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Le politiche per la promozione dell’energia rinnovabile Stato di applicazione della direttiva europea sui biocarburanti Annalisa Zezza INEA 2011

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Le politiche per la promozione dell’energia rinnovabileStato di applicazione della direttiva europea sui biocarburanti

Annalisa Zezza

ISBN 9788881453238

collana ANALISI E STUDI DI POLITICA AGRARIA

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INEA 2011

L’ambito omogeneo “analisi e studi di politica agraria” include le attività INEA ricondu-cibili ai temi della politica agraria internazionale, europea e nazionale. Ad esso, quindi, fanno riferimento progetti, studi e attività di assistenza tecnica istituzionale che ruotano attorno alle questioni dei negoziati internazionali (WTO, multilateralismo, bilateralismo, accordi preferenziali), della Politica agricola comune (analisi degli strumenti della PAC, dei percorsi di riforma, degli effetti delle politiche europee sull’agricoltura italiana), delle scelte di politica nazionale e regionale (applicazione nazionale degli strumenti della Pac, piani di settore), della spesa pubblica per l’agricoltura. Fanno riferimento a questo ambito analisi e valutazioni delle politiche agrarie per la Commissione ed il Parlamento europei, progetti di ricerca internazionali e nazionali sui temi di propria competenza, contributi di analisi e di ricerca a favore del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e di altre istituzioni nazionali e regionali finalizzati alla valutazione delle politiche di sostegno al settore primario e alle aree rurali.

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ISTITUTO NAZIONALE DI ECONOMIA AGRARIA

Le politiche per la promozione dell'energia rinnovabile

Stato di applicazione della direttiva europea sui biocarburanti

Annalisa Zezza

INEA 2011

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Studio realizzato nell'ambito del progetto BIOSEA (ottimizzazione delle filiere bioenergeti-che per una sostenibilità economica e ambientale)

Responsabile Progetto: Prof. Giampietro Venturi (Università di Bologna)

Responsabile Unità Operativa: Annalisa Zezza (INEA)

Coordinamento editoriale: Benedetto Venuto

Impaginazione grafica: Uffico Grafico INEA (Barone, Cesarini, Lapiana, Mannozzi)

Foto di copertina: "Schmack Biogas"

L'autrice ringrazia il prof. Angelo Frascarelli per gli utili suggerimenti

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IndIce

Introduzione 5

capitolo I La Direttiva UE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili 7

capitolo II Produzione e utilizzazione dei biofuel nell'UE 15

capitolo IIIIl commercio internazionale di biocarburanti 27

capitolo IVLe politiche adottate dagli Stati membri dell’UE e la stima del sostegno pubblico 35

capitolo VMiscelazione obbligataria, riduzione delle accise, tariffe all’importazione: sono necessari tutti questi strumenti? 49

capitolo VI Le stime degli effetti della direttiva UE 57

capitolo VIIGli standard di sostenibilità 657.1 Sistemi di regolamentazione pubblica 687.2 Iniziative volontarie 71

capitolo VIIIStandard, regolamentazioni e commercio internazionale 75 8,1 Standard e regole WTO 81

capitolo IX Alcune problematiche aperte 859.1 Biofuel e land use changes 859.2 Prospettive dei biocarburanti di seconda generazione 90

capitolo X Conclusioni 95

Bibliografia 99

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IntroduzIone

La strategia comunitaria di lotta ai cambiamenti climatici prevede la stabi-lizzazione del livello delle emissioni di gas a effetto serra nel prossimo decennio e la loro riduzione nell’ordine del 60-80% entro il 2050. In questo quadro, uno degli elementi centrali è rappresentato da una specifica strategia nel settore dei tra-sporti, attraverso l’impiego dei biocarburanti, insieme all’utilizzazione di veicoli più efficienti e alla diffusione di forme alternative di trasporto pubblico e privato (CE, 2006). Il Consiglio europeo del marzo 2007 ha riaffermato l’impegno della Comu-nità a favore dello sviluppo di energia da fonti rinnovabili in tutta la Comunità oltre il 2010, approvando un obiettivo obbligatorio del 20% di energia da fonti rinnovabili sul consumo di energia complessivo della Comunità entro il 2020. Tale obiettivo si è concretizzato con l’approvazione delle direttive del Parlamento Europeo e del Con-siglio 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (RED) e 2009/30/CE che modifica la direttiva 98/70/CE per quanto riguarda le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio e introduce un meccanismo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra.

La crescita del commercio internazionale di biocarburanti, che appare un’ovvia conseguenza degli obiettivi di consumo dei principali paesi industrializzati come l’UE e gli USA, ha stimolato un acceso dibattito (OECD-FAO, 2007) sulla loro sostenibilità a livello ambientale e sociale, che si è tradotto in un vasto numero di azioni politiche, quali la RED, e iniziative di carattere tecnico volte a definire e attuare sistemi di certificazione di sostenibilità. Molti paesi in via di sviluppo, come Brasile, India, Malesia, Tailandia, sulla base di considerazioni legate all’efficienza produttiva - disponibilità di terra, basso costo del lavoro, condizioni agro-climatiche favorevoli - sono infatti già tra i maggiori produttori, con trend in espansione, come testimoniato dagli ingenti investimenti degli ultimi anni.

Obiettivo di questo lavoro è fare il punto sullo stato di applicazione della RED e sulle problematiche aperte. Dopo una breve panoramica sull’andamento del mer-cato comunitario - produzione, importazioni, consumi - l’analisi si soffermerà sulle principali questioni attualmente dibattute, ovvero l’implementazione degli standard di sostenibilità, la problematica relativa agli effetti indiretti dei cambiamenti nell’uso dei suoli e, infine, le prospettive aperte dai biocarburanti di seconda generazione.

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

Capitolo i

La Direttiva Ue sULLa promozione DeLL’Uso DeLL’energia Da fonti rinnovabiLi

La Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla pro-mozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (RED) traduce l’obiettivo com-plessivo comunitario del 20% di energia rinnovabile sul totale dei consumi finali energetici in obiettivi individuali per ogni Stato membro, tenendo conto della diver-sa situazione di partenza e delle relative possibilità, ivi compreso il livello attuale dell’energia da fonti rinnovabili e il mix energetico (tab.1.1).

I valori obiettivo della quota di energia rinnovabile sul totale dei consumi energetici vanno da un massimo del 49% per la Svezia al 10% di Malta. All’Italia è stato assegnato un obiettivo del 17%.

Al tempo stesso, la RED fissa un unico obiettivo del 10% per la quota di energia da fonti rinnovabili nei trasporti1. La tabella 1.2 mostra la quota, nel 2008, di biocarburante sul consumo di carburante fossile nel settore dei trasporti e nei principali paesi dell’Unione e il fabbisogno di biocarburanti al 2020 sulla base degli obiettivi stabiliti dalla direttiva. Questo è stato calcolato a partire dalle previsioni comunitarie (DG Tren, 2009) sul consumo di energia nel settore dei trasporti ed assumendo la realizzazione dell’obiettivo di miscelazione del 10%. A tal fine si è applicata l’ipotesi, utilizzata nelle stime dell’IPTS (IPTS-JRC, 2010), di un rapporto 70:30 tra biocarburanti di prima e seconda generazione e quindi un consumo com-plessivo di biocarburanti dell’8,5%2.

L’applicazione della direttiva dovrebbe comportare, pertanto, un aumento del 64% del consumo di biocarburanti a fronte di un aumento del 4,8% circa del consumo complessivo di carburanti nel settore dei trasporti limitando l’incremen-to nel consumo di carburanti fossili al 2% circa (tab.1.2).

1 E’opportunosottolinearechel’obiettivoobbligatoriodel10%vienedefinitocomequotadienergiafinaleconsumataneitrasportidaottenereapartiredafontirinnovabiliingeneraleenonsoltantodabiocarburanti.

2 InbaseaquantostabilitodallaRED,ibiocarburantidisecondagenerazionevengonocontabilizzatiduevolteaifinidelladimostrazionedelrispettodegliobblighinazionali.

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Tabella 1 - Obiettivi nazionali generali per la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale di energia nel 2020

Quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale di energia, 2005

Obiettivo per la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo

finale di energia, 2020

Austria 23,3 34

Belgio 2,1 13

Bulgaria 9,4 16

Cipro 2,9 13

Repubblica Ceca 6,1 13

Danimarca 17 30

Estonia 18 25

Finlandia 28,5 38

Francia 10,3 23

Germania 5,8 18

Grecia 6,9 18

Ungheria 4,3 13

Irlanda 3,1 16

Italia 5,2 17

Lettonia 32,6 40

Lituania 15 23

Lussemburgo 0,9 11

Malta 0 10

Paesi Bassi 2,4 14

Polonia 7,2 15

Portogallo 20,5 31

Romania 17,8 24

Slovacchia 6,7 14

Slovenia 16 25

Spagna 8,7 20

Svezia 39,8 49

Regno Unito 1,3 15

Fonte: CE

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

Tabella 1.2 - Previsione sulla domanda di biocarburante al 2020

consumi

carburante 2008 Ktep

consumo biofuel 2008

Ktep

quota biofuel sul consumo di carburanti

stima consu-mi carburante

2020

Ktep

domanda addizionale

biofuel - Ktep

Unione Europea 293.322 10.077 3,4 313.280 16.552

Austria 6.930 419 6,0 6.045 95

Belgio 8.776 101 1,2 7.645 549

Bulgaria 2.515 4 0,2 2.690 225

Cipro 666 14 2,1 769 51

Republica Ceca 5.652 111 2,0 7.033 487

Danimarca 4.298 5 0,1 3.875 324

Estonia 727 0 0,0 731 62

Finlandia 3.851 75 1,9 3.671 237

Francia 39.153 2.291 5,9 44.819 1.519

Germania 46.998 3.083 6,6 50.188 1.183

Grecia 6.441 69 1,1 6.057 446

Ungheria 4.196 165 3,9 5.314 287

Irlanda 4.355 53 1,2 4.572 336

Italia 36.144 723 2,0 39.524 2.637

Lettonia 1.089 2 0,2 1.328 111

Lituania 1.572 61 3,9 1.804 92

Lussemburgo 2.124 37 1,7 2.506 176

Malta 178 0 0,0 211 18

Paesi Bassi 11.381 287 2,5 10.471 603

Polonia 14.450 441 3,1 19.353 1.204

Portogallo 6.022 128 2,1 6.407 417

Romania 4.525 107 2,4 6.268 426

Slovacchia 1.915 126 6,6 2.584 94

Slovenia 1.965 22 1,1 2.569 196

Spagna 31.436 610 1,9 37.938 2.615

Svezia 7.382 352 4,8 7.332 271

Regno Unito 38.582 790 2,0 37.453 2.394

Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat e DG-TREN

L’approvazione della RED ha rappresentato l’ultima tappa del cammino

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intrapreso nel marzo 2007, con il pacchetto - proposto dalla Commissione - noto come tabella di marcia o Road Map, contenente misure finalizzate a combattere i cambiamenti climatici e a rafforzare la sicurezza energetica e la competitività dell’UE, in cui veniva sancito il “principio del 20-20-20. Il pacchetto tracciava una strategia integrata basata su tre elementi centrali:

• realizzare un vero mercato interno dell’energia con l’obiettivo, da un lato, di dare agli utilizzatori dell’energia nell’UE la possibilità di fare una vera scelta e, dall’altro, di incentivare gli ingenti investimenti che il settore dell’energia richiede;

• accelerare il passaggio ad un’economia a basse emissioni di carbonio, af-finché l’UE mantenga la propria posizione di leadership su scala mondiale nell’ambito delle energie rinnovabili proponendo un obiettivo vincolante: nel 2020 il 20% del suo mix energetico complessivo dovrà provenire da fonti rin-novabili, affiancato da un obiettivo minimo specifico per i biocarburanti pari al 10%;

• aumentare l’efficienza energetica, con l’obiettivo di risparmiare il 20% del consumo totale di energia primaria per il 2020, incentivando l’impiego di veicoli a minor consumo di carburante, introducendo norme più rigorose e una migliore etichettatura delle apparecchiature, migliorando il rendimento energetico degli edifici esistenti e aumentando l’efficienza nella generazio-ne, trasmissione e distribuzione dell’energia termica ed elettrica.La proposta della Road map era stata accompagnata da una valutazione di

impatto3 dell’obbligo del 10% sui mercati agricoli (CE, 2007) i cui risultati più im-portanti possono essere riassunti nei seguenti punti:

• il raggiungimento di una percentuale di miscelazione del 10% minimo nell’UE-27 determinerebbe un aumento del consumo di biocarburanti di 10,8 Mtep, passando da 23,8 a 34,6 Mtep;

• tale consumo dovrebbe essere soddisfatto per il 75% dalla produzione inter-na e per la parte restante dalle importazioni;

• la produzione di biomassa dovrebbe interessare circa il 15% della superficie arabile pari a circa 17,5 milioni di ettari.La discussione tra Commissione, Consiglio e Parlamento, protrattasi nel

corso del 2008, ha portato all’approvazione, il 18 dicembre 2008, del cosiddetto pacchetto-clima i cui punti principali sono:

3 Lestimesipoggianosuunmodellorecursivodinamicodiequilibrioparziale(ESIM)normalmenteutilizzatodallaCommissioneper l’analisideimercatiagricolimentre lestimedelladomandadibiocarburantisibasanosulmodelloPRIMES.

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• la revisione dello schema europeo di emission trading;• la riduzione del 10% delle emissioni nei settori non coperti dall’emission

trading scheme;• la revisione della direttiva sulla qualità dei carburanti;• una regolamentazione delle emissioni di anidride carbonica nelle automobi-

li di nuova produzione;• un quadro normativo relativo all’accumulo del carbonio;• la direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili.

Le due direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio 2009/28/CE sul-la promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili (RED) e 2009/30/CE, che modifica la direttiva 98/70/CE per quanto riguarda le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio e introduce un meccanismo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra, sono state infine pubblicate nell’apri-le 2009 e sono applicative dal 2010. Gli Stati membri devono adottare un piano di azione nazionale per le energie rinnovabili che comprenda l’informazione sugli obiettivi settoriali, tenendo conto del fatto che esistono usi alternativi della bio-massa. Il piano deve contenere una stima della produzione eccedentaria di energia da fonti rinnovabili che potrebbe essere oggetto di un trasferimento verso altri Stati membri o, viceversa, una stima della domanda di energia da fonti rinnovabili da soddisfare con mezzi diversi dalla produzione nazionale. I biocarburanti - pro-dotti da materie prime di provenienza interna o esterna alla Comunità - devono soddisfare i criteri di sostenibilità definiti dalla RED4 per poter essere contabilizza-ti ai fini della verifica del raggiungimento degli obiettivi fissati in termini di misce-lazione obbligatoria. Al rispetto degli stessi è anche condizionata l’ammissibilità alle eventuali misure di sostegno comunitarie e nazionali.

Tali criteri stabiliscono che:- la riduzione minima ottenuta delle emissioni di gas a effetto serra grazie

all’uso di biocarburanti deve essere pari almeno al 35% rispetto ai combu-stibili fossili 5-6;

- i biocarburanti non devono essere prodotti a partire da materie prime otte-nute su terreni che: ° presentino un elevato valore in termini di biodiversità;

4 Art.17.

5 50%dal2017edalgennaio2018almenoil60%peribiocarburantieibioliquidiprodottinegliim-piantiincuilaproduzioneèiniziatail1ogennaio2017osuccessivamente.

6 Questoèl’unicorequisitochedeveessererispettatodaibiocarburantieibioliquidiprodottidarifiutieresiduinonprovenientidaisettoridell’agricoltura,dell’acquacoltura,dellapescaedellasilvicoltura.

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° presentino un elevato stock di carbonio; ° fossero torbiere nel gennaio 2008;

- le materie prime agricole coltivate nella Comunità e utilizzate per la produ-zione di biocarburanti devono essere ottenute nel rispetto delle prescrizioni e delle norme previste dalla condizionalità ambientale di cui al regolamento (CE) n. 73/2009 del Consiglio, del 19 gennaio 2009.Ai fini della dimostrazione del rispetto degli obblighi nazionali, il contribu-

to dei biocarburanti prodotti a partire da rifiuti, residui, materie cellulosiche di origine non alimentare e materie ligno-cellulosiche è considerato equivalente al doppio di quello di altri biocarburanti.

La RED adotta le seguenti definizioni:- valore reale: la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per alcune

o per tutte le fasi di uno specifico processo di produzione di biocarburanti calcolata secondo la metodologia definita nell’allegato V, parte C;

- valore tipico: una stima della riduzione rappresentativa delle emissioni di gas a effetto serra per una particolare filiera di produzione del biocarburan-te;

- valore standard: un valore stabilito a partire da un valore tipico applicando fattori predeterminati e che, in circostanze definite dalla presente direttiva, può essere utilizzato al posto di un valore reale.I valori tipici e di default per materia prima e processo produttivo, con rife-

rimento al risparmio di emissioni di GHG rispetto ai combustibili fossili, sono stati elaborati dal Joint Research Center (JRC) della Commissione Europea (tab.2). I primi costituiscono una stima rappresentativa del valore delle emissioni per una determinata tecnologia di produzione del biocarburante. I valori di default sono derivati dai precedenti applicando alcuni fattori predeterminati e possono essere utilizzati in sostituzione dei valori reali.

I valori assunti dagli indicatori sul risparmio di emissioni risentono, ovvia-mente, delle assunzioni adottate per il loro calcolo. Ad esempio, il valore relativo al biodiesel prodotto dall’olio di soia non soddisfa automaticamente la soglia del 35% stabilita dalla RED, essendo stato calcolato ipotizzando l’importazione in Europa dei semi di soia dal Brasile e la loro trasformazione successiva in biodiesel. Allo stesso modo si è ipotizzato che nel caso dell’olio di palma la produzione in Malesia e Indonesia non consenta la cattura del metano e quindi non sia compatibile con lo standard adottato dall’UE. Per quanto concerne il mais è ipotizzata la sola pro-duzione nell’UE - che risulta compatibile con la standard - mentre tale valutazione non si applicherebbe ai produttori statunitensi.

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

Tabella 1.3 – Risparmio di emissioni di GHG(%) rispetto ai combustibili fossili per processo produttivo e materia prima nella produzione di biodiesel ed etanolo - Valori tipici e di default

Materia prima Valore tipico Valore di default

Colza 45% 38%

Soia 40% 31%

Girasole 58% 51%

olio di colza idrotrattato 51% 57%

Biodisel olio di colza puro 58% 57%

Olio di palma senza cattura metano 36% 19%

Olio di palma con cattura metano 62% 56%

Residui vegetali o animali 88% 83%

Barbabietola 61% 52%

Etanolo Canna da zucchero 71% 71%

Mais CE (con recupero metano) 56% 49%

Fonte: CE, RED

Per quanto riguarda le produzioni più diffuse nell’UE, il biodiesel di colza, sebbene compatibile oggi con lo standard, non lo sarebbe più dal 2017 quando la soglia diventa il 50%, a differenza del girasole che, di conseguenza potrebbe acqui-sire un vantaggio competitivo.

L’UE ha adottato nella RED il sistema di bilancio di massa in base al quale non è possibile mescolare biofuels con differenti valori di emissioni, in modo tale da impedire il commercio di biocarburante che si trovi al di sotto delle soglie sta-bilite.

La RED prevede che, per evitare una discriminazione tra biocarburanti o materie prime prodotte internamente o da paesi terzi, l’Unione Europea provvede-rà a concludere accordi bilaterali o multilaterali con i paesi terzi. Nel concludere tali accordi saranno considerate prioritarie le misure adottate per la conservazio-ne di aree che forniscono servizi di ecosistema fondamentali in situazioni critiche (ad esempio protezione degli spartiacque e controllo dell’erosione), per la tutela del suolo, delle risorse idriche e dell’aria, in relazione ai cambiamenti indiretti della destinazione dei terreni, per il ripristino dei terreni degradati e per evitare il consumo eccessivo di acqua in zone afflitte da carenza idrica, nonché relativamen-te agli aspetti della sostenibilità sociale.

Alla RED si affianca la direttiva 2009/30/CE del Parlamento Europeo e del

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Consiglio del 23 aprile 2009 che modifica la direttiva 98/70/CE per quanto riguarda le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio. La Direttiva stabi-lisce che i fornitori di combustibile indichino le emissioni di gas a effetto serra prodotte durante il ciclo di vita dei combustibili da essi forniti, prescrive che essi si impegnino a ridurle a partire dal 2011 e indica che la metodologia per il calcolo delle emissioni di gas a effetto serra prodotte durante il ciclo di vita dei biocarbu-ranti dovrebbe essere identica a quella stabilita ai fini del calcolo dell’impatto dei gas a effetto serra ai sensi della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili. La direttiva fissa criteri e valori standard per il calcolo delle emissioni di gas a effetto serra prodotte durante il ciclo di vita dei biocarburanti e le specifiche ecologiche dei combustibili disponibili sul mercato destinati ai veicoli.

Nel capitolo successivo si presenta un esame dell’attuale situazione della produzione e del commercio internazionale dei biocarburanti. Tale analisi sarà se-guita da una disamina delle politiche in atto nei paesi dell’Unione Europea.

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Capitolo ii

proDUzione e UtiLizzazione Dei biofUeL neLL’Ue

Le fonti rinnovabili, nel 2008, a livello mondiale, hanno rappresentato il 13% circa della produzione complessiva di energia – pari a 12.267 milioni di tonnellate equi-valenti di petrolio (Mtep) - a fronte del 33% rappresentato dal petrolio, del 27% per il carbone, del 21% per il gas naturale e del 5,8 per l’energia nucleare. La quota maggio-re di energia da fonte rinnovabile, corrispondente al 10% del totale dell’energia prima-ria prodotta, deriva dalla biomassa compresi i rifiuti. Il 2,5% del totale della biomassa è rappresentato dai biocombustibili liquidi o biocarburanti la cui produzione mondiale, nel 2008, secondo i dati dell’IEA, è stata di 70,6 milioni di tonnellate. I biocombustibili liquidi vengono utilizzati, per la quasi totalità, nel settore dei trasporti (tabb. 2.1 e 2.2).

Tabella 2.1 - Energia rinnovabile e da rifiuti nel mondo - 2008

Rifiuti municipali

Rifiuti industriali

Biomassa solida

primariaBiogas Bioliquidi

Energia geotermica

Energia solare

Unità TJ TJ TJ TJ 000 tonn TJ TJ

Produzione 1107716 431690 46870063 867423 70631 2445184 461883

Importazioni 0 278 124291 0 6664 0 0

Esportazioni 0 0 -68921 0 -8772 0 0

Variazione Stock -13 513 2649 0 151 0 0

Offerta interna 1107703 432481 46928082 867423 68674 2445184 461883

Differenza statistica

-2 -569 6266 -157 -193 -13451 -1

Trasformazione 978273 211444 5405351 407460 1896 2259811 8412

Consumo finale 129428 213227 40965037 455338 66681 165962 453467

Fonte: IEA, 2010

I principali paesi produttori e consumatori di biocarburanti sono Stati Uniti, Brasile e UE (tab.2.2). Mentre la produzione statunitense e brasiliana è costituita in misura quasi totale da etanolo, la produzione europea è composta in maniera prevalente da biodiesel.

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Tabella 2.2 - Biofuels nel mondo – principali paesi produttori (000 tonnellate) - 2008EU27 USA Brasile Cina Argentina Mondo

Produzione 13328 30665 21376 2050 743 70631

Importazioni 3560 2638 0 0 0 6664

Esportazioni 1390 2258 4078 0 725 -8772

Consumo finale 13111 30553 18087 2050 18 66681

Fonte: IEA, 2010

I biocarburanti coprono oggi circa il 3% della domanda di energia nel settore dei trasporti ma la loro quota arriva ben al 21% in Brasile.

Figura 2.1 - La produzione di biofuel nel mondo 2009

La loro utilizzazione appare in forte crescita sotto la spinta delle politiche di sostegno attuate da molti paesi al fine di aumentare la propria sicurezza ener-getica, contribuire alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica e sostenere

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il reddito agricolo, come sarà discusso più avanti. Secondo le stime dell’IEA, che riguardano un intervallo temporale che arriva al 2035, sebbene il petrolio rimarrà la principale fonte di energia, la sua quota sulla domanda di energia dovrebbe scendere dal 33 al 28% per la sua sostituzione nell’industria, nella generazione di energia e nei trasporti. Il peso delle rinnovabili moderne dovrebbe salire dall’at-tuale 7% al 14% e la quota dei biocarburanti nei trasporti dal 3 all’8% con un au-mento dei consumi dall’attuale un barile al giorno a 4,4 nel 2035 (fig.2.2).

Figura 2.2 - Proiezioni IEA della domanda di energia per fonte energetica

Fonte: IEA, 2010

La produzione europea di biodiesel nel 2009 è stata di 9046 mila tonnellate con una crescita elevata (16,6%) rispetto al 2008, seppur rallentata rispetto al valo-re record dell’anno precedente (35%). I principali paesi produttori sono la Germa-nia, con oltre il 25% della produzione comunitaria, la Francia, la Spagna e l’Italia. Insieme questi quattro paesi superano il 50% della produzione totale. Il 70% del biodiesel in Europa è prodotto, attualmente, dall’olio di colza mentre l’utilizzazione di olio di soia o di palma, limitata da standard tecnici, è stimata rispettivamente nell’ordine del 14-24% e del 5-11%. Il biodiesel prodotto da residui si aggirerebbe invece intorno al 5-11% pari a circa 810 ktoe (CE, 2011).

La parte restante della produzione di biocarburanti nell’UE, stimata nel 2009 in 3674 milioni di litri, è composta da etanolo (pari a 2451 Mtep). I principali paesi produttori sono la Francia, da cui proviene un terzo della produzione, la Ger-

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mania e la Spagna. Questi tre paesi, insieme, contano per il 66% della produzione totale. L’etanolo è prodotto principalmente dal grano e, in maniera residuale, dal-la barbabietola e da altri cereali. Inoltre, secondo la Commissione, circa 11 ktoe verrebbero prodotte da ligneo-cellulosa. I principali paesi con impianti di seconda generazione sono i Paesi Bassi, la Germania, la Danimarca e, al di fuori dell’UE, la Norvegia. Complessivamente il 9% della produzione europea è costituto da biocar-buranti di seconda generazione.

Figura 2.3 - Produzione europea di biocarburanti (Ktep)

Fonte: Eurostat

Secondo i dati dell’European Biodiesel Board il rapporto tra la produzione e la capacità produttiva installata è stato nel 2009 del 43,3%. La capacità produttiva installata ammonta, infatti, a 20,9 milioni di tonnellate ma molti impianti sarebbero rimasti chiusi per assenza di ordini.

Il basso livello di utilizzazione della capacità produttiva degli impianti (tab.2.3 e fig.2.1) per la produzione di biodiesel viene associata a tre ordini di fattori. Innanzitutto la concorrenza delle importazioni che in alcuni casi sembrano essere sostenute da sussidi all’esportazione attualmente oggetto di controversie, come nel caso dei sussidi statu-nitensi per il B99 di cui si parlerà nel capitolo 3. Il secondo fattore è la riduzione degli incentivi fiscali come nel caso della Germania e, infine, la decisione di alcuni paesi di ridurre il proprio tasso obiettivo di miscelazione.

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Tabella 2.3 - Capacità produttiva dei maggiori impianti per la produzione di bio-diesel in Europa

Impresa Paese Numero di impiantiCapacità produttiva

(tonn)

Diester Industrie Francia 9 2000000

ADM Biodiesel Germania 3 975000

Infinita Spagna 2 900000

Biopetrol Germania-Olanda 3 750000

Marseglia Group Italia 2 560000

Enteban Spagna 3 500000

Npvaol Italia- Austria 3 480000

Verbio Germania 2 450000

Cargill Germania 2 370000

Acciona Spagna 2 272000

Fonte:Biofuel barometer, EurObserv’ER 2010

Figura 2.4 - Produzione e capacità produttiva degli impianti per la produzione di biodiesel in Europa (Mton)

Fonte:European Biodeisel Board

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Anche nel caso dell’etanolo, la capacità produttiva degli impianti europei, che ammonta a 6.785 milioni di litri, è notevolmente sottoutilizzata (tab.2.4).

Tabella 2.4 - Capacità produttiva dei maggiori impianti per la produzione di bioe-tanolo in Europa

Impresa PaeseNumero di impianti

Capacità produttiva (milioni litri)

Materia prima

Tereos Francia, Belgio, R. Ceca 8 857 zucchero, grano

Albengoa Bioenergy Spagna, Francia 5 776cereali, ligneocellulosa

Crop Energies Germania Francia, Belgio 3 760zucchero, cereali, alcol

Cistanol Francia 4 540zucchero, barbabietola, grano, alcol

Agrana Group Austria, Ungheria 2 410 grano

Ensus Pic Regno Unito 1 400 zucchero, cereali

Verbio AG Germania 2 355 cereali

Agroetanol Svezia 1 210 alcol

IMA (Bertolino) Italia 1 200 alcol

Wratislavia Bio Polonia 1 170 alcol

Fonte:Biofuel barometer, EurObserv’ER 2010

La struttura del settore è fortemente differenziata con impianti la cui capa-cità produttiva varia da 2000 tonnellate di proprietà di gruppi di agricoltori a 500 mila tonnellate appartenenti a grandi imprese multinazionali. La localizzazione degli impianti è guidata da una pluralità di fattori come le aree di coltivazione della materia prima, la presenza di grandi porti e anche dalla disponibilità di incentivi.

Il consumo di biocarburanti nell’UE è stato di 12 Mtep nel 2009 (tab.2,5), pari ad un tasso di miscelazione del 4%, e risulta in continua crescita nell’ultimo decennio anche se con un tasso rallentato nell’ultimo anno. Negli ultimi anni il consumo è cresciuto in tutti i paesi dell’UE con l’eccezione della Germania, dove si è registrato un calo a partire dal 2008, anno in cui è stata aumentata la tassa sul biodiesel (energy tax) e l’incentivo è stato sostituito dall’obbligo di miscela-zione. Il 79,5% dell’ammontare complessivo di biocarburanti utilizzato nell’UE è costituito da biodiesel contro il 19,3% costituto da bioetanolo. La parte restante è data dall’olio vegetale puro consumato in Germania e dal biogas in Svezia. I primi

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cinque paesi consumatori sono Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito che insieme ammontano al 71% del consumo totale.

Tabella 2.5 - Consumo di energia e biocarburanti in Europa 2005-2009 (Ktep)Carburanti

fossiliBioetanolo Biodiesel

Altri biocarburanti

Totale Bio-carburanti

Quota % biocarburanti

2005 355.926 567 1.380 1.926 3.873 1,1

2006 361.274 888 2.329 3.280 6.497 1,8

2007 365.299 1.175 4.333 2.786 8.294 2,3

2008 359.583 1.851 6.820 2.470 11.142 3,1

2009 347.416 2.299 9.298 2.223 13.820 4,0

Fonte:Biofuel barometer, EurObserv’ER 2010

La quota di biocarburanti importati è cresciuta costantemente fino a rag-giungere il 25% nel 2008 (tab. 2.6 e fig. 2.5). L’aumento costante della produzione è, infatti, stato inferiore all’aumento dei consumi come risulta evidente dall’anda-mento del tasso di autoapprovvigionamento.

Tabella 2.6 - Produzione, consumo e commercio estero di biocarburanti nel’UE (Ktep)*

2004 2005 2006 2007 2008 2009

Produzione 2.195 3.828 6.266 7.703 9.578 11.465

Importazioni 108 394 753 1.410 2.892 3.381

Esportazioni 186 338 512 616 1.145 1.024

Saldo commerciale -78 56 241 794 1.747 2.357

Consumo 2.115 3.873 6.497 8.294 11.142 13.820

Tasso di autoapprovvigionamento 103,8 98,8 96,4 92,9 86,0 83,0

Propensione a importare 5,1 10,2 11,6 17,0 26,0 24,5

* grado di autoapprovvigionamento (%)= produzione/consumi, propensione a importare = importazioni/consumi

Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat

A partire dalla seconda metà del 2008 nell’UE è stato registrato un dete-rioramento del mercato dei biocarburanti, soprattutto per il biodiesel, attribuibile principalmente alla diminuzione del prezzo dei combustibili fossili, a modifiche delle politiche di incentivazione in Germania, paese che rappresenta il principale mercato europeo, e alla competizione con le importazioni.

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Figura 2.5 - Produzione, importazioni e consumo di biocarburanti nell’UE-27

Fonte: Eurostat

L’Italia, con una produzione di circa 470.000 t nel 2009 è il terzo produttore europeo di biodiesel dopo la Germania e la Francia.

A cominciare dal 2008 l’aumento dei consumi derivanti dagli obblighi comu-nitari di miscelazione ha determinato una forte crescita della produzione interna e dell’importazione del biodiesel, fino ad allora assente (tab.2.7).

Per la produzione del biodiesel l’Italia è comunque fortemente dipendente dall’estero, come si vedrà più avanti, per quanto concerne la materia prima.

Tabella 2.7 - Produzione, commercio e consumo di biodiesel in Italia (Ktep)2005 2006 2007 2008 2009

Produzione 176 199 180 557 713

Importazioni 0 0 0 213 413

Esportazioni 0 0 0 96 80

Saldo commerciale 0 0 0 217 333

Consumo finale 176 199 180 665 1063

Consumo finale nei trasporti 176 161 141 665 1063

Fonte: Eurostat

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

In Italia sono presenti 19 impianti con un potenziale produttivo di circa 2.500.000 t/anno di biodiesel, di cui 4 in fase di realizzazione. La maggiore concentrazione di impianti si ha nella regione Lombardia, con una capacità produttiva complessiva di 670.000 t/anno pari al 33% del totale.

Una parte della produzione di biodiesel è esportata soprattutto verso Francia, Spagna e Grecia. Le importazioni provengono sia dall’interno dell’UE che dai paesi terzi, prevalentemente Indonesia e Argentina. Le importazioni dagli Stati Uniti si sono azzera-te dopo l’applicazione da parte dell’UE dei dazi antidumping, anche se è registrabile una certa quantità di elusione attraverso il Canada e Singapore (tab.2.8)7.

Tabella 2.8 - Import - Export di biodiesel (codice doganale 28349091) dell’Italia (tonn)

IMPORT EXPORT

2008 2009 2010 2008 2009 2010

Totale 161.020 491.687 809.780 116.318 134.642 140.990

UE-27_Intra 95.320 362.032 338.936 116.049 134.187 139.947

UE -27_Extra 65.700 129.655 470.844 269 454 1.042

Francia 23.743 131.339 7.737 87.959 84.055 81.541

Spagna 23 92.687 202.979 14.610 44.055 41.334

Grecia 21.196 7.589 3.072 4.567 12.130

Slovenia 573 1.303 3.340

Paesi Bassi 28.186 76.186 52.218 1 260

Austria 2.481 1.709 27.316 8.673 132 206

Usa 45.084 5.981 17 17 129

Belgio 745 11.308 15.964 273 0 114

Germania 18.885 41.214 31.760 776 34 80

Indonesia 9.643 61.104 233.176 3 33

Argentina 10.972 54.012 209.183 1 6

Canada 3.989 5.697 4 4

Malaysia 4.613 3

Singapore 4.515 10.671

Fonte: Eurostat

Anche in Italia, come nel resto di Europa la capacità produttiva degli impian-ti è largamente sottoutilizzata e in diminuzione (fig.2.6). Della filiera fanno parte

7 cfr.capitolo3

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anche alcuni oleifici, concentrati soprattutto nelle regioni Emilia Romagna e Vene-to che svolgono le fasi dell’esterificazione e della raffinazione.

Figura 2.6 - Produzione e capacità produttiva degli impianti per la produzione di biodiesel in Italia (000 ton)

Fonte:European Biodiesel Board

La materia prima utilizzata viene per la maggior parte importata. I principali flussi riguardano l’olio di colza che proviene sia da paesi europei (Francia e Roma-nia) che extraeuropei (USA, Russia e Canada), l’olio di palma da Indonesia, Malesia e Papua Nuova Guinea, l’olio di girasole e i semi di soia e di girasole.

Le superfici investite a semi oleosi in Italia, secondo Assitol, sono state pari, nell’anno 2009 a 331.500 ettari (con un aumento del 39,3% rispetto all’anno pre-cedente), di cui 22.300 ettari a colza (+346%), 117.200 ettari a girasole (+30,2%) e 192.000 ettari a soia (+47,7%).

La produzione nazionale di semi oleosi per usi energetici è valutata da Assi-tol in 105.100 tonnellate contro le 40.500 tonnellate del 2008, con un aumento del 159,5%, a fronte di una produzione per usi alimentari e mangimistici di 883.700 tonnellate. Dai semi passati in lavorazione sono state ottenute 558.000 tonnellate di oli da semi e frutti oleosi greggi per usi alimentari e 33.700 tonnellate di oli per

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

usi industriali prodotti da semi coltivati per uso energetico e di filiera (490.200 tonnellate per usi alimentari e 17.100 tonnellate per usi industriali nel 2008) e 1.746.000 tonnellate di farine di estrazione (1.585.000 tonnellate nel 2008).

Per quanto riguarda la produzione dell’ETBE l’unico stabilimento è di pro-prietà dell’Ecofuel di Ravenna (ENI). Tra le maggiori ditte produttrici di bioetanolo e l’Ecofuel, sono stati attivati accordi di fornitura per la recente produzione di alcu-ne decine di migliaia di tonnellate di ETBE nell’ambito del programma nazionale bioetanolo/ETBE.

Figura 2.7 - Importazioni italiane di semi oleosi e oli vegetali, 2005-2010 (Meuro)

Fonte: Eurostat

0

200

400

600

800

1.000

1.200

1.400

1.600

1.800

2.000

1 2 3 4 5 6

olio di colza

olio di palma

olio di soia

olio di girasole

semi di girasole

semi di soia

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Capitolo iii

iL commercio internazionaLe Di biocarbUranti

Il commercio internazionale dei biocarburanti riguarda oggi solo una piccola fra-zione della produzione mondiale (10% secondo l’IEA) ma appare in forte crescita sotto la spinta degli obblighi di consumo fissati da paesi come gli Stati Uniti e l’Unione Europea, caratterizzati da un elevato consumo di carburanti fossili8. Più della metà degli scambi internazionali (pari a oltre 6.664 mila tonnellate nel 2008) provengono dal Brasile e ri-guardano l’etanolo.

Secondo le previsioni (FAPRI, 2010) il commercio netto di etanolo dovrebbe au-mentare del 323% tra il 2009 e il 2019 per effetto principalmente dell’aumento della domanda degli Stati Uniti. Più limitato (6,3%) è invece l’aumento previsto per il commer-cio netto di biodiesel anche a causa dell’entrata in vigore dell’obbligo di miscelazione in Argentina che vedrà, di conseguenza, la riduzione del proprio surplus esportabile.

Figura 3.1 - Importazioni di biofuels dell’UE da paesi terzi (Mtep)

8 Idatisulcommercioesterodeibiocarburantirisentonodiimprecisioniderivantidall’assenzadiunospecificocodiceHS.Idatisull’etanoloincludonoilprodottoscambiatoinragionediutilizzifinalidi-versiqualifuel,usoindustrialeealimentare.Ilbiodieselèscambiatosottolevocidoganali38249099e38249029nelcasodelbiodieselpuro.Dal2008l’UEhaintrodottoilcodice38249091(FAMAE).

Fonte: Eurostat

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La figura 3.1 mostra l’incremento delle importazioni di biodiesel e bioetanolo registratosi negli ultimi anni nell’UE. Nel 2008 l’UE ha importato circa il 32% del pro-prio consumo di etanolo. I principali paesi importatori sono il Regno Unito e la Svezia.

Per quanto riguarda il biodiesel, la reazione europea alle esportazioni sus-sidiate americane, di cui si parlerà più avanti, ha determinato la drastica riduzione di quest’ultime mentre sono cresciute le importazioni dall’Argentina che è oggi il principale paese di provenienza destinato a divenire, nei prossimi anni, il principale paese produttore. Il secondo paese fornitore è l’Indonesia (tab.3.1).

Tabella 3.1 - Importazioni di biodiesel (tonn) dell’UE – principali paesi partner

Paese partner Quantità% Quota di

mercato

2008 2009 2010 2008 2009 2010

Mondo 1779,7 1711,0 1926,2 100 100 100

Argentina 76,5 853,6 1179,3 4,30 49,89 61,22

Indonesia 155,1 157,9 496,2 8,72 9,23 25,76

Canada 1,7 140,0 90,4 0,10 8,18 4,69

Malaysia 38,0 123,5 78,4 2,14 7,22 4,07

India 8,0 24,6 37,3 0,45 1,44 1,94

Croatia 0,4 2,2 11,9 0,02 0,13 0,62

Singapore 0,2 20,5 11,6 0,01 1,20 0,60

Norvegia 2,0 3,1 5,9 0,11 0,18 0,31

Ecuador 4,5 0,00 0,00 0,24

United Arab Emirates 3,2 4,0 0,18 0,00 0,21

Turchia 0,0 2,8 3,0 0,00 0,17 0,16

Cina 0,3 0,0 1,0 0,02 0,00 0,05

USA 1487,8 381,2 0,0 83,60 22,28 0,00

Fonte: Database Trains

Per quanto riguarda l’etanolo, i principali paesi di provenienza sono il Brasile e l’Egitto (tab.3.2) L’UE esporta anche etanolo verso vari paesi quali Svizzera, USA, Nor-vegia, Turchia e biodiesel (FAMAE) soprattutto verso la Norvegia.

Il crescente deficit dell’UE riguardo agli oli vegetali negli ultimi 3-4 anni ha fat-to sì che crescenti quantità di oli alimentari, per circa 2,5 milioni di tonnellate, siano state importate per compensare l’utilizzazione dell’olio di colza nella produzione del biodiesel con conseguenti aumenti dei prezzi mondiali soprattutto per l’olio di girasole.

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

Le importazioni europee di oli di girasole, soia e palma appaiono in forte crescita dal 2000 (fig. 3.2). I principali paesi di provenienza dell’olio di girasole sono l’Ucraina e l’Ar-gentina con una quota superiore al 50%. L’olio di palma proviene quasi esclusivamente dalla Malesia e dall’Indonesia. Si stima che circa l’80% delle importazioni europee di oli vegetali sia destinato all’uso alimentare.

Tabella 3.2 - Importazioni UE di alcol etilico (codice doganale 220710),2005-2010: principali fornitori (000 ton)

Paese partner Quantità

2005 2006 2007 2008 2009 2010

Totali 436,9 469,4 963,4 1232,9 885,5 410,9

Brasile 150,7 188,7 516,8 613,1 234,2 119,5

Egitto 17,6 29,2 33,2 44,6 43,7 47,9

Bolivia 10,9 22,4 4,0 43,5 44,1 37,7

Perù 16,2 16,2 33,8 47,0 47,7 37,4

Guatemala 48,0 31,9 41,2 33,7 87,8 27,7

Stati Uniti 0,6 0,9 38,5 1,5 13,1 24,2

Paesi non specificati 0,0 0,0 36,9 217,8 137,3 14,1

Turchia 1,8 12,8 14,2 4,2 4,9 14,0

Argentina 11,4 1,6 5,4 13,6 30,4 8,6

Lettonia 0,0 3,8 12,7 8,8 11,3 8,3

Norvegia 7,5 8,6 11,8 10,8 13,1 8,2

Sud Africa 16,9 11,6 10,5 5,4 1,3 6,6

Croazia 5,8 2,9 7,8 4,4 3,4 6,2

Pakistan 73,2 39,3 63,6 77,6 52,5 3,7

Costa Rica 12,0 15,3 21,1 27,2 37,1 3,2

Fonte: Nostre elaborazioni su dati Eurostat

L’olio di soia proviene dagli Stati Uniti. In questo caso si tratta del B99, una miscela di oli vegetali al 99% e oli minerali all’1% che secondo l’European Biodiesel Board è stato sus-sidiato illegalmente agli Stati Uniti e venduto in dumping in Europa come si dirà più avanti.

I flussi di commercio internazionale per gli oli vegetali sembrano indicare che la raffinazione degli oli avvenga in paesi diversi da quelli di produzione, al contrario di quan-to avviene nel caso dell’etanolo. Una spiegazione è che, in virtù degli incentivi concessi, la produzione di biodiesel sia concentrata nell’UE e in particolare in poche grandi imprese (Unctad 2006b).

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Figura 3.2 - Importazioni mondiali di oli vegetali (tonnellate)

Fonte: Nostre elaborazioni su dati FAOSTAT

La maggior parte dei paesi che hanno l’obiettivo di sviluppare la propria produzione attua il sostegno del prezzo interno dei biocarburanti attraverso tariffe all’importazione che hanno anche l’obiettivo di limitare i benefici delle agevolazioni fiscali ai soli produttori interni (tab.3.3). Le divergenze nelle tariffe applicate a pae-si o gruppi di paesi diversi non solo limitano le importazioni da questi ma finiscono anche per determinare quali produttori hanno un vantaggio comparato in relazio-ne alla materia prima che utilizzano.

Tabella 3.3 - Tariffe MFN1 (%) per principali oli vegetali e alcol etilico – media ponderata- anno 2009

Prodotto (4 digit) Canada UE USA

Olio di soia 4,50 4,99 13,26

Olio di palma 3,67 8,66 0,00

Olio di girasole 4,50 9,60

Olio di colza 11,00 9,60 6,32

Alcol etilico non denaturato 3,25 19,2 €/100 l 2,501 I paesi membri del WTO esprimono i propri impegni in termini tariffari con riferimento ad un valore massimo che si

applica sulla base della nazione più favorita (MFN).

Fonte: Database Trains

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

Gli USA applicano una tariffa ad valorem del 2,5% sulle importazioni di eta-nolo e dell’1,9% sull’alcol etilico denaturato e un dazio specifico sulle importazioni di alcol etilico per la produzione di biocarburante, che è stato recentemente ridotto da 54 a 45c/gallone. Questa tariffa è stata fissata in modo tale da annullare i be-nefici derivanti dall’agevolazione fiscale per il prodotto importato (45 c/ gallone), compensandone il costo per l’erario al tempo stesso. La tariffa colpisce prevalen-temente le importazioni dal Brasile ed è stata molto criticata sulla base della sua contraddizione con l’obiettivo di ridurre le emissioni considerato il diverso impatto in questa direzione dell’etanolo ottenuto dalla canna da zucchero in Brasile ri-spetto a quello da mais prodotto negli Stati Uniti. Alcuni paesi partner godono di trattamenti preferenziali come il Messico ed il Canada che, nell’ambito del NAFTA (North American Free Trade Agreement), possono esportare etanolo negli USA a dazio zero. Un altro importante strumento di politica commerciale - che ha ef-fetti sulle importazioni di etanolo - è il Caribbean Basin Economic Recovery Act (CBERA) che raggruppa i paesi dell’America Centrale e Caraibici. Sulla base di quest’accordo se l’etanolo è prodotto in questi paesi con almeno il 50% di materia prima proveniente da paesi dell’accordo stesso, viene ammesso negli USA a dazio zero. Quest’ultimo si applica anche al 7% delle importazioni indipendentemente dalla provenienza della materia prima. Ciò fa si che l’etanolo prodotto in altri paesi, principalmente Brasile ed UE, venga distillato nella forma anidra in impianti loca-lizzati nei paesi caraibici, tra cui principalmente Giamaica, El Salvador, Trinidad e Tobago e Costa Rica e poi importato dagli Stati Uniti a dazio ridotto.

Anche in Brasile sia il mercato dello zucchero che quello dell’etanolo sono protetti dalla competizione esterna attraverso una tariffa del 20% sulle importa-zioni di zucchero e del 30% su quelle di etanolo, con l’eccezione dei paesi del Mer-cosur.

Il mercato europeo è abbastanza protetto nei confronti dei paesi maggiori produttori, Brasile e USA, con una tariffa di 19,2 €/hl per l’alcol non denaturato e di 10,2 €/hl per l’alcol denaturato. Nell’UE, in virtù del Sistema Generalizzato delle Preferenze (GSP)9 nell’ambito dell’accordo EBA e degli accordi preferenziali con i paesi ACP, le importazioni di alcol da questi paesi avvengono a tasso zero o a tariffa ridotta.

9 IlGSPèunoschematariffariochefavorisceipaesiinviadisviluppo.Leesportazionidaquestipaesidietanolo,classificatocomeprodottosensibile,beneficiavanofinoal31dicembre2005,diunaridu-zionedel15%suldazioMFN.Questosistemaèstatosostituitodaunonuovo(GSP+)chehaazzeratoidazimahaescluso ilPakistan, lecuiesportazionidietanolosuperano l’1%delle importazionieuropeenell’ambitodelGSPequindisonosoggettealsistemaMFN.

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In generale, al biodiesel sono applicate tariffe inferiori rispetto all’etano-lo. L’UE applica tariffe che vanno dal 4,99% per l’olio di soia al 9,6% per l’olio di colza. Il fatto che queste tariffe siano superiori a quelle, in realtà nulle, in vigore per i semi oleosi è una pratica, nota come tariff escalation, diffusa anche per altri settori in quei paesi che vogliono proteggere la propria industria di trasformazione basata sull’importazione delle materie prime.

Nell’ambito del commercio internazionale di biocarburanti, è in atto un con-tenzioso tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti riguardo al biodiesel. Sotto accusa, da parte dei produttori europei di biodiesel - associati nell’European Biodiesel Bo-ard (EBB) - sono i sussidi americani, adottati nel 2004, nella misura massima di 264$ per m3, equivalenti a circa 200€ per tonnellata, per miscele anche minime di biodiesel quali il B99,910 che può essere esportato nell’Unione Europea e benefi-ciare dei sussidi europei. La miscela B99 sarebbe esportata dagli USA nell’Ue in quantità rilevanti e venduta ad un prezzo di dumping pari a circa 120-180€/t. Il sus-sidio, nato per favorire i produttori statunitensi ha finito per sostenere i produttori del sud est asiatico e del sud America, che operando una triangolazione attraver-so gli Stati Uniti riescono a percepire i sussidi statunitensi e, ove presenti, quelli dei paesi europei di destinazione finale. L’incentivo è considerato così alto da aver determinato anche delle esportazioni di biodiesel dall’Europa verso gli Stati Uniti con successiva re-importazione. Oltre alle proteste dei produttori europei il sussi-dio americano alle miscele di biodiesel ha riscontrato una crescente opposizione interna essendo stato stimato un costo per i contribuenti di 782 milioni di dollari che si aggiungono ai 504 che vanno a beneficio del biodiesel prodotto negli USA (Carriquiry e Babcock, 2008). L’incentivo è stato abolito a partire dal 1° gennaio 2010 ma reintrodotto nel 2011.

Nell’Ue la Commissione ha istituito nel 2009 un dazio anti-dumping ed un dazio controvalore provvisorio con il reg. 183/2009, resi definitivi con il successivo reg. 599/2009 dopo aver compiuto un’inchiesta sulle importazioni di biodiesel puro e in miscele superiori al 20% provenienti dagli USA, avendo dimostrato un danno economico per i produttori europei. I dazi anti-dumping vanno da 68,60 a 198 €/t, equivalenti a 0,9-0,25 €/l mentre i dazi controvalore variano da 211,20 a 237 €/t, equivalenti a 0,24-0,27 €/l. Ciononostante, nell’agosto del 2010 la Commissione, su richiesta dell’EBB, ha aperto un’inchiesta sulla possibile elusione delle misure anti-dumping e delle misure compensative istituite dai citati regolamenti, median-te triangolazioni di biodiesel prodotto negli Stati Uniti e destinato al mercato euro-

10 Miscelaallo0,1%.

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

peo, attraverso il Canada e Singapore o mediante l’esportazione dagli USA all’Ue di miscele di grado inferiore al 20%. I dati sul commercio evidenzierebbero, secondo i ricorrenti, un notevole cambiamento della configurazione degli scambi riguar-danti le esportazioni da USA, Canada e Singapore nell’Unione, senza che vi fossero adeguate motivazioni a parte l’istituzione del dazio. L’indagine ha concluso che il dazio compensativo definitivo istituito sulle importazioni di biodiesel originario degli Stati Uniti è stato eluso attraverso la triangolazione con il Canada e relativa-mente a miscele di titolo inferiore al 20% e pertanto attualmente vi è una proposta di mantenere il dazio anche relativamente a questi paesi. Alcuni autori (de Gorter, Drabik, Just, 2010) analizzando la questione dello “splash and dash” hanno invece concluso che le ragioni per la bassa utilizzazione della capacità produttiva europea vadano piuttosto cercate nel declino del prezzo del petrolio avutosi dopo luglio 2008 e nella riduzione dei sussidi europei, in particolare in Germania.

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

Capitolo iV

Le poLitiche aDottate DagLi stati membri DeLL’Ue e La stima DeL sostegno pUbbLico

Le motivazioni alla base delle politiche a favore dei biocarburanti riguardano la sicurezza energetica, cioè la riduzione della dipendenza dalle importazioni di combu-stibili fossili, la riduzione delle emissioni e, infine, il sostegno all’agricoltura attraverso la creazione di una domanda addizionale di prodotti agricoli.

Le misure normalmente adottate per promuovere la produzione di biocarbu-ranti ricadano in quattro categorie: il sostegno diretto che può riguardare direttamen-te i biocarburanti, in genere attraverso incentivi fiscali, o la produzione di biomassa; gli obblighi di miscelazione che impongono quote minime di consumo nell’ambito dei carburanti utilizzati nel settore dei trasporti e che hanno l’effetto di stimolare sia la domanda che l’offerta; misure di protezione commerciale come le tariffe all’impor-tazione e misure che stimolano la produttività e l’efficienza in vari punti della catena dell’offerta e dell’utilizzazione. Nella tabella 4.1 sono riportati i paesi che hanno adot-tato misure relative alla miscelazione obbligatoria (M) o definito valori obiettivo (T) in termini di consumo di biocarburanti e il tasso di miscelazione stabilito o previsto.

Nel caso dell’Unione Europea è opportuno distinguere tra le politiche adot-tate a livello comunitario e quelle adottate dagli stati membri. Per quanto riguarda il sostegno diretto, l’Unione Europea, con l’Health Check del 2008, ha abrogato tutte le forme di sostegno esistenti nel passato che riguardavano le produzioni non alimentari sulle terre a set aside (dal 1993) e l’aiuto specifico per le energy crops di 45 €/ha istituito nel 2004. Il sostegno finanziario diretto ai biocarburanti è, come si vedrà più avanti, oggetto delle politiche nazionali se pur nel quadro comune co-stituito dalla Direttiva sulla tassazione dell’Energia (2003/96/EC).

Gli obiettivi di miscelazione stabiliti dall’UE hanno avuto dapprima un carat-tere volontario, con la Direttiva 2003/30/EC che fissava due target al 2005 e al 2010 rispettivamente del 2 e del 5,75%, e successivamente – con la direttiva 2009/28/EC sono stati innalzati fino al livello del 10% nel 2020 e resi obbligatori.

Le misure commerciali riguardano l’applicazione delle tariffe all’importa-zione viste sopra.

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Tab.4.1 - Obblighi o obiettivi di miscelazione per paese (M= obbligo, T= obiettivo)Paese Livello attuale Livello previsto Tipo

Argentina E5, B7 n.d M

Brasile E 20-23, B5 n.d M

Canada E5, B2-3 n.d T

Cina E10 n.d M

Colombia E10, B10 B20 (2012) M

UE E/B 5,75 E/B 10 M

India E5 E/B 20 M

Indonesia E/B2 ,5 E, B 5 (2015), E15, B20 (2025) M

Giappone 500 Ml/anno 800 Ml/anno (2018) T

Korea B2 B2,5 M

Norvegia E/B, 3,5 E/ B 5 (2011) M

Stati Uniti 48 Miliardi litri 136 Miliardi litri (2022) M

Legenda E: etanolo, B= biodiesel. Il numero a fianco indica il livello di miscelazione stabilito o previsto (es. E5= mi-

scelazione al 5% per l’etanolo)

Fonte: IEA, (2011)

Infine, le misure che agiscono su vari segmenti delle catene di produzione e consumo riguardano le azioni per stimolare la ricerca e lo sviluppo tecnologico, la promozione degli investimenti destinati ad accrescere la capacità produttiva, la promozione dei veicoli flex-fuels, lo sviluppo delle reti di distribuzione, la regola-mentazione degli standard tecnici. Questo tipo di misure sono adottate sia a livello comunitario sia di stati membri e vi ricadono, per la parte che interessa l’agricol-tura, anche alcune azioni finanziate nell’ambito dei piani di sviluppo rurale.

Secondo le statistiche dell’Eurostat nel 2008 il 3,4% del totale dei carburanti utilizzati nel settore dei trasporti, in termini energetici, sono stati biocarburanti (tab.4.2).

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

Tabella 4.2 - Quote di consumo di carburanti e biofuels nell’UE 2008 e 2009

quota sui consumi

carburante 2008 dell’UE

quota sui consumi

biofuel 2008 dell’UE

quota biofuel sul consumo di carburanti

2008

quota biofuel sul consumo di carburanti 2009*

obiettivo fissato per il

2010 **

Austria 2,4 4,2 6,0 7,0 5,75

Belgio 3,0 1,0 1,2 5,75

Bulgaria 0,9 0,0 0,2 3,5* 5,75

Cipro 0,2 0,1 2,1 _ 5,75

Repubblica Ceca 1,9 1,1 2,0 2,72 5,75

Danimarca 1,5 0,0 0,1 _ 5,75

Estonia 0,2 0,0 0,0 0,26 5,75

Finlandia 1,3 0,7 1,9 5,75

Francia 13,3 22,7 5,9 6,0 7,00

Germania 16,0 30,6 6,6 5,5 6,25

Grecia 2,2 0,7 1,1 5,75

Ungheria 1,4 1,6 3,9 3,75 5,75

Irlanda 1,5 0,5 1,2 1,7 5,75

Italia 12,3 7,2 2,0 3,47 5,75

Lettonia 0,4 0,0 0,2 0,48 5,75

Lituania 0,5 0,6 3,9 5,6 5,75

Lussemburgo 0,7 0,4 1,7 _ 5,75

Malta 0,1 0,0 0,0 0,37 5,75

Paesi Bassi 3,9 2,8 2,5 3,75 5,75

Polonia 4,9 4,4 3,1 4,63 5,75

Portogallo 2,1 1,3 2,1 3,32 5,75

Romania 1,5 1,1 2,4 4,1 5,75

Slovacchia 0,7 1,3 6,6 3,4 5,75

Slovenia 0,7 0,2 1,1 _ 5,75

Spagna 10,7 6,1 1,9 3,8 5,83

Svezia 2,5 3,5 4,8 _ 5,75

Regno Unito 13,2 7,8 2,0 2,48 5,75

Unione Europea 100,0 100,0 3,4 5,75* provvisorio ** sulla base delle dichiarazioni dei paesi membri, in neretto i valori superiori a quelli fissati dalla UE.

- non disponibile

Fonte: CE, DG Energy

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Dal confronto emerge che due paesi, Germania e Francia, detengono oltre il 50% dei consumi di biocarburante comunitari a fronte di una quota del 30% sui consumi complessivi di carburanti nel settore dei trasporti nell’UE. In particolare questi due paesi hanno quote decisamente più elevate di altri paesi (Regno Unito, Italia e Spagna) che hanno quote comparabili di consumi di carburanti in termini assoluti. Si evidenzia inoltre che un gruppo di paesi, costituito da Austria, Francia, Germania, Ungheria, Lituania, Lussemburgo, Romania, Slovacchia e Svezia, de-tiene una quota del consumo di biofuels superiore alla propria quota di carburanti rispetto alla media comunitaria.

Tali differenze sono in parte dovute a diversi approcci adottati nelle politiche adottate dai singoli paesi, pur nel quadro comune costituito dalla regolamentazio-ne europea.

Gli strumenti più comunemente adoperati sono le agevolazioni fiscali e gli obblighi di miscelazione. L’obbligo di miscelazione è stato adottato già dal 2005 da Austria, Francia e Slovacchia, cui nel 2007 si sono aggiunti molti altri paesi. In al-cuni casi (Belgio, Francia, Italia, Irlanda e Portogallo), l’agevolazione fiscale è stata limitata a determinate quantità attraverso un meccanismo di quote stabilite an-nualmente, creando quindi un sistema di regolamentazione del mercato (tab 4.3).

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

Tabella 4.3 - Valore delle accise (€/hl) sui carburanti ed eventuali esenzioni o riduzioni per i biofuels nell’UE

accisa sul

gasolio2008

esenzione/riduzionebiodiesel

2008

Periodo di

esenzione

quota2008000t

accisa sulla benzina

2008

esenzione/riduzione etanolo

2008

Periodo di esenzione

quota2008000t

Austria 37,50 piena fino al 2011 46,20 piena 2007-2011

Belgio 35,29 piena con quota 6 anni 334,3 61,36 piena con

quota 6 anni 195,4

Bulgaria 30,67 piena dal 2006 35,02 piena dal 2006

Cipro 24,50 piena 2006-2010 29,87 piena 2006-2010

Repubblica Ceca 39,89 piena - 47,46 piena 2009-2015

Danimarca 38,00 piena 2005-2011 55,68 piena 2005-2011

Estonia 36,99 piena 2004-2010 39,80 piena 2005-2011

Finlandia 39,05 nessuna - 62,70 nessuna -

Francia 48,24 15,00 con quota 6 anni 2728 60,69 21,00 con

quota 6 anni 1091

Germania 47,04 18,0 fino al 2011 65,45 piena per E85

fino al 2015

Grecia 30,20 _ - 41,00 _ -

Ungheria 35,00 piena - 42,45 piena -

Irlanda 36.80 piena con quota fino al 2010 52,8 44,37 piena con

quotafino al 2010 67

Italia 42,30 33,84 con quota 2007-2010 250 56,40 27,50 con

quota 2008-2010

Lettonia 33,00 piena 2007-2012 37,93 piena 2007-2012

Lituania 27,46 piena fino al 2010 32,36 piena -

Lussemburgo 30,54 _ - 46,46 _ -

Malta 35,24 _ - 45,96 _ -

Paesi Bassi 37,49 nessuna 66,81 nessuna -

Polonia 29,84 29,55 2007-2011 44,56 44,28 2007-2011

Portogallo 36,44 _ - 36,44 _ -

Romania 28,39 nessuna - 33,57 piena -

Slovacchia 43,50 piena dal 2004 46,50 piena dal 2004

Slovenia 43,33 max 5% - 46,21 piena -

Spagna 33,10 piena fino al 2012 42,47 piena fino al 2013

Svezia 39,00 piena fino al 2013 53,00 piena fino al 2013

Regno Unito 68,43 25,12 fino al 2011 68,43 25,25 fino al 2011

Fonte: CE, DG Energy e GSI (2010)

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Sulla base dei dati riportati in tabella 4.3 è stato possibile misurare l’entità del sostegno in termini di mancate entrate per l’erario (tab. 4.4). Nel 2008, secondo le nostre elaborazioni il valore complessivo dell’agevolazione fiscale ammonta a 3623,7 milioni di euro per l’UE. La stima tiene conto dei consumi e di eventuali quote aventi diritto all’esenzione parziale o totale dall’imposta sui carburanti.

Tabella 4.4 - Stima del costo per l’erario dell’agevolazione fiscale sui biocarbu-ranti nell’UE

Etanolo Biodiesel Costo totale

agevolazione sui

biocarburanti

(M euro)

Consumo

(M litri)

Esenzione

€/l

Costo per

l’erario

M euro

Consumo

(M litri)

Esenzione

€/l

Costo per

l’erario

(M euro)

Austria 118,22 0,46 54,6 352,8 0,38 132,30 186,9

Belgio 24 0,61 14,9 109,76 0,35 38,73 53,6

Bulgaria 0 2,24 0,31 0,69 0,7

Cipro 0 17,92 0,25 4,39 4,4

Repubblica Ceca 69,39 0,47 32,9 95,2 0,40 37,98 70,9

Danimarca 10,28 0,56 5,7 0 5,7

Francia 826,255 0,21 173,5 2356,48 0,15 353,47 527,0

Germania 801,84 0,65 524,8 3390,24 0,15 504,47 1029,3

Ungheria 93,805 0,35 32,8 147,84 0,35 51,74 84,6

Irlanda 35,98 0,37 13,2 43,68 0,33 14,41 27,7

Italia1 115,65 0,28 31,8 250 0,34 84,60 116,4

Lituania 30,84 0,32 10,0 58,24 0,27 15,99 26,0

Lussemburgo 0 45,92 0,31 14,02 14,0

Polonia 64,25 0,44 28,4 385,28 0,30 113,85 142,3

Spagna 185,04 0,42 78,6 658,56 0,39 256,84 335,4

Slovacchia 36 0,46 16,7 172,48 0,25 43,33 60,0

Svezia 427,905 0,53 226,8 117,6 0,44 51,16 277,9

Regno Unito 209,455 0,25 52,9 873,6 0,68 597,80 650,7

UE 2988,91 1297,8 9107,84 2325,93 3623,71 - Per l’Italia non si è considerato il consumo effettivo di biodiesel bensì la quota. Negli altri paesi dove è in vigore

(Belgio, Francia e Irlanda) la quota non risulta essere coperta dai consumi.

Fonte: nostre elaborazioni su dati CE, DG Energy, paesi membri e Eurostat

La figura 4.1 evidenzia la posizione relativa dei paesi europei ed evidenzia l’alto livello di incentivazione presenta in Germania, Francia e nel Regno Unito. Va però segna-lato che dal 2010 la Germania ha proceduto, come si vedrà più avanti, a ridurre i benefici

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

fiscali a favore dei biocarburanti.

Figura 4.1 - Stima dell’entità del sostegno pubblico (Meuro) -2009Fonte: nostre elaborazioni su dati CE, DG Energy, paesi membri e Eurostat

Figura 4.2 - Livello medio agevolazione sui carburanti (€/l)

Fonte: nostre elaborazioni su dati CE, DG Energy, paesi membri e Eurostat

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La figura 4.2 riporta la stima del sostegno pubblico per litro di biocarbu-rante consumato. Questo è uguale alla misura dell’esenzione dall’accisa (par-ziale o totale) salve nel caso (Italia) in cui l’agevolazione è comunque limitata dall’esistenza della quota e questa risulta vincolante in quanto minore rispetto al consumo effettivo.

La rassegna che segue si avvale delle informazioni contenute nei rapporti annuali che gli Stati membri forniscono alla Commissione Europea sullo stato di applicazione della RED.

Francia

La Francia ha stabilito, sul proprio territorio, obiettivi di miscelazione più ambiziosi di quelli della RED, fissando un livello del 7% nel 2010 con la legge n. 2005/781 del 13 luglio 2005 che detta gli orientamenti nazionali per la politica energetica. In Francia sono disponibili due miscele a basso contenuto di etanolo (E5 e E10 rispettivamente al 5 e al 10%) e il superetanolo cioè una miscela all’85% - utilizzabile dai veicoli flex-fuel - che contiene almeno il 65% di etanolo. Questa miscela accede una tassa preferenziale di €23.24/hl (invece di €28.33/hl nel 2008) che fa si che il biocarburante possa essere venduto a €0.86/l11 (tab 4.5). In aggiunta sono state introdotte alcune facilitazioni sui costi di registrazione delle vetture.

La legge finanziaria 2005 ha istituto un sistema di tassazione dei carbu-ranti finalizzato a incoraggiare l’utilizzazione di biocarburanti: sui carburanti fossili viene infatti applicata la tassa generale sulle attività inquinanti (GTPA) fissata a valori crescenti dall’1,2% nel 2005 al 7% nel 2010, che viene ridotta in misura pari al tasso di miscelazione effettivo, ed è pari a zero quando que-sto coincide con il target di miscelazione previsto dalla legge n. 2005/781. I biocarburanti beneficiano, entro determinate quote, anche dell’esonero dalla tassa interna sui consumi al fine di compensare i maggiori costi di produzione. Questa misura, nonostante la riduzione avutasi tra il 2005 e il 2009 del tasso di defiscalizzazione, ha determinato, a causa della crescita del tasso di miscela-zione, un costo per l’erario - in termini di minore entrata - che nel 2009 è stato di 520 milioni di euro.

11 Adottobre2009.

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Tabella 4.5 - Defiscalizzazione biocarburanti in Francia (€/hl) Diesel Benzina

Esteri metile oli

vegetaliBiodiesel di

sintesiEsteri etile oli

vegetaliEtanolo ETBE

2004 33 - - 37 38

2005 33 - - 37 38

2006 25 25 30 33 33

2007 25 25 30 33 33

2008 22 22 27 27 27

2009 15 15 21 21 21

2010 11 11 18 18 18

2011 8 8 14 14 14

Fonte: CE

Germania

La Germania nel 2008 ha superato l’obiettivo comunitario del 5,75% di miscelazio-ne, raggiungendo una quota, calcolata sulla base del valore energetico, del 5,9%. Con l’At-to sulla promozione dei biofuel (Gesetz zur Änderung der Förderung von Biokraftstoffen) e l’atto sull’accelerazione della crescita (Wachstumsbeschleunigungs- gesetz) il governo tedesco ha modificato le regole precedentemente adottato al riguardo della miscelazione e dell’agevolazione fiscale per i biocarburanti. L’obbligo di miscelazione è stato stabilito al 5,25% per il 2009 e al 6,25% per gli anni dal 2010 al 2014. L’agevolazione fiscale è totale per la quantità necessaria soddisfare l’obbligo di miscelazione mentre per la parte re-stante è ridotta a 18 €cent/litro. Dal 2015 la soglia per la quota di biofuel sarà conteggiata non più in base al valore energetico ma rispetto alla riduzione di gas a effetto serra. La quota netta crescerà dal 3% nel 2015 al 7% nel 2020. I criteri di sostenibilità approvati con la direttiva comunitaria sono stati tradotti in legge nazionale nel 2009, e dopo un periodo transitorio nel 2010, la legge è entrata pienamente in vigore nel 2011.

Italia

In recepimento della Direttiva europea 2003/30/CE l’Italia ha fissato, con il Decreto Legge n.128 del 30 maggio 2005, gli obiettivi volontari in termini di mi-scelazione pari all’1% nel 2005 e al 5,75% nel 2010. Con la legge 81 del 2006 que-

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sti obiettivi sono stati modificati in obbligatori, stabilendo una crescita dell’1% l’anno del tasso di miscelazione, a partire dall’1% del 2006. Con decreto del Mi-nistro dello Sviluppo Economico del 25 gennaio 2010, che ha recepito la RED, tali valori sono stati trasformati nella quota minima di miscelazione obbligatoria, fissata al 3,5% nel 2010, 4% nel 2011 e 4,5% nel 2012.

L’assegnazione delle quote di esenzione dall’accisa sui carburanti è rego-lata dal Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 256 del 25 luglio 2003, che viene rivisto di anno in anno nell’ambito della finanziaria. L’agevola-zione fiscale per il biodiesel consiste nell’applicazione di un’aliquota di accisa pari al 20% di quella applicata al diesel a uso carburante, nell’ambito di un pro-gramma pluriennale con decorrenza dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2010, a copertura di un contingente annuo totale pari a 250.000 tonnellate di biodiesel. La riduzione dell’accisa ha lo scopo di compensare i maggiori costi del biocom-bustibile rispetto al carburante di origine fossile. La ripartizione delle quote tra i produttori avviene in base ai volumi prodotti. Le quantità attribuite sono di gran lunga inferiori rispetto alla capacità produttiva degli impianti presenti sul terri-torio nazionale (tab.4.6).

Dal 1° giugno 2007, l’aliquota di accisa è aumentata da 416 euro/1000 litri a 423 euro/1000 litri. Per il periodo dal 1° gennaio 2007 al 31 maggio 2007, l’ali-quota ridotta applicabile al biodiesel è stata pertanto fissata a 83,20 euro/1000 litri; dal 1° giugno 2007 fino al 2009, l’aliquota ridotta è stata di 84,60 euro/1000 litri. Il decreto 3 settembre 2008, n.156 del Ministero dell’Economia e delle fi-nanze, di concerto con i Ministri dello sviluppo economico, dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle Politiche agricole alimentari e forestali, determina i requisiti che gli operatori e i rispettivi impianti di produzione devono possedere per partecipare al programma pluriennale nonché le caratteristiche fiscali del prodotto con i relativi metodi di prova, le percentuali di miscelazione consentite, i criteri per l’assegnazione dei quantitativi agevolati agli operatori su base pluriennale dando priorità al prodotto proveniente da intese di filiera o da contratti quadro, le modalità per la contabilizzazione e la fruizione del beneficio fiscale. I quantitativi del contingente che risultano, al termine di ciascun anno, non ancora miscelati con il gasolio o non ancora trasferiti ad impianti di misce-lazione nazionali oppure non ancora immessi in consumo, sono ripartiti tra gli operatori proporzionalmente alle quote loro assegnate. Con la legge finanziaria per il 2010 il contingente che usufruiva della riduzione dell’accisa è stato ridot-to da 250.000 a 18.000 tonnellate per l’anno 2010, eliminando sostanzialmente l’incentivo.

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Tabella 4.6 - Imprese produttrici di biodiesel e relative quote per la riduzione dell’accisa

Aziende Località’Capacità produttiva

tonnQuota assegnata (Kton)

2009 2010

Alchemia Italia Srl Rovigo (RO) 15.000

Bio-Ve-Oil Olimpo Srl Corato (BA) 100.000

Caffaro Biofuel Srl Torviscosa (UD) 60.000

Caffaro Biofuel Srl Torviscosa (UD) 100.000

Cereal Docks Spa Vicenza (VI) 150.000 14,0 1,9

Comlube Srl Castenedolo - Brescia 120.000

Dp Lubrificanti Srl Aprilia (LT) 155.520 11,8 1,8

Ecoil Priolo (SR) 200.000

F.A.R. Fabbrica Adesivi Resine Spa Divisione Polioli

Cologno Monzese (MI) 100.000

Foredbio Spa Nola Marigliano (NA) 70.000

Eco Fox Srl Vasto (CH) 131.370 32,8 1,8

Ital Bi Oil Srl Monopoli (BA) 190.304 2,8

Ital Green Oil Srl San Pietro di Morubio (VR) 365.000 8,3 1,8

Gdr Biocarburanti Cernusco sul Naviglio (MI) 50.000 1,0

Mythen Spa Ferrandina (MT) 200.000

Novaol Srl Livorno (LI) 250.000 1,5 3,5

Novaol Srl Ravenna (RA) 200.000 59,2 1,9

Oil.B Srl Solbiate Olona (VA) 200.000 17,1 1,6

OXEM S.P.A. Mezzana Bigli (Pv) 200.000 1,8

Fonte: Assocostieri e Agenzia delle dogane

Attraverso l’agevolazione degli accordi di filiera il Ministero per le po-litiche agricole e forestali ha inteso creare un legame diretto tra la domanda rappresentata dai petrolieri, cui spetta l’obbligo della miscelazione, e la parte agricola produttrice della materia prima. Nel 2009 per un quantitativo di biodie-sel pari a 70.000 tonnellate l’aliquota ridotta è stata applicata al biocarburante prodotto da semi oleosi oggetto di contratti di filiera nel territorio comunitario.

La tabella 4.7 mostra le quantità e la provenienza della materia prima oggetto di tali contratti.

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Tabella 4.7 - quantitativi che hanno richiesto l’assegnazione del contingente bio-diesel con riduzione di accisa

Colza Soia Girasole

provenienza Italia Francia Romania Slovenia Ungheria Totale Italia Italia Slovenia Totale

tonn 474 150.859 2078 747 696 154.854 14.098 12.150 6584 18.734

Fonte: Agea

Tabella 4.8 - Quota di energia rinnovabile nei trasporti (1)

2005 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020

Consumo atteso di FER da trasporti

318 1.190 1.367 1.532 1.702 1.870 2.040 2.210 2.381 2.552 2.725 2.899

Consumo atteso di elettricità da FER nel traspor-to su strada

- 6 13 20 28 37 45 55 65 75 86 98

Consumo atteso di biocarburanti da rifiuti, residui, materiale cellulosico non alimentare nei trasporti

21 96 127 157 187 218 248 278 309 339 370 400

Contributo atteso delle FER nei trasporti ai fini dell’obiettivo FER

338 1.295 1.513 1.719 1.931 2.143 2.356 2.570 2.786 3.004 3.223 3.445

(1) Sono comprese tutte le FER impiegate nei trasporti compresi l’elettricità, l’idrogeno e il gas da fonti rinnovabili ed

esclusi i biocarburanti non conformi ai criteri di sostenibilità.

Fonte: Piano di azione nazionale, Ministero per lo Sviluppo Economico

Riguardo al bioetanolo è stabilito che nell’ambito di un programma trien-nale, a decorrere dal 1° gennaio 2008, è applicata un’accisa ridotta secondo le aliquote seguenti:a) bioetanolo derivato da prodotti di origine agricola: euro 289,22 per 1.000 litri;b) etere etilterbutilico (ETBE), derivato da alcole di origine agricola: euro 298,92 per

1.000 litri;c) additivi e riformulanti prodotti da biomasse:

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- per benzina senza piombo: euro 289,22 per 1.000 litri;- per gasolio, escluso il biodiesel: euro 245,32 per 1.000 litri.La finanziaria 2010 ha posto un tetto di 4 milioni di euro (contro i precedenti 78)

all’incentivazione per l’etanolo.Il percorso nazionale in materia di biocarburante è tracciato nel “Piano di azione

nazionale per le energie rinnovabili per l’Italia” del Ministero dello sviluppo economico (2010). Il piano evidenzia come il raggiungimento dell’obiettivo di consumo finale di ener-gia rinnovabile di 22,62 Mtep debba passare attraverso anche un aumento dell’uso dei biocarburanti nei trasporti (tab.4.8).

Il Ministero della Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, ha commissionato uno studio che applica la metodologia per il calcolo della riduzione delle emissioni ad effetto serra del biodiesel, confrontando i valori ottenuti con i valori standard di riduzione delle emissioni ad effetto serra riportati nell’ Allegato V alla direttiva 2009/28/CE. Le filiere analizzate riguardano il biodiesel da semi di colza italiani francesi, da soia italiana, da olio di palma proveniente dalla Malesia, e da seme di girasole nazionale. La metodologia e i valori ottenuti, non ancora resi noti, saranno utili per verificare la rispondenza delle principali tipologie di biodiesel ai requisiti di sostenibilità dettati dalla direttiva.

Spagna

La Spagna ha istituito un regime fiscale favorevole ai biocarburanti con la legge 53/2002. Fino al 2012 i biocarburanti sono esonerati dalla tassa sui carbu-ranti. Con la legge 12/2007 sono stati stabiliti gli obiettivi annuali di consumo in termini di quota sui carburanti (1,9%, nel 2008, 3,4%, nel 2009 e 5,83% nel 2010). In applicazione di questi obiettivi è stato introdotto un meccanismo di misurazione delle quantità di biocarburanti consumate e un sistema di certificazioni e paga-menti compensativi gestito dalla Commissione nazionale energia.

Regno Unito

Nel 2008 il governo britannico ha introdotto il Renewable Trasport Fuel Stan-dard Obligation (RFTO) che stabilisce un obbligo di miscelazione del 5% al 2010 con la condizione che i biocarburanti siano prodotti in modo sostenibile. A causa del dibattito sorto a livello internazionale sulla sostenibilità dei biocarburanti, il governo commissionò all’agenzia sui carburanti rinnovabili (RFA) una analisi sugli

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effetti indiretti della produzione di biocarburanti nota come Gallagher Review. La raccomandazione cui giunse questo studio fu quella di ridurre i tassi di crescita delle percentuali di miscelazione fissate con l’RFTO. I tassi sono stati quindi ridotti al 3,25% per il 2009 e sono stati fissati livelli crescenti per gli anni successivi fino al 5% in volume nel 2013 (5,75% sulla base del contenuto energetico). Fino al 2010 i biocarburanti ricevono un incentivo fiscale di 20 p/litro.

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Capitolo V

misceLazione obbLigatoria, riDUzione DeLLe accise, tariffe aLL’importazione: sono neces-sari tUtti qUesti strUmenti?

Come si è visto nella rassegna precedente nell’Ue convivono tre strumenti di politica per i biocarburanti che agiscono contemporaneamente determinando le con-dizioni di equilibrio del mercato. Si tratta del sostegno del prezzo interno ottenuto at-traverso l’imposizione di tariffe all’importazione, del sostegno diretto alla produzione attraverso misure di carattere fiscale e dell’adozione di obblighi di miscelazione. Una situazione analoga si riscontra negli Stati Uniti. La presenza di questi ultimi, così come previsti dalla direttiva europea RED o dallo standard americano RFS, determina un aumento consistente della domanda di biocarburanti e, di conseguenza, dell’offerta. E’ legittimo dunque chiedersi perché rimangano in piedi in Europa come negli Stati Uniti

– salvo poche eccezioni – le misure di sostegno interno al settore quali le agevolazioni fiscali e le tariffe alle importazioni. Per rispondere a questa domanda si sono analizzati il funzionamento di tali strumenti e d i loro effetti in termini redistributivi12.

In assenza di un obbligo di miscelazione i biocarburanti e i combustibili fossili si comportano come beni sostituti. Si consideri per semplicità il mercato della benzi-na e dell’etanolo senza analizzare le interazioni con il mercato biodiesel/gasolio. Sul mercato, rappresentato nella figura 5.1, l’equilibrio, dato dall’incontro delle curve di domanda di carburante Df e di offerta Sf, dove questa è la somma orizzontale delle curve di offerta di etanolo Se e di benzina, determina il prezzo del carburante pf (fig.5.1) La curva di offerta di etanolo è, a sua volta, la somma delle curve di offerta di paesi che hanno costi di produzione diversi. Nel caso rappresentato, si ipotizzi l’esistenza di due paesi, di cui sono rappresentate le rispettive curve di costo medio e costo marginale nella produzione di etanolo: l’Ue, il cui costo marginale di produzione dell’etanolo è superiore rispetto al costo del carburante fossile per cui non vi è produzione di etano-lo al prezzo pf e il Brasile, la cui produzione di etanolo è competitiva sul mercato dei carburanti.

12 QuestocapitolofariferimentoaquantogiàpubblicatosullarivistaPAGRI,Zezza(2007).

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Il primo strumento che viene in genere introdotto dai paesi che vogliono stimolare la nascita del mercato di un prodotto che ha un costo di produzione più elevato rispetto ai sostituti è un aiuto diretto alla produzione. Nel caso dei bio-carburanti questo è, in genere, rappresentato da misure di carattere fiscale quali la riduzione delle accise o la completa esenzione in modo da ridurre i costi per i produttori di etanolo rendendoli pari al prezzo della benzina.

Figura 5.1 - Effetto della riduzione delle accise su domanda e offerta di carburante

Ciò determina uno spostamento della curva di offerta totale di etanolo verso il basso nella misura rappresentata dal sostegno unitario s. Lo spostamento della curva di offerta di etanolo induce la sostituzione nella domanda complessiva di car-burante di una parte del combustibile fossile con l’etanolo il cui consumo sale a OC. A sua volta, l’aumento dell’offerta di etanolo genera un movimento verso il basso della curva di offerta di carburante di dimensioni più limitate considerando la bassa quota di produzione di etanolo rispetto alla benzina. Ciò determina, a sua volta, un nuovo equilibrio a un prezzo del carburante inferiore pf’ ed un aumento della doman-da complessiva di carburante che raggiunge il livello OD’.

La misura della superficie (s*OC) rappresenta la spesa per il sussidio, di cui una parte rappresenta il trasferimento dai contribuenti ai produttori. E’ evidente che l’efficienza dell’aiuto nel determinare la nascita di un’offerta interna sarà funzione

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dell’elasticità della relativa curva di offerta: tanto più questa è rigida tanto minore è il risultato che si otterrà. Nel caso di un sostegno alla produzione di etanolo quale quello fin qui ipotizzato, i beneficiari, a meno di meccanismi di esclusione attuati dal paese che introduce il sussidio possono essere sia i produttori interni che i produt-tori esterni ovvero il sostegno ha un carattere non discriminatorio in senso commer-ciale. I consumatori avranno un aumento di benessere pari all’area sottostante la curva di domanda Df compresa tra le rette corrispondenti ai prezzi pf e pf’.

Proprio allo scopo di sostenere l’industria nascente limitando i benefici del sostegno ai soli produttori interni i paesi produttori meno competitivi come l’Ue o gli USA introducono barriere all’importazione sotto forma di dazi e tariffe ad valorem. Com’è noto, l’imposizione di un dazio comporta un costo per la colletti-vità a causa della cattiva allocazione delle risorse e della distorsione del consumo generata dall’avere un prezzo interno superiore rispetto al prezzo internazionale. In assenza di un obbligo di miscelazione la tariffa, determinando un aumento del prezzo interno dell’etanolo, riduce la domanda di importazioni di etanolo che viene sostituita in parte dalla produzione interna ed in parte attraverso la sostituzione nella domanda dell’etanolo con il combustibile fossile. In questo modo si riduce la spesa per sussidi ma, a causa della perfetta sostituibilità ipotizzata tra i due tipi di carburanti, non si ha una crescita del consumo di biocarburante né dell’offerta interna.

Diverso è il caso in cui viene imposto dal paese importatore un obbligo di miscelazione cioè nell’ammontare del combustibile totale venduto una quota α, compresa tra 0 e 1, deve essere costituita da biocarburante. In questo caso si crea una differenziazione anche nel consumo tra i due beni che da sostituti divengo-no complementari: la domanda dell’uno diviene, infatti, funzione della domanda dell’altro in misura determinata dal tasso di miscelazione obbligatorio α.

Questo caso è rappresentato dalla figura 5.2 in cui alla situazione preceden-te si è aggiunta la domanda di biocarburante De Introducendo l’obbligo di miscela-zione ad ogni livello del prezzo della benzina corrisponderà una data domanda di etanolo secondo la relazione

(1) DF= DB + DE = DB + α DBAssumiamo come esogeno il prezzo della benzina pb. Il prezzo del carburan-

te miscelato sarà:(2) pf= α pe + (1- α) pb

Nella figura 5.2 al prezzo del carburante pf la domanda totale di carburante è OD mentre la domanda di etanolo determinata dall’obbligo di miscelazione cor-risponde alla quantità OB. Questa domanda è superiore a quella che si avrebbe

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al prezzo di mercato dell’etanolo pe dato dall’incontro della curva totale di offerta - che è la somma orizzontale della curva di offerta interna Sint e della curva di offer-ta di esportazioni del paese esportatore - e della curva di domanda interna e può essere soddisfatta solo attraverso un aumento del prezzo interno al livello pe’ in parte dalla produzione interna ed in parte attraverso l’aumento delle importazio-ni13. I consumatori avranno un maggiore costo, imposto dall’obbligo di miscelazio-ne, pari all’area pfpe’ab, mentre l’area pfpe’hg rappresenta l’aumento di benessere che si distribuisce tra i produttori interni ed esterni.

Figura 5.2 - Effetto dell’introduzione di un obbligo di miscelazione

Il nuovo equilibrio sul mercato internazionale è rappresentato nella figu-ra 5.3 in cui il diagramma di destra rappresenta il mercato interno dell’etanolo, laddove Se e De sono l’offerta e la domanda interna, mentre nella parte di sinistra è rappresentato l’equilibrio che si determina negli scambi con l’estero, dove Sexp indica l’offerta di esportazioni del paese esportatore e DI la domanda di impor-tazioni del paese importatore. In una situazione di free trade il prezzo mondiale dell’etanolo è pe’ ed è uguale al prezzo interno, QA è la quantità prodotta e (QB - QA)

13 Asua volta l’aumentodelprezzodell’etanolodeterminaunaumentodelprezzodel carburantemiscelatoedunalievediminuzionedelladomandadiquest’ultimoconlaformazionediunnuovoequilibriosulmercatodeicarburantichequinonrappresentiamopernoncomplicareulteriormentelafigura.

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= QI la quantità importata. QB corrisponde alla quantità domandata, pari ad OB nella figura 5.1, imposta dall’obbligo di miscelazione.

Se l’Ue impone una tariffa sulle importazioni, il prezzo interno sale a pint, che è inferiore rispetto alla somma di pe più la tariffa in quanto una parte del dazio si scarica sul prezzo mondiale, determinandone un nuovo livello pe

2. Al nuovo livello del prezzo interno la produzione interna aumenta a QC, il consumo si contrae e di-venta QD e, di conseguenza, le importazioni diminuiscono al livello QI’= (QD- QC). La domanda di importazioni si sposta verso il basso in funzione della tariffa. In questo caso vi è un trasferimento di reddito dai consumatori, che pagano un prezzo più alto, ai produttori interni (pari all’area ACpint pe) e al bilancio pubblico (CDHG), una perdita di benessere pari alle aree ACG e BHD, corrispondenti rispettivamente al costo della cattiva allocazione delle risorse ed alla distorsione del consumo cau-sati dalla tariffa, mentre un parte del costo si scarica sui produttori esteri nella misura dell’area EFHG, che per contrastare la tariffa sono costretti ridurre il prez-zo da pe a pe2. L’obbligo di miscelazione, in presenza di tariffa, rappresenta una mi-sura a sostegno della produzione interna. L’effetto della tariffa sul prezzo interno ed internazionale dipende dalla pendenza delle curve di offerta e di domanda di importazioni. Se quest’ultima è più rigida, come è lecito aspettarsi in presenza di un obbligo di miscelazione, il prezzo interno aumenta in misura maggiore rispetto alla caduta del prezzo internazionale e, pertanto, il costo della tariffa si scarica prevalentemente sui consumatori interni. La situazione non cambia se invece di una tariffa si applica una tariffa ad valorem. In questo caso la distanza tra le due curve di domanda di importazioni, che rappresenta il valore della tariffa, è variabile con valori superiori per prezzi internazionali più alti.

Se invece di una tariffa il paese importatore opta per un aiuto diretto alla produzione di etanolo (figura 5.2), la curva di offerta si sposta verso il basso (li-nee tratteggiate), nella misura costituita dall’ammontare dell’aiuto unitario, come pure la curva di domanda di importazioni, che corrisponde alla differenza orizzon-tale tra la curva di domanda e la nuova curva di offerta. Ciò determina la forma-zione di un nuovo punto di equilibrio al prezzo mondiale, con l’aumento della pro-duzione interna e la riduzione della quantità importata. E’ evidente che l’efficienza dell’aiuto nel determinare tale spostamento è funzione dell’elasticità della curva di offerta interna: tanto più questa è rigida tanto minore è il risultato che si otterrà in termini di riduzione delle importazioni. A differenza della tariffa, il sostegno alla produzione interna distorce i prezzi a livello della produzione e non del consumo e l’effetto sul bilancio pubblico delle due misure è opposto. Mentre infatti: la tariffa determina un entrata per l’erario, il sussidio alla produzione costituisce un costo

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per il bilancio(OB * s). Dato un obbligo di miscelazione e data la funzione di offerta, il livello della protezione esterna, rappresentato dalla tariffa, combinato con il so-stegno interno, determinerà in che misura la quantità di etanolo necessaria sarà coperta dalla produzione interna e dalle importazioni. Infine, la combinazione dei due strumenti, tariffa e sussidio, consente al paese di compensare una parte del costo per il sostegno con l’entrata proveniente della tariffa, di scaricare una parte del costo dell’obbligo di miscelazione sui produttori stranieri e di ripartire il costo per il paese tra contribuenti e consumatori.

Figura 5.3 - Effetti di una tariffa e di uno standard obbligatorio di miscelazione

L’alto costo per il bilancio rappresentato dal sostegno alla produzione inter-na, in genere costituito come si è visto da misure di carattere fiscale, fa sì che alcu-ni paesi produttori, ad esempio la Germania, stiano abbandonando questa forma di intervento, lasciando che lo sviluppo della produzione sia determinato esclusi-vamente dall’adozione dell’obbligo di miscelazione. Alla base di questo comporta-mento vi è l’ipotesi che il soddisfacimento dell’obbligo sia possibile a condizioni di mercato. Ciò implica una riduzione dei costi di produzione che, considerando fisso nel medio periodo il livello della tecnologia, e dato che i costi di trasformazione si

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presentano molto standardizzati, è possibile solo attraverso una riduzione del co-sto della materia prima. Considerato il vincolo costituito dalla disponibilità di terra, che rende rigida l’offerta, l’obbligo di miscelazione sembrerebbe, pertanto, essere soddisfatto attraverso un maggiore ricorso alle importazioni come emerge da di-versi studi quantitativi apparsi recentemente nella letteratura e dei quali una ras-segna è contenuta nel capitolo successivo, con rilevanti riflessi sulla sostenibilità ambientale e sociale di tali produzioni. In tale situazione, il vincolo costituito dalla tariffa all’importazione appare dunque non coerente con l’obiettivo di fissare un obbligo di miscelazione a livello comunitario, aumentandone il costo e riducendo-ne l’efficienza in termini di riduzione delle emissioni, considerato il più basso livel-lo associato alla produzione di etanolo dalla canna da zucchero rispetto all’etanolo ottenuto da cereali o da barbabietola. L’abolizione della tariffa consentirebbe di soddisfare l’obbligo di miscelazione a un costo più basso. L’eliminazione del so-stegno fiscale avrebbe invece l’effetto di spostare il costo del raggiungimento del target dai contribuenti ai consumatori il che appare ragionevole considerato che è la domanda di carburante a generare le importazioni di carburante e le emissioni di anidride carbonica.

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Capitolo Vi

Le stime DegLi effetti DeLLa Direttiva Ue

Tutti i maggiori centri di ricerca a livello internazionale hanno, negli ultimi anni, prodotto modelli econometrici per analizzare l’impatto delle politiche adotta-te per la promozione della produzione e del consumo di biocarburanti. Nonostante le diversità negli approcci e nelle assunzioni di base i modelli concordano sostan-zialmente sulle variabili su cui l’impatto sarà più rilevante e sulla direzione di tali effetti.

Alcuni dei modelli utilizzati appartengono alla classe dei modelli di equili-brio parziale (EP) mentre altri sono di equilibrio generale (CGE). I primi, che con-sentono una più accurata modellizzazione del settore e la stima delle funzioni a un livello maggiormente disaggregato, stimano effetti di breve periodo ma non prendono in considerazione gli effetti di aggiustamento che intervengono nell’eco-nomia, considerati invece nei modelli di equilibrio generale. Nei primi l’effetto sui prezzi, portando tutto il peso dell’aggiustamento, è in genere amplificato rispetto agli altri in cui possono intervenire variazioni sostanziali nella produzione nei con-sumi e nel commercio.

I principali modelli di equilibrio parziale sui biocarburanti sono l’ESIM, il CAPRI, l’IMPACT e l’AGLINK/COSIMO di OCSE e FAO .

ESIM (European Simulation Model) è un modello statico di equilibrio parzia-le che include rappresentazioni individuali per ciascuno dei 27 paesi dell’UE più la Turchia e gli USA mentre il resto del mondo costituisce un unico aggregato (Banse, Grethe, 2008). Il modello stima le funzioni di offerta e domanda dei biocarburanti e include quattro tipi di sottoprodotti: il Dried Distillers Grains with Solubles (DDGS) dal mais – prodotto a elevato contenuto proteico utilizzato nell’alimentazione del bestiame - e i panelli oleosi da colza, girasole e soia. Il modello considera esclu-sivamente la produzione di biocarburanti di prima generazione ma assume che il 30% dell’output finale sarà costituto da biofuel di seconda generazione, pertanto, fissa l’obbligo di miscelazione per i primi al 7%.

Il modello AGLINK/COSIMO - utilizzato dall’IPTS (2010) - è un modello di-namico-recursivo nel quale vengono stimate le funzioni relative al bioetanolo e al

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biodiesel, ai i semi oleosi, trattati a livello aggregato, e ai sottoprodotti, anch’essi analizzati come un unico aggregato. Il modello si compone delle funzioni relati-ve a 52 aggregati geografici tra regioni e paesi, inclusi Canada, USA e Brasile. I biocarburanti di seconda generazione sono trattati come esogeni e non incidono in termini di uso della terra.Il modello dell’IPTS ha stimato l’impatto dell’attuale assetto delle politiche dell’Unione europea sui biocarburanti. Più precisamente lo studio ha ipotizzato che venga raggiunta la quota dell’8,5% sul consumo di carbu-ranti – inferiore al 10% previsto dalla RED – di cui il 7% costituito da biocarburanti di prima generazione e l’1,5% dalla seconda generazione. Sono inoltre mantenute ai livelli attuali le tariffe all’importazione (19,2 €/hl per l’etanolo e 6,5% per il bio-diesel) e le agevolazioni fiscali (-34,1 €/hl) mentre nessun sostegno specifico è previsto per la biomassa.

Sia ESIM che AGLINK/COSIMO considerano uno scenario di riferimento in cui la politica agricola comunitaria corrisponde a quella approvata con l’Health Check del 2008 mentre non avvengono sviluppi nell’ambito del WTO.

CAPRI (Common Agricultural Policy Regional Impact Model) è un modello statico costituito da due blocchi collegati, un modulo di offerta formato da modelli regionali di programmazione matematica a livello NUTS2 e un modulo di mercato che considera 50 prodotti e 60 paesi (Britz, Leip, 2008).

IMPACT – sviluppato dall’IFPRI - è un modello statico di equilibrio parziale costruito con l’obiettivo di valutare l’effetto di variazioni nelle politiche e di altre variabili esogene sulla produzione globale di alimenti e sui mercati agroalimentari mondiali (Rosegrant e al., 2008).

I limiti principali di tali modelli stanno nel fatto che il mercato energetico è trattato come esogeno e pertanto non si tiene conto dell’effetto della variazione del prezzo del mix energetico in seguito ad un aumento della quota di biocarburanti adoperata nel settore dei trasporti. Il maggiore costo di produzione dei biocar-buranti, invece, se non totalmente assorbito dall’incentivo fiscale, fa aumentare il prezzo del mix e, di conseguenza, genera una riduzione della domanda. Non considerare questo effetto fa si che anche l’impatto in termini di impatto indiret-to sull’uso dei suoli (ILUC) sia sovrastimato. Una seconda debolezza riguarda la non specifica trattazione delle nuove tecnologie per le quali si assume, in genere, che non abbiano impatto sull’uso del suolo. Anche relativamente ai biocarburanti l’esogeneità dei tassi di progresso tecnico, basati su quanto accaduto in passato, è una fonte di incertezza dei risultati.

Infine, tutti i modelli trattano la disponibilità complessiva di terra come fis-sa; il fatto che un’eventuale espansione dell’area a seminativi debba forzatamente

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avvenire a spese di altri tipi di superfici agricole come pascoli o colture permanen-ti, fa si che non sia presa in considerazione la possibilità di un’espansione su altri tipi di terra.

I risultati dei vari modelli non differiscono sostanzialmente e possono esse-re riassunti nei seguenti punti:

• forte aumento della produzione di etanolo e biodiesel nell’UE;• l’UE rimane un esportatore netto di grano anche se le esportazioni diminui-

scono;• impatto limitato sulla zootecnia;• aumento dei prezzi mondiali dei biocarburanti per effetto della maggiore

domanda europea;• aumento dei prezzi mondiali relativamente maggiore per il biodiesel rispet-

to all’etanolo;• rafforzamento del ruolo del Brasile e come paese esportatore di etanolo;• rafforzamento del peso degli Stati Uniti come paese esportatore di biodie-

sel;• significativi cambiamenti nella distribuzione dell’area a cereali nell’UE che

si dislocherebbe dall’Europa centrale verso le regioni nord-orientali, nord-occidentale e verso le regioni meridionali.I modelli di equilibrio generale sono stati classificati (Kretschmer, 2008) in

tre categorie in base all’approccio utilizzato per integrare i biocarburanti nei mo-delli. Nel primo gruppo ricadono i modelli che non descrivono esplicitamente le funzioni di produzione delle bioenergie ma determinano la quantità di biomassa necessaria per soddisfare gli obiettivi di consumo. Il secondo approccio considera le tecnologie latenti ovvero non disponibili al momento ma che potranno essere utilizzate nell’orizzonte temporale dello studio. Infine un terzo gruppo disaggrega la produzione di bioenergia all’interno della matrice di contabilità sociale (SAM) del database GTAP che costituisce la struttura di base del modello. In questa clas-se ricade il modello prodotto dall’ATLASS-IFPRI (Al-Riffai, Dimaranan, Laborde, 2010) per la Commissione Europea. In uno studio recente Britz e Hertel (2009) hanno legato il modello di EP europeo CAPRI con il modello CGE GTAP per valutare gli effetti della RED applicando al primo le variazioni di prezzi stimate nel secondo in modo da ottenere risultati disaggregati.

La maggior parte di questi modelli assume costante l’elasticità di trasfor-mazione per catturare gli effetti sull’uso del suolo: la possibilità di variazione negli usi del suolo dipende dai valori di questo parametro. Banse e al. (2008) distinguono una struttura ramificata a tre stadi che ipotizza la trasformazione solo nell’ambito

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di specifiche tipologie di destinazione (seminativi, pascoli e canna da zucchero, orticole e altre colture). I due modelli che utilizzano GTAP riportati nella tabella 6.1 includono anche un’analisi per zone agro-ecologiche che consente loro di tener conto di limitare la sostituibilità solo all’interno di zone limitate.

Facendo riferimento ai risultati derivanti dall’applicazione del modello IPTS/AGLINK/COSIMO è possibile affermare che nel prossimo futuro (2010-2019) l’eta-nolo sarà prodotto, in misura principale, dai cereali foraggeri la cui quota comin-cerà a rallentare la propria crescita nel 2015 quando dovrebbe entrare a regime la politica americana sulla seconda generazione (fig. 6.1). Il 40% dell’etanolo, a livello mondiale, proverrà dalla canna da zucchero brasiliana mentre, alla fine del periodo, la biomassa di seconda generazione dovrebbe contare per il 7% circa. Infine tuberi, radici e molasse faranno parte dei feedstock utilizzati nei paesi in via di sviluppo.

Figura 6.1 - Produzione mondiale di etanolo per tipo di materia prima utilizzata

Fonte: OECD-FAO Outlook 2010-2019

Per quanto riguarda il biodiesel la materia prima prevalente continuerà ad essere costituita dagli oli vegetali alimentari la cui quota dovrebbe scendere però dal 90 al 75% per l’emergere dell’uso della jatropha in India e della biomassa di seconda generazione che potrebbe raggiungere il 6,5% nel 2019 (fig.6.2).

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Figura 6.2 - Produzione mondiale di biodiesel per tipo di materia prima utilizzata

Fonte: OECD-FAO Outlook 2010-2011

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Tabella 6.1 - Quadro dei risultati dei principali modelli sugli effetti delle politiche sui biocarburanti sul settore agricolo

Modello e approccio

Copertura

paesi e orizzonte temporale

Principali ipotesi

Effetti

Su produzione e uso del suolo

Sui prezzi Sugli scambi

DG AGRI/ CE 2007

ESIM (EP)

UE (Stati membri)

USA

2020

PAC al 2007

II generazione al 30%

biofuel 2020: 6,9% e 10%

+19% cereali usati come input per biofuel

15% area in più(1)

+3-6% cereali

+ 8-10% olio di colza

aumenti maggiori in assenza di II generazione

50% biofuel importati(1)

OECD 2008 AGLINK (EP)

52 paesi e regioni

2017

prezzo del pe-trolio 90-140$/barile

II generazione non rilevante

Impatto della rimozione delle politiche e delle nuove misure

+16% etanolo; +8,6% biodiesel (mondo)

+4% etanolo- +5% cereali foraggeri e ; +13% biodiesel e oli vegetali

CAPRI 2008

(PE)

EU27/ (NUTS 2) e 40 regioni non UE

2013

assenza di commercio di biofuel ma commercio della materia prima

SAU fissa

quota di biofuel dal 2 al 10%

+17% milioni tonnellate cereali e 7 milioni t semi oleosi

+13% cereali ; + 32% semi oleosi;

+ 30% oli vegetali; -50% sottoprodotti

minori esportazioni

crescita import

IMPACT 2008 (EP)

115 paesi

2015politiche al 2007

status quo:

mais -14%

grano -4%

oli -6%

eliminazione politiche:

mais -21%

grano -11%

zucchero -12%

oli -1%

Segue

(1) in assenza di biofuel di II° generazione

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Le poLitiche per La promozione deLL’energia rinnovabiLe

Modello e approccio

Copertura

paesi e orizzonte temporale

Principali ipotesi

Effetti

Su produzione e uso del suolo

Sui prezzi Sugli scambi

GTAP 2008(CGE)

HERTEL e al.

113 regioni

2015

politiche al 2006

obiettivo di consumo per USA (15 miliardi galloni etanolo) e UE (6,25%)

cereali + 16% USA e +2,5% UE

semi oleosi + 6,6 USA e +21,1 % UE

aumento della superficie a spese di pascolo e foreste

cereali +22,7% USA e 23% UE +11% Brasile

semi oleosi +18,2% USA, + 62% UE, +20,8% Brasile

diminuzione export cereali USA e UE e aumento negli altri paesi

aumento ex-port USA semi oleosi e Brasile, diminuzione per UE

GTAP 2008 (CGE)

Taheripur e al.

113 regioni

2015

politiche al 2006

obiettivo di consumo per USA (15 miliardi galloni etanolo) e UE (6,25%)

inclusione sottoprodotti

cereali + 10,8% USA e -3,7% UE

semi oleosi + 8,6 USA e +53,1 % UE

minore aumento della superficie a spese di pascolo e foreste

cereali +14% USA e 15,9% UE +9,6% Brasile

semi oleosi +14,5% USA, + 56,4% UE, +18,3% Brasile

minore dimi-nuzione export cereali USA e UE

MIRAGE – GTAP (Atlass, 2010)

11 regioni e 43 settori

tre scenari:

EU target 5,6%;

EU target 5,6% e liberalizzazio-ne multilaterale;

EU target 5,6% e liberalizzazio-ne bilaterale con il Mercosur

Aumento dell’uso di biofuel UE a 17,8 Mtep ;

aumento produzio-ne bioteanolo in Brasile;

aumento della superficie agricola mondiale 0,07%;

bilancio netto emissioni 13 Mt CO2 in 20 anni

in caso di liberaliz-zazione maggiori ILUC e migliore bilancio emissioni

aumento molto limitato dei prezzi

forte aumento delle impor-tazioni UE , maggiore nello scenario di completa libe-ralizzazione

Segue

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Capitolo Vii

gLi stanDarD Di sostenibiLità

La crescita a livello internazionale della produzione e del commercio di bio-carburanti ha stimolato un acceso dibattito (FAO, 2007) sulla loro sostenibilità a livello ambientale e sociale. Considerato, infatti, che sullo sviluppo del settore dei biocarburanti hanno avuto ed hanno un ruolo fondamentale una serie di misure

- assunte a livello di tutti i paesi maggiori produttori - che riguardano politica ener-getica ed ambientale, politica fiscale, commerciale e agricola, è opinione diffusa che tale sostegno possa trovare giustificazione solo nel caso in cui la loro produ-zione avvenga in modo sostenibile. La sostenibilità ambientale riguarda da un lato la valutazione dell’effetto della sostituzione del combustibile fossile con il biocar-burante in termini di risparmio energetico e riduzione delle emissioni e dall’altro l’effetto ambientale del processo produttivo della materia prima. La competizio-ne tra produzioni alimentari ed energetiche è invece alla base della problematica concernente la sostenibilità sociale della produzione di biocarburanti.

Tale dibattito si è tradotto in un vasto numero di iniziative di carattere tecni-co e politico allo scopo di definire ed attuare sistemi di certificazione relativi alla sostenibilità. Tale processo, che è lungi dall’essere concluso, s’intreccia con il di-battito sugli effetti sul commercio internazionale di tali standard e alla creazione di barriere non tariffarie in virtù soprattutto della capacità o meno dei paesi in via di sviluppo di partecipare alla loro definizione e/o adeguarsi alla loro implemen-tazione.

Prima di entrare nel merito dei sistemi in atto nel settore dei biocarburanti è opportuno chiarire che i termini standard, certificazione ed etichettatura, anche se spesso utilizzati come sinonimi, fanno riferimento ad aspetti diversi, e interdi-pendenti, di un processo che ha l’obiettivo di aumentare l’informazione relativa a un determinato ben, processo o servizio a beneficio dell’utilizzatore finale. Con il termine standard si definiscono i criteri per la produzione, consumo e gli attributi di un determinato bene, processo o servizio. La certificazione è il processo attra-verso cui la rispondenza a tali criteri è verificata, in genere da un soggetto terzo. L’etichettatura è lo strumento con cui l’informazione viene fornita.

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Tali sistemi sono una delle possibili risposte con cui imprese e policy makers sopperiscano ad un fallimento del mercato. Nel caso dei biocarbu-ranti il fallimento del mercato è rappresentato dalla presenza di esternalità negative – problemi ambientali o sociali legati al processo di produzione – e di asimmetria informativa cioè l’impossibilità per l’utilizzatore finale di avere direttamente informazioni in proposito.

Al momento esistono sistemi di regolamentazione pubblici quali la RED che consistono nella fissazione unilaterale di criteri di sostenibilità. A queste si affiancano alcune iniziative multilaterali finalizzate all’armonizzazione di tali standards quali, ad esempio, quella della IEA e della Global Bioenergy Partnership (GBEP) istituita presso la FAO. Anche paesi esportatori come il Brasile, che un tempo si opponevano alla definizione di criteri minimi di so-stenibilità, hanno oggi cambiato posizione in relazione al proprio obiettivo di espansione delle esportazioni.

Una rassegna delle iniziative in corso nel settore dei biocarburanti è stata portata a termine recentemente dalla FAO (Ismail, Rossi, 2010) che ne ha contate diciassette (tab.7.1).

Le iniziative private riuniscono diversi stakeholder, dai produttori agri-coli alle ONG, e partecipano al dialogo con i governi: alcune di esse riguarda-no singoli prodotti come l’olio di palma, la soia o la canna da zucchero, altre si riferiscono più generalmente alla biomassa o ai biocarburanti. Queste inizia-tive sono nate, in genere, prima dei sistemi di regolamentazione pubblica e, attualmente, il loro sforzo è rivolto al riconoscimento del proprio sistema di certificazione da parte dei paesi importatori, in primo luogo l’UE, che hanno in piedi regolamentazioni relative alla sostenibilità. Obiettivo di queste azioni è l’implementazione di un sistema di certificazione della materia prima o dei biocarburanti che interessa le problematiche ambientali e sociali. Esse si ba-sano in genere sulla fissazione di criteri relativi al rispetto di norme minime che riguardano sia la sfera ambientale sia quella sociale. Dal punto di vista ambientale l’aspetto principale è rappresentato dalla riduzione dei GHG e la misura è in genere basata su uno strumento metodologico noto come Life Cycle Analysis (LCA) nel quale l’effetto ambientale di un dato prodotto è va-lutato attraverso l’analisi degli input e degli output energetici lungo tutto il ciclo d vita del prodotto.

Il fiorire di sistemi volontari di autoregolamentazione, sempre più dif-fusi nel caso degli impatti sociali e ambientali – al di là dei biocarburanti – è strettamente legato alla maggiore rilevanza assunta dalle pratiche di respon-

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sabilità sociale di impresa per una pluralità di ragioni: le dinamiche che deri-vano dalla globalizzazione e dalla conseguente necessità di avere a che fare con mercati geograficamente distanti dove le informazioni sono difficili da verificare; la necessità per le imprese multinazionali di uniformare standard diversi; il potere crescente di gruppi di pressione della società civile; la mag-giore snellezza del processo di implementazione rispetto ad una sua gestione da parte del settore pubblico. Inoltre, mettendo a punto o partecipando a tali meccanismi volontari, le imprese riescono inoltre ad anticipare la regola-mentazione pubblica e a proteggere la propria reputazione.

Tabella 7.1 - Aspetti della sostenibilità trattati nei principali standard sui biocarburanti

Regolamentazioni

pubblicheStandard volontari

Sostenibilità

RED

UE

RFTO

Soci

al F

uel-

B

rasi

le

BSI

GB

EP

RTRS

RSPO

SEKA

B

Ambientale

Uso del suolo x x x x x

Biodiversità x x x x x x x

Capacità produttiva del suolo x x x x x x x x

Gestione agronomica e uso degli input chimici x x x x x

Disponibilità e qualità dell’acqua x x x x x x x

Emissioni GHG x x x x x x x

Socio-economica

Proprietà della terra x x x x x x

Sviluppo rurale x x x x x x x

Accesso all’acqua x x x

Salari e condizioni di lavoro x x x x x x x

Salute e sicurezza x x x x x

Sicurezza energetica x x x x

Food Security

Disponibilità cibo x x

Accesso al cibo x x x

Utilizzazione x x x

Stabilità x x x

Fonte: Fao, BEFSCI, 2010

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7.1 Sistemi di regolamentazione pubblica

Regno Unito

Nel Regno Unito la Renewable Transport Fuel Obligation (RTFO), introdotta nell’aprile del 2008, stabilisce un obbligo di miscelazione del 5% al 2010 con la condizione che i biocarburanti siano prodotti in modo sostenibile e che i costi per i consumatori siano “accettabili” sia in termini di prezzo del carburante alla pompa che in termini di impatto economico più generale sui prezzi degli alimenti e sugli altri settori che utilizzano la stessa materia prima. L’obbligo è gestito dalla Rene-wable Fuels Agency (RFA) e dà luogo a certificazioni che possono essere vendute sul mercato, mentre l’obbligo di miscelazione non può essere scambiato e il man-cato rispetto prevede una sanzione.

Relativamente alle emissioni di gas ad effetto serra la metodologia si basa sulla LCA ed inoltre insiste sugli effetti derivanti dai cambiamenti nell’uso del suo-lo. Raccomandazioni relative alla sostenibilità ambientale e sociale della produzio-ne della biomassa includono i seguenti punti:

- distruzione degli stocks di carbonio immagazzinati nel terreno;- distruzione di aree con biodiversità;- degradazione dei suoli;- contaminazione delle acque;- inquinamento dell’aria;- rispetto dei diritti dei lavoratori;- rispetto dei diritti esistenti relativi alla terra.

Paesi Bassi

I principi di sostenibilità per la produzione di biomassa sono stati definiti nei Paesi Bassi nel 2006-2007 dalla Commissione Cramer, anche se non si è poi proceduto nell’implementazione in considerazione dell’entrata in vigore delle Di-rettiva Europea. Il lavoro della Commissione ha comunque riguardato sei punti:

- calcolo delle emissioni sulla base dell’approccio well-to-wheel che, tenen-do conto anche degli effetti delle variazioni nell’uso del suolo, deve essere del 30% minimo;

- impatto sull’offerta di prodotti alimentari;

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- protezione della biodiversità;- effetti ambientali locali sul suolo, sull’acqua e sull’aria dove le condizione

sono rappresentate dal rispetto delle norme nazionali;- effetti sull’economia locale;- effetti sul benessere sociale.

Germania

L’iniziativa del governo tedesco, gestita dalla Agenzia Federale per l’Am-biente e lanciata nel 2006, ha portato ad uno schema che definisce i criteri di so-stenibilità della Biomassa (BSR), mentre la quota obbligatoria di miscelazione ve-niva stabilita al 2% inizialmente, al 2,8% nel 2009 e al 3,6% successivamente e la sanzione pari a 43 €/GJ di benzina.

I principi stabiliti riguardano la coltivazione sostenibile della biomassa in accordo con i principi della buona pratica e delle norme esistenti. In assenza di queste ultime viene stabilito che la produzione di biomassa non deve porta-re all’aumento delle emissioni di sostanze acidificanti, tossiche e che deprimono lo stato di ozono, al deterioramento della fertilità del suolo, della qualità e della quantità dell’acqua, degli ecosistemi, ad un uso sicuro dal punto di vista ambienta-le dei fertilizzanti, dei pesticidi e degli erbicidi. Inoltre sono stabiliti i principi guida per la protezione degli habitat naturali.

Lo standard tedesco stabilisce una riduzione minima delle emissioni del 30% inizialmente e del 40% dal 2011, includendo le emissioni derivanti dai cam-biamenti diretti nell’uso dei suoli e sull’allocazione su base energetica (LHV) ai co-prodotti. La normativa tedesca stabilisce dei valori di default e i produttori devono fornire prova se si situano a valori inferiori.

Stati Uniti

Negli Stati Uniti l’Energy Independence and Security Act (EISA) del 2007 ha modificato il Renewable Fuels Standard (RFS) portandolo a 9,0 miliardi di galloni nel 2008 fino a 36 miliardi nel 2022, di cui 21 devono essere ottenuti da etanolo di seconda e terza generazione. Lo stesso atto stabilisce che l’etanolo prodotto dalle bioraffinerie che cominciano la propria attività dopo l’entrata in vigore dell’EISA comporti una riduzione di almeno il 20% dei GHG e che qualora tali riduzioni siano

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superiori all’80% si abbia diritto a contributi pubblici. L’EISA richiede inoltre che l’EPA (Environmental Protection Agency) riferisca al Congresso sugli effetti am-bientali del RFS e, a questo proposito, è in atto una collaborazione con l’USDA per la verifica degli effetti della produzione di biocarburanti sull’uso dell’acqua e del suolo.

Brasile

In Brasile sono in preparazione alcune iniziative riguardo alla certificazione di sostenibilità dei biocarburanti. La prima è quella relativa al programma Brasi-liano di Certificazione dei Biocarburanti condotta dall’Istituto Nazionale di Metro-logia, Standardizzazione e Qualità industriale (INMETRO) che fa capo al Ministero dello Sviluppo, dell’Industria e del Commercio Estero. Si tratta di una certifica-zione non obbligatoria che ha l’obiettivo di accrescere le esportazioni e ridurre le barriere commerciali. Lo stesso istituto ha in atto un altro programma simile relativo alla certificazione della gestione delle foreste (CERFLOR) riconosciuto a livello internazionale. La certificazione della produzione di etanolo dovrà rispetta-re le seguenti regole:

- la produzione di zucchero di canna dovrà rispettare la zonizzazione agri-ecologica;

- saranno richieste delle licenze ambientali;- l’elettricità dovrà essere generata sul sito dai residui;- sarà richiesta evidenza della deposizione sul suolo dei residui;

Il programma Selo Combustíve Social (Sigillo sociale per il carburante) è stato istituto nel 2004 e perfezionato nel 2009 e riguarda la produzione di biodie-sel. E’ gestito dal Ministero per lo sviluppo agricolo ed ha l’obiettivo di integrare i piccoli produttori nella filiera. I produttori di biodiesel, per avere la certificazione, devono acquistare dai piccoli produttori agricoli una quota minima che va dal 10 al 30% della materia prima a seconda delle regioni e garantire una remunerazione adeguata e assistenza tecnica. In cambio i produttori di biodisel ottengono incenti-vi fiscali e accesso preferenziale al credito.

Altre iniziative in corso in Brasile riguardano la già citata zonizzazione agri-ecologica condotta dal Ministero dell’Agricoltura che definisce le aree dove è pos-sibile effettuare la coltivazione della canna da zucchero e il Protocollo Agro-am-bientale dello Stato di San Paolo, schema volontario di buone pratiche che vanno oltre le pratiche correnti.

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7.2 Iniziative volontarie

GBEP

La Global Bionergy Partnership (GBEP) è un’iniziativa internazionale tra go-verni e istituzioni intergovernative come la FAO e le Nazioni Unite e altri partner, promossa nel 2005 in occasione del Vertice G8 +5 per “sostenere un più ampio ed efficiente uso delle biomasse e dei biocombustibili, specialmente nei paesi in via di sviluppo, dove l’uso delle biomasse è prevalente”. La Partnership è ospitata presso la FAO con il supporto dell’Italia. Presso la GBEP opera una task-force con il compito di definire, su base scientifica, indicatori e criteri globali per la produzione e l’uso sostenibili delle bioenergie. Gli indicatori ricadono nelle seguenti aree: ambientale, governance, socio-economica, sicurezza alimentare. La GBEP ha recentemente ap-provato un set di 24 indicatori per la misura della sostenibilità mentre sono in corso di perfezionamento le metodologie per il calcolo degli stessi (tab. 7.2).

Tabella 7.2 - indicatori di sostenibilità GBEPSostenibilità ambientale Sostenibilità sociale Sostenibilità economica

Emissioni GHGAllocazione e proprietà della terra per nuove produzioni bioeenregtiche

Produttività

Qualità del suolo Prezzo e offerta di un paniere di beni Bilancio energetico netto

Raccolta di risorse legnose. Variazione del reddito Valore aggiunto lordo

Emissioni di gas non GHG Posti di lavoro nel settore bioenergeticoVariazioni nel consumo di combu-stibili fossili e nell’uso tradizionale delle biomasse

Uso ed efficienza dell’acquaVariazione nell’uso del tempo non retri-buito per la raccolta della legna

Formazione e riqualificazione della forza lavoro

Qualità dell’acquaBioenergie utilizzate per espandere l’ac-cesso a forme moderne di energia

Diversificazione energetica

Diversità biologicaVariazioni nella mortalità e nelle patolo-gie dovute alla combustione all’inetrno delle abitazioni

Infrastrutture e logistica per la distri-buzione delle bioenergie

Land useIncidenza delle malattie, danni e morta-lità nel lavoro

Capacità e flessibilità di uso della bioenegia

A differenza degli altri sistemi l’obiettivo della GBEP è raggiungere il con-senso di governi e istituzioni e di fornire una misurazione della sostenibilità del-

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la produzione e dell’uso delle bioenergie a livello nazionale in modo da fornire indicazioni utili ai policy makers. I risultati della GBEP non prefigurano pertanto la produzione di standard o l’indicazione di valori soglia ma, misurati in un arco temporale, tali indicatori consentono di monitorare i progressi verso lo sviluppo sostenibile delle bioenergie.

Roundtable on sustainable biofuels (RSB)

La Roundtable on Sustainable Biofuels (RSB) è un’iniziativa nata del 2006, coordinata dall’ École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), che riunisce un folto gruppo di stakeholders di differenti paesi che ha lavorato ad un documento contenente principi e criteri relativa alla produzione sostenibile di biocarburanti. Questi coprono dodici aree:

• legalità;• trasparenza;• diminuzioni significative delle emissioni;• rispetto dei diritti umani e dei lavoratori;• sviluppo rurale e locale;• sicurezza alimentare;• impatto ambientale (biodiversità, ecosistemi, aree di conservazione);• miglioramento del suolo;• ottimizzare uso dell’acqua;• qualità dell’aria;• tecnologia;• diritti sull’uso della terra.

Nel 2008 è stata prodotta una versione zero relativa a principi e criteri che è stata sottoposta a consultazioni e revisioni per sfociare in una versione successi-va (uno) nel 2009 approvata per essere testata e divenire successivamente (2011) operativo come sistema di certificazione. La riduzione minimia richiesta di emis-sioni è il 50%. L’approccio utilizzato relativamente agli altri parametri è il meta-standard14.

14 Ilconcettodimeta-standardimplicailrispettodistandardgiàesistentiperaltriscopieritenutivalidianchesesolopersingolisegmentidelprocessoproduttivo.Inquestomodosievitadiimporreaiproduttorinuovistandardperfasidellacatenadiproduzionechegiàgodonodiunacertificazionee,altempostesso,siriduceilrischiodiduplicazionifacilitandol’armonizzazionealivellointernazio-nale(Ecofys,2010).

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SEKAB

La Verified Sustainable Ethanol Initiative (SEKAB) è una un’iniziativa vo-lontaria di certificazione di sostenibilità messa in atto dall’omonima compagnia svedese che commercia il 90% dell’etanolo venduto in Svezia. L’iniziativa, lanciata nel 2008 in collaborazione con i produttori brasiliani della regione di San Paolo, prevede una riduzione delle emissioni di almeno l’85% e tolleranza zero rispetto ad alcuni fenomeni come la violazione dei diritti umani e del lavoro e la distruzione delle foreste. Inoltre vengono richiesti l’implementazione di un piano per la con-servazione del suolo e per la conservazione e protezione delle acque. La certifica-zione è eseguita da una compagnia indipendente.

Better Sugarcane Initiative (Bonsucro)

La Better Sugarcane Initiative o Bonsucro (BSI) nasce dalla collaborazione tra stakeholders - coinvolti nella produzione e nel commercio di canna da zucchero e derivati - e ONG, finalizzata a stabilire principi e criteri concernenti la produzione sostenibile di canna da zucchero a livello internazionale. Ne fanno parte multina-zionali alimentari come Tate & Lyle, Coca Cola, Cadbury Schweppes, traders come ED & F Man e Cargill), ONG quali il WWF e Solidaridad/Fairtrade), organizzazione dei produttori, compagnie petrolifere come Shell e BP. Gli indicatori ricadono in tre aree:sociale, trasformazione e pratiche agronomiche. Lo standard è oggi operativo e una certificazione opzionale viene fornita in relazione al rispetto di quanto stabi-lito dalla direttiva europea RED.

Roundtable on Sustainable Palm Oil

La Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO) è un’iniziativa volontaria isti-tuita nel 2004 con l’obiettivo di implementare e sviluppare standard globali per la produzione sostenibile di olio di palma. Gli attori coinvolti riguardano sette seg-menti della filiera, dai produttori ai trasformatori, traders, banche, associazioni ambientaliste e altre ONG. Il sistema certifica sia la materia prima sia l’olio di palma attraverso la certificazione degli oleifici. I piccoli produttori non sono certi-ficati individualmente ma contestualmente alla struttura di trasformazione a cui conferiscono. I criteri e gli indicatori ruotano intorno ad otto principi base quali rispetto delle leggi, sostenibilità economica e finanziaria, trasparenza, uso delle

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buone pratiche, responsabilità ambientale e sociale, sviluppo responsabile di nuo-ve piantagioni, impegno al miglioramento continuo.

Roundtable on Responsible Soy

La Roundtable on Responsible Soy (RTRS) è un’iniziativa volontaria nata nel 2006 per iniziativa di alcuni attori della filiera allo scopo di promuovere produzione, trasformazione commercio della soia sostenibili attraverso l’implementazione di un sistema volontario di certificazione. Nel giugno 2010 ha approvato uno standard basato su un sistema di 27 criteri e 19 indicatori che riguardano cinque aree: ri-spetto di leggi e dei diritti sulla terra nelle aree di coltivazione, diritti dei lavoratori, responsabilità ambientale(tutela delle aree forestali e di elevato valore naturalisti-co), buona pratica agricola. I principali paesi coinvolti nella definizione degli stan-dard sulla coltivazione della soia sono l’Argentina, la Bolivia, il Brasile, il Paraguay e l’India. Allo schema aderiscono oggi circa 140 membri appartenenti a tutta la catena produttiva anche associazioni ambientaliste quali il WWF. La certificazione dovrebbe essere operativa dal 2011.

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Capitolo Viii

stanDarD, regoLamentazioni e commercio in-ternazionaLe

Il ricorso a materie prime o biocarburanti prodotti in paesi terzi pone un problema di armonizzazione degli standard affinché non si crei un’artificiosa seg-mentazione del mercato ed essi non possano essere considerati come barriere non tariffarie. L’esistenza di standard differenti andrebbe inoltre a costituire un vincolo notevole ed un costo per i produttori che si devono confrontare con essi, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, tra l’altro maggiormente orientati verso l’esportazione.

L’esistenza di un numero così elevato di iniziative, quale quello illustrato nel capitolo precedente, è senza dubbio legato al fatto che lo sviluppo di un sistema di certificazione viene considerato un passo importante nella direzione della creazione di un commercio sostenibile di biomassa ed è pertanto interesse di un ampio numero di soggetti, siano essi pubblici o privati. La definizione di un sistema di certificazione per la biomassa si presenta come un processo complesso e deve necessariamente tener conto delle caratteristiche specifiche di questo mercato.

Innanzitutto va sottolineato come il sistema di standard debba considerare il fatto che i biocarburanti sono producibili da un ampio spettro di materia prima, in alcuni casi collegata ad areali specifici di produzione. Ciò implica che nella sua defi-nizione debba essere coinvolto un certo numero di settori destinato ad ampliarsi nel momento in cui siano disponibili su larga scala nuove soluzioni tecnologiche. Consi-derata inoltre la crescita attesa nella domanda, il sistema di governance della soste-nibilità deve rivolgersi necessariamente a un mercato allargato a livello geografico e avere pertanto un grado sufficiente di flessibilità in relazione alla eterogeneità della condizioni ecologiche, culturali ed economiche di produzione. Inoltre la sua accetta-bilità dipende dalla distribuzione dei costi sui vari soggetti che compongono la filiera, avendo ben presente il fatto che la maggior parte della materia prima utilizzata per la produzione di biocarburanti ha anche utilizzi alternativi che possono diventare più attrattivi e rendere meno facile il coinvolgimento dei produttori. Quest’argomento è stato recentemente sottolineato (De Gorter e Just, 2009) insieme ad altri criticismi quali la mancata considerazione attraverso l’uso della LCA dell’effetto sostituzione

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da parte della benzina fossile non consumata nei trasporti di altro combustibile con maggiori emissioni di GHG, come il carbone, per altri usi.

La breve rassegna svolta evidenzia che esistono standard a differenti livelli, nazionali, regionali, internazionali, non armonizzati tra loro. Inoltre è possibile evi-denziare una diversità di approcci tra standard pubblici e privati, volontari o obbliga-tori, la cui demarcazione non è sempre evidente. Anche se spesso infatti gli standard privati vengono definiti come volontari e quelli pubblici come obbligatori- in quanto collegati ad una sanzione se non rispettati - questa distinzione non è sempre evi-dente (Henson, Humphrey, 2009). I governi possono infatti promulgare standard il cui rispetto sia volontario oppure, viceversa, richiedere il rispetto di standard privati, ovvero sviluppati da operatori del settore privati. In realtà la classificazione di uno standard può essere dinamica ovvero cambiare natura nel tempo. Un esempio è la certificazione biologica nata come standard privato volontario e divenuta successiva-mente uno standard pubblico volontario la cui certificazione è affidata ad organismi privati. Infine possono esserci standard che riguardano una determinata sfera ma non l’intero processo produzione- trasformazione - distribuzione-consumo.

Van Dam e al (2006) distinguono cinque tipi di approcci per l’implementazio-ne della certificazione della biomassa che si differenziano per una diversa com-binazione tra volontarietà ed obbligatorietà ed una diversa scala di applicazione, dal livello nazionale a quello internazionale così come evidenziato nella figura 8.1.

Figura 8.1 - possibili approcci nella definizione di standard per i biocarburanti

Fonte: Van Dame e al (2006).

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1. regolamentazione pubblica2. sistemi di certificazione volontaria con approccio bottom up;3. certificazione privata con standard superiori a quelli minimi richiesti per

legge;4. certificazione volontaria combinata con la regolamentazione interna-

zionale;5. standardizzazione dei criteri minimi su base internazionale.

Il primo approccio, della regolamentazione nazionale, è quello che è stato adottato da alcuni paesi europei come il Regno Unito e i Paesi Bassi, e sul quale è stato poi disegnato quello stabilito dalla Direttiva Europea. Si basa sull’adozio-ne di uno schema unico per tutti i biocarburanti, siano essi prodotti all’interno dell’Unione o importati, in cui ad uno standard minimo obbligatorio in termini di riduzione delle emissioni, si accompagna un attività di monitoraggio sugli effetti ambientali e sociali. Il rispetto di questo standard condiziona l’accesso a even-tuali sussidi.

Il secondo tipo di approccio definito come bottom up è un approccio volon-tario relativo ad un determinato tipo di biomassa, adottato volontariamente dalle parti interessate, come nel caso della RSPO. In genere riguarda le pratiche col-turali e quindi si rivolge ai produttori di biomassa. E’ visto come un processo con-tinuamente migliorabile che si adatta bene quando si riferisce a volumi ridotti.

Il terzo tipo di approccio consiste nell’applicare ad uno schema di cer-tificazione volontaria con standard superiori a quelli richiesti per legge in un approccio misto pubblico-privato. Un esempio può essere considerata la certifi-cazione richiesta dall’RFTO anglosassone in cui i criteri ambientali e sociali, al di là della prevista riduzione di GHG, fanno parte di schemi separati volontari.

Il quarto criterio, anch’esso suggerito in letteratura (Verdonk al., 2006), prevede un sistema di governance basato sull’azione congiunta di un organismo di certificazione internazionale ed un accordo internazionale, attraverso l’ado-zione di codici relativi alle buone prassi. Un tale sistema dovrebbe basarsi su pochi parametri nella fase iniziale, che poi potrebbero essere in seguito estesi. In questa categoria ricadono gli standard privati che il WTO classifica come stan-dard collettivi internazionali. Essi sono in genere il frutto dell’azione collettiva di attori pubblici, privati e NGO e vengono disegnati a livello internazionale per es-sere adottati da più paesi. Un esempio è il Forest Stewardship Council (FSC). Gli standard sulle biomasse tendono a ricadere in questa categoria. Possono essere

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anche elaborati da un paese ed essere resi disponibili a livello internazionale15.Il quinto criterio, infine, fa riferimento ad un sistema internazionale cogente dal

punto di vista legale in quanto adottato attraverso un accordo multilaterale.Affinché uno standard diventi operativo ed efficace devono realizzarsi cinque fasi:

• definizione• adozione• implementazione• controllo• sanzione

L’organizzazione di queste fasi nella pratica è testimonianza evidente di quanto non possa considerarsi netta la divisione tra standard pubblici e privati in quanto, in ognuna delle cinque categorie viste in precedenza, alcune fasi possono essere svolte da soggetti pubblici e altre da privati e la distribu-zione delle competenze può variare nel tempo.

Il processo di definizione e di implementazione di uno standard si pre-senta come un continuum di azioni suddivise tra soggetti pubblici e privati, definito come co-regulation, in cui convivono alcuni aspetti dell’approccio pubblico – command and control – con alcuni aspetti della self-regulation. La co-regulation ha l’obiettivo di combinare gli elementi di certezza insiti nell’approccio pubblico/obbligatorio con gli elementi di flessibilità che sono propri di un sistema di autoregolamentazione (Eijlander, 2005).

Un aspetto molto rilevante nel processo di co-regulation è comunque rappresentato dalle modalità di creazione di nuove regole. I benefici della co-regulation in questa fase sono evidenti: un approccio coercitivo spesso porta a risultati sub-ottimali e alti costi di monitoraggio e controllo. D’altra parte un meccanismo di co-regulation nella definizione delle regole richiede un dialogo tra le parti in cui è fondamentale che vi sia fiducia tra i vari seg-menti della supply chain e che può essere limitato dalla percezione che la divergenza tra gli interessi privati e quelli pubblici non consenta di ottenere una soluzione accettabile dal punto di vista dell’interesse collettivo. Questo dialogo con l’industria è particolarmente importante quando il policy maker

15 Esistonovaricodiciinternazionalidi“buonepratiche”nelladefinizionedistandards,tracuiquellielaboratidalWTO,ISOeISEAL(InternationalSocialandEnvironmentalAccreditationandLabelling).Ipunticentraliditalicodicipossonoessereriassuntinellatrasparenzadeiprocessi,nellaidentifi-cazioneenellainclusionedeglistakeholdersenell’armonizzazioneinternazionale.L’eterogeneitàdeibiocarburanti,lacomplessitàdellasupplychainelaconseguentedifficoltàdiindividuareunoopochistandard,spingonoversounapprocciobasatosulladefinizionediunmeta-standard(Ecofys,2007).

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si pone l’obiettivo di valutare i costi della compliance e l’impatto sulla com-petitività di una regolamentazione su un settore emergente come quello dei biocarburanti.

Il problema diventa quindi quale forma questa co-regolamentazione debba assumere e quale combinazione di approccio pubblico/privato sia la più efficiente ed efficace nel raggiungere l’obiettivo si sostenibilità ambienta-le/sociale che lo standard si prefigge (Garcia e al., 2007).

In questo quadro un aspetto importante dall’analisi dei benefici e dei costi associati alla regolamentazione. Nella letteratura è possibile ritrovare essenzialmente due approcci, il primo relativo all’analisi del benessere in un contesto di fallimenti dl mercato. Questi studi considerano standard e rego-lamentazioni come strumenti per correggere inefficienze e imperfezioni del mercato associate con la produzione, la distribuzione il consumo dei prodotti e ne analizzano i costi e i benefici in termini di accesso ai mercati, competi-tività, effetti sugli cambi. Il secondo approccio ricade nel mainstream della political economy e focalizza sulla posizione dei gruppi di interesse nel pro-cesso di regolamentazione. Swinnen e Vandeermootele (2009) hanno elabora-to un modello che integra queste differenti prospettive stimando un modello di political economy degli standard pubblici in cui produttori e consumatori agiscono simultaneamente sullo stesso mercato come gruppi di pressione. Nel modello si analizzano le divergenze tra l’equilibrio sul mercato politico e l’ottimo sociale e si determinano le condizioni in cui uno standard è protezio-nistico. Nel determinare la distribuzione dei costi e benefici dell’imposizione di uno standard agiscono il peso politico dei singoli gruppi di interesse, i costi di transazione legati all’applicazione dello standard, il livello di sviluppo del paese.

La creazione di un sistema di standard è, come si è visto dalla breve rassegna delle iniziative in corso, interesse di tutti gli stakeholders coinvol-ti nella filiera, siano essi soggetti pubblici o privati (tab. 8.1) che risultano coinvolti nella discussione attualmente in corso per il segmento della supply chain di cui essi stessi sono responsabili. In questo senso una delle maggiore preoccupazioni nella definizione di standard riguarda la scarsa democrazia del processo di dialogo in cui non tutti gli attori assumono lo stesso peso. Inoltre va considerato il fatto che gli stakeholders possono avere interessi molto vari (protezione delle foreste, biodiversità, GMO,lavoro minorile) per cui ne potrebbero risultare standard talmente dettagliati da essere inappli-cabili (Herebrand, Laney, 2007).

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Tabella 8.1 - Stakeholders e relativi interessi nella certificazioneStakeholders Interesse nella certificazione

Governi Strumento per la promozione dello sviluppo sostenibile

Organismi intergovernativi (FAO. UN) Ruolo di forum neutrale nella negoziazione, equilibrio Nord-Sud

Produttori Facilitare l’accesso ai mercati

Industria e commercioFacilitare l’accesso al mercato, controllare l’origine e la qualità della materia prima, accedere ai benefici delle politiche

ONG Promuovere lo sviluppo sostenibile

Fonte: Adattato da Lewandowski and A. Faaij (2006).

Gli standard hanno un’importanza crescente per le esportazioni dei paesi in via di sviluppo. Si tratta di un aspetto molto analizzato nel caso dei prodotti agro-alimentari e non privo di controversie. Infatti mentre molti economisti ritengono che gli standard possano rappresentare delle barriere non tariffarie al commercio, sviluppatesi spesso come conseguenza delle maggiori limitazioni in essere relati-vamente all’uso delle tariffe, secondo altri costituiscono un fattore di stimolo alla modernizzazione e allo sviluppo dell’offerta. Nel primo caso ci sono due argomenti che vengono tradizionalmente analizzati in letteratura, da un lato l’utilizzo discri-minatorio degli standard quando essi vengono fissati ad un livello più elevato per le importazioni, dall’altro l’elevato costo che essi rappresentano per le imprese soprattutto nei paesi in via di sviluppo per l’assenza delle infrastrutture necessa-rie e in generale della capacità tecnica, scientifica e istituzionale che consente il rispetto dello standard stesso. D’altra parte, è evidenziato come spesso gli stan-dard, soprattutto nel caso dei prodotti agro-alimentari, siano conseguenti ad una domanda da parte dei consumatori e non dei produttori che, in genere, si oppon-gono alla loro imposizione. Nel caso di uno standard utilizzato come barriera pro-tezionista ci si aspetterebbe, piuttosto, un comportamento inverso16. A differenza degli alimenti per i quali la certificazione ambientale riveste una certa attrattiva per i consumatori, la certificazione ambientale dell’energia potrebbe interessare i consumatori solo nel caso di un’elevata sensibilità ecologica come potrebbe es-sere nel caso dello standard svedese visto in precedenza. Alcuni autori. (Maertens, Swinnen, 2006), relativamente agli standard sui prodotti alimentari, hanno rilevato la rilevanza del costo della non compliance dello standard. Mentre, per i prodotti agroalimentari, questo si traduce in un blocco delle esportazioni e nell’erosione

16 Addiritturaunostandardpuòessereanti-protezionistaquandoiproduttoridipaesiterzisonopiùefficientinelrispettodellostandardstesso.

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della reputazione del paese stesso, nel caso dei biocarburanti è piuttosto legato al mancato accesso ai benefici previsti dalle politiche nei paesi sviluppati importatori.

Lo standard può anche costituire un’opportunità nel momento in cui crea un collegamento tra la domanda e l’offerta, favorendone l’adeguamento alle pre-ferenze dei paesi importatori e ponendo le basi per la crescita degli scambi. Swin-nen e Vandermoortele (2009) hanno elaborato un modello per l’analisi dei costi e benefici di uno standard. In questo modello lo standard beneficia i consumatori nel momento in cui assicura determinate caratteristiche preferite dai consumatori, mentre i costi di produzione aumentano in virtù dei cambiamenti necessari nelle tecniche di produzione, degli investimenti necessari in infrastrutture e capitale umano, dei costi di monitoraggio e controllo. L’effetto in termini di benessere dei consumatori e dei produttori è comunque ambiguo perché dipende dai prezzi che si formano sul mercato in un’economia aperta quando anche gli importatori de-vono soddisfare questo standard. I costi di monitoraggio e controllo possono es-sere molto alti in paesi che non hanno un’adeguata capacità istituzionale. Questo tipo di policy o institutional failure può essere affrontato in maniera cooperativa, prevalentemente in una prospettiva Nord-Sud, per mitigare gli effetti negativi sul commercio.

Un altro aspetto del dibattito, soprattutto a proposito degli standard nell’agroalimentare, riguarda l’effetto sui piccoli produttori per i quali i costi di adattamento potrebbero essere maggiori, essendo meno efficienti in termini di strutture di produzione, investimenti pregressi e capacità di adattarsi. In questo caso l’introduzione dello standard agisce come barriera all’entrata per nuovi paesi esportatori precludendo ad essi l’accesso a mercati potenzialmente remunerativi. Di fatto alcuni dati relativi al Regno Unito (Swinbank, 2009) che ha già applicato e monitorato la miscelazione obbligatoria, mostrano che le importazioni di biodiesel e bioetanolo provengono da Stati Uniti, Tailandia e Malesia nel primo caso e dal Brasile nel secondo caso mentre sono nulle, nonostante la struttura tariffaria fa-vorevole, le importazioni dagli ACP.

8.1 Standard e regole WTO

L’imposizione unilaterale da parte dell’UE di uno standard relativo alla sostenibilità del processo produttivo potrebbe essere considerato dai paesi pro-duttori alla stregua di una barriera non tariffaria. Da più parti è evidenziata la necessità che il WTO affronti la questione delle regole relative al commercio

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internazionale dei biocarburanti, sciogliendo alcuni nodi oggi esistenti o ad-dirittura creando un regime ad hoc. In questo dibattito s’innestano posizioni contrapposte di chi da un lato sostiene l’opportunità di commercio più libero e chi, dall’altro, ha un atteggiamento più prudente in considerazione dei rischi connessi ad una maggiore apertura commerciale (Esposti, 2009).

Tuttavia è evidente la necessità di regole più trasparenti sia relativamente alle politiche nazionali che ai regimi commerciali. La questione dei biocarbu-ranti all’interno del WTO è molto complessa perché riguarda diversi ambiti ed accordi.

Preliminare a qualsiasi discussione è la questione della classificazione la quale svolge un ruolo chiave nel determinare le condizioni di chiarezza, tra-sparenza e non discriminazione nella gestione delle tariffe. Per quanto riguar-da i biocarburanti, il quadro si presenta abbastanza complesso in quanto non esiste una classificazione specifica: il bioetanolo, è classificato tra i prodotti agricoli mentre il biodiesel è stato riclassificato nel 2005 come prodotto chimi-co17. L’inclusione del bioetanolo e degli oli vegetali tra i prodotti agricoli rende possibile il sussidio della loro produzione da parte dei governi nazionali, entro le regole stabilite dall’accordo Agricolo. Il biodiesel in quanto bene industriale è governato dall’accordo Subsidies and Countervailing Measures (SCM) del WTO, che disciplina i sussidi che hanno effetti distorsivi sul commercio e consente l’introduzione di tariffe compensative da parte del paese importatore una volta dimostrato il danno arrecatogli da sussidi in vigore nel paese esportatore.

La creazione di una classificazione specifica per i biocombustibili non ri-uscirebbe peraltro a risolvere i problemi sopra accennati in quanto l’inclusione di determinati prodotti in un elenco piuttosto che in un altro è una decisione esclusivamente politica. Inoltre, gli emendamenti al sistema della nomenclatu-ra combinata (HS) richiedono una procedura molto complessa che si conclude in circa sei anni e, peraltro, sarebbe molto difficile classificare un prodotto in base alla sua utilizzazione finale piuttosto che alla sua composizione fisico-chimica.

Ma cosa succede nel momento in cui il sostegno diventa condizionale al rispetto di determinati criteri di sostenibilità quali quelli previsti dalla direttiva dell’UE? In questo caso non si riscontra, da un punto di vista legale, una bar-riera alla produzione e al commercio di biocarburanti non conformi ai criteri di sostenibilità adottati, ma la rispondenza a tali parametri è condizione necessa-

17 codiceHS382490

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ria affinché essi possano essere conteggiati ai fini dell’obiettivo sulle energie rinnovabili e per accedere a eventuali sussidi o sgravi fiscali.

Un potenziale conflitto tra lo standard e le regole del WTO può sorgere nel momento in cui, nel caso di prodotti “simili”, quello importato riceve un tratta-mento sfavorevole. L’articolo I del GATT stabilisce il trattamento della nazione più favorita (MFN) per prodotti simili. Sulla base delle decisioni dell’Appellate Body due prodotti vengono definiti simili sulla base delle caratteristiche fisiche, dell’uso finale, della classificazione doganale e non vengono ritenuti diversi quando differi-scono esclusivamente relativamente al processo produttivo. L’articolo III stabilisce inoltre che i prodotti importati debbano avere un trattamento non meno favorevole dei prodotti simili interni. Quanto la RED sia consistente con questo tipo di ecce-zione dipende dall’evidenza scientifica a supporto del criterio della sostenibilità. In questo caso il dibattito scientifico sulla metodologia per la valutazione della riduzione dei GHG e sull’accumulo di carbonio nel suolo e altri parametri pre-senti nella RED sia a un livello tale da non potere costituire base scientifica certa (Steenblick and Möisé, 2010). Trattandosi di stime, i valori presenti in letteratura sono sensibili ai dati utilizzati e alle ipotesi assunte nella costruzione dei modelli. I dati possono non essere disponibili per alcune regioni del mondo e ciò limita la rappresentatività dei valori di default (Lendle and Schaus, 2010). La minaccia di azioni legali nell’ambito del WTO è già stata sollevata da Indonesia e Malesia con riferimento al valore utilizzato nella direttiva RED (19%) relativamente alla ridu-zione di GHG, valore che risulta inferiore rispetto alla soglia minima. Contestazioni possono sorgere anche a proposito delle soglie stabilite (perché 35% e non un al-tro valore?). Fino ad oggi dispute simili, come nei casi Gamberi-Tartarughe marine, Tonni-Delfini, hanno avuto esiti contrari al paese che imponeva lo standard. Se vi fossero argomentazioni in tal senso, l’UE potrebbe trovare appoggio nell’articolo XX del GATT concernente le eccezioni riguardanti la conservazione delle risorse naturali esauribili.

Relativamente alle norme tecniche, regolate dall’accordo TBT (techni-cal barriers to trade) l’UE ha condotto un negoziato con gli Stati Uniti e il Brasile nell’ambito della Tripartite Task Force che ha prodotto un white paper on interna-tionally compatible biofuel standards (2007) che riguarda prevalentemente l’eta-nolo. Con riferimento alle implicazioni commerciali il gruppo di lavoro congiunto ha riconosciuto che, per gli anni a venire, i principali flussi di commerci di etanolo andranno dal Brasile verso l’UE e gli USA e dagli USA verso l’UE. Considerato che i parametri brasiliani sono molto stringenti, ciò riduce le necessità reali di un’armo-nizzazione dal punto di vista delle implicazioni in ambito WTO. Per quanto riguarda

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il futuro, il documento riconosce come principali aree di lavoro la questione del contenuto idrico dell’etanolo in quanto l’etanolo esportato da USA e Brasile verso l’UE necessita di essere deidratato a causa del minor livello di idratazione richie-sto in Europa con un prevedibile aumento del costo di produzione, mentre le altre questioni tecniche appaiono facilmente risolvibili.

Approcci possibili per evitare le dispute sono l’armonizzazione, processo molto complesso e lungo che vede oggi coinvolta l’UE in molti tavoli multilatera-li, la verifica dell’equivalenza degli standard in vigore in paesi diversi o il mutuo riconoscimento in assenza di equivalenza. Queste opzioni sono espressamente previste dalla direttiva europea, come chiarito dalla Commissione in una recente comunicazione (2010/C 160/01).

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Capitolo iX

aLcUne probLematiche aperte

9.1 Biofuel e land use changes

Negli ultimi anni, anche in relazione al dibattito apertosi nel 2008 in seguito alla crisi determinata dal forte aumento dei prezzi agricoli, il reale contributo dei biocarburanti alla riduzione delle emissioni è stato messo in discussione. In particolare è stato evidenziato come molti studi non avesse-ro considerato le emissioni di carbonio che si generano nel momento in cui gli agricoltori, a causa dei prezzi più alti, convertono alla produzione nuova superficie come pascoli e foreste (Searchinger e al., 2007). In questo caso le emissioni addizionali corrispondono alla minore quantità di carbonio seque-strato. Affinché ci sia un beneficio in termini di riduzione delle emissioni è necessario che il carbonio generato sul terreno (credito) sia superiore alla perdita di accumulo di carbonio che si ha cambiando la destinazione di uso del suolo. Per calcolare queste variazioni Searchinger e al. (2008) utilizzano un modello che ipotizza le variazioni nelle superfici coltivate a seminativi in risposta alla crescente produzione di etanolo da mais negli USA. Assumendo un incremento nella produzione di etanolo nell’ordine di 56 miliardi di litri al 2016, tenendo conto dell’aumento di produzione di sottoprodotti per l’ali-mentazione animale, viene stimato l’aumento – a livello mondiale – dei prezzi di mais, soia e grano rispettivamente del 40, 20 e 17%, la diminuzione delle esportazioni americane e l’aumento della superficie coltivata di 12,8 milioni di ettari, localizzati in Brasile, Cina, India e Stati Uniti. Suddividendo questa superficie totale tra i vari tipi di superficie (foreste, savane, pascoli), sulla base di quanto già accaduto negli anni ’90, e ipotizzando il livello di emissione di carbonio dai suoli sulla base di altri studi ed un orizzonte temporale di 30 anni, gli autori hanno stimato un effetto complessivo in termini di emissioni di 351 tonnellate di CO2 eq per ettaro che, rapportato all’energia prodotta, dà i risultati riportati nella tabella 9.1.

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Tabella 9.1 - Confronto produzione GHG con e senza cambiamenti nell’uso del suolo per stadio di produzione (grammi GHGs CO2 eq per MJ di energia)

Effetto netto land use

CarburanteProduzione biomassa

Raffinazione Uso

Immagazzinamento

carbonio dall’atmosfera

LU change

emissioni

totali GHG

% variazione

emissioni GHG

benzina 4 15 72 0 – 92 –

etanolo da mais

24 40 71 –62 – 74 –20%

con crediti di C bio-massa

24 40 71 –62 – 135 47%

con land use change

24 40 71 –62 104 177 93%

etanolo da biomassa

10 9 71 –62 – 27 –70%

con land use change

10 9 71 –62 111 138 50%

Fonte: Searchinger e al., Science

La Direttiva europea ha tenuto conto di questi effetti stabilendo che ai fini del raggiungimento degli obiettivi, non vadano presi in considerazione i biocarburanti prodotti da biomassa proveniente da foreste o da suoli ad alto contenuto di carbonio.

Altri risultati sui cambiamenti nell’uso del suolo sono riportati dalla Galla-gher Review (Renewable Fuels Agency, 2008) commissionata dal governo inglese nell’ambito dell’applicazione dell’RFTO. In particolare uno studio (Ecofys, 2008) stima gli effetti della Direttiva Europea tenendo conto della minore diversione nell’uso del suolo legata alla utilizzazione dei sottoprodotti e dell’ingresso delle nuove tecnologie. Altri studi (Kim e al., 2008) hanno evidenziato come metodi so-stenibili di gestione dei suoli possano ridurre sostanzialmente il periodo di “pay-back” cioè il tempo necessario ai biocarburanti per ripagare il proprio debito in termini di carbonio dovuto al cambiamento di uso del suolo.

L’IEEP, su incarico della Commissione Europea, ha stimato i cambiamenti indiretti di uso del suolo nell’UE associati con l’applicazione della RED. L’analisi si è basata sui Piani Nazionali di Azione per l’Energia Rinnovabile (PNAER) dei 27 paesi membri. L’insieme di tali piani ipotizza un’utilizzazione di biocarburanti nel 2020 di circa 30 Mtep pari al 9,6% del consumo di energia previsto nel 2020, con un incremento considerevole rispetto ai livelli attuali. I piani prevedono inoltre che per

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il 92%, pari a 27,3 Mtep, tale energia sarà fornita da biocarburanti di prima genera-zione che, quindi, andranno a costituire l’8,8% dei carburanti utilizzati nel settore dei trasporti in termini energetici. Questi saranno per il 72%, secondo le previsioni degli stati membri, costituiti da biodiesel e per la parte restante da etanolo con l’eccezione della Svezia dove la percentuale di etanolo sale al 50% del totale bio-carburanti. L’Italia è il paese che ha previsto la maggiore utilizzazione di biocarbu-ranti di seconda generazione (400 ktoe). Nel complesso si prevede l’utilizzazione di 1239 ktoe di biodiesel di nuova generazione a fronte di 583 ktoe di etanolo da ligneocellulosa. Secondo queste analisi, gli stati membri prevedono di importare, mediamente, circa il 50% dell’etanolo ed il 41% del biodiesel pari, rispettivamente a 3,1 e 7,7 Mtep, con ampi margini di variazione da paese a paese anche se non è chiarito se si ipotizzi di importare la materia prima da raffinare o direttamente il biocarburante. Il Regno Unito è il paese che prevede la maggiore incidenza delle importazioni, ipotizzate all’81%.

La domanda interna e le importazioni potrebbero aumentare ulteriormente qualora i bioliquidi vengano anche adoperati per la produzione di calore ed elettri-cità. Sulla base dei piani nazionali la stima di domanda addizionale è pari a 5.462 Ktoe di cui 568 per l’Italia (tab.9.2).

La domanda addizionale è stata poi convertita nell’impatto in termini di cambiamenti indiretti di uso del suolo ipotizzando dei range di variazione in termi-ni di fattori di conversione sulla base dei modelli esistenti presi in rassegna da uno studio europeo (JRC; 2008). Per il bioetanolo si è ipotizzato un fattore di conversio-ne compreso tra 0,30 e 0,52 mila ettari per ktoe mentre per il biodiesel tale range oscilla tra 0,23 e 0,44. Secondo lo studio questi fattori tendono a sottovalutare l’entità dei cambiamenti indiretti in termini di emissioni perché i modelli alla base di tali stime ipotizzano livelli delle rese superiori rispetto a quelli effettivi sulle nuove terre messe a coltura. In conclusione si calcola una domanda addizionale di terra compresa tra 4,7 e 7,9 milioni di ettari cui corrisponderebbero 50-83 milioni di tonnellate di CO2 eq di emissioni che vanno sottratte al beneficio - in termini di riduzione delle emissioni – derivante dall’utilizzazione dei biocarburanti per avere l’effetto netto che secondo lo studio verrebbe annullato. Per poter fare un confron-to in termini di dimensione di queste emissioni addizionali, lo studio ricorda che esse equivalgono ben al 18% delle emissioni generate dal settore agricolo nel 2007 o all’8% di quelle del settore dei trasporti nello stesso anno.

Anche se i parametri e le ipotesi utilizzate nelle stime richiedono maggiori approfondimenti, è indubbio che il tema dell’impatto degli obblighi di miscelazione dei biocarburanti sull’uso del suolo sia rilevante e fortemente condizionato dagli

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sviluppi tecnologici del settore e l’utilizzazione su larga scala di tecnologie di se-conda e terza generazione.

Tabella 9.2 - Maggiore utilizzazione biofuel in seguito all’applicazione della Red tra il 2008 e il 2020

Aumento uso

bioetanolo biodiesel biofuel

UK 1640 1764 3403

Spagna 255 2380 2635

Germania 396 1963 2360

Italia 442 972 1414

Polonia 287 895 1182

Francia 160 916 1076

Belgio 79 484 563

Grecia 414 136 550

R. Ceca 66 396 462

Irlanda 121 304 425

Paesi Bassi 143 252 394

Svezia 250 123 373

Romania 140 228 366

Portogallo 27 313 340

Ungheria 257 62 319

Finlandia 26 280 306

Bulgaria 42 150 192

Liussemburgo 22 150 172

Slovenia 17 154 171

Danimarca -5 130 125

Lituania 20 85 106

Austria 25 79 104

Estonia 37 48 85

Slovacchia 43 22 65

Lettonia 0 11 11

Malta 6 3 9

Cipro 0 -14 -14

Totale 4910 12286 17195

Fonte: IEEP, 2010

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Infine, uno studio finanziato dall’UE (Atlass, 2010) ha recentemente stimato l’im-patto della RED attraverso un modello di equilibrio economico generale e ridimensiona-to gli effetti negativi degli ILUC. Il modello ha analizzato gli effetti degli scenari costituiti dagli obblighi di miscelazione e dalla liberalizzazione commerciale. I risultati evidenzia-no che le maggiori variazioni di superficie si avrebbero in Brasile (+0,54 e + 0,77% nei due scenari) per effetto dell’aumento della domanda di etanolo e di semi oleosi (soia) da un lato, e dell’elasticità elevata nella disponibilità di terra in questo paese dall’altro. Il modello, stimato a livello di zone agro-ecologiche, mostra che le nuove superfici non deriverebbero dalle foreste bensì dalle aree a pascolo e savana del sud est del pae-se. Altre regioni che sarebbero interessate dai cambiamenti sono l’UE, la CSI, il resto dell’America Latina, Indonesia e Malesia. In queste regioni, a causa della minore elasti-cità di disponibilità della terra, l’effetto sarebbe comunque limitato. Il modello scompone inoltre l’aumento della produzione tra incremento della superficie e delle rese. I risultati si differenziano in relazione ai prodotti: nel caso della colza l’aumento delle rese per una maggiore intensivizzazione incide per un terzo mentre nel caso del frumento l’aumento della produzione è ottenuto esclusivamente attraverso un uso più intensivo dei fattori ivi compresi i fertilizzanti. Tradotti in termini di emissioni questi risultati indicherebbero un aumento nell’ordine di 107-118 milioni di tonnellate di CO2 eq. La liberalizzazione commerciale consentirebbe all’UE di tagliare le proprie emissioni ma aumenterebbero quelle di Brasile e CSI. Il bilancio finale sarebbe comunque largamente positivo (- 21mi-lioni di tonnellate per anno nello scenario con liberalizzazione).

Considerando le singole colture, il modello calcola le più efficienti in termini di riduzione delle emissioni, che risultano essere la canna da zucchero per l’etanolo e l’olio di palma per il biodiesel, quest’ultimo sia per l’alta resa in olio che per la produzione di sottoprodotti.

Le stime effettuate con il modello consentono, infine, di evidenziare che all’au-mentare della percentuale di miscelazione obbligatoria il risparmio in termini di emis-sioni si riduce poiché entrano in produzione colture meno efficienti, ovvero la produzione interna di etanolo.

Anche negli Stati Uniti, sia lo standard federale sui biocarburanti (RFS2) che quel-lo californiano (California low carbon fuel standard) hanno proposto valori di default dif-ferenti riguardo al risparmio di emissioni di GHG, in relazione al conteggio o meno degli ILUC. Data la complessità dell’argomento e l’assenza di una metodologia consolidata nel RFS2 è prevista la revisione dei valori di default nei prossimi anni.

Rimane comunque aperta anche la questione relativa a come debbano essere considerati quegli effetti che avvengono al di fuori della giurisdizione della politica, cioè al di fuori dei confini nazionali. Il fatto che, come è stato evidenziato dagli studi che hanno

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messo a confronto i modelli utilizzati nella stima degli ILUC, i risultati siano fortemente influenzati dall’incertezza dei dati, dalle assunzioni dei modelli e dalle ipotesi di scenario, rende difficile sostenere che possa essere un singolo valore da attribuire al fattore ILUC, tale da poter costituire una base solida per decisioni politiche. La questione dell’incer-tezza, come si è già discusso, diventa particolarmente problematica quando si entra nel campo delle dispute commerciali.

Anche come risposta a questo tipo di problematiche sia la RED sia l’RFS cercano di stimolare lo sviluppo di tecnologie a basso rischio di ILUC come i biocarburanti di seconda e terza generazione. Un minor rischio di ILUC si ha anche quando viene au-mentata la produttività dei sistemi esistenti o quando si utilizzano terreni, ad esempio contaminati, non idonei alla produzione agricola.

9.2 Prospettive dei biocarburanti di seconda generazione

Il crescente criticismo nei confronti dei biocarburanti di prima generazione, determinato sia dalla competizione food-fuel, sia dalla necessità di trovare tecno-logie più efficienti dal punto di vista della riduzione delle emissioni, ha determi-nato un crescente interesse – sia a livello della ricerca che delle politiche – verso i cosiddetti carburanti di seconda generazione. Con questo termine ci si riferisce ai biocarburanti prodotti da cellulosa, emicellulosa o lignina. La conversione di queste sostanze in biocarburanti avviene secondo due principali modalità tecnolo-giche: per via biochimica con un processo che sfrutta l’idrolisi enzimatica del ma-teriale ligneo cellulosico ad opera di enzimi che trasformano la lignina in zuccheri o per via termochimica in cui la materia prima viene gassificata ad alta tempera-tura producendo un gas sintetico che viene poi trasformato in carburante (tab 9.3).

Tabella 9.3 - Classificazione dei biocarburanti di seconda generazione da ligneo-cellulosa

Categoria di biocarburante Biocarburante specifico Processo produttivo

Bioetanolo Etanolo da cellulosa Idrolisi e fermentazione enzimatica

Biocarburante sintetico

BTL Biodiesel Fischer- TropschBiometanoloAlcol pesanti (biobutanolo)

Gasificazione e sintesi

Metano Gas naturale bio-sintetico Gasificazione e sintesi

Bioidrogeno Idrogeno Gasificazione e sintesi processi biologici

Fonte: IEA, 2010

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La materia prima per la produzione di biocarburanti di seconda generazione – biomassa ligneo-cellulosica – può derivare da coltivazioni dedicate o da residui. Le coltivazioni includono specie arboree come il pioppo, il salice, la robinia, l’eucalipto e specie erbacee quali miscanthus, switchgrass, sorgo. Vantaggi potenziali di queste colture sono l’apporto in sostanza organica del suolo e il contributo alla riduzione dell’erosione nonché la possibilità di essere coltivate su suoli degradati. Per contro alcune richiedono significativi apporti di acqua mentre altre possono essere inva-sive a scapito delle colture native e quindi avere un impatto negativo in termini di biodiversità. Così come per la biomassa di prima generazione, nel caso di colture dedicate vanno considerato gli effetti indiretti sull’uso dei suoli.

I residui sono classificati in primari quando derivano direttamente dall’attività agricola o forestale, secondari quando costituiscono il sottoprodotto dell’attività di trasformazione e terziari quando derivano dal consumo finale come i residui solidi urbani. Trattandosi di residui non competono con le produzioni agricole, eccezion fatta per quelli che sono utilizzati anche per l’alimentazione del bestiame. La rac-colta dei residui forestali può contribuire a rendere più sostenibile dal punto di vista economico e ambientale la gestione dei boschi. L’utilizzazione dei residui a scopo energetico non riguarda solo la produzione di biocarburanti essendo in competizione con l’utilizzazione alternativa per la produzione di calore ed elettricità. Considerando che la bruciatura dei residui delle coltivazioni è stata vietata per motivi ambientali, la loro raccolta funzionale all’utilizzazione energetica compensa parzialmente il costo della loro rimozione dal campo. Anche nel caso dei residui delle coltivazioni, a causa della bassa densità, il costo di trasporto rimane elevato.

Dal punto di vista delle politiche, la maggiore domanda di biocarburanti di seconda generazione deriva dall’RFS degli Stati Uniti in base al quale è richiesto che, nel 2022, si raggiunga un consumo di 60,6 miliardi di litri l’anno. Gli Stati Uniti hanno però considerato anche l’etanolo prodotto dalla canna da zucchero in Brasile tra i biocarburanti avanzati facilitando in questo modo il raggiungimento dell’obiettivo. La direttiva europea, invece, non ha fissato un target quantitativo, ma fornisce un incentivo indiretto quando stabilisce che i biocarburanti di seconda generazione ven-gano contabilizzati due volte rispetto all’obiettivo di miscelazione.Secondo gli ultimi dati della Commissione Europea (CE, 2011) nel 2009 sono stati consumati nell’UE 810 ktoe di biodiesel prodotto da oli di scarto e 114 ktoe prodotti da materiale ligne-ocellulosico, pari al 9% della produzione totale di biofuel dell’UE. Come si è visto in precedenza, i paesi membri dell’Unione prevedono l’utilizzazione di 1239 ktoe di bio-diesel di nuova generazione a fronte di 583 ktoe di etanolo da ligneocellulosa, stando a quanto dichiarato nei piani di azione nazionali.

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Ad oggi attuale i biocarburanti di seconda generazione non sono ancora prodotti commercialmente su larga scala ma numerose attività di ricerca e pro-getti pilota sono in corso in Nord America, Europa, Brasile, Cina, India e Tailandia. Secondo le stime dell’IEA (2010), allo stato attuale dal 10% dei residui agricoli e forestali potrebbero essere prodotti biocarburanti di seconda generazione tali da soddisfare il 4,2 – 6% della domanda corrente di carburanti nel settore dei tra-sporti. Nella tabella 9.4 è descritto in modo sintetico lo stato di avanzamento delle tecnologie per la produzione dei principali biocarburanti.

Tabella 9.4 - Stato di avanzamento delle tecnologie per la produzione di biocarburanti

Avanzati Convenzionali

Stato avanzamento

Biocarburante

Ricerca di base

progetti dimostrativi

prima commercializzazione

commerciale

EtanoloEtanolo da cellulosa

Etanolo da canna da zucchero e da cereali

Biodiesel da microalghe BtL diesel Oli vegetali idro-trattatida transesterifica-zione

Altri biocarburanti o additivi

Nuovi (es. furanici)Biobutanolo, DME, fuel basati su pirolisi

Metanolo

Biometano Bio SGBiogas da digestione anaerobica

Idrogenogassificazione senza reforming e altre tecnologie

reforming del biogas

Fonte: IEA, 2011

Nel definire il potenziale produttivo di biomassa per la produzione di biocar-burante di seconda generazione è necessario tener conto di considerazioni rela-tive alla sostenibilità economica e ambientale di tali produzioni e quindi di fattori che includono la resa in etanolo, la disponibilità locale, l’impatto ambientale, la competizione con le produzioni agricole, i costi di trasporto. La tabella 9.5 riporta le rese annuali in etanolo calcolate sulla base dei dati sulle rese forniti dall’USDA (Cheng, Timilsina, 2010). Le rese più alte vengono raggiunte dalle colture erbacee come switchgrass e mischantus. Le rese sarebbero inferiori a quelle illustrate se tali colture fossero coltivate su terreni marginali con un minore utilizzo di acqua

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e fertilizzanti. Uno svantaggio rispetto alle colture legnose è la bassa densità che porta a un aumento dei costi di trasporto.

Tabella 9.5 - Rese in etanolo per tonnellata di sostanza secca e per ettaro della materia prima lignocellulosica

Materia primaetanolo/sostanza

secca

lt/tonn

sostanza secca/ettaro

tonn/ha/annoetanolo/ettaro

Legnosapioppo 360 2-2,6 495

pino 345 1,2 – 1,6 483

Erbacea

switchgrass 310 2,6 - 6 1302

miscanto 305 2,6 - 6 1281

gramigna 300 2,6 - 4 960

Residui agricoli

paglia di mais 345 1,2 -2 552

paglia di grano 333 0,4 – 1,2 266

paglia di riso 335 1,2 – 1,6 469

Fonte: USDA

Affinché la produzione avvenga a costi competitivi, occorrono cospicui inve-stimenti in infrastrutture che, a loro volta, richiedono approvvigionamenti costanti di rilevanti quantità di biomassa. La logistica si presenta quindi come un fattore vitale ma al tempo stesso problematico laddove la proprietà fondiaria è frammen-tata. I costi operativi sono difficili da stabilire data l’assenza di mercati ben svilup-pati. Gli impianti industriali di trasformazione della biomassa ligneo-cellulosica ri-chiedono investimenti maggiori rispetto a quelli per la produzione di biocarburanti di prima generazione. I costi di investimento per un impianto da 50-150 Ml/anno sono stimati (IEA, 2009) nell’ordine di 125-250 milioni di dollari, circa dieci vol-te un impianto di prima generazione della stessa capacità. Differenze sostanziali nei costi si riscontrano riguardo alla complessità dell’impianto e alla efficienza di conversione. Riguardo al costo della biomassa si assume che questo cresca con la scala dell’impianto a causa dei maggiori oneri derivanti dal trasporto e dalla logistica. I costi sono anche influenzati dal tipo di materia prima in relazione alla sua densità e grado di idratazione. La competitività economica nei confronti dei combustibili fossili è, ovviamente, determinata dal prezzo del petrolio e, secondo i calcoli dell’IEA, al prezzo di 60 dollari barile il costo di produzione dei biocarburanti di seconda generazione è più alto sia del prezzo del costo della benzina (2,1:1) che dell’etanolo di prima generazione anche se inferiore al biodiesel prodotto dalla

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colza. L’IEA stima che il costo di produzione dell’etanolo da ligneo - cellulosa do-vrebbe eguagliare quello dell’etanolo da canna da zucchero nel 2030.

Un altro importante segmento della ricerca su biocarburanti di nuova gene-razione riguarda le alghe. Queste producono circa 15 volte la quantità di olio per unità di superficie rispetto alle colture tradizionali e possono crescere anche in acque salate o contaminate. Hanno una crescita molto rapida che aumenta all’au-mentare della disponibilità di anidride carbonica, consentendo un’elevata riduzio-ne delle emissioni. Allo stato attuale, tuttavia, l’estrazione dell’olio dalle alghe è ancora molto costosa.

La maggiore complessità tecnologica dei biocarburanti di nuova gene-razione fa sì che la ricerca sia stia muovendo su un tracciato analogo a quello delle biotecnologie con una crescente attenzione alla protezione della proprietà intellettuale e un forte coinvolgimento del settore privato. Negli Usa nel periodo 2002-2007, grazie ad un enorme sforzo di ricerca da parte del settore pubblico e privato, sono stati registrati 2796 brevetti. Anche in Europa lo sviluppo dei brevetti nel settore delle energie rinnovabili e delle tecnologie per il risparmio energetico dei veicoli si è evoluto a un tasso superiore rispetto al numero totale dei brevetti.

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Capitolo X

concLUsioni

Per ridurre la dipendenza dal petrolio e, al tempo stesso, diminuire il livello di emissioni di gas ad effetto serra nel settore dei trasporti, l’Unione Europea – così come molti altri paesi tra cui soprattutto gli Stati Uniti – ha stabilito un ambizioso obiettivo che prevede l’utilizzazione entro il 2020 del 10% di biocarburanti nel settore dei trasporti.

Alla miscelazione obbligatoria, nell’Ue come in altri paesi, si affiancano al-tri strumenti che ricadono nell’ambito della politica energetica, fiscale e agricola che stanno contribuendo a modificare l’assetto della produzione, del consumo e del commercio internazionale di biocarburanti. Dal quadro delineato in questo rapporto emerge che tali strumenti non agiscono in modo del tutto coerente. Le ragioni di ciò vanno ricercate nella complessità di questo settore che è caratterizzato dalla separazione tra i luoghi di produzione e di consumo, i primi concentrati prevalente-mente nell’Unione Europea e negli Stati Uniti, i secondi nell’America Latina e in altri paesi in via di sviluppo del sud est asiatico; dalla numerosità degli attori legata alla complessità della filiera che va dalle compagnie petrolifere e dall’industria automo-bilistica ai settori dell’industria della distillazione e della trasformazione degli oli vegetali, fino agli agricoltori produttori della materia prima; alla complessità degli scenari tecnologici che lasciano intravedere un futuro basato su nuove tecnologie e a maggiore efficienza energetica e ambientale ma con orizzonti temporali e costi di produzione ancora non definiti.

La produzione europea di biodiesel ha superato le 9000 mila tonnellate a cui se ne aggiungono oltre 3500 mila di etanolo ed è fortemente concentrata in tre paesi, Germania, Francia e Spagna. La capacità produttiva installata ammonta, nell’UE a 21 milioni di tonnellate per il biodiesel e 7 milioni di litri per l’etanolo ma risulta for-temente sottoutilizzata. Il basso livello di utilizzazione degli impianti è determinato da tre ordini di fattori che sono stati analizzati nel rapporto: la concorrenza delle importazioni che in alcuni casi sembrano essere sostenute da sussidi all’esporta-zione attualmente oggetto di controversie, la non stabilità del quadro normativo e, in particolare, degli incentivi fiscali e, infine, la decisione di alcuni paesi di ridurre

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il proprio tasso obiettivo di miscelazione originariamente fissato a livelli superiori rispetto a quello della direttiva europea.

Dall’analisi svolta nel rapporto emerge che due paesi, Germania e Francia, detengono oltre il 50% dei consumi di biocarburante comunitari a fronte di una quota del 30% sui consumi complessivi di carburanti nel settore dei trasporti nell’UE. In particolare questi due paesi hanno quote decisamente più elevate di altri paesi come il Regno Unito, l’Italia e la Spagna con quote comparabili di consumi di carburanti in termini assoluti. Tali differenze sono in parte dovute a diversi approcci adottati nelle politiche dai singoli paesi, pur nel quadro comune costituito dalla regolamentazione europea. Complessivamente è stato possibile misurare in circa 3600 milioni di euro per l’UE l’entità del sostegno, erogato sotto forma di agevolazione fiscale, e che ri-sulta particolarmente elevato in termini unitari nel Regno Unito e in Francia mentre l’Italia si colloca all’ultimo posto.

La rassegna degli studi prodotti dai maggiori centri di ricerca a livello inter-nazionale, per analizzare l’impatto delle politiche adottate per la promozione della produzione e del consumo di biocarburanti consente di concludere che, nonostante le diversità negli approcci e nelle assunzioni di base, i modelli concordano sostan-zialmente sugli effetti delle politiche adottate nel settore dei biocarburanti nei prin-cipali paesi, evidenziandone la stretta correlazione con il settore agricolo. Gli effetti previsti per il prossimo futuro possono essere riassunti nei seguenti punti:

• forte aumento della produzione di etanolo e biodiesel nell’UE;• conferma della posizione dell’UE come esportatore netto di grano anche se le

esportazioni diminuiscono;• impatto limitato sulla zootecnia;• aumento dei prezzi mondiali dei biocarburanti per effetto della maggiore do-

manda europea;• aumento dei prezzi mondiali relativamente maggiore per il biodiesel rispetto

all’etanolo;• rafforzamento del ruolo del Brasile e come paese esportatore di etanolo;• rafforzamento del peso degli Stati Uniti come paese esportatore di biodiesel;• significativi cambiamenti nella distribuzione dell’area a cereali nell’UE che

si dislocherebbe dall’Europa centrale verso le regioni nord-orientali, nord-occidentale e verso le regioni meridionali.La crescita a livello internazionale della produzione e del commercio di bio-

carburanti ha stimolato un acceso dibattito sulla loro sostenibilità a livello am-bientale e sociale. In particolare, la sostenibilità ambientale riguarda, da un lato, la valutazione dell’effetto della sostituzione del combustibile fossile con il biocar-

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burante in termini di risparmio energetico e riduzione delle emissioni e, dall’altro, l’effetto ambientale del processo produttivo della materia prima. La competizio-ne tra produzioni alimentari ed energetiche è invece alla base della problema-tica concernente la sostenibilità sociale della produzione di biocarburanti. Nel rapporto si è proceduto ad una rassegna delle più importanti iniziative in atto allo scopo di definire ed attuare sistemi di certificazione relativi alla sostenibilità e che riguardano sistemi pubblici, privati e misti. Tali sistemi sono una delle possibili risposte con cui imprese e policy makers sopperiscono ai fallimenti del mercato rappresentati dalla presenza di esternalità negative – problemi ambientali o socia-li legati al processo di produzione – e di asimmetria informativa cioè l’impossibilità per l’utilizzatore finale di avere direttamente informazioni in proposito. Se da un lato lo sviluppo di un sistema di certificazione per i biocarburanti è un passo im-portante nella direzione della creazione di un commercio sostenibile di biomassa, dall’altro esso s’intreccia con il dibattito sugli effetti sul commercio internazionale di tali standard e alla creazione di barriere non tariffarie, in virtù soprattutto della capacità o meno dei paesi in via di sviluppo di partecipare alla loro definizione e/o adeguarsi alla loro implementazione. Relativamente alla direttiva europea, si è evidenziato nel rapporto come la sua compatibilità con le regole del WTO, sia lega-ta all’evidenza scientifica a supporto dei criteri di sostenibilità adottati. In questo senso, la maggiore debolezza sembrerebbe riguardare le metodologie per la valu-tazione della riduzione delle emissioni, che facendo riferimento a valori stimati, ri-sulta sensibile ai dati utilizzati e alle ipotesi assunte nella costruzione dei modelli. La minaccia di azioni legali nell’ambito del WTO è già stata sollevata da Indonesia e Malesia con riferimento ai valori utilizzati nella direttiva. L’armonizzazione dei sistemi di certificazione della biomassa è quindi un importante questione sul tap-peto, onde consentire che non si creino barriere commerciali e che la frammen-tazione dei mercati non crei costi addizionali per i produttori e i consumatori. La certificazione di sostenibilità può anche diventare una chiave per i produttori per l’accesso a nuovi mercati.

Infine il rapporto ha analizzato altre due questioni emergenti e che saranno decisive per il futuro del settore. La prima riguarda gli effetti indiretti del cambia-mento nell’uso dei suoli indotta dalla coltivazione della materia prima per la produ-zione di biocarburanti. L’analisi dei Piani Nazionali di Azione per l’Energia Rinnova-bile fa prevedere un’utilizzazione di biocarburanti nel 2020 di circa 30 Mtep pari al 9,6% del consumo di energia previsto nel 2020, con un incremento considerevole rispetto ai livelli attuali, e per il 92%, fornita da biocarburanti di prima generazione, provenienti per circa il 50% in media da importazioni. Studi specifici evidenziano che

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le maggiori variazioni di superficie si avrebbero in Brasile per effetto sia dell’aumen-to della domanda di etanolo e di semi oleosi (soia) che dell’elasticità elevata nella disponibilità di terra in questo paese. Le nuove superfici non deriverebbero dalle foreste bensì dalle aree a pascolo e savana del sud est del paese. Altre regioni che sarebbero interessate dai cambiamenti sono l’UE, la CSI, il resto dell’America Latina, Indonesia e Malesia dove, a causa della minore elasticità di disponibilità della ter-ra, l’effetto sarebbe comunque limitato. Un altro risultato importante è il fatto che, all’aumentare della percentuale di miscelazione obbligatoria, il risparmio in termini di emissioni si riduce poiché entrano in produzione colture meno efficienti.

Secondo lo scenario tracciato dall’IEA (2011), i biocarburanti potrebbero con-tribuire in modo sostanziale alla riduzione delle emissioni aumentando la propria quota sull’energia utilizzata nei trasporti dall’attuale 2% al 27% nel 2050. In par-ticolare, dovrebbe aumentare soprattutto la sostituzione del gasolio e del kerose-ne con un risparmio di 2,1 Gt di anidride carbonica. Per raggiungere tali obiettivi è necessario aumentare l’efficienza della conversione di biocarburanti tradizionali e rendere disponibili su larga scala quelli di nuova generazione. Inoltre, le politiche dovrebbero incentivare i biocarburanti più efficienti sotto il profilo della riduzione delle emissioni. Muovendosi in questa direzione, gli Stati Uniti hanno stabilito che il consumo di biocarburanti di seconda generazione raggiunga nel 2022 i 60,6 miliardi di litri l’anno mentre l’Ue non ha fissato un target quantitativo ma fornito un incentivo indiretto, stabilendo che i biocarburanti di seconda generazione sono contabilizza-ti due volte rispetto all’obiettivo di miscelazione. Ulteriori spinte potrebbero veni-re qualora gli incentivi finanziari fossero legato all’effettivo risparmio in termini di emissioni.Allo stato attuale, però, i biocarburanti di seconda generazione non sono ancora prodotti commercialmente su larga scala ma numerose attività di ricerca e progetti pilota sono in corso in Nord America, Europa, Brasile, Cina, India e Tailandia. Affinché la produzione avvenga a costi competitivi, occorrono cospicui investimenti in infrastrutture che, a loro volta, richiedono approvvigionamenti costanti di rilevanti quantità di biomassa. La logistica si presenta quindi come un fattore vitale ma al tempo stesso problematico laddove la proprietà fondiaria è frammentata mentre i costi operativi sono difficili da stabilire in assenza di mercati ben sviluppati.

Fondamentale rimane il ruolo della ricerca che dovrebbe riguardare l’intera filiera produttiva, dal miglioramento delle attuali colture allo sviluppo di nuove, dal trasporto e la conversione all’utilizzazione finale. Lo sfruttamento dei residui assu-me un’importanza vitale per il settore al fine di accrescere l’efficienza nell’uso della biomassa e ridurre la competizione nell’uso del suolo con l’agricoltura e le foreste.

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