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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA LE IDEE GENIALI 9 di Carlo Bernardini L’ORIGINALITÀ SCIENTIFICO-FILOSOFICA DI ARCHIMEDE 11 di Christian Vassallo COLPI D’ALA DEL PENSIERO INDUTTIVO 13 di Vittorio Silvestrini INTRICATI EQUILIBRI 15 di Luciano Carbone I DUE GENÎ CHE MISERO FINE AL GENIO 17 di Maurizio Torrini ENRICO FERMI E IL SECOLO BREVE 19 di Renato Musto

Come alla Corte di Federico II · di Renato Musto . Le meraviglie del pensiero induttivo: come indirizzare i giovani verso le sorprese della cultura scientifica. Gli articoli degli

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO

PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA

LE IDEE GENIALI 9di Carlo Bernardini

L’ORIGINALITÀ SCIENTIFICO-FILOSOFICA DI ARCHIMEDE 11di Christian Vassallo

COLPI D’ALA DEL PENSIERO INDUTTIVO 13 di Vittorio Silvestrini

INTRICATI EQUILIBRI 15di Luciano Carbone

I DUE GENÎ CHE MISERO FINE AL GENIO 17di Maurizio Torrini

ENRICO FERMI E IL SECOLO BREVE 19di Renato Musto

Le meraviglie del pensiero induttivo: come indirizzare i giovani verso

le sorprese della cultura scientifica.

Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo

www.comeallacorte.unina.it

Carlo Bernardini

Carlo Bernardini è nato a Lecce il 22 aprile 1930 e si è laureato in

Fisica presso l’Università di Roma il 19 marzo 1952. Ha iniziato poco

dopo a lavorare, sotto la direzione del Professore Giorgio Salvini, nel

gruppo teorico del sincrotrone guidato dal Professore Enrico Persico.

Al completamento del sincrotrone ha partecipato alla progettazione,

realizzazione e messa in opera del primo anello di accumulazione per

elettroni e positroni (AdA, Frascati - Orsay) ideato dal Professore

Bruno Touschek. A completamento del lavoro con AdA (1964) ha

effettuato esperimenti presso il sincrotrone dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’Istituto Nazionale di

Fisica Nucleare, su: Verifica dell’elettrodinamica quantistica, Fotodisintegrazione del Deuterio con fotoni

polarizzati, Scattering di elettroni su nuclei (in collaborazione con Orsay). Ha collaborato all’avvio di un

esperimento di produzione multipla di adroni su ADONE prima di trasferirsi sulla cattedra di Fisica

generale presso l’Università di Napoli (1969). Richiamato a Roma nel 1971 è stato Direttore della locale

sezione dell’INFN, successivamente Preside di Facoltà e membro della giunta esecutiva dell’INFN e, dopo

una breve parentesi parlamentare (VII Legislatura, Senato), direttore del primo corso di dottorato in

Fisica. È attualmente Professore Emerito presso la Facoltà di Scienze MFN dell’Università di Roma, la

Sapienza. In tutto questo periodo si è occupato di problemi vari di fisica teorica e ha scritto, da solo o in

collaborazione, numerosi testi per uso didattico sia scolastico che universitario: Fisica degli atomi e dei

nuclei (1965) (con S. Tamburini), Fisica e strumenti matematici (1979), Lezioni di fisica (1981) (con S.

Tamburini), Fisica del nucleo (1982) (con C. Guaraldo), Che cosa è una legge fisica (1983, II ediz. 2006),

Relatività speciale (1992), Metodi matematici della fisica (1993) (con O.Ragnisco e P.M.Santini), La fisica

nella cultura italiana del ‘900 (1999), Contare e raccontare (2003) con T.DeMauro,Le idee geniali (2005)

con S. Tamburini Fisica vissuta (2006), Prima lezione di fisica (2007), La crisi energetica in Italia e nel

mondo (Dedalo, 2007) (a cura di C.B. e Giorgio Salvini). Dal 1983 è Direttore della rivista Sapere e ha

scritto saggi di sociologia e politica della scienza come L’ingegno e il potere (1992) (con D. Minerva), Idee

per il governo: la ricerca scientifica (1995), La letteratura scientifica (1999). È stato Presidente del

Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della nascita di Enrico Fermi, Presidente della

Commissione consultiva del Comune di Roma per la Città della Scienza, Presidente dell’Associazione

culturale per la promozione dell’Astronomia ‘Eta Carinae’, Presidente della Società italiana per il progresso

delle scienze (SIPS), di cui è ancora Presidente onorario.

COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le idee geniali. Da Archimede a Fermi

LE IDEE GENIALI

Carlo Bernardini

Fisico - Professore Emerito Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’

È possibile farsi una sorpresa da soli?

Regalarsi una cosa imprevista che dà molto

piacere a chi la riceve, noi stessi? Sì è possibile.

Basta avere un’idea geniale. Di questi ‘effetti

sorpresa’ è ricco il pensiero induttivo, quello

tipico della ricerca fenomenologica sulla realtà

naturale. Non è un caso se le emozioni dense di

idee geniali sono disseminate nella storia del

pensiero scientifico, particolarmente in alcune

scienze come la fisica; ma in tutte le scienze c’è

questo momento del bagliore, del lampo mentale

che illumina la soluzione di un problema che ci

arrovella. Non di rado, la genialità confina con la

semplicità: la semplificazione è una scorciatoia

verso la soluzione, la risposta a un interrogativo.

Ma, altre volte, l’illuminazione avviene

per abbandono del contesto locale e per

l’osservazione ingrandita dei fatti: Eratostene

che escogita la misura del raggio terrestre

abbraccia con il suo sguardo umano limitato una

grossa porzione del globo terrestre per

confrontare le ombre dei monoliti illuminati dal

Sole in due punti distanti giornate di cammino;

Newton che confronta il moto lunare con quello

di caduta dei gravi per concludere che sono lo

‘stesso fenomeno’ in condizioni un po’ diverse

abbraccia la Terra e lo spazio intorno ad essa;

De Sitter con il suo paradosso sulla

composizione delle velocità sta guardando astri

lontanissimi. Ma c’è anche la genialità delle

piccole idee: il piccolo Gauss che somma in un

baleno i primi cento numeri, Watt che escogita

un regolatore di velocità, il principio dello

stroboscopio, sono sorprese che chiunque di noi

avrebbe potuto regalarsi.

Oggi, però, le cose non sono più così

semplici: la conoscenza della realtà è cresciuta a

dismisura e rendersi conto, come padre Secchi,

che la composizione di stelle lontane è rivelata

dagli spettri della luce che emettono; o, come

Fermi, che i neutroni lenti sono i più efficaci nel

produrre isotopi nuovi e trasmutazioni; o, come

Einstein, dell’equivalenza massa energia; o,

come Dirac, della possibile esistenza

dell’antimateria, non è più una ‘gratificazione’

alla portata di tutti. Pochi indicatori

caratterizzano meglio l’enorme sviluppo culturale

dell’umanità negli ultimi secoli come la qualità

folgorante delle ‘sorprese scientifiche’. Vale la

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pena, perciò di insistere, come pochi filosofi

hanno fatto dopo Hume e Russell, sull’estrema

importanza dell’educazione all’uso del pensiero

induttivo, che forse è la modalità più spontanea

degli umani finché l’alluvione dottrinaria del

pensiero assiomatico deduttivo di cui è pervasa

la scuola non ha il suo forzato sopravvento.

Un bambino di quattro anni mi disse una volta

che lui sapeva ‘che il Sole è più lontano delle

nuvole perché non si vedono mai nuvole dietro il

Sole’. Il sorriso con cui accompagnò questa

intuizione è rimasto per me indimenticabile; un

segnale di felicità intellettuale che chiamiamo

‘genialità’.

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L’ORIGINALITÀ SCIENTIFICO FILOSOFICA DI ARCHIMEDE

Christian Vassallo

Dottorando di Scienze Filosofiche Università degli Studi di Napoli Federico II

Vissuto nel III secolo a.C., l’aurora di

quell’età ellenistica dipinta da Lucio Russo come

teatro della rivoluzione scientifica ‘dimenticata’,

non v’è arcipelago dello scibile che la navicella

del suo ingegno non abbia osato lambire: dalla

geometria all’aritmetica, dalla meccanica

all’ottica, dall’astronomia all’ingegneria. Parliamo

di Archimede, il genio alla cui più intima

quotidianità il simpatico aneddoto vitruviano

accostò uno dei casi più famosi di serendipity.

Ma quell’«héur�ka!» gridato da un uomo nudo,

che da un capriccio di Ierone II avrebbe finito col

trovare per caso nella sua vasca da bagno la

legge dell’idrostatica, direbbe poco, in fondo,

sull’importanza del suo irripetibile operato, se

non ci premurassimo di coglierne l’originalità

scientifico-filosofica. Nell’affascinante libro in cui

ha ricostruito, insieme a William Noel, la

fortunosa riscoperta del celebre Palinsesto di

Archimede, il filologo Reviel Netz ha riferito allo

scienziato siracusano quanto già Whitehead

scrisse di Platone, al cui pensiero la tradizione

filosofica europea non avrebbe fatto altro che

aggiungere postille. Galilei, Leibniz, Huygens,

Fermat, Cartesio, Newton: tutti figli di

Archimede, autentico summis ingeniis dux et

magister, come piacque definirlo al vecchio

Heiberg, primo editore di quel palinsesto (codice

C, per i paleografi) che, nuovamente perduto,

solo il 29 ottobre 1998 rivide la luce durante

l’ormai leggendaria asta nella Christie’s di New

York. Rispetto ai codici A e B, anch’essi

miracolosamente scampati al sacco di

Costantinopoli, il palinsesto è l’unica fonte del

Metodo sui teoremi meccanici. Oggi possiamo

affermare, senza retorica, che questo scritto fa

di Archimede il vero padre della scienza

moderna.

Contro il deduttivismo dell’epistemologia

classica, egli espose ad Eratostene l’enfasi data

nelle sue ricerche all’induzione, senza peraltro

cadere nelle aporie della Fisica aristotelica,

contro la quale polemizzò circa l’equilibrio dei

corpi, circostanza colorita dal noto motto

attribuitogli da Pappo: «datemi un punto di

appoggio e solleverò il mondo!». Molte sue

teorie presupponevano nozioni meccaniche,

l’abilità di passare senza dogmi dal concreto

all’astratto e viceversa, anche grazie a quel

metodo di ‘esaustione’ che, già adottato dal

sofista Antifonte per la determinazione dell’area

del cerchio, fu il “canovaccio” cui si sarebbero

ispirati i due cervelli che si contesero

ferocemente la paternità del calcolo

infinitesimale nel XVII secolo. Invano, stando a

quanto nel 2001 lo stesso Netz, con l’ausilio di

Ken Saito e delle più sofisticate tecniche digitali,

riuscì a leggere nell’enigmatica XIV proposizione

del Metodo, lì dove gli occhi stanchi di Heiberg si

erano arresi con una disperata crux filologica:

smentendo clamorosamente un’atavica ubbia

degli storiografi, Archimede avrebbe dimostrato

familiarità non solo con l’infinito potenziale, di

cui già Zenone di Elea si era vagamente servito

nei suoi paradossi, ma anche con quello reale,

presupposto dell’odierno calcolo infinitesimale; e

avrebbe inoltre intuito i fondamenti della teoria

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degli insiemi, rivelandosi addirittura il precursore

di Cantor. Calcolo infinitesimale e concreta

applicazione dei modelli matematici al mondo

fisico compendiano dunque l’inestimabile eredità

da lui lasciata ai posteri: nella sua essenza,

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infatti, la scienza moderna altro non è che

rigorosa applicazione della matematica alla fisica

secondo i principi di quel calcolo, che ha

permesso, dopo millenni, il pacifico, un tempo

scandaloso abbraccio tra precisione ed infinito.

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COLPI D’ALA DEL PENSIERO INDUTTIVO

Vittorio Silvestrini

Professore di Fisica Generale Università degli Studi di Napoli Federico II

Il motore primo che spinge la civiltà

umana verso conquiste sempre nuove, è

l’attitudine dell’uomo a lanciare a sé stesso

sempre nuove sfide, per il semplice gusto di

vincerle. Di queste sfide, le più dense di

soddisfazione e di positivi frutti sono quelle che

riguardano le attività del pensiero; e ciò tanto

più se il risultato conseguito non è un singolo

raggiungimento conoscitivo, ma lo sviluppo di un

metodo (un procedimento) che l’inventore mette

a disposizione di chiunque voglia poi usarlo.

Fra gli strumenti metodologici sviluppati

per facilitare la produzione di conoscenze, un

posto preminente occupano le teorie

matematiche, quali sono ad esempio la

geometria piana euclidea, l’algebra, il calcolo

vettoriale, ecc.

Le entità che hanno diritto di

cittadinanza in una teoria matematica sono

entità astratte, definite in base alle loro

proprietà. La teoria fornisce infatti i criteri di

riconoscimento delle entità ammesse nella

teoria, e un apparato logico – deduttivo fatto di

pochi assiomi (o princìpi) e di un insieme di

regole (algoritmo) di manipolazione delle entità

astratte. Utilizzando questo apparato logico, la

teoria consente di formulare un numero illimitato

di problemi, fornendo gli strumenti per risolverli

e per verificare la correttezza del risultato. Tutto

ciò, sempre restando nell’ambito delle entità

astratte, appartenenti al regno del pensiero.

Le scienze naturali (e in particolare le

scienze esatte, il cui prototipo è la fisica), si

occupano però di capire il mondo reale, fatto di

oggetti concreti, e di grandezze misurabili

quantificando gli effetti – anche essi reali – che

esse producono. Lo studio di questo mondo reale

– dei fenomeni che in esso avvengono – non può

che partire dalla osservazione, registrando quali

siano il comportamento e l’evoluzione delle

entità reali coinvolte nel fenomeno. Facendo ciò,

siamo costretti a constatare che i fenomeni reali

sono unici e irripetibili: ciò che accade qui e ora

è diverso da quanto accade, è accaduto ed

accadrà altrove e in altro tempo.

La formidabile intuizione dei padri della

scienza dell’era moderna (il primo dei quali è

d’uso individuare in Galileo; ma importanti

precursori si ebbero nella cultura alessandrina) è

che sfrondando le situazioni reali di mille

perturbazioni aleatorie, per concentrare

l’attenzione sulle cause dominanti

(schematizzazione del fenomeno) viene alla luce

un substrato di universalità che innerva i

fenomeni reali rendendoli riproducibili; ed è

possibile allora anche cercare e trovare una

legge di corrispondenza fra le grandezze

concrete presenti nel fenomeno reale, e le

grandezze astratte di una opportuna teoria

matematica. Viene così formulata quella che si

chiama una ipotesi di teoria scientifica.

Utilizzando l’algoritmo proprio della teoria

ipotizzata, possiamo ora produrre una illimitata

varietà di esercizi, ognuno dei quali – usando

ancora, in senso inverso, la legge di

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corrispondenza – diviene la previsione di un

nuovo fenomeno, altro e diverso rispetto a

quello che avevamo osservato per farne il punto

di partenza alla ricerca della teoria. Mentre il

percorso logico – deduttivo che ci consente di

estrarre previsioni dalla teoria una volta che

questa sia stata formulata è una catena univoca

di causa - effetto, il percorso che – a partire da

poche osservazioni – ci porta a individuare e

scegliere la teoria matematica, così pregna come

essa è di potenziali previsioni, è un percorso

induttivo di generalizzazione che lo scienziato

compie per tentativi utilizzando la sua capacità

di invenzione fatta di intuito, fantasia e cultura;

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ed anche senso estetico, poiché l’esperienza

insegna che le leggi di natura sono in generale

fornite di particolare simmetria ed eleganza. La

‘bellezza’ diviene uno dei criteri per ‘inventare’

la teoria cercata. E se l’invenzione fosse

sbagliata e dunque l’ipotesi di teoria fosse

fasulla? Niente paura. Perché il metodo

scientifico prevede, come ultimo passo del suo

percorso euristico, la verifica sperimentale delle

previsioni. E solo dopo aver sperimentalmente

verificato che le previsioni si avverano, l’ipotesi

di teoria viene accettata come ortodossa dalla

comunità scientifica, ed assume la dignità di

‘legge di natura’.

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INTRICATI EQUILIBRI

Luciano Carbone

Professore di Analisi Matematica Università degli Studi di Napoli Federico II

Qualche osservazione ingenua su genialità e normalità

Il termine genialità richiama subito alla

mente un suo possibile contrario: la normalità.

Essa si presenta, infatti, come il superamento di

una situazione difficile attraverso un espediente

inaspettato che fuoriesce appunto da ciò che è

normale, usuale. La coppia genialità-normalità

evoca allora con immediatezza un’altra coppia:

creatività-metodo. Con essa tende a

confondersi, ma non a identificarsi. In effetti la

prima richiama situazioni uniche e irripetibili,

nella seconda invece ci si imbatte spesso

nell’esperienza quotidiana. Ma anche altre coppie

vengono evocate con maggiore o minore forza e

distanza. Si pensi ad arte-scienza, induzione-

deduzione o, più in generale, a slancio-stasi e

perfino, per chi ama le teorie freudiane, a eros-

thanatos.

Tutte queste coppie rifuggono da una

schematizzazione ingenua come proprietà che

possono essere possedute o non possedute da

un determinato individuo, che possono essere

presenti o non presenti in una determinata

situazione; sfuggono ad un’analisi matematica

serrata; si offrono come canoni interpretativi,

principi intuitivi che si presentano

continuamente e, pur opponendosi, sempre

intrecciati.

La scienza, esempio classico di un

procedere metodico, esaminata più in

profondità, mostra proprio nel suo progredire la

presenza di salti, di cambiamenti repentini di

punti di vista. Nello sviluppo della pittura si sono

consolidate tante metodiche: il chiaroscuro, la

prospettiva, lo sfumato, la teoria delle ombre, la

teoria della visione e dei colori complementari…;

esse possono e forse spesso debbono essere

infrante e superate ma non ignorate, anche

quando si vuol far rivivere il balbettio di un

bambino.

Ma è sulla coppia creatività-metodo che

vorrei concentrare l’attenzione proprio per il suo

offrirsi quotidiano.

La compresenza dei due principi non si

manifesta solo nel nostro vissuto attuale. Già ad

una rapida occhiata i vari periodi storici

assumono una loro coloritura creativa o

metodica. Il primo Ottocento con il

Romanticismo privilegia l’elemento creativo;

l’Ottocento maturo vede il trionfo del metodo

nel Positivismo…

E questa compresenza di metodo e

creatività non è neanche esclusiva delle cose

umane. Ognuno forse può citare qualche

elemento creativo nel comportamento di un

cane, di un gatto, di un uccellino…, che affianca i

modi di fare soliti.

Il continuo confronto tra metodo e

creatività obbliga allora a scelte complesse. Si

pensi al sistema educativo. La tensione tra

stimoli alla creatività e conoscenze metodiche è

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un dato immediato. Tempo ed energia che

vengono spesi per uno scopo vanno sottratti

all’altro. Le risorse economiche, le doti

individuali di chi apprende e di chi insegna sono

con una certa approssimazione determinate.

Per cercare di capire come agire si può

guardare ad una comune situazione di

successo: nelle più celebri squadre di calcio i

giocatori di estro e quelli metodici si mescolano

in un equilibrio fortunato. Gli esempi si possono

moltiplicare all’infinito: un bel film,

un’automobile ben fatta, uno spot pubblicitario

riuscito…. E si pensi per contrasto ad una

squadra costituita da undici Maradona.

Si tratta, per quanto possibile, di arrivare ad

una fusione equilibrata tra metodo e creatività.

Nel caso del sistema educativo la matematica

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che avevamo cacciato dalla porta può (e in parte

accade) rientrare dalla finestra se non per

arrestare l’eterna danza tra metodo e creatività

almeno per cercare di contenerne l’oscillazione.

Con pazienza, caso per caso, si vagliano le

esperienze già acquisite, si formulano delle

ipotesi, se ne saggia l’attendibilità raccogliendo

dati ed esaminandoli con i metodi statistico-

probabilistici.

Forse è poco e forse è vero che viviamo

in una notte profonda, ma si tratta di un buio

rotto da scintille, lampi, bagliori; sono questi

sprazzi di luce che consentono ora la

manipolazione della vita stessa a chi fino a non

molto tempo fa (in una scala geologica dei

tempi) si aggirava nelle caverne… nella speranza

di farne un buon uso.

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I DUE GENÎ CHE MISERO FINE AL GENIO

Maurizio Torrini

Professore di Storia della Scienza Università degli Studi di Napoli Federico II

I due libri che danno vita, agli inizi del

XVII secolo, a quella scienza che è divenuta la

nostra scienza, il Sidereus Nuncius – l’Avviso

sidereo – di Galileo (1610) e il Discorso del

metodo – l’introduzione ai Saggi: Diottrica,

Meteore e Geometria – di Descartes (1637)

volevano dare a tutti la possibilità di compiere il

medesimo percorso che li aveva condotti a

rivoluzionare il sapere contemporaneo. Cartesio

offrendo il modello della propria vita per

edificare un mondo adeguato alla ragione, la

bona mens, la cosa più egualmente e

uniformemente distribuita tra gli uomini, si tratti

di francesi o cinesi, di cannibali o tedeschi,

Galileo mostrando come costruire quello

strumento – il cannocchiale – con cui provare in

modo ‘speditissimo e sicurissimo’ la possibilità

del copernicanesimo, fondamento della sua

nuova fisica. Entrambi additano una via

‘sperimentale’, aperta a tutti, per giungere alle

loro medesime convinzioni, per le quali non

valgono più né il consenso dell’autorità né il

carisma – il genio – di chi le propone, ma solo il

ricorso a quegli strumenti, geometria e

cannocchiale, che la ragione comune e uguale

per tutti è in grado di costruire e di utilizzare.

Proprio perché fondata sulla comune ragione e i

suoi riscontri – le ‘sensate esperienze’ – quella

scienza non più opinione, non più probabile

diviene necessaria e stringente, riconoscendo

l’alterità della natura e delle sue leggi.

Col che si metteva fine non solo al

secolare dominio del ‘maestro di color che

sanno’, Aristotele, ma anche a quello di quanti,

antichi e moderni, avevano riempito il mondo di

meraviglie, di automi, di specchi, di viaggi

immaginari, di rimedi e soluzioni portentose,

ostentando il proprio unico e solitario genio. ‘La

riconosciuta cagion dell’effetto – scriverà Galileo

– leva la meraviglia’. L’eroe, il genio non è più

Pitagora che dal battere ‘vicendevole dei

martelli’ inventò la musica, ma il ‘discorrere il

Colombo che bisognava per le tali, e tali ragioni,

che vi fossero le Indie nuove, e poi trovarle’»

perché ‘fu un camminar da’ principi alla

conclusione’. La ragione, il metodo, i principi

appunto divengono il banco di prova di ogni

affermazione, di ogni portento vantato o trovato.

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Misurata col metro di quel comune bene che è la

ragione ogni genialità era destinata a scomparire

e a tradursi in opere, manuali, atti accademici,

giornali scientifici, enciclopedie alla portata

di tutti. Agli inizi dell’Ottocento il giacobino

napoletano Matteo Galdi si sarebbe

chiesto: ‘Qual è la società più colta,

quella che possiede un solo Galileo, un

solo Newton o quella in cui migliaia di cittadini

sanno intenderli?’ Per rispondere: ‘La seconda’.

Per passare dai geni solitari alla scienza di tutti,

era tuttavia stato necessario ricorrere ancora a

due geni non certo precoci come Galileo e

Descartes e appoggiarsi su un altro genio, il

solitario canonico di Varmia, Copernico, ‘questo

germano, il quale avendo poco riguardo a la

stolta moltitudine’ ha ripreso ‘abietti et rugginosi

fragmenti... da la antiquità’ per concludere

‘necessariamente che piuttosto questo globo si

muova... a dispetto della natura, et raggioni’.

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ENRICO FERMI E IL SECOLO BREVE

Renato Musto

Professore di Fisica Teorica Università degli Studi di Napoli Federico II

Enrico Fermi nella storia del ‘900

L'eccezionale intreccio tra scoperte

scientifiche, destino personale e vicenda

mondiale contenuto nella vita di Enrico Fermi,

permette di gettare uno sguardo, veloce ma

intenso, sullo scorso secolo, da quando, nel suo

precoce studio da autodidatta vi era ancora

occasione per un trattato in latino - segno di

un'antica universalità della scienza -, ai primi

importanti lavori, negli anni '20, pubblicati in

tedesco, lingua dominante nella cultura

dell'epoca, fino al periodo americano dal 1939,

alla morte nel 1954.

Fermi ha creato da solo un proprio stile

di ricerca senza veri maestri. Orso Mario

Corbino, per cui esprime ‘la profonda e sentita

venerazione del discepolo verso il maestro’ ha il

merito, piuttosto, di averne capito il valore e

averlo guidato nei primi passi della carriera.

Fermi, invece, ha creato vere scuole, in Italia e

negli USA, la cui influenza si avverte ancora

oggi. Tra i suoi discepoli si contano sei premi

Nobel. Di più ha riconosciuto tra i primi il ruolo

dell'organizzazione del lavoro scientifico, e le

istituzioni che portano il suo nome costituiscono

una memoria anche del suo ruolo di

organizzatore.

Le sue ricerche segnano la storia della

fisica, dalla fisica atomica e molecolare allo stato

solido, dalla fisica nucleare alle particelle

elementari, dalla statistica all'astrofisica, fino al

pionieristico uso del computer per problemi

fondamentali. Come ricorda Euglene P. Wigner

‘non amava le teorie complicate e le evitava

quanto più possibile. Benché sia stato uno dei

fondatori dell'elettrodinamica quantistica

resisteva all'uso della teoria dei campi’. Eppure

la sua fondamentale teoria del decadimento

debole ha reso la teoria quantistica dei campi il

linguaggio delle interazioni fondamentali. La sua

formula legge con chiarezza il processo fisico:

l'annichilazione di un neutrone e la

contemporanea creazione di un protone, di un

elettrone e di un (anti)neutrino.

Forse unico nel suo tempo Fermi era

grande teorico e sperimentatore eccellente,

capace anche di sfruttare l'aiuto del caso o,

forse, del suo istinto. Investigando la

dipendenza della resa delle reazioni nucleari dal

materiale interposto tra un fascio di neutroni e i

nuclei del bersaglio, Fermi introdusse, un giorno,

un cambiamento improvviso. Sostituì un cuneo

di piombo con una lastra di paraffina. La resa

della reazione crebbe enormemente. I nuclei

d'idrogeno di cui è ricca la paraffina rallentavano

i neutroni e la resa della reazione era in generale

molto più alta per i neutroni lenti. La strada era

aperta per la reazione a catena, per l'era

nucleare.

Alla fine del '38 Fermi ottiene il permesso di

recarsi a Stoccolma con la famiglia per ritirare il

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Le idee geniali. Da Archimede a Fermi

premio Nobel, ma non ritorna in Italia dove

iniziavano le leggi razziali. Sua moglie era ebrea

Sceglie l'esilio come molti suoi collaboratori

prima di lui, come tanti che abbandonavano i

paesi europei dominati dagli orrori del fascismo

e del nazismo. Negli USA la storia personale

di Fermi si intreccia con quella della bomba

atomica. È una storia troppo complessa e

controversa perché possa essere riassunta, ma

qui viene ricordata come la più scoperta

evidenza che la scienza costituisce nella storia

moderna un fattore essenziale, in guerra come

in pace, nei più inumani massacri e nelle

imprese più sublimi.

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