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CAPITOLO V ESSERE SEGNO TRASPARENTE DEL BUON PASTORE Sommario: 1. Presentazione.- 2. Segno del Buon Pastore: rapporto personale, sequela, trasparenza.- 3. La carità pastorale.- 4. La fisionomia e le virtù concrete del Buon Pastore.- 5. Santità e linee di spiritualità sacerdotale.- 6. Guida pastorale.- 7. Orientamento bibliografico. 1. PRESENTAZIONE Per prolungare la sua missione, Cristo chiamò coloro che avrebbero condiviso con Lui anche la sua esistenza e il suo amore. L'identità del sacerdote (e dei ministri consacrati), come esperienza vissuta della sua partecipazione all'essere e alla missione di Cristo Sacerdote, si manifesta in modo speciale nell'essere segno trasparente del Buon Pastore. Le persone consacrate partecipano a questa sequela evangelica degli Apostoli, come segno radicale (professione) dell'amore di Cristo Sposo. «Coloro che attualmente seguono Gesù abbandonando tutto per Lui, rievocano gli Apostoli che, rispondendo al suo invito, rinunciano a tutto il resto. Perciò tradizionalmente si è soliti parlare della vita religiosa come di "apostolica vivendi forma"» (VC 93). La testimonianza di carità pastorale, che è parte integrante dell'evangelizzazione, richiede un rapporto personale con Cristo, sequela e imitazione dei suoi atteggiamenti di Buon Pastore. «In forza della loro consacrazione, i presbiteri sono configurati a Gesù Buon Pastore e sono chiamati a imitare e a rivivere la sua stessa carità pastorale» (PDV 21). Ogni apostolo di vita consacrata e ogni sacerdote «è chiamato a farsi epifania e trasparenza del buon Pastore che dà la vita» (PDV 49). Se per sacerdozio ministeriale e per vita consacraaata s'intendesse solamente l'esercizio di alcuni poteri e

Compartir en Cristo · Web view«Il ministero gerarchico, segno sacramentale di Cristo pastore e capo della Chiesa, è il principale responsabile dell'edificazione della Chiesa in

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CAPITOLO VPRIVATE

ESSERE SEGNO TRASPARENTE

DEL BUON PASTORE

Sommario: 1. Presentazione.- 2. Segno del Buon Pastore: rapporto personale, sequela, trasparenza.- 3. La carità pastorale.- 4. La fisionomia e le virtù concrete del Buon Pastore.- 5. Santità e linee di spiritualità sacerdotale.- 6. Guida pastorale.- 7. Orientamento bibliografico.

1. PRESENTAZIONE

Per prolungare la sua missione, Cristo chiamò coloro che avrebbero condiviso con Lui anche la sua esistenza e il suo amore. L'identità del sacerdote (e dei ministri consacrati), come esperienza vissuta della sua partecipazione all'essere e alla missione di Cristo Sacerdote, si manifesta in modo speciale nell'essere segno trasparente del Buon Pastore.

Le persone consacrate partecipano a questa sequela evangelica degli Apostoli, come segno radicale (professione) dell'amore di Cristo Sposo. «Coloro che attualmente seguono Gesù abbandonando tutto per Lui, rievocano gli Apostoli che, rispondendo al suo invito, rinunciano a tutto il resto. Perciò tradizionalmente si è soliti parlare della vita religiosa come di "apostolica vivendi forma"» (VC 93).

La testimonianza di carità pastorale, che è parte integrante dell'evangelizzazione, richiede un rapporto personale con Cristo, sequela e imitazione dei suoi atteggiamenti di Buon Pastore. «In forza della loro consacrazione, i presbiteri sono configurati a Gesù Buon Pastore e sono chiamati a imitare e a rivivere la sua stessa carità pastorale» (PDV 21). Ogni apostolo di vita consacrata e ogni sacerdote «è chiamato a farsi epifania e trasparenza del buon Pastore che dà la vita» (PDV 49).

Se per sacerdozio ministeriale e per vita consacraaata s'intendesse solamente l'esercizio di alcuni poteri e l'attuazioni di alcuni obblighi, dimenticando le esigenze di sintonia con i sentimenti di Cristo, si correrebbe il rischio di diventare un semplice professionista.

La santità e spiritualità sacerdotale e di vita apostolica (cap. I, n.6) consiste nella carità pastorale. Il Buon Pastore conosce le sue pecore, le guida, le accompagna, le ama e dà la vita per loro (cfr. Gv 10). Essere trasparenza e «strumento vivo di Cristo Sacerdote» (PO 12) comporta una spiritualità o «ascetica propria del pastore di anime» (PO 13). Solamente con questa prospettiva si può percepire il fatto che la santità del sacerdote si realizza «in modo proprio, compiendo sinceramente e senza sosta i suoi ministeri nello Spirito di Cristo» (ibidem).

Il dono del sacerdote ministeriale si riceve così com'è; non consiste, dunque, in un diritto e, meno ancora, in un modo di vivere che serva a soddisfare alcuni interessi personali. Il sacerdote non appartiene a se stesso; è stato chiamato per essere segno di come ama il Buon Pastore. Dio dà il dono della vocazione nella misura in cui veda nella comunità ecclesiale questo segno di Cristo come «massima testimonianza dell'amore» (PO 11). La comunità ecclesiale ha bisogno di questo segno che è parte integrante della sacramentalità della Chiesa, in funzione dello sviluppo armonico degli altri segni, vocazioni, ministeri e carismi (LG 18; PO 9).

Il segno del Buon Pastore, come trasparenza della sua carità, non ammette riduzioni nella santificazione e nella missione. I dodici Apostoli furono chiamati ad abbandonare tutto per condividere la vita con Cristo e per evangelizzare senza frontiere. I successori degli Apostoli, cioè, i vescovi, con i loro immediati collaboratori (i presbiteri) hanno ricevuto la stessa chiamata.

In ogni Chiesa particolare i sacerdoti ministri devono rappresentare il modello di ogni vita apostolica di sequela radicale di Cristo Buon Pastore.

2. SEGNO DEL BUON PASTORE:

RAPPORTO PERSONALE, SEQUELA, TRASPARENZA

Nella Chiesa sacramento, ogni vocazione fa della persona chiamata un segno o espressione di Cristo. Il sacerdote ministro è segno di Cristo capo, Sacerdote e Buon Pastore, fino al fatto di potere agire nel suo nome o nella sua persona (PO 2,6,12). Cristo ha eletto gli Apostoli per prolungare in essi, in modo specifico, la propria realtà sacerdotale: «Sono stato glorificato in loro» (Gv 17,10). Il sacerdote, sotto l'azione dello Spirito Santo ricevuto nel sacramento dell'ordine, è gloria o epifania di Cristo (Gv 16,14), suo profumo (2Cor 2,15), suo testimone (Gv 15,27; At 1,8). «Pertanto i presbiteri sono chiamati a prolungare la presenza di Cristo, unico e sommo pastore, attualizzando il suo stile di vita e facendosi quasi sua trasparenza in mezzo al gregge loro affidato... sono nella Chiesa e per la Chiesa una ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo Capo e Pastore» (PDV 15).

Sulla base di questa idea e realtà di segno e in rapporto alla sacramentalità della Chiesa, si potrebbe riassumere il decreto conciliare Presbyterorum Ordinis dicendo che il sacerdote ministro è:

-- Segno di Cristo Sacerdote, capo e Buon Pastore, in quanto partecipa della sua stessa consacrazione e missione per agire in suo nome (PO 1‑3).

-- Segno della sua parola, sacrificio, azione salvifica e pastorale in un equilibrio di funzioni (PO 4‑6).

-- Segno di comunione ecclesiale con il vescovo (PO 7), con gli altri sacerdoti (PO 8), con tutto il popolo di Dio (PO 9).

-- Segno di carità universale e massima testimonianza dell'amore (PO 10‑11).

-- Segno vivente di sintonia con i sentimenti e gli atteggiamenti del Buon Pastore, come suo strumento vivo (PO 12‑14).

-- Segno delle sue virtù (obbedienza, castità, povertà) come concretizzazione della carità pastorale (PO 15‑17).

-- Segno costantemente rafforzato dai mezzi comuni e specifici di santificazione e di azione pastorale (PO 18‑21).

Questa realtà di segno è ontologica (come partecipazione nell'essere di Cristo), relazionale ed esistenziale (come rapporto personale, sequela e imitazione). Essere «strumento vivo di Cristo» (PO 12) indica un'efficacia e una trasparenza, in modo simile al fatto che tutta la Chiesa è sacramento, cioè, segno trasparente e portatore di Cristo. «Il ministero gerarchico, segno sacramentale di Cristo pastore e capo della Chiesa, è il principale responsabile dell'edificazione della Chiesa in comunione e della dinamicità della sua azione evangelizzatrice» (Puebla 659).

Il rapporto personale con Cristo è amicizia profonda con Lui, resa esplicita specialmente nel comportamento o dialogo di preghiera (cfr. cap. IV,6). La vocazione sacerdotale nasce dall'amore che Cristo manifesta «verso i suoi» (Gv 13,1; 15,9. 13‑14; Mc 3,13; 10,21). «Il riferimento a Cristo è allora la chiave assolutamente necessaria per la comprensione delle realtà sacerdotali» (PDV 12). «Proprio per poter svolgere fruttuosamente il ministero pastorale, il sacerdote ha bisogno di entrare in una particolare e profonda sintonia con Cristo Buon Pastore, il quale, solo, resta il protagonista principale di ogni azione pastorale» (Dir. 38)

È un'amicizia che si può e si deve vivere non come un'idea o come ricordo di una persona che già è passata, ma che diventa rapporto intimo con Cristo risuscitato, presente: «rimarrò con voi» (Mt 28,20); «Egli vive» (At 25,19). I sacerdoti «non sono mai soli nel compimento del loro lavoro» (PO 22). La carità pastorale che dona la vita è possibile solamente a partire da questo rapporto personale con Cristo, reso visibile nel «colloquio quotidiano» con Lui (PO 18).

La carità pastorale è sequela di colui che ha deciso di condividere la sorte di Cristo (Gv 11,16) e di bere il suo calice (Mc 10,38). È la partecipazione al suo mistero pasquale, al passare da questo mondo al Padre, facendo sì che tutto sia guidato dall'amore.

Il Buon Pastore è vissuto senza appartenersi (fu obbediente), dando se stesso (fu povero) e condividendo l'esistenza di ogni essere umano come proprio consorte (fu casto e vergine).

Il Buon Pastore chiamò i suoi perché fossero segno e trasparenza di come Lui ama. La santità sacerdotale si esprime in questa trasparenza, attraverso una vita di carità resa concreta nella povertà (Lc 9,57‑62), obbedienza (Mt 12,50) e castità (Mt 19,12).

«Come ha fatto il Buon Pastore, vanno davanti alle pecore; danno la vita per loro affinché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza; le conoscono e sono da loro conosciuti» (Puebla 681).

Le esperienze di vita o l'amore di Cristo, che devono farsi visibili nei suoi ministri, possono ridursi a tre: gli interessi o gloria del Padre (Gv 17,4), la salvezza di tutti gli uomini (Gv 10,16), dando la vita in sacrificio (Gv 10,11.17) . Questa carità si traduce a livello pratico in conoscenza impegnata della realtà nella quale vivono i fratelli, condividendo con loro l'esistenza e guidandoli nel cammino di salvezza (Gv 10,3ss.). In tal modo il Buon Pastore, per mezzo dei suoi ministri, continua a comunicare una vita nuova o vita eterna (Gv 10,10; 17,2‑3). «Poiché eravate come pecore smarrite; però adesso siete ritornati al pastore e custode delle vostre anime» (1Pt 2,25).

La debolezza del segno ecclesiale (anche nel caso del sacerdote ministro) viene superata dalla presenza, amore e forza di Cristo risuscitato (2Cor 4,7; 12,10). La coscienza della propria debolezza e della grazia di Cristo rende possibile un'atteggiamento di fedeltà che trasforma il sacerdote in testimone, trasparenza e segno efficace. «Dio preferisce far conoscere le proprie meraviglie per mezzo di coloro che, più docili all'impulso e all'ispirazione dello Spirito Santo, dovuto alla loro intima unione con Cristo e la santità della loro vita, possono dire con l'apostolo: Non sono io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 4,10) (PO 12).

Il sacerdote, come segno del Buon Pastore, diventa disponibile all'incontro con i fratelli per trasmettere loro il messaggio di salvezza. «Conoscere le pecore ed essere conosciuti da loro non si limita a conoscere le necessità dei fedeli. Conoscere è lasciarsi coinvolgere, amare come colui che è venuto non per essere servito, ma per servire» (Puebla 684). La sua vita è come quella del Signore: «è passato facendo del bene» (At 10,30).

3. LA CARITÀ PASTORALE

La santità o perfezione cristiana consiste nella carità (cfr. LG V). La santità o perfezione sacerdotale consiste nella carità pastorale. I sacerdoti «adempiendo il compito di Buon Pastore, nello stesso esercizio della carità pastorale incontreranno il legame della perfezione sacerdotale, che porti all'unità la loro vita e la loro azione» (PO 14). La loro spiritualità o ascesi è quella propria del «pastore di anime» (PO 13).

La carità del Buon Pastore (cfr. cap. II,2) è il punto di riferimento di tutta la spiritualità sacerdotale (cfr. LG 41). «Il principio interiore, la virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a Cristo Capo e Pastore è la carità pastorale, partecipazione della stessa carità pastorale di Gesù Cristo: dono gratuito dello Spirito Santo, e nella stesso tempo compito e appello alla risposta libera e responsabile del presbitero» (PDV 23). La vita sacerdotale e consacrata è «comunione sempre più profonda con la carità pastorale di Gesù» (PDV 57).

È carità che pensa agli interessi o gloria di Dio (linea verticale o ascendente) e ai problemi degli uomini (linea orizzontale). L'equilibrio tra queste due linee si trova nella missione e nell'atteggiamento di dare la vita (linea missionaria).

Per il sacerdote ministro questa carità è un dono di Dio (linea discendente). Perciò si crea un'unità di vita personale e ministeriale alla luce della missione ricevuta. «Tale unità di vita non può raggiungerla né la semplice disposizione esterna delle opere del ministero, né, per molto che contribuisca a svilupparla, la sola pratica degli esercizi di pietà. Possono, però, costruirla i presbiteri se nel compimento del loro ministero seguiranno l'esempio di Cristo, il cui cibo era fare la volontà di colui che lo ha mandato perché realizzasse la sua opera» (PO 14). «La carità pastorale costituisce il principio interiore e dinamico capace di unificare le molteplici e diverse attività pastorali del presbitero» (Dir. 43).

ascendente (verticale)

missionaria --- orizzontale

discendente

I modelli di carità pastorale proposti dal Signore si trovano nei momenti iniziali della vocazione apostolica (Mt 4,19‑22), nell'invio o missione per evangelizzare (Mt 10; Lc 10), nella descrizione che Gesù fa di se stesso come Buon Pastore (Gv 10; Lc 15,1‑7) e nella preghiera sacerdotale (Gv 17). Gesù esamina sull'amore per affidare la missione di pascere (Gv 21,15‑19).

Pietro e Paolo hanno vissuto queste linee pastorali trasmettendole ai loro collaboratori nella missione apostolica (At 20,17‑38; Gal 4,19; 1Pt 5,1‑4; lettere a Timoteo e a Tito). Sono linee che comprendono sia la vita che il ministero sacerdotale:

-- Linea sponsale: condividere la vita di Cristo.

-- Linea pasquale: raggiungere con Cristo l'ora del Padre o del suo progetto di salvezza attraverso l'offerta di se stesso.

-- Linea totalizzante di generosità evangelica: sequela radicale.

-- Linea di missione universale: disponibilità missionaria.

-- Linea di audacia gioiosa e perseveranza, di croce e di martirio, «anche se amando di più, sarà meno amato» (2Cor 12,15).

Vivendo queste linee della carità pastorale, la vita del sacerdote diventa segno credibile. L'azione pastorale, poiché è prolungamento di Cristo, esige di dare testimonianza di come lui ha amato: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi (guardiani o responsabili) a pascere la Chiesa di Dio, che Egli si è acquistata con il suo sangue» (At 20,28). «Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza, ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate» (1Pt 5,2-3). «Egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto» (Is 40,11).

Nella carità pastorale si rende visibile la consacrazione e missione partecipata di Cristo, che coinvolge tutta la vita della persona. «Al reggere e pascolare il popolo di Dio, si sentono mossi dalla carità del Buon Pastore a dare la loro vita per le loro pecore, disponibili anche al sacrificio supremo, secondo l'esempio dei sacerdoti che, anche ai nostri giorni, non hanno rifiutato di dare la loro vita» (PO 13).

La carità pastorale non sarebbe possibile senza il rapporto personale con Cristo nella preghiera e soprattutto nella celebrazione eucaristica. «Questa carità pastorale deriva, certamente, soprattutto, dal sacrificio eucaristico che è, perciò, centro e radice di tutta la vita del presbitero, affinché l'anima sacerdotale si sforzi nel riprodurre in se stessa ciò che si fa sull'altare del sacrificio. Però ciò non si può ottenere se i sacerdoti stessi non si addentrano, attraverso l'orazione, sempre più intimamente nel mistero di Cristo» (PO 14).

È lo Spirito Santo con i suoi doni colui che rende possibile la carità apostolica. Il carattere e la grazia sacramentale aiutano a «compiere perfettamente l'impegno della carità pastorale» (LG 41). Nonostante le sue debolezze, è sempre possibile rivitalizzare la grazia dello Spirito Santo ricevuta nel sacramento dell'ordine (2Tm 1,6; Rm 8,35‑37).

L'atteggiamento del donare la vita riassume tutta l'esistenza del Buon Pastore. Per potere trasmettere l'«acqua viva» (Gv 4,10) o la «nuova nascita» (Gv 3,3), Gesù ha versato il suo sangue (Gv 19,34‑37), che è pegno dello sposalizio o alleanza nuova (Lc 22,20). La fecondità apostolica si fonda in questa dedizione sponsale. «Il Signore morì in croce per le anime; onore, beni, fama e la sua stessa Madre abbandonò per adempiere con loro; e così colui che non mortificasse i suoi interessi, onore, agiatezza, affetti di parenti e non assumesse la mortificazione della croce, pur avendo delle buone intenzioni nei loro cuori, i figli potranno essere pronti per il parto, ma non si avranno forze per riceverli» (San Giovanni di Avila, sermone 81).

Il ministero pastorale diventa trasparenza della carità del Buon Pastore nella misura in cui si trasformino le difficoltà in dono. La teologia della croce, specialmente nel sacerdote, consiste nel trasformare la sofferenza e il lavoro in amore.

La carità pastorale è cammino di pasqua, per potere condividere la stessa sorte di Cristo (Mc 10,38; Gv 13,1). In tal modo si completa e prolunga la vita, passione, morte e glorificazione del Signore, affinché la vita di Cristo sia realtà in molti cuori (cfr. Col 1,24).

Questa fecondità apostolica è paragonabile a una maternità o paternità (cfr. Gal 4,19; 1Ts 2,7‑11; 1Cor 4,15). Fu Gesù stesso che usò il paragone della maternità dolorosa e feconda come espressione della vita dell'apostolo (Gv 16,20‑22). Quando san Paolo si paragona a una madre, che con il suo dolore rende possibile la nascita di Cristo nel cuore dei fedeli (Gal 4,19), colloca questo messaggio nel contesto della maternità di Maria (Gal 4,4‑7) e della Chiesa (Gal 4,19). «È necessario, ancora una volta, riflettere su questa verità misteriosa della nostra vocazione: questa paternità nello spirito, che a livello umano è simile alla maternità... Si tratta di una caratteristica della nostra personalità sacerdotale, che precisamente esprime la sua maturità apostolica e la sua fecondità spirituale» (Giovanni Paolo II, lettera del giovedì santo, 1988, n.4).

La carità pastorale diventa cammino di pasqua seguendo «l'ora del Padre» (Gv 2,4; 5,28; 7,3. 30; 8,20; 12,23‑27; 13,1). Affinché tutta l'umanità passi ai progetti di salvezza voluti dal Padre, si ha bisogno della vita pasquale immolativa del Buon Pastore, come un chicco di grano che muore nel solco per dare frutti (Gv 12,24‑32). Cristo Sacerdote e Vittima ha voluto che i suoi sacerdoti ministri siano partecipi di questo atteggiamento sacerdotale immolativo.

La vita sacerdotale, proprio per l'atteggiamento di carità pastorale, è vita martiriale. Dare testimonianza di Cristo prevede soffrire per Lui, con Lui e come Lui (Mt 10,18). La vita diventa martirio o testimonianza solamente quando lascia trasparire l'amore e il perdono di Cristo (Lc 23,24; At 7,60).

Far propria la vita dei fratelli come se fosse parte della propria esistenza, a imitazione di Cristo (Gv 1,14), suppone trasformare la propria vita in dono. La massima espressione di questo atteggiamento pastorale si compie con la morte. Però è nell'attività di ogni giorno che il sacerdote prepara e compie questa immolazione: «Ogni giorno io affronto la morte» (1Cor 15,31). La vita e la morte del Buon Pastore (e quella dei suoi) assume l'esistenza, le gioie e le speranze, le sofferenze e la morte di tutta l'umanità (cfr. GS 1).

Tutti i momenti della vita sacerdotale sono di grande importanza, come «vita nascosta con Cristo in Dio» (Col 3,3). La vita si trasforma in libagione e offerta (2Tm 4,6) e in pane mangiato, quando il sacerdote, a imitazione di Cristo e in unione con Lui, non appartiene a se stesso, ma dà se stesso e vive come partecipe e solidale con la storia di tutta l'umanità. Quindi, non cerca il proprio interesse, ma la volontà di Cristo (Fil 2,21). La vita sacerdotale nella Chiesa diventa segno che rende presente il sacerdozio e il sacrificio di Cristo.

Compiere i ministeri «nello Spirito di Cristo» (PO 13) significa viverli in sintonia con la carità del Buon Pastore:

-- Nel ministero della parola: predicare il messaggio così com'è, integro, a tutti gli uomini, all'uomo nella sua situazione concreta, senza volere apparire.

-- Nella celebrazione eucaristica; vivere la realtà di essere segno di Cristo, come Sacerdote e Vittima per la redenzione di tutti.

-- Nel ministero dei segni sacramentali: celebrarli in sintonia con la presenza attiva e salvifica di Cristo, che si rende accessibile a coloro che credono in lui.

-- In tutta l'azione apostolica dei servizi di carità: rendendo reale nella propria vita la sete e lo zelo pastorale di Cristo.

Negli atteggiamenti e nella vita del sacerdote deve essere visibile la carità del Buon Pastore: «venite tutti a me» (Mt 11,28), «ho altre pecore» (Gv 10,16), «ho compassione» (Mt 15,32), «ho sete» (Gv 19,28)... Perciò, la formazione liturgica, spirituale, teologica, intellettuale, disciplinare, durante il periodo del seminario e durante tutta la vita sacerdotale, deve essere orientata dalla carità pastorale (cfr. OT 4).

4. LA FISIONOMIA E LE VIRTU' CONCRETE

DEL BUON PASTORE

La vita degli Apostoli si riassume nella sequela evangelica di Cristo per essere fedeli alla sua missione. È vita di carità pastorale come segno trasparente della vita del Buon Pastore. Cristo fece della propria vita un dono totale secondo i piani salvifici del Padre, nell'amore dello Spirito Santo: dando se stesso (povertà), senza appartenersi (obbedienza), come sposo o consorte della vita di ogni persona umana (verginità o castità).

La vita apostolica o vita evangelica degli Apostoli continua a essere un imperativo per tutti i loro successori (vescovi) e immediati collaboratori (i presbiteri) (cfr. cap. III,3).

È stata chiamata «apostolica vivendi forma» (secondo il modello di vita degli Apostoli) ed è il punto di riferimento degli insegnamenti e regole (canoni) della Chiesa in tutta la sua storia, soprattutto riguardo la vita sacerdotale.

Le esigenze evangeliche della vita apostolica sono le stesse per tutti i sacerdoti (diocesani o religiosi) che collaborano strettamente con il vescovo nella presidenza (servizio) della comunità per una direzione spirituale e pastorale. Le forme, gli impegni (come la professione) e i mezzi possono cambiare, a seconda del tipo di vita secolare o religiosa; però sempre bisogna difendere ciò che è essenziale:

-- Generosità evangelica per seguire il Buon Pastore e imitare le sue virtù (obbedienza, castità, povertà),

-- disponibilità missionaria come prolungamento della missione di Cristo (cfr. cap. VI),

-- fraternità sacerdotale per aiutarsi nella generosità evangelica e nella disponibilità missionaria (cfr. cap. VII).

Le virtù concrete tracciano la fisionomia del Buon Pastore e s'inseriscono fortemente nella carità pastorale. Si tratta di ordinare le tendenze più profonde del cuore umano secondo l'amore («ordo amoris»: I‑II, 62, a.2):

-- Ordinare la tendenza a sviluppare la propria libertà e volontà: seguendo il piano salvifico di Dio Amore sull'umanità (obbedienza).

-- Ordinare la tendenza all'amicizia, intimità e fecondità: condividendo sponsalmente con Cristo la storia umana (castità e verginità).

-- Ordinare la tendenza a servirsi delle creature: apprezzandole come doni di Dio, per orientarle a Dio stesso e condividere i beni con i fratelli (povertà).

Queste virtù del Buon Pastore sono state chiamate consigli evangelici, poiché costituiscono un mezzo per vivere le beatitudini e un segno e spinta della carità. Gesù chiama gli Apostoli e altri discepoli (uomini e donne) a questa vita evangelica.

I successori degli Apostoli e i loro immediati collaboratori continuano a essere chiamati a trasformarsi, in segno dell'amore del Buon Pastore, attraverso lo spirito e la pratica dei consigli evangelici. La professione di questi consigli, attraverso gli impegni più o meno pubblici (voti, promesse, ecc.) e di statuti o regole speciali, è propria della vita consacrata di tipo religioso o di istituti secolari, ecc.

Per il sacerdote ministro queste tre virtù o consigli evangelici derivano dalla carità pastorale e sono legati al ministero sacerdotale. Solamente a partire dalla vocazione come dichiarazione d'amore è possibile capire e vivere queste esigenze evangeliche della carità pastorale. Il sacerdote, «come pastore che s'impegna nella liberazione integrale dei poveri e degli oppressi, attua sempre con criteri evangelici» (Puebla 696).

a) Obbedienza:

L'obbedienza che deriva dalla carità pastorale è parte integrante dell'azione ministeriale. I progetti salvifici di Dio Amore si manifestano per mezzo di segni poveri del fratello, degli eventi, delle luci e ispirazioni dello Spirito Santo. Tra questi segni è da sottolineare, come «principio di unità» (LG 23), il servizio di presidenza da parte della gerarchia e, concretamente, del vescovo (cfr. Ef 2,19‑20).

In Cristo Sacerdote l'obbedienza rappresenta l'essenza della redenzione (Eb 5,7‑9; Fil 2,5‑11). La comunità ecclesiale ha bisogno di vedere nel sacerdote questo atteggiamento di immolazione come segno dell'obbedienza redentrice di Cristo Sacerdote e Vittima. La comunione si costruisce per mezzo di un'obbedienza di comunione da parte dei sacerdoti.

L'obbedienza responsabile, proprio perché nasce dalla carità pastorale, si traduce in umiltà ministeriale di colui che è «strumento vivo di Cristo Sacerdote» (PO 12): «consapevole della propria debolezza, il vero ministro di Cristo lavora con umiltà, cercando attentamente quale sia la volontà di Dio e, come legato dallo Spirito (At 20,22), si lascia guidare in tutto dalla volontà di colui che vuole che tutti gli uomini si salvino» (PO 15).

L'obbedienza evangelica si rende concreta nell'audacia di una santa libertà di dialogo sincero che è garanzia di docilità completa: «Questa obbedienza che porta a una più matura libertà di figli di Dio, esige per sua natura che i presbiteri, nello svolgere il loro ministero, mentre sono indotti dalla carità a cercare prudentemente vie nuove per un maggior bene della Chiesa, facciano sapere con fiducia le loro iniziative ed espongano chiaramente i bisogni del proprio gregge, sempre pronti a sottoporsi al giudizio di coloro che esercitano una funzione superiore nel governo della Chiesa di Dio» (PO 15).

b) Castità

La castità o verginità, chiamata anche celibato, è «segno e stimolo della carità pastorale e sorgente di fecondità spirituale nel mondo» (PO 16; cfr. LG 42).

«Il presbitero annuncia il regno di Dio che ha inizio in questo mondo e che otterrà la sua pienezza quando Cristo ritorni alla fine dei tempi. Per servire quel regno, abbandona tutto per seguire il suo Signore. Segno di questa dedizione completa è il celibato ministeriale, dono di Cristo stesso e garanzia di una dedizione generosa e libera a servizio degli uomini» (Puebla 692). «Nell'esercizio di questa carità che unisce intimamente il sacerdote alla comunità, si troverà l'equilibrio della personalità umana, fatta per l'amore, e si ritroveranno le grandi ricchezze racchiuse nel carisma del celibato in tutta la sua prospettiva cristologica, ecclesiologica, escatologica e pastorale» (Medellín XI, 21).

Andando oltre la terminologia (castità, verginità, celibato), è necessario scoprire l'atteggiamento sponsale di Cristo Buon Pastore, che si fa solidale con la vita di ogni persona umana fino a darsi in sacrificio per essa (Ef 5,25ss.). Di questa unione sponsale di Cristo con la Chiesa (e con tutta l'umanità) il sacerdote ministro è segno dinanzi a tutta la comunità. In lui la comunità ecclesiale trova il segno di come Gesù amò: dando se stesso, senza appartenersi, come sposalizio con la Chiesa.

La castità verginale garantisce la libertà apostolica per darsi con cuore integro e come sposo agli interessi di Cristo e al servizio ecclesiale (PO 15; 1Cor 7,32‑34; can. 277). Perciò, «è in molteplice armonia con il sacerdozio» (PO 16) ed è parte integrante della sequela evangelica dei dodici Apostoli, «per il regno dei cieli» (Mt 19,11‑12; cfr. Lc 20,35).

La dedizione sponsale a Cristo e il servizio di segno per la Chiesa sposa, diventa per il sacerdote maturazione della propria personalità (amicizia, fecondità), fino al punto di collaborare alla nascita della nuova vita in tutta l'umanità redenta da Cristo. «La Chiesa, come sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo l'ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore» (PDV 29).

La castità verginale ha, quindi, queste dimensioni:

-- Dimensione cristologica: amicizia profonda con Cristo, a partire da una dichiarazione d'amore e di dedizione sponsale alla sua opera salvifica.

-- Dimensione ecclesiale: essere segno dell'amore sponsale tra Cristo e la sua Chiesa, servendo e amando la Chiesa come Cristo ]'amò e servì.

-- Dimensione antropologica: di perfezione cristiana della personalità attraverso un processo di dedizione che è un rapporto profondo con Cristo, e di fecondità apostolica.

-- Dimensione escatologica: come segno e preludio di un incontro finale con Cristo; «a servizio di una nuova umanità che Cristo, vincitore della morte, fa nascere per mezzo del suo Spirito nel mondo» (PO 16).

Si richiede formazione adeguata e pratica dei mezzi di santificazione per perseverare in questo dono o carisma e nell'insieme di doni e carismi sacerdotali (CIC, can. 244; cfr. VIII,6).

Le motivazioni e dimensioni della castità verginale si mantengono soprattutto grazie alla vita eucaristica, alla meditazione della parola, all'intimità con Cristo (dialogo quotidiano: PO 18), alla devozione o atteggiamento mariano, allo spirito di sacrificio, alla fraternità sacerdotale, anche per vincere la solitudine morale, al consiglio o direzione spirituale, ecc.

Maria, come figura della Chiesa sposa, è modello e aiuto di questa unione sponsale con Cristo. «L'analogia tra la Chiesa e Maria Vergine è soprattutto eloquente per noi, che uniamo la nostra vocazione sacerdotale al celibato per il regno dei cieli (cfr. Mt 19,12)... La fedeltà verginale allo sposo (cfr. LG 64), che trova la sua espressione specifica in questa forma di vita, ci permette di partecipare alla vita intima della Chiesa la quale, a esempio della Vergine, cerca di conservare pura e totale la fedeltà promessa allo Sposo (cfr. LG 64)... Di fronte a tale modello, cioè, il prototipo che la Chiesa trova in Maria, è necessario che la nostra scelta sacerdotale del celibato per tutta la vita sia posta anche nel suo cuore».

La «legge» del celibato vuole garantire l'autenticità di tale carisma e aiutare a essere fedeli, come bene proprio e comune della comunità ecclesiale (cfr. CIC, can. 1037). La comunità ha bisogno di vedere il segno di come ama il Buon Pastore, per essere lei stessa fedele a tutti i suoi carismi e vocazioni. Il sacerdote ministro è chiamato alla sequela evangelica di Cristo come «massima testimonianza d'amore» (PO 11).

c) Povertà:

La povertà evangelica della vita apostolica (o vita dei dodici Apostoli) è un'espressione necessaria della carità pastorale: darsi come Cristo. Il Signore amò così: «Il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). «Conoscete la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9).

Il sacerdote ministro è chiamato a essere segno di come Cristo ama. La povertà sacerdotale parte dalla carità e diventa disponibilità e fecondità apostolica. È la libertà nei riguardi dei beni terreni (onori, incarichi, comodità, proprietà, tempo, denaro...) che ci rende «docili nell'ascoltare la voce di Dio nella vita quotidiana» (PO 17) e disponibili alla missione. La scelta, l'amore e il «servizio preferenziale per i poveri» (Puebla 670) non sarebbero possibili senza un cuore povero (contemplativo della parola di Dio) e senza una vita povera (condividere la stessa vita con coloro che soffrono).

La povertà evangelica del sacerdote è un segno del Buon Pastore; segno necessario per il cammino della Chiesa pellegrina verso l'incontro finale con Cristo La comunità ecclesiale e la comunità umana hanno bisogno di questa testimonianza di povertà evangelica da parte dei pastori, per imparare a vivere la solidarietà e per creare la comunione di tutta l'umanità (cfr. SRS 40). «Cristo... ha consegnato all'umile Vergine di Nazaret il meraviglioso mistero della sua povertà, che permette di essere ricchi. E consegna anche a noi lo stesso mistero attraverso il sacramento del sacerdozio».

Questa povertà sacerdotale, anche se non contiene molte norme concrete per il sacerdote, si manifesta e si mantiene mediante alcuni segni evangelici: umiltà e disponibilità ministeriale, gioia nel servizio e nella convivenza, libertà nell'uso dei beni terreni, spirito di sacrificio, condivisione con gli altri, vicinanza impegnata con i poveri, riflessione sulla parola di Dio, necessità di consiglio spirituale e revisione di vita, fraternità sacerdotale, esperienza vissuta della comunione di Chiesa...

La povertà ministeriale, alla luce della carità pastorale, trova alcune indicazioni di applicazione nella dottrina e nelle disposizioni della Chiesa durante i secoli, come eredità ricevuta dalla tradizione apostolica («apostolica vivendi forma»):

-- Vivere del proprio lavoro pastorale.

-- Disporre dei beni che derivano da questo lavoro, con moderazione, con l'elemosina, la condivisione con i fratelli del Presbiterio e con la comunità ecclesiale.

-- Restituire alla comunità e ai poveri ciò che non è necessario per una vita veramente sacerdotale (cfr. Mt 10,8‑11; PO 17; can. 282, 387).

La povertà evangelica ha una dimensione cristologica (di segno e imitazione di Cristo), ecclesiale (disponibilità per servire nella missione della Chiesa), sociale (condividere i beni) ed escatologica (speranza, Chiesa pellegrina). La capacità di missione e di essere pane mangiato, come Gesù eucaristia, dipenderà dall'imitazione della sua povertà in Betlemme e della sua nudità sulla croce. «Guidati dallo Spirito del Signore, che ha unto il Salvatore e lo ha mandato a predicare la buona novella ai poveri, i presbiteri e anche i vescovi evitino tutto ciò che in qualche modo potrebbe far allontanare i poveri, rifiutando, più che gli altri discepoli di Cristo, qualsiasi tipo di vanità. Sistemino la loro casa in tal modo che non risulti chiusa a nessuno e che nessuno, anche il più umile, abbia paura di frequentarla» (PO 17).

5. SANTITÀ E LINEE DI SPIRITUALITÀ SACERDOTALE

La santità cristiana che consiste nella «perfezione della carità» (LG 40), si concreta per il sacerdote ministro nella carità pastorale (LG 41). La configurazione con Cristo, la sequela e la sua imitazione, così come il rapporto personale con Lui, come «maestro e modello di ogni perfezione» (LG 40), ha nel sacerdote ministro la sfumatura di trasformazione in «strumento vivo di Cristo Sacerdote» (PO 12; cfr. LG 41) e in segno trasparente del Buon Pastore.

Il tema della spiritualità sacerdotale si va sviluppando nei diversi capitoli di tutta questa pubblicazione. La santità e spiritualità sacerdotale sono una concretizzazione della santità e della spiritualità cristiana (cfr. cap. I,6), riprendendo le linee della sequela evangelica degli Apostoli (cap. III,4), secondo il modello supremo del Buon Pastore (cap. II,2) e le luci nuove che lo Spirito Santo comunica alla sua Chiesa in ogni epoca per vivere le esigenze evangeliche (cap. I,5). Le grazie ricevute nel sacramento dell'ordine (cap. III,3), per prolungare Cristo nei diversi ministeri (cap. IV) e la grazia dell'appartenenza a una Chiesa particolare (cap. VI) e a un Presbiterio (cap. VII) sono basi sufficienti per fondare una spiritualità sacerdotale specifica.

Dall'essere e dalla funzione sacerdotale deriva un'esigenza e una possibilità di santità, che si fa concreta nella carità pastorale. Questa santità è, quindi, un'esperienza di vita di ciò che il sacerdote è e fa. È sempre fedeltà all'azione dello Spirito Santo (cap. III,5). I lineamenti o i tratti della fisionomia spirituale e pastorale del sacerdote si trovano nei testi biblici riferiti alla vita apostolica e si possono concretare secondo le disposizioni conciliari del Vaticano II:

-- Atteggiamento di servizio (PO 1,4‑5).

-- Consacrazione per la missione (PO 2‑3).

-- Comunione nella Chiesa (PO 7‑9).

-- Speranza e gioia pasquale (PO 10).

-- Trasparenza e strumento vivo di Cristo Sacerdote e Buon Pastore (PO 12).

-- Santità nell'esercizio del ministero e «ascetica propria del pastore di anime» (PO 13‑14).

-- Carità pastorale resa concreta nell'obbedienza, castità e povertà (PO 15‑17).

-- Uso dei mezzi comuni e di quelli specifici di santificazione e di apostolato (PO 18‑22).

Questi lineamenti o tratti della spiritualità sacerdotale hanno il loro punto di partenza nell'essere e nell'operare di ogni sacerdote ministro (vescovo, sacerdote e analogamente diacono), come partecipe dell'essere e dell'agire di Cristo, come maestro di verità, pontefice e santificatore, segno e costruttore dell'unità (cfr. Puebla 687‑691).

Il servizio sacerdotale tende a costruire la comunità nell'amore. È «servire Cristo Maestro, Sacerdote e Re» (PO 1), agendo in suo nome come capo della comunità (PO 2). Non si cercano privilegi o vantaggi umani, ma quello di essere segno della donazione sacrificale o umiliazione («kenosis») di Cristo (Fil 2,7). «Conoscere le pecore... è coinvolgere il proprio essere, amare come colui che venne per servire e non per essere servito» (Puebla 684; cfr. Mt 20,25‑28).

La consacrazione sacerdotale è partecipazione alla consacrazione di Cristo (PO 2), come appartenenza totale alla missione ricevuta dal Padre (Lc 4,18; Gv 20,21). La missione diventa totalizzante attraverso la consacrazione: «sono separati per essere consacrati completamente all'opera per la quale il Signore li chiama» (PO 3).

Il senso di comunione ecclesiale è parte essenziale della spiritualità del sacerdote (cfr. cap. VI,5). «Il ministero sacerdotale, in quanto è ministero della stessa Chiesa, solamente può essere compiuto in comunione gerarchica con tutto il corpo» (PO 15). Nel terreno pratico si traduce in unione affettiva ed effettiva con il proprio vescovo (PO 7), con gli altri sacerdoti del Presbiterio (PO 8) e con la comunità ecclesiale alla quale serve (PO 9).

La disponibilità alla missione universale (cfr. cap. VI, 4) è un'esigenza del dono ricevuto nell'ordinazione, come partecipazione alla missione universale di Cristo (PO 10). È la sollecitudine per tutte le Chiese, secondo lo stile di Paolo (2Cor 11,28). Questa prospettiva d'universalità dà respiro alla vita e al ministero sacerdotale, liberandoli da una problematica sterile e limitata.

Il tono di speranza e di «gioia pasquale» (PO 11) lascia intravedere una sana visione antropologica, fondata sulla certezza di essere amato da Cristo e reso capace di amarlo e di farlo amare, fino alla carità pastorale come «massima testimonianza d'amore» (PO 11). La gioia di appartenere sponsalmente a Cristo è una nota caratteristica dell'evangelizzazione come annuncio della buona (o gioiosa) notizia della risurrezione di Cristo. Questo tono di gioia pasquale è sorgente di vocazioni sacerdotali.

Essere trasparenza e strumento vivo di Cristo Sacerdote (PO 12) corrisponde alla necessità di essere segno chiaro e portatore di Cristo. Il rapporto personale con Lui diventa configurazione, imitazione e amicizia profonda, che trasforma l'apostolo in testimone: «noi siamo testimoni» (At 2,32).

La spiritualità e santità sacerdotale si compie «esercitando i ministeri nello Spirito di Cristo» (PO 13). Quella è l'ascesi propria di chi compie un ufficio pastorale: «ascesi propria del pastore di anime» (ibidem). Fatta salva la differenza tra momenti di orazione, azione, studio, convivenza, riposo, ecc. è necessario mantenere l'unità di vita senza dicotomie (PO 14). Si trova Cristo nei diversi segni della Chiesa e del fratello.

La carità pastorale si rende concreta nelle virtù e nei gesti di vita del Buon Pastore: obbedienza, castità, povertà (PO 15‑17). Colui che è segno portatore della parola, dell'azione sacrificale e del pascere di Cristo, lo è anche nel suo modo d'amare fino a dare la vita.

I mezzi comuni e specifici di vita e di ministero sacerdotale (PO 18‑21), sono necessari per essere in sintonia con i «sentimenti di Cristo» (Fil 2,5) e per essere fedeli ai carismi dello Spirito (cfr. cap. VIII,6). «Quindi, per ottenere i suoi scopi pastorali di rinnovamento interno della Chiesa, di diffusione del vangelo nel mondo intero, così come di dialogo con il mondo odierno, questo Sacro Concilio esorta con forza tutti i sacerdoti affinché, utilizzando tutti i mezzi raccomandati dalla Chiesa, si sforzino per raggiungere una santità sempre maggiore, per diventare, ogni giorno di più, validi strumenti a servizio di tutto il popolo di Dio» (PO 12).

Queste linee di spiritualità si muovono in diverse dimensioni e prospettive: trinitaria, cristologica, pneumatologica, ecclesiale, liturgica, sociologica (di vicinanza alla realtà), antropologica...

La santità sacerdotale, come si è ripetuto continuamente, ha le sue radici nella spiritualità cristiana. Le virtù umano‑cristiane diventano sacerdotali quando si esprimono attraverso la carità pastorale:

-- La capacità di avere e di esprimere un giudizio, un convincimento o un'opinione deve essere illuminata dalla fede.

-- La capacità di dare il giusto valore alle cose aumenta e diventa equilibrata con la speranza di percepire e di apprezzare i valori secondo la scala di valori del Buon Pastore.

-- La capacità di prendere decisioni si arricchisce con la carità per amare ed agire come Cristo Sacerdote.

Da questa radice umana, cristiana e sacerdotale nascono applicazioni concrete indicate dal concilio per la formazione e la vita sacerdotale: «Non potrebbero essere ministri di Cristo se non fossero testimoni e dispensatori di una vita diversa dalla terrena, né potrebbero essere servitori degli uomini se rimanessero lontani dalla vita e dalle condizioni degli stessi.. Contribuiscono molto al raggiungimento di questo scopo le virtù che giustamente sono apprezzate nei rapporti umani, come sono la bontà di cuore, la sincerità, la forza d'animo e la costanza, il continuo desiderio di giustizia, la gentilezza e tutte le altre virtù» (PO 3; cfr. OT 11 e 19; PDV 43-44,72).

La carità pastorale diventa concreta con un servizio come quello di Cristo: «passò facendo il bene» (At 10,30). Il sacerdote diventa trasparenza di Cristo: «siate imitatori miei come io lo sono di Cristo» (1Cor 4,16). Questa carità si traduce in:

-- responsabilità nella situazione storica, alla luce della storia di salvezza,

-- impegno autentico e concreto,

-- generosità di fronte al sacrificio,

-- collaborazione e dialogo con gli altri apostoli,

-- senso di realismo, ottimismo e fiducia,

-- atteggiamenti di umiltà e accettazione di se stesso, uniti all'audacia e alla disponibilità nell'affrontare le difficoltà.

La formazione in queste virtù (cfr. cap. VIII,4-5) deve essere armonica e permanente fin dal seminario e per tutta la vita, sempre sotto l'influsso della grazia che le rende virtù cristiane e sacerdotali.

6. GUIDA PASTORALE

Riflessione biblica:

-- Aspetti della carità pastorale di Cristo: Gv 10,1ss.; Lc 15,1‑7; At 10,30; Is 40,11.

-- Dall'amicizia con Cristo alla carità pastorale: Gv 15,9. 13‑14; 21,15‑19.

-- Le esigenze evangeliche della carità pastorale: Mt 4,19‑22, 1ss.; Lc 10,1ss.

-- Le figure di Pietro e Paolo: At 20,17‑38; 1Pt 5,1‑4.

-- La fecondità della croce: Gv 16,20‑33; Gal 4,19; Col 1,24.

-- Significato redentore dell'obbedienza del Buon Pastore: Eb 5,7‑9; 10,5‑7; Gv 10,18; Fil 2,5‑11.

-- La vita di povertà per vivere l'amore preferenziale per i poveri: Mt 8,20; 2Cor 8,9; (Puebla 670).

Studio personale e revisione di vita:

-- Linee pastorali della vita sacerdotale secondo «Presbiterorum Ordinis». Rapportare PO 4‑6 (ministero) con PO 12‑14 (santità).

-- Carità pastorale e unità di vita (PO 14; PDV 21-24).

-- Carità ascendente e discendente alla luce della missione (PO 13).

-- Dimensione missionaria dell'obbedienza, castità e povertà alla luce della carità pastorale (PO 15‑17; PDV 27-30).

-- La «vita apostolica» come fraternità (PO 8; PDV 74), disponibilità missionaria (PO 10; PDV 16-18, 31-32) e generosità evangelica (PO 15‑17; PDV 27-30).

-- Dimensione cristologica, ecclesiale, antropologica ed escatologica della castità (PO 16; PDV 29,44,50; Puebla 692; Medellín XI, 21).

-- Segni e mezzi della povertà ministeriale (PO 17; PDV 30; can. 282, 287).

-- Virtù umane inserite nella carità pastorale (PO 3; OT 11 e 19; PDV 43-44, 72).

7. ORIENTAMENTO BIBLIOGRAFICO

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I temi di spiritualità sacerdotale sono trattati in tutto questo testo, indicando la bibliografia più concreta. In questo stesso capitolo V abbiamo segnalato: Commenti alla «Presbyterorum Ordinis» (nota 1), carità pastorale (note 2 e 3), croce (nota 4), martirio (nota 5), vita religiosa (nota 6), consigli evangelici (nota 7), obbedienza (nota 8), castità (nota 9), povertà (nota 10), virtù umane (nota 13), ecc. In altri capitoli si tratta il tema della spiritualità sacerdotale con altre applicazioni, soprattutto riguardo il sacerdozio ministeriale (capitolo III) e la spiritualità del sacerdote diocesano (capitoli VI e VII). Segnaliamo solamente alcune pubblicazioni che rappresentano una sintesi. Bisognerebbe ricordare anche pubblicazioni di periodi precedenti e che continuano ad essere delle miniere di spiritualità sacerdotale sempre valida (vedere capitolo X).

    � Gli studi sul Presbyterorum Ordinis si potrebbero arricchire alla luce di altri documenti conciliari e post�conciliari. Vedere alcuni studi in collaborazione: Los presbíteros a los diez años del «Presbyterorum Ordinis», Facultad de Teología, Burgos 1975; I preti, Ave, Roma 1970; I sacerdoti nello spirito del Vaticano II, ELLE DI CI, Leumann-Torino 1969; Le ministère et la vie des pretres, Mame, Paris 1969; Les prêtres, formation, ministère et vie, Cerf, Paris 1968. Per uno studio sull'«iter» ed elaborazio�ne del documento conciliare: M. CAPRIOLI, Il decreto conciliare «Presbyterorum Ordinis», storia, analisi, dottrina, Teresianum, Roma, 1989-1990; (F. Gil Hellín), Decretum de Presbyterorum Ministerio et Vita, «Presbyterorum Ordinis», Lib. Edit. Vaticana 1996; R. WASSELYNCK, Les prêtres. Elaboration du Decret du Vatican II, Histoire et genèse des textes conciliaires, Desclée, Paris 1968.

    � Il tema è in rapporto con la figura del Buon Pastore (vedere le note e la bibliografia del capitolo II). Nella vita consacrata questo stesso radicalismo evangelico viene «professato« ordinariamente per mezzo dei voti e impegni simili, come segno speciale della Chiesa Sposa che è trasparenza di Cristo Sposo (è una nuova consacrazione).

    � Il tema della carità pastorale rimane spiegato in alcuni studi sul Presbyterorum Ordinis (vedere nota 1) e sulla spiritualità sacerdotale in generale (vedere l'orientamento bibliografico alla fine del capitolo). J. DUPONT, Le discours de Milet, testament pastoral de Saint Paul, Cerf, Paris 1962; J. ESQUERDA BIFET, Teología de la espiritualidad sacerdotal, BAC, Madrid, 1991, cap. IX (las virtudes del Buen Pastor); R. GERARDI, La «caritas pastoralis» nella formazione e nella vita del presbitero, «Lateranum» 56 (1990) 553-567; P. RABITTI, Il prete: l'uomo della carità pastorale, Dehoniane, Bologna 1980; P. XARDEL, La flamme qui dévore le berger, Cerf, Paris 1969.

    � Il tema della croce è legato alla realtà di Cristo Sacerdote e Vittima, che deve prolungarsi nella vita sacer�dotale. Vedere l'enciclica Mediator Dei: AAS 39 (1947) 552�553 (citata nella Menti nostrae, n. 30). AA.VV., La sapienza della croce, ELLE DI CI, Torino 1976; AA.VV., Sabiduría de la cruz, Narcea, Madrid, 1980; AA.VV., La croce di Cristo unica speranza. Atti del III Congresso internazionale «La sapienza della croce oggi», Ediz. CIPI, Roma 1996; H.U. Von BALTHASAR, La gloire et la croix, Aubier 1965; V. BATAGLIA, Croce, Trinità, creazione, «Antonianum» 64 (1989) 246-307; CH. BEKER, Suffering and Hope, Grand Rapids 1994; E. CANONICI, Dolore che salva, Ediz. Porziuncola 1992; DAO DINH DUC, La missione oggi alla luce della croce, «Omnis terra» n.8 (1989) 184-191; J. ESQUERDA BIFET, La forza della debolezza, Ancora, Milano 1997; D.H. FARMER (edit.), Christ crucified, Christian Classics 1994; J. GALOT, Perché la sofferenza?, Ancora, Milano 1986; P. GIGLIONI, La croce e la missione ad gentes, «Euntes Docete» 38 (1985) 153-178; E. STEIN, Scientia crucis, studio su S. Giovanni della Croce, Roma 1982.

    � Il tema del «martirio», come testimonianza che giunge fino alla disponibilità di dare la vita, è una nota caratteristica della missione sacerdotale (Mc 13, 9�13; Gv 15, 20�27). Sul martirio: H.U. Von BALTHASAR, Cordula overossia il caso serio, Queriniana, Brescia 1974; L. BOUYER, La spiritualità dei Padri, Dehoniane, Bologna 1968, cap. 2; J. ESQUERDA BIFET, Il significato martiriale della missione, nel centenario di Teresa di Lisieux (1897-1997), MGM, Roma 1997; R. FISICHELA, Martirio, in: Dizionario di Teologia Fondamentale, Cittadella, Assisi 1990; L. LEGRAND, Good News and Witness, The New testament Understanding of Evangelization, Bangalore 1973; P. MOLINARI, S. SPINSANTI, Martire, in: Nuovo Dizionario di Spiritualità, Paoline, Roma 1985, 1369-1385; C. NOCE, Il martirio, testimonianza e spiritualità nei primi secoli, Studium, Roma 1987.

    � In questo capitolo parliamo della vita apostolica in rapporto alla la vita sacerdotale (come sequela a imi�tazione degli apostoli). «Il ministero ordinato sorge dunque con la Chiesa ed ha nei Vescovi, e in riferimento e comunione con esse nei presbiteri, un particolare rapporto al ministero originario degli apostoli, al quale realmente succede, anche se rispetto ad esso assume modalità diverse de esistenza» (PDV 16; cfr. PDV 15-16,42,60). Vedere il significato della «apostolica vivendi forma» per la vida consacrata: VC 45,93-94. Riguardo la vita consacrata o religiosa, non necessariamente sacerdotale, vedere do�cumenti attuali e commneeti in collaborazione, in: AA.VV., La vita religiosa. Il codice del Vaticano II, EDB, Bologna 1983; AA.VV., «Vita Consecrata». Studi e Riflessioni, Edit. Rogate, Roma 1996; AA.VV., L'identità dei consacrati nella missione della Chiesa e il loro rapporto con il mondo, Lib. Edit. Vaticana 1994; AA.VV., Yo os elegí. Comentarios y texto de la Exhortación Apostólica «Vita consecrata» de Juan Pablo II, EDICEP, Valencia 1997). Altri studi sulla vita consacrata, nel cap. II.

    � Quando parliamo di consigli evangelici per la vita sacerdotale, ci riferiamo alla stessa sequela evangelica propria degli Apostoli e dei loro successori e immediati collaboratori. Vedere PDV 27-30. La professione pubblica o semipubblica di questi consigli rappresenta una forma della vita consacrata religiosa, istituti secolari, ecc. AA.VV., Preti nel mondo per il mondo. Appunti di spiritualità presbiterale, OR, Milano 1983. La differenza si trova nel modo di vivere la "apostolica vivendi forma" e quindi anche i consigli evangelici. Per i sacerdoti ministri (diocesani): alla luce della carità pastorale (PDV 21-14 ecc.), in rapporto di dipendenza dal carisma episcopale (PDV 74; PO 7; CD 15-16, 28), nell'appartenenza permanente (incardinazione) alla Chiesa particolare e al Presbiterio (PDV 17, 31-32, 74 ecc.; PO 8; LG 28), santificazione nel ministero (PO 13; PDV 24-26), ministerialità (VC 31-32). Per le persone consacrate: professione dei Consigli (VC 16, 20ss, 88-92), secondo i carismi fondazionali (VC 36) e i propri Statuti (VC 91-92), al servizio della Chiesa particolare (VC 48); i sacerdoti religiosi sono anche nella famiglia del Presbiterio (PDV 17, 31, 74). Tra le due forme di vita apostolica ci deve essere conoscenza, complementarietà e aiuto vicendevole (cfr. VC 16, 30, 50, 81; PO 5,9; PDV 31,74).

    � Cfr. CIC can.245, 273�275; PDV 28; Dir. 61-66. Nel sacerdote l'obbedienza ha dimensione ministeriale e anche spirituale. La perfezione sacerdotale si rea�lizza nella «comunione», anche e principalmente nell'esercizio dei ministeri. T. GOFFI, Obbedienza e autonomia personale, Ancora, Milano 1968;

L. GUTIERREZ, Autoridad y obediencia en la vida religiosa, Inst. Teol. Vida Religiosa, Madrid 1974; H. RONDET, L'obbedienza problema di vita, Mistero di fede, Queriniana, Brescia 1969; J.P. ZENZ, Spirituality of obedience for Diocesan Priests in Vatican II, Diss. Univ. Gregoriana 1984.

    � GIOVANNI PAOLO II, lettera del giovedì santo (1988), n.5. Cfr. Enciclica Sacra Virginitas: AAS 46 (1954) 161�191; enciclica Sacerdotalis coelibatus: AAS 59 (1967) 657�697; vedere studi, documenti magisteriali posteriori e bibliografia sull'enciclica, in: «Sacrum Ministerium» 3 (1997) n.2; (Documento della Congregazio�ne sull'Educazione Cattolica) Orientamenti sull'educazione del celibato (1974). Studi: AA.VV., Solo per amore, riflessioni sul celibato sacerdotale, Paoline, Cinisello Balsamo 1993; AA.VV., Celibato e Magistero, Interventi dei Padri nel concilio Vaticano II e nei Sinodo dei Vescovi del 1971 e 1990, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994; AA.VV., Paedagogia caelibatus sacerdotalis, «Seminarium» 33 (1993) n. 1; AA VV., Sacerdocio y celibato, BAC, Madrid l971; A. BONI, Sacralità del celibato sacerdotale, CSFL, Genova 1979; C. COCHINI, Origines apostoliques du célibat sacerdotal, Lethielleux, Paris 1981; J. COPPENS (edit.), Sacerdoce et célibat, études historiques et théologiques, Louvain 1971; Le célibat pour Dieu dans l'enseignement des Papes, Solesmes 1984; A.M. STICKLER, Il celibato ecclesiastico, la sua storia e i suoi fondamenti teologici, Lib. Edit. Vaticana 1994.

    � GIOVANNI PAOLO II, lettera del giovedì santo (1988), n.8. La testimonianza di povertà evangelica è sempre un punto chiave nell'evangelizzazione. Cfr. PO 17; PDV 30; Dir. 67; can 282, 387; RMi 59-60, 83. Y.M. CONGAR, Pour une Eglise servant et pauvre, Cerf, Paris 1963; P. GAUTHIER, La pazienza dei poveri, Marietti, Torino 1969; A. GELIN, Les pauvres de Yahvé, Cerf, Paris 1962; A. LEGASSE, Les pauvres en esprit, évangile et non violence, Cerf, Paris 1974; A. RIZZI, Scandalo e beatitudine della povertà, Citta�della, Assisi 1975. Il «Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi» (Dir.) stabilisce alcune idee concrete e ne dà le ragioni: «Allontana da sé anche la sola apparenza d'autoritarismo e di stile mondano di governo. Si comporta con tutti come un padre, però in special modo con le persone di condizione umile e con i poveri sa che è stato, come Gesù (cfr. Lc 4, 18) unto dallo Spirito Santo e inviato soprattutto per annunciare il vange�lo ai poveri» (Dir. 28).

    � Quando per ragioni apostoliche, non per realizzazione personale né per vantaggi di tipo economico o di autonomia, sia utile svolgere un lavoro «civile» (cfr. PO 8), deve avvenire in condizioni di: missione, prepa�razione adeguata, vita di gruppo con altri sacerdoti. Vedere il documento sinodale del 1971: Il sacerlozio mini�steriale, 2ª parte, I, 2 (Enchiridion Vaticanum, IV, nn. 1135�1237). La virtù della povertà evangelica non deve essere confusa con le situazioni di miseria o di bisogno estremo, lo stesso spirito di povertà aiuta a trovare delle soluzioni per la vita materiale degli altri fratelli e per la previdenza sociale di anzianità e malattia (cfr. PO 20�21).

    � Alcune pubblicazioni offrono una sintesi abbastanza completa della spiritualità sacerdotale. Rimandia�mo all'orientamento bibliografico finale del capitolo.

    � Cfr. PO 3; OT 11, 19; PDV 43-44, 72; Dir. 75. I manuali di spiritualità sono soliti, attualmente, descrivere queste virtù umane (vedere capitolo I, no�ta 20). Circa la base umana della spiritualità: AA.VV., Psicología y espíritu, Paulinas, Madrid 1971; AA.VV., The Study of Spirituality, Univ. Press, Cambridge 1992; J.J. MARTÍNEZ CEPEDA, La educación integral de los presbiteros, México 1982; R. NAVARRO VENTURA, La unificación humano-espiritual del presbítero en la situación del mundo actual, Lib. Parroquial, México 1993; A.A. Van KAAM, Foundations for Personality Study, Dimension Books, Derville 1983; L.M. RULLA, Ppsicologia del profondo e vocazione, Marietti, Torino 1981; R. ZAVAL�LONI, Le strutture umane della vita spirituale, Morcelliana, Brescia 1971; Idem, La libertà personale: psicologia della condotta umana, Vita e Pensiero, Milano 1973.