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1 @Copyright Claudia Porta 2015 – tutti i diritti riservati COME USARE IL WEB SENZA ESSERNE SCHIAVI Nell’era del digitale il mondo va molto più veloce di noi ed è praticamente impossibile restare al passo. E se la soluzione fosse, paradossalmente, rallentare? In una giornata-tipo, l’utente medio riceve circa 110 messaggi, controlla 34 volte il cellulare, si connette 5 volte a facebook e trascorre almeno mezz’ora a mettere “mi piace” sui contenuti degli amici. Le ore trascorse in rete sono circa 60 ogni mese (mlte di più per chi lavora con il web!), ovvero 720 ore all’anno, grosso modo 90 giornate di 8 ore ciascuna 1 . Le tecnologie (dalla mappa allorologio, fino ad arrivare al world wide web) hanno modificato nel corso dei secoli il nostro modo di agire e, di conseguenza, la struttura e il funzionamento del nostro cervello. Questa facoltà, caratteristica del nostro cervello, di modificare la propria struttura per adattarsi alle circostanze si chiama neuroplasticità. Secondo Nick Bilton, giornalista del NY Times e autore del libro «Io vivo nel futuro» non cè niente di allarmante: si tratta semplicemente di evoluzione. Nel suo «Internet ci rende stupidi?» Nicholas Carr cita l’incontro tra il dio egizio Teuth, inventore dell’alfabeto, e il re Thamus. Secondo quest’ultimo la scrittura non era altro che una sorta di “memoria esterna”. Dispensava infatti dal tenere a mente tutto ciò che, fino a quel momento, era stato trasmesso oralmente, indebolendo nelluomo la capacità di memorizzare. Questo è senz’altro vero, ma possiamo dire che la scrittura sia una “cattiva invenzione”? Oggi possiamo disporre di memorie esterne sempre più efficienti. Non conosciamo più a memoria i numeri di telefono dei nostri amici perché il nostro smartphone li ricorda al posto nostro. Non abbiamo più bisogno di memorizzare un percorso perché abbiamo navigatori satellitari che lo fanno per noi. Queste invenzioni sono sensazionali e senz’altro utilissime, ma che ne è dei circuiti neuronali che ci permettono di orientarci e di memorizzare le informazioni? Se inutilizzati, si indeboliranno fino ad atrofizzarsi? È probabile di sì. E c’è chi trova che questo non sia poi così drammatico. Personalmente, senza allarmismi, credo che dovremmo essere in grado di telefonare a casa o in ufficio se perdiamo il nostro smartphone, e di ritrovare la strada anche quando il GPS non funziona. Non c’è niente di male nel far ricorso alla tecnologia per migliorare e facilitare la nostra vita, ma non dovremmo delegare ad essa le capacità che, in origine, risiedevano nel nostro cervello. 1 Christine Barois, «Pas besoin d’être tibétain pour méditer» – Solar éditions, 2015

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1 @Copyright Claudia Porta 2015 – tutti i diritti riservati

COME USARE IL WEB SENZA ESSERNE SCHIAVI

Nell’era del digitale il mondo va molto più veloce di noi ed è praticamente impossibile

restare al passo. E se la soluzione fosse, paradossalmente, rallentare?

In una giornata-tipo, l’utente medio riceve circa 110 messaggi, controlla 34 volte il

cellulare, si connette 5 volte a facebook e trascorre almeno mezz’ora a mettere “mi piace”

sui contenuti degli amici. Le ore trascorse in rete sono circa 60 ogni mese (mlte di più per

chi lavora con il web!), ovvero 720 ore all’anno, grosso modo 90 giornate di 8 ore

ciascuna1.

Le tecnologie (dalla mappa all’orologio, fino ad arrivare al world wide web) hanno

modificato nel corso dei secoli il nostro modo di agire e, di conseguenza, la struttura e il

funzionamento del nostro cervello. Questa facoltà, caratteristica del nostro cervello, di

modificare la propria struttura per adattarsi alle circostanze si chiama neuroplasticità.

Secondo Nick Bilton, giornalista del NY Times e autore del libro «Io vivo nel futuro» non

c’è niente di allarmante: si tratta semplicemente di evoluzione. Nel suo «Internet ci rende

stupidi?» Nicholas Carr cita l’incontro tra il dio egizio Teuth, inventore dell’alfabeto, e il re

Thamus. Secondo quest’ultimo la scrittura non era altro che una sorta di “memoria

esterna”. Dispensava infatti dal tenere a mente tutto ciò che, fino a quel momento, era

stato trasmesso oralmente, indebolendo nell’uomo la capacità di memorizzare. Questo è

senz’altro vero, ma possiamo dire che la scrittura sia una “cattiva invenzione”?

Oggi possiamo disporre di memorie esterne sempre più efficienti. Non conosciamo più a

memoria i numeri di telefono dei nostri amici perché il nostro smartphone li ricorda al posto

nostro. Non abbiamo più bisogno di memorizzare un percorso perché abbiamo navigatori

satellitari che lo fanno per noi.

Queste invenzioni sono sensazionali e senz’altro utilissime, ma che ne è dei circuiti

neuronali che ci permettono di orientarci e di memorizzare le informazioni? Se inutilizzati,

si indeboliranno fino ad atrofizzarsi? È probabile di sì. E c’è chi trova che questo non sia

poi così drammatico. Personalmente, senza allarmismi, credo che dovremmo essere in

grado di telefonare a casa o in ufficio se perdiamo il nostro smartphone, e di ritrovare la

strada anche quando il GPS non funziona. Non c’è niente di male nel far ricorso alla

tecnologia per migliorare e facilitare la nostra vita, ma non dovremmo delegare ad essa le

capacità che, in origine, risiedevano nel nostro cervello.

1 Christine Barois, «Pas besoin d’être tibétain pour méditer» – Solar éditions, 2015

2 @Copyright Claudia Porta 2015 – tutti i diritti riservati

PRESERVARE LE NOSTRE CAPACITÀ

Un tempo, un marinaio doveva aguzzare lo sguardo per riconoscere, in un certo

increspare delle onde, la presenza di un banco di pesci, per vedere da lontano la

navigabilità di una rada, o per accorgersi in tempo di un fondale basso in cui la nave

poteva incagliarsi. Ora tutto questo lavoro è affidato ai sonar e ai radar, che ogni anno

diventano più precisi. Eppure quanta conoscenza viene persa! Quante antenne naturali

cadono dalla testa dell’uomo per essere rimpiazzate da antenne elettroniche!

(Tiziano Terzani, «Un indovino mi disse» - Longanesi, 1995)

I nostri bambini imparano fin da piccoli ad utilizzare tablet e computer. Non c’è niente di

male in questo, se non lasciamo che questi strumenti sostituiscano la lettura approfondita

e la scrittura a mano. Quest’ultima rischia di diventare obsoleta, e come tutte le cose che

vanno scomparendo si farà sempre più preziosa. Chissà, potrebbe addirittura tornare in

voga il mestiere di amanuense!

Per fare un esempio banale, non abbiamo più bisogno di saper fare i conti perché

abbiamo calcolatrici che possono farli al posto nostro. Ma chi non è in grado di fare i conti

a mente rischia di farsi fregare dal primo commerciante disonesto o sbadato.

Nel corso della mia generazione sono andati persi i lavori manuali ed artigianali. Mestieri

come quello dell’idraulico, dell’elettricista, per non parlare degli ormai estinti falegnami,

erano considerati una sorta di ripiego per chi non era atto agli studi superiori. Oggi che c’è

penuria di queste figure (e che in molti casi le si paga a peso d’oro) ci rendiamo conto di

quanto siano importanti. Per le prossime generazioni potremmo pessimisticamente

prevedere un declino delle attività intellettuali, affidate sempre più spesso alle macchine.

Quale sarà allora il nostro ruolo? «Quello di produrre strumenti sempre più sofisticati per

“fecondare” le macchine come le api fecondano le piante» Scrive Carr citando McLuhan

«fino a quando la tecnologia non avrà sviluppato la capacità di riprodursi da sola. A quel

punto diventeremo superflui2».

Questa è una visione decisamente catastrofica. Personalmente, confido nell’intelligenza

del genere umano e credo che, con una buona dose di consapevolezza, sia possibile

godere dei benefici del progresso senza esserne fagocitati.

La mente è come un muscolo: più la utilizziamo, più si rinforza. Non si riempie come un

contenitore per surplus di informazioni. Al contrario: più la utilizziamo, più rinforziamo ed

espandiamo le sue capacità.

Ci vorranno decenni per scoprire gli effetti reali del web sulle nostre menti (anche se

possiamo ragionevolmente dedurne un gran numero). C’è chi li difende come effetti

2 Nicholas Carr, «Internet ci rende stupidi?», Cortina Edizioni, 2010

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naturali della nostra evoluzione, e chi li teme come mutazioni pericolose che finiranno per

renderci schiavi delle macchine.

Alcuni prevedono la scomparsa dei libri: perché dovrei leggere un libro intero quando

posso trovarne in rete i passaggi salienti? L’esperienza del “perdersi in un libro” potrebbe

perdersi completamente. Non sarebbe la lettura a scomparire (navigando sul web

leggiamo parecchio), è il modo di leggere che cambia. Alla lettura approfondita si

sostituisce una lettura rapida, “a spizzichi”. La nostra mente è attratta da titoli e sottotitoli,

da grassetti e da liste puntate. L’attenzione salta di qua e di là, e può cambiare totalmente

direzione: basta cliccare su un link per essere dirottati altrove e perdersi per ore in rete

senza nemmeno rendersene conto.

Ogni volta che accendiamo il computer, ci tuffiamo in un ecosistema di tecnologie

dell’interruzione. (clicca per twittare questa frase)

(Cory Doctorow)

Su una pagina web troviamo testo, immagini, video, link, pop-up, mille stimoli che, come

sirene, attirano la nostra attenzione in direzioni diverse, impedendoci di concentrarci su un

solo contenuto. Se questa dovesse diventare la nostra principale modalità di lettura (come

probabilmente sta già accadendo) gli effetti a medio e lungo termine sulla nostra mente

sarebbero prevedibili.

Personalmente credo che i libri, e con loro la lettura approfondita, resisteranno ancora,

almeno per qualche generazione. Credo che i lettori continuino a leggere libri, seppur

lasciando sempre più spazio alla lettura online. Credo che i grandi classici sopravvivranno

ancora a lungo, perché l’esperienza che regalano è irrinunciabile. Il web avrebbe quindi il

merito di spingere a leggere coloro che, fino a qualche tempo fa, sarebbero stati “non

lettori” assoluti. Un’abitudine alla lettura spezzettata mi sembra sempre meglio di niente.

Un discorso a parte meritano gli e-reader, che incontrano il favore degli uni e la resistenza

degli altri e che costituiscono una sorta di ibrido tra la pagina web e la carta stampata. Le

loro pagine sono molto simili, nell’aspetto, a quelle dei libri tradizionali. Questo è molto

rassicurante per chi è affezionato al libro in quanto oggetto. Le dimensioni ridotte li

rendono pratici durante i viaggi o gli spostamenti, e i prezzi convenienti dei libri digitali li

rendono appetibili rispetto ai loro concorrenti cartacei. La lettura su e-reader potrebbe

essere paragonata a quella su carta. I modelli più recenti però propongono sempre nuove

funzionalità che rendono, man mano, l’esperienza sempre più simile a quella che si

sperimenta sul web. Link di approfondimento, dizionario integrato e altri piccoli sfizi ci

permettono di accumulare un maggior numero di informazioni ma hanno l’inconveniente di

spezzettare l’attenzione.

Autori ed editori iniziano ad adeguarsi a questo stile di lettura, proponendo opere scritte

apposta per un pubblico abituato a saltare da un’informazione all’altra senza soffermarsi

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sull’esperienza. È il caso di molte opere di manualistica, anche cartacee (si pensi alle

numerose, utilissime guide “per negati” e alla loro impostazione di facile (e veloce)

consultazione con titoli, sottotitoli, grassetti e riassunti.

C’è chi prevede il declino della scrittura stilistica per adeguarsi ad un linguaggio colloquiale

e più facilmente accessibile. Non credo che questo avverrà molto presto ma la tendenza

potrebbe essere quella. Resisteranno probabilmente i grandi classici, così come i loro

amatori, ma la loro conoscenza potrebbe essere appannaggio di un’élite, come è già

successo in passato.

Nicholas Carr afferma che «la rete può essere considerata l’ultimo di una serie di

strumenti che hanno contribuito a sgretolare la mente umana». Ma davvero non esiste

alternativa? Davvero siamo destinati a lasciare che la nostra mente si arrugginisca? Io

credo di no. Il segreto sta nella giusta misura.

Come sfruttare tutte le potenzialità della rete senza mettere a rischio il nostro cervello,

senza impigrire i flussi nelle nostre sinapsi, senza atrofizzare la nostra mente? La risposta

è semplice: continuando ad utilizzarla in modo da bilanciare gli effetti collaterali di quella

che è senza dubbio una grandissima innovazione.

Se cambiamo comportamento per un periodo sufficientemente prolungato, il nostro

cervello si adatta. I circuiti neuronali che permettevano di leggere per ore ininterrottamente

lasciano il posto a quelli, nuovi di zecca, che ci aiutano a saltare velocemente da uno

stimolo all’altro. Acquisiamo nuove competenze, a scapito di quelle vecchie. Ma questo

processo è davvero così ineluttabile? Lavorare sul web tutto il giorno è davvero

inconciliabile con il passare una serata immersi in un buon libro? Possiamo acquisire

nuove competenze senza perdere quelle vecchie? Certo che sì. Alcuni di noi lo fanno già,

spontaneamente. Altri constatano con orrore quanto le nuove abitudini influiscano

negativamente sulla capacità di concentrazione. Altri ancora si arrendono a quella che

considerano l’evidenza: il mondo cambia, bisogna stare al passo.

Fin qui abbiamo parlato di lettura ma questo è solo un esempio di come la rete stia

modificando i nostri atteggiamenti e, di conseguenza, le nostre menti. Cambia il modo di

comunicare, il modo di corteggiarsi, scompare la capacità di attendere, scatta il panico

quando il nostro interlocutore non è reperibile su nessuno dei mille canali disponibili. Non

esiste più il mistero: tutti possono sapere tutto di chiunque, basta “googlare” (il termine è

ormai entrato nei dizionari!) il nome e cognome di una persona.

Lo stesso è accaduto con altri strumenti tecnologici, dall’aratro in poi. «Quando un operaio

scambia il suo badile con un escavatore, la sua efficienza cresce, ma i muscoli delle sue

braccia si indeboliscono», scrive Carr.

Non mancano i disertori del web, particolarmente attenti alla loro privacy, che rifiutano di

entrare in questa giungla selvaggia. Ma credo siano destinati a scomparire, nei paesi

occidentali, nel giro di una generazione. La rete diventa sempre più indispensabile anche

nel lavoro e persino il viticoltore che lavora ancora la terra con le mani cura una pagina

facebook per far conoscere la sua azienda familiare. La rete offre innumerevoli opportunità

5 @Copyright Claudia Porta 2015 – tutti i diritti riservati

e sarebbe un peccato rinunciarvi. L’importante è utilizzarla in modo consapevole e non

rimanere intrappolati nelle sue maglie.

Il tempo passato in rete è sempre maggiore, è sempre più difficile è staccarsi dal flusso di

informazioni. Ogni occasione, anche la più improbabile, è buona per dare un’occhiata agli

ultimi aggiornamenti. In momenti in cui non si vorrebbe o non si dovrebbe, diventa difficile

controllarsi. Senza contare il fatto che, una volta connessi, le informazioni ottenute

potrebbero portarci a voler approfondire, restando connessi più a lungo del previsto o

rimanendo intrappolati con il pensiero, nell’attesa di poter tornare a collegarsi. Siamo

letteralmente in balia di questo strumento. Non siamo più noi a controllarlo ma è lui che

controlla noi.

Secondo Jon kabat-Zinn3, l’onnipresenza della tecnologia nelle nostre vite, l’invasione

delle notifiche che ci interrompono in qualunque momento, la nostra attenzione è quasi

sempre parziale. Per questo è necessario coltivare la calma e la presenza mentale e

portarle nelle nostre case per farne un’oasi di pace.

IL MITO DEL MULTITASKING

Molto in voga negli anni scorsi, viene ora rinnegato dai suoi stessi fautori: impossibile fare

più cose contemporaneamente e farle bene. Io direi piuttosto che è impossibile fare più

cose contemporaneamente e STARE bene. Possiamo anche riuscire a portare a termine

correttamente più compiti insieme, tralasciando il fatto che il risultato sarebbe migliore se

ci consacrassimo completamente a ciascuno di essi. Ma come ci sentiamo? Riusciamo a

rispettare tutte le scadenze senza essere travolti dello stress? Possiamo destreggiarci tra

un compito e l’altro senza l’ansia del tempo che passa? Molti di noi risponderanno di sì. In

fondo ci siamo abituati. Ma provate a fermavi un attimo. Ci riuscite? Riuscite a stare fermi

per cinque minuti senza tirare fuori il vostro smartphone? Riuscite a staccare, a non

pensare ad uno dei mille progetti a cui state lavorando? Se la risposta è no, avete bisogno

di una vacanza. Non si tratta necessariamente di partire (anche perché oggi il lavoro ci

può seguire ovunque) ma di concedere una pausa alla nostra mente.

Non possiamo essere ovunque, non possiamo saper fare tutto, non possiamo essere

sempre in attività. Se lasciate il vostro computer o il vostro cellulare sempre acceso, dopo

un po’ inizierà a funzionare meno bene. Ogni tanto è bene spegnerlo per poi riavviarlo. Lo

stesso vale per la nostra mente. Ogni tanto ha bisogno di fermarsi per potersi rigenerare e

tornare al lavoro più efficiente che mai.

Ma come fare per fermare la mente? Facile a dirsi! Provate a non pensare a niente.

Chiudete un attimo gli occhi e non pensate a niente.

3 Jon Kabat-Zinn è medico e fondatore della Clinica per la Riduzione dello Stress ad Austin, Texas. È stato allievo del monaco buddista Thich Nhat Hanh e del maestro zen Seung Sahn.

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Come è andata? Praticamente impossibile, vero?

In realtà non si può fermare la mente, la si può soltanto guardare con distacco. Durante la

giornata (e spesso anche di notte) siamo bombardati da ogni tipo di stimolo. Ciascuno ci

spinge all’azione, lasciandoci ben poco tempo per fermarci riposarci e ricaricare le

batterie.

Un ottimo modo per “staccare” è trascorrere del tempo in mezzo alla natura. Secondo la

Attention Restoration Theory (ART), esposta da Rachel e Stephen Kaplan nel loro libro

«The experience of nature: A psychological perspective» (1989), la natura è ricca di stimoli

«soft». Cose che catturano la nostra attenzione ma non richiedono alcuno sforzo da parte

nostra. Pensate alle nuvole che scorrono nel cielo, al fruscìo delle foglie o al susseguirsi

delle onde del mare. Il tempo passato a contatto con la natura rafforza la capacità di

attenzione, migliora la memoria e le capacità cognitive. In poche parole, la natura aiuta il

nostro cervello a rigenerarsi.

Sfruttare ogni possibile occasione per trascorrere del tempo all’aria aperta è senz’altro un

ottimo sistema per combattere gli effetti collaterali dell’iperstimolazione di cui siamo tutti

vittime.

Secondo Carr, la tranquillità mentale è necessaria non soltanto per motivi di produttività,

ma anche per poter esercitare comprensione ed empatia. Più siamo calmi, più siamo

aperti e disponibili all’ascolto. Più siamo stressati e di fretta, più siamo centrati su noi

stessi.

MEDITARE: ROBA DA BUDDHISTI?

Un’altra strategia utile per calmare la mente e contrastare gli effetti dell’overdose da

tecnologia è la meditazione. Meditare non significa stare seduti ad oziare, e neppure “non

pensare a niente”. Meditare significa esercitare il controllo sulla mente.

Guardare un mare in tempesta può essere un’esperienza molto piacevole. Nuotarci dentro

è decisamente più faticoso, oltre che rischioso. La meditazione non mira a fermare il flusso

dei pensieri (le onde del mare) ma ci aiuta a guardarli dal di fuori. Ci insegna ad osservare

le onde invece di essere travolti da esse.

Meditare significa starsene al sicuro e all’asciutto, anche durante una tempesta.

(Clicca per twittare questa frase)

Nella Bhagavad Gita, uno dei principali testi sacri della tradizione induista, la nostra mente

è paragonata ad un cavallo imbizzarrito. Se lo cavalchiamo rischiamo di farci male, se non

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addirittura di morire. Lo scopo della meditazione è di addestrare questo cavallo per fare in

modo che ci obbedisca. Perché ci porti non dove vuole lui, ma dove decidiamo noi.

Avete mai pensato, ad esempio, a quanto è difficile convincere la nostra mente a smettere

di pensare a qualcuno che non sopportiamo?

«Quando odiamo una persona, siamo legati ad essa, proprio come se la amassimo. Non

riusciamo a non pensare a lei e a ciò che vorremmo/avremmo voluto dirle. […] Che

paradosso! C’è una persona che non sopportiamo, che vorremmo a tutti i costi evitare, e

ce la portiamo dietro tutto il tempo»4

Quando una cosa (una persona, una situazione) ci disturba, non riusciamo a staccarcene.

In questo modo non facciamo che amplificare gli effetti negativi che questa cosa/persona

ha sulla nostra vita. Attraverso la meditazione impariamo a staccarci da ciò che ci fa

soffrire. Il che significa staccarsi dalla sofferenza, ponendo fine alla stessa.

Il distacco fa svanire la collera, alleggerendo il nostro stato d’animo. «Essere arrabbiati -

disse il buddha - è come ingerire del veleno e aspettarsi che sia l’altro a morire». La

collera nuoce ad una persona sola: quella che la prova. Quando impariamo a lasciarla

andare, siamo liberati.

Lo stesso vale per il lavoro, quando ci coinvolge al punto di invadere in maniera

inopportuna la nostra sfera personale, o per le preoccupazioni in generale. La meditazione

ci aiuta a staccarci temporaneamente dai nostri compiti o dai nostri problemi, in modo da

poterli osservare in modo più obiettivo.

Quando si scrive un libro, prima della pubblicazione, questo viene sottoposto a revisione e

a editing da parte della casa editrice. Ci sono persone il cui mestiere è quello di

correggere i libri prima che vengano pubblicati. Che cosa significa? Che gli autori non

sanno scrivere? Il punto non è questo. Dopo mesi (a volte anni) trascorsi in immersione

totale nella propria opera, l’autore non riesce in genere ad effettuare una revisione

efficace. Ne è talmente impregnato da non vedere più refusi e ripetizioni. Alcuni autori

mettono via i propri manoscritti per poi rileggerli dopo qualche tempo, a mente fresca.

Purtroppo non tutti possiamo permetterci di lasciar decantare un progetto per mesi prima

di consegnarlo, ma possiamo «rinfrescare» la nostra mente con la meditazione.

A breve termine, la pratica della meditazione ci dà pace, tranquillità e ritrovata energia. A

lungo termine ha effetti positivi su ogni aspetto della nostra vita, migliorando la

concentrazione, la produttività, la resistenza allo stress e la capacità di mantenere i nervi

saldi, qualità sempre più rare al giorno d’oggi. Chi si concede il lusso di fermarsi qualche

minuto ogni giorno potrà resistere alla corrente che spesso travolge chi è sempre di corsa.

Se impariamo a conoscere e ad «addomesticare» la nostra mente, saremo noi a dirigerla

e non viceversa. Saremo capaci di concentrarci su ciò che ci interessa (un lavoro da

terminare, un gioco con i nostri figli, una serata con gli amici) senza irruzioni inopportune.

Impareremo a vivere pienamente nel “qui e ora”.

4 E. Easwaran, «Passage Meditation», Nilgiri Press, 2009

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MEDITAZIONE: ISTRUZIONI PER L’USO

Dovresti fermarti a meditare per almeno 20 minuti al giorno.

A meno che tu non sia troppo occupato.

In questo caso, dovresti meditare per un’ora.

Sukhraj S. Dhillon

È proprio quando ci sembra di non avere nemmeno un attimo per respirare che abbiamo

maggiormente bisogno di… fermarci e respirare.

Meditare non significa necessariamente fermare la mente e liberarla da ogni pensiero: se

tentate di farlo avrete perso in partenza e dovrete fare i conti con la frustrazione del «non

saper meditare».

Meditare significa fare un passo indietro e osservare i nostri pensieri «dal di fuori», con

l’obiettività e la lucidità con cui tutti riusciamo ad osservare quelli degli altri.

Meditare significa vivere nel «qui e ora», accantonando temporaneamente tutto ciò che è

lontano nel tempo e nello spazio. Quando siamo in ufficio, restiamo concentrati sul nostro

lavoro, limitando le distrazioni.

Quando siamo in famiglia, o con gli amici, godiamoci la loro compagnia senza essere

distratti da pensieri legati al lavoro.

Facile a dirsi, vero?

VIVERE NEL QUI E ORA

«Non è mai domani. È sempre oggi»

Ramón Gómez de la Serna

Quando siamo completamente assorti in ciò che facciamo siamo in uno stato prossimo a

quello della meditazione. Non ci accorgiamo del tempo che passa e siamo completamente

presenti nel «qui e ora». Può succedere anche mentre svolgiamo compiti apparentemente

banali come fare le pulizie o guidare verso il tramonto. È una sensazione estremamente

piacevole che tutti proviamo di tanto in tanto, in maniera apparentemente casuale. Ma

questo stato di pienezza non è dovuto a caso. Si chiama presenza mentale.

9 @Copyright Claudia Porta 2015 – tutti i diritti riservati

Per chi ha un lavoro da dipendente è relativamente facile dimenticarsene una volta

timbrato il cartellino d’uscita. Per chi invece è in proprio e per chi si dedica alle nuove

professioni della rete, soprattutto da freelance, il lavoro si mescola con la vita privata e

diventa difficile stabilire una linea di confine. Il segreto è tornare al «qui e ora». State

parlando con una persona? Datele tutta la vostra attenzione. Potrà diventare un amico, un

cliente, oppure un socio. Oppure potrebbe scomparire dalla nostra vita nel giro di pochi

minuti. Non importa. Date a quella persona tutta la vostra attenzione nel momento in cui si

trova davanti a voi. Comunque vadano le cose, questo sarà un ottimo inizio. Considerate

la persona che vi sta davanti come la più importante in assoluto, il compito che state

svolgendo come il più meritevole di attenzione, il luogo in cui vi trovate ora come l’unico

degno di attenzione, in questo momento (a meno che non stiate pianificando le vacanze).

Quando spegnete il computer e andate al parco con i vostri figli, o al bar con gli amici,

lasciate il telefono in tasca e godetevi la compagnia delle persone care. Disattivate le

notifiche per e-mail, facebook, twitter eccetera. Concentratevi sul momento presente e

sulle persone che si trovano con voi. Al web e ai social network potrete dedicare un’altra

fetta del vostro tempo, durante il quale sarete completamente concentrati.

IN PRATICA

La scimmia irrequieta respira trentadue volte al minuto,

a differenza dell’uomo, che respira in media diciotto volte.

L’elefante, la tartaruga e altri animali noti per la loro longevità

hanno un ritmo respiratorio inferiore a quello umano.

Paramhansa Yogananda5

Linda Stone6, scrittrice e consulente americana che ha occupato posti di responsabilità

presso Apple e Microsoft, ha notato e iniziato a studiare un fenomeno curioso: quando

leggiamo un messaggio (sms, e-mail, whatsapp, eccetera) respiriamo in modo più

superficiale. In alcuni casi siamo addirittura in apnea.

La respirazione è il ponte che collega il corpo alla mente. Quando è fluida, questi due

aspetti del nostro essere sono in armonia. Quando si fa affannata, si allontanano sempre

più.

Da bambini siamo profondamente ancorati nel nostro corpo: i piccolissimi esplorano il

mondo attraverso i cinque sensi. Più cresciamo, più ci ancoriamo nella mente,

“sganciando” sempre più il corpo come un’inutile zavorra.

5 Paramhansa Yogananda, “Autobiografia di uno yogi”, Ananda Edizioni, 2010 6 http://lindastone.net/

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Lungi dall’impedirci di spiccare il volo, il corpo risulta utile quando abbiamo bisogno di

rimanere “con i piedi per terra”, e la respirazione può aiutarci a riprendere confidenza con

il nostro tanto trascurato involucro fisico.

La soluzione? Essere consapevoli della nostra respirazione e, se necessario, praticare

alcuni esercizi di respirazione profonda per bilanciare il tempo trascorso in apnea davanti

ai nostri dispositivi elettronici.

OBIETTIVI E PRIORITÀ

Procuratevi un taccuino o un quaderno che vi accompagnerà durante il vostro percorso.

Fate delle liste. Elencate i vostri obiettivi, sui quali lavorerete uno o due alla volta. Elencate

gli obiettivi a medio e lungo termine. In un’altra pagina elencate le vostre passioni, tutto ciò

che vi sta a cuore, ciò che vi rende felici.

Su un foglio a parte (staccato dal taccuino) elencate tutte le cose che avete da fare.

Confrontate questa lista con quelle precedenti e riproponetevi di eliminare tutto ciò che

non combacia con i vostri obiettivi o con le vostre passioni. Scremate la vostra lista, poi

scrivetela sul vostro taccuino in ordine di priorità. Se necessario, scrivete anche le attività

che intendete eliminare e i passaggi necessari per riuscire a farlo. Ci saranno compiti

ingrati che dovrete accollarvi comunque ma molti di essi possono essere delegati,

modificati o addirittura eliminati.

Una volta stabilita la vostra list, createne una versione giornaliera, una settimanale e una

mensile.

Come fare? Nel suo libro «The Power of Less», Leo Babauta propone una semplice

tecnica in 4 passi:

1. Stabilite un obiettivo. Quanti ne avete nella vostra lista? Dieci? Venti? Sceglietene

uno, e concentratevi su di esso finché non l’avrete raggiunto.

2. Obiettivo mensile. Una volta stabilito l’obiettivo, tagliatelo a pezzettini. Definite cioè

alcune tappe che dovrete raggiungere per poter arrivare al vostro obiettivo finale. Fin dove

potreste arrivare in un mese? Concentratevi su questa tappa per i prossimi trenta giorni.

3. Obiettivo settimanale. Spezzettate ancora, e prefissatevi un obiettivo settimanale.

4. Azione quotidiana. Definite un’azione quotidiana che vi porti verso il vostro

obiettivo settimanale. Occupatevene per prima cosa, ogni giorno. Completatene

l’esecuzione prima di passare a qualsiasi altra cosa.

Quanti obiettivi contiene la vostra lista? Sceglietene tre. I tre più importanti. Questa è la

vostra TOP LIST. Scrivete questi tre obiettivi su una pagina del vostro quaderno e i

rimanenti su un’altra. Non passerete a quelli della seconda pagina prima di aver

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completato tutti quelli presenti nella prima. Se si tratta di obiettivi a lungo termine divideteli

in tappe di un mese, procedendo come illustrato sopra.

FARE SPAZIO

La casa non dovrebbe essere causa di preoccupazioni o di lavoro extra.

Non dovrebbe essere un peso, un fardello da portare.

Al contrario, dovrebbe essere il luogo nel quale ci ricarichiamo.

(Dominique Loreau – L’arte della semplicità)

Certi giorni il mondo là fuori può essere una vera e propria giungla. Che cosa vorremmo

trovare, una volta rientrati a casa? La pace! La nostra casa dovrebbe essere la nostra oasi

di pace e di bellezza. Se poi è anche il nostro luogo di lavoro, questi aspetti diventano

ancora più importanti.

Ogni oggetto che possediamo costituisce una perdita di tempo, di spazio e probabilmente

di denaro. Quando facciamo spazio nella nostra casa o nel nostro ufficio, facciamo spazio

anche nella nostra mente. Non dovremo più occuparci degli oggetti di cui ci siamo liberati

e potremo dedicarci ad altro.

Mettere ordine tra le nostre cose significa averne il controllo. Nel caos non possiamo che

annaspare e, per quanto ci siano persone perfettamente organizzate nel loro caos

personale, guadagnerebbero anch’esse in termini di tempo e di produttività in un ambiente

minimalista e ordinato.

Organizzate quindi i vostri spazi: risparmierete un sacco di spazi e di fatica. Se avete

bisogno di liberarvi del superfluo potete leggere il best seller di Marie Kondo «Il magico

potere del riordino», che vi aiuterà a fare spazio non solo nelle vostre case, ma anche

nelle vostre vite.

LE NOTIFICHE

«Su twitter c’è sempre qualcosa di più interessante di quello su cui state lavorando»

David Carr.

Se lavorate ininterrottamente per un paio d’ore, vi perderete un sacco di notizie utili,

divertenti e/o interessanti. Ma se volete portare a termine il vostro compito, qualunque

esso sia, dovete rinunciare all’onniscienza. Ci sono molte cose che ignorerete. Ma

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riuscirete a svolgere il vostro lavoro in modo impeccabile. Non vi basta come motivazione?

Lo state facendo per il vostro cervello, per preservare la vostra capacità di concentrazione.

Così suona molto meglio, vero?

Ogni notifica è un’interruzione del pensiero. Facebook, twitter, e-mail, whatsapp, solo per

citare i principali, ci interrompono mentre lavoriamo, minando la nostra concentrazione e di

conseguenza la nostra produttività.

Se avete difficoltà a controllarvi, stabilite degli orari prefissati per dedicarvi alle e-mail e

alle attività sui social network. Due, tre, quattro volte al giorno, o anche di più, in base alle

vostre necessità. Ma fissate anche dei limiti. Questi sono alcuni esempi che potrete

adottare o adattare alle vostre esigenze:

Mai prima di colazione, né dopo cena (o dopo aver recuperato i bambini a scuola,

se ne avete e se potete permettervi questo lusso).

Non buttatevi sullo smartphone o sul computer appena scesi dal letto (o, peggio

ancora, PRIMA di scendere dal letto).

Non dormite con il telefono vicino al letto. Non dormite con il telefono in camera.

Come dite? Lo usate come sveglia? Ebbene, compratevi una sveglia. Al mattino,

concedetevi qualche respiro profondo davanti alla finestra spalancata e un buon

caffè, prima di tuffarvi a capofitto nel web.

Lo stesso vale per la sera. A meno che essere reperibili fino a tardi non faccia parte del

vostro lavoro, stabilite un orario oltre il quale smetterete di controllare e-mail e messaggi

vari.

Se siete abituati a controllare in continuazione, potrebbe essere difficile resistere. Il che

dimostra la necessità di farlo. Si tratta di un comportamento compulsivo che non riuscite

più a controllare e dovete riprendere in mano le redini.

Andate in rete quando decidete di connettervi, non quando ve lo dice il vostro smartphone,

interrompendovi mentre siete impegnati in altre attività. Stabilite delle regole (le vostre

regole, nessuno vi impone nulla) e fate di tutto per rispettarle. Migliorerete la vostra

produttività e la vostra salute mentale.

Se dovesse venirvi in mente una cosa importantissima che dovete controllare sul web e

che potrebbe sfuggirvi di mente, appuntatela su un taccuino e passate oltre.

Quando navigate in rete, non serve a niente avere mille pagine aperte nel vostro bowser.

Volete leggere questo articolo più tardi, o preparare quella ricetta quella sera? Bene,

aggiungetela ai preferiti, o utilizzate strumenti come evernote7 per tenere traccia di ciò che

volete conservare. Aprite solo la pagina che state utilizzando. Se anche avete disattivato

le notifiche, la vostra casella di posta così come quasi tutti i social network, vi avvertirà con

un numerino quando c’è qualcosa di nuovo da leggere. Questo richiederà una certa dose

di forza di volontà per evitare di andare subito a controllare, e se anche doveste resistere,

passereste la metà del vostro tempo a chiedervi di che cosa si trattava.

7 Evernote è un database virtuale sul quale potrete annotare qualsiasi cosa e salvare link da leggere in seguito.

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Se avete un compito da portare a termine, aprite solo quello: che sia una pagina web, un

file word, una tabella excel o quant’altro. Fate pulizia, siate minimalisti: occupatevi solo

dell’essenziale.

Se vi accorgete di non riuscire a rispettare queste semplici regole, potete affidarvi ad

alcune applicazioni create a questo scopo. Nel suo e-book «Digital detox» Alessio Carciofi

cita Rescue Time, Moment, iDont e altre app utili.

GESTIRE LA POSTA ELETTRONICA

Quando parlo di posta elettronica mi riferisco non solo alle e-mail ma anche a tutti i

messaggi sui vari social network. Dateci un’occhiata veloce: alcuni possono essere

cestinati senza nemmeno essere letti. Personalmente, cancello senza nemmeno aprirle

tutte le e-mail che non sono dirette a me personalmente ma che iniziano con “Cara

blogger”, “Cari colleghi” o, peggio, con il terribile “Cari tutti”.

Poi ci sono le varie newsletter. Disiscrivetevi da quelle che non vi interessano più. In

genere c’è un apposito link in fondo alla mail, in caso contrario basterà etichettarle come

spam.

Quando leggete un messaggio, decidete subito se eliminarlo o se rispondere. Se avete

scelto questa opzione, cercate di farlo subito. Se la cosa richiede tempo, create nella

vostra casella e-mail un’apposita cartella che tornerete a consultare più tardi.

UNA COSA ALLA VOLTA

Del multitasking abbiamo già parlato. Per quanto ci siano persone che affermano in tutta

onestà di essere capaci di svolgere più compiti contemporaneamente, vale senz’altro la

pena di tentare questa strada. Concentrarsi a fondo su un unico compito dà grande

soddisfazione. Non solo, permette di portarlo a termine nel migliore dei modi senza stress.

Certo, all’inizio non sarà facile resistere alla tentazione di sbirciare il telefono o la posta

elettronica, ma se tenete duro per qualche giorno noterete la differenza. Essere

profondamente concentrati e assorti in quello che si sta facendo ci porta ad uno stato

quasi meditativo, con grande beneficio sia sullo svolgimento del lavoro che sulla nostra

mente.

Non irritatevi se, all’inizio, vi riesce difficile concentrarvi. La concentrazione è come un

muscolo, per rinforzarsi deve essere allenata. Se la vostra mente è abituata a saltare da

una notifica all’altra, ci vorrà un po’ di tempo per aiutarla ad acquisire un ritmo più rilassato

(e rilassante). Quando vi accorgete che il vostro cavallo sta andando per i fatti suoi,

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semplicemente prendete in mano le redini e riportatelo sulla retta via. Poco per volta

imparerà a rimanerci.

Concedetevi delle pause prestabilite (se necessario puntate un timer) durante le quali

potrete fare due passi, qualche addominale o un po’ di stretching, o semplicemente

prendere un caffè. Approfittatene per fare un giro sui social network e per controllare la

vostra casella di posta elettronica, ma rispettate un tempo prestabilito.

Anche nel cambiare le vostre abitudini, non dimenticate di fare una cosa alla volta. Se

decidete di cambiare completamente dall’oggi al domani avrete grandi difficoltà,

probabilmente fallirete nel vostro intento e vi sentirete degli incapaci. Fissatevi un obiettivo

alla volta ed inseritelo nella vostra lista. Quando da obiettivo si sarà trasformato in

abitudine, passate alla tappa successiva.

IMPARARE A DIRE NO

Ogni decisione dovrebbe essere dettata dal cuore o dalla necessità. Ci sono cose che

facciamo controvoglia ma che fanno parte del nostro dovere. Ce ne sono altre che

facciamo perché ne siamo convinti e felici. E poi ci sono cose che facciamo perché… non

abbiamo saputo dire di no.

Partecipare ad un evento che non ci interessa perché quel collega ha insistito tanto,

accettare (ancora!) un’ora di straordinari per fare buona impressione al capo, studiare

giurisprudenza per compiacere i genitori. Non c’è niente di male nell’accettare di fare gli

straordinari se il motivo è, ad esempio, mettere da parte i soldi per un viaggio. Né nel

partecipare ad un evento al quale siamo totalmente estranei, se abbiamo voglia di

cambiare un po’ aria.

Ma fare le cose perché, semplicemente, non si è stati capaci di dire di no, è un incredibile

spreco di tempo, oltre che un’enorme fonte di frustrazione. Non è detto che da una cosa

fatta controvoglia, perché ci si sentiva obbligati, non nasca una bella opportunità. Ma

dovremmo essere in grado di rispettare noi stessi, di farci rispettare e di far valere le

nostre ragioni.

Spesso chi non sa dire no ha anche difficoltà ad accettare i “no”. Se vediamo il rifiuto di

accontentare una nostra richiesta come un rifiuto della nostra persona, applicheremo lo

stesso principio anche agli altri, e saremo incapaci di dire no alle persone che amiamo o

dalle quali dipendiamo.

Ma il nostro tempo non è inesauribile, e spesso abbiamo grandi difficoltà a far quadrare

tutti gli impegni e a ritagliarci qualche ora da passare in famiglia o con gli amici. Non

sprechiamolo. Non vi sto dicendo di diventare egoisti. Accompagnare la vostra migliore

amica a scegliere il vestito da sposa quando siete appena state scaricate può essere un

atto di generosità. C’è differenza fra generosità e incapacità di affermarsi. Chiedetevi

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sempre perché state per dire “sì”. Lo fate per amore? Va bene. Lo fate perché vi sentite

obbligati? Allora è la risposta sbagliata. Il nostro tempo – dice Babauta8 – è il nostro bene

più prezioso. Ed è limitato. Gestiamolo efficacemente, amministrandolo con il cervello e

con il cuore.

Come raggiungere quello che Dominique Loreau definisce «un sano equilibrio tra

prendere al volo ogni opportunità che si presenta e rimanere seduti a far niente»?

Investendo le vostre energie esclusivamente su ciò che conta davvero per voi: che si tratti

di un’acquisizione materiale, di un impegno professionale o di una decisione familiare,

chiedetevi sempre se quello che state facendo merita il vostro investimento in termini di

tempo/denaro/energia, e quali sarebbero le conseguenze se vi rinunciaste. Non si tratta di

“gettare la spugna” ma di consacrare il proprio tempo a ciò che conta davvero, a ciò che ci

porta verso i nostri obiettivi principali.

Le filosofie orientali parlano di “non attaccamento”, il che non significa – come potremmo

erroneamente immaginare con le nostre mentalità occidentali - non curarsi di nulla e di

nessuno ma, al contrario, avere un atteggiamento equanime nei confronti di tutte le

creature e tutte le situazioni. Un traguardo difficile da raggiungere. Un percorso che può

richiedere non una ma addirittura più vite. Possiamo però fare ogni giorno un passo in

quella direzione. Ma perché, vi starete chiedendo, coltivare il non attaccamento?

Perché non attaccamento significa libertà. Chi dipende dagli altri, scrive la Loreau, è un

mendicante. Se misuriamo il nostro valore in base ai nostri successi professionali, allo

status sociale che abbiamo raggiunto o ai beni materiali che possiamo permetterci, siamo

estremamente fragili e, privati di queste cose, abbiamo la sensazione di non valere nulla.

Siamo in balìa degli eventi e la crisi economica può intaccarci non solo nel portafogli ma

anche nell’autostima.

Se viaggiate con il minimo indispensabile vi muovete agevolmente e senza fatica. Se vi

portate dietro un bagaglio ingombrante, ogni passo sarà una fatica immensa.

DIGITAL DETOX

Nell’era dell’overdose digitale prende piede la moda del digital detox. E nei locali pubblici

si alternano i cartelli «Wi-Fi Zone» e quelli «Non abbiamo il Wi-Fi: parlate tra di voi». Può

senz’altro essere utile prendersi una pausa, magari durante le vacanze o durante il fine

settimana. Potrete anche stabilire un giorno a settimana durante il quale decidete di non

connettervi affatto. Per molti di noi sarà una vera e propria sofferenza: siamo abituati ad

un flusso costante di notizie e ci sembra di averne bisogno9. In realtà la maggior parte

delle informazioni dalle quali siamo bombardati ogni giorno sono completamente inutili. Le

altre, salvo rarissime eccezioni, possono tranquillamente attendere 24 ore.

8 Leo Babauta, “The Power of Less” – Hyperion 2009 9 Il fenomeno si chiama FOMO (Fear Of Missing Out, ovvero paura di perdersi qualcosa) ed è stato oggetto di studio da parte del Wilderness & Environmental Medicine Journal, n. 4, 2013

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Claudia Porta Blogger, autrice, insegnante di yoga, meditazione e mindfulness. Insegno dal vivo ma anche tramite video-lezioni su youtube e attraverso l'app iOS 10minyoga. BLOG FACEBOOK TWITTER YOUTUBE APP