atti urgenti (467).

4. La sentenza irrevocabile del giudice civile che ha deciso una questione sullo sta-to di famiglia o di cittadinanza ha efficacia di giudicato nel procedimento penale.

(1) Ipotesi di sospensione obbligatoria del processo penale sono quelle di pregiudiziale costituzionale e di pregiudiziale comunitaria di cui alla nota 1 dell’arti-colo precedente.

(2) A norma dell’art. 20 del D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74, il procedimento amministrativo di accertamento e il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione.

La norma in commento costituisce espres-sa eccezione rispetto alla regola generale conte-nuta nella disposizione precedente. Essa, infatti, consente all’organo giudicante di sospendere il processo penale nel momento in cui la decisione che in esso deve essere assunta dipende dalla so-luzione di una questione pregiudiziale di natura civilistica o amministrativa attinente allo stato di famiglia o alla cittadinanza. Tuttavia occorre os-servare, in via preliminare, come la rigida indica-zione dei presupposti che consentono la sospen-

sione e la previsione di un meccanismo di “stasi processuale” che si attiva non automaticamente ma solo a seguito di una decisione discrezionale da parte del giudice consentono di circoscriverne l’operatività in modo tale da non compromettere il valore della celerità nella definizione della vicen-da processuale, al contrario di quanto avverrebbe in una fattispecie di sospensione obbligatoria.

Condizioni per l’applicazione dell’istituto sono:– il rapporto di pregiudizialità tra la questio-

ne insorta e la decisione del giudizio penale;– la serietà della questione medesima, cioè la

fondatezza delle ragioni prospettate dalle parti;– la pendenza del procedimento incidentale

riguardante la specifica questione innanzi al giu-dice civile.

Il provvedimento di sospensione, rimesso al-la scelta discrezionale del giudice penale, deve essere adottato con ordinanza motivata, seppur succintamente, in relazione alla sussistenza dei presupposti suddetti. Tale valutazione è soggetta a ricorso davanti ai giudici di legittimità, i qua-li sono chiamati esclusivamente a verificare la mera sussistenza, nel caso di specie, dei requisiti normativamente previsti. Peraltro l’esplicita pre-visione di poteri di impugnazione esercitabili av-verso l’ordinanza sospensiva si giustifica ove si consideri che la medesima è idonea a cagionare la sospensione dei termini di prescrizione del re-ato (così Cassazione n. 10849 del 1991).

La stasi del procedimento penale perdura fino al passaggio in giudicato della pronuncia che de-finisce la questione sullo stato di famiglia o sulla cittadinanza, ma, nelle more della decisione in-cidentale, non è preclusa la possibilità di adot-tare atti urgenti, come l’assunzione di prove non rinviabili (esempio). Sempre al fine di evitare il contrasto tra giudicati, la norma prevede espres-samente che la sentenza emessa dal giudice civi-le vincoli la cognizione dell’organo giudicante in sede penale per ciò che attiene alla pregiudiziale controversa.

Audizione di un testimone che versi in con-dizioni di salute tali da far ragionevolmente rite-nere che lo stesso non potrà essere sottoposto ad esame alla ripresa del processo penale.

u   In tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, l’obbligo, penalmente san-zionato, di corrispondere i mezzi vitali permane finché lo “status” dell’avente diritto al sostenta-

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3 LIBRO I - SOGGETTI

mento non muti a seguito di sentenza passata in giudicato. Trattasi, infatti, di obbligazione “ex lege” a tutela dell’interesse primario del fami-liare in stato di bisogno, rafforzata dalla proce-dibilità d’ufficio del reato. La controversia sulla validità del vincolo parentale non costituisce questione pregiudiziale rispetto all’accertamen-to degli obblighi in questione e non legittima la sospensione del relativo procedimento penale in quanto gli effetti del vincolo stesso perman-gono finché questo non sia stato dichiarato giu-dizialmente cessato (850/1994, rv 196323).

u   Nel nuovo codice di procedura penale le questioni pregiudiziali sono state ridotte a quelle relative allo stato di famiglia ed alla cit-tadinanza, mentre gli artt. 651, 652, 653 e 654 c.p.p. regolano l’efficacia delle sentenze penali di condanna o di assoluzione nel giudizio civi-le, amministrativo e disciplinare. Non è invece prevista né regolata l’efficacia delle senten-ze penali di assoluzione in altro o nello stesso giudizio penale sicché, essendo i relativi giudi-zi fra loro autonomi dato che in quello penale deve essere ricercata la verità, quanto accertato nella precedente pronuncia penale non fa sta-to in quello successivo. Ne consegue che è da escludere che il giudice del delitto di associazio-ne per delinquere sia vincolato da precedente pronuncia su di un reato-fine e non possa rin-novare l’indagine né riconsiderare le valenze probatorie degli elementi posti a base dell’as-soluzione definitiva di quel reato-fine, quando ciò serva al giudizio tuttora in corso sul delitto associativo (4609/1995, rv 201147).

u   Poiché possa disporsi la sospensione del procedimento penale in relazione a controver-sia civile sulla questione di stato, è necessario che l’illiceità penale dell’azione od omissione contestata all’imputato dipenda dal preceden-te stato di una persona e che, essendo tale stato controverso, la decisione della questione rela-tiva sia destinata a costituire l’antecedente lo-gico-giuridico della pronuncia sull’esistenza del reato. Non può disporsi la sospensione quando il fatto ascritto all’imputato coincida e si iden-tifichi con quello da cui ha tratto origine lo stato che si assume falsamente attribuito a una persona. Ne consegue che, di fronte alla conte-stazione del delitto di cui all’art. 567 c.p., con-trovertendosi sullo stato che secondo l’accusa ha tratto origine proprio dalla falsità ascritta al prevenuto, non ricorrono i presupposti per l’o-peratività della sospensione del procedimento penale (8060/1995, rv 202151).

u   In tema di pregiudiziale costituzionale, la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 23 della

legge 11 marzo 1953 n. 87 consegue obbligato-riamente solo alla trasmissione degli atti alla Cor-te Costituzionale, che il giudice dispone previa delibazione della rilevanza nel procedimento in corso e della non manifesta infondatezza della questione sollevata; ove pertanto una questione di legittimità costituzionale sia stata rimessa alla Consulta in un procedimento diverso, non può configurarsi l’esistenza di una pregiudiziale in senso proprio con conseguente obbligo del giu-dice di sospendere – a pena di nullità – il giudizio in cui la medesima questione si sia riproposta, po-tendosi al più desumere, sulla base della disciplina generale delle questioni pregiudiziali quale posi-tivamente realizzata dagli artt. 2 e 3 c.p.p., una semplice facoltà in tal senso da parte del secondo giudice, previa delibazione della questione in ter-mini di “serietà” (2267/1997, rv 207554).

u   La sospensione del procedimento è un mezzo eccezionale cui il giudice, secondo i casi, deve o può far ricorso solo quando la legge espressamente lo prevede e cioè solo quando la decisione dipenda dalla risoluzione di una que-stione pregiudiziale costituzionale, ovvero dalla risoluzione di una questione civile o amministra-tiva. In ogni altro caso, il giudice penale è tenuto a risolvere ogni questione pregiudiziale, pur con efficacia non vincolante (503/1998, rv 210767).

u  In tema di bancarotta, la dichiarazione di fallimento, una volta che abbia acquistato il ca-rattere della irrevocabilità, costituisce un dato definitivo e vincolante sul quale non possono più sorgere questioni non collegate alla produ-zione formale della prova della sua giuridica esistenza (4427/1998, rv 211139).

u  Poiché a norma dell’art. 3, comma quarto, c.p.p., è riconosciuta efficacia di giudicato nel procedimento penale e, per il rinvio contenuto nell’art. 4 della legge n. 1423 del 1956, anche nel procedimento di prevenzione, alle sentenze irrevocabili del giudice civile relative allo stato di famiglia o di cittadinanza, la sentenza dichia-rativa di morte presunta, che non riguarda né lo “status familiae”, né lo “status civitatis”, né statuisce sul modo di essere di un rapporto giu-ridico o sulla modificazione di esso, ma soltanto sull’accertamento in via presuntiva, attraverso un procedimento logico, di un fatto naturale come la morte, non può avere efficacia nel pro-cedimento penale e in quelli, come la procedu-ra per l’applicazione delle misure di prevenzio-ne, che sono regolati dalle norme del codice di procedura penale (5830/1999, rv 212667).

u  In tema di bancarotta, l’imputato che, ai sensi dell’art. 479 c.p.p., richiede la sospensio-ne del dibattimento, in attesa della definizione

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3 Titolo I - Giudice

del processo instaurato contro la dichiarazione di fallimento, è tenuto allo scopo di consenti-re al giudice penale di valutare la opportunità dell’esercizio del proprio potere discrezionale sul punto a fornire allegazioni non solo alla esi-stenza della procedura in sede civile, ma anche in ordine alla serietà della questione sollevata, atteso che costituisce presupposto, normativa-mente postulato, della invocata sospensione la complessità del giudizio instaurato in sede civile o amministrativa (31074/2001, rv 219636).

u   Anche nel rito abbreviato è possibile la sospensione del procedimento, tanto in attesa della risoluzione di questione sullo stato di fami-glia o di cittadinanza (ai sensi dell’art. 3 c.p.p.), quanto in pendenza di giudizio su altre questioni pregiudiziali civili o amministrative di particola-re complessità, come previsto dall’art. 479 stesso codice, atteso che non può ritenersi vincolante la lettera di tale articolo, la quale fa riferimento solo alla sospensione del dibattimento, anche in considerazione del fatto che detta sospensione non è finalizzata ad operare sul momento della acquisizione probatoria, ma su quello della de-cisione; invero, proprio dalla decisione pregiudi-ziale di altro giudice, il giudice penale attende la possibilità di acquisire non ulteriori dati probato-ri, quanto elementi indispensabili al fine di per-venire ad una corretta soluzione (13780/2002).

u  Il codice di procedura penale vigente, ap-provato con d.P.R. n. 447 del 1988, non contiene una norma analoga a quella di cui all’art. 3 del codice abrogato, il quale, al comma 1, statuiva che, quando nel corso di un giudizio civile ap-pariva un fatto nel quale fossero ravvisabili gli estremi di un reato perseguibile d’ufficio, il giu-dice doveva farne rapporto al procuratore della Repubblica. Ne consegue che in nessun caso il giudice civile è tenuto a trasmettere gli atti al suddetto procuratore qualora abbia ricevuto una specifica richiesta in tal senso. (Fattispecie relativa ad un giudizio in materia di locazione, iniziato in primo grado nel 1996, nel corso del quale il conduttore aveva addotto responsabi-lità penali del locatore in relazione a presunte condotte di estorsione di dichiarazioni non veri-tiere e di rilascio di ricevute (10490/2009).

u   La richiesta di sospensione del dibatti-mento ai sensi dell’art. 479 c.p.p., pur essendo oggetto di valutazione discrezionale, obbliga il giudice a fornire puntuale motivazione delle ragioni per le quali ritenga superfluo attende-re l’esito del giudizio civile o amministrativo dalla cui risoluzione può dipendere la decisione sull’esistenza del reato (17528/2010).

u   Ai fini dell’integrazione del reato di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza nei confronti di minore non nato in costanza di ma-trimonio, è richiesta la prova della filiazione, da acquisirsi o mediante l’atto di riconoscimento formale ovvero mediante altro modo consen-tito, non esclusa eventualmente l’applicazione della pregiudiziale di stato ai sensi e per gli ef-fetti dell’art. 3 c.p.p. (In applicazione del princi-pio la Corte ha annullato con rinvio la senten-za impugnata che aveva ritenuto la filiazione provata in base alla mera testimonianza della madre in ordine all’avvenuto riconoscimento di paternità non confortato da atti giudiziali e neppure da riscontri anagrafici) (15952/2012).

CaPo iiCOMPETENZA

Il Capo in commento, relativo al tema della competenza, fissa i criteri normativi funziona-li all’attuazione di una ordinata distribuzione, in senso orizzontale e verticale, delle regiudicande penali, ed all’individuazione del giudice naturale precostituito per legge ai sensi dell’art. 25 comma 1, Cost., nel pieno rispetto del principio della buo-na efficienza dell’amministrazione giudiziaria.

La precostituzione dell’organo giudicante, an-teriormente all’insorgere della controversia sui fatti oggetto di imputazione, è predisposta dall’or-dinamento giudiziario a garanzia dell’indipenden-za di colui il quale è chiamato a pronunciarsi e, contestualmente, della libertà dei cittadini.

I due cardini di ripartizione individuati dal le-gislatore sono:

– la competenza per materia, che consente di suddividere il lavoro tra i diversi uffici giudizia-ri in ragione sia del criterio qualitativo (natura e tipologia del reato) sia di quello quantitativo (en-tità e gravità della pena edittale);

– la competenza per territorio, che permette di individuare, tra i vari uffici giudiziari dello stesso tipo dislocati sul territorio della Repubblica, quel-lo competente a conoscere del procedimento.

Accanto alle due tradizionali figure di ripar-tizione il legislatore ne ha introdotte ex novo al-trettante:

– la competenza per connessione, la quale tiene conto della necessità di operare una tratta-zione unitaria di cause collegate alla luce di pa-rametri di riferimento tassativamente prefissati, in conformità ai principi di celerità e speditezza dell’attività processuale;

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4 LIBRO I - SOGGETTI

– la competenza funzionale, la quale fa riferi-mento alla distribuzione del carico giudiziario di un medesimo procedimento, in virtù del princi-pio di separazione delle diverse fasi processuali fatto proprio dal modello accusatorio dell’attuale codice di rito.

Regole particolari sono poi dettate per la in-dividuazione del giudice relativamente ai reati commessi all’estero [c.p. 10] ed ai procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona indagata, imputata, offesa o danneggiata dal reato (criterio della circolarità). Riguardo agli imputa-ti che al momento del fatto erano minorenni non operano le ordinarie regole di connessione, es-sendo riservata l’esclusiva cognizione delle cause di questo tipo al Tribunale minorile. Infine, circa le regole di individuazione della competenza del giudice di pace penale, occorre far rinvio a quanto previsto dagli artt. 4-8 del D.Lgs. n. 274 del 2000.

Sezione iDISPOSIZIONE GENERALE

4. Regole per la determinazione della competenza. – 1. Per determinare la competenza (coord. 210) si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato (56 c.p.). Non si tiene conto della continuazione (81 c.p.), della re-cidiva (99 c.p.) e delle circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (633 c.p.).

La norma in esame stabilisce i parametri che devono essere osservati nella determinazione della competenza, riferendosi esclusivamente al criterio quantitativo della pena edittale fissata dalla legge penale in relazione al delitto tentato o consumato.

La disposizione contiene, poi, una specifica disciplina di quei fattori che, ricorrendo sin dal momento dell’esercizio dell’azione penale, po-trebbero incidere sulla portata effettiva della pe-na medesima in occasione della pronuncia fina-le. Nessun rilievo è attribuito alle variazioni del quantum della sanzione dipendenti dall’applica-zione della continuazione e della recidiva. In re-lazione alle circostanze assumono rilievo le sole aggravanti ricorrendo le quali la legge prevede il

passaggio dalla pena originariamente prevista ad una sanzione di specie differente ovvero quelle ad effetto speciale che importano un incremento superiore ad un terzo della misura base, ai sen-si dell’art. 63 c.p. Non si considerano in alcun modo le circostanze attenuanti, né la diminuente della minore età.

u  L’art. 4 c.p.p. esclude ogni incidenza delle circostanze attenuanti, quale che sia la loro na-tura, nella determinazione della competenza (3838/1991, rv 186928).

u  L’art. 4 c.p.p., nel prevedere la rilevanza, ai fini della determinazione della competenza, delle circostanze ad effetto speciale, si riferisce unicamente alle circostanze aggravanti e non anche a quelle attenuanti (907/1993, rv 193672).

u  Le norme sulla competenza hanno carat-tere processuale ed, in applicazione del princi-pio d’ordine generale “tempus regit actum”, sono di immediata applicazione anche ai reati commessi in epoca antecedente alla data della loro entrata in vigore, salvo che il relativo pro-cesso sia già radicato legittimamente davanti ad altro giudice, competente secondo le dispo-sizioni previgenti, perché in tal caso – e solo in esso – opera la cosiddetta “perpetuatio compe-tentiae” (4729/1993, rv 192680).

u  Il decreto penale di condanna costituisce un provvedimento giurisdizionale assimilabi-le alla sentenza di condanna, che presuppone l’esistenza d’un processo, il quale in esso vede uno dei possibili modi di propria definizione e l’avvenuto radicamento della competenza in capo al giudice che lo emette; l’opposizione, infatti, serve a instaurare il giudizio ordinario davanti al pretore – giudice del dibattimento – della stessa sede cui appartiene il G.I.P. che ha emesso il decreto opposto. Ne consegue che, radicandosi la competenza a giudicare al mo-mento dell’emissione del decreto, non trovano applicazione, in virtù del principio della “per-petuatio competentiae”, le norme modificatrici dei criteri di determinazione della competen-za per territorio, successive a tale momento (4729/1993, rv 192681).

u   L’incompetenza funzionale equivale al disconoscimento della ripartizione delle attribu-zioni del giudice in relazione allo sviluppo del processo e riflette i suoi effetti direttamente sull’idoneità specifica dell’organo all’adozione di un determinato provvedimento. Essa, pur non avendo trovato un’esplicita previsione neppure nel nuovo codice di procedura penale, proprio perché connaturata alla costruzione normativa

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4 Titolo I - Giudice

delle attribuzioni del giudice ed allo sviluppo del rapporto processuale, è desumibile dal sistema ed esprime tutta la sua imponente rilevanza in rela-zione alla legittimità del provvedimento emesso dal giudice, perché la sua mancanza rende tale provvedimento non più conforme a parametri normativi di riferimento (14/1994, rv 198219).

u  In tema di competenza penale vige, in li-nea generale il principio “tempus regit actum” in forza del quale – intervenuta una legge mo-dificatrice “ratione materiae” della competen-za prevista al momento della commissione del reato – vanno applicate le regole sulla compe-tenza con riferimento al tempo in cui una de-terminata attività di giurisdizione deve essere esercitata, col contemperamento del principio della “perpetuatio iurisdictionis” nell’ipotesi in cui il procedimento sia pervenuto alla fase del dibattimento. In materia di reati di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, la legge 13 dicembre 1989 n. 401 è meno favore-vole rispetto all’art. 718 c.p., essendo prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni (art. 4) a fronte della pena da tre mesi ad un anno di arresto e dell’ammenda non inferiore a lire quattrocentomila prevista dall’art. 718 c.p. Tale nuova legge ha riflessi che appartengono, in quanto tali, alla cognizione del tribunale non essendo prevista la sola pena della multa o dell’ammenda (art. 10 della legge 31 luglio 1984 n. 400); in tal caso peraltro si verte in ipo-tesi di successione di leggi penali regolata dal-l’art. 2 c.p.: ne consegue che, per i fatti previsti dall’art. 4 della legge 13 dicembre 1989 n. 401, commessi prima dell’entrata in vigore della leg-ge stessa, resta applicabile la regola generale (artt. 4 e 7 c.p.p.) della competenza del giudice che l’aveva al tempo del commesso reato, e cioè il pretore (280/1994, rv 197131).

u   L’art. 11 del D.L. 8 giugno 1992 n. 306 convertito nella legge 7 agosto 1992 n. 356 ha elevato da tre a sei anni di reclusione la pena massima per il reato di falsa testimonian-za previsto dall’art. 372 c.p. Trattasi di norma che – pur avendo riflesso sulla competenza per materia, ora del tribunale e non più del preto-re – è di carattere sostanziale perché modifica l’entità della sanzione prevista per il reato, sicché rispetto ad essa non trova applicazione la regola “tempus regit actum”, propria delle norme processuali, ma l’altra relativa alle nor-me di natura sostanziale, dell’ultrattività della disposizione più favorevole. Ne consegue che per i fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore della norma modificativa in questione,

permane la competenza a conoscerne del pre-tore (1823/1994, rv 197632).

u   In materia di reati concernenti carte di credito e documenti ad esse assimilati, quali attualmente previsti dall’art. 12 del D.L. 3 mag-gio 1991 n. 143, convertito con modificazioni in legge 5 luglio 1991 n. 197, la competenza a conoscere del fatto originariamente qualificato come ricettazione e commesso prima dell’entra-ta in vigore di detta normativa speciale spetta al tribunale e non al pretore, in applicazione (mancando norma transitoria), del principio di ordine generale circa l’immediata operatività delle disposizioni incidenti sulla disciplina pro-cessuale (3407/1994, rv 199296).

u  La nuova disciplina attributiva della com-petenza per materia al tribunale in tema di illeciti relativi a carte di credito, deve ritenersi applicabile ai fatti anteriormente commessi, per la considerazione che non può prescindersi dall’osservanza del canone tradizionale, di por-tata generale, per cui la disciplina processuale, anche se modificativa di competenze, preco-stituite, deve trovare immediata applicazione nei procedimenti in corso. Ed invero la com-petenza va verificata sul contenuto formale dei capi di imputazione, così come contestati nell’esercizio dell’azione penale, per cui anche qualora sia dubbia la qualificazione giuridica del fatto dell’acquisizione di carte di credito di provenienza illecita il conflitto di competenza va risolto con l’attribuzione della cognizione al giudice di competenza superiore, il quale è in grado di decidere sulla esatta qualificazione giuridica del fatto e sul trattamento sanziona-torio, pronunziandosi anche sul reato di compe-tenza inferiore (5370/1994, rv 196104).

u  In tema di competenza, in ipotesi di mo-dificazioni legislative, non accompagnate da disposizioni transitorie, va operata una distin-zione tra il caso in cui la norma modificativa concerna direttamente ed espressamente la competenza per materia (ovvero, per la com-petenza pretorile, i limiti di pena generalmente previsti nel primo comma dell’art. 7 c.p.p.), e il caso in cui la modificazione riguardi, invece, la pena per un reato determinato, da ciò derivan-do, ma soltanto come effetto mediato, anche uno spostamento di competenza. Mentre nel primo caso il principio “tempus regit actum” è rettamente applicato, per la natura schietta-mente processuale della norma sopravvenuta, nella seconda ipotesi la modificazione riguarda direttamente ed esclusivamente la pena, soltan-to da ciò emergendo, come derivato indiretto, lo spostamento della competenza per il reato,

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5 LIBRO I - SOGGETTI

sulla base del parametro “edittale”. Ne conse-gue che, in questa seconda ipotesi, resta ferma la competenza radicatasi prima dell’intervento di modifica legislativa (5559/1994, rv 196115).

u   Il criterio della norma più favorevole al reo può essere utilizzato solo al fine di indivi-duare la disposizione di diritto sostanziale appli-cabile al caso concreto, non quella processuale, come è quella disciplinante la competenza tra diversi organi giudicanti, per la quale, in assenza di un’apposita norma transitoria, si deve far rife-rimento al principio generale del “tempus regit actum”, secondo cui la nuova disciplina proces-suale, anche se immuta la competenza precosti-tuita, trova immediata applicazione nei proce-dimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, sempre che, naturalmente, il giudice non sia stato già legittimamente investito del relati-vo giudizio, in quanto, in tal caso, essendosi già radicata la competenza, la nuova disciplina pro-cessuale non ha efficacia (2537/1997, rv 207700).

u   Il principio generale della immediata ap-plicazione delle nuove norme deve considerarsi temperato da quello della “perpetuatio iurisdic-tionis”, nel senso che, nel caso in cui il procedi-mento sia pervenuto alla fase del dibattimento (senza che abbia rilievo l’emissione del decreto di citazione a giudizio) la competenza deve rite-nersi radicata presso il giudice anteriore. Perché, quindi, lo “iudicium” possa considerarsi “accep-tum” (con la conseguenza che “ibi et finem accipere debet”) non è sufficiente la semplice pendenza del procedimento davanti ad un uf-ficio giudiziario, ma è necessario che il giudice abbia iniziato a conoscere del procedimento, abbia cioè esercitato attività di giurisdizione. Ne consegue che, affinché possa ritenersi operante il criterio della “perpetuatio iurisdictionis” non è sufficiente la mera presentazione di un’istanza ad un ufficio, ma è necessario che il giudice al quale l’istanza è rivolta ne abbia iniziato concre-tamente la trattazione prima dell’entrata in vi-gore delle nuove norme (3819/1997, rv 208823).

u  È abnorme, in quanto determina uno stallo del procedimento, l’ordinanza del Gup che, inve-stito di richiesta di rinvio a giudizio, disponga la trasmissione degli atti al P.M. per l’emissione del decreto di citazione a giudizio sull’erroneo pre-supposto che la richiesta riguardi un reato puni-to con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni. (Nella specie la Corte ha rilevato che il delitto di cui all’art. 2, comma terzo, del D.Lgs. n. 74 del 2000 è circostanza at-tenuante e non fattispecie autonoma di reato sicché della stessa non può tenersi conto ai fini della determinazione della pena) (25204/2008).

Sezione iiCOMPETENZA PER MATERIA

5. Competenza della corte di assise. – 1. La corte di assise è competente:

a) per i delitti per i quali la legge stabi-lisce la pena dell’ergastolo o della reclusio-ne non inferiore nel massimo a ventiquattro anni (1), esclusi i delitti, comunque aggrava-ti, di tentato omicidio, di rapina, di estorsio-ne e di associazioni di tipo mafioso anche straniere, e i delitti, comunque aggravati, previsti dal decreto del Presidente della Re-pubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (2);

b) per i delitti consumati previsti dagli artt. 579, 580, 584 [, 600, 601 e 602] (3) del codice penale;

c) per ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di una o più persone, escluse le ipotesi previste dagli artt. 586, 588 e 593 del codice penale;

d) per i delitti previsti dalle leggi di at-tuazione della XII disposizione finale della Costituzione (4), dalla L. 9 ottobre 1967 n. 962 (5) e nel titolo I del libro II del codice penale (241 - 313 c.p.), sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni (6).

d bis) per i delitti consumati o tentati di cui agli articoli 416, sesto comma, 600, 601, 602 del codice penale, nonché per i delitti con finalità di terrorismo sempre che per ta-li delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni (7).

(1) Si tratta dei delitti previsti e puniti dagli artt. 422, 438, 439, 575, 576, 577, 5782 c.p.

(2) Questa lettera è stata così, da ultimo, sostituita dall’art. 1, comma 1, lett. a), del D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, convertito, con modificazioni, nella L. 6 aprile 2010, n. 52.

A norma dell’art. 1, comma 2, dello stesso decreto tali disposizioni si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto solo nei casi in cui alla data del 30 giugno 2010, non sia stata esercitata l’azione penale.

A norma dell’art. 2, comma 1, del citato D.L. n. 10/2010, in deroga a quanto previsto nell’articolo 1, comma 2, nei procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, relativi ai delitti di cui all’articolo 416 bis, c.p., comunque aggravati, è com-petente il tribunale, anche nell’ipotesi in cui sia stata

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5 Titolo I - Giudice

già esercitata l’azione penale, salvo che, prima della suddetta data, sia stato dichiarato aperto il dibattimen-to davanti alla corte di assise.

(3) Le parole poste fra parentesi quadrate sono sta-te soppresse dall’art. 6, comma 1, lett. a), della L. 11 agosto 2003, n. 228, recante misure contro la tratta di persone. A norma dell’art. 16, comma 1, della stessa legge, questa disposizione si applica solo ai reati com-messi successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge.

(4) Si tratta delle norme che prevedono e puniscono la ricostituzione del partito fascista (L. 20 giugno 1952, n. 645 e successive modificazioni).

(5) Si tratta della normativa in tema di prevenzione e repressione del delitto di genocidio.

(6) Il rinvio, per quanto attiene il codice penale, è da intendersi fatto agli artt. 241, 242, 2432, 2441, 245, 247, 248, 249, 252, 253, 255, 2564, 257, 258, 2611-2-3-4, 2621-2-3-4, 263, 264, 265, 267, 269, 2701-2, 270 bis, 276, 277, 280, 283, 284, 285, 286, 287, 2891, 289 bis, 295, 303, 3051, 3061.

(7) Questa lettera è stata aggiunta dall’art. 1, com-ma 1, lett. b), del D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, conver-tito, con modificazioni, nella L. 6 aprile 2010, n. 52.

La competenza della Corte d’Assise, com-posta da due giudici togati e da sei giudici po-polari, riguarda tutte quelle fattispecie delittuose che, per la natura della condotta posta in essere o per la gravità delle conseguenze che ne deriva-no, suscitano un allarme sociale particolarmente rilevante, richiedendo, perciò, la partecipazione diretta dei cittadini alla procedura di accertamen-to dei fatti per i quali è stata esercitata l’azione penale, in conformità a quanto previsto dall’art. 102, Cost.

L’articolo in argomento, alla stregua delle in-dicazioni contenute nella legge delega, contiene un sistema organico di individuazione delle di-verse fattispecie, fondato sull’operatività di un “criterio misto” quanti-qualitativo.

Con D.L. 12 febbraio 2010, n. 10, convertito in L. 6 aprile 2010, n. 52, il legislatore ha prov-veduto d’urgenza per risolvere la questione giuri-sprudenziale di cui è espressione la sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione n. 4964 del 21 gennaio 2010 in ordine al conflit-to di competenza tra tribunale e Corte d’Assise per i delitti di associazione mafiosa di cui all’art. 416 bis c.p., comunque aggravati. È stato, dun-que, scongiurato il pericolo della scarcerazione di molti imputati nei processi di mafia, per decor-renza dei termini di custodia cautelare in carce-re. Il citato decreto, infatti, pone fine al conflit-to con l’attribuzione definitiva ai tribunali della

competenza a giudicare sulle associazioni di tipo mafioso comunque aggravate. Contestualmente il provvedimento governativo anticipa una nor-ma contenuta nel più generale disegno di legge di riforma del processo penale in discussione in Parlamento, estendendo, con la modifica al testo dell’articolo in commento, la competenza delle Corti d’Assise ad alcuni gravissimi reati (terrori-smo, riduzione in schiavitù, sequestro di persona, traffico di stupefacenti, contrabbando ecc.).

Nella lettera a) – nella versione previgente la riforma del 2010 – erano previsti tutti i reati la cui pena edittale sia l’ergastolo o comunque una pena non inferiore nel massimo a ventiquat-tro anni. Espressamente vengono esclusi i delitti di tentato omicidio, rapina ed estorsione, comun-que aggravati, il sequestro di persona a scopo di estorsione e tutti i reati afferenti le sostanze stu-pefacenti. Nella versione successiva alla riforma del 2010, dalla citata lettera a) è prevista l’esclu-sione della competenza della Corte d’assise (da cui conseguentemente deriva la competenza del tribunale) per i delitti, comunque aggravati, di associazioni di tipo mafioso anche straniere (an-che quindi se dall’applicazione di circostanze ag-gravanti deriva la pena della reclusione superiore nel massimo a 24 anni), nonché la competenza della Corte d’assise per il reato di sequestro di persona a scopo di estorsione (punito con la re-clusione da 25 a 30 anni).

Nella lettera b) sono indicati i delitti consu-mati di omicidio del consenziente, l’istigazione o aiuto al suicidio e l’omicidio preterintenzionale. Nella formulazione precedente alla modifica ap-portata a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 228 del 2003, erano altresì indicati i delitti di riduzione in schiavitù, tratta, commercio, aliena-zione e acquisto di schiavi, fattispecie integral-mente riformulate dall’intervento novellistico e confluite nella competenza del Tribunale in com-posizione collegiale.

Nella lettera c) la competenza è estesa a tutti i delitti dolosi in cui sia derivata la morte di una o più persone. Sono esclusi i reati di rissa e di omissione di soccorso e l’ipotesi generale di mor-te come conseguenza di altro delitto. Quest’ulti-ma specifica previsione permette di evidenziare come, ai fini dell’attribuzione della competenza alla corte d’assise, l’evento morte sia rilevante solo nelle ipotesi in cui esso sia riferibile alla co-scienza e volontà del soggetto agente.

La lettera d) indica espressamente i delitti, consumati o tentati, relativi alla riorganizzazione

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6 LIBRO I - SOGGETTI

del partito fascista, il genocidio ed i reati a que-sto relativi ed i delitti contro la personalità dello Stato purché la pena edittale in questi ultimi non sia inferiore nel massimo a dieci anni.

La nuova lettera d bis), introdotta dal D.L. 10/2010, radica nella competenza della Corte d’assise i seguenti ulteriori delitti consumati o tentati:

– associazione a delinquere diretta a commet-tere taluno dei delitti di cui agli articoli 600 (ridu-zione o mantenimento in schiavitù o in servitù), 601 (tratta di persone) e 602 (acquisto e aliena-zione di schiavi), nonché all’articolo 12, comma 3 bis, del testo unico immigrazione (ipotesi ag-gravate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) (articolo 416, sesto comma, del co-dice penale);

– riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (articolo 600 del codice penale), tratta di persone (articolo 601 del codice penale) e acqui-sto e alienazione di schiavi (articolo 602 del co-dice penale);

– delitti con finalità di terrorismo sempre che per tali delitti sia stabilita la pena della reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni.

L’articolo 1, comma 2 e l’articolo 2, del citato D.L. 10/2010 dettano due disposizioni transito-rie, la prima di portata generale, la seconda (for-mulata in termini derogatori rispetto alla prima) specificamente riferita ai procedimenti in corso relativi al delitto di associazioni di tipo mafioso anche straniere. L’articolo 1, comma 2 prevede, in particolare, l’applicabilità dei nuovi criteri di ripartizione della competenza tra tribunale e cor-te d’appello anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge (ov-vero, in base all’articolo 4, al 13 febbraio 2010, giorno successivo alla sua pubblicazione nella “Gazzetta Ufficiale”) limitatamente ai casi in cui, alla data del 30 giugno 2010, non sia stata eserci-tata l’azione penale.

u  A seguito della modifica dell’art. 5 c.p.p., apportata con il D.L. 22 febbraio 1999 n. 29, convertito in legge 21 aprile 1999 n. 109, i delitti di rapina aggravata appartengono alla competenza del tribunale, e quindi della Cor-te d’Appello in secondo grado. La stessa legge, all’art. 3, dispone che l’anzidetta norma si ap-plica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto legge sopra in-dicato, salvo che, prima di tale data, sia stato dichiarato aperto il dibattimento davanti alla

Corte di Assise. Quest’ultima norma non contra-sta con il principio costituzionale di cui all’art. 25 della Costituzione, secondo cui nessuno può essere sottratto al giudice naturale, sia perché la norma ha carattere generale sia perché deve riconoscersi la discrezionalità del legislatore nel determinare la disciplina della competenza, laddove un contrasto con la norma costituzio-nale dell’art. 25 potrebbe ravvisarsi solo se una disposizione di legge sottraesse il caso concreto alle regole generali (5400/2000, rv 216148).

u  Ai sensi dell’art. 5 c.p.p., il delitto di as-sociazione per delinquere di stampo mafioso appartiene "quoad poenam" alla competenza della Corte d’assise quando ai soggetti di verti-ce (promotori, dirigenti o organizzatori) è con-testata l’aggravante dell’associazione armata, essendo in tal caso l’art. 416 bis, commi quarto e sesto, c.p. punibile con un massimo edittale non inferiore a ventiquattro anni di reclusione, alla luce dell’aumento di pena introdotto con la l. n. 251/2005 (4964/2010).

u   Pur dopo l’entrata in vigore del d.l. 12 febbraio 2010 n. 10 (Disposizioni urgenti in ordine alla competenza per procedimenti pe-nali a carico di autori di reati di grave allarme sociale), conv. nella l. 6 aprile 2010 n. 52, che ha attribuito al tribunale la competenza per l’as-sociazione di tipo mafioso pluriaggravata, già rientrante, per effetto della l. n. 251 del 2005, in quella della Corte d’assise, a quest’ultima con-tinua ad appartenere la competenza per detto reato in ordine a quei procedimenti nei quali non sia stato ancora dichiarato aperto il dibatti-mento, ma sui quali eserciti "vis attractiva" per connessione altro procedimento per lo stesso fatto pendente in fase dibattimentale dinanzi alla Corte medesima. (Nella specie, relativa a conflitto negativo, il procedimento non ancora in fase dibattimentale, iniziato nei confronti di promotore di un’associazione mafiosa, era sta-to separato dal troncone principale, ma non era approdato ancora al dibattimento, come quello principale, in corso di celebrazione dinanzi alla Corte d’assise, designata come giudice compe-tente dalla Corte di cassazione in sede di riso-luzione di precedente conflitto) (27254/2010).

6. (1) Competenza del tribunale. – 1. Il tribunale è competente per i reati che non appartengono alla competenza della corte di assise o del giudice di pace (2) (5; 210, 259 coord.).

(1) Questo articolo è stato così sostituito dall’art. 166 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istitu-

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6 Titolo I - Giudice

zione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999. Si riporta il testo previgente:

«6. (Competenza del tribunale). 1. Il tribunale è competente per i reati che non appartengono alla com-petenza della corte di assise o del pretore.

«2. Il tribunale è altresì competente per i reati, con-sumati o tentati, previsti dal capo I del titolo II del li-bro II del codice penale, esclusi quelli di cui agli artt. 329, 330, primo comma, 331, primo comma, 332, 333, 334 e 335».

(2) Le parole: «o del giudice di pace» sono state ag-giunte dall’art. 47 del D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274. Per la relativa disciplina si veda l’art. 4 del predetto D.L.vo.

L’attuale formulazione dell’articolo in com-mento è, almeno in parte, il risultato delle mo-difiche determinate nell’ordinamento processua-le penale dall’introduzione del giudice unico di primo grado.

Infatti, se da un lato è rimasto inalterato il cri-terio generale di definizione della competenza del tribunale, individuata per relationem e in via re-siduale rispetto a quella della corte d’assise e del giudice di pace, dall’altro sono stati eliminati tut-ti gli originari riferimenti a specifiche fattispecie delittuose, quali, ad esempio, alcuni delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., che servivano a specificare ulteriormente gli spazi riservati alla co-gnizione del tribunale stesso rispetto a quelli del “previgente” pretore. Relativamente ai criteri di ripartizione delle attribuzioni tra tribunale in com-posizione monocratica e tribunale in composizio-ne collegiale si rinvia agli artt. 33 bis e 33 ter.

u  In tema di competenza in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione, la norma di cui all’art. 19 della legge 26 aprile 1990 n. 86, che ha modificato l’art. 6 c.p.p. per il principio “tempus regit actum”, tipico in materia proces-suale, si applica anche ai fatti commessi ante-riormente, pure quando, in base alla normativa previgente, apparterebbero alla competenza del pretore (3143/1991, rv 188365).

u  La competenza a conoscere dei reati indi-cati nel comma secondo dell’art. 6 c.p.p., intro-dotto dall’art. 19 della legge 26 aprile 1990 n. 86, appartiene in ogni caso al tribunale, anche quando trattasi di fatti commessi anteriormen-te all’entrata in vigore di detta legge; ciò in ap-plicazione, trattandosi di materia processuale, del principio generale “tempus regit actum”, al quale il legislatore, non avendo dettato alcuna norma transitoria, non ha evidentemente inte-so apportare deroghe (296/1992, rv 189499).

u   La competenza per materia, determina-ta in base al fatto contestato in relazione al momento della commissione dello stesso, per il principio generale del “tempus regit actum”, applicabile alle norme processuali, resta radi-cata presso il giudice della cognizione, anche nell’ipotesi in cui, dopo il decreto di investitura per il giudizio, sopravvenga una legge che mo-difichi la struttura del reato, con conseguente modifica della competenza, che non derivi da disposizioni di natura processuale (4147/1992, rv 189883).

u   Poiché il reato permanente costituisce un’entità giuridicamente unitaria che non può essere scissa, esso, se attribuito a persona che all’epoca di inizio dell’attività criminosa era mi-nore d’età, rientra per intero nella competenza per materia del tribunale penale ordinario, e non – frazionatamente – in quella del Tribuna-le minorile e in quella ordinaria, anche perché un’eventuale scissione finirebbe in pregiudizio per l’imputato (912/1993, rv 193634).

u  In tema di competenza penale vige, in li-nea generale il principio “tempus regit actum” in forza del quale – intervenuta una legge mo-dificatrice “ratione materiae” della competen-za prevista al momento della commissione del reato – vanno applicate le regole sulla compe-tenza con riferimento al tempo in cui una de-terminata attività di giurisdizione deve essere esercitata, col contemperamento del principio della “perpetuatio iurisdictionis” nell’ipotesi in cui il procedimento sia pervenuto alla fase del dibattimento. In materia di reati di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, la legge 13 dicembre 1989 n. 401 è meno favore-vole rispetto all’art. 718 c.p., essendo prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni (art. 4) a fronte della pena da tre mesi ad un anno di arresto e dell’ammenda non inferiore a lire quattrocentomila prevista dall’art. 718 c.p. Tale nuova legge ha riflessi che appartengono, in quanto tali, alla cognizione del tribunale non essendo prevista la sola pena della multa o dell’ammenda (art. 10 della legge 31 luglio 1984 n. 400); in tal caso peraltro si verte in ipo-tesi di successione di leggi penali regolata dal-l’art. 2 c.p.: ne consegue che, per i fatti previsti dall’art. 4 della legge 13 dicembre 1989 n. 401, commessi prima dell’entrata in vigore della leg-ge stessa, resta applicabile la regola generale (artt. 4 e 7 c.p.p.) della competenza del giudice che l’aveva al tempo del commesso reato, e cioè il pretore (280/1994, rv 197131).

u   Il reato di cui all’art. 4, primo comma, della legge 13 dicembre 1989 n. 401 (Esercizio

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7 LIBRO I - SOGGETTI

abusivo di attività di giuoco o di scommessa), ha natura di illecito finanziario benché la norma sia volta a tutelare interessi diversi, come l’or-dine pubblico e il contrasto alle attività illegali della criminalità organizzata. Ciò in quanto per reato finanziario deve intendersi ogni illeci-to, penalmente sanzionato, che contrasti con l’interesse finanziario dello Stato, sotteso alla imposizione di tributi e di altri diritti erariali, ovvero, in forma indiretta, all’esercizio mono-polistico di attività lucrative sottratte alla or-ganizzazione da parte di privati, come lotterie, scommesse, pronostici relativi a competizioni sportive. Tali attività, riservate allo Stato, rea-lizzano un interesse finanziario dello stesso, at-teso che una quota degli importi, riscossi con la raccolta delle puntate degli scommettitori, vie-ne versata all’Erario a titolo di tributo. Poiché il citato reato di cui all’art. 4 della legge n. 401 del 1989 è sanzionato con pena detentiva, la competenza a giudicare appartiene al tribunale e non al pretore, in applicazione del criterio in-dicato dall’art. 21 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, così come modificato dall’art. 10 della legge 31 luglio 1984 n. 400: norme di carattere specia-le rispetto a quelle di cui agli artt. 6 e 7 c.p.p., in quanto tali, derogatrici delle norme generali sulla competenza (2389/1998, rv 210771).

u   È da inammissibile il ricorso avverso il provvedimento mediante il quale il Giudice di Pace dichiara l’inammissibilità del ricorso imme-diato per la citazione in giudizio (36717/2008).

u  Il delitto di promozione, direzione od or-ganizzazione di un’associazione di tipo mafio-so aggravato ai sensi dell’art. 416 bis, comma quarto, c.p. (associazione armata), appartiene alla competenza della Corte d’Assise e non a quella del Tribunale, qualora la consumazione del reato si sia protratta anche successivamen-te all’entrata in vigore della L. n. 251 del 2005 (4964/2010).

u  La competenza per tutte le ipotesi di rea-to contenute nell’art. 416 bis c.p., a prescindere dalla pena edittale prevista in riferimento alla violazione contestata, appartiene al Tribuna-le anche con riguardo ai procedimenti avviati precedentemente al momento dell’entrata in vigore del d.l. 12 febbraio 2010, n. 10, salvo che a quella data il giudizio non fosse già iniziato dinanzi alla Corte d’Assise (21063/2011).

7. (1) [Competenza del pretore. – 1. Il pretore è competente per i reati per i quali la legge stabilisce una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni ovve-ro una pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena detentiva.

2. Il pretore è inoltre competente per i seguenti reati:

a) violenza o minaccia a un pubblico uf-ficiale prevista dall’art. 336 comma 1 del codice penale;

b) resistenza a un pubblico ufficiale pre-vista dall’art. 337 del codice penale;

c) oltraggio a un magistrato in udienza aggravato a norma dell’art. 343 comma 2 del codice penale;

d) violazione di sigilli aggravata a nor-ma dell’art. 349 comma 2 del codice penale;

e) favoreggiamento reale previsto dal-l’art. 379 del codice penale;

f) maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli, quando non ricorre l’aggravante prevista dall’art. 572 comma 2 del codice penale;

g) rissa aggravata a norma dell’art. 588 comma 2 del codice penale, con esclusione delle ipotesi in cui nella rissa taluno sia ri-masto ucciso o abbia riportato lesioni gravi o gravissime;

h) omicidio colposo previsto dall’art. 589 del codice penale;

i) violazione di domicilio aggravata a norma dell’art. 614 comma 4 del codice pe-nale;

l) furto aggravato a norma dell’art. 625 del codice penale;

m) truffa aggravata a norma dell’art. 640 comma 2 del codice penale;

n) ricettazione prevista dall’art. 648 del codice penale].

(1) Questo articolo è stato abrogato dall’art. 218 del D.L.vo 19 febbraio 1998, n. 51, recante l’istituzione del giudice unico, a decorrere dal 2 giugno 1999.

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