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bozza Collana “Gli emersi - Narrativa”

Collana “Gli emersi - Narrativa” · un pacco di pasta, comprato da lei con un altro spirito, con un altro sorriso, mi faceva ripensare al passato ed a come, nonostante tutto,

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Collana “Gli emersi - Narrativa”

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Prima Edizione: Aprile 2009Tutti i diritti riservati

©Aletti Editore di Altre Sembianze S.r.L.Via Palermo 27

00012 Villalba di Guidonia (RM)Tel. 0774/354400

[email protected]

Progetto grafico e impaginazione:Valentina Meola - Altre Sembianze

Immagine in copertina:

Stampa:DigitalPrint Service S.r.L.

Segrate (MI)

ISBN: 978-88-7680-

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Adriano Di Gregorio

Il prima e il dopo

Aletti Editore

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Soles occidere et redire possunt:nobis cum semel occidit brevis lux,nox est perpetua una dormienda.Da mi basia mille, deinde centum,dein mille altera, dein secunda centum,deinde usque altera mille, deinde centum.

Catullo, Carmina, V

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A mia figlia, alba di nuova vita

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bozzaCAPITOLO I

Il sole picchiava forte ed i muretti a secco correvano veloci fuoridel finestrino. Il cielo era limpido, ma la campagna polverosa rende-va sfumati i contorni della strada che, in discesa, correvano tortuo-si verso il paese. Sbucava all’improvviso anche uno spicchio di mareche da lontano scintillava tra le colline brulle.

Come ogni giorno tornavo con un po’ d’entusiasmo in meno. Iragazzi sono sempre più indisciplinati, pensai, o sono io ad esseresempre più impaziente.

A casa, di corsa, spostai i pomodori che, per seccarsi, avrebberodovuto rincorrere il sole; bastava distrarsi un po’, dimenticandosidi loro, e diventavano umidi e molli: avevano bisogno di tutta lamia cura.

A volte, anche preparare da mangiare era dura; persino prendereun pacco di pasta, comprato da lei con un altro spirito, con un altrosorriso, mi faceva ripensare al passato ed a come, nonostante tutto,non ero riuscito a farla felice. Continuavo a chiedermi dove avevosbagliato: non mi rimaneva altro da fare che consumare in frettaogni cosa ed acquistare tutto nuovamente, quasi a voler ricomin-ciare da lì.

Non appena, nel tardo pomeriggio, decisi di preparare la lezioneper l’indomani, mi trovai a ripensare agli occhi dei miei alunni e piùriflettevo e più mi convincevo che in quella ragazza c’era un’ombrache le offuscava lo sguardo.

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bozzaDomani a scuola le parlerò, pensai.

Il giorno seguente, camminando tra i banchi, come faccio di soli-to, mi soffermai a guardarla più a lungo delle altre volte: speravocominciasse lei a parlare con me.

Durante la ricreazione rimasi a chiacchierare con alcuni ragazzinel cortile della scuola; mi facevano tenerezza, sembravano mevent’anni prima. Saltavano da Castro ad Hamas, senza alcun nessoe con una banalità disarmante; urlavano tutti insieme, ma non siascoltavano mai e, come al solito, concludevano il discorso parlan-do di donne.

Le loro discussioni politiche, o almeno quelle che pensavano difare, erano sempre molto accese e turbolente, a tratti furiose; io liguardavo divertito e spesso pensavo che, anche loro, alla fine, avreb-bero sciolto tutto l’ardore in soccorso di qualche cugino disoccupa-to, oppure per ricambiare le cortesie ricevute.

Quando io ero studente i ragazzi rappresentavano la parte “rivo-luzionaria” della scuola – la rivoluzione tipica dell’adolescenza – ecombattevano contro gli insegnanti reazionari; adesso quei ragazzisono diventati insegnanti e si trovano, ancora una volta, a combat-tere contro la parte reazionaria della scuola: gli studenti.

Mentre cercavo di calmare gli animi e di riportarli in classe, passòpensierosa Aurora; colsi subito l’occasione per andare da lei.

“Aspetta un attimo, Aurora.”“Mi dica, prof.”, rispose con un tenerissimo sorriso.“Negli ultimi tempi, mi sembri un po’ distratta; c’è qualcosa che

non va?”La mia domanda, invadente e repentina, le fece perdere all’im-

provviso lo sguardo luminoso; mi rispose irritata: “Non è vero.”Aveva ragione: non riuscendo a trovare un attacco migliore, ave-

vo improvvisato.Imbarazzato, cambiai subito discorso.Tornai velocemente in classe, ma per tutta la mattina non riuscii

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bozzapiù ad incrociare i suoi occhi nascosti.

Mi mancava, al mattino, lo sguardo di una donna, ma era bello,risvegliandomi, sentire il suono del mare; quella domenica, poi, erapiuttosto rumoroso.

Il sole era già alto ed i gabbiani gli giravano intorno; il cielo tra-sparente mandava una nuova bianca luminosità ed il vento impo-nente faceva levare alti gli spruzzi salati fin oltre i muretti.

Decisi di fare una passeggiata in bici: avevo preso l’impegno dirimettermi in forma.

Seguivo il mare con gli occhi e con il pensiero ed al molo vidiAurora, davanti casa sua, da sola: mi avvicinai.

“È esattamente qui che mia moglie, per la prima volta, mi confi-dò di sentirsi lontana da me”, ma lo dissi talmente sottovoce cheAurora forse non sentì.

Si voltò all’improvviso e parve sorpresa: non aveva sentito, pen-sai.

“Salve prof., non immaginavo di incontrarla qui, e poi così …”“Così, come? Così conciato … in bicicletta, vorrai dire!”I ragazzi molto spesso non riescono nemmeno ad immaginare i

loro insegnanti fuori delle mura di una scuola, tanto da rivederli, inaltri luoghi, goffi ed impacciati.

Subito dopo, però, mi sembrò confusa, quasi a voler prenderecoraggio.

“Che c’è Aurora, vuoi dirmi qualcosa?”, le chiesi.“Eh sì … in effetti … vorrei farle una domanda”, aggiunse ina-

spettatamente.“Dimmi!”“In classe, da mesi, non si parla d’altro, ma nessuno ha avuto

l’occasione di chiederglielo.”“Cosa?” le domandai, pur avendo già capito.“Perché non porta più la fede?”“E perché … perché non sono riuscito a fare felice mia moglie.”

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bozza“Come fa ad esserne certo?”, incalzò Aurora, dopo una breve pausa.“L’ho sentito”, risposi.“Riprovi un’altra volta, magari con un altro spirito ed un nuovo

entusiasmo!”“Sarebbe del tutto inutile: non possiamo proporci diversi da come

siamo stati e da come saremo in futuro.”“Prof, come ci si sente?”“Come una piazza dopo una domenica di mercato.”“Bella immagine, prof., forte, ma bella.”Mentre parlava, le ritornò il sorriso tenero e man mano gli occhi le

ricominciarono a splendere.“Aurora … sono proprio contento di seminare al vento! È una

citazione di Cesare Pavese, non ricordi? L’abbiamo letta in classe.”“Ecco perché mi sembrava di averla già sentita da qualche altra

parte”, disse ridendo.“Aurora, scusami per l’altra volta. È vero che in questo periodo ti

sento un po’ distante, ma non c’entra il tuo rendimento scolastico.Credo ci sia qualcosa che ti turbi.”

Rimase in silenzio qualche secondo e, dopo un lungo sospiro, michiese: “Prof., ha sentito dell’omicidio dell’impiegato comunale?”

“Certo! In paese non si parla d’altro.”“Il mio ragazzo è stato accusato di aver avuto un ruolo in questa

vicenda ed è già stato interrogato due volte dalla polizia. Quellasera, però, era con me! Sa… eravamo in macchina e siamo stativisti anche dal commissario, proprio vicino casa sua. Per fortuna,altrimenti …”

“Ha avuto un ruolo? Che vuol dire?”“Non lo so! È stato montato un caso soltanto perché la scorsa

settimana ha litigato con l’impiegato comunale. Prof… mi aiuti!Lei scrive dei gialli e forse potrebbe capirci un po’ di più.”

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bozzaCAPITOLO II

In primavera, passando per la campagna, tra le serre, aprivo ilfinestrino per sentire più forte l’odore dei carrubi; insieme al granomaturo, indicava che l’estate era vicina e l’anno scolastico, final-mente, stava per finire. Quell’anno, poi, era stato particolarmenteduro ed avevo già cominciato a contare i giorni; aspettavo intensa-mente l’estate, capace, forse, con la sua atmosfera, di ricostruirmi.

Dopo la curva, all’improvviso, mi appariva tutte le mattine il ca-stello, sospeso e maestoso tra le mura bianche e gli eucalipti. Eraornato dalle guglie che ingannavano su un passato favoloso cheforse non era mai esistito. Solo in quel momento smettevo di pen-sare al protagonista del mio romanzo. Non riuscivo, però, a darenessuna connotazione al personaggio, né alcun fascino; non riusci-vo, insomma, a dargli gli occhi di Aurora.

In macchina, non avendo altro da fare, pensavo spesso all’eroedel mio libro ed in quei pochi minuti credevo di venirne a capo;puntualmente, però, al suono della campana d’ingresso, dimentica-vo tutto. Una volta, stufo di essere tradito dalla mia memoria, deci-si di scrivere qualcosa mentre guidavo; il risultato fu una pecoraazzoppata ed un pecoraio furioso: dovetti cambiare strada per al-meno due settimane.

In quel momento capii che avrei dovuto far innamorare il miopersonaggio, per farlo uscire dal torpore di cui era affetto. Anch’io,pensai, avrei avuto bisogno di una donna.

Proprio in quel momento mi venne in mente la collega di france-

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bozzase, una bella mora dagli occhi vispi. Durante la ricreazione le chiesidi uscire: mi rispose di sì con un brillante sorriso.

La serata era fredda, anche perché, per far colpo, gli uomini alprimo appuntamento indossano soltanto la camicia – bianca possi-bilmente – anche a costo di battere i denti.

Decisi tutto io quella volta: ormai avevo imparato. Le donneamano essere condotte per mano e sollevate da qualunque incom-benza, la quale, se non fosse risolta dall’uomo, andrebbe a compro-mettere il senso di paterna protezione e di sognata virilità.

Era da tempo che non uscivo con una donna; notai subito gliocchi scuri che le si chiudevano ad ogni sorriso, i capelli corti pog-giati sulle spalle e l’incedere raffinato e sensuale.

Indossava un vestito a rombi piccoli, bianchi e neri, fino alla cin-tura, e poi tutto nero, corto ed aderente. Era molto elegante, però,c’era qualcosa in lei che non andava bene: “Era un po’ stagionata”,fu l’unica spiegazione che riuscii a dare al mio sottile disagio.

Le donne vicine ai quaranta sono pericolose, soprattutto per gliuomini nella mia condizione; cercano subito un marito, qualunqueesso sia, e tutte le relazioni che non conducono alla meta tantosospirata sono considerate una deviazione, un terribile cedimento,che prima o dopo avrebbero pagato. Raggiunto lo scopo, però, co-minciano ad essere pervase da un sottile fastidio che le porta acomportarsi più da sorelle che da mogli.

Quella sera, Stefania parlò tanto ed io a tratti persino l’ascoltai.Avevo perso un po’ di destrezza con le donne, almeno parte di

quella che credevo di avere. Ero un po’ imbarazzato, senza com-prenderne il motivo, ma non stavo male con lei. Come tutte le don-ne dal seno grande, incuteva in me un maestoso rispetto, a trattitimoroso; è un qualcosa di materno, di ancestrale, ed io, provenen-do da una famiglia matriarcale, ne subivo tutto il fascino.

All’improvviso cominciò a parlare dell’omicidio dell’impiegato co-munale: fu proprio allora che le prestai maggiore attenzione.

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bozza“Quel ragazzo è un poco di buono – disse decisa – ed ha già avuto

alcuni problemi con la giustizia.”“Problemi? Una volta ha preso parte ad una scazzottata tra ragaz-

zi, credo per una vicenda in cui c’entrasse anche Aurora … soltan-to per difenderla.”

“Ecco appunto! È proprio quello il suo problema: Aurora. In pa-ese tutti sanno che Scuderi aveva messo gli occhi su quella ragazzi-na.”

“Ma una donna ti sembra un buon motivo per uccidere una perso-na?”

Dopo quella mia affermazione, che le parve quasi discriminato-ria, si zittì e riprese a mangiare.

“E comunque – aggiunse poco dopo senza nemmeno guardarmi– il movente non è passionale: Scuderi era un usuraio; l’anno scorsoanche mio cugino stava per essere incastrato da lui.”

Lasciai cadere la discussione che stava per prendere una fastidio-sa piega e passammo il resto della serata a parlare dei consigli diclasse. Comunque – pensai – se veramente fosse stato un usuraio,in tanti l’avrebbero voluto morto. E poi che c’entrava Aurora? E lamia collega come faceva a sapere tutte quelle cose?

A fine serata, con alcune banalissime scuse, evitai accuratamentequalunque passeggiata romantica: avevo troppo freddo.

Nonostante tutto, come dicono i miei alunni, decidemmo di fre-quentarci.

Tornato a casa, quella sera, però, mi ritrovai subito a pensare adAurora ed alla sua richiesta di aiuto; ma come avrei potuto fare?Conoscevo soltanto pochissimi elementi!

Aurora aveva gli occhi celesti, come quelli di mia madre, lo sguar-do trasparente, i capelli lisci poggiati sulle spalle ed una strana fran-gia che oscurava soltanto in parte la sua bellezza. Era minuta, maintensa; le labbra parevano disegnate, le guance chiare e ad ognisorriso le compariva una maliziosa fossetta, adagiata per vezzo.

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bozzaAveva solo 19 anni, ma era travolgente, mai triste e sempre sorri-

dente. Camminava dritta e sinuosa e parlava con un delizioso ac-cento “continentale”: non era siciliana.

All’inizio sembrava mi evitasse; mi accorsi di lei in gita l’annoprecedente, in Spagna. Cercai più volte di incrociarle lo sguardo, lodistoglieva; mi misi in disparte con il volto serio, quasi a volerlaspingere verso me, ma non arrivò mai.

Pareva riservata, ma la scoprii dolcissima quando si lasciava an-dare: quel pomeriggio lo fece.

Non ricordo nemmeno perché fosse venuta a casa mia; non era laprima volta: ricevevo spesso le visite dei miei alunni per studiare osoltanto per chiacchierare.

Le preparai un the e lo sorseggiò lentamente. Dopo un po’, sedutiuno di fronte all’altro, mi avvicinai con una scusa che non ricordo;lei mi poggiò un braccio sulla spalla e con l’altro mosse lentamente,in un verso e nell’altro, la mia collana: ero stupìto ed impacciato.Pensai di alzarmi, ma non lo feci: continuavo a precipitare dentro isuoi occhi, sempre più vicini, e sentivo il suo odore che si confon-deva col mio.

Di colpo la rividi distesa con le braccia protese verso di me. Futravolgente; sentii la pelle liscia, la voce profonda e lo sguardo in-tenso.

Dopo, poggiandola sulle lenzuola, la guardai a lungo mentre cer-cava di riposare e le sfiorai con un dito le labbra. Le rimasi accantoe decisi di aspettare il suo risveglio.

Al mattino, sudato e sconvolto, capii subito ciò che avevo sogna-to. In che modo sarei potuto entrare in classe ed avrei potuto guar-dare gli occhi che avevo sognato la notte precedente?

Quella volta prendemmo un the, ma non andammo avanti.Venne da me soltanto per raccontarmi ciò che il paese diceva di

lei e del suo fidanzato. Per fortuna il ragazzo aveva un alibi incrol-labile: oltre ad essere stati visti dal commissario, Aurora raccontòche Giorgio, mentre stava con lei, aveva chiamato un suo amico,

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bozzafiglio di un magistrato, per salutarlo.

Strana telefonata, pensai. Sei appartato con la tua fidanzata e chia-mi un tuo amico, di notte? E poi perché lì? Perché cerchi intimitàproprio davanti casa del commissario? In paese ci sono tanti altriposti classici per coppiette.

Comunque, ormai, era del tutto scagionato.In realtà non sapevo nulla del caso e continuavo a chiedermi come

avrei potuto aiutarla. Almeno, però, il protagonista del mio roman-zo, quel giorno, cominciò a prendere vita.

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bozzaCAPITOLO III

Tornando dalla biblioteca, dopo aver riletto il “Giorno della ci-vetta”, andai a trovare un mio collega per un caffè. Mi feci largo tragli anziani del paese che s’infuriavano contro tutti i governi degliultimi decenni, giocavano a carte e rimpiangevano di non poter piùinseguire le ragazze in piazza.

Abitava in centro, in una vecchia casa aristocratica mezza vuotae malandata; sarebbe stata molto triste, se non fosse stata animatadalle urla e dai sorrisi dei suoi tre figli. Era un vecchio compagno dipartito, ormai disilluso; aveva abbandonato la politica, sconfittodalle gerarchie e dalle menzogne.

Andai da lui, sempre informatissimo, per conoscere qualche par-ticolare in più su Scuderi e sul fidanzato di Aurora.

Mi raccontò che, qualche giorno prima dell’omicidio, Giorgio eScuderi erano stati sorpresi a litigare. Secondo lui, Giorgio non eraun cliente, ma un suo aiutante: da più persone era stato visto ri-scuotere al posto di Scuderi. Un suo amico poliziotto gli avevaconfidato, tra le altre cose, che le indagini giravano attorno allafigura di una donna, ancora non identificata, che sarebbe stata lachiave di volta di tutta la questione.

Se Giorgio fosse stato veramente un suo “aiutante”, – pensai –perché avrebbe dovuto uccidere il suo capo? Sembrava troppo gio-vane per mettersi in proprio!

“Prima o dopo dovrò andare a parlare col ragazzo”, sussurrai pen-sieroso.

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bozzaAll’improvviso, dal balcone, nonostante avessi il sole basso che

mi guardava di fronte, mi parve di vedere Aurora che parlava ani-matamente con qualcuno. Poggiai per terra la più piccola delle bam-bine, che tenevo sulle gambe, e salutai velocemente il mio collega,dicendo di dover passare dal sindacato per ritirare alcuni volantini:si stava preparando lo sciopero generale.

Scesi per strada e mi sistemai vicino al bancone del fruttivendolo,come se dovessi acquistare della frutta. Il ragazzo della bottegapensò che fossi mezzo matto, poiché continuavo a guardare, daparecchi minuti, banane e pomodori, senza acquistare nulla, con lastessa attenzione che si dedica alla scelta di un anello di fidanza-mento. Mi accorsi dello sguardo insistente del ragazzo, tra il diver-tito e l’arrabbiato, e, per cercare di capire cosa si stessero dicendo,cominciai allora a camminare da un lato e dall’altro della piazza,attorno al monumento ai caduti, fingendo di parlare al telefono.

Aurora stava dritta proprio di fronte a Giorgio con gli occhi acci-gliati e le mani protese in avanti, quasi a volersi difendere; mentreindietreggiava, continuava a ripetere: “Perché? Che cosa dovevifarne?” Lui la strattonò ripetutamente, più per attirarne l’attenzio-ne che per farle del male, e lei cercava di arretrare, senza riuscirci.

“Aspetta … parla più piano”, fu l’unica cosa che sentii dire alragazzo.

Pensai di intervenire, ma, appena mi avvicinai verso di loro, in-contrai una delle solite mamme che mi chiedeva: “Mi scusi profes-sore, come va mio figlio a scuola?”

Una volta me lo chiesero anche ad un funerale, ma, in quell’occa-sione, infastidito, risposi che andava male, molto male, senza ricor-dare né il nome né il volto del ragazzo. Le dissi anche di veniredurante la mia ora di ricevimento. Scoprii, l’indomani, dalla boccadel preside, che era il primo della classe ed il figlio del vicesindaco.

Il ricevimento con i genitori è tra le cose più divertenti del miolavoro. L’anno precedente, una mamma, dopo aver ascoltato i mieirimproveri al figlio per lo scarso impegno e per la straordinaria ca-

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bozzapacità di disturbare me ed i suoi compagni di classe, mi rispose:“Professore, stento a crederci! Mio figlio mi ha sempre assicuratoche a scuola va tutto bene.”

“Signora, mi creda! Neanche il rendimento è dei migliori. Nel com-pito scritto ha preso quattro.”

“Professore, sto rimanendo illibata.” A quel punto, fingendo diessere stato chiamato, corsi in un’altra aula e, lì, non fui capace ditrattenere le risate.

In ogni caso, a causa dell’invadenza di quella mamma, persi com-pletamente di vista i due ragazzi, ma poco dopo rividi Aurora vici-no casa sua, da sola. In paese è facile anche prevedere gli sposta-menti di ognuno e ci si può incontrare più volte al giorno.

“Ciao Aurora, qualcosa non va? Ti ho visto litigare con Giorgio.”“Sempre lei prof. … eh?”, sospirò seccata.“In verità non ti ho visto soltanto io; – le dissi quasi a volermi

giustificare – eravate al centro della piazza.”Dopo una breve pausa, cambiando tono della voce, aggiunse: “Mi

scusi, ma oggi non va per niente bene. Giorgio mi ha detto chevorrebbe aprire un’officina a Catania.”

“E cosa c’è che non va? Ti dispiace che si allontani così tanto date?”

“Macché! Prof. … veramente non ha ancora capito? Dove ha tro-vati i soldi? E se fossero un pagamento per un servizio fatto? Nonmi ha mai detto di avere del denaro da parte.”

“Li avrebbe potuti chiedere ad un usuraio.”“Ecco appunto! – disse urlando – Comunque sia, entrambe le

cose portano alla stessa persona: Scuderi.”“Anche tu sapevi che l’impiegato comunale … diciamo così …

arrotondava il suo stipendio?”“Prof., in paese lo sanno tutti.”“Tutti? Beh … quasi tutti”, le dissi per farla sorridere.“Almeno per un po’ me ne starò tranquilla senza di lui”, aggiunse

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bozzaseria.

“Pensavo lo amassi.”“Amarlo? Alcune volte lo penso anch’io, altre, però, mi sento a

disagio con lui e vorrei essere da un’altra parte.”Io rimasi in silenzio e lei dedicò il suo sguardo al mare, ma poi si

voltò all’improvviso e con voce triste mi disse: “Prof., come si fa acapire quando si ama veramente una persona?”

“Non si capisce, Aurora, si sente. L’amore è il movente per vive-re; è un’emozione che va vissuta; se ti va di farlo, sei innamorata.”

“Allora, forse io non lo sono. E lei lo è?”, mi disse volgendo losguardo nuovamente al mare, quasi imbarazzata per l’insolita con-fidenza.

“No! In questo momento non sono innamorato.”“Ma lo è stato ed era sicuro di esserlo.”“Sì, lo sono stato, ma adesso tutte le promesse sono per sempre

perdute.”Mi guardò fisso e dopo qualche secondo mi chiese: “Com’era sua

moglie?”“Non lo so!”“Come non lo sa? Forse non lo sa più”, rispose stupita; immaginò

non ne volessi parlare e si zittì subito.“Credimi, non lo so; – continuai – potrei descriverla, ma sarebbe

come raccontarti un sogno, narrarti una creazione della mia mente,un personaggio di un romanzo.”

“Ma ci sarà stata qualcosa che l’ha fatto innamorare.”“Posso dirti come aveva i capelli, gli occhi, le labbra, il seno o

anche tutto ciò che di lei mi aveva incantato, ma non posso dirticom’era. Per mia madre io sono sempre stato disordinato; quandomi sono sposato, invece, ho capito di avere una concezione quasimaniacale dell’ordine.”

“Sì … questo lo posso anche capire, ma lei, in fondo, è l’unico apoter dire veramente com’è.”

“Veramente? Ma allora Pirandello non ti ha insegnato proprio

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bozzanulla!”, esclamai scherzando, quasi a voler distogliere l’attenzioneda quella discussione inattesa ed a tratti imbarazzante.

“Non mi dica che è Pirandello che le impedisce di descrivere suamoglie?”, continuò con tono serio, per cercare di capire la mia posi-zione, ai suoi occhi incomprensibile.

“No! Non è certo colpa di Pirandello, ma quando pensi di cono-scere una persona ti accorgi che a poco a poco non ne prevedi piùné i pensieri, né i movimenti ed infine neppure i sogni. Ti accorgiche quella persona non c’è più, ti sfugge, si allontana fino a svanire,non esiste o forse, come l’avevi pensata, non è mai esistita. A quelpunto ti ritrovi a dover di continuo spiegare e ti accorgi di non volerancora capire.”

Alla fine capii che l’unica cosa che non avrei voluto fare era ildover chiudere io la porta. Era questo che, più di tutto, mi ango-sciava fortemente: il peso della responsabilità di aver dovuto spez-zare il mio matrimonio non mi abbandonava.

“L’amore non basta, Aurora – continuai poco dopo – avevamogiocato una grande, interminabile partita a scacchi ed io avevo per-so.”

Lei continuava a guardarmi con occhi luminosi ed inquieti, comese volesse chiedermi tante altre cose, ma non lo fece.

Dopo aver rivolto insieme lo sguardo al mare e dopo averla rassi-curata su Giorgio, la salutai e andai velocemente via.

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bozzaCAPITOLO IV

Poco prima del tramonto, ritornando in paese, mi fermai a racco-gliere alcuni girasoli che si affacciavano polverosi proprio ai bordidella strada. Uscivano colorati dai muretti bianchi a rallegrarne lastanchezza del tempo. Mi ricordavano le interminabili colline del-l’Andalusia e quando li raccoglievo con mia moglie.

Da ragazzo, ogni qual volta scappavo di casa, andavo in quel cam-po; allora c’era un pozzo ed una stalla quasi sempre vuota. La fan-tasia li faceva diventare una casa, proprio come quella che avreivoluto da grande, piena di luce e con tanti bambini: adesso di quelpozzo e di quella stalla rimaneva soltanto qualche piccolo murettodirupato. Tutt’intorno era brullo.

Lì, immaginavo l’amore, quasi con la stessa intensità con la qualelo immagino ancora oggi. Da ragazzo, almeno, riuscivo a vedere esperare tutta la mia vita: l’amore è anche un compromesso, ma dagrandi è quasi sempre al ribasso. Ci si porta dietro tutto se stesso edogni volta con un carico sempre più pesante.

Avendo ancora un po’ di tempo, con la scusa di dover controllarela mia macchina, decisi di passare dall’officina dove lavorava Gior-gio.

Preparai anche un discorso d’apertura, per cercare di prenderel’argomento alla lontana e per non intimorire il ragazzo.

Giunto lì, misi alla prova tutti i miei buoni propositi di discrezio-ne ed esordii secco: “Giorgio, conoscevi Scuderi, l’impiegato co-munale ucciso?”

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bozzaNon era esattamente in quel modo che avevo pensato di intro-

durre il discorso.“Certo che lo conoscevo, come tutti in paese. Ma è venuto anche

lei qui per chiedermi questo? Ho già detto tutto alla polizia … e poilei che c’entra? Ha cambiato mestiere o lo fa per arrotondare?”

“Niente! Io non c’entro niente; sono qui soltanto per aiutarti”;guardandolo negli occhi, però, capii subito di aver detto una bana-lità, roba da film.

“Ma allora in paese è scoppiata un’epidemia di bontà? Tutti mivogliono aiutare, anche il commissario mi ha detto le stesse cose.”

“Se non ti fidi di me, vado via”, aggiunsi.“Perché dovrei fidarmi e poi per cosa?”“Comunque … so tutto di quella donna e degli incontri segreti;

me ne parlò proprio Scuderi una domenica, dopo averli sorpresiinsieme.”

Questo era un vecchio trucco che avevo imparato da mia madrequando voleva scoprire se le avevo disubbidito: a lei funzionavatutte le volte. Se chiedi – soleva dire – nessuno ti risponderà; se,invece, fingi di sapere, ma lo devi fare in modo convincente, allorati diranno tutto, togliendosi quasi un peso.

Giorgio si rabbuiò e mi chiese: “A quale donna si riferisce?”“Lo sai benissimo: all’amica di Scuderi”, replicai con sufficienza,

fingendo di dirigermi verso l’uscita.Giorgio non rispose; si tolse subito la tuta da lavoro e mi disse di

aspettarlo di fronte al carcere borbonico. Sarebbe stato lì in pochiminuti. Di minuti in realtà ne passarono venti, ma io ero certo chesarebbe arrivato.

Le enormi mura bianche del carcere vecchio mandavano fino altramonto una potente luminosità che si scagliava tutto intorno;d’estate, lì, il caldo e la luce diventavano nauseanti.

“Buona sera prof.”, disse Giorgio insicuro e timoroso, quasi pen-tito di quell’incontro.

Per qualche minuto mi raccontò soltanto delle inutili banalità, ma

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bozzalo bloccai subito.

“Non c’è problema, Giorgio … capisco. A me in fondo non im-porta nulla di tutta questa storia; sono qui perché Aurora mi hachiesto di aiutarti, ma se non ti va …”

Presi le chiavi, entrai deciso in macchina e misi subito in moto.Mi guardò sorpreso e venne velocemente verso di me. “Aspetti un

attimo … Scuderi era un usuraio.”“E questo lo sanno anche le scimmie della villa”, risposi restando

in macchina.“Ma era un usuraio che riusciva a farsi pagare, anche senza usare

le maniere forti. Aveva prestato dei soldi alla signora Torrisi, lamoglie dell’assessore, all’insaputa del marito.”

“Lo so, lo so … vai avanti!”, dissi infastidito; per un attimo miriapparve il volto di mia madre, sempre convincente quando riusci-va a farmi parlare.

“Le servivano per la seteria che aveva rilevato dopo la morte delpadre. Il marito, avendo bocciato sin dall’inizio il progetto e nonvolendo avere nulla a che fare con la famiglia della moglie, non lediede nemmeno una lira. La fabbrica continuò ad andare male e lasignora Torrisi non sapeva come saldare il debito con Scuderi.”

“Beh … intuisco, e nemmeno tanto a fatica, in che modo la signo-ra riuscì a chiudere il conto”; e poi, tra l’altro – pensai – era ancheuna gran bella donna.

“In fondo, voleva anche fargliela pagare al marito, che, di fatto, lacostrinse a trovarsi in quell’impiccio”, continuai.

“Impiccio? Ma quale impiccio! La signora era innamorata persa.Una volta, dopo una telefonata di Scuderi, a tarda notte, l’assessoresi insospettì e quindi fui io a fare da tramite tra i due. Concordavogli appuntamenti, prenotavo gli alberghi e pensavo anche alle scuseche la signora doveva inventare al marito. Una mattina provai arifiutarmi, ma litigai con Scuderi.”

“So anche questo. Molti in paese sostengono che hai discussoanimatamente con lui per colpa di Aurora.”

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bozza“Aurora non c’entra nulla in tutta questa storia”, disse con voce

forte, ma tremante. “Volevo soltanto essere lasciato in pace da quelporco.”

“Ma perché ti teneva così legato a sé?”, gli chiesi, nonostanteconoscessi già la risposta.

“Beh …”“Capisco Giorgio! Non ti preoccupare. Non potevi sottrarti al

compito assegnato, perché anche quello era una forma di pagamen-to: non eri riuscito a saldare il debito. Ecco perché in paese ti crede-vano suo complice, perché qualche volta andavi a riscuotere al po-sto suo. Hai detto questo alla polizia?”

“Certo che no! – ritornò nuovamente timoroso – Mi vuole mette-re nei guai?”

“Guai ... e con chi? Scuderi è morto!”Fu allora che il ragazzo capì, anche per colpa del mio volto stupi-

to, che in realtà conoscevo poco di quella vicenda; comprese diessere caduto in trappola e non aggiunse più nulla.

“Comunque io non ho bisogno di spiegare niente né alla polizia,né tantomeno a lei. Basta! Mi ha fatto soltanto perdere tempo.”

“Aspetta un attimo Giorgio. So che non c’entri nulla, ma la tuasituazione è complicata, questo lo sai benissimo anche tu.”

Le mie rassicurazioni non servirono e capii che non si fidava piùdi me. Se ne andò velocemente, senza nemmeno voltarsi indietro.

Pensai per un attimo che il ragazzo potesse essere estraneo a quellavicenda, ma il suo alibi mi sembrò talmente perfetto da apparirecostruito su misura; in quel caso avrebbe dovuto conoscere l’oraesatta del delitto e forse anche l’assassino: nascondeva qualcosa,pensai.

Piuttosto sarebbe stato interessante capire il ruolo di questa si-gnora Torrisi e di suo marito: in paese negli ultimi due anni si eraparlato spesso di lui.

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bozzaCAPITOLO V

Pioveva a dirotto e c’era buio. Gli alberi sparivano subito dietrodi me, come inghiottiti dalle nuvole. In paese di solito pioveva poco,ma quando accadeva, sembrava cadesse la volta celeste e le stradesvanivano ricoperte da uno strato di acqua e terriccio.

Il cielo grigio mi faceva pensare a mia moglie; non la sentivo dagiorni e più passava il tempo più mi convincevo che stesse bene,sgravandomi dal peso che mi ero assunto come ultimo, estremoatto d’amore. Speravo che questo fosse servito almeno a mantene-re un contatto, un rapporto di affetto, consapevole, in fondo, checiò – come continuava a dire lei – sarebbe stato dannoso.

Anche quella mattina, più delle altre volte, prima di entrare inclasse, avevo sperato di trovarla completamente vuota, così da po-ter dedicare tutto il giorno alla stesura del mio romanzo; di notte,infatti, avevo avuto alcune buone idee. Anche quella volta, però,non ci fu nulla da fare! Come al solito, e nonostante il cattivo tem-po, trovai i miei ragazzi tutti lì, urlanti ed affettuosi. Nemmeno ildiluvio universale, con tanto di arca di Noè, pensai, sarebbe statocapace di farli rimanere a casa. Sapevo bene che non erano lì né perme, né per le mie lezioni, ma per i loro primi amori, per gli sguardiincrociati e per sciogliere i problemi nati la sera precedente.

Quel giorno avrei dovuto spiegare storia.Mi accorsi subito, prima di fare l’appello, che Aurora non era an-

cora arrivata. In quelle occasioni mi rendevo conto che la sua pre-senza mi cambiava il volto della mattina.

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bozzaUno dei ragazzi, tra quelli dotati di un’intelligenza fervida e viva-

ce, ma completamente privo di sistematicità, oltre che di qualun-que voglia di dedicare una porzione del suo preziosissimo tempoallo studio, cominciò a sollecitare una serie di riflessioni sul sensodella storia, in parte interessato alla mia opinione, in parte – e que-sta per lui era quella più importante – perché certo che se io fossistato condotto in quel campo, non si sarebbe più fatta lezione.

Quella volta, invece, decisi fermamente di non cadere nel suotranello; nel frattempo, però, entrò Aurora, radiosa e sorridente, edimenticai tutti i miei propositi di resistenza.

Dopo l’ennesima domanda sul senso della storia, risposi, provo-candolo, che la storia non esiste. “Esistono gli eventi – continuai –i fatti, le guerre, i popoli, ma la storia no! La storia è il modo in cuiogni cultura spiega i fatti e li mette in sequenza, dandogli un ordineed un nome. Il fatto è che Cesare superò il Rubicone con l’esercito,compiendo un atto illegale, terroristico, – come si usa dire oggi –nei confronti della repubblica romana; la storia è la costruzione del-la figura di Cesare, che divenne un eroe perché vincitore. Il fattorimane, esiste, la storia muta. Se Cesare fosse stato sconfitto, la sto-ria sarebbe stata diversa, il fatto no. La storia la scrivono i vincitori!”

“Ha ragione prof.”, esclamarono entusiasti due alunni di destra,che per la prima volta erano d’accordo con me; capii subito a cosasi riferivano.

“Si, ma non crediate che gli sconfitti, in quanto tali, possano scri-vere una storia più vera; possono soltanto scriverne un’altra.”

Comunque, vinsero loro; al suono della campanella non ero anco-ra riuscito a spiegare la lezione che avevo preparato il pomeriggioprecedente. Sperai, almeno, di aver fatto capire loro il senso dellastoria, ammesso che ne abbia!

Durante la ricreazione fui avvicinato da Aurora.Di solito eravamo seguiti con gli occhi soltanto dai bidelli, ma

quella volta la nostra chiacchierata, ai bordi del cortile della scuola,sulla ringhiera della palestra, suscitò, da lontano, anche l’interesse

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bozzadella mia collega di francese.

“Mi scusi prof., posso parlarle?”“Certo, ma spostiamoci da qui”; la afferrai per un braccio e la

spostai leggermente.“Giorgio mi ha detto del vostro incontro, ma non mi ha detto di

cosa avete parlato.”“E quindi vorresti saperlo da me, non è vero?”“Eh … sì!” Lo disse con uno sguardo tanto lucente e nello stesso

tempo malizioso, che stavo quasi per raccontarle tutto.“Non ti preoccupare, Giorgio non c’entra nulla in questa storia.

Si è trovato dentro suo malgrado, per colpa delle dicerie del paese”,aggiunsi per tranquillizzarla, anche se non credevo fino in fondo aquello che dicevo.

“Queste stesse dicerie sostengono che incontrava spesso una don-na più grande di lui, ma ancora bella e forestiera. Pensa possa avereun’altra?”

“Non temere Aurora! È vero che incontrava una donna, ma perfare… diciamo… delle semplici commissioni.” Dopo qualche se-condo aggiunsi: “Sei sicura che ti hanno detto che non fosse delpaese? Questo mi sembra molto strano.”

“È sembrato strano anche a me, ma alcuni ne sono convinti.”Poco dopo continuò: “Lei sa che l’amica di Giorgio non è forestiera?”Cercando di smorzare il tono serio, le risposi: “Vuol dire che il tuo

fidanzato aveva più di una donna: una del paese, un’altra forestie-ra. Semplice no? In questo modo accontentiamo tutti.”

Aurora rispose con il suo bel sorriso e questo mi bastò.O Giorgio aveva mentito sulla moglie dell’assessore o in paese

continuavano ad inventare delle storielle su questa vicenda; e per-ché? Forse il ragazzo non aveva raccontato tutto; in fondo mi chie-se subito di quale donna stessi parlando, come se ce ne fosse statapiù di una.

“Comunque – aggiunse Aurora – non temo di essere stata tradita,anzi lo spero, così finalmente trovo il coraggio per lasciarlo.”

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bozza“Aurora, non puoi stare insieme ad una persona soltanto perché ti

fa tenerezza o, peggio, pena. Il coraggio, in un modo o nell’altro,devi trovarlo; devi pensare a te stessa, mettendo al primo postosempre il tuo benessere.”

“Sì, ma non è facile.”“Lo so! E questo l’ho capito sulla mia pelle: porto ancora le ferite.”“Comunque, prof., sia ieri che questa mattina ho chiamato Gior-

gio tante volte, ma non si è fatto né vedere né sentire; non so nem-meno che fine abbia fatto. Mi sembra piuttosto strano, anche per-ché l’ultima volta ci siamo salutati in modo piuttosto ‘affettuoso’.Forse è lui che si è stancato di me.”

“È la prima volta che si comporta in questo modo?”“Sì! Soltanto una volta, quest’inverno, non ci siamo visti per due

giorni, ma avevamo litigato ferocemente. E se fosse con quella don-na?”

“Lascia perdere! Non continuare a tormentarti con questa storia.Giorgio non ti tradiva; è vero che incontrava una donna, ma eraobbligato a farlo.”

“Perché si ostina a parlare in maniera così misteriosa? Se sa qual-cosa, me lo dica!”

“Non ti preoccupare … per adesso non c’è niente di importanteda sapere.”

Decisi di non raccontare ad Aurora quelle poche cose che sape-vo; in fondo mi sentivo di proteggerla. Per prima cosa volevo che lasituazione si chiarisse un po’ e poi continuavo a pensare alla miacollega di francese: secondo lei tutto era accaduto per colpa di Au-rora.

La campanella della fine della ricreazione era già suonata ed ionon ero nemmeno riuscito a sentirla; chiaramente i miei alunni,vedendomi – stranamente – ancora in giro, si sentirono legittimati acorrere in lungo ed in largo per tutta la scuola. Tornai in fretta inclasse con Aurora, imbarazzato e sotto gli occhi di tutti, e fui co-stretto ad inseguirli per i corridoi ad uno ad uno.

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bozzaCAPITOLO VI

In biblioteca mi trovavo a mio agio più di qualunque altro luogo,subendo il fascino di un ambiente da sempre familiare, quasi pro-tettivo; la frequentavo da anni ed indossavo gli abiti dei miei perso-naggi, cercando risposte o solo attimi di fuga. Quando tornavo dalmio viaggio, a volte, dimenticavo se era ancora giorno o già sera.Soltanto lì riuscii a scrivere le uniche pagine accattivanti del mioromanzo.

Amavo anche curiosare tra le carte conservate nel fondo dell’In-tendenza borbonica, leggendo le “suppliche” colorite e bizzarre ri-volte a Sua Maestà Ferdinando II di Borbone, re del Regno delleDue Sicilie; oppure ero divertito dal leggere le trascrizioni dei ver-bali dei processi intentati nei confronti di alcune suore, in odore dieresia, dal tribunale della Santa Inquisizione di Palermo. La doviziadi particolari scabrosi e l’accuratezza della descrizione, in nettocontrasto con la lingua burocratica che si sforzavano di mantenere,creavano delle situazioni paradossali, condite da una vastissimagamma di oscenità che avrebbe fatto impallidire qualunque roman-zo erotico moderno.

In uno di questi, una volta, lessi le giustificazioni che una suoradava alla sua intimità con uno dei “confessori sollecitanti”, perso-naggi, il più delle volte di dubbia moralità, che avrebbero avuto ilcompito di far confessare, in un modo o nell’altro, le donne.

Secondo una certa suor Juana, processata dal tribunale palermita-no del Santo Uffizio alla fine del Seicento, l’unione con Dio si sa-

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bozzarebbe ottenuta persino tramite l’unione dei corpi. Anche per moltedelle sue consorelle, i baci, gli abbracci ed i “tocamientos obsce-nos” non erano peccati. Lo scambio dei cuori, infatti, avveniva at-traverso il bacio ed il pentimento si raggiungeva con “l’unir el ani-ma y el cuerpo y todos los miembros.” Una volta, la stessa suorJuana raccontò che il suo confessore sollecitante le alitò in bocca e“le dixo que con dicho aliento, se havìan unido en cuerpo y almacon Dìos, y se perfecionava con esto la unìon.”

Purtroppo, nonostante le serrate ricerche, non sono riuscito a co-noscere l’esito del processo; probabilmente, però, la scure della SantaInquisizione non si fermò nemmeno dinanzi all’umana, irresistibi-le, predisposizione nei confronti dell’amore.

Quel pomeriggio ero andato in biblioteca per leggere con atten-zione i quotidiani locali del due aprile, il giorno dell’assassinio diScuderi. Trovai un articolo che portava la firma di Giuseppe Bur-gio, un mio vecchio compagno di università; avevamo studiato in-sieme Lettere a Catania, ma lui decise, dopo aver messo incinta unaragazzina, di interrompere gli studi ed andare a lavorare: scelta sag-gia! Con lui, per qualche tempo, avevamo anche diviso l’affitto diuna stanza: era la prima volta che dormivo fuori di casa.

Non mi aveva mai detto che si stava occupando di quel caso.Nell’articolo si sosteneva che il corpo era stato trovato dalla poli-

zia, dopo la telefonata di un vicino, insospettito dalle urla che pro-venivano dalla casa di Scuderi, che, invece, solitamente pareva pri-va di qualunque forma di vita.

In casa non fu trovato alcun segno di effrazione, ma l’interno sem-brava un campo di battaglia. Secondo Giuseppe Burgio, la morteprobabilmente fu causata da un colpo o da una caduta rovinosa:non si sarebbe trattato di un’esecuzione; forse una scazzottata fini-ta male.

Pensai che probabilmente era stato lo stesso Scuderi ad aprire laporta all’assassino, magari un cliente; qualcosa, però, era andato

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bozzastorto, e i due avevano lottato per tutta la casa: ogni stanza erasporca di sangue. A questo punto si sarebbe trattato di un uomoadulto, pensai, anche perché Scuderi era alto e grosso ed una donnadifficilmente avrebbe potuto combattere a lungo con lui ed uscirneaddirittura vincitrice. Non si sarebbe trattato nemmeno di una rapi-na, perché, secondo la ricostruzione che ne fece Giuseppe, in casanon mancava nulla.

Mentre ero in biblioteca, sbirciando tra i quotidiani appena “sfor-nati”, mi balzò subito agli occhi una notizia: “Svolta nell’omicidioScuderi: arrestata la moglie dell’assessore Torrisi. Sarebbe stata vi-sta nel luogo del delitto dal vicino di casa della vittima.”

Ma allora Giorgio aveva ragione! Forse la signora era stanca diquella situazione: difficilmente, però, avrebbe potuto prendere apugni Scuderi. “Chissà che altri elementi avevano?”, sussurrai, ra-gionando ad alta voce.

Proprio in quel momento arrivò un messaggio di Stefania, la miacollega di francese, che, quasi scusandosi dell’invadenza, mi invitòquella sera a cena.

In effetti, avendole promesso una serata insieme, avrei dovutofarlo io: in fondo, la prima volta, ero stato bene con lei.

Lessi l’articolo velocemente e le risposi di sì.

Quella sera preparai tutto con cura: decisi di uscire dal paese. Peri provinciali, più si vuol dare importanza all’evento, e più ci si al-lontana; per questo andammo in città.

Era una serata tiepida e senza vento e l’odore di zagara rendevaaccattivante il nostro appuntamento. Le strade tortuose ed i balco-ni dei palazzi barocchi sembravano affacciarsi a controllare; il si-lenzio era interrotto soltanto dalle urla di qualche bambino che gio-cava ancora per strada.

Stefania quella sera era molto bella, impeccabile; curò tutto inogni particolare. Aveva la dolcezza di una ragazzina, ma la maliziadi una donna. Era vestita di verde chiaro, con un abito a quadri

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bozzapiccoli appena sopra il ginocchio, legato dietro il collo; portava unapiccola borsa dorata, come le scarpe, alte ed allacciate sopra la ca-viglia. I capelli erano legati, anche se, a sinistra, qualche cioccaindisciplinata scendeva fino alle spalle; il collo bianco era arricchi-to da una collana azzurra e lunga che le arrivava quasi fino al seno.

Ci conoscevamo da tempo, ma soltanto quell’anno, capitati percaso nella stessa scuola, cominciammo a frequentarci un po’ di più.

Persi quasi del tutto l’imbarazzo del nostro primo appuntamento;mi sentivo a mio agio e sicuro di me. Quella sera parlai tanto an-ch’io dei miei sogni e dei miei progetti. Le confessai anche il desi-derio di voler rivedere Santorini, il posto più magico che io abbiamai visitato: case bianche e tetti azzurri sospesi in un’atmosferafiabesca e senza tempo; tutto era racchiuso dal celeste del cielo edal verde del mare, che sembravano baciarsi all’orizzonte. Ne fuentusiasta anche lei, quasi a voler dire che era pronta a seguirmi.

Appena lo capii, però, mi premurai a cambiare argomento, nonsapendo cosa risponderle, se fosse arrivata una richiesta ufficiale diaccompagnamento.

Lei parlava tanto, ma alla fine il discorso cadeva sempre su miamoglie.

“Pensi ancora a lei?”“Certo! Come posso non farlo. Siamo stati accanto per tantissimi

anni, siamo cresciuti insieme. È stata una parte di me e forse lo èancora.”

Si rabbuiò, come se volesse replicare, ma non lo fece.“Con questo non voglio dire – continuai – che possa esistere al-

cuna possibilità di riavvicinamento. Prima di prendere una decisio-ne, penso tanto, ma quando lo faccio non torno indietro, e non percercare vendetta, ma perché smetto di credere in quel progetto. Allafine la decisione che si prende è sempre quella giusta. Ho tentatocon tutte le mie forze di cambiare la situazione, ma non ci sono mairiuscito. Qualunque cosa facessi, mi allontanavo goffamente da lei;mi sentivo come una mosca che, affannandosi, si ritrovava ogni

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bozzavolta a sbattere violentemente contro i vetri. Ai suoi occhi, invece,rimanevo immobile.”

“E se lei dovesse cambiare e dimostrarti di avere veramente biso-gno di te?”, mi chiese sospettosa.

“Non lo farà e comunque adesso tutto è cambiato tra di noi.”Mi guardò fisso e parve non credere fino in fondo alle mie parole.Un po’ perché mi sentivo sotto pressione, un po’ perché ero incu-

riosito da ciò che aveva detto sull’omicidio Scuderi, cambiai bru-scamente argomento della discussione e le chiesi cosa avesse volu-to dire quella volta, quando aveva sospirato innervosita che eracolpa di Aurora.

“Mi spieghi perché ti prendi tanto a cuore le sorti di quella ragaz-zina?”, mi interruppe irritata.

“Mi prendo sempre a cuore le sorti dei miei alunni in difficoltà; equesto lo sai bene anche tu!”

“Questa volta mi sembra diverso.”“Diverso? E perché?”, le chiesi sempre più in affanno.“Questo dovresti dirlo tu! Mi sembri preso da quella ragazzina.”“Smettila – le risposi seccamente – la sto soltanto aiutando; se

vuoi dirmi quello che sai, bene, altrimenti non c’è alcun problema.”“Tutti sanno che Scuderi era un usuraio e per questo ha anche

avuto una condanna in primo grado; in appello, però, non se ne fecepiù nulla. A quanto pare aveva una grande passione per le donne emolte volte, da queste, si faceva pagare … diciamo … in natura.Una volta fu preso a pugni da un marito molto arrabbiato e finìaddirittura all’ospedale.”

“Sì… ma che c’entra tutto questo con Aurora?”, le chiesi inter-rompendola.

“Giorgio non poteva più pagare il debito e quell’uomo gli chiesedi saldarlo cedendo Aurora, che non sembrò per niente dispiaciu-ta.”

“Ma che dici? Solite chiacchiere del paese. Non mi dire che cicredi anche tu?”

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bozza“Non lo so! Sta di fatto che anch’io ho visto un paio di volte

Aurora con Scuderi.” Scelsi di tacere, offeso, e continuammo a mangiare.

Quella volta, però, dopo cena, decisi di fare una passeggiata.Camminando senza una meta precisa, ci ritrovammo davanti gli

scalini della chiesa di San Giorgio, sempre maestosa, e fu lì, “sanzaalcun sospetto”, che le presi la mano, dapprima gelida e via viasempre più calda. La tenne stretta per tutta la sera.

Entrammo in macchina; Stefania mi guardò in modo irresistibil-mente dolce: in silenzio mi avvicinai al suo collo, sfiorandolo primacon le dita e poi con le labbra. Il respiro si fece affannoso: sembra-vo un ragazzino entusiasta, ma, all’improvviso, ritornai indietro;allora, fu lei a prendere l’iniziativa e mi baciò, tenendo il mio voltoschiacciato tra le sue mani.

Ero innamorato dell’idea di essere innamorato.Quella notte Stefania rimase con me e ne fui felice.

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bozzaCAPITOLO VII

Tornando da scuola, mi divertivo a mostrare a Stefania i luoghidella mia infanzia. Lei stava a sentire paziente i miei racconti, ap-prezzando la voglia di mettermi a nudo; le feci anche vedere doveavevo dato il mio primo bacio.

La strade erano ancora le stesse: dritte, bianche ed assolate; al-l’orizzonte, dietro le case che sembravano toccarsi, si vedeva an-che una fetta di mare.

Un giorno, dopo pranzo, disteso sul divano di casa mia, poggiai latesta sulle sue gambe; con una mano cacciavo le mosche, con l’al-tra giocavo col suo profilo, ridisegnandolo con le dita: mi divertivaprenderla in giro.

Fu lì, per la prima volta, che cominciò a fare dei programmi sulnostro futuro; non mi dispiacevano, ma non sapevo cosa risponder-le: non riuscivo ancora ad immaginare un “dopo.”

Piano piano fece scendere le sue labbra sulle mie, ma fu brusca-mente interrotta dal suono del campanello. Quasi atterrito, pensaifosse mia moglie; qualche giorno prima mi aveva avvertito cheavrebbe portato via le ultime cose. Era ancora tutto al suo posto:non avevo avuto la forza di spostare nulla, per non voler incorag-giare la sua uscita di scena.

Andai a rispondere: era Aurora.Stefania ne fu ancor più indispettita, anche se si sforzava, senza

riuscirci, di non darlo a vedere.“Prof., posso salire un attimo?”, mi disse affannata.

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bozza“Certo, sali!”, risposi, deludendo Stefania che avrebbe preferito

l’avessi liquidata velocemente.“Buongiorno professoressa, anche lei qui? Eh … se disturbo …

possiamo anche parlarne domani a scuola.”“In effetti … – sussurrò Stefania – comunque se disturbo, posso

andare via anch’io.”Non mi aspettavo quell’affermazione pungente da parte sua, pen-

savo non ne fosse capace.“Stefania, smettila – affermai deciso – mi pare che stiamo esage-

rando con le formalità. Dimmi Aurora, cos’è successo?”“Prof. volevo dirle che Giorgio è sparito veramente; ho avuto la

conferma dai suoi genitori: non torna a casa da tre giorni. Non si èmai comportato in questo modo. Chissà con chi è!”

“Non mi dire che pensi ancora alla storia di quella donna?”“No! Questa volta credo sia accaduto qualcosa di grave. Sua ma-

dre mi ha detto che da casa non manca nulla.”“Pensi sia legato alla questione dell’omicidio Scuderi?”Chinò il capo e gli occhi le diventarono lucidi ed ancor più tenera-

mente belli. Anche Stefania, quasi a scusarsi della sua reazione, siricolorò di indomabile dolcezza; in lei, di solito, non rimaneva alcu-na traccia delle sue amarezze.

“Aurora non ti preoccupare! Vedrai che non è successo nulla digrave; la polizia starà sicuramente facendo tutto il possibile.”

“Speriamo! Mi scusi, prof, non so nemmeno perché mi trovo qui.Ci vediamo domani a scuola.”

“Sei venuta perché sentivi la necessità di dirlo a qualcuno. Diqualunque cosa hai bisogno, non esitare a chiamarmi”, le dissi perrassicurarla.

“A chiamarla? E come? Oggi mi hanno pure rubato lo zaino condentro il cellulare, i documenti ed i libri. Speriamo almeno di ritro-vare i documenti.”

“Non è proprio un buon periodo per te, o sbaglio?”, le dissi sorri-dendo.

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bozza“Eh no! Non sbaglia prof., non è un buon periodo. Buona giorna-

ta e scusate l’intrusione, non accadrà più.”“Questa storia sta diventando più grave del previsto”, dissi a Ste-

fania, dopo aver accompagnato Aurora alla porta ed averla rassicu-rata dicendo che avrebbe potuto cercarmi tutte le volte che lo avreb-be voluto.

Quel ragazzo o era sparito perché coinvolto nella vicenda, oppu-re si era nascosto per paura: forse aveva visto qualcosa. Certo latempistica mi parve piuttosto strana: Giorgio era scomparso subitodopo l’arresto della signora Torrisi; e se fosse stato proprio questo –pensai – a scatenare la sua reazione?

Subito dopo, però, fui baciato teneramente da Stefania e dimenti-cai all’improvviso tutta la vicenda; la sua dolcezza riempiva sem-pre di più le mie giornate e la sua allegria era contagiosa.

Trascorrevamo tanto tempo insieme e parlavamo di tutto: era unaragazza semplice, trasparente ed intelligente. Mi piaceva di lei ilmodo “maschile” di pensare, diretto, senza contorsioni. Soltantoquando mi chiedeva di mia moglie, e qualche volta di Aurora, miguardava con lo sguardo interrogativo, come se volesse entrare dentrodi me.

Anche se continuavo a pensare alla scomparsa di Giorgio, quelpomeriggio cercai di scrivere. In quei giorni il mio personaggio erauscito dall’ombra ed aveva preso consistenza. Nonostante tutti imiei buoni propositi, però, più scrivevo, più ritornavo con la mentealla vicenda dell’assassinio Scuderi.

Il quadro era sempre più oscuro: non mi era del tutto chiaro ilruolo della signora Torrisi; forse aveva ragione Giorgio: era inna-morata di Scuderi, ma come avrebbe fatto a prenderlo a pugni?

Decisi, allora, di andare a parlare con l’avvocato della signora –l’avvocato Vaccagnino – padre di un mio alunno; forse avrei saputoqualcosa in più ed avrei potuto restituire il sorriso ad Aurora.

Stefania non volle accompagnarmi; aveva deciso, sin dall’inizio,di tenersi fuori da tutta la vicenda, anche se, quella volta, il suo

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bozzasguardo mi era parso meno perplesso del solito, quasi accondiscen-dente.

L’avvocato abitava in una splendida villa settecentesca, appenafuori il paese, appartenuta ai conti Cabrera. Il piano di sotto eraretto da quattro archi intonacati di bianco e di sopra si ergeva mae-stosa ed imponente. Era circondata da alberi da frutto ed alle spalleera sormontata da alcuni eucalipti schierati come a difesa, in parteverdi, in parte ormai secchi. Dagli alberi, dopo un vecchio cancellodi ferro, partiva una stradina sterrata, tortuosa, che preferii percor-rere a piedi. Ai bordi della strada si drizzava forte ed imponentel’agave, che portava chiari i segni del tempo.

Vaccagnino apparteneva ad una delle famiglie più illustri del pae-se ed era elegante, serio e sempre pacato. Si ricordò subito di me efu cordiale: mi offrì un bicchiere di ottimo cerasuolo e dei biscottiall’anice; ci spostammo in una terrazza ricoperta da splendide cera-miche colorate, che guardava sulla valle dell’Ippari.

Fu discreto e non mi chiese del figlio; capì che non ero lì perquello. Non volendo fargli perdere tempo, lo invitai subito a parlaredella signora Torrisi.

“Capisce bene, professore, che certe cose non posso dirgliele, maposso assicurarle che, nei prossimi giorni, l’arresto della mia clientenon sarà convalidato, in quanto non è supportato da alcuna provaindiziaria. Quando il signor Scuderi fu ucciso, inoltre, la mia clientenon era in paese da alcuni giorni e questo lo possiamo facilmentedimostrare.”

“Ed il vicino di casa di Scuderi? Dice di averla vista lì quellasera.”

“Si sbaglia! – affermò deciso ma sempre cordiale – Il vicino dicasa ha già ritrattato; è una persona anziana e c’era molto buio. Lasignora Torrisi era soltanto una vittima di Scuderi e non ha denun-ciato l’accaduto, per non arrecare alcun danno alla carriera politicadel marito. Il resto fa parte della diceria popolare.”

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bozza“Mi scusi, ma io conosco chi può confermare quelle dicerie. For-

se la posizione della signora potrebbe cambiare.”“Fin quando questa persona non si farà avanti e non racconterà,

dinanzi ad un giudice, una diversa versione dei fatti, l’imputazionenei confronti della mia cliente cadrà facilmente. Comunque, anchese dovesse accadere, abbiamo i mezzi e le prove per contrastareogni accusa in tutte le sedi.”

È proprio questo il punto, pensai; in quel momento l’unica perso-na che forse avrebbe potuto raccontare “una diversa versione deifatti”, era svanita nel nulla.

“Grazie avvocato, come al solito è stato molto gentile; mi scusi sele ho fatto perdere tempo.”

Mi accompagnò quasi fino al cancello e mi salutò cordialmente.

Due giorni dopo, tornando da un interminabile consiglio di classe– gli ultimi erano sempre i più infuocati – mentre andavo da Stefa-nia, incontrai Giuseppe Burgio e gli chiesi subito notizie del caso.

Mi confermò quanto mi era stato detto qualche giorno prima dal-l’avvocato Vaccagnino. Il giudice non aveva convalidato l’arresto:la signora Torrisi in quei giorni non era in paese, perché era statainvitata, insieme al marito, al congresso regionale del partito; inol-tre il vicino di casa di Scuderi aveva riempito la sua versione di“forse”, “non ricordo bene”, “era piuttosto buio” e di tante altrecose che avevano reso la sua testimonianza poco credibile agli oc-chi dei magistrati.

Il vicino confermò di aver visto entrare una donna a casa di Scu-deri e di averla sentito litigare animatamente con lui, ma disse an-che di non averla mai vista, prima di allora, in paese.

Riapparve, quindi, la “forestiera.”

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bozzaCAPITOLO VIII

Mi svegliai con l’odore del caffè che veniva dalla cucina, confusocon quello di Stefania e del suo cuscino. Sentii il suono della radio,da lontano, che si mischiava con quello della sua voce. Finsi didormire ancora, così da farmi svegliare da lei e dalle sue carezze.Avvertii la sua presenza, sentii il suo respiro e poco dopo era su dime; aprì le imposte e la luce della domenica mattina entrò inaspet-tata nella stanza. Mi coprii allora col cuscino, fingendo di essereinfastidito e di voler ancora dormire, ma soltanto per giocare unpo’. All’improvviso, però, mentre lei stava per desistere e per torna-re in cucina, balzai su, la colpii col cuscino e la baciai; chiaramente,nel frattempo, il caffè si freddò.

La sera prima eravamo rimasti da lei, come ormai accadeva spes-so; non appena Stefania aveva saputo che da un momento all’altrosarebbe potuta arrivare mia moglie, aveva evitato accuratamente diavvicinarsi a casa mia.

La casa di Stefania era piccola, calda ed accogliente; si notavasubito il tocco di femminilità che rendeva quel luogo familiare. Adun grande salone si univano da un lato e dall’altro due stanze curatein ogni particolare.

Ci accorgemmo, però, che tra un gioco e l’altro avevamo fattotardi; ci vestimmo velocemente ed andammo a pranzo da sua ma-dre. Anche se si era preparata in fretta, Stefania era sempre moltoelegante; indossava un vestito rosso – o vestitino, come sono solitedefinirlo le donne, forse per esaltarne la piccola taglia – di seta e di

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bozzalino che assecondava perfettamente le linee del suo corpo. Inoltre,come se avesse compreso le mie preferenze, aveva scelto di portar-lo molto scollato sul davanti.

Stefania apparteneva ad una famiglia meno semplice della mia, atratti sofisticata; sapevo che a casa sua non avrei mai ritrovato quel-l’atmosfera rumorosa e goliardica che riempiva i miei lunghi pranzidomenicali.

Appena davanti la chiesa, aspettando sua madre, vidi GiuseppeBurgio che inseguiva due dei suoi figli, cacciati dalla messa- Quan-do mi fu vicino, disse: “Hai saputo di Aurora?” e poi si allontanònuovamente.

“No! Cosa le è successo?”, risposi preoccupato, cominciando arincorrere anch’io quei bambini.

Mi urlò qualcosa da lontano, ma riuscii a sentire molto poco; nelfrattempo Stefania e sua madre uscirono dalla chiesa, ma pensaifosse inopportuno piantarle lì per correre dietro al mio amico gior-nalista. Ci incamminammo verso casa, ma non riuscii a pensare adaltro, cercando di dissimulare la mia preoccupazione per evitare lefrequenti domande di Stefania: “Cos’hai? È successo qualcosa?”

“Non è successo nulla, sono soltanto un po’ stanco. Sai … co-mincio ad avere un’età e certi ritmi sono faticosi per me”, le sussur-rai ammiccante all’orecchio.

Mi rivolse uno sguardo maliziosamente compiaciuto, ma proba-bilmente capì che non fui sincero.

Le parole di Giuseppe mi risuonarono in testa per tutto il pome-riggio; avrei voluto telefonare ad Aurora, ma poi pensai che nonaveva più con sé il cellulare e decisi di aspettare l’indomani.

Rimasi tutto il pomeriggio con Stefania.

L’indomani arrivai a scuola presto: volevo chiedere ad Auroracos’era accaduto.

Andai in classe e chiesi al collega di farla uscire.“Buongiorno prof., che succede?”

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bozza“Che succede dovresti dirmelo tu! Il giornalista che sta seguendo

il caso Scuderi mi ha detto che …”“Ma niente, prof., … stupidaggini”, mi interruppe bruscamente.“Aurora, posso saperlo facilmente, chiamandolo, ma dopo non

chiedermi più aiuto, questo sia chiaro.”“Va bene! Ci vediamo durante la ricreazione in palestra.”“Perché in palestra? Non mi va di andare lì a quell’ora.”“Capisco … è per la prof. di francese! Ho visto come la guardava

l’altra volta”, disse in un modo che quasi celava una manifestazio-ne di gelosia.

“È anche per questo, ma non solo. Se ti va, ci vediamo nel cortiledurante la ricreazione, altrimenti …”

“Ok!”; dopo un attimo, però, prima di entrare in classe, si voltòindietro verso di me e con un filo di voce aggiunse: “Mi scusi prof.,non può dire a quello di matematica che devo stare con lei tuttal’ora? Sa … non ho fatto nulla in questi giorni.”

“Entra in classe e sbrigati!”“Va beh … era solo un tentativo.”

Ogni qual volta facevo un passo che consideravo decisivo in di-rezione dell’innocenza di Aurora, ero costretto a farne un altro indirezione opposta: anche quella volta fu così.

Il suo comportamento mi aveva infastidito: sembrava mi volessenascondere qualcosa; i sospetti divennero sempre più chiari e vivi-di, quasi a voler sfondare l’immagine di lei che avevo creato. Conti-nuavano a risuonarmi in mente le parole di Stefania.

Quando giunse, però, il suo sorriso, che interpretai come inno-cenza, mi fece perdere del tutto i miei propositi battaglieri.

“Prof., mi scusi per prima, non volevo tenerla all’oscuro dell’ac-caduto, ma vorrei che non si desse troppa importanza a fatti che inrealtà non ne hanno.”

“Dimmi!”, le intimai cercando di mostrami deciso.“Si ricorda che le avevo detto di essere stata derubata dello zaino

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bozzae del cellulare?”

“Sì, certo!”“È stato ritrovato: c’erano i documenti, i libri e la sim del telefo-

nino.”“Bene, sì … ma dov’è il problema?”“La polizia, per accertarsi che la sim fosse mia, ha controllato

l’intestatario. Una volta inserita nel sistema, il computer ha segna-lato alcune telefonate provenienti da un numero sotto controllo eha mandato una specie di allarme; non me l’hanno ancora restitui-ta.”

“Sì, va bene … ma di chi erano queste telefonate?”, le chiesi infa-stidito.

“Di Giorgio”, rispose seccamente.Io rimasi in silenzio e poco dopo Aurora riprese a raccontare.“La sera precedente avevo ricevuto una telefonata di Giorgio: mi

diceva che stava bene e che era scappato soltanto per paura di esse-re incastrato. Mi dispiace prof.! Non le ho detto nulla perché Gior-gio mi aveva chiesto con insistenza di dirlo solamente a sua madre,per tranquillizzarla; ed io ho fatto così.”

“Pensi sinceramente che Giorgio non c’entri nulla con tutta que-sta storia?”

“Prof., me lo chiedo ogni giorno. Giorgio è una testa calda, manon potrebbe mai arrivare a fare del male a qualcuno …ad uccide-re, poi, non è possibile, mi creda!”

“Ad uccidere, no… ma forse avrà fatto qualcosa di strano o avràvisto qualcuno”, aggiunsi io.

“Fa sempre tanti casini; si sarà trovato in mezzo e non sa comeuscirne.”

Mentre stavamo per rientrare in classe, scorgemmo da lontano ilpreside che arrivava, affannato, verso di noi.

“Signorina, per favore, mi segua in presidenza.”“Cosa succede preside?”, disse sorpresa.“La polizia vorrebbe parlare con lei”, sussurrò per non suscitare

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bozzala curiosità degli altri ragazzi.

“Prof. la prego, venga anche lei.”“Posso, preside?”“Si figuri! Se va bene per la polizia… sbrighiamoci, però.”Aurora sbiancò e si volse verso di me cercando un sostegno.Anche il preside, un anziano basso, pelato e sempre cortese, –

seppur preside – cercò in tutti i modi di rassicurarla.“Non preoccuparti, vorranno farti soltanto qualche domanda. Non

hai nulla da temere”; almeno speriamo, pensai.Arrivati in presidenza, Aurora, che ormai tremava, chiese subito

agli agenti, pregandoli, di farmi rimanere; i poliziotti dissero di nonavere nulla in contrario.

“Signorina, dovremmo farle qualche domanda; per evitare di an-dare in commissariato, possiamo chiacchierare anche qui, se per leiva bene.”

Le uscì un flebile suono che da tutti fu interpretato come un sì,anche perché fu accompagnato da un cenno del capo.

“Il suo fidanzato ha più volte dichiarato che la sera dell’omicidioera con lei. È vero?”

Si sentì di nuovo quel timido suono e si vide quell’ondeggiare delcapo.

“Le parve in ordine e ben vestito, oppure le sembrò avesse lottatocon qualcuno?”

“Lottato? No! Penso proprio di no! Quella sera ricordo che era unpo’ strano e mi sembrò molto distante, ma non più di questo; eraanche elegante ed appena sbarbato. Lo ricordo perché abbiamoscherzato su questo: io odio la barba e lo notai subito.”

“Fino a che ora siete rimasti insieme?”“Mi passò a prendere verso le 19:00 e siamo rimasti in macchina

all’incirca fino alle 22, ma non ricordo con esattezza.”“Analizzando la sua scheda telefonica, abbiamo scoperto che la

sera dell’omicidio, qualche ora dopo il delitto, sono state effettuatealcune lunghe telefonate a numeri che risultano intestati ad utenti

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bozzanapoletani, un giovane e sua madre, che in qualche modo pensiamosiano legati a Scuderi. Le telefonate a quei numeri sono state effet-tuate anche nei giorni successivi. Cosa sa dirci?”

“Mi dispiace, non so nulla; non conosco nessun napoletano”, dis-se timidamente Aurora.

“Vorrebbe dirci che non è stata lei a fare quelle telefonate?”“Io no, però … ricordo che quella sera Giorgio mi chiese parec-

chie volte il mio telefonino; ricordo anche che di tanto in tantoscese dalla macchina per telefonare. Forse le ha fatte lui.”

“E perché?”, chiesero gli agenti.Aurora non resistette e scoppiò in lacrime.“Non lo so! Mi chiedeva spesso il telefono perché ho una tariffa

conveniente. Non lo so!”“Signorina, si rende conto che con le sue affermazioni aggrava la

posizione del suo fidanzato?”, aggiunse un agente con l’aria severadella legge.

“Basta, basta – urlò Aurora in lacrime – non ne posso più di tuttaquesta storia; io non c’entro nulla. Lo odio! Non so che diavolo hacombinato, ma io non c’entro nulla.”

“Calmati Aurora, ti crediamo”, le sussurrai con tono pacato perrassicurarla.

“Va bene signorina, per adesso può bastare, ma non lasci il paesee soprattutto ci avverta subito se dovesse sentire per telefono ilsignor Giorgio Cilia. Non faccia come la prima volta. Se ci avessecontattato tempestivamente, avremmo potuto localizzare con faci-lità il telefono da dove chiamava, ma dopo così tanti giorni …”

“Ok! Quella volta mi disse soltanto che stava bene e che avreidovuto avvertire sua madre. Non disse nient’altro. Comunque vichiamerò subito. Voglio che questa storia finisca al più presto.”

“Va bene signorina, può bastare! Buona giornata.”“Un attimo, non andate!”, urlò, tremante, Aurora.“Che succede?”“Una sera Giorgio l’ho pure incontrato; mi disse di raggiungerlo,

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bozzaall’inizio della statale, subito dopo la grande fontana.”

“Cosa voleva?”, domandò un agente.“Mi chiese dei soldi, mi disse che mi voleva bene e che tutto

sarebbe finito presto. Non aggiunse altro, credetemi.”“Va bene! Arrivederci.”Appena la polizia uscì dalla presidenza, rimanemmo in silenzio

per qualche secondo; poi Aurora disse: “Preside, mi scusi, possoandare a casa?”

“È maggiorenne signorina?”“Sì.”“Allora può andare. Ma si sente in grado di guidare?”Annuì col capo, non riuscendo, però, a calmarsi.“Professore se ne occupi lei.”Rimasi un po’ con lei, a tratti senza parlare; mi sentivo in colpa

per aver dubitato della sua sincerità e questo lo capì anche lei.A quel punto, però, la posizione di Giorgio si complicava terribil-

mente.

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bozzaCAPITOLO IX

Ormai non si parlava d’altro; tutti in paese avevano già risolto,segretamente e con facilità, il mistero. Ognuno diceva di essere aconoscenza di un particolare, di un evento, seppur piccolo, ma sco-nosciuto agli altri, che fosse l’unica chiave di volta capace di poterchiarire definitivamente la faccenda. In alcuni casi, anch’io ero sta-to inserito in qualche bizzarra “chiave.”

Quelle voci mi arrivavano dalla madre di Stefania che, in chiesa,raccoglieva tutte le ipotesi, anche le più disparate. FortunatamenteStefania dava poca importanza ai ‘saggi’ del paese.

Quella mattina, subito dopo la scuola, con Aurora avevamo deci-so di andare a vedere un vecchio casolare di proprietà della famigliadi Giorgio: lei credeva che avrebbe potuto costituire, anche solotemporaneamente, una base per la fuga.

Stefania, come al solito, se ne tirò fuori con garbo. Rimase a casadella madre, che non stava tanto bene e non usciva da giorni; forse– pensai – aveva dato credito a troppe chiacchiere che, per riflesso,avevano coinvolto anche la sua “rispettata” famiglia.

La giornata era luminosa, la campagna già fiorita ed Aurora bellapiù delle altre volte. Per accorciare, attraversammo la vallata pren-dendo dai tornanti che, dopo il cimitero, si sporgevano silenziosi astrapiombo tra i pini e le cave di pietra.

Il viaggio fu breve: ne approfittammo per parlare confidenzial-mente ed Aurora, per la prima volta, mi raccontò di suo padre.

L’atmosfera, però, mutò bruscamente a causa di un evento tanto

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bozzainsolito, quanto preoccupante: quando arrivammo al vecchio caso-lare, trovammo le transenne della polizia che ci riportarono allamente tutta la tragicità degli eventi.

Mentre cercavamo di capire cosa stesse accadendo, facendoci spa-zio tra una piccola folla di curiosi, le dissi: “Aurora, ti parlo conmolta franchezza: io non credo alla coincidenza dell’alibi di Gior-gio, mi sembra troppo perfetto per risultare casuale.”

“In effetti quel giorno non avremmo dovuto vederci; mi telefonòpoco tempo prima, dicendomi che aveva voglia di stare con me, epoi passò subito a prendermi.”

“Forse anche tu fai parte del suo alibi! Come ha fatto ad indovina-re con precisione il momento in cui avrebbe dovuto essere visto dalcommissario? Da casa di Scuderi a quella tua c’è meno di un chilo-metro e di sera, senza traffico, ci si può impiegare anche un paio diminuti.”

“E questo cosa vorrebbe dire?”, chiese Aurora allontanandosi qual-che metro da me.

“Potrebbe voler dire tante cose: ad esempio che Giorgio potevaessere con Scuderi al momento dell’omicidio ed essere, un paio diminuti dopo, con te. L’orario della morte è sempre calcolato conqualche margine di errore.”

“Forse saprà qualcosa, ma sono sicura che non è stato lui ad ucci-derlo. Mi creda, prof..”

“Sappiamo che Giorgio aveva chiesto dei soldi a Scuderi per apri-re un’officina a Catania e sappiamo anche che non era riuscito arestituirli: questo potrebbe essere un movente. Inoltre, molte per-sone in paese lo hanno visto litigare con Scuderi. Sono tutti ele-menti che non vanno a suo favore. Di contro cosa abbiamo? Sola-mente la fiducia che tu hai in lui: non è poco, ma basterà a convin-cere la polizia?”

“Per adesso, veramente, non sappiamo né dov’è né cosa fa. Co-munque, ragionando in questo modo, anche l’alibi della signoraTorrisi e di suo marito mi sembra costruito”, disse Aurora indispet-

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bozzatita.

“Che vuoi dire?”“Una delle più illustri vittime di Scuderi va via dal paese esatta-

mente in quei due giorni. Non le sembra strano? Avrebbero avutotutto da perdere se fosse stata confermata la notizia di un loro coin-volgimento; la carriera politica del marito sarebbe stata del tuttocompromessa.”

“Sì, questo è vero, ma non c’è nulla che lega l’omicidio a queidue. Mi sembra poco in effetti, non credi?”

Chinò il capo, ma non parve per niente convinta della mia rispo-sta.

La guardai incuriosito e poco dopo le chiesi: “Aurora, non è chesai qualcosa sulla signora Torrisi che non vuoi dirmi, non è vero?”

“Ma cosa dovrei sapere!”, mi rispose, irritata, senza nemmenoguardarmi.

“Non lo so … niente.”“Semplicemente … alcune volte li ho visti chiacchierare in ma-

niera molto affettuosa; quella donna non mi è mai piaciuta. E poi èlei che ce l’ha con me!”

“Non è che tutti quelli che hanno parlato affettuosamente conScuderi possono essere sospettati? Anche tu lo hai fatto! E poi,perché dovrebbe avercela con te?”

“Prof., … cerchiamo di capire cosa sta accadendo qui, che nepensa?”

“Ottima idea!”La reazione fu strana, ma la assecondai senza aggiungere altro.Rimanemmo lì per un po’, almeno per tentare di capire cosa ave-

va scoperto la polizia.Tra i curiosi, all’improvviso, si diffuse la notizia che in casa erano

state trovate alcune macchie di sangue. Quelle voci furono confer-mate dall’arrivo della scientifica; avrei, comunque, avuto maggioriinformazioni da Giuseppe, che era lì già da parecchio tempo.

All’idea che in quella casa sarebbero state trovate macchie di san-

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bozzague, Aurora si terrorizzò e rimase immobile; prese quel segnale comeuna conferma della colpevolezza di Giorgio. La paura le svelò ilvolto violento della vicenda: fu in quell’attimo che Giorgio le man-cò fortemente.

Subito dopo, però, la sua espressione mutò profondamente.La sua attenzione fu attratta da un agente che teneva in mano un

fascicolo, di quelli tipici degli uffici pubblici. I poliziotti sembraro-no molto interessati a quei documenti e li consegnarono in fretta adun altro agente.

Alla vista di quell’incartamento, Aurora ebbe un improvviso scat-to: la paura che l’aveva assalita in precedenza parve svanire in unistante. Con voce decisa mi disse: “Basta! Qui stiamo perdendosoltanto tempo. Andiamo!”

“Ma che ti prende?”“Nulla, ma siamo qui da quasi un’ora senza concludere niente.

Voglio andare a studiare. Mi farebbe la cortesia di accompagnarmia casa? Altrimenti torno in paese con un passaggio.”

“Va bene, andiamo, ma non capisco perché all’improvviso hai tuttaquesta fretta.”

Non rispose; salì subito in macchina e rimase senza parlare: parvesconvolta.

Giunti all’inizio del paese, vicino la fontana, Aurora borbottò:“Grazie, prof, mi lasci qui!”“Ma non dovevi andare a casa a studiare?”“Infatti … da qualche giorno abito qui.”“Non sapevo ti fossi trasferita. Qui è molto bello! Pensavo che,

dopo la morte di tuo padre, le cose per te e per la tua famiglia an-dassero, beh, insomma … così così.”

“Arrivederci prof., ci vediamo domani.”Uscì dalla macchina rapidamente e senza svelare alcuna emozio-

ne.

Tornato a casa, raccontai tutto a Stefania; i suoi occhi mi confer-

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bozzamarono ciò che non volevo ammettere: e se Aurora stesse menten-do? Come si spiegavano i suoi incontri con Scuderi?

Ma perché, allora, mi chiese di aiutarla? Mi parve, però, sincera-mente preoccupata, oltre che sorpresa, dalla notizia del ritrovamentodelle macchie di sangue.

Poco dopo fu Giuseppe, sempre in stretto contatto con la polizia,a confermarmi, per telefono, che nei rilievi fatti fu veramente rin-venuto del sangue; bisognava attendere l’esame del dna per saperese era quello di Giorgio, che, nel frattempo, sembrava sparito nelnulla. Giuseppe mi disse anche che, quella mattina, la polizia fuallertata da una telefonata anonima che diceva di aver visto Gior-gio nel vecchio casolare la notte precedente.

Chi avrebbe potuto vederlo in piena campagna e a notte fonda?E poi perché non chiamò subito la polizia, invece di aspettare la

mattina seguente?

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bozzaCAPITOLO X

Gli esami si avvicinavano velocemente e quella vicenda, in parte,aveva distolto l’attenzione dai miei ragazzi.

L’aria si faceva via via sempre più tiepida e la luce del sole rima-neva a farci compagnia più a lungo, mutando i contorni delle cose.

Cercando di recuperare, incontravo i miei alunni anche nei pome-riggi, a scuola, ma ogni volta si finiva col parlare dei loro primiamori: a quell’età i ragazzi hanno una sorta di “acceleratore senti-mentale” che li deprime e li esalta con un’incredibile facilità.

Per non pensare più alle indagini e dedicarmi completamente aloro, non parlai con Aurora per giorni, se non per le normali faccen-de scolastiche. Tentavo continuamente di convincermi della suatotale estraneità: rimanevano, però, tanti punti oscuri ed il suo rap-porto con Scuderi era tutto da chiarire.

In classe decisi di riassumere gran parte del programma già svolto.In prima, interrogando una ragazzina piuttosto svogliata ed indie-

tro col programma di latino, per aiutarla, le chiesi la seconda decli-nazione.

Con aria infastidita cominciò a ripetere.“Lupus … luporum.”“Un attimo … fai attenzione! – la interruppi paziente e sorridente

– Dopo lupus, non c’è luporum. Il primo è nominativo singolare, ilsecondo genitivo plurale.”

Lei, come se la stessi tormentando, rispose: “Prof., non mi dicache vuole saperla anche in ordine?”

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bozzaTra il boato dei suoi compagni di classe, la mandai subito al po-

sto, credendo, nonostante la mia buona volontà, che non ci fossepiù nulla da fare. Non riuscii nemmeno io a trattenere le risate efaticai a riportare la calma – sempre precaria – in classe. Dovevo,però, in tutti i modi ritornare serio, altrimenti non sarei stato credi-bile quando le minacciai che, se non avesse ripetuto almeno tutte ledeclinazioni ed i verbi, le avrei lasciato il debito di latino.

Tornato a casa, trovai tutto pronto per il pranzo, ma il calore unpo’ sbiadito.

Mangiammo lentamente e notai subito che c’era qualcosa che nonandava.

“Cos’è successo?”, chiesi all’improvviso a Stefania.“Niente! Sono solo un po’ stanca.”La risposta non mi convinse e dopo qualche minuto riproposi la

domanda. Come accadeva di solito, infatti, per prima cosa, Stefaniacercava di non prestare attenzione ai miei interrogativi, ma in real-tà, mettendo alla prova la mia attenzione, aspettava con ansia chele sottoponessi nuovamente le mie domande.

“Non mi avevi detto di aver chiuso con la storia dell’omicidio?”,incalzò Stefania.

“Si, infatti! Ed è proprio così.”“Ma allora perché, pochi minuti fa, è venuto qui quel tuo amico

giornalista, quel tale Burgio?”“E che ne so?”“Voleva parlare con te per chiederti alcune cose. Vuol dire che tu

ne sai più di lui?”“Da quella mattina al casolare non so più nulla. Non mi credi?”“Sì che ti credo, ma questa storia comincia a scocciarmi.”“Sarà venuto soltanto per qualche curiosità. E poi non capisco

perché questa vicenda ti dà tanto fastidio. Mi sono incuriosito evorrei soltanto saperne di più.”

“Lo sai! Te l’ho detto mille volte: quella ragazzina non mi piace

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bozzaper niente”, aggiunse indispettita.

“Non fare la siciliana gelosa; – le dissi sorridendo – per fortunache quest’anno non è una tua alunna, altrimenti l’avresti tormenta-ta.”

Finse di sorridere e tornò subito seria.“Avanti, ormai che hai cominciato, concludi. C’è dell’altro, non è

vero?”“Non c’è niente! È inutile che provi a fare lo spiritoso; piuttosto

che perdere tempo con quel Burgio, perché non vai dall’avvocatoad informarti com’è finita con la tua separazione?”

“Ah … ecco allora qual è il problema! Finalmente ho capito. Nonpotevi dirlo prima. Ci sono andato la scorsa settimana; non possochiedere ogni giorno a che punto è la pratica. Mi trasferisco allostudio?”

Si zittì e finì di mangiare.Stefania faceva sempre più spesso programmi per il futuro, ma io,

ogni volta, diventavo evasivo; in quel momento stavo bene, manon riuscivo ad immaginare niente di diverso. In lei era già scattatoil “mai più” e questo la faceva andare in ansia. Non riuscivo a pro-metterle nulla che non avrei potuto mantenere e mi spaventavaqualunque soluzione definitiva.

Quel pomeriggio, con la scusa di andare in biblioteca, passai daGiuseppe, incuriosito da ciò che avrebbe voluto dirmi.

Lo trovai a parlare animatamente al telefono e, mentre aspettavo,giocai con una delle sue figlie, quella più piccola: una deliziosamorettina dagli occhi vispi, circondati da una cascata di boccoli eda due guance paffute, tonde e sempre accaldate; non si fermavamai. A quattro anni e mezzo, però, non parlava ancora chiaramentee per attirare l’attenzione su di sé, ogni volta che giocavo con lei,cominciava a mordermi e poi fuggiva, aspettando che la inseguissi.

Quella volta, però, non lo feci, perché nel frattempo arrivò suopadre.

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bozza“Allora, cos’è successo?”, dissi subito io.“Cosa ne pensi della tua alunna, la fidanzata di Giorgio? Mi pare

si chiami Aurora!”“Che vuol dire cosa ne penso? Andiamo al sodo! Dimmi prima

cos’hai saputo e poi rispondo alla tua domanda. Non mi dire che seipassato da me, stamattina, soltanto per questo?”

“No, certo … ma prometti di non dirlo in giro.”“Ma che storie sono queste? Lo sai che non l’ho mai fatto! Alcune

cose non le ho dette nemmeno a Stefania.”“Ecco, bravo! Innanzi tutto, le macchie di sangue trovate nel ca-

solare sono proprio quelle di Giorgio, ma la cosa più importante èche gli agenti hanno sequestrato un incartamento con una praticadi condono edilizio. Sai di chi era quella pratica?”

“No! Come faccio a saperlo … dimmi.”“Era di Aurora.”“Di Aurora? – esclamai sorpreso – E che ci faceva lì?”“Ci penso da un po’, ma non sono riuscito a capire il nesso. Se

Giorgio avesse ricattato Scuderi, perché avrebbe scelto proprio l’in-cartamento di Aurora? E poi che c’entra lei col condono?”

“Questo forse potrei spiegartelo io; ora comincio a capirci qual-cosa.”

“Io no, invece!”, ribatté Giuseppe.“In quale ufficio del comune lavorava Scuderi?”, domandai.“Edilizia; negli ultimi due anni si stava occupando proprio del

condono: l’aveva messo lì Torrisi, quando fu nominato assessoreall’urbanistica.”

“Come sospettavo. Ora ti spiego: fammi un caffè nel frattempo.L’anno scorso – cominciai – Aurora ha perso il padre, un vecchiomuratore che aveva messo qualcosa da parte, ma che aveva lavora-to sempre in nero. La ragazza è rimasta con la madre e con un fra-tello, un po’ più grande di lei, che si era, nel frattempo, trasferito alnord. Anche se avevano ereditato un po’ di denaro e qualche cata-pecchia abusiva alla periferia del paese, la situazione sembrava piut-

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bozzatosto complicata: avrebbero dovuto vivere con la piccola pensionedel padre. Probabilmente, per far fruttare al meglio i soldi, avrannopensato di unire le due cose.”

“Con l’aiuto di Scuderi!”“Qualche giorno fa, accompagnando Aurora a casa … e dai non

fare anche tu quella faccia. Te l’ho detto, siamo stati al casolare epoi è soltanto una ragazzina.”

“Una ragazzina, sì! Dai, continua”, disse Giuseppe sorridendo epoco convinto delle mie rassicurazioni.

“Accompagnandola a casa, mi sono accorto che una di quelle ca-tapecchie è stata risistemata ed è diventata una bella villa. Se im-pieghi i soldi del padre per ristrutturarne una, e la vendi, poi colricavato puoi sistemare tutte le altre.”

“Allora Scuderi serviva proprio a questo!”, esclamò Giuseppe.“Da solo, però, un impiegato comunale non avrebbe potuto fare

molto; sarebbe servito l’aiuto di qualche amministratore compia-cente.”

“E pensi che questo sia un problema? Sopravvaluti l’integritàmorale della nostra classe politica”, disse Giuseppe sorridendo.

“In effetti, anche questo è vero!”Dopo un po’, tornando serio, aggiunsi: “È da tempo che Stefania

mi dice che in paese si vedeva spesso Aurora con Scuderi.”“Uno come lui sicuramente non avrà fatto niente per niente. O ha

chiesto dei soldi ad Aurora, oppure … diciamo … se stessa: forse laricattava. Questo potrebbe essere un movente”, disse bruscamenteGiuseppe.

“Scuderi che ricattava Aurora? – chiesi io – Ma che dici? Chesenso avrebbe ricattare un cliente? Se fosse andata veramente così,allora, il movente lo avrebbe avuto Giorgio, oppure i capi dell’orga-nizzazione: se l’avessero saputo, avrebbero dovuto fermarlo.”

“E se superiori non ne aveva più? Se si fosse messo in proprio?Forse si era convinto che il lavoro sporco lo faceva soltanto lui ed imeriti invece andavano ad altri – rispose Giuseppe. Questo potreb-

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bozzabe spiegare perché aveva osato prestare dei soldi alla moglie delcapo: era il primo atto, simbolico, dell’avvenuto distacco.”

“Ma che dici? È una follia! Non era così ingenuo. Forse, più sem-plicemente, la signora Torrisi avrebbe chiesto dei soldi all’insaputadel marito: salvando l’azienda del padre avrebbe potuto dimostraredi essere capace anche da sola.”

“E se quell’incartamento fosse stato messo lì soltanto per sviarele indagini?”, continuai dopo un po’, cercando in tutti i modi ditirare fuori Aurora da quella vicenda.

In ogni caso, quella discussione non riuscì a sciogliere i miei dub-bi sul ruolo di Aurora.

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bozzaCAPITOLO XI

La notizia fece il giro del paese.Alla curiosità subentrò subito un greve senso di paura, che si fece,

col passare delle ore, via via sempre più fervido. Gli sguardi sbigot-titi si rincorrevano sin dalla prima mattina e adesso in pochi aveva-no voglia di avanzare divertite congetture sul caso.

In piazza l’aria si fece seria e dolente. L’unica ipotesi che da piùparti cominciava a diffondersi, alla quale però io non credevo affat-to, era che doveva esserci addirittura la mano della mafia.

Era un pomeriggio quasi estivo, anche se all’improvviso si eraalzato un forte vento di mare. Le vecchie palme della piazza, di-nanzi alle forti sferzate dello scirocco, non riuscivano a far valere laloro orgogliosa resistenza e le cime, in parte secche in parte ancoraverdi, si scagliavano contro il bianco del campanile della chiesamadre. Tutto intorno era silenzio: la piazza era in silenzio, il corsoera in silenzio ed anche le viuzze che si dipartivano, ora perpendi-colari ora parallele, avevano smarrito qualunque chiassosa natura-lità.

Il via vai nel corso si fece subito intenso, ma scorreva più lentodel solito; in piazza già da alcune ore si erano formati alcuni croc-chi che avevano perso tutto il fervore tipico delle discussioni pae-sane.

Non ricordo nemmeno come lo seppi, ma, subito, andai in cen-tro. Al molo, poco dopo, davanti casa sua, vidi Aurora in lacrime;anche il mare, nonostante le forti frustate del vento, era in silenzio.

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bozzaSi accorse di me tra la folla, mi raggiunse lentamente e mi abbrac-

ciò forte. I suoi occhi, che mi parvero di vetro, erano intimamentetristi e dinanzi al suo dolore dimenticai tutti i miei sospetti.

Vicino a lei c’era una signora di mezza età, immobile e stordita,circondata da altre signore che a tratti rimanevano in silenzio, atratti, invece, la tiravano da un lato e dall’altro come se volesseroconfortarla.

Rimasi qualche minuto con Aurora, ma poco dopo non si accorsepiù di me e sparì inghiottita dal rumore della folla. Non potendo faraltro, cercai di capire cosa realmente fosse accaduto.

In paese si diceva che il cadavere era stato trovato la notte prece-dente da alcuni ragazzi di Catania che avevano fatto tardi la seraprima; avevano un po’ alzato il gomito e per questo avevano tarda-to ad avvertire la polizia. Fu solo all’alba del giorno successivo cheil corpo del ragazzo fu ritrovato a parecchi chilometri dal paese, trale serre, in fondo ad un crepaccio profondo nove metri, sul ciglio diuna strada che, lasciata alle spalle la nazionale, si addentrava nellecampagne di Siracusa: era lì da giorni.

Aveva la faccia rivolta in terra, aggrovigliata tra i cespugli chespuntavano prepotenti tra le rocce, e la testa fracassata: non si sa-peva se per la caduta oppure per le percosse.

In quel momento Giorgio, che da più parti era stato considerato ilprincipale sospettato della morte di Scuderi, cominciò ad apparirepiù come una vittima che come l’artefice del piano criminale.

Quella vicenda soltanto allora – colpevolmente – mi apparve intutta la sua tragicità. Non si trattava, come alcuni in paese avevanofatto credere, – forse appositamente – di una scazzottata finita maletra piccoli usurai o di un delitto passionale; i motivi amorosi, poi,subito suggeriti per spiegare l’assassinio, come dice Sciascia, sono“per la mafia e la polizia, in eguale misura, una grande risorsa.”

Dinanzi alle lacrime di Aurora, però, in quel momento, la vicendami apparve sbiadita e lontana: rimaneva soltanto il suo dolore.

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bozzaPer i funerali c’era tutto il paese: l’atmosfera era cupa e addolora-

ta; venne anche Stefania e rimase con me per tutta la mattina. C’erapure mia moglie. Passammo, prima, da casa di Giorgio, per starevicini alla famiglia, e dopo andammo in chiesa.

I funerali, nella simbologia esteriore, nascondono qualcosa che liaccomuna ai giorni di festa. Trovammo la porta aperta, come acca-de anche nei matrimoni, e tante persone che giravano per casa conlo sguardo incuriosito ed indifferente. Molta gente, di quella chenon si vedeva in paese ormai da parecchio tempo, sembrava piùinteressata agli ultimi pettegolezzi, di cui non erano stati ancoraaggiornati, che a tutto il resto.

La chiesa era gremita oltre misura e la puzza di incenso mi co-stringeva ad uscire continuamente in piazza per prendere una boc-cata d’aria; ogni qual volta lo facevo, Stefania mi guardava in ma-niera interrogativa, a denti stretti, sospettando che andassi, anchein quell’occasione, a parlare con Giuseppe: non diceva, però, nulla.In realtà fuggivo dall’incenso, che, sin da piccolo, rendeva l’ariadelle chiese per me del tutto opprimente.

In una di queste fughe, per respirare un po’, mi scontrai con miamoglie: era lì con sua madre, amica della madre di Giorgio.

Per la prima volta dopo tanto tempo vidi i suoi occhi non arrab-biati e pensai fosse per via del dolore che circondava il nostro in-contro. Mi prese sotto braccio e ci dirigemmo verso i gradini dellascalinata, quasi a voler scendere giù, ma io mi arrestai.

“Come stai?”, mi disse sotto voce.“Così così, e tu?”“Male! Pensavo di farcela, ma ogni giorno che passa è sempre più

dura stare senza di te. In questi mesi ho capito tante cose ed ora sodove ho sbagliato.”

“Tu non hai sbagliato; hai fatto tutto ciò che sentivi dentro di te”,le dissi sottovoce.

“Invece no! Adesso sono diversa.”“Diversa? In che modo? Cos’è cambiato?”

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bozza“La paura di perderti mi ha cambiato!”“Pensi che questo possa bastare per recuperare un rapporto così

tormentato come il nostro?”, le dissi quasi a volerla convincere.“Sì, ne sono sicura.”“Anch’io sono sicuro, purtroppo, del contrario.”Mi guardò fisso negli occhi ed i suoi cominciarono a divenire luci-

di.“Ti sento distante”, mi disse.“Credi veramente che tutto possa cambiare tra di noi?”“Sì! Io sono pronta a riprendere da quel maledettissimo giorno

durante il quale mi hai convinta a stare lontano da te. Ricomincia-mo da lì.”

Per un attimo le sue parole mi fecero mancare l’aria ancora di piùdell’incenso dal quale fuggivo. Non sapevo cosa fare. Ma eravamocambiati veramente? Adesso c’era Stefania però, e Aurora.

In quei mesi avevo cominciato a percorrere una strada dura, spi-golosa ed in salita, ma alla fine – ne ero sicuro - mi avrebbe condot-to alla serenità. Adesso i suoi occhi mi fecero ritornare indietro;adesso avrei dovuto cominciare tutto da capo; adesso avrei dovutotrovare la forza di chiudere la porta e di rimettermi in cammino.

Ritornai in chiesa e lei mi seguì; andai da Stefania, le presi la manoe la strinsi tanto forte da suscitare la sua curiosità: “Che succede?”,mi disse piano.

“Niente! Ti voglio bene”, le risposi all’orecchio.“Mi sa tanto che dobbiamo venire più spesso in chiesa, chissà se

avviene il miracolo”, mi disse sorridendo; poi si voltò e tornò dinuovo seria.

Le parole di mia moglie, però, mi esplosero dentro e non trovaivia d’uscita.

Il dolore composto della famiglia divenne rabbia per la follia delgesto e per il mistero che, sempre più, avvolgeva tutta la vicenda.

La polizia, anch’essa presente ai funerali, era spinta da più parti a

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bozzafare in fretta ed a chiudere un caso che adesso aveva svelato lesembianze di una vera e propria tragedia.

La situazione, però, non era per nulla semplice: morto Giorgio,rimaneva in campo Aurora; sarebbe stata capace di realizzare unsimile piano criminale? C’erano, poi, – sullo sfondo – l’assessore,sua moglie e quei due napoletani, dei quali Burgio non aveva anco-ra saputo nulla dal suo informatore.

Per quanto riguardava la mafia, pensavo fosse la soluzione piùinverosimile: la mafia non uccide dopo aver preso a pugni la vitti-ma, ma in piazza, sotto gli occhi di tutti; e poi Scuderi gestiva sol-tanto piccoli affari, almeno così sembrava.

Notai che al funerale, stranamente, mancava l’assessore, ma c’erala moglie: rimase sempre in disparte, quasi nascosta; non parlò connessuno e dopo la funzione andò subito via. Cercai di raggiungerla,ma avrei voluto che l’incontro sembrasse del tutto casuale. La ve-locità della fuga della signora fu, però, maggiore della mia vogliadi parlarle.

Arrivò il giorno degli esami.Nonostante tutto, vidi Aurora molto concentrata e capace di la-

sciare fuori dalla porta, almeno per un po’, il suo dolore ed i mieisospetti.

Si mise accanto alla finestra e la luce del sole riflessa dal verdelucido dei banchi le illuminava in modo quasi irreale gli occhi.

Avrei voluto raccontarle la discussione con Giuseppe, ma avevopromesso di non farlo e volevo, prima di ogni cosa, fugare i mieidubbi.

Stavamo tutti in uno stanzone caldo e senza aria; i ragazzi, però,quella volta, non si lamentarono, come, invece, facevano di solito.

Guardare gli occhi dei miei alunni, mentre, affaticati e seri, cerca-vano di impegnarsi, mi aveva dato un sottile senso di tristezza: maicome quella volta sentii di averli trascurati. La mia sensazione mifu confermata quando seppi che la maggior parte di loro aveva scelto

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bozzala traccia di ‘attualità’: la più semplice. All’improvviso mi tornò inmente il viso di Stefania che, perdendo la sua dolcezza, sembravavoler rimarcare quella mia impressione.

Aurora, però, scelse il tema di letteratura e di questo fui felice; sitrattava dell’analisi di una poesia di Eugenio Montale: Meriggiarepallido e assorto. Lei aveva già toccato con mano quanto la vita po-tesse divenire “una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di botti-glia.”

Quando lo lessi, mi parve di trovare tutte le mie risposte: c’era ilsuo dolore, ancora vivido, ed il suo profondo smarrimento; questomi bastò per credere che non poteva essere stata lei.

Lessi attentamente anche tutti gli altri: i ragazzi, in realtà, aveva-no fatto un buon lavoro.

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bozzaCAPITOLO XII

In quei giorni, per sfuggire all’afa sempre più opprimente, conti-nuavo a fare la spola tra il paese ed il mare. Stefania, libera dagliesami, decise di andare in vacanza prima della festa di San Giovan-ni, come si fa, invece, per tradizione.

Nel golfo, che si apriva lieve a sud della piana, tra i vigneti e leserre aveva una villetta a pochi passi dal mare, una di quelle costru-zioni con le fondamenta sulla sabbia, circondata dal prato inglese ada alcuni archi intonacati di bianco. Dalla terrazza in ogni istante sisentivano tutti i lamenti del mare ed i capricci del vento.

Trovavo quasi sempre libera la mia amaca, incastonata tra duepalme, sulla quale amavo leggere ed appuntare qualche idea per ilmio romanzo. A volte, però, dovevo ferocemente lottare con Isot-ta, il cane di Stefania: per far valere le mie ragioni, cominciavo atrascinarla dalla coda, ma non sempre ero io a vincere.

Stefania, più volte, mi chiedeva di rimanere lì con lei, ma quasimai l’accontentavo; per giustificarmi, rispondevo quasi sempre allostesso modo: “Domani dovrò essere a scuola molto presto.”

Neppure io riuscivo a dare una spiegazione al mio comportamen-to, ma preferivo non pormi il problema.

Una notte, rientrando, vidi delle chiamate sul telefono di casa;guardando l’ora, le trovai molto strane e cominciai a cercare nellarubrica del cellulare se avessi registrato quel numero. Lo stupore fugrande quando mi accorsi che si trattava di Aurora: non aveva mai

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bozzachiamato a quell’ora. Se ci fosse stata Stefania con me – pensai –quella volta sarei riuscito a farla arrabbiare.

Rimasi un po’ in terrazza, al buio, riflettendo sull’opportunità dichiamarla: era da poco passata la mezzanotte. Ogni volta che arri-vava un’automobile, però, interrompeva un silenzio talmente pro-fondo che mi convinse che sarebbe stato meglio andare a dormire.

Appena presi la decisione, squillò nuovamente il telefono: corsi aprenderlo, ma, giunto lì, aspettai un po’; alla fine risposi.

“Pronto.”“Mi scusi, prof., sono Aurora!”“Ciao Aurora. Cos’è successo?”“Mi scusi per l’orario…”“Non ti preoccupare, dimmi!”“Nulla … ma, mentre ripassavo le ultime cose per l’orale, ho sen-

tito dei rumori sempre più vicini che sembravano provenire da den-tro casa mia. Mi sono anche accorta che una macchina nera è pas-sata più volte, ad alta velocità, sotto casa.”

“Aurora, non ti preoccupare. Sei soltanto spaventata per tuttoquello che sta accadendo. Ma sei sola in casa?”

“Sì! Mia mamma è al mare. Le ho chiesto io di restare lì, per poterstudiare in tranquillità.”

“Comunque se non sei serena, posso passare da te per controllarese è tutto a posto.”

“Grazie, non sapevo come dirtelo … mi scusi … come dirglielo.”Aurora sarà sicuramente spaventata senza motivo, pensai, ma se

le fosse accaduto qualcosa non me lo sarei perdonato. La primavolta, per aver sottovalutato il problema, avevamo ritrovato Gior-gio morto, adesso non avrei voluto trascurare nulla. E se Giorgioavesse visto qualcosa? E se i suoi assassini pensassero ad una con-fessione ad Aurora, adesso anche lei sarebbe in pericolo.

Mi convinsi di questo e corsi da lei.Posteggiai vicino al bar, lontano da casa sua, per evitare occhi

indiscreti.

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bozzaLa trovai molto pallida e provata, ma il suo pallore non era riusci-

to ad oscurarle gli occhi lucenti.Feci velocemente il giro di tutte le stanze; erano chiuse, non c’era

nulla di strano e non si sentiva alcun rumore. Ripassò, pure, quellamacchina che l’aveva spaventata.

“Aurora, non li riconosci? Sono i balordi della V B dell’anno scor-so; trascorrono il tempo a fare il giro del paese in macchina, corren-do e fumando.”

“Mi scusi, prof, mi sento proprio una scema”, mi disse senza di-stogliere i suoi occhi dai miei.

“Non ti preoccupare. Hai fatto bene a chiamarmi, così almeno seipiù tranquilla. Fallo tutte le volte che ti va.”

“A proposito … com’è andato il mio compito?”, disse abbozzan-do un sorriso.

“Questo lo sai che, per adesso, non posso dirtelo. Comunque ave-te fatto tutti un buon lavoro.”

Tornai a fare un giro veloce della casa, forse per togliermi dall’im-barazzo che mi procurava il suo sguardo fisso su di me ed all’im-provviso le chiesi: “Come stai Aurora? Dopo la morte di Giorgionon siamo più riusciti a parlare.”

“Come sto? Male, come tutti in paese. Anche se non amavo piùGiorgio, ero molto legata a lui; siamo cresciuti insieme. Mi sentoanche in colpa per aver dubitato di lui. In paese, addirittura, si diceche è stato ucciso per causa mia. Ma io che c’entro in tutta questastoria?”, disse con un’interminabile dolcezza.

“Si dice? Ma si dice sempre tutto. Mi sono sempre chiesto comediavolo fa il paese a sapere ogni cosa.”

Mentre parlavo si avvicinava sempre più a me.“Lo so che tu non c’entri nulla, però …”“Però? Ma allora anche lei pensa che è stata colpa mia?”, disse

tornando subito indietro.“No, Aurora, io non dico questo”, risposi trattenendola per le mani.“Allora cosa dice? Si spieghi!”, esclamò con un filo di voce.

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bozza“Ascolta … giochiamo a carte scoperte. Molti in paese ti hanno

visto più volte con Scuderi e poi ci sono le case nuove; con questo,non dico che dubito di te, ma dovrei sapere tutto per capire.”

“Apprezzo la sua sincerità, prof!”Si sedette, allora, sul divano e mi trascinò per le mani accanto a

lei.“Io e mia mamma, come tanti in paese, abbiamo dato dei soldi a

Scuderi per accelerare la pratica del condono edilizio. Mi dicevache non erano per lui, ma andavano ad alcuni amministratori cheavrebbero chiuso un occhio.”

“Sai chi erano?”“Che importanza ha? Andavano a qualcuno più potente di lui che,

in realtà, teneva le fila degli affari. Di queste cose se ne occupavamia madre e se dovesse scoprire che gliene sto parlando, mi farebbea pezzettini, ma di quelli piccoli piccoli però.”

“Di questo non preoccuparti”, le dissi per rassicurarla.“Però non so perché Giorgio è stato ucciso, mi creda; non so niente

di niente.”Esausta, scoppiò in lacrime.L’abbracciai senza stringerla e lei appoggiò il viso sulla mia spal-

la. Gli occhi le erano diventati rossi e la voce spezzata; riuscii acalmarla accarezzandole i capelli e sistemandoli intorno alle orec-chie, quasi a voler scoprire il suo volto. Allora mi guardò fisso, con-tinuando a ringraziarmi; rimase tra le mie braccia ed io cominciaiad asciugarle le guance col palmo della mano.

“Piccola, adesso è ora che io vada”, le sussurrai all’orecchio.“Ok, grazie ancora, prof..”La salutai baciandole le guance, ma si voltò all’improvviso, scos-

sa, e sprofondò le sue labbra nelle mie.Non dissi nulla; assecondai il suo silenzio ed andai via.Fu difficile quella notte prendere sonno.

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bozzaCAPITOLO XIII

Il giorno dopo Aurora mi chiamò più volte, ma non risposi; ap-profittai dei pochi giorni di pausa tra lo scritto e l’orale per dare unsenso all’accaduto e per rinchiuderlo in un cassetto profondo. Avreivoluto parlarne con qualcuno, quasi a volermi liberare, ma sentivoancora il calore delle sue labbra bagnate dalle lacrime.

Fu allora che decisi di accettare i pressanti inviti di Stefania edandai al mare da lei, a patto che la madre fosse rimasta in paese.

In quei giorni, il forte vento di scirocco faceva arrivare la sabbiafin dentro casa e si stava chiusi ed al caldo. Quell’atmosfera rende-va irreali le nostre giornate ed il mio disagio cresceva. Ogni tanto,per respirare un po’, al tramonto, facevo delle lunghe passeggiate inriva al mare, inseguito dal cane. In una di queste, incontrai un vec-chio compagno di partito con il quale andai al sindacato per chiac-chierare un po’.

Lì, sorpreso, venni a sapere che in quei giorni al comune si erasfiorata la crisi. Nella maggioranza era avvenuta una profonda frat-tura tra la vecchia guardia e la nuova generazione in ascesa, spre-giudicata, capeggiata da Torrisi. Alla fine vinse l’assessore che, tramille polemiche, fu eletto nuovo segretario provinciale.

I capi storici, per la prima volta messi in minoranza, decisero diabbandonare la giunta e di passare all’opposizione; ci volle addirit-tura l’intervento di alcuni emissari da Roma, per sancire la pace. Ildirettivo nazionale non avrebbe voluto perdere le forti clientele chel’assessore era capace di controllare e decise che alla guida del co-

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bozzamune avrebbe proposto uno della vecchia guardia, ma Torrisi sa-rebbe stato il candidato alla poltrona di presidente della regione.Inoltre, si diceva che l’assessore era riuscito a far entrare in giuntaalcuni personaggi piuttosto loschi, con una rispettabile carriera cri-minale alle spalle. Li aveva ripuliti ed agghindati con tanto di giac-ca e cravatta, ma era gente senza scrupoli.

Al sindacato, nel frattempo, arrivò Giuseppe: aveva saputo da unoperaio della seteria, che la signora Torrisi da qualche tempo non sifaceva più vedere in fabbrica; al suo posto era subentrato un uomodi fiducia del marito che, di fatto, teneva le fila dell’azienda.

In realtà, dopo quello che era accaduto, la signora non si facevavedere nemmeno in paese: correva voce che tra lei ed il marito lecose non andassero bene.

A Giuseppe venne l’idea di intervistarla per il suo giornale: stavalavorando ad un servizio sull’imprenditoria femminile di successo.

Andai anch’io con lui, nella speranza di poter capire qualcosa inpiù.

La trovammo in terrazza, spettinata, mentre annaffiava il basili-co. L’aria fresca del mattino lasciava intravedere dal suo vestitonero di raso – simile ad una sottana – tutta la sua provocante fem-minilità; ritenne opportuno parlare in casa.

Eleonora, la moglie dell’assessore, era un’ex ballerina, dai capellimori e folti, gli occhi scuri e sensuali ed il fisico asciutto. Il voltodelicato e sereno faceva risaltare nelle labbra il vagare di un sorrisomalizioso: non era timida. Il naso prominente, forse il suo unicodifetto, rendeva il viso ancor più inconsueto ed interessante. Tuttele volte che si faceva vedere in giro, non passava mai inosservata:era sostenuta dalle gambe più belle del paese, che le avevano per-messo di divenire l’argomento principale della piazza.

Da giovane, a Milano, aveva studiato danza; avrebbe avuto unfuturo brillante, se, una sera, una caduta rovinosa, sul palco, tra lagente, non le avesse procurato una gamba rotta ed un profondo

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bozzasconforto che la riportò in paese accompagnata soltanto da unostrano accento che dai paesani fu definito “continentale”; quandola cordialità della discussione faceva svanire la patina di ufficialità,però, veniva fuori, piano piano, libero, il suo accento siciliano, in-confondibile.

Entrammo in un gran salone intonacato di bianco e pieno di piattirossi ed azzurri appesi alle pareti; le mura alte e spesse facevanorisaltare i tetti a volta e l’arredamento era curato in ogni particolare.Mise qualcosa sopra – coprendosi purtroppo – e cominciò a chiac-chierare molto cordialmente.

“Imprenditoria femminile? Beh … in realtà io sono la personameno adatta per parlare di questi temi. Ho ereditato da mio padrel’azienda di famiglia e l’ho portata ad un passo dal fallimento. Adesso,dopo quello che è accaduto, è mio marito che se ne occupa. Sto qui,chiusa in casa, circondata dalle mie piante, aspettando che la ver-gogna passi.”

Notammo una profonda amarezza nelle sue parole, ma nello stes-so momento una grande voglia di parlare; per questo Giuseppe in-trodusse il discorso dell’omicidio Scuderi e lei lo colse al volo.

“Conobbi Scuderi, un paio d’anni fa: fu mio marito ad invitarlo apranzo. Sul momento ne fui infastidita, perché non ero stata avver-tita in tempo, ma dopo, appena lo vidi, lo trovai cordiale e moltoelegante; ma … scusate! Non so perché vi sto annoiando con que-sti discorsi.”

“Nient’affatto, signora; non stiamo facendo nulla di diverso daciò che fa tutto il paese: ormai non si parla d’altro. Ognuno di noi,a questo proposito, ha una sua opinione; anche lei ne avrà una, cheforse è più interessante delle altre”, le dissi provando ad essere cor-diale.

“Più interessante? Perché?” aggiunse sorpresa. “Io ne so quantogli altri. Sono stata chiamata in causa, perché qualcuno in paese miha visto parlare con Scuderi ed una volta anche litigare con lui.Quel vecchio pazzo del vicino, poi, ha addirittura detto che la sera

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bozzadell’omicidio sono entrata in casa di quel maledettissimo impiegatocomunale. Un giorno, però, come se niente fosse accaduto, mi haguardato meglio ed ha detto: ‘Scusate, forse non era lei’. Ed io in-tanto … cosa ha pensato la gente? Non parliamo poi di mio marito!Meno male che quel giorno non ero in paese, altrimenti non so comeavrei fatto a convincerlo che quelle voci erano deliranti.”

“Mi scusi, ma mi pare sia stato trovato anche un messaggio nellasegreteria telefonica di Scuderi: diceva che quella sera sarebbe an-data da lui”, aggiunsi io, mentre Giuseppe mi sussurrava di smet-terla.

“Quel messaggio era di tre giorni prima; poi non sono più andata,perché non ero in paese: ve l’ho già detto. Mi sta accusando anchelei? Io non avrei potuto ucciderlo, perché io ….”, e si bloccò, sem-brando molto addolorata.

“Signora, nessuno dice che lei lo ha ucciso”, intervenne Giusep-pe a stemperare i toni.

“Diciamo soltanto che lei potrebbe sapere qualcosa di interessan-te in merito a questa vicenda”, continuai io.

“Io? E perché? Ma allora – interrompendomi bruscamente – se-condo lei, chiunque aveva rapporti, diciamo … d’affari, con Scude-ri, dovrebbe aver avuto un ruolo in questa vicenda? Anche la suastudentessa, la fidanzata del povero Giorgio, mi pare conoscessemolto bene quell’uomo.”

“E che c’entra Aurora?”“Scuderi mi parlava spesso di quella ragazzina; secondo me ave-

va un debole per lei”, disse con tono risentito.“Sì, è possibile, ma non per questo dovrebbe essere coinvolta in

questa vicenda.”“Mi scusi … la ragazzina non c’entra nulla, io, invece, sì! E poi

non capisco perché si scalda tanto. Ho detto soltanto che Aurorasembrava molto intima con Scuderi.”

“Anche lei era molto intima.”In quell’occasione, irritata dal mio comportamento, chiuse subito

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bozzala discussione: “Adesso basta! Ho da fare, devo andare.”

“Mi scusi, signora…”, si inserì Giuseppe che fino ad allora eraintervenuto soltanto per cercare di smorzare i toni.

“Non si preoccupi, ma adesso devo proprio andare! Scusatemi senon vi accompagno. Buona giornata!”

Giuseppe uscì velocemente, senza voltarsi verso di me, ed io ri-masi indietro. Era arrabbiato ed aveva ragione.

“Per te è un gioco – disse bruscamente dopo qualche minuto –ma io ci lavoro con queste cose. La signora era ben disposta a par-lare e tu, per colpa della tua infatuazione per quella ragazzina, hairovinato tutto.”

“Ma che stai dicendo?”“Almeno sta’ zitto! Se ti fossi visto in faccia.”Quelle parole mi fecero prendere coscienza di ciò che cercavo,

con tutte le mie forze, di non lasciare trasparire.“Beh… almeno qualcosa l’abbiamo capita”, esclamò Giuseppe

poco dopo, per fortuna cambiando discorso ed espressione.“Cosa?”, chiesi felice di riportare la discussione su un tono diver-

so.“Sappiamo che la signora conosceva bene Scuderi e ne subiva

anche tutto il fascino; Giorgio probabilmente aveva detto la verità.Ma se Torrisi avesse saputo che una sua creatura dava soldi e carez-ze alla moglie, non credo ne sarebbe stato contento.”

“Bisogna sapere, però, se l’assessore era a conoscenza di questastoria!”

“Seconde me, anche se l’avesse saputo, non avrebbe mai fattonulla di avventato: non poteva di certo mettere in crisi la sua carrie-ra politica. Sarebbe stato capace persino di accettare le corna.”

“Qui non si tratta di corna, – aggiunsi io – non capisci. Si tratta diinsubordinazione, di lesa maestà. Se non lo avessero bloccato, tut-to il sistema sarebbe crollato.”

“Pur di scagionare quella ragazzina, incolperesti chiunque”, disseGiuseppe sorridendo.

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bozzaCercai di sorridere anch’io, ma, pian piano, nonostante Giuseppe

continuasse a parlare, mi isolai dalla discussione, ripensando assi-duamente alle sue parole: Aurora mi era entrata dentro. Comincia-vo anche a perdere il gusto di Stefania e sempre più spesso mi nega-vo, oscurandole il sorriso.

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bozzaCAPITOLO XIV

Quel giorno il presidente di commissione decise di ascoltare conattenzione tutti gli esami dei miei ragazzi. Aurora si dimostrò ingamba e molto furba; condusse lei l’esame e ricevette i complimen-ti.

Dopo aver finito, andai di corsa a comprare qualcosa da mangia-re; ero tornato a stare a casa mia e con Stefania ci vedevamo sem-pre meno.

Uscendo da scuola, mi sembrò di vedere mia moglie e, mentre miavvicinai per esserne certo, crebbe in me l’affanno. Non la incon-travo dal funerale: sebbene continuasse a venire a casa, evitavaaccuratamente di incrociarmi.

Si girò di scatto e me la ritrovai di fronte a pochi passi da me; nonriuscii a dire nulla!

Avvertivo una profonda malinconia per il passato, ma nello stes-so tempo, ormai, avevo acquisito una pallida e precaria serenità peril presente. Stefania mi aveva dato la forza di portare avanti la miadecisione, anche se, in quel momento, cominciavo a perderla.

Le chiesi se avesse chiamato l’avvocato e le dissi che ancora nonavevo ricevuto alcuna proposta interessante per la vendita dellacasa; lei mi rispose soltanto con alcuni brevi cenni e poche smorfiedel viso: si dimostrò incomprensibilmente arrabbiata.

Pensavo, però, che, dentro di sé, avesse ben chiaro il senso dellamia scelta. Cercavo, in fondo anche con il suo aiuto, la forza diportare avanti, fino alla fine, la mia decisione. Ero talmente cieco,

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bozzaperò, da non capire che quella forza lei non avrebbe potuto darme-la. Nel gioco delle responsabilità ne uscii sconfitto: pensando diessere il più forte, mi presi anche le sue, ma, alla fine, ne fui schiac-ciato.

In quell’occasione parlai soltanto io, ma, sentendola fredda e di-stante, poco dopo la salutai e mi diressi verso casa. All’improvvisocambiai strada: decisi di andare da Stefania.

Erano da poco passate le due del pomeriggio; la trovai impegnatanel mettere in ordine casa e fu sorpresa della mia visita. Preparòsubito qualcosa da mangiare, si sedette accanto a me e mi ascoltòcon pazienza. Poi mi raccontò come stava trascorrendo le giornatee, per la prima volta, non accennò né alle indagini, né all’avvocato.

Subito dopo le presi la mano e la condussi in camera da letto;capii di volerle bene, anche se non avevo ancora trovato la serenitàper dedicarmi completamente a lei. Le raccontai dell’incontro conmia moglie: nel frattempo mi guardava sempre più da vicino.

Fui io quella volta a desiderarla fortemente; abbassai la serranda,spostai il cane che continuava ad affacciarsi e la accarezzai. Loscirocco, per contrasto, rese ancora più sensuale la freschezza dellasua pelle ed io non mi fermai.

“A che devo l’onore di tanta passione?”, mi sussurrò dolcementeall’orecchio.

“Non lo so, ma so soltanto che voglio stare con te!”“Spero che tu non sparisca più.”“Lo spero anch’io.”Forse non capì fino in fondo quello che avrei voluto dire, ma non

ebbe il tempo di chiedermelo: cominciai a baciarla ed i sospiri sialzarono forti.

Poco dopo, però, fummo interrotti da una telefonata di Giuseppe,in quel momento quanto mai inopportuna. Non risposi, ma il suonoinsistente ci distrasse; fu Stefania che, alla fine, andò a rispondere:fece appena in tempo a vedere il numero, ma il telefono si zittì.

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bozza“Ecco… ci risiamo. È il tuo fidanzato. Chissà cosa avrà scoperto

di nuovo questa volta. Chiamalo non vorrai farmi stare in ansia?”,disse ironica.

“Smettila! Qualunque cosa accade è sempre colpa mia? Vieni qui,piuttosto.”

Tornò da me, ma ormai la magia era svanita.Mentre mi sforzavo di sfoderare una solenne indifferenza nei con-

fronti di quella telefonata, ci spostammo in giardino, sul dondolo;lì, cogliendo l’occasione dell’arrivo di sua madre con alcune ami-che, decisi di tornare in paese.

“Ecco … ci risiamo. È tua mamma. Chissà cosa vorrà questa vol-ta! Chiediglielo, non vorrai farmi stare in ansia?”, aggiunsi io, sorri-dendo.

Stefania mi rispose con un finto sorriso.“Ti prometto che ci vedremo presto – le sussurrai prima di andare

via – E poi… meno male che abbiamo smesso, altrimenti con lavisita che abbiamo ricevuto…”

Mentre tornavo, il primo pensiero fu quello di andare da Giusep-pe: mi raccontò che la polizia stava facendo girare in paese alcunefoto segnaletiche; dalle domande si capva che doveva trattarsi deidue napoletani – un ragazzo e sua madre – ai quali Giorgio telefo-nava spesso.

Quella volta Aurora, non appena ricordò di aver visto il ragazzo,si presentò spontaneamente alla polizia.

“Non so, però, cosa ha detto e dove ha visto quelle persone”, midisse Giuseppe.

“Hai visto che brava! Te l’ho detto che lei non c’entra nulla.”Giuseppe mi rispose con un sorriso, ma capii che non era del tutto

convinto di ciò che dicevo.“Potrei andare a parlare con lei”, aggiunsi poco dopo.“Ecco bravo… andiamo!”“Andiamo? È meglio che io vada da solo.”

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bozza“E perché? Tu sei venuto con me dalla signora Torrisi.”“Che c’entra! La ragazza potrebbe imbarazzarsi.”“Beh… peggio di quello che hai fatto tu, non potrei mai fare, lo

giuro.”“Smettila! Sai che poi alla fine ti racconto tutto. A domani.”

Chiamai Aurora, per sapere se era in casa, e la raggiunsi; fui ac-colto dal suo sguardo appassionato.

Stupito, mi sentii dire, “Ciao prof., come stai?”Accortasi della mia sorpresa – in fondo gradevole – continuò:

“Non mi dica che le dà fastidio? Ormai sono grande; sono purediplomata. Quindi, di fatto, non sei più il mio prof..”

“Non è un problema per me; sai che sono amico di molti miei exalunni.”

“Bene ... ormai, quindi, siamo amici. E’ ufficiale!”Lo disse con una provocante malizia che non annunciava nulla di

buono per me.“Dimmi! Come mai sei qui?”“Ho saputo della storia di quelle foto segnaletiche e…”“…e quindi hai pure saputo che sono andata alla polizia.”“Sì!”“Hai visto! Avevo promesso di dire tutto ciò che sapevo e questa

volta l’ho fatto. Mi sono ricordata di aver incontrato quel ragazzo:ero al pub con Giorgio una sera, forse di febbraio, non ricordo bene.Entrammo e Giorgio si diresse subito verso di lui: era alto, robustoe molto carino, lo notai subito. In quell’occasione ebbi la sensazio-ne che Giorgio avesse già un appuntamento con lui. Si dissero qual-cosa, ma non sentii bene, e forse si scambiarono dei numeri di tele-fono. Dopo che andò via, chiesi a Giorgio chi fosse, ma fu moltoevasivo; mi disse che era un ragazzo che aveva conosciuto da poco,sempre lì al pub, mentre vedeva una partita di calcio. Non aggiunsenient’altro: pensai si fosse ingelosito e quindi non chiesi più nulla.”

“È lui, insomma, il famoso napoletano?”

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bozza“Questo non lo so!”Poco dopo aggiunse: “Mi pare di averlo incontrato in paese anche

un’altra volta, mentre parlava con Scuderi: appena mi vide, peròandò subito via.”

“E tu che ci facevi con Scuderi?”“Lo sai! Te l’ho detto … uffa! Perché me lo chiedi sempre? Ero lì

per quell’affare del condono. Mia madre aveva già parlato con luiper telefono ed io dovevo portargli alcuni documenti. Mi dicevache era meglio non lasciare quelle cose in comune e mi chiedeva diincontrarci a casa sua.”

“Aurora sai che alcuni tuoi documenti sono stati trovati nel caso-lare dove si era rifugiato Giorgio?”, le chiesi deciso.

“Sì lo so e non so come siano finiti lì. Forse Giorgio li ha sottrattia Scuderi.”

“E perché avrebbe dovuto farlo?”“Per proteggermi!”“Oppure perché Scuderi chiedeva qualcosa in cambio di quei do-

cumenti?”“In cambio? Che vuoi dire: un ricatto? Non ero certo l’unica in

quella situazione; anche lui avrebbe avuto molto da perdere, se sifosse saputa in giro una cosa del genere.”

“Si dice che Scuderi avesse perso la testa per te e per questo avreb-be proposto a Giorgio l’azzeramento del debito in cambio della suafidanzata.”

“Ma che! Avrebbe dovuto chiederlo a me, non certo a Giorgio,non pensi?”, mi chiese infastidita.

“E l’ha fatto?”“Certo che no! Scuderi più di una volta ha fatto lo splendido con

me, ma si è fermato lì: una sera a casa sua ho trovato una cena,preparata da uno chef fatto venire a posta da Catania.”

“E tu?”, le domandai sempre più incalzante.“Sono rimasta, ma ho soltanto mangiato. Avrebbe potuto tenersi

tutti i documenti, non avrei mai cambiato idea, ma… pensi vera-

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bozzamente questo di me? Pensi che per quel condono io sarei potutaandare con lui?”, mi chiese amareggiata.

“No, assolutamente! Credimi. Cerco soltanto di capire perché queidocumenti sono finiti lì.”

“Non lo so! Di certo non glieli ho messi io.”“Va bene, per adesso torno a casa; si è fatto tardi.”“Mi hai deluso, prof. – esclamò in parte sorridente, in parte decisa

– Dopo aver ripetuto per anni di non credere a nulla di ciò che sidice in paese, cosa fai? Anche tu cadi nei più beceri luoghi comunie credi alle dicerie di alcuni fannulloni.”

All’improvviso, però, mi accarezzò i capelli ed esclamò: “Perchéqualche volta non andiamo a mare a festeggiare il mio diploma?”

La sua domanda mi scosse, ma ne fui felice.“Mi piacerebbe molto!”“Ma allora perché non lo facciamo? Ah … capisco! È per la prof.

di francese.”“Eh… sì!”“Semplice! Non glielo dire. Andiamo a Fontane Bianche, cenia-

mo ad Ortigia e poi torniamo. Mi piacerebbe molto.”“Ti faccio sapere. Ok?”Ma, mentre stavo per andare via, mi voltai verso di lei e le dissi:

“Piacerebbe molto anche a me; non immagini quanto!”

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bozzaCAPITOLO XV

Quel giorno mi alzai presto ed incontrai Aurora appena fuori pa-ese, subito dopo la grande fontana.

Accolsi la sua proposta con molti dubbi e tanto entusiasmo.Scelse lei dove andare.L’aria ancora fresca del mattino ci solleticò un certo appetito ed

Aurora, con un fare da bambina, esclamò all’improvviso: “Ho tantafame. Mangiamo qualcosa?”

Ci fermammo in un bar che sporgeva a picco sul mare, con allespalle le serre delle campagne di Siracusa e davanti il blu immobiledelle acque.

“Da queste parti, mi pare dovrebbe abitare la sorella di Scuderi”,disse Aurora.

“Come fai a saperlo?”“Me ne parlò lui stesso; una volta, dopo aver ricevuto una telefo-

nata, mi disse furioso che sarebbe dovuto andare di corsa da suasorella per risolvere alcuni problemi col nipote: un buono a nulla.Mi invitò ad andare con lui e mi spiegò minuziosamente la strada,cercando di convincermi. Da quelle parti c’è un mare splendido, midisse, ma non andai. Penso sia proprio qui.”

“Veramente questa campagna a me ha fatto venire in mente altrecose.”

“Cosa?”“Vuoi saperlo?”“Certo! Perché no?”, mi disse sorridendo.

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bozza“Giorgio fu trovato a pochi passi da qui, proprio in mezzo a quel-

le serre che vedi laggiù.”Divenne subito seria e gli occhi le ritornarono di vetro. Ci volle

un po’ per riaverla con me!

Il mare era calmo ed ancora fresco; nel silenzio i gabbiani faceva-no sentire forte la loro voce e da lontano si udivano alcuni bambinigiocare: era ormai estate.

Avevamo percorso una lunga stradicciola sterrata, a piedi, tra l’aga-ve ed i rovi secchi. Tutt’intorno era bianco: il bianco della polvereche ricopriva i fiori, il bianco delle case dirupate e quello dei muret-ti a secco che delimitavano, in maniera più o meno occasionale, ilpercorso dalla campagna.

Incrociammo una vecchia tonnara ormai senza tetto, divenuta metadei ragazzi che lì, di nascosto, mischiavano i loro sogni.

Arrivati, trovammo una piccola baia, quasi deserta, delimitata dadue aridi promontori a picco sul mare, che, da lontano, finivano coltoccare l’orizzonte.

Per camuffare la nostra gita, Aurora provò a coinvolgere alcunisuoi compagni di classe, o almeno così mi disse, ma troppo tardi:rimanemmo da soli.

Parlammo di lei, di Giorgio e di mia moglie. La trovai interessan-te; non sembrava una ragazzina, o almeno era quello che mi sforza-vo di credere. Persi subito l’imbarazzo della strana situazione, an-che grazie al suo sguardo ed al suo sorriso, che, come la casa dellebambole, mi fece dimenticare tutto il resto.

Da bambino, quando giocavo con mia sorella, avevo creato, in-sieme a lei, quasi dal nulla, una casa delle bambole. Soltanto inquelle occasioni, immergendomi completamente nella nuova real-tà, riuscivo a perdere il ritmo del tempo: anche mia sorella avverti-va la stessa emozione. Da grande non fui più capace di provarequelle sensazioni ed a tratti non riuscii più nemmeno a ricordarle.Aurora trovò il modo di riportarle alla memoria.

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bozza“Sei già stato qui, prof.?” mi disse, bagnata, tornando dal mare.“Penso di sì, anche se non ricordavo che questa spiaggia fosse

così bella.”Io stavo seduto con le gambe raccolte e lei, dopo aver strizzato

per gioco i capelli su di me, si sedette davanti, con le spalle poggia-te sulle mie gambe e la testa riversa sulle mie ginocchia.

“Sto trascorrendo proprio una bella giornata”, mi disse guardan-domi al contrario, mentre io cominciai ad accarezzarle i capelli ba-gnati.

“Pensi ancora a lei?”, mi sussurrò all’improvviso.“A mia moglie?”“Sì.”“Certo! Come non potrei. Siamo stati insieme quindici anni”, le

risposi distogliendo lo sguardo.“E come stai? Adesso sembri più sereno!”“Più sereno? A tratti sto anche peggio di prima. All’inizio la stan-

chezza mi aveva dato la spinta di stare lontano da lei, ma ora ilricordo ha sconfitto la stanchezza ed ha fatto riaffiorare tante altresensazioni. Stare in quella casa, poi, non mi aiuta di certo.”

“Tu la ami ancora!”“Non lo so, però non sono ancora riuscito a perdonare a me stes-

so tanto dolore. Chissà se ci fosse stata un’altra strada: non riesco apensare ad altro!”

“Ma allora perché hai deciso di chiudere con tua moglie? Questonon l’ho mai capito.”

“Se hai raggiunto la profonda convinzione che la persona che haiaccanto non ti ama più, cosa fai? Insisti! Fino a quando? Io mi sonoposto un limite, oltre il quale non ero disposto ad andare. Avreiaspettato tutta la vita se avessi saputo che alla fine c’era lei. No!Alla fine ho trovato altri dubbi, altre domande ed altra tristezza.Soltanto allora decisi di andare via e soltanto allora, come per in-canto, per la prima volta, mi disse che aveva bisogno di me: im-provvisamente aveva sciolto tutti i suoi dubbi. Solo in quel mo-

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bozzamento, però, capii che la spiegazione che mi ero dato era un’inven-zione: lei era stata muta ed io sordo.”

“E la prof. di francese?”, disse maliziosa per cercare di smorzareil tono serio.

“Cos’è un interrogatorio?”“Bravo! Come hai fatto a capirlo? Frequentando la polizia ho im-

parato tante cose.”“Stefania è una ragazza molto dolce e carina, ma …”“Ma?”“Sai come sono gli uomini: fanno finta di non capire e quando

capiscono, diventano conigli e fuggono. Tra uomini e donne c’è unagrande differenza: noi siamo figli di Adamo, le donne no, di Eva.”

“Capisco! Tu vorresti giocare, lei, invece, alla sua età si è stancatadi farlo. Per te ci vorrebbe una donna più giovane che non fa pro-grammi.”

Le sue parole sprofondarono come pietre. Il mio imbarazzo au-mentò fino a colorirmi il viso: uscii da quella situazione prenden-dole la mano e trascinandola nuovamente in acqua. Iniziò a gridareper gioco.

“Dai, non voglio. Sono appena uscita.”“Non fare i capricci, bimba. C’è caldo; facciamo il bagno.”Io entrai subito e lei, dopo un po’, saltò fuori da sotto e riemerse

vicinissimo a me.Mi mise le braccia attorno al collo, mi guardò fisso e mi baciò a

lungo.

Tornammo in paese prima del previsto: Aurora era stata morsaalla mano sinistra da una medusa.

In macchina, come se nulla fosse accaduto, parlammo di Giorgioe di quella brutta storia: cercai in tutti i modi di non incrociare isuoi occhi.

“I miei contatti con Scuderi si limitavano a quella pratica. Quan-do capii che intenzioni aveva, mi feci da parte. È vero che sono

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bozzastata qualche volta a casa sua ed è anche vero che Giorgio questacosa non l’ha mai mandata giù, ma, per il resto, non so nulla. Quellasera ero a casa con mia mamma e poi ho ricevuto la telefonata diGiorgio.”

“Tutti gli altri elementi sono legati tra loro; Giorgio era nelle manidi Scuderi, dal quale aveva ricevuto un prestito: per saldarlo avreb-be dovuto tenere i contatti tra lui e la signora Torrisi, altra vittima,forse; e poi ci sono questi due napoletani.”

“E poi c’è l’assessore, non lo dimenticare. Anche lui conoscevabene Scuderi: li ho visti molte volte insieme. Mia madre mi ha dettoche qualche anno fa Scuderi lavorava in una delegazione comunaledi una piccola frazione; fu proprio l’assessore a portarlo in paese eda promuoverlo.”

“Aurora, ogni volta che parliamo di questa storia, tiri in giocol’assessore o sua moglie; sai qualcosa che io non so?”

“No! Ma è indubbio che i soldi andavano a finire da qualche altraparte: questo lo ammetteva anche Scuderi; certo … non ha maifatto nomi, però…”

“Ma perché proprio lui?”“E chi se no?”, mi chiese stupita.“Dai … non si può accusare una persona per esclusione.”“A me quello non è mai piaciuto. Ma in che mondo vivi! Per avere

una pensione o per un posto di lavoro, tutto il paese va da lui. Haivisto in che casa vive?”

“Beh … questo che c’entra! Se la sarà fatta condonare da Scude-ri.”

La battuta fu poco felice, ma fortunatamente il paese era ormaivicino.

Arrivammo a casa mia quando il sole era già basso ed allungava leombre. Mi fermai e, fingendomi distratto, le dissi: “Sali … ho l’am-moniaca per la ferita della medusa. Ti farà bene, vedrai.”

Annuì col capo e mi ricambiò lo sguardo con la coda dell’occhio.

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bozzaIl sole sbatteva contro le pareti e colorava la stanza in maniera

insolita. Perdendo il mio sottile disagio, le presi la mano e le baciaiil dito “ferito.”

“Adesso come va?”, le chiesi sottovoce.“Molto meglio, ma non del tutto.”“E adesso?”, le sussurrai, mentre cominciai a baciarle il palmo

della mano.Mi accarezzò le ciglia e si sedette sulle mie gambe. La strinsi forte

fino a sentire il battito del suo cuore; presto sentii anche la suabocca e tutta la sua passione.

Il rossore della sua pelle cresceva velocemente ed il calore si uni-va al mio.

Alla fine si addormentò su di me ed io rimasi a guardarla.Ricordo ancora ogni istante di quella sera.

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bozzaCAPITOLO XVI

Ero felice, ma molto confuso; non poteva durare, pensai: lei ave-va diciannove anni ed io quasi il doppio.

Era da tempo che non stavo così bene con una donna.La mattina dopo le telefonai più volte, ma non rispose; pensai

stesse ancora dormendo. Invece chiamò Stefania che sembravavolesse dirmi qualcosa.

Andai subito da lei e le portai anche dei fiori.La trovai raggiante e risoluta.“Ciao bella! Questi sono per te.”“Grazie. Era da tanto che non mi facevi un regalo.”“Ti trovo benissimo. Sembri felice.”“Felice? Sto bene e tu? Non ti sei fatto più vedere da quella volta;

mi avevi detto che saresti venuto presto.”“È passata soltanto una settimana; non sono mica sparito!”“Sei stato al mare? Sei abbronzato!”, mi chiese sorridendo.“No! Ho solo letto in terrazza”, le risposi, cercando di dissimula-

re il mio imbarazzo.Rimanemmo in giardino e mangiammo dei biscotti che aveva ap-

pena preparato; dopo un po’ Stefania mi richiese della mia abbron-zatura, ma cambiai subito discorso.

“Cosa volevi dirmi?”“Una cosa bella!”“Dai, non tenermi sulle spine.”“Sei pronto?”, mi chiese spalancando gli occhi.

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bozza“Spara!”“Ho due settimane di ritardo: è la prima volta che accade. Ho già

fatto il test della farmacia ed è positivo.”La guardai fissa negli occhi, ma rimasi immobile. Lei si avvicinò,

come se volesse abbracciarmi, ma la mia reazione la bloccò.“Lo sapevo che avresti reagito così! Non avrei dovuto nemmeno

dirtelo; – mi disse furiosa – io vado avanti in ogni caso, con te osenza di te.”

“Aspetta un attimo … non fare così. Lo è pure per me.” Le presila mano e la tirai verso di me, ma pareva non fidarsi delle mie paro-le: rimase distante.

“Sono soltanto sorpreso dalla notizia, non me l’aspettavo!”“Se tu decidessi di stare accanto a me, sarò la donna più felice del

mondo, ma non in questo modo; non voglio un uomo che comparee scompare all’improvviso, senza alcuna spiegazione. Se vuoi que-sto, puoi anche fare soltanto il padre, se ti va, ma nient’altro. Nonmi serve un uomo così. Ce la farò anche da sola.”

La abbracciai e cercai di rassicurarla, ma continuavo a sentirlalontana.

All’inizio ero sconvolto, ma dopo i primi attimi, riuscii a vederetutto sotto una luce nuova.

Un figlio? Ma in fondo non era ciò che volevo? Però … ora?Avevo voglia di parlarne con qualcuno e andai da Giuseppe.Gli raccontai della sorpresa tutto d’un fiato; le mie parole caoti-

che e slegate non riuscirono a nascondere né l’eccitazione né tuttala mia ansia. Mentre Giuseppe mi abbracciava, con la coda dell’oc-chio mi accorsi che la più piccola delle sue figlie correva verso dinoi: la sollevai e la mettemmo in mezzo.

“Ora cosa farai?”, mi disse, quasi a voler tornare con i piedi perterra.

“Non lo so! Innanzi tutto aspettiamo la conferma del medico epoi vediamo. Nei prossimi giorni dovrò andare dall’avvocato per la

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bozzaseparazione e presto spero di vendere casa; per questo, però, dovròparlare con mia moglie.”

“Sai che non mi riferivo a questo.”“Non lo so!”, gli risposi cominciando a passeggiare nervosamen-

te per la stanza.“Ora che sei impegnato, dovrò condurre le indagini da solo”, dis-

se per distrarmi un po’. “Per quello non ti preoccupare. Un po’ di tempo lo posso anche

trovare. A proposito ci sono novità?”, gli domandai con la voglia difuggire dai miei dubbi.

“In effetti, qualcosa di nuovo c’è. Ho saputo che la versione diAurora è stata confermata dai ragazzi che lavorano al pub; Giorgioaveva conosciuto quel napoletano proprio lì. Era arrivato da pocoin paese, con la madre, ma non so ancora perché.”

“Una volta Aurora mi disse che Giorgio si vedeva con una donnapiù grande di lui, che non era delle nostre parti: potrebbe essere lamadre di questo ragazzo. Anche il vicino di casa di Scuderi sostieneche, qualche ora prima del delitto, ha visto una donna forestieraentrare in casa.”

“Allora – disse Giuseppe – ricapitoliamo. Nel pomeriggio questadonna napoletana va a casa di Scuderi e litiga con lui. Sicuramentenon era una vittima dell’usura: avrebbe trovato facilmente a Napoliciò che cercava. Poco dopo, qualcuno torna da Scuderi, molto piùarrabbiato della donna, e lo prende a pugni. I due si battono e qual-che colpo è più violento degli altri. Forse in quel momento arrivaGiorgio che vede qualcosa, capisce di essere in pericolo e fugge.Che ne pensi?”

“E che dava una festa quella sera Scuderi?”Scoppiamo a ridere e per un po’ riuscimmo a parlare d’altro. Qual-

che minuto dopo fui io a riprendere il discorso interrotto.“L’atteggiamento di Giorgio mi sembra contraddittorio: l’alibi lo

crei per la polizia, fuggi, invece, perché ti senti in pericolo, e noncon la giustizia.”

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bozza“Dovremmo capire perché questi due sono venuti in paese e per-

ché hanno fatto amicizia con Giorgio”, continuai io.“Vieni con me. Andiamo a fare una passeggiata a Catania”, escla-

mò all’improvviso Giuseppe.“A Catania? A fare che?”“Andiamo all’aeroporto. Conosco una persona che ci potrà dire

quante volte questi due sono arrivati in Sicilia.”“E se fossero arrivati in treno?”“In treno fino in paese? Per fare 100 chilometri avrebbero impie-

gato sei ore. Si sarebbero comunque fermati a Catania.”

Durante il viaggio non riuscii a pensare ad altro che a Stefania:ero nervoso e molto confuso. E poi c’era Aurora.

Giuseppe mi chiese di lei, ma capì che ero evasivo e tornò a par-lare del caso. Stava puntando molto su quel servizio, visto che ilgiornale non navigava in buone acque e l’interesse suscitato in pa-ese dagli omicidi aveva fatto aumentare le vendite.

La strada era libera ed andammo spediti.Quando arrivammo alle porte di Catania il sole era ancora alto.

Passammo dai luoghi nei quali, qualche giorno prima, ero stato conAurora; e adesso? Sembrava fosse passato un secolo!

Entrammo dal porto e attraversammo le nere cupole baroccheche si spingevano fino al cielo. Dai coloriti e rumorosi luoghi dellacittà si respirava un’aria diversa; da ogni parte, poi, da ogni via,alzando gli occhi, c’era sempre la montagna.

Proprio mentre pensavo ad Aurora, mi arrivò un suo messaggio;lo lessi una prima volta sotto voce, ma sospirai forte. A quel punto,cercando un conforto, ne parlai con Giuseppe: abbassai la radio erilessi il messaggio, ma questa volta ad alta voce.

“Grazie tanto prof. Ho passato una splendida serata. Non ero maistata così bene con un uomo; purtroppo il tempo è volato. Nonvedo l’ora di riabbracciarti. Un bacio ed a prestissimo.”

“E ora che faccio?”

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bozza“Tu sai come la penso. La storia con Aurora, per quanto bella ed

emozionante, non potrà mai avere un futuro. Passata la sbornia, tiaccorgerai che è una ragazzina con la quale non hai nulla in comu-ne. Ti ritroverai ad andare in discoteca ed a fare i falò in spiaggia.Comunque capisco che la scelta è dura.”

“Mi dispiace, ma penso che tu non possa capire fino in fondo.”“E invece sì! Anch’io ho sposato mia moglie perché era incinta,

ma ogni volta che tengo in braccio i miei figli sono felice della scel-ta. L’amore è tutto quello che rimane quando l’ardore della passio-ne si attenua e presto ti accorgeresti di non poter vivere accanto aduna bambina. Anche per me è stata dura decidere, non credere:avrei voluto continuare gli studi e poi in quel periodo stavamo perlasciarci. Non voglio convincerti, ma voglio soltanto dire che ti ca-pisco.”

“So bene che le due cose stanno su piani differenti, ma mi sentonuovamente di dover rinunciare all’amore: prima a quello di miamoglie e poi ad Aurora.”

“Ammesso che ciò che provi per Aurora sia amore, non sei statotu ad insegnarmi che da solo non basta?”

“Sì è vero, ma in ogni caso non sto per niente bene. E ora chefaccio, rispondo ad Aurora?”

“Forse è meglio che la chiami e le dici che le devi parlare.”“Hai ragione ... come al solito!”La chiamai. Fu dolcissima all’inizio, ma quando capì che c’era

qualcosa che non riuscii a dirle, divenne seria ed a tratti scontrosa.Le dissi che quella sera sarei rimasto a Catania fino a tardi e chel’indomani l’avrei chiamata. Quella telefonata mi lasciò l’amaro inbocca ed un profondo magone.

Arrivati all’aeroporto, Giuseppe andò da un suo amico per averedelle informazioni: i due napoletani erano venuti in paese in aereocinque giorni prima dell’omicidio di Scuderi e poi probabilmenteerano ripartiti in treno, poiché non c’era alcuna prenotazione per ilritorno. Esisteva un biglietto di sola andata anche a metà febbraio.

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bozzaCoincideva con quanto aveva detto Aurora – pensai – a proposi-

to dell’incontro al pub tra Giorgio e quel ragazzo.Mentre stavamo andando via, però, l’amico di Giuseppe ci rin-

corse ed urlò che il ragazzo era venuto in paese anche alla fine dimaggio, però da solo.

“Grazie!”, disse Giuseppe.Io lo guardai esterrefatto e gli chiesi: “Hai capito? A fine mag-

gio!”“Sì, sì, ho capito. Che sarà venuto a fare in paese?”“Come diavolo fai a non aver ancora capito. Quando è stato ritro-

vato il corpo di Giorgio? – urlai per scuoterlo – Tra il 30 ed il 31maggio.”

“Mamma mia! È vero. Ma allora …”Ci incamminammo pensierosi, ma senza dire una parola. Dopo

alcuni minuti, Giuseppe esclamò: “Adesso ti porto in un altro po-sto, ma giura che non dirai nulla.”

“Promesso. Dove si va?”“Non fare quella faccia: tutto lecito. Andiamo a saperne di più su

questi due: Dario Caravale e sua madre, Concetta Chiariello.”“Come fai a sapere come si chiamano?”“Ho i miei informatori!”, ribatté ironico.Non volle dirmi come, ma uno di questi suoi informatori, una

specie di mago del computer, a metà tra un poliziotto ed un delin-quente, aveva scoperto che la signora Chiariello, nel 1989, quandoancora il ragazzo aveva due anni, intentò una causa contro Scuderiper il riconoscimento della paternità. La donna subito dopo, però,rinunciò all’azione giudiziaria, prima che si arrivasse alla sentenzadefinitiva.

“Sicuramente Scuderi comprò la rinuncia. Quei soldi, dopo cosìtanto tempo, saranno finiti e i due, adesso, sono venuti in paese perchiedere un’altra sovvenzione”, disse Giuseppe.

“O magari un vitalizio.”“Sì, ma che c’entra Giorgio?”

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bozzaTornammo in paese a notte fonda più confusi di prima e non mi

parve opportuno chiamare né Aurora, né Stefania.

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bozzaCAPITOLO XVII

Quella notte non riuscii a prendere sonno.Un filo di luce entrava nella stanza e confondeva i contorni delle

cose; in quell’atmosfera irreale anche una voce che, da fuori, si le-vava più alta delle altre, suonava fantastica e terribilmente lontana.

Mi affacciai attratto dalla luce abbagliante, amorfa, delle vetrinee dai neon gialli delle strade, tenuti in alto da vecchi fili che da unaparte all’altra univano i palazzi liberty del corso: non dormivo.

La notte era stellata e ferma; le ombre fugaci provocate dalle luciartificiali arrivavano ad intermittenza, interrotte dalle macchine chene oscuravano a tratti i bagliori. Il vento faceva oscillare i neon e laluce sembrava ondeggiare; si muoveva tutto intorno a me: non dor-mivo.

Contai i rintocchi delle campane ogni volta più distanti; contai itetti delle case, per celia, da una parte all’altra; alla fine contai an-che i canti del gallo. Ero arrivato “a quel limite in cui stanchezza esonno si fanno lucida febbre, come se da sé si consumassero per darluogo a un ardente specchio di immagini”: non dormivo.

L’indomani, per cercare di recuperare un po’ di serenità, decisi diandare in campagna da mia sorella.

Il sole era già alto e forte; passai dal paese per prenderle qualcosa:per fare in fretta, feci il giro dalle scale della chiesa. Lì incontraialcuni miei alunni di qualche anno prima, dai quali ricevetti un’ac-coglienza calorosa. In fondo era questo che dava senso al mio lavo-

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bozzaro, poiché per il resto avrebbero dimenticato tutto. Erano cresciutipiù in fretta del previsto; mi stupivo sempre a rivedere i ragazzidegli anni passati ed ogni volta i loro visi mi riportavano alla menteil trascorrere veloce del tempo. Anche in quell’occasione, con lostesso stupore di sempre, chiesi: “Hai già 23 anni? È passato cosìtanto tempo?” Uno di loro mi ricordò che quell’anno in gita venneanche mia moglie.

Li salutai velocemente e tornai in macchina un po’ più rinfranca-to, poiché, poco prima di andare via, uno di loro – l’unico con ilquale credevo di non essere riuscito ad instaurare un rapporto in-tenso – mi disse: “Prof., ogni volta che penso ad un insegnantepenso a lei; ricordando quei giorni mi viene in mente l’immagine ditanti bambini di colore in un villaggio sperduto dell’Africa seduti incerchio, e lei con loro.”

L’immagine mi piacque molto; era fortemente evocativa.

Giunto da mia sorella, riuscii, anche solo per qualche istante, ariprovare le sensazioni della casa delle bambole.

Rimasi lì tutto il giorno, quasi nascosto; non chiamai né Stefania,né Aurora, consapevole che la mia fuga non avrebbe risolto alcunproblema.

Almeno dormii.Tornando a casa, passai da una vecchia strada di campagna che

non percorrevo da anni; in quei luoghi l’atmosfera rimaneva sospe-sa: il grano non era stato ancora raccolto e le pecore, come quandoero bambino, rimanevano all’ombra dei carrubi.

Prima di rientrare, passai da Giuseppe.

Appena arrivai, mi disse che c’erano delle novità sul caso, ma inquell’occasione, per la prima volta, decise di rimanere nel vago.Anche lui aveva le idee poco chiare, ma promise che mi avrebberaccontato tutto al più presto. Mi disse soltanto che avrebbe dovu-to incontrare un pezzo grosso del paese che sapeva qualcosa di

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bozzamolto interessante.

Insistette anche per andare da solo all’appuntamento: era unaquestione delicata. La vicenda per certi versi si stava sciogliendo,per altri, invece, si complicava, spalancando scenari fino allora im-previsti. Proprio quel pomeriggio Giuseppe pensò di proporre il suoarticolo anche ad alcune testate giornalistiche nazionali: stava la-vorando tanto.

Alla fine mi raccontò tutto.Si incontrarono a mezzanotte davanti l’ingresso della villa. Giu-

seppe aspettò un po’ in macchina con i fari spenti. Dopo qualcheminuto una vecchia automobile grigia lo affiancò e richiamò la suaattenzione con alcuni segnali delle luci, che furono interpretati comeun invito a seguirlo.

Camminarono per qualche chilometro, fino alle serre vicino lanazionale. Lì scese un anziano, che, nonostante il buio, Giuseppericonobbe: era uno dei grandi vecchi della politica comunale. Ave-va retto le sorti del paese con la sua famiglia ed il suo partito perdecenni, ma, adesso, era stato messo da parte dai giovani rampantie molto più agguerriti di lui.

La delusione e la rabbia lo portarono a contattare Giuseppe perrendere noto a tutti ciò che, da un paio d’anni a quella parte, stavaaccadendo in paese.

Dopo alcune formalità e dopo le pressanti rassicurazioni sull’ano-nimato, l’uomo cominciò a raccontare tutto quello che sapeva, an-che se preferì non fare nomi; sarebbe stato facile per Giuseppe –aggiunse – capire.

“Scuderi era solo una pedina, il terminale ultimo di un sistemadelinquenziale che era stato messo su per creare un’enorme rete diestorsioni e di usura che andava oltre i confini del paese. Per farequesto, alcuni impiegati furono allontanati dal comune ed altri, benpiù fedeli, furono promossi ed avvicinati al centro. Anche all’inter-no del partito è avvenuto … diciamo … un ricambio generazionale

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bozzache non promette nulla di buono. Io queste cose le potrei persinoprovare, ma …”

“Capisco!”, disse Giuseppe.“In questa redditizia struttura ad un certo punto, però, qualcosa

si è inceppato, fino alla rottura, con la morte di Scuderi. Non soperò cosa sia accaduto.”

“Questo lo so io!”, proseguì Giuseppe.“Cosa?”“Un evento inaspettato, del tutto casuale. Una vittima del siste-

ma si era stancato di prendere ordini e di fare soltanto il corriere eper questo chiese di essere liberato dal debito o di essere inseritoufficialmente nell’organizzazione, altrimenti avrebbe riferito tuttoalla polizia. A questo ragazzo se ne aggiunse un altro, figlio natura-le della vittima, sebbene mai riconosciuto.”

“Sì, ma come riescono i due ragazzi a fare pressioni?”“Il primo aveva saputo da una sua amica che Scuderi non faceva

soltanto l’usuraio, ma aggiustava anche alcune pratiche edilizie. Perquesto motivo, incoraggiato dalla coalizione col figlio, decisero disottrarre alcuni incartamenti e lo ricattarono.”

“Mi pare, però, che alla fine fu trovata soltanto una pratica e puresvuotata di ogni cosa compromettente”, ribatté il vecchio politicocon la voglia di capire bene il meccanismo.

“Sì, ma dalle scrivanie di Scuderi, sia quella del comune, sia quel-la di casa, sparirono misteriosamente anche tutti gli altri incarta-menti.”

“Perché allora rimase soltanto quello?”, chiese il vecchio.“Perché sin dall’inizio si è cercato di dare ai due omicidi una chia-

ve passionale; se ben ricorda, in paese, si sparsero subito delle stra-ne voci su Scuderi e sulla fidanzata del ragazzo”, disse Giuseppe.

“Scuderi a quel punto chiese ai capi di smettere, almeno per unpo’, e per alcuni giorni si mise in malattia.”

“Questo non lo sapevo”, esclamò sorpreso Giuseppe.“In comune lo sapevano tutti. Era una cosa piuttosto strana: Scu-

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bozzaderi non si assentava mai.”

Dopo un po’ il vecchio politico, abbassando sempre più il tonodella voce e guardandosi nervosamente intorno, chiese: “Ma per-ché lui e non l’altro ragazzo?”

“Perché l’altro rimase nell’ombra: era la madre che trattava al postosuo. Si pensò, quindi, che la minaccia maggiore arrivasse da Gior-gio, sospettato, tra l’altro, di aver ucciso Scuderi; soltanto ammaz-zando il ragazzo, la questione sarebbe stata chiusa.”

“Quindi i capi di Scuderi avrebbero sbagliato bersaglio.”“Penso proprio di sì; – ribatté sottovoce Giuseppe – Giorgio, po-

chi minuti dopo l’aggressione, fu visto con altre persone e non ave-va certo l’aria di chi avesse lottato. E poi non credo che il ragazzoscappò perché pensava di essere stato visto: aveva capito già datempo di essere in pericolo.”

“Ma allora adesso l’altro ragazzo, il figlio di Scuderi, potrebbeessere in pericolo?”, disse il vecchio.

“Penso proprio di sì!”Giuseppe mi raccontò che, alla fine, si guardarono dritti negli oc-

chi e si salutarono velocemente, scambiandosi di nuovo la promes-sa di segretezza.

L’anziano partì per primo, allontanandosi dal paese, e Giuseppetornò indietro.

Dopo quell’incontro, di notte, Giuseppe venne da me a lavorareper non svegliare le sue figlie; alla fine riuscì a stendere un articolomolto convincente.

La mattina seguente andò subito al giornale per proporre il servi-zio al caporedattore.

Lo stupore fu tanto, ma ancora più grande fu la rabbia, quandocapì che l’opinione del suo capo non coincideva per nulla con lasua.

“Ma allora lei mi vuole rovinare! Ma che idee sono queste? E poile prove? Non cita nemmeno dove ha preso queste notizie.”

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bozza“Mi scusi un attimo… vorrei soltanto farle capire… spiegarle.”Mentre andò via, senza nemmeno ascoltarlo, da un’altra stanza il

caporedattore urlò: “Torni a lavorare e mi porti un articolo serio,altrimenti …”

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bozzaCAPITOLO XVIII

Il caldo si era fatto torrido ed il paese come ogni anno si era svuo-tato. Nonostante il forte vento di mare, che rendeva l’acqua biancae schiumosa, la spiaggia era piena.

Prima di andare da Stefania, mi ero fermato qualche istante avedere la curva della riva che si perdeva sfumata nel cielo da unlato e dall’altro. Le case bianche, in lontananza, che brillavano indi-stinte, segnavano la fine del paese.

Quel giorno saremmo dovuti andare dal medico per sapere la ve-rità: ero emozionato ed avevo ancora evitato di parlare con Aurora.Ci sentivamo per telefono e la trovavo ora dolce ora infastidita,probabilmente per il mio voler spostare sempre più in là il nostroincontro.

Quella volta, però, mentre stavo seduto sui muretti del lungoma-re, decisi di chiamarla.

“Ciao bella, che fai stasera?”“Non lo so”, rispose quasi di getto.Dopo un attimo di silenzio, però, aggiunse: “Ma niente, stupido.

Aspettavo che me lo chiedessi. Non vedo l’ora di rivederti. È pas-sato così tanto tempo.”

“Anch’io ho voglia di vederti …”, dissi senza concludere la frase.“Ma … cosa stavi dicendo?”“Nulla; Aurora, però, stasera vorrei parlarti.”“Di cosa?”, mi disse diventando seria.“Di noi!”

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bozza“Di noi? Che bello! E perché lo dici con quella voce?”“Scusami, bimba, adesso devo andare: ti passo a prendere stasera

alle 9. A dopo.”Chiuse subito senza dire altro ed io trascorsi tutto il resto della

giornata immaginandola arrabbiata. Per un attimo provai la stessasensazione che avevo nel ripensare a mia moglie.

Con Stefania andò tutto bene: il medico ci confermò che “erava-mo incinti.” Aspettando il responso, avevamo già deciso i nomi: sefosse stata femmina, l’avremmo chiamata Mariapaola, altrimentiLorenzo.

Stefania era raggiante!Anch’io ero contento, anche se non riuscivo a non pensare all’in-

contro con Aurora.Ancora una volta non avevo alternativa; ancora una volta l’amo-

re non sarebbe bastato: Giuseppe in fondo aveva ragione.Sebbene avessi pensato freneticamente alle parole da dire ad Au-

rora, rimasi tutto il giorno con Stefania. Parlammo di case: le dissiche ne avevo viste di molto belle tra la piazza ed il mare.

Tornai in paese nel tardo pomeriggio con la scusa di dover mette-re in ordine casa.

“Domani, però, ti vengo a prendere molto presto e andiamo avedere gli appartamenti di cui ti ho parlato”, dissi a Stefania primadi andare via.

“Tanto lo so dove vai!”“E dove?”, le chiesi guardandola stupito e cercando di dissimula-

re la mia paura.“Vai dal tuo amico a giocare a fare il detective. Non è vero?”“Scherza!”, le dissi tirando un sospiro di sollievo. “Il caso si è

fatto complicatissimo e coinvolge molte più persone di quelle cheimmagini.”

“Interessante …”, mi sussurrò divertita e poi aggiunse: “Ma se-

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bozzacondo te la polizia ha proprio bisogno del vostro aiuto? Ma sarannoanche capaci di fare da soli, non pensi amore mio?”

“A domani!”, e la salutai dandole un buffetto sulla guancia.

Appena la vidi, a casa sua, bellissima, dimenticai tutto ciò cheavevo in mente: sembrava felice di vedermi.

“Ciao prof., vedo che ti fai desiderare.”“Ciao! Non fare la stupida. Ti ho detto che ho avuto molto da

fare e poi ho ripreso a scrivere.”Io continuai a parlare e lei si avvicinò sempre di più, fino a che fu

di fronte a me. Le baciai il collo, scendendo fino al seno.“Aspetta un attimo. Cosa volevi dirmi?”, mi domandò seria.“Non possiamo spostare la discussione di qualche minuto?”“Certo che no!”, intimò decisa.“Hai ragione! Però non so da dove cominciare. Vieni qua.”“Ascolta ... non fare preamboli, per favore. Andiamo al sodo. Vuoi

dirmi che è stato bello, ti sei divertito, ma tra noi non può continua-re.”

“Non voglio dirti questo, ma …”“Ma?”“Non ci crederai, ma in questi giorni la mia vita è cambiata pro-

fondamente.”“Adesso basta! Non mi va di giocare. Vuoi dirmi cosa succede?”La guardai negli occhi e, non avendo altro da fare, le dissi deciso:

“Stefania è incinta. L’ho saputo dopo che siamo stati insieme. Cre-dimi!”

Rimase immobile per qualche secondo; mi guardò fissa e poi co-minciò ad indietreggiare.

“Visto che avevo ragione? Volevi dirmi che è stato bello, ma nonpuò continuare.”

“Non è così! Non sarei mai stato con te se lo avessi saputo prima.”“Bugiardo – urlò furiosa – e ora? Lo avresti fatto anche ora? Ep-

pure lo sapevi già. Se non ti avessi fermato io …”

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bozzaNon risposi.“Bugiardo! – continuò ad urlare – e di me cosa ne vuoi fare? Hai

già scelto lei, non è vero? In fondo io sono soltanto una ragazzina,non è vero? Rispondi.”

“Aspetta un attimo… Non è come dici!”“Vuoi dire che non hai già scelto?”“Non voglio dire questo.”“E allora, spiegati perché non sto capendo più niente”, mi disse

cominciando a piangere.Vedendola in quello stato e pressato dalle sue domande sempre

più incalzanti, ripetute, ossessive, non ricordai nulla di ciò che avreivoluto dire o fare; avrei voluto abbracciarla; mi avvicinai, ma rispo-se con uno spintone.

“Dimmi! Hai già scelto? Voglio un sì o un no. Non dire altro.”“Aurora…”“Un sì o un no”, urlò mentre singhiozzava.“Sì.”“Vattene! Sparisci.”“Aspetta un attimo, ti prego.”“Sparisci. Non voglio più vederti.”Andai via e da quel momento non la rividi più.Cercai alcune volte di incrociarla, facendo sembrare l’incontro

casuale, ma non ci riuscii; mi evitava accuratamente.Anche quella volta chiamai Giuseppe, l’unico che avrebbe potu-

to capirmi.Quella sera parlammo poco del caso: rimase ad ascoltarmi, nono-

stante continuassi ad esprimermi lentamente e slegato.“Non andare a casa; rimani qui a dormire. Per mia moglie non è

un problema”, mi disse affettuosamente.“Domani, però, dovrò andare da Stefania molto presto.”“Non importa! Rimani.”“Grazie!”Per tutta la notte continuai a pensare che, in fondo, Aurora, in

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bozzaseguito, avrebbe capito la mia decisione.

Ogni volta che mi sentivo in colpa, mi convincevo di aver fattol’unica cosa giusta e che il tempo mi avrebbe dato ragione. Nonavrei mai creduto di dover rinunciare a lei dopo così poco tempo.

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bozzaCAPITOLO XIX

Quella mattina mi alzai molto presto e rimasi a lungo in terrazza.Il sole si era appena affacciato e lo spicchio che usciva dalle ac-

que rendeva il manto del mare rosato ed immobile. Aspettai che lospettacolo si compisse.

La luce dell’alba, piano piano, prese il sopravvento: pareva spor-gersi dal verde tenue del mare per spandersi nelle rocce, negli alberie, da lì, salire verso l’alto.

Mano mano, però, i colori divenivano consueti e tutto sembravapiù familiare. L’aria era ancora fresca e si sentiva forte l’odore delsale.

Andai presto da Stefania e la trovai già pronta. Quel poco cheavevo immaginato del mio futuro stava andando completamenteall’incontrario: prima Aurora e adesso mi trovavo a parlare di case edi matrimonio.

Giunti in paese, sul giornale locale lessi una notizia del tutto ina-spettata: “Svolta nell’omicidio Scuderi: arrestato Dario Caravale.”Poi l’articolo continuava: “Anche se il ragazzo napoletano ha am-messo soltanto parzialmente le sue colpe, si aspetta l’esito dell’esa-me del dna per mettere la parola fine a tutta la vicenda. L’imputatoconferma di aver lottato con la vittima, ma sostiene anche di nonaverlo ucciso. Nonostante le dichiarazioni d’innocenza, però, ades-so il ragazzo è fortemente indiziato anche dell’altro omicidio, quel-lo di Giorgio Cilia: probabilmente la colpa della seconda vittima fudi aver visto qualcosa.”

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bozza“Avanti! Lo so che vuoi comprare il giornale. Non riesci proprio a

stare senza le tue indagini”, disse dolcemente Stefania.“Dai, non scherzare! In questa vicenda c’è qualcosa di poco chia-

ro! È vero che quel ragazzo ha preso a pugni Scuderi, ma perchéavrebbe dovuto uccidere Giorgio? È una favola pensare che ha vi-sto qualcosa: serve a coprire tutto il resto.”

“E tu che ne sai?”“Lo so! Il vicino di casa di Scuderi ha visto la madre del ragazzo

andare a casa sua, li ha sentiti litigare; dopo un po’ ha sentito unaltro furioso litigio, ma non ha mai visto Giorgio.”

“Ma scusami … non hai sempre detto che Giorgio si era creatol’alibi; come faceva a sapere l’orario esatto dell’omicidio?”, mi chieseStefania.

“Forse temeva che lo volessero incastrare perché si era opposto aScuderi ... e poi avrebbe potuto sapere di quella lite dal ragazzostesso o dalla madre. Il problema era un altro: Giorgio da qualchetempo aveva mostrato segni di insofferenza nei confronti di Scude-ri e la notizia era giunta ai suoi capi.”

“Pensi veramente che il ragazzo napoletano, o la madre addirittu-ra, abbiano chiamato Giorgio per dirgli: ‘Senti caro non ti fare ve-dere nei paraggi della casa di Scuderi, perché mio figlio oggi pome-riggio ha un appuntamento con lui per prenderlo a pugni. Grazie,caro. A presto.” Disse Stefania divertita.

“Ma certo che no! Il problema è capire fino in fondo che ruoloabbiano avuto in questa vicenda i capi politici di Scuderi.”

“I suoi capi? Andiamo Montalbano; mi sa che vedi troppi film”,disse Stefania e poco dopo aggiunse: “Vuoi sapere veramente ilproblema qual è?”

“Certo, dimmi”, le risposi con aria infastidita.“A te ed al tuo fidanzato la questione interessa soltanto dal punto

di vista ideologico. Avete finalmente l’occasione di smascherare unaclasse politica corrotta che combattete da anni e volete a tutti icosti coinvolgerla nell’omicidio di Scuderi. Ma non sarà un gioco

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bozzapiù grande di voi? Non è che vi siete montati la testa?”

Anche se in fondo aveva ragione, la risposta mi disturbò e cercaidi cambiare discordo, soprattutto quando concluse la sua riflessio-ne dicendo: “Certo … in più, nel tuo caso, c’è anche quella ragazzi-na!”

Da quel momento in poi parlai soltanto di case, ma feci in tempoad accorgermi che l’articolo, stranamente, non portava la firma diGiuseppe: appena ne ebbi l’occasione, lo chiamai.

“Ma che storia è questa? Addirittura pensano che quel ragazzoabbia ucciso anche Giorgio?”

“Beh … è la cosa più comoda da fare: in questo modo si chiude ilcaso e si lascia cadere tutto il resto.”

“L’omicidio di Scuderi è stato un incidente, quello di Giorgio no.Era lui il vero bersaglio. Scusami… e poi perché l’articolo non ètuo?”

“Non lo sai? Adesso dovrò occuparmi di un interessantissimoservizio sulla crisi del settore ortofrutticolo in Sicilia. Appena hoproposto il mio articolo, il caporedattore è andato su tutte le furie emi ha detto che non avrebbe mai pubblicato una porcheria del ge-nere. Fin quando non cambierò versione, non mi faranno stamparenulla. Proverò a proporlo ad altre testate giornalistiche.”

“Sei sicuro di quello che fai?”“Dici che dovrei lasciare perdere tutto?”“Certo che no ... ma ti stai muovendo su un campo minato. Co-

munque conta su di me. Per adesso sono con Stefania e già comin-cia a guardarmi infastidita; stiamo vedendo delle case, ma, appenaposso, ti raggiungo e ne parliamo.”

“Non ti preoccupare; torna da lei. A presto.”

Dopo aver accompagnato Stefania, avrei voluto tornare in paese,ma rimasi da lei a pranzo: me lo chiese con degli occhi che nonavrei mai potuto tradire.

Lì, mi venne un’idea: sarebbe stato interessante parlare con la

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bozzamadre del ragazzo; dopo ciò che è accaduto, probabilmente, è tor-nata in paese, pensai.

A Giuseppe la proposta piacque: ci saremmo visti l’indomani nelprimo pomeriggio. Lui avrebbe cercato di sapere dove abitava.

Arrivai da lui prima del previsto, ma non mi fece aspettare.Trovammo una signora disperata, ma cordiale e disposta ad aiu-

tarci; capì subito che non credevamo a tutto ciò che si diceva.Ci mise a nostro agio ed iniziò subito a raccontare.“Mio figlio ha sbagliato, lo so, ma non è un assassino. È stato

aggredito da Scuderi e si è difeso. Quando è andato via da quellamaledettissima casa, quell’uomo era ancora vivo. Io gli credo! Epoi è una follia pensare che abbia ucciso anche quell’altro ragaz-zo… e perché? Erano diventati pure amici.”

Poco dopo cominciò a raccontare tutto dall’inizio.“Conobbi Scuderi a Malta vent’anni fa; era sicuro di sé, dolce e

molto affascinante. A me sembrò che facesse sul serio con me, in-vece… Tornata a Torre del Greco, scoprii presto di essere incinta emio padre mi convinse a denunciarlo per violenza carnale. Ero cer-ta di non poter vincere quella causa e poi sapevo benissimo di nonessere stata violentata; volevo, però, a tutti i costi, che riconosces-se suo figlio: non volle sentirne parlare. Allora intentai un’azionegiudiziaria per il riconoscimento della paternità, ma poco dopo midiede dei soldi – tanti soldi – e lasciai perdere tutto: credetemi, mifacevano comodo.”

“Signora… la prego! Non ha nulla da giustificare”, disse Giusep-pe affettuosamente.

“Pressata da mio figlio – continuò – qualche tempo fa, contattainuovamente Scuderi. Andai a casa della madre, che avevo cono-sciuto parecchi anni prima. Lì, i vicini di casa mi dissero che l’an-ziana donna era morta da tempo ed il figlio si era trasferito in unabella villa appena fuori il paese. Dario era venuto con me e, veden-do che quell’uomo aveva fatto fortuna, ebbe uno scatto d’ira e vol-le a tutti i costi prendersi ciò che gli spettava. Per qualche giorno si

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bozzaappostò davanti casa di Scuderi e scoprì che Giorgio andava spessolì. Una sera li vide litigare furiosamente e pensò che quel ragazzoavrebbe potuto aiutarlo. Contattò Giorgio, lo incontrò al pub e gliraccontò il suo piano; alla fine lo convinse e si allearono.”

La donna interrompeva spesso il suo racconto ed ogni volta pas-seggiava nervosamente per la stanza. Noi non le facevano alcunapressione: era lei, poco dopo, a riprendere, quasi a volerci convin-cere dell’innocenza del figlio.

Quando tornava a sedersi incrociava le mani sul petto, quasi avolerci pregare, con quel gesto, di crederle.

“I ragazzi avevano saputo di alcune truffe di quell’uomo e cosìriuscirono a sottrarre diversi documenti, tra cui quelli della fidanza-ta di Giorgio; non volevano coinvolgerla, però.”

“Giorgio non voleva! A Dario, invece, non interessava per nullasalvaguardare Aurora e voleva andare fino in fondo”, mi sussurròGiuseppe, mentre la signora per un attimo era in cucina.

Appena tornò, cominciò a raccontare nuovamente.“Quel pomeriggio Giorgio mi confessò che era un po’ preoccupa-

to per Dario; una volta, addirittura avrebbe detto: A quello lo siste-mo io.”

“Beh … in effetti signora – disse Giuseppe – questo non va afavore di suo figlio; se si dovesse sapere, potrebbe essere conside-rato un movente.”

“Lo so! – rispose spaventata – Mio figlio va spesso su tutte lefurie, ma poi si calma subito. Fu per questo che andai da Scuderi,per evitare che andasse prima lui: ero convinta a chiudere la que-stione, in un modo o nell’altro; se non avessi ottenuto nulla, nem-meno quella volta, l’avrei mandato al diavolo e sarei tornata in pa-ese”, ci disse con voce commossa.

Mentre parlava, cominciò a strofinare sempre più nervosamentele mani sulle gambe e ad ondeggiare avanti e indietro con le spalle.

“Feci di tutto per convincerlo: urlai, tentai di impietosirlo, manon ottenni alcun risultato. Mi disse che già aveva dato tanto per

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bozzaquel ragazzo e che non era disposto a fare altro. Mi spinse con forzafuori di casa ed allora decisi di lasciare perdere, ma Dario non vollesentire ragioni. È colpa mia, non sarei dovuta venire qua. È tuttacolpa mia!”

Ci fermammo un po’; la signora parve provata, ma voleva a tuttii costi concludere il racconto.

“A quel punto, Dario andò di corsa da Scuderi; era deciso ad otte-nere ciò che voleva, oppure avrebbe raccontato tutto alla polizia.Non è vero?”, le chiesi deciso.

“Sì! Nel frattempo Giorgio era venuto qui. Gli dissi subito cheDario era andato a casa di quell’uomo ed era furioso. Allora lo chia-mammo al telefono per convincerlo a lasciare perdere. Mio figlio glirispose di smetterla e disse a Giorgio: Mi pare che all’inizio eri d’ac-cordo con me! Ma non avevamo deciso di dargli una lezione? Orache fai? Invece di venire qui ad aiutarmi, ti tiri indietro? Vigliacco!Non ti preoccupare ci penso io a lui.”

Dopo una breve pausa riprese: “Quella è stata l’ultima volta cheho visto Giorgio. L’indomani abbiamo saputo dai giornali che Scu-deri era morto. Siamo tornati subito a Torre del Greco e siamo ri-masti lì fino ad adesso.”

“Non vi siete più mossi dal paese? Ne è sicura?”, chiese Giusep-pe.

“Certo! Perché me lo chiede?”“Sappiamo che suo figlio è tornato in Sicilia qualche settimana fa!”“È stato qui? Ed a fare che?”“Purtroppo, signora, proprio in quei giorni fu trovato il cadavere

di Giorgio.”“Vi dico che non è possibile. Credetemi, vi prego! – Ripeté in

lacrime – quell’uomo era ancora vivo quando Dario andò via.”Con Giuseppe ci guardammo negli occhi senza parlare: sembrava

sincera.“Poi ci chiamò Giorgio, arrabbiatissimo, e disse: ‘Ora tutti in pae-

se penseranno che sia stato io. Se dovessero prendersela con me,

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bozzaracconterò tutto’. Mi ricordo che era spaventato e accennò anchead un problema che aveva avuto con alcuni amici di Scuderi. Nonso altro, però!”

“Lo sappiamo noi, signora. Di questo non si preoccupi; comun-que… non so se capisce la gravità delle sue parole. In realtà Gior-gio fu veramente accusato dell’omicidio e quindi avrebbe potutocoinvolgere suo figlio. Questo è un movente molto forte”, disseGiuseppe.

Avvertimmo un profondo dolore ed una gran pena per quella don-na. Per questo motivo Giuseppe la interruppe prontamente, quasi avolerla sollevare dal dolore del ricordo.

“Grazie tante, signora! Quel che accadde dopo lo sappiamo”, dis-se Giuseppe.

Cercammo di rassicurare la signora in tutti i modi, promettendoledi dimostrare l’innocenza del figlio; in realtà le cose si erano al-quanto complicate, ma ci impegnammo a non raccontare a nessunoquella nostra chiacchierata.

Andammo via: decidemmo di fare due passi a piedi per schiarirciun po’ le idee.

“La strada sembra una sola: Dario, litigando con Scuderi, lo colpìtalmente forte da ucciderlo; in un secondo momento i capi, checredettero Giorgio colpevole, vollero chiudere la bocca a chi avevascoperto tante cose”, disse Giuseppe.

“E se ci fosse anche un’altra strada? Se Dario dicesse la verità”,aggiunsi io.

“Quale?”, mi chiese Giuseppe, mentre si fermò bruscamente.“Forse i capi avevano intuito che Scuderi stava sfuggendo di mano:

allora andarono a casa dell’uomo, dopo Dario, e gli diedero il colpodi grazia. Questo spiegherebbe perché tutti gli incartamenti spari-rono: comparve soltanto quello di Aurora.”

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bozzaCAPITOLO XX

Ormai da giorni continuava a ripetere le stesse cose: andò da Scu-deri, litigarono, ma non lo uccise; per il resto diceva di non saperenulla.

La versione di Dario parve confermata da alcuni particolari. Ildna ritrovato nella casa di Scuderi era quello del ragazzo napoleta-no, ma i colpi inferti non sembrarono letali; nulla poté ricondurloné al casolare dove si nascose Giorgio, né alla sera dell’omicidio. Inquei giorni nessuno l’aveva visto in paese, ma in realtà nessunoricorda nemmeno di averlo visto a Torre del Greco, dove sostenevadi essere stato.

In ogni caso, Dario fu accusato formalmente di entrambi gli omi-cidi.

Ci sentimmo impotenti; sapevamo che le cose non erano andatein quel modo, ma riuscimmo a trovare soltanto pochi elementi chelo avrebbero potuto scagionare. Nulla, invece, venne fuori del si-stema di corruzione messo in piedi dall’assessore Torrisi.

Giuseppe in quei giorni rimase un po’ in disparte e, per rabbia neiconfronti di ciò che era accaduto al giornale, non si interessò alcaso. Aveva lavorato tanto, ma, dopo quelle “accuse false”, – comeil caporedattore aveva definito il suo articolo – non pubblicò nulla.

Dopo una prima fase – legittima – di apatia, tornò a dedicarsi aquella vicenda con il solito entusiasmo: per prima cosa cercò diparlare ancora col politico da cui aveva avuto le informazioni; quellavolta, però, non riuscì a sapere nulla di nuovo.

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bozza“E se stessimo sbagliando? Se fosse stato veramente Dario ad

uccidere Scuderi?”, disse un pomeriggio Giuseppe, mentre davodella cioccolata ai suoi bambini.

“In questi giorni anch’io ho pensato a questa eventualità. Se stamentendo, lo sta facendo veramente bene”, risposi io.

“E poi non so se è giusto nascondere che, quando Giorgio scom-parve, Dario era in paese.”

“Di questo non preoccuparti: la polizia lo scoprirà presto e luidovrà giustificarsi.”

Poco dopo aggiunsi: “Dai … torna ad interessarti al caso e vedraiche ce la faremo.”

“Va bene! Ma da dove cominciamo?”“Ad esempio, potremmo tornare a chiacchierare con la signora

Torrisi. Che ne pensi?”, suggerii io.“Mi sembra proprio una buona idea. Però questa volta fa’ il bra-

vo. Mi raccomando!”“Promesso!”, gli dissi sorridendo.Nonostante il sole fosse ormai tramontato, andammo subito; fa-

cemmo velocemente la strada fino al museo e passammo, distratti,dai muretti a secco che si sporgevano, bianchi, a picco sul mare. Lepalme, lì, erano alte e curve e nascondevano la campagna arida.

Arrivati a casa della signora Torrisi, lo stupore fu grande quandocapimmo che qualcosa era cambiato: l’accoglienza che ci era statariservata non era nemmeno lontanamente paragonabile a quella dellavolta precedente. Chiedemmo ripetutamente di poter parlare con lamoglie dell’assessore, ma alcuni operai ci fecero capire, in modonient’affatto velato, di non essere i benvenuti. Vista la nostra insi-stenza, entrarono in casa, forse a parlare con Torrisi, – ci accorgem-mo, infatti, che la sua macchina era in cortile – e quando tornaronoci spinsero fuori senza nemmeno farci aprire bocca.

Alla fine capimmo che sarebbe stato opportuno andare via, mapreferimmo farlo con le nostre gambe.

Avevamo lasciato la macchina per strada e passammo dal retro;

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bozzafu proprio lì che all’improvviso sentimmo urlare: “Ne ho abbastan-za di quei due. Non vorrei che la loro curiosità rovini tutto. Nonvoglio più vederli nei paraggi e non voglio nemmeno che continui-no a ficcare il naso nelle mie faccende. Sono stato chiaro?”

“Va bene!”, disse uno degli operai.“Bravi!”Accelerammo il passo ed entrammo in macchina; lì, alla fine della

strada, nascosti tra gli alberi, aspettammo che passasse Torrisi. Nelfrattempo, con un tempismo eccezionale, Giuseppe ricevette unatelefonata dal caporedattore del giornale.

“Salve! Ha preparato l’articolo che le avevo chiesto sul settoreortofrutticolo siciliano?”, disse deciso e senza alcun convenevole.

“È quasi pronto!”“Cosa vuol dire quasi? Vada a lavorare allora, invece di perdere

tempo in faccende che non la riguardano; tra due giorni al massimovoglio l’articolo sul mio tavolo, altrimenti è licenziato”, e chiusesenza dare il tempo a Giuseppe di rispondere.

Ci parve chiaro che l’ordine era arrivato dall’alto.In ogni caso, dopo più di mezz’ora la nostra attesa fu premiata; la

macchina posteggiata nel cortile passò da lì: era quella dell’assesso-re Torrisi ed era lui a guidarla.

Tornammo velocemente in paese, quasi senza dire una parola.Giuseppe mi chiese soltanto: “Ma cosa voleva dire, secondo te,Torrisi con quelle parole?”

“Quali parole?”“Dai, smettila … lo sai! Quando ha detto di non ficcare il naso

nelle sue faccende.”“Credo che in paese ormai tutti sappiano che ci stiamo interessan-

do al caso e penso che l’assessore non sia felice di questo”.

Arrivati in paese, Giuseppe preferì andare a lavoro ed io corsi allafabbrica della signora Torrisi.

Anche lì mi aspettava una sorpresa. Secondo gli operai, la signora

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bozzanon si faceva vedere in fabbrica da almeno due settimane.

“Mi scusi, ma cosa c’è di strano? Non era il marito che, ormai datempo, teneva in mano l’azienda?”, chiesi all’unico operaio che miparve disposto a dire qualcosa.

Mi invitò a spostarci rapidamente sul retro e lì mi sussurrò che lasignora da alcune settimane aveva ripreso a frequentare la fabbrica.L’ultima volta che fu vista, disse che avrebbe voluto controllaretutti gli ordini degli ultimi mesi. Il direttore si rifiutò, ma lei non siperse d’animo e andò via urlando: “Questo lo vedremo!”

In effetti aveva ragione l’operaio: quello non sembrava proprioun addio.

Da quella volta nessuno la vide più.Guardai l’orologio: era tardissimo. Avrei dovuto essere da Stefa-

nia già da un pezzo; mi toccava inventare una scusa, ma la immagi-navo già arrabbiata.

La trovai, invece, sul dondolo che guardava un catalogo di scar-pette e lenzuolini; anche lei non si era accorta che ero in ritardo.Almeno per quella volta mi salvai: era raggiante ed i vestiti si face-vano via via sempre più stretti.

Sperai che tutta quella storia finisse al più presto per potermi de-dicare completamente a lei; in quel momento, però, non avrei potu-to lasciare Giuseppe da solo.

Nei giorni successivi cercai di contattare la signora, ma nessunosapeva niente di lei: pareva svanita nel nulla.

In paese comparvero nuovamente alcune strane congetture, cam-pate in aria, tirate fuori chissà da chi. La versione “nera” diceva cheera stata rapita, quella “rosa” giurava di averla vista fuggire peramore con un ragazzo di Ragusa. Entrambe erano raccontate sol-tanto per far passare la noia dei lunghi pomeriggi di fine estate.

Alcuni giorni dopo, in una mattina di pioggia, la prima della nuo-va stagione, ricomparve nel modo più plateale possibile: accompa-gnata dall’avvocato di Dario, andò a parlare con i magistrati che

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bozzastavano seguendo tutta la vicenda. Nonostante Giuseppe non la-vorasse più al caso, andò anche lui.

“Dario era con me quando Giorgio fu ucciso. Era venuto in paesetre giorni prima del ritrovamento del cadavere, ma siamo andatisubito a Taormina. Abbiamo saputo del ritrovamento dai giornali.Non può essere stato lui. Se volete, potete parlare con il direttoredell’albergo; vi posso anche fornire tutti i resoconti delle carte dicredito e tutto ciò che volete. Siamo stati visti insieme anche allamostra d’arte moderna. Lui non c’entra nulla!”

In paese la notizia fu di quelle esplosive e riuscì a tirare in causaogni ilarità sul “gallettismo” siciliano e sul rigore morale delle don-ne.

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bozzaCAPITOLO XXI

Dopo che le dichiarazioni della signora Torrisi furono provate, edanche abbastanza agevolmente, un’accusa – ben più grave dell’al-tra – cadde e Dario fu incriminato soltanto di omicidio preterinten-zionale. Fu facile, infatti, per l’avvocato dimostrare l’innocenza delragazzo, almeno per quanto riguardava l’assassinio di Giorgio.

Anche il movente era piuttosto debole; ciò che sua madre ci con-fessò – la telefonata tra Dario e Giorgio – non fu svelato, nellasperanza di non aver riposto male la fiducia: quella telefonata sa-rebbe stata l’unica cosa che avrebbe potuto rafforzare il movente.

Invece, per quanto riguardava l’omicidio Scuderi fu difficile ve-nirne a capo: le prove contro di lui erano pesanti.

Il processo divenne subito un evento mondano ed attirò la curio-sità morbosa di tutto il paese e di una folta schiera di giornalisti; traquesti c’era anche Giuseppe – ed io con lui – ma in veste privata,perché ormai il caso gli era stato tolto.

L’avvocato, in aula, per prima cosa chiese una nuova autopsia sulcorpo di Scuderi, non completamente convinto di quella della pub-blica accusa.

In quell’occasione, con l’autorizzazione del giudice, nonostantela strenua difesa del pubblico ministero, fu effettuato anche l’esa-me del DNA sul corpo della vittima; fu facile provare la verità: Darioera figlio di Scuderi.

Tra lo stupore l’avvocato di Dario, sicuro di sé, rilanciò: “Appena

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bozzaavrò provato la non colpevolezza del mio assistito, intenteremoun’azione giudiziaria per ottenere ciò che ci spetta: l’eredità delsignor Scuderi.”

La notizia fu accolta in maniera piuttosto rumorosa dall’aula deltribunale, ma tra tutti intervenne, fuori di sé, il nipote della vittima,il figlio della sorella di cui, una volta, mi aveva parlato Aurora.

L’episodio mi riportò bruscamente alla mente quella mattina almare.

Dopo qualche secondo, ed a fatica, tornai a riflettere sul proces-so.

Il nipote di Scuderi, che fino a quel momento avrebbe ereditatotutto, cominciò ad urlare, tanto che il giudice fu costretto a far sgom-berare l’aula ed a rinviare l’udienza. Il baccano fu grande, ma ancheda fuori si sentì distintamente: “Assassino ... assassino!”

Giovanni – da quanto avevo saputo dall’avvocato – era un ragaz-zo piuttosto complicato, rissoso e collerico; abitava a Siracusa edaveva da sempre dimostrato di avere poca voglia di lavorare: avevagià superato i trent’anni. Per parecchio tempo, fino a qualche annoprima, era stato iscritto all’Università di Catania, cambiando piùvolte facoltà, senza riuscire a laurearsi. Ciò lo portò a più ripresesulla soglia di una depressione e per questo fu anche in cura.

Tra una facoltà ed un’altra aveva provato a fare qualche lavoret-to, ma, anche in questo caso, non ebbe molta fortuna: decise sem-pre di andar via prima di essere cacciato. I suoi amici dicevano chenon era fatto per prendere ordini da qualcun altro.

L’anno precedente si era buttato a capofitto – insieme ad un tipodi dubbia professionalità – in un’attività di import-export che agliocchi dei più sembrò balorda; i soldi, chiaramente, li chiese allo zio,nella speranza, più volte confessata, di non doverglieli mai più re-stituire: era l’unico erede e non aspettava altro che incassare quan-to dovuto.

Non stupì affatto che l’attività andò male, a causa della totaleincapacità di entrambi i soci.

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bozzaPoco dopo, però, si presentò il momento di dover dare conto allo

zio dei soldi ricevuti in prestito e i due entrarono più volte in con-flitto; questo particolare era confermato anche da quanto mi avevadetto Aurora e lo raccontai all’avvocato.

Scuderi, che considerava il nipote un idiota, avrebbe richiesto piùvolte i suoi soldi, dicendo alla sorella che lo faceva soltanto perresponsabilizzarlo; il ragazzo, però, era assolutamente squattrinato.

Allora Scuderi, pressato dalla sorella, si convinse ad aiutarlo: glipropose di lavorare per lui, ma, all’inizio, senza una lira per saldareil debito. Anche in questo caso era stato molto utile ciò che miaveva detto Aurora.

Questa versione fu confermata pure dalla sorella di Scuderi: se-condo lei, negli ultimi periodi, i rapporti tra zio e nipote si eranorasserenati e suo fratello aveva trovato il modo per aiutare il ragaz-zo.

Alla ripresa del processo era presente ancora più gente della voltaprecedente; erano venuti dal paese per vedere i protagonisti di quellatriste vicenda: sembrava la domenica di San Giovanni.

Ognuno scambiava pettegolezzi, curiosità e tutti confessavano diconoscere un particolare segreto che avrebbe risolto il caso.

C’ero anch’io; sebbene il mio interesse dopo la “fuga” di Aurorafosse scemato, accompagnai Giuseppe mai domo e sempre convin-to di scrivere, prima o dopo, un articolo su quella vicenda.

Il processo cominciò puntuale alle nove del mattino; la prima par-te fu dedicata agli esperti nominati dall’avvocato di Dario.

Secondo i risultati delle perizie incrociate tra il corpo e la casadella vittima, fu stabilito che l’arma del delitto sarebbe stata uncandelabro d’argento, sistemato su un comò appena davanti la por-ta d’ingresso, sul quale, però, non era stata rilevata alcuna impron-ta, se non quella di Scuderi.

Il corpo della vittima fu trovato lontano dal comò; in quel caso ilragazzo, dopo aver lottato, sarebbe dovuto andare verso la porta

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bozzad’ingresso, – come se stesse uscendo – prendere il candelabro, met-tere dei guanti, tornare indietro e colpire la vittima: questa ricostru-zione mi parve piuttosto fantasiosa.

Un altro particolare importante venuto fuori dalle analisi dellascientifica fu che il dna di Dario fu trovato soltanto in una stanza.

“Signor giudice, signori della corte – cominciò fermamente l’av-vocato – questo significa solamente una cosa: la vittima era già solaquando, ferita, è andata nelle altre camere, forse per chiedere aiuto,oppure per nascondersi dal vero assassino, che nel frattempo eraappena entrato in casa. Come sostiene il mio cliente, infatti, scap-pando precipitosamente, dopo aver lottato con Scuderi, uscì di casachiudendo la porta.”

“Questo non prova niente, signor giudice; l’aver rinvenuto le im-pronte dell’aggressore soltanto in una stanza non dimostra nulla”,interruppe l’avvocato dell’accusa.

“E invece si! Prova che il mio assistito non era più in casa. Perchéil sangue della vittima è stato trovato in tre stanze e quello dell’im-putato in una sola? È credibile che la vittima andasse in giro, ferito,per l’appartamento ed il mio assistito lo aspettasse nel salone perprenderlo nuovamente a pugni? Magari nel frattempo l’imputatoleggeva una rivista e Scuderi metteva in ordine casa.”

Le sguaiate risa dell’aula costrinsero il giudice ad intervenire perristabilire, sebbene a fatica, la calma.

Mi consolai: se persino un giudice, il rappresentante massimo del-l’autorità dello Stato, faticava a riportare l’ordine, io ero giustifica-to se in classe impiegavo parecchi minuti e tante urla per farlo.

L’avvocato di Dario, nel frattempo, aveva ripreso la sua arringa.“Come risulta dalle relazioni della scientifica, tra le 18 e 30, ora-

rio in cui il mio cliente incontrò la vittima, e le 19 e 45, ora in cuiandò via da casa del signor Scuderi, in paese ci fu un violento edimprovviso acquazzone. Questo arco di tempo è pure confermatodal vicino di casa, il quale disse di non aver potuto vedere in tv ilsuo telefilm preferito che finiva proprio alle 19 e 45. Sempre da ciò

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bozzache dice la polizia scientifica, inoltre, in casa furono rinvenute duediverse impronte di scarpe: le prime erano quelle di Scuderi, evi-denziate dal fatto che la vittima aveva calpestato più volte le goccedel proprio sangue, uscito copiosamente dal naso rotto; le altre era-no state lasciate da scarpe infangate.”

Il vocìo dell’aula interrompeva spesso l’arringa dell’avvocato, malui, incurante, continuava concentrato; sembravamo in piazza: lastessa curiosità morbosa, gli stessi ritmi lenti e lo stesso rumoreindistinto accompagnato dallo stesso mio fastidio.

“Signor giudice, quelle impronte, per due motivi, non potevanoessere dell’imputato: innanzi tutto quando entrò in casa non eraancora piovuto e non potevano essere sporche di fango, e poi, so-prattutto, perché appartengono ad una persona che porta il numero40. Come si può facilmente vedere il mio cliente è alto un metro e94 centimetri e porta il numero 46. È ormai chiaro che a quell’orain casa c’era anche una terza persona. Questa dinamica conferme-rebbe ancora una volta che Scuderi era vivo quando l’imputato uscìdi casa. Le percosse non avrebbero mai potuto causare la morte: aparte la rottura del setto nasale e qualche altra contusione, nonc’era nulla di grave, se non il colpo mortale inferto, in un secondomomento, con il candelabro.”

“Contesto questa ricostruzione, signor giudice! Neanche le im-pronte possono provare nulla. Come facciamo a sapere che le scar-pe infangate non erano dell’imputato? Sarebbe potuto uscire e pocodopo rientrare”, disse il pubblico ministero.

“Non è possibile, signor giudice; – ribatté prontamente l’avvoca-to – il vicino di casa sentì chiaramente la porta che si chiudeva.Ricorda bene questo particolare perché fu sbattuta con una forzatale da far cadere il calendario dei Carabinieri che teneva appesonella parete condivisa con il signor Scuderi. Non penso proprio chela vittima, dopo ciò che era accaduto, avrebbe fatto entrare nuova-mente in casa l’imputato.”

“Inoltre, ci sono altri due elementi importanti. – incalzò l’avvo-

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bozzacato di Dario – Come risulta dalla perizia, il colpo mortale infertoalla vittima è stato assestato dal basso verso l’alto e nella tempiasinistra. Questo dimostra che l’aggressore era di bassa statura, oalmeno più basso del signor Scuderi, come confermano anche leimpronte delle scarpe, e che era mancino. Il mio assistito, ripeto, èalto quasi due metri: anche in questo somiglia al padre.”

L’avvocato, dopo la sospensione della seduta, mi parve raggian-te; sebbene quelle mosse sembrarono vincenti, disse che aveva inserbo ancora altro materiale per scagionare il ragazzo. Anche lui,però, non sapeva chi avesse ucciso Scuderi: almeno così volle farcicredere.

Io, invece, un’idea me l’ero fatta, ma non ne parlai nemmeno conGiuseppe; prima avrei voluto qualche altra conferma.

Alla ripresa del processo vennero fuori nuovi interessanti partico-lari, alcuni dei quali, però, non di facile lettura.

L’avvocato, infatti, fece rilevare che le impronte delle scarpe del-la vittima partivano dalla parete, esattamente appoggiate a questa,e andavano verso l’ingresso. Com’era possibile?

L’idea illuminante venne a me e ne parlai subito con l’avvocato.“Probabilmente le impronte non indicano che Scuderi cammina-

va dalla parete fino all’ingresso, ma esattamente il contrario: in al-tre parole indietreggiò fino a ritrovarsi con le spalle al muro. Quindile scarpe erano rivolte in un senso, ma la direzione in un altro.”

“E perché lo fece?”, chiese l’avvocato soltanto per comprenderese anche noi eravamo giunti alla stessa conclusione.

“Un uomo indietreggia davanti al pericolo: dopo che Dario uscìdi casa, quindi, entrò un altro uomo che, impugnato il candelabro,lo minacciò e poi, alla fine, lo colpì a morte.”

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bozzaCAPITOLO XXII

Alla ripresa, in aula, in mezzo alla folla c’era chi parlava di ricette,chi discuteva di calcio e chi si stupiva dinanzi all’imprevedibilitàdelle stagioni; c’era anche qualcuno che faceva degli apprezzamen-ti sul seno di una degli avvocati.

Quella volta arrivai in anticipo, ma trovai ugualmente moltissimicuriosi: era il giorno della sentenza.

Da lontano mi accorsi che c’era anche la mamma di una mia stu-dentessa; a quel punto cambiai subito posto, per evitare di rispon-dere alle solite domande. Mi spostai nel lato opposto del tribunale,quando all’improvviso sentii: “Buon giorno professore! Anche leiqui?”

“Beh … in effetti, penso proprio di sì”, risposi infastidito.“Mi dica, ma lei che idea si è fatta?”“Nessuna! Non spetta a noi, ma alla corte.”“Invece io penso di aver capito come sono andate le cose. Lo

vuole sapere?”“Magari no!”, sussurrai a bassa voce.“Allora mi ascolti. Secondo me …”La guardai, ma non ricordo neppure una parola di ciò che disse;

per fortuna arrivò il giudice e si fece subito silenzio.Mentre la signora era distratta, ne approfittai per andare via da lì.Con tono deciso e severo il giudice cominciò: “In nome del popo-

lo italiano, ai sensi dell’articolo 630 del codice penale, questa corteassolve l’imputato per non aver commesso il fatto.”

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bozzaSubito dopo la lettura della sentenza, il baccano fu assordante:

risa, applausi e rumore di banchi che si spostavano da una parte eall’altra: tra tutto quel chiasso si sentirono chiaramente, ancora unavolta, le urla del nipote di Scuderi.

Sventolando alcuni fogli, fuori di sé, continuava ad urlare “Assas-sino! Me la pagherai.”

Anche quella volta il magistrato si premurò a far sgombrare l’au-la.

Dall’animosità con la quale quell’uomo inveì contro Dario, si capìche contava su quei soldi. Con Giuseppe decidemmo di raccoglierequalche altra notizia su di lui, ma in paese nessuno lo conosceva;soltanto i ragazzi del bar della piazza se lo ricordavano bene, pervia delle mance molto generose che un giorno aveva elargito a de-stra ed a manca: andava in giro con una foto dicendo di essere unavvocato e di seguire il caso.

Dario tornò libero, ma rimase in paese per avanzare l’azione giu-diziaria sull’eredità; secondo l’avvocato sarebbe stato facile otte-nerla.

Con Giuseppe passammo il pomeriggio in terrazza a ricostruire ivari elementi ed a cercare di metterli insieme.

Più tempo passava e più mi convincevo della mia idea; l’assassi-no aveva organizzato tutto con precisione, ma aveva commesso unerrore: la cartelletta con i documenti.

Dopo che Giorgio rubò alcuni incartamenti dall’appartamento diScuderi, li diede a Dario, perché a casa sua non sarebbero stati alsicuro; sarebbe stato facile sospettare di lui ed altrettanto facileriprenderli.

Questo particolare fu confermato dalla madre di Dario; lei ricor-da che, quel pomeriggio, suo figlio, per provare che stava facendosul serio, andò a casa di Scuderi portando con sé una cartellettagialla legata con un elastico grosso e verde. Dario perse parecchiminuti a cercare proprio quella, non si sarebbe accontentato di una

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bozzaqualunque.

Nella fretta, dopo la colluttazione, il ragazzo la lasciò a casa diScuderi.

L’unico fascicolo “diverso” era quello di Aurora e fu per questoche Dario si intestardì a cercarlo. Fu proprio quell’incartamentogiallo ad essere ritrovato nel rifugio di Giorgio: lo vidi io stesso.

Chi l’avrebbe potuta mettere lì? Scuderi no di certo: era già mor-to! Giorgio neppure, non andò più a casa di Scuderi: non sarebbestato opportuno farsi vedere in un luogo dove era stato compiutoun omicidio per il quale lui rimaneva il maggiore indiziato; neppureDario avrebbe potuto portare la cartelletta al casolare dove Giorgiosi era rifugiato, perché ripartì subito per il paese e poi andò in “lunadi miele” con la signora Torrisi. Dario non avrebbe avuto nemmenol’opportunità di darla a Giorgio: i due non si videro più; parlaronosoltanto per telefono, come dimostravano i tabulati telefonici.

“Quindi soltanto l’assassino avrebbe potuto mettere l’incartamentolì. Chi uccise Scuderi, uccise anche Giorgio”, affermai.

“Ma perché avrebbe dovuto farlo?”, mi chiese Giuseppe.“Perché ha cercato di dar credito alle dicerie del paese.”“Che vuoi dire? Spiegati!”“Ti ricordi che, all’indomani dell’omicidio, in paese tutti parlaro-

no di un delitto passionale?”“Sì, certo! Ricordo ancora la tua faccia.”“Dai ... smettila!”“Vai avanti!”, disse Giuseppe sorridendo.“Quel fascicolo fu sottratto dall’assassino proprio per farlo crede-

re: un uomo anziano che se la intendeva con una ragazzina ed ungiovane fidanzato geloso. C’erano tutti gli elementi di un omicidiopassionale.”

“Ricordo bene ... non si parlava d’altro.”“Noi, però, crediamo che non sia andata così: dell’assassino sap-

piamo che era di media statura, che aveva un piede non molto gran-de, che era mancino, che conosceva Scuderi e che, forse, non aveva

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bozzain mente di ucciderlo.”

Prima che facesse buio, con Giuseppe pensammo di fare una pas-seggiata per assaporare tutto il gusto provinciale della piazza; pocodopo andammo a trovare Dario: volevamo avere la conferma diqualche altro particolare.

Nonostante l’autunno fosse ormai alle porte, la giornata era an-cora calda ed invitante e per questo preferimmo andare a piedi.

Il sole faceva splendere il bianco dei palazzi liberty ed il verde deibalconi fioriti che si affacciavano sul corso e che in lontananza sem-bravano toccarsi. I gerani cominciavano a curvarsi, stanchi dopo lefatiche dell’estate, gli anziani camminavano lenti per la strada ed ibambini, correndo, li scansavano appena, provocando il consuetobrusco disappunto: “Maleducati! Non c’è più rispetto al giorno d’og-gi”: anch’io, da bambino, sentivo urlare contro di me “al giornod’oggi.”

Il corso cominciava proprio a sinistra della piazza e tagliava indue il paese, fino quasi alla periferia.

Attraversammo la piazza e la trovammo ferma: il solito quietopasseggio, appena sfiorato dalle automobili, ed il solito indistintovocio che esaltava il silenzio.

Tutta quella vicenda aveva messo in luce un sistema di profondacorruzione e di sottili connivenze, di cui il paese era a conoscenza,ma sembrava non importare a nessuno.

Mi trovai, per caso, a passare da un negozio di articoli da bambini;camminai distratto, ma Giuseppe mi trattenne per un braccio, sen-za dire niente: fu lì che veramente mi resi conto di ciò che stavaaccadendo. Entrai ed acquistai dei giochini per la mia bambina,chiaramente rosa.

“Speriamo che i medici non si siano sbagliati; se dovesse spuntareun maschietto, dovremmo buttare tutto e ricomprare ogni cosa.Ormai a casa nostra tutto è rosa”, dissi a Giuseppe sorridendo.

“Vedrai che sarà femmina, non temere! E poi, se non dovesse

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bozzaessere così, potreste conservare tutto per la prossima volta”, dissedivertito.

“La prossima volta … non penso ci sia. Stefania continua a direche questa per lei è l’ultima occasione.”

“Ma non per te!”“Sei proprio un imbecille… se ti sente Stefania ti spella vivo.”

Scherzando, arrivammo a casa di Dario; aveva preso in affittouna mansarda in periferia e sua madre, ormai serena, era tornata inpaese. Si unì a noi e continuammo la passeggiata.

Tra maschi, anche se di diversa età, chiaramente, si parla di unacosa sola: di donne.

“Ma allora … ma com’è ’sta storia con la signora Torrisi?”Non avevo ancora finito di parlare, che Giuseppe gli diede una

forte pacca sulla spalla, “Ma bravo… vieni a rubare le nostre don-ne.”

Io, curioso, lo incalzai subito con altre domande: “Ma dove visiete conosciuti?”

Il ragazzo, frastornato, girandosi da un lato e dall’altro, sospirò:“Un attimo! State buoni. L’ho conosciuta con Giorgio: un pomerig-gio ci siamo incontrati fuori paese per scambiarci alcuni numeri ditelefono; Giorgio poco dopo andò via ed io rimasi con lei a chiac-chierare fino al tramonto.”

“E come è andata?”, ribatté Giuseppe.“Ma niente… è andata…”“E allora?”, continuai io, fingendo di essere arrabbiato.“È andata abbastanza bene! E poi, Eleonora è anche molto gene-

rosa. Un giorno mi ha prestato il suo bancomat, dicendomi che avreipotuto usarlo tutte le volte che volevo!”

“Perché? Lei non era con te?”, gli chiesi stupito.“No! Quel pomeriggio andò via abbastanza presto e tornò a notte

fonda; mi disse che aveva avuto un problema a casa.”“E poi che fece?”, chiesi incuriosito dallo strano comportamento.

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bozza“Prof., non mi dire che non lo immagini”, disse Giuseppe sorri-

dendo.“Ma no! Non accadde nulla. Quella donna è mezza matta!”, disse

Dario. “Continuò a chiamare la reception, per avere una bottiglia dispumante in camera, e disse anche che l’aveva già richiesta un’oraprima.”

“E non era vero?”, domandò Giuseppe.“Ma certo che no! Era appena arrivata!”“Ma perché l’ha fatto?”“Ma che ne so, non ho capito se…”All’improvviso, mentre parlava, sentimmo un forte botto; una

macchina grigia era venuta dall’angolo ad alta velocità ed avevaproseguito la sua corsa senza fermarsi.

Dario era a terra: sanguinava.Io corsi subito a chiamare aiuto e con i ragazzi del bar di fronte lo

accompagnammo in ospedale.Giuseppe attraversò la piazza di corsa, anticipando la macchina,

e riversò per strada un cassonetto della spazzatura e tutto il suocontenuto.

Riuscì a fermare l’automobile; tirò fuori dalla macchina il condu-cente e con l’aiuto della folla lo bloccò.

Dopo pochi minuti giunsero i Carabinieri.

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bozzaCAPITOLO XXIII

I corridoi erano ampi e freddi, i tetti alti e le mura spesse con dellegrandi finestre sul lato sinistro. Ormai le avevo contate tutte; cono-scevo di loro ogni piccola sfasatura.

Andavo su e giù per l’ospedale da più di due ore e nessuno sapevadirmi come stava Dario. Avrei dovuto avvertire la madre, ma, for-tunatamente per me, lo fecero i Carabinieri.

Il ragazzo fu portato d’urgenza in sala operatoria: di certo la bottaera stata violenta e repentina. Avevo tentato di tirarlo da un brac-cio, ma fummo colti di sorpresa; non ricordavo di aver sentito alcu-na frenata.

È chiaro: fu un’esecuzione.Chiamai Giuseppe per avere maggiori informazioni, ma il telefo-

no non era raggiungibile. Invece, mi raggiunse Stefania, preoccupa-ta ed un po’ arrabbiata.

“Come stai? Cos’è successo?”“Sta tranquilla ... io sto bene. Anche Dario ce la farà, ho già par-

lato con i medici”, dissi per tranquillizzarla, anche se non sapevonulla di lui.

Cercai di essere più convincente possibile, evitandole qualunquespavento.

“Meno male! Che paura. Mi hanno detto che in piazza c’era statoun incidente e che eri coinvolto anche tu.”

“I soliti imbecilli! Ma non vedono che sei incinta? Non ti hannodetto che a me non è accaduto nulla? Ma che c’è … cos’hai?”

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bozza“Niente! Sono stanca. Mi siedo un po’!”“Mi sembri molto pallida. Sei sicura di stare bene?”, chiesi preoc-

cupato.“Sì, sì.”Dopo un po’ aggiunse: “Ma è mai possibile che non riesci a tener-

ti fuori da questa storia? Non ne posso più! Sono veramente stufa.”“Ma che dici? Stavo facendo soltanto una passeggiata in piazza.

Adesso, comunque, andiamo a casa e pomeriggio parliamo col me-dico.”

“E Dario?”“Non ti preoccupare è in buone mani. Tra poco verrà Giuseppe.”“A proposito … mi hanno detto che con te c’era anche il tuo

fidanzato.”“Non è accaduto nulla nemmeno a lui. Anzi, è riuscito a fermare

il pirata della strada. Andiamo adesso!”“Aspetta! Aspetta un attimo … non mi sento bene.”“Cerco un medico! Non ti muovere da qui.”Non ricordo nemmeno quante scale feci tutte in una volta ed a

quante porte bussai: alla fine trovai un ginecologo.“Signora, alla sua età dovrebbe stare attenta. Ogni sforzo potreb-

be essere pericoloso per il feto”, disse il dottore.“Non ha fatto alcuno sforzo”, intervenni io.“Venga … facciamo l’ecografia.”Quei minuti passarono lentamente; ripensai in un attimo a tutta

quella vicenda, ad Aurora, a mia moglie ed a quanto tempo erapassato.

Poco dopo il medico ci rassicurò.“Non è niente. È tutto a posto. Però deve stare qualche giorno a

riposo.”“Grazie tante dottore.”Andammo subito a casa e, per stare con lei, decisi di mettermi in

aspettativa da scuola per un paio di settimane: ricordo che era co-minciata da pochi giorni.

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bozzaAppena Stefania si addormentò, chiamai Giuseppe.“Com’è finita? Potevi farmi sapere!”“Hai ragione, ma qui c’è un casino! C’è anche l’avvocato di Da-

rio.”Sì, va beh … taglia corto. Chi è?”“Avevi ragione! È quello che pensavi tu. Sta cominciando a cede-

re. Parlerà presto: è una persona molto fragile e con tanti problemi.Tutto è finito finalmente.”

“Di questo non sono sicuro!”“E Dario come sta?”, mi disse prima di chiudere.“Non lo so!”“Come non lo sai?”“È ancora in sala operatoria.”“Appena hai notizie, fammi sapere”, disse Giuseppe.“Non posso!”, risposi io.“Che vuol dire?”“Adesso sono a casa con Stefania; non si è sentita bene.”“Non ti preoccupare! Tra poco passerò io dall’ospedale.”

Anche l’indomani ci ritrovammo a contare le finestre ed i lunghicorridoi dell’ospedale: nel frattempo era arrivata la madre di Dario.

La situazione, che parve grave sin dall’inizio, si complicò ulte-riormente. A parte alcune fratture, il ragazzo, cadendo, aveva sbat-tuto con violenza la testa contro la vetrata della banca ad angolotra la piazza e la via dei Mille.

Da lontano un camice bianco si avvicinava verso di noi e nonprometteva nulla di buono: era il dottore.

Dario doveva essere operato nuovamente.La madre, indietreggiando come se fosse stata spinta, si appoggiò

alla sedia: sprofondò, portò le mani alla bocca, ma non disse nem-meno una parola. Ci avvicinammo anche noi in silenzio.

L’atmosfera parve sospesa ed i corridoi sempre più grandi.Con Giuseppe, per un attimo, uscimmo per prendere una boccata

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bozzad’aria ed andammo al bar dell’ospedale.

“Pensi ce la farà?”, gli chiesi per le scale.“Ma sì… certo! È giovane. Vedrai che andrà tutto bene.”L’essere giovane, di solito, è considerato la migliore panacea per

qualunque malanno, da quelli più gravi a quelli amorosi, più percondizione che per convinzione.

“Sì… ma non riesco a non pensare a sua madre. Chissà cosa lepasserà in mente in questo momento e chissà cosa vorrebbe fare.”

“C’è poco da fare!”, continuò Giuseppe dopo un lungo silenzio.“E se avesse ragione lei; e se fosse veramente quella l’unica cosa

da fare!”, pensai io ad alta voce.Giuseppe mi capì ed annuì con un cenno del capo.Dopo un po’ tornammo su e ci imbattemmo nella stessa immagi-

ne di prima: la madre di Dario immobile, con le mani incrociate ebasse e la testa appoggiata al muro: continuava a pregare.

Quelle ore sembrarono molto lunghe e dopo un po’ riuscimmo adabituarci persino al dolore.

Nello stesso momento in cui la madre di Dario si alzò, si aprì laporta della sala operatoria; cigolava rumorosa e lasciava trasparirele ombre che dall’altro lato si avvicinavano: era il dottore.

“Signora, l’operazione è stata lunga e faticosa, ma è andato tuttobene. Dobbiamo aspettare il decorso postoperatorio, ma penso chenon ci siano problemi.”

Giuseppe abbracciò la madre di Dario che si ricolorò.Adesso non rimaneva altro da fare che sapere come stava proce-

dendo l’interrogatorio dell’aggressore.

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bozzaCAPITOLO XXIV

Quel pomeriggio era buio e grandi nuvole nere, uscite fuori dalcielo, si spingevano verso il basso; il vento faceva piegare gli alberie scuoteva i gerani spogliandoli dei loro colori. Il rumore dell’inat-tesa pioggia autunnale, che sbatteva contro i vetri, si faceva sem-pre più forte e l’odore dell’asfalto bagnato, tinto di nostalgia d’in-fanzia, arrivava fin dentro casa: abbandonai per un attimo i compitidi latino che stavo correggendo per andare a vedere fuori dalla fine-stra; nel frattempo mi telefonò l’avvocato.

“Potrebbe venire qui in studio, per favore? Dovrei dirle alcunecose importanti.”

“Certo! Arrivo.”“Una cortesia! Potrebbe avvertire anche il suo amico giornalista?”“Ok! A dopo.”Passai velocemente da Giuseppe e portammo con noi anche la

più piccola delle sue figlie; sua moglie era uscita con gli altri due elui stava cercando di farle completare i compiti: avrebbe dovutofare una striscia infinita di vocali, ma lei, dopo averne scritte due otre, decise all’improvviso di strappare il quaderno e di mangiarealcuni fogli: era ancora troppo piccola per rimanere seduta a scrive-re.

“Prego accomodatevi”, disse l’avvocato appena arrivammo.“Cos’ha di così importante da dirci?”, chiesi subito io senza con-

venevoli, mentre Giuseppe cercava di rincorrere la bimba e non

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bozzafarle lanciare per aria tutto ciò che le capitava tra le mani.

“Finalmente ho risolto il mistero”, disse fiero l’avvocato. E poicontinuò: “Ho capito chi ha ucciso sia Scuderi sia Giorgio.”

“Ci spieghi!”, esclamò Giuseppe, fermandosi all’improvviso e la-sciando scorrazzare la bambina libera per lo studio.

“Sì, va bene! Ma prima facciamo una cosa per la serenità di tutti”,esclamò l’avvocato.

Chiamò allora la segretaria e le chiese di giocare un po’ con labambina per poter stare tranquilli.

“Che fai? Vorresti andare a giocare anche tu con la segretaria?”,sussurrai all’orecchio di Giuseppe.

“Ma hai visto che tette?”“Ho visto! Certo che ho visto. Ma ora sta’ buono e sentiamo co-

s’ha da dire.”“Finalmente ho capito come sono andate le cose”, cominciò l’av-

vocato, andando subito al sodo.“Ci racconti”, dissi io stupito.“Soltanto ieri, pressato dalla mia insistenza, Dario ha detto che,

uscendo di corsa da casa di Scuderi, urtò un passante; il ragazzonon ricordava questo particolare perché non lo aveva ritenuto im-portante, ma fu proprio quell’incontro casuale ad aver deciso lacondanna a morte di Giorgio.”

“Avvocato, la prego, non faccia il misterioso. Cos’ha in mente?”,disse Giuseppe.

“Innanzi tutto quell’uomo non era lì per caso; che ci faceva unpassante, con quel tempo davanti casa di Scuderi? Era, invece, qual-cuno atteso dalla vittima. Sentendo quel trambusto, però, non en-trò, fino a quando non arrivò il momento propizio. Appena videuscire Dario, l’assassino entrò in casa e colpì Scuderi con il cande-labro. Dario non ricorda alcun particolare di quell’uomo: pioveva,era buio, ma soprattutto era sconvolto. Ma quel che più conta è chenemmeno quell’uomo vide in faccia Dario. Soltanto in un secondomomento, spaventato, si ricordò di quell’incontro: temette allora di

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bozzaessere stato riconosciuto e pensò che quel ragazzo fosse Giorgio.”

“Che c’entra Giorgio in tutto questo?”, chiese Giuseppe.“C’entra! In paese si sparse subito la voce che Scuderi era stato

ucciso da Giorgio e, quindi, quando si seppe che il ragazzo scappòper paura di ciò che aveva visto, l’assassino ebbe la conferma diessere stato riconosciuto; inoltre, a legare Giorgio all’omicidio, c’eraanche la prova del fascicolo della pratica di Aurora. Fu facile perlui, unire Aurora a Giorgio. A quel punto, vinto dalla paura, decisedi uccidere l’unico testimone che avrebbe potuto riconoscerlo ecercò di far passare l’omicidio come un delitto passionale.”

“Le confesso che la sua versione mi pare piuttosto convincente,ma ancora non ha detto il nome dell’assassino”, gli chiese incuriosi-to Giuseppe.

“Un attimo!”, disse l’avvocato, sospirando, come se volesse di-vertirsi, e poi ricominciò.

“Quando Dario fuggì da casa di Scuderi, l’assassino pensò di com-pletare l’opera: sarebbe stato facile far ricadere la colpa su Giorgioe risolvere tutti i suoi problemi.”

“E questo l’abbiamo capito”, sussurrò Giuseppe, senza farsi sen-tire dall’avvocato.

“Fu allora che impugnò il candelabro, minacciò la vittima e poi locolpì, ferendolo a morte. Andando via, prese la cartelletta, pensan-do subito che potesse essere utile per sviare le indagini; poi, comeho già detto, fu assalito dal terrore dell’incontro fortuito. La ringra-zio, professore, mi è stato molto utile: è lei che mi ha parlato dellacartella”, disse l’avvocato e poi continuò.

“L’assassino capì subito che quell’incartamento riguardava Auro-ra. Per lui quei documenti rappresentavano la conferma definitiva:il ragazzo che fuggiva era proprio Giorgio. Tra l’altro, l’assassinoaveva casualmente conosciuto Aurora una mattina d’estate a casadello zio e di quella ragazza si ricordava bene: Aurora non passavainosservata. Ed anche in questo caso il suo aiuto, professore, è sta-to fondamentale. Un pomeriggio Giovanni – il nipote di Scuderi –

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bozzaappostandosi a casa di Aurora la seguì ed arrivò al nascondiglio diGiorgio. Non so ancora come riuscì a convincerlo a salire in mac-china con lui, ma presto l’assassino parlerà.”

Per un attimo ci distraemmo, richiamati dalle urla della bambina.Giuseppe andò a vedere; anche quella volta sua figlia stava cercan-do di richiamare l’attenzione della malcapitata segretaria con calci,pugni e morsi: in fondo erano manifestazioni d’affetto. Giuseppe larichiamò severamente e per un po’ ci fu silenzio.

Subito dopo l’avvocato continuò il suo racconto.“L’assassino sapeva tutto di Giorgio; era stato suo zio a raccon-

targli di quel ragazzo e dei problemi che, da qualche tempo, stavacreando. Il nipote, del resto, nonostante lo zio lo considerava unidiota, era stato chiamato per prendere il posto di Giorgio. Proprioquella sera si sarebbero dovuti incontrare; fu poi il caso ad offrirgliquella grande occasione: perché non approfittarne? Il caso, invece,gli tirò un brutto scherzo.”

Vidi che Giuseppe continuava a guardarmi, cercando di capirecosa pensassi di quella ricostruzione; nel frattempo l’avvocato, im-perterrito ed orgoglioso, proseguiva a parlare.

“Per prima cosa mi accertai che il nipote quel giorno era in paese;e questo fu facile. Non partì con l’idea di uccidere e, quindi, nonprestò attenzione ai particolari. Dai tabulati telefonici sappiamoche alle 18 e 10 chiamò suo zio dal telefono di casa sua: fu unatelefonata brevissima, giusto il tempo di dire che in serata sarebbeandato da lui. Dovette uscire quasi subito, se dopo un’ora fece ben-zina in un rifornimento sulla nazionale vicino Modica: si trovavanella strada tra Siracusa ed il paese. L’orario conferma, senza om-bra di dubbio, che, al momento dell’omicidio, era in paese.”

“Mi scusi, questo conferma che aveva finito la benzina e non cheera in paese”, disse Giuseppe, ma l’avvocato ribatté prontamente.

“Coincide tutto: il movente era forte e l’alibi inesistente. Anchel’identikit dell’assassino fatto in tribunale dai periti della scientificacoincide: bassa statura, piede piccolo ed un certo disordine menta-

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bozzale. Infine, ogni volta che inveiva alzava il pugno sinistro: era manci-no. Il ragazzo, alla fine, è crollato!”

“Ha ammesso di aver ucciso sia suo zio sia Giorgio?”, chiesi iostupito.

“No! Ancora no, ma ha ammesso di aver investito volontaria-mente Dario.”

“Questo, in effetti, l’avevamo intuito anche noi”, continuai io.“La sua versione, avvocato, nonostante qualche particolare poco

convincente, mi ha persuaso. Complimenti!”, disse Giuseppe, al-zandosi in piedi anche per vedere cosa stava combinando la bimba.

“E lei, professore, cosa ne pensa? Devo a lei tutte le mie conclu-sioni”, ribatté l’avvocato.

“Io invece non penso che sia andata così.”“Come?”, dissero stupiti in coro.Giuseppe tornò indietro e l’avvocato si sedette nuovamente.“La sua versione è in parte affascinante, ma ci sono alcune cose

che non mi convincono. Innanzi tutto, Giovanni era in paese, manon andò a quell’ora da Scuderi. Quando arrivò c’era già la polizia:alle 19 e 42 fu, infatti, fermato dalla stradale per eccesso di veloci-tà; c’è il verbale dei Carabinieri che lo conferma e l’agente ricordachiaramente di averlo fermato. Tra la fuga di Dario e l’arrivo diGiovanni, arrivò un’altra persona, che conosceva bene Scuderi; nonera lì per questioni di soldi o di condoni, ma per amore. Cercò diconvincerlo a stabilire una relazione seria; l’uomo, però, non vollesaperne. Allora lei, che sarebbe stata disposta persino a lasciare ilmarito, a quel punto perse la testa e lo colpì con il candelabro. Eraandata veramente al congresso regionale del partito a Catania, in-sieme al marito, ma quel pomeriggio tornò in paese. Affittò unamacchina e ritornò proprio per incontrare Scuderi, senza avere l’as-sessore tra i piedi. Quella sera fu vista dal vicino di casa, che, poi,per paura o per soldi, ritrattò tutto; sapete che quell’uomo, subitodopo la smentita, è andato via dal paese? Il vicino, invece, non hamai visto il nipote di Scuderi entrare in casa. Anche le impronte lo

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bozzaconfermano; sebbene non molto alto, Giovanni non penso porti il40 di piede.”

“La signora Torrisi è mancina”, urlò Giuseppe; “ho preso con leiil caffè ed abbiamo scherzato su questa cosa.”

“Lo so! L’ho notato in chiesa al funerale di Giorgio, mentre scam-biava il segno della pace. Lo ricordo perfettamente perché un si-gnore che le stava accanto, le tese la mano, e la tenne su qualchesecondo. In quel momento io rientravo in chiesa, dopo l’ennesimaboccata d’aria, ed i nostri sguardi si incrociarono a lungo.”

L’avvocato parve pensieroso ed a tratti infastidito, ma rimase at-tento ad ascoltare.

“A quel punto – continuai io – con l’aiuto del marito, interessatosoltanto a non far trapelare nulla, si creò l’alibi. Sarebbero rimastiinsieme fino a che tutto non si fosse placato e poi ognuno per la suastrada. Decisero entrambi di tacere: entrambi avevano molto danascondere.”

“E poi anche lui ha un’amante”, disse Giuseppe. “Al sindacatosanno tutto sulle sue periodiche fughe dal paese.”

“L’ultimo problema che rimaneva da sistemare era Giorgio. Il ra-gazzo era l’unico a sapere che la signora Torrisi aveva perso la testaper Scuderi e soprattutto sapeva che quella sera era in paese: fu luistesso a fissare l’incontro tra i due. A quel punto l’alibi non reggevapiù.”

“Scuderi stava giocando con lei”, esclamò Giuseppe.“Beh… in realtà soltanto con una parte di lei”, dissi io scherzan-

do, senza riuscire nemmeno per un attimo a far sorridere l’avvoca-to.

“Prima di andare via – continuai – la signora Torrisi prese il fasci-colo con i documenti di Aurora; odiava la ragazza perché la consi-derava una rivale in amore. Il giorno prima della sua scomparsa,incontrò Giorgio in una stanza d’albergo, prenotata, come accade-va di solito, a nome del ragazzo. Fu lei a convincerlo di fuggire; gliconsigliò di nascondersi nel suo vecchio casolare e di tornare in

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bozzapaese soltanto dopo che l’assassino sarebbe stato scoperto. Il ra-gazzo si fidò. A questo punto si servì di Dario. I due andarono aTaormina e la signora spinse il ragazzo ad usare il suo bancomat percrearsi l’alibi. Allora decise di tornare in paese, ma questa volta inautobus, più anonimo. Si fece prestare una macchina da un vecchioe fedele fattore delle campagne del padre: era uno di famiglia el’aveva vista nascere. Stefania lo conosce bene e sono andato pa-recchie volte a parlare con lui. Andò da Giorgio, di sera, e lo uccise.In seguito, aiutata dal fattore, lo gettò nel fossato dove fu trovato,tra le serre nelle campagne di Siracusa. Fu lui, poi, a fare la telefo-nata anonima.”

“Ma allora la polizia aveva visto bene sin dall’inizio: fu l’assesso-re a coprire tutto”, disse Giuseppe.

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bozzaCAPITOLO XXV

La scuola era già cominciata e Stefania, oltre ad una gioia incon-tenibile, mostrava le sue forme. Ci vollero alcuni mesi, ma alla finel’avvocato riuscì a provare tutto.

Dopo quel colpo di scena e dopo i pettegolezzi che ne seguirono,l’attenzione sugli omicidi di Scuderi e di Giorgio parve fortementediminuita: la signora Torrisi fu arrestata, ma nulla trapelò sul maritoche, per non irritarla, le mise a disposizione tutti i migliori avvocatidella zona. L’assessore ormai stava più a Palermo che in paese.

Giuseppe continuò a lavorare sul caso, soltanto ufficiosamente,ma si scontrò contro un muro sempre più spesso. Ogni elemento edogni traccia sul sistema di corruzione messo in piedi portava ad unastrada senza sbocco; anche la polizia parve non avere elementi nuo-vi.

I saggi del paese, improvvisamente, persero del tutto la loro mor-bosa curiosità; anch’io, sdegnato dalle connivenze dei miei compa-esani, cominciai a non avere più né il tempo, né la voglia di dedicar-mi a quella triste storia. Ormai, da quando non c’era più Aurora eda quando Giuseppe non aveva più il caso, mi dedicai a Stefania edalla nostra nuova casa.

Stavo bene: con mia moglie la situazione si era ormai pacificata –o almeno mi ero convinto di questo – e, dopo aver firmato la sepa-razione, riuscimmo persino a parlare. Dopo la rabbia iniziale, si sentìpure lei sollevata dalla mia forza e dall’aver fatto, io, ciò che avreb-be dovuto fare lei da tempo. In ogni caso aveva sciolto tutte le sue

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bozzalacrime e tutta la sua rabbia tra le braccia forti ed accoglienti di unbel medico di Catania: alto, affascinante – mi era stato detto – e disuccesso. Anche dopo così tanto tempo l’unico modo per esserefelice, passava dalla sua felicità.

Di Aurora non seppi più nulla; avevo soltanto sentito dire che eraandata a studiare filosofia a Bologna. Pensavo spesso a lei e la im-maginavo spensierata.

Avevamo saputo che la bambina era femmina e di questo fui feli-cissimo; decidemmo di chiamarla Mariapaola.

Ogni giorno che passava, capivo che la scelta fatta era stata quel-la giusta; ero anche riuscito a vendere casa e con Stefania ne aveva-mo preso una più grande, in centro.

Giuseppe non riuscì a pubblicare i suoi articoli; tentò anche ditrovare spazio in qualche giornale di Catania, senza però alcun ri-sultato. Da qualche giorno mi aveva confessato di volersi trasferirea Roma; si era stancato di vivacchiare in un ambiente così gretto,gestito da forze oscure; aveva già preso qualche contatto, ma nonera del tutto convinto: quel gesto, a lui, sembrava una fuga. Passaidelle ore per convincerlo del contrario; non poteva continuare alottare contro i mulini a vento ed in ogni caso sarebbe stato piùutile lavorare per un giornale che avrebbe pubblicato i suoi articoli.Pensai di convincerlo.

Un pomeriggio capii che c’ero riuscito.Venne a trovarci a casa; andò ad aprire Stefania e lo fece entrare,

senza dirmi niente. Lo ritrovai accanto alla mia scrivania ed ebbiun sussulto, perché, assorto, non mi accorsi di nulla.

“Sono venuto a dirti due cose: una bella ed una brutta. Da dovecomincio?”, mi disse sorridente.

“Ovviamente dalla bella, così sopporterò la brutta un po’ me-glio.”

“Allora … la notizia bella è che vado a Roma. Ho avuto un’otti-ma proposta da un giornale nazionale. È l’occasione della mia vita”,mi disse guardandomi fisso negli occhi.

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bozzaLo abbracciai, felice per lui, ma aggiunsi subito: “E la brutta?”“La brutta … è che vado a Roma.”Sorrisi, ma capii ciò che voleva dire. “Non ti preoccupare ti verre-

mo a trovare spesso; e poi anche tu dovrai tornare parecchie volte:ad esempio quando dovrai fare da testimone alle mie nozze conStefania.”

“Che bello! Avete già deciso la data?”“Ma che data! Sta’ zitto, ti prego, non ti fare sentire. Lo sai che

ancora dovranno passare anni.”“Ma sei stato tu a parlare di matrimonio”, mi disse scoppiando a

ridere. “Secondo me hai fatto un’ottima scelta sia per te, sia per la tua

famiglia; i bambini avranno tante occasioni in più. Non te ne penti-rai”, gli dissi cambiando discorso.

“Lo so che non me ne pentirò, però…”“Basta … non mi fare arrabbiare!”“Ho preparato la granita. Ne vuoi un po’?”, chiese Stefania en-

trando all’improvviso nella stanza.“Grazie tante, ma poi vado subito via: devo andare a prendere

una masnada di bambini inferociti.”Anche lui si accorse della gioia di Stefania e me lo disse mentre lo

accompagnavo giù in piazza, per chiacchierare ancora un po’.

La piazza, sebbene fosse già arrivato l’autunno, era ancora assola-ta e vuota; nel silenzio del primo pomeriggio il rumore delle mac-chine sembrava assordante. Tra queste ne arrivò una nera, grande:scese l’assessore Torrisi, vestito di scuro, che, facendo gli onori dicasa, ricevette la visita di alcune macchine blu che arrivavano daPalermo. Andarono subito in comune.

Si era ormai aperta la campagna elettorale per le elezioni del pre-sidente della Regione: la vittoria di Torrisi a molti appariva sconta-ta.

Attraversò la piazza da un lato all’altro; sembrava si muovesse a

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bozzarallentatore, come un attore che stesse provando alcune scene.

La sua sicurezza non aveva limiti ed il suo potere cresceva ognigiorno di più; al posto di Scuderi fu messo un suo scagnozzo, ungiovanotto più fedele, con meno nemici e soprattutto più cauto conle donne. In breve tempo tutto riprese come prima.

Il sorriso di Torrisi comunque rimase intatto; le formalità dei po-litici palermitani si prolungarono più del previsto anche davantil’ingresso del comune.

Anche se il sole era ancora alto, la sua ombra pareva più lunga e lealtre figure rimanevano schiacciate al suolo.

Quando seppi che era riuscito a vincere le elezioni, ripensai spes-so alla sua passeggiata in piazza in quel pomeriggio afoso di inizioautunno; ripensai anche alle parole di Giuseppe, prima di partireper Roma: “Vado via per lui, ma per lui vorrei anche rimanere.”

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bozzaINDICE

CAPITOLO I ...............................................................................................9CAPITOLO II ........................................................................................... 13CAPITOLO III .......................................................................................... 18CAPITOLO IV ......................................................................................... 23CAPITOLO V ........................................................................................... 27CAPITOLO VI ......................................................................................... 31CAPITOLO VII ........................................................................................ 37CAPITOLO VIII ...................................................................................... 42CAPITOLO IX ......................................................................................... 49CAPITOLO X ........................................................................................... 54CAPITOLO XI ......................................................................................... 60CAPITOLO XII ........................................................................................ 66CAPITOLO XIII ...................................................................................... 70CAPITOLO XIV ...................................................................................... 76CAPITOLO XV........................................................................................ 82CAPITOLO XVI ...................................................................................... 88CAPITOLO XVII ..................................................................................... 95CAPITOLO XVIII ................................................................................. 101CAPITOLO XIX .................................................................................... 106CAPITOLO XX...................................................................................... 113CAPITOLO XXI .................................................................................... 118CAPITOLO XXII ................................................................................... 124CAPITOLO XXIII ................................................................................. 130CAPITOLO XXIV ................................................................................. 134CAPITOLO XXV................................................................................... 141

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