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SOMMARIO: Lettera Arcivescovo 2 Il Papa ai giovani di Genova 3 L’adolescenza dei diaconi 4 Foligno Assisi 2017 6 Notizie e comunicazioni 8 Parla chiarozzo 7 FOGLIO DI COLLEGAMENTO FRA I DIACONI, I CANDIDATI E GLI ASPIRANTI Diocesi di Milano Camminiamo Insieme LUGLIO 2017 AnnoXXI numero 4 11 LUGLIO, S. BENEDETTO abate, PATRONO D’EUROPA Carissimi, siamo ormai nel pieno dell’estate, stagione che ci vede impegnati in di- versi modi, ma nello stes- so tempo utile per una sosta: ritemprare le for- ze, passare più ore con la famiglia, pregare “senza fretta”, curare le relazio- ni in genere, dedicare qualche momento a lettu- re arricchenti e stimolan- ti… Un gruppetto di noi ha vissuto gli esercizi spiri- tuali dal 29 giugno al 2 luglio u.s. con il rettore: abbiamo ricordato tutti e ciascuno, a cominciare dagli ammalati special- mente presso la tomba del Poverello d’Assisi. Ogni zona era rappresen- tata, pertanto a chi lo desidera sarà possibile una serena e fraterna comunicazione orale, mentre attendiamo che le varie meditazioni siano messe a disposizione di tutti. Il prossimo incontro sarà la mattina di sabato 14 ottobre p.v., quando a Seveso faremo memoria dei 30 anni trascorsi dal ripristino ufficiale del diaconato in diocesi Serene vacanze Andrea diacono Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docil- mente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l'ignavia della disobbedienza. Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza per militare sotto il vero re, Cri- sto Signore. ( Inizio del prologo della Regola) Grazie, vescovo Angelo, benvenuto, anzi ben ritrovato, vescovo Mario. I diaconi ambrosiani

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S O M M A R I O : Lettera Arcivescovo 2 Il Papa ai giovani di Genova 3 L’adolescenza dei diaconi 4 Foligno Assisi 2017 6 Notizie e comunicazioni 8 Parla chiarozzo 7 FOGLIO DI COLLEGAMENTO FRA I DIACONI, I CANDIDATI E GLI ASPIRANTI Diocesi di Milano

Camminiamo Insieme L U G L I O 2 0 1 7 A n n o X X I n u m e r o 4 1 1 L U G L I O , S . B E N E D E T T O a b a t e , P A T R O N O D ’ E U R O P A Carissimi, siamo ormai nel pieno dell’estate, stagione che ci vede impegnati in di-versi modi, ma nello stes-so tempo utile per una sosta: ritemprare le for-ze, passare più ore con la famiglia, pregare “senza fretta”, curare le relazio-ni in genere, dedicare qualche momento a lettu-re arricchenti e stimolan-ti… Un gruppetto di noi ha vissuto gli esercizi spiri-tuali dal 29 giugno al 2 luglio u.s. con il rettore: abbiamo ricordato tutti e ciascuno, a cominciare dagli ammalati special-mente presso la tomba del Poverello d’Assisi. Ogni zona era rappresen-tata, pertanto a chi lo desidera sarà possibile una serena e fraterna comunicazione orale, mentre attendiamo che le varie meditazioni siano messe a disposizione di tutti. Il prossimo incontro sarà la mattina di sabato 14 ottobre p.v., quando a Seveso faremo memoria dei 30 anni trascorsi dal ripristino ufficiale del diaconato in diocesi Serene vacanze Andrea diacono Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del maestro e apri docil-mente il tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno, in modo che tu possa tornare attraverso la solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei allontanato per l'ignavia della disobbedienza. Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu sia, che, avendo deciso di rinunciare alla volontà propria, impugni le fortissime e valorose armi dell'obbedienza per militare sotto il vero re, Cri-sto Signore. ( Inizio del prologo della Regola) Grazie, vescovo Angelo, benvenuto, anzi ben ritrovato, vescovo Mario. I diaconi ambrosiani

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Ci prepariamo all’incontro di ottobre pregando con le parole del vescovo che ha voluto il ripristino del diaconato Alla Tua Mensa Ma Tu stai alla mia porta Se io, Signore, tendo l'orecchio e imparo a discernere i segni dei tempi, distintamente odo i segnali della tua rassicurante presenza alla mia porta. E quando ti apro e ti accolgo come ospite gradito nella mia casa, il tempo che passiamo insieme mi rinfranca. Alla tua Mensa divido con te il pane della tenerezza e della forza, il vino della letizia e del sacrificio, la parola della sapienza e della promessa, la preghiera del ringraziamento e dell'abbandono nelle mani del Padre. E ritorno alla fatica del vivere con indistruttibile pace. Il tempo che è passato con te, sia che mangiamo sia che beviamo, è sottratto alla morte. Adesso, anche se è lei a bussare, io so che sarai Tu ad entrare: il tempo della morte è finito. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo per esplorare, danzando, le iridescenti tracce della Sapienza dei mondi, e infiniti sguardi d'intesa per assaporarne la Bellezza. DALLA LETTERA AI FEDELI A CONCLUSIONE DELLA VISITA PASTORALE FERILE Milano, 11 giugno 2017 Carissime e carissimi, con questa lettera desidero rag-giungere tutti i battezzati, le donne e gli uomini delle reli-gioni e di buona volontà, per esprimere la mia gratitudine per il dono della Visita Pasto-rale Feriale giunta ormai alla sua conclusione… La venuta tra noi del Santo Padre è stata, infatti, un richia-mo così forte da rendere visi-vamente evidente che la no-stra Chiesa è ancora una Chiesa di popolo... E’ inutile insistere troppo sull’analisi degli effetti della secolarizza-zione su cui ci siamo soffer-mati in tante occasioni. Più utile, anzi necessario, è domandarci – con ancora negli occhi il popolo della Santa Messa nel parco di Monza, l’incontro con i ragazzi a San Siro, l’abbraccio al Santo Pa-dre degli abitanti delle Case bianche e dei detenuti di San Vittore, e soprattutto la folla che ha accompagnato la vettu-ra del Papa lungo tutti i 99 km dei suoi spostamenti – che responsabilità ne viene per noi? Come coinvolgere in que-sta vita di popolo i tantissimi fratelli e sorelle battezzati che hanno un po’ perso la via di casa? Come proporre con semplicità in tutti gli ambienti dell’umana esistenza la bellez-za dell’incontro con Gesù e della vita che ne scaturisce? Come rivitalizzare le nostre comunità cristiane di parroc-chia e di ambiente perché, con il Maestro, si possa ripetere con gusto e con semplicità a qualunque nostro fratello «vieni e vedi»? Come comuni-care ai ragazzi e ai giovani il dono della fede, in tutta la sua bellezza e “con-venienza”? In una parola: se il nostro è, nelle sue solidi radici, un cristianesi-mo di popolo, allora è per tutti. Non dobbiamo più racchiuder-ci tristi in troppi piagnistei sul cambiamento epocale, né osti-narci nell’esasperare opinioni diverse rischiando in tal modo di far prevalere la divisione sulla comunione. Penso qui alla comprensibile fatica di costruire le comunità pastorali o nell’accogliere gli immigrati che giungono a noi per fuggire dalla guerra e dalla fame. card. Carlo M. Martin Chiesa di popolo

P A G I N A 3 A N N O X X I N U M E R O 4 Ma, con una limpida testimo-nianza, personale e comuni-taria, con gratitudine per il dono di Cristo e della Chiesa, siamo chiamati a lasciarlo trasparire come un invito affa-scinante per quanti quotidia-namente incontriamo… Ho sempre ricevuto il grande dono di una rigenerazione della mia fede e l’approfondir-si in me di una passione, qua-si inattesa, nel vivere il mio compito… Seguendo la testi-monianza di Papa Francesco, la grande tradizione della Chiesa milanese può rinno-varsi ed incarnarsi meglio nella storia personale e socia-le delle donne e degli uomini che abitano le terre ambrosia-ne. Card.. Angelo Scola Spunti dalla riflessione di papa Francesco ai giovani a Genova La missione, l’essere missio-nari ci porta a imparare a guardare. Sentite bene que-sto: imparare a guarda-re. Imparare a guardare con occhi nuovi, perché con la missione gli occhi si rinnova-no. Imparare a guardare la città, la nostra vita, la nostra famiglia, tutto quello che è attorno a noi. L’esperienza missionaria ci apre gli occhi e il cuore: imparare a guardare anche con il cuore. E così, noi smettiamo di essere – per-mettetemi la parola – turisti della vita, per diventare uomi-ni e donne, giovani che ama-no con impegno nella vita. … Intendo guardare la vita con occhi da turista, cioè superfi-cialmente, e fare fotografie per guardarle più avanti…. Quando io vado in missione, non è soltanto la decisio-ne mia, quella che mi fa anda-re. C’è un altro che mi manda, che mi invia a fare la missio-ne. E non si può fare missione senza essere mandato da Ge-sù. E’ Gesù stesso che ti invia, è Gesù che ti spinge alla mis-sione ed è lì accanto a te: è proprio Gesù che lavora nel tuo cuore, cambia il tuo sguardo e ti fa guardare la vita con occhi nuovi; non con occhi da turista. Avete capito?… La missione aiuta anche a guardarci tra noi, negli occhi, e riconoscere che siamo fra-telli tra noi, che non c’è una città e nemmeno una Chiesa dei buoni e una città e una Chiesa dei cattivi. La missione ci aiuta a non essere “catari”. La missione ci purifica dal pensare che c’è una Chiesa dei puri e una degli impuri: tutti siamo peccatori e tutti abbiamo bisogno dell’annun-cio di Cristo, e se io quando annuncio nella missione Gesù Cristo non penso, non sento che lo dico a me stesso, mi stacco dalla persona e io mi credo – posso credermi – pu-ro e l’altro come l’impuro che ha bisogno. La missione ci coinvolge tutti, come popolo di Dio, ci trasforma: ci cambia lo sguardo, ci cambia il modo di andare nella vita, da “turista” a coinvolto, e ci to-glie dalla testa quell’idea che ci sono gruppi, che ci sono nella Chiesa i puri e gli impuri: tutti siamo figli di Dio. Tutti peccatori e tutti con lo Spirito Santo dentro che ha la capaci-tà di farci santi… Tutti noi siamo sporchi. E se Lui mi ha salvato, dico: grazie Signore, perché anch’io posso essere quella persona… Se io non sono finito drogato, per-ché Signore? Per la tua volon-tà. Ma se il Signore mi avesse lasciato la mano, anch’io, tutti [dove saremmo finiti?] E que-sto è l’amore, la grazia, che noi dobbiamo annunciare: Gesù è in quelle persone. Per favore, non aggettivare le persone! Io vado a fare mis-sione con l’amore, la testar-daggine della speranza, per portare un messaggio alla gente con un nome, non con aggettivi. E quante volte la nostra società disprezza e classifica: “No, quello è un ubriaco! No, io non dò l’ele-mosina a questo perché va a comprarsi un bicchiere di vino e non ha un’altra felicità, po-ver uomo, nella vita”; “Eh no,

questo è un drogato”; “Questo, quello, questo, quel-lo…” Mai aggettivare le perso-ne! Mettere l’aggettivo alle persone può farlo soltanto Dio, soltanto il giudizio di Dio. E lo farà: nel Giudizio finale, definitivamente, su ognuno di voi: “Vieni, benedetto dal mio Padre, vai via maledetto…”. Gli aggettivi: lo fa Lui, ma noi non dobbiamo mai aggettiva-re: “questo” e “quello”, “questo, quello”. Io vado alla missione per portare grande amore… Andare in missione è aiutare a uscire dagli isolamenti e fare comunità, fraternità. “Ma quello non mi piace…”. “Quello è così…”. Mai aggetti-vare: Gesù ama tutti. Se io vado in missione devo essere disposto a questo amare tut-ti… Per essere discepolo ci vuole lo stesso cuore di un naviga-tore; orizzonte e coraggio. Se tu non hai orizzonte e sei in-capace di guardarti anche il naso, non sarai mai un buon missionario. Se tu non hai coraggio, mai lo sarai. È la virtù dei navigatori: sanno leggere l’orizzonte, andare, e hanno il coraggio per andare. Pensiamo ai grandi navigatori del XV secolo, tanti sono usciti da qua… Questa è una sfida: è una sfida che credo ci deve portare alla preghiera, e dire al Signore: “Signore, ti chiedo un favore: per favore, non smettere di sfidarmi”. Sfide di orizzonti che richiedono il co-raggio… Sfidare il presente è avere il coraggio di dire: “Ci sono cose che sembrano normali ma non “missionare” senza “aggettivare”

P A G I N A 4 A N N O X X I N U M E R O 4 sono normali”. E voi, questo dovete pensare: non sono co-se volute da Dio e non dovran-no essere volute da noi! E questo dirlo con forza! Questo è Gesù: intempestivo, che rompe i nostri sistemi, i nostri progetti. È Gesù che semina nei nostri cuori l’inquietudine di farci questa domanda. E questo è bello: questo è molto bello!... Finisco con un suggerimento: ogni mattina, una semplice preghiera: “Signore, ti chiedo per favore oggi non tralasciare di sfidarmi. Sì, Gesù, per favo-re, vieni a importunarmi un po’ e dammi il coraggio di poterti rispondere”. L’ADOLESCENZA DEI DIACONI

Scrivo queste righe subito dopo l’incontro di maggio dei diaconi di Zona V dedicato all’intervento del papa in Duomo il 25 marzo scorso e sull’onda dei pensieri che le riflessioni emerse e le testi-monianze ascoltate mi hanno scatenato. In particolare, ho subi-to pensato a quanto detto recente-mente dal cardinale Scola durante i lavori del Consiglio pastorale diocesano dedicato alla visita del papa: “Attenzione perché il liqui-do prende sempre la forma del contenitore”. Intendeva dire, il cardinale, che uno dei maggiori rischi che abbiamo è quello di comprendere le parole del papa partendo dalla nostra sensibilità, dalla nostra esperienza, dal nostro modo di essere. Per esorcizzare un tale rischio, suggeriva il nostro Vescovo, occorre che le parole del papa vengano lette, rilette, meditate. Verità sacrosanta, che richiede uno sforzo analitico e non banale che intendo provare a fare. Dunque, cosa ci ha detto il papa? Innanzitutto che non siamo preti. E che non siamo laici. E che non siamo neppure intermediari tra preti e laici. Con buona pace, finalmente, del cosiddetto mini-stero della soglia. Ma se questa è la definizione per esclusione, quale sarà mai la defi-nizione del diacono per positivi-tà? L’espressione del papa è quel-la di “custodi del servizio”: Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa: il servizio alla Pa-rola, il servizio all’Altare, il ser-vizio ai Poveri. E la vostra mis-sione, la missione del diacono, e il suo contributo consistono in questo: nel ricordare a tutti noi che la fede, nelle sue diverse espressioni – la liturgia comuni-taria, la preghiera personale, le diverse forme di carità – e nei suoi vari stati di vita – laicale, clericale, familiare – possiede un’essenziale dimensione di ser-vizio. Il servizio a Dio e ai fratel-li. E quanta strada c’è da fare in questo senso! Voi siete i custodi del servizio nella Chiesa. Come oramai sappiamo da tem-po, la caratteristica del papa è quella di invitare ad avviare pro-cessi. Questo si caratterizza con espressioni “imperfette”, ovvero espressioni che richiedono pen-siero, riflessione, discernimento. E’ successo lo stesso anche in Duomo a Milano: non vi è una indicazione precisa e determinata di un incarico da ricoprire all’in-terno della Chiesa. Però vi è l’in-dicazione di come qualsiasi inca-rico vada svolto: custodendo il servizio e dimostrando come la fede, in ogni sua espressione nella vita quotidiana, ha come sua di-mensione il servizio. Già, verrebbe da dire, bello. Ma che vuol dire? Come farlo? Qual è il modello? A chi ci riferiamo? E’ noto a tutti che si cresce per imitazione: il figlio guarda i geni-tori o qualcuno che viene scelto per modello. Poi viene la fase della pre adolescenza e dell’ado-lescenza dove per potersi costrui-re occorre prendere le distanze dal quel modello. Ma, verrebbe da chiedersi: l’ado-lescenza dei diaconi è comincia-ta? O siamo ancora assorbiti dall’imitazione dell’altro modello di ministro ordinato che oggi la Chiesa ci propone, il sacerdote? Ascoltando qualche confratello

impegnato in parrocchia il dubbio che questo percorso sia di là da venire è molto forte: nel migliore dei casi i diaconi sono chiamati a sostituire le funzioni di sacerdoti che per prosciugamento vocazio-nale non ci sono più, fino a diven-tare facenti funzioni di parroci o di riferimento parrocchiali. Un’e-sperienza, questa, che è molto più intensa in altre regioni e che pre-lude a un rischio concreto: un giorno serviranno uomini di pro-vata fede che possano anche con-sacrare pane e vino. I primi can-didati saranno proprio quei diaco-ni impegnati già oggi a fare le funzioni del sacerdote. E questa sarà la fine del diaconato. Nel peggiore dei casi, invece, l’attenzione e la lamentela sono focalizzati sugli spazi che il sa-cerdote non concede: attività, omelie, battesimi. Davvero, mi pare che dal modello sacerdotale occorra prendere le distanze rapidamente e in modo radicale, per non creare confusio-ni, innanzitutto a noi stessi. Per non generare dubbi sui fedeli. Per costruire una identità ministeriale che sia autonoma ed evidente a chiunque. In questo senso lo sfor-zo di inviare i diaconi fuori dalle parrocchie è fondamentale, anche se poi occorre fare attenzione a che non vi siano sovrapposizioni con il sacerdote. Può senz’altro esistere una configurazione gerar-chica ma sembra difficile imma-ginare un partenariato sacerdote/diacono in qualsiasi attività di servizio: questo genera confusio-ne e rende vuota l’affermazione del papa sul nostro carisma speci-fico. Forse non è neppure detto che Costruire un’identità ministeriale

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FOLIGNO-ASSISI 29 giugno -2 luglio 2017 questa testimonianza alla dimen-sione del servizio debba necessa-riamente avvenire in contesti già organizzati. Forse si potrebbe anche cominciare a pensare a ipotizzare nuovi e diversi modi con cui la Chiesa si fa presente agli altri attraverso i diaconi. Ma-gari superando anche la questione dell’ambito familiare, dove il rischio è quello di finire come icone di quanti con pazienza sop- portano le suocere, e del lavoro, che è molto cambiato dalle espe-rienze dei preti operai ma sembra che facciamo fatica a rendercene conto. Soprattutto però mi pare che sia davvero arrivato il momento di esercitare in modo più intenso il pensiero sul nostro ministero, avendo il coraggio di prendere in mano anche in modo autonomo lo scambio di riflessioni sul nostro essere diaconi evitando il rischio di frammentazione e isolamenti. Insomma, forse è il momento di entrare nella nostra adolescen-za… Antonio Fatigati diacono

Vorrei cantar quel memorando viaggio di trenta probi diaconi ambrosiani, che, Seveso lasciata, all’arrembaggio raggiunto han l’Umbria ed i suoi dolci piani. Senza modestia cercherò far saggio di ottave come Ariosto a piene mani: se in parte riuscirò nel mio intento, credetemi, sarò molto contento. I nomi tacerò, perché son noti e registrati a norma negli Annali, ove d’ognuno si celebran le doti di fè, d’amor, di speme senza uguali. Dirò solo di Massimo* e dei moti che l’agitar ben presto e furon tali da chiedere, sì, tanta competenza: fortuna volle lui non esser senza. Si parte e per il nostro desinare ci attende l’Abbazia di Vallombrosa: buono il cibo ed anche il meditare fra Mauro a noi dispensa ben che cosa desidero nel profondo indagare, che cosa s’agita dentro e con la sposa capire che cosa sto cercando insieme, unire e non dividere ecco il bene! Ben tredici le mogli “esercitanti”, delizia di tutti oltre il proprio sposo, sorrisi ed allegria con i canti di vario repertorio, anche famoso, liturgico di Dio a gloria e dei santi, insomma tutto davver meraviglioso: era il rettore nel suo cuor plaudente, augurandosi non essere “scadente”.* Torniam, fratelli, a più seri argomenti, che il presule di Foligno volle offrire: servi premurosi, umili e prudenti del popolo di Dio fino a morire, docili, zelanti, fedeli e attenti, al soffio dello Spirito rinverdire: pronti a passar dall’ansia negativa all’amore ver che tutto ravviva! La pioggia lieve dello stesso giorno non impedì di andare al monastero delle Clarisse, di letizia adorno, ove suor Angela Emanuela il vero volto di Francesco e Chiara intorno ci dipinse con far mite e sincero: nel sogno la scala e la brocca, segno a “suggere” di servo amor l’impegno. La sera in silenziosa prece stare alla tomba del Poverello assorti, fu possibile a noi per ringraziare: “Francesco, che, come il Signore porti i segni del suo amore, a ricambiare aiuta noi, servi docili e accorti. Possiamo lodare con te il Creatore, fonte di vita e d’ogni vero amore. Al Sacro Convento, terza giornata, padre Giulio parla di Abramo e Sara, di Debora e di Barak con l’armata, per suscitare una nobile gara reciproca dell’uomo e dell’amata, gara sincera che rende più cara la moglie al marito sì e viceversa, nella ricerca di una vita tersa.

P A G I N A 6 A N N O X X I N U M E R O 4 Di Dio son sempre belle le sorprese, segno efficace del suo grande amore, del Figlio che per noi la vita spese: così gli amici veri con ardore ci aiutano ad amar oltre le attese, a meglio capire ciò che ha valore, così per noi son stati i perugini diaconi, amici e fratelli nei cammini A San Damiano, dove al Poverello Gesù disse: Ripara la mia casa, il padre Giulio parla del fratello: “Vivere insieme nella stessa casa quanto è buono, quanto soave e bello” recita il salmo e ogni vita è invasa di rugiada e di olio profumato, di amore fra le spine conquistato. Per i diaconi è l’ora di tornare con il rettore e le sorelle spose: sorge nel cor desio di ringraziare il Signore, fratelli, per le cose donate con larghezza e poi sognare di vivere per sempre ore armoniose. Il sogno verità può diventare lo dimostran suor Mattea e il buon giullare! A-nonymu –S *l’autista *in scadenza

P A G I N A 7 A N N O X X I N U M E R O 4 Elli1 fu un frate di nostro Ordine, il quale fu valentissimo in predi-cazione, e diceva tanto sottile, tanto sottile2 {1}, che era una maraviglia; più sottile che il filato delle vostre figliuole {2}. E que-sto frate aveva uno fratello oppo-sito a lui, tanto grosso, di quelli grossolani, che era una confusio-ne, tanto era grosso; el quale an-dava a udire le prediche di questo suo fratello. Avvenne che, una volta fra l’altre, avendo udita la predica di questo suo fratello, elli si mise un dì in uno cerchio degli altri frati, e disse: «O voi, fuste voi stamane alla predica del mio fratello, che disse così nobile cosa?» Costoro li dissero: «O che disse?» «O! elli disse le più nobi-li cose che voi udiste mai». «Ma dici di quello che elli disse». E elli: «Disse le più nobili cose di cielo, più che tu l’udisti. Elli dis-se... doh {3}, perché non ci veni-ste voi? Che mai non credo che elli dicesse le più nobili cose!» «Doh, dicci di quello che elli disse» E costui pure: «Doh, voi avete perduta la più bella predica che voi poteste mai udire!». Infi-ne avendo costui detto molte cose in questo modo pure e’ disse: «Elli parlò pure le più alte cose e le più nobili cose che io mai udis-se! Elli parlò tanto alto, che io none intesi3 nulla». Or costui era di quelli, tu mi intendi {4}! Io dico che a voi bisogna dire e pre-dicare la dottrina di Cristo per modo che ognuno la intenda; e però dico: “Declaratio sermonum tuorum”4 . Elli bisogna che il nostro dire sia inteso. Sai come? Dirlo chiarozzo chiarozzo, acciò che chi ode, ne vada contento e illuminato, e none imbarbagliato {5} Analisi del testo {1} diceva tanto sottile, tanto sottile: la ripetizione della locuzione avver-biale rivela con chiarezza che il testo è la fedele trascrizione di un discor-so orale. Lo stesso vale per il successivo tanto grosso… tanto era grosso (r. 5-6). {2} che il filato delle vostre figliuole: è un paragone scherzoso e un po’ ironico, con cui il predicatore si rivolge alla semplice esperienza quotidia-na delle donne che lo ascoltano. {3} doh: tipica esclamazione del dialetto senese, corrispondente a “deh”. Si trova spesso nelle prediche di San Bernardino e di Santa Caterina. {4} tu mi intendi!: ancora una battuta che rivela l’origine parlata del te-sto. S. Bernardino non esita a dialogare con il popolo che ascol-ta le sue prediche per meglio coinvolgerlo. {5} Dirlo chiarozzo chiarozzo...: si tratta di un ammonimento vali-do ancora oggi per quelli che, certamente in malafede e pertanto riprovevoli, si servono delle parole più per ingan-nare e confondere il prossimo che per illuminarlo e guidar-lo. Non è un caso che papa Luciani, Giovanni Paolo I, il Pontefice dei 33 giorni (agosto-settembre 1978) si sia ispi-rato proprio a S. Bernardino per proporre ai giovani stu-denti “Sette regole” da seguire negli studi, esortando altre-sì gli insegnanti a parlare chiarozzo chiarozzo nelle loro attività didattiche San Bernardino da Siena ci dà un prezioso consiglio per l’omelia «Parla chiarozzo chiarozzo»

Verso la festa del 10 agosto Amaseno e il sangue di san Lorenzo Custodita in una chiesa costruita dai cistercensi in provincia di Frosinone, la reliquia, durante la festa di San Lorenzo del 10 agosto, si liquefa assumendo color sangue La parrocchia di santa Maria Assunta in Amaseno (Frosinone) appartiene alla diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino. Il paese di Amaseno, che fino al 1872 si chiamava San Lorenzo, sorge in una bella valle ai piedi dei monti Ausoni e Lepini. La chiesa di Santa Maria possiede un tesoro prezioso e unico che è presente nella Collegiata fin dal 1177, descritto nell’atto di consacrazione. Infatti, oltre le informazioni inerenti l’evento della consacrazione della chiesa c’è una lista di reliquie presenti nella chiesa in quel giorno solenne. Tra queste è menzionata una particolare reliquia definita in latino “de pinguedine s. Laurentii Martyris” e in volgare “delle grassecze de santu Laurentiu martiru”. Si tratta di una fiala in vetro contenente una sostanza all’apparenza di colore bruno allo stato solido. Fino agli inizi del 1600 non si hanno particolari notizie di questa reliquia quando viene notato con stupore che quel prezioso contenuto, nella ricorrenza della festa del santo Martire il 10 agosto, passa spontaneamente dallo stato solido e compatto allo stato liquido. Come ricordano alcuni storici, «uomini di provata fede» (è da pensare che si tratti dell’allora vescovo di Ferentino e del Principe Colonna, feudatario di Amaseno), informarono il papa Paolo V, allora regnante (1605-1621), il quale rimase ammirato dal «portento del Martire» e volle per sé alcune gocce di «questo prodigioso sangue» da conservare tra le altre reliquie dei santi nel sacrario della cappella da lui eretta presso la Basilica di S. Maria Maggiore in Roma. Il fatto prodigioso sicuramente creò notevole interesse tanto che il cardinale Girolamo Colonna (1604-1666), signore di queste terre, fece racchiudere questa preziosa ampolla in un reliquiario d’argento. Molto probabilmente si tratta del magnifico reliquiario attribuito alla scuola del grande artista Gian Lorenzo Bernini, dove attualmente è conservata l’ampolla del sangue del santo. Ogni anno, dunque, nella ricorrenza della festa di San Lorenzo, il 10 agosto, si rinnova puntualmente questo fenomeno prodigioso, in modo spontaneo senza ricorso a movimenti dell’ampolla provocati manualmente. In genere la massa impiega circa nove giorni per raggiungere il massimo grado della liquefazione, fino a raggiungere una fluida consistenza che permette al liquido di muoversi liberamente nell’ampolla se questa viene appena scossa. Allo stato liquido la sostanza appare fluida e trasparente alla luce, cosa impossibile quando è allo stato solido, lasciando chiaramente vedere un deposito sul fondo di terra e cenere, e un pezzo di pelle che galleggia liberamente in esso. Questo fatto prodigioso si è verificato anche in altri periodi dell’anno in particolari occasioni sia nella chiesa di santa Maria Assunta dove è custodita: 1754/1759 in occasione della visita del Vescovo diocesano Pier Paolo Tosi; 3 ottobre 1954 davanti al Vescovo diocesano Tommaso Leonetti; 1 settembre 2001 alla presenza di un pellegrinaggio di San Lorenzello (Bn); sia in occasione di pellegrinaggi della reliquia: 15-21ottobre 1967 a Firenze (il sangue si è liquefatto due volte); 21-28 settembre 1969 a Milano (il sangue rimase sciolto per tutta la settimana). C’è da dire che in questi casi la liquefazione avviene in modo improvviso e spontaneo. Oltre al prodigio annuale della liquefazione c’è da annotare il fatto che lascia maggiormente stupiti ossia che la sommità dell’ampolla di vetro presenta una decisa rottura con la mancanza di una scheggia vitrea dell’orlo. La fiala è chiusa semplicemente da un tappo con della garza, e relativi sigilli in ceralacca. La frattura non impedisce la chiusura ermetica del contenitore permettendo così uno scambio gassoso tra l’esterno e l’interno della fiala, e tuttavia il materiale che è contenuto all’interno non subisce corruzione alcuna. Tenendo conto dell’informazione che fu data a Paolo V da quelle persone di “fede provata” su quel prodigio che avveniva nel Castrum sancti Laurentii, riportata da documenti storici, anche se non si sa esattamente l’anno, si è pensato di scegliere una data intermedia del suo pontificato per ricordare il quarto centenario di quell’evento. Pertanto dal 28 giugno 2014 al giorno 8 settembre 2015 (anniversario della consacrazione della chiesa) il Vescovo ha pensato di indire un anno giubilare speciale che ricordi l’evento e inculchi nei fedeli una maggiore consapevolezza di questo dono prezioso apportatore di grazie e benefici spirituali.

Notizie e Comunicazioni A N N O X X I N U M E R O 4 P A G I N A 8 Bassorilievo ligneo del vesco-vo san Venerio nel coro del Duomo di Milano

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Bassorilievo ligneo del vesco-vo san Venerio nel coro del Duomo di Milano UN CONFRATELLO MI (ci) SCRIVE Caro Andrea, non so se ti ricordi di me: sono un diacono di Venezia anche se di origine siciliana. Ci siamo visti in vari convegni e forse l’ultimo è stato quello di Assisi. Ricevo regolarmente il vostro periodico Camminiamo insieme, di cui ti ringrazio. Per rendere disponibile su tutto il territorio nazionale il mio libro “Gino Cintolo - L’anello mancante tra evoluzione e creazione”, edito con le Grafiche Veneziane, che però non lo distribuiscono, l’ho messo in vendita su Amazon, per cui è reperibile al seguente link: https://www.amazon.it/Lanello-mancante-tra-evoluzione-creazione/dp/8898488076 Ti chiedo la cortesia di condividere, tramite mail e in qualsiasi altro modo, questa comunicazione, adattata come meglio ritieni, con i diaconi e con le persone con cui sei in collegamento, poiché si tratta di un’operazione per niente affatto commerciale (è in vendita con lo sconto del 30%), ma di una ricerca antropologica in un’appassionante sfida che voglio affrontare insieme ai lettori: conciliare creazione divina ed evoluzione biologica, soprattutto per quanto r iguarda l’evoluzione della nostra specie. La contrapposizione tra creazionisti ed evoluzionisti, tra fede e scienza, si innescò subito dopo che Charles Darwin pubblicò nel 1859 la sua teoria sull'evoluzione nel libro L'origine delle specie. Partendo dalla constatazione che l’affermazione evolutiva delle caratteristiche somatiche più umanizzanti non si può spiegare solo a livello biologico, con la selezione naturale e sessuale, si intraprende un cammino di ricerca e scoperta di un nuovo Fattore selezionante, tipicamente umano e divino nello stesso tempo, che si integra con quello biologico, ma anche lo subordina e lo supera. Pertanto creazione ed evoluzione non sono più né in contraddizione né viaggiano in parallelo, ignorandosi, per cui “l’anello mancante non è più una introvabile generazione di individui intermedi tra gli ultimi nostri progenitori animali e i primi umani, ma diventa anello di congiunzione tra evoluzione biologica e creazione divina”. Un libro per chi vuole appassionarsi a scoprire perché ci siamo evoluti così come siamo e non in un altro modo, capendo così un po’ di più quello che siamo. Ma soprattutto un libro che prova come Ragione e Fede concordino nel r itenere l’evoluzione umana come l’attualizzazione storica della creazione divina. Ti ringrazio. Un caro saluto. Gino Cintolo P.S. Al card. Angelo Scola, mio ex patriarca, ne ho già inviato a suo tempo una copia. DIACONI BEATI E SANTI DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI di Lorenzo Bortolin, Benito Cutellè, Luca Del Negro e Stefano Passaggio Sorpresa e gioia: sono i sentimenti che ho provato scorrendo questo libro. Sorpresa, innanzi tutto, per il numero dei diaconi – oltre duecento – che la Chiesa ha già riconosciuto beati e santi; in secondo luogo, sorpresa perché non mi risulta che sinora sia stata compiuta una ricerca così approfondita. Infine gioia, perché queste biografie valorizzano una volta di più la particolare vocazione al diaconato e perché gli autori sono diaconi permanenti della nostra amata diocesi di Torino. La parola «diacono» vuol dire «servo» ed indica la scelta che Gesù stesso ha compiuto nella sua vita terrena: non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti (cfr. Mt 20,28). Non a caso, alcuni beati e santi qui citati hanno scelto di restare diaconi, perché si ritenevano indegni di essere sacerdoti. Nel ringraziare gli autori che hanno realizzato quest’opera, desidero affidare a san Lorenzo, loro patrono, tutti i diaconi oggi in servizio e le future vocazioni al primo grado del sacramento dell’Ordine, non avendo migliore augurio da rivolgere loro di quello che è stato messo a tema in questo libro: la santità. Cesare Nosiglia Arcivescovo di Torino Ecco in Diaconi beati e santi una luminosa schiera di persone che hanno speso nel nome di Gesù Cristo la loro vita per i fratelli nella Chiesa, dall’età apostolica sino ad oggi. Sono lieto che proprio nell’Arcidiocesi di Torino, da sempre attenta al diaconato permanente, sia stato completato questo studio, frutto di una generosa ricerca storica e di una accurata verifica delle fonti, supportato dalla passione degli autori, accomunati ai protagonisti dalla stessa appartenenza a questo ministero ordinato. Mi auguro che la lettura di queste pagine diffonda la conoscenza e il ricordo di coloro che ci hanno preceduto e hanno raggiunto la meta. Lo Spirito consolatore, che «nella loro vita ci offre un esempio, nell’intercessione un aiuto, nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno» (prefazio dei santi), ci colmi di gioia e ci aiuti nel cammino. Don Claudio Baima Rughet Vicario episcopale e Delegato arcivescovile per il diaconato permanente Arcidiocesi di Torino