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COMPENDIO DI URBANISTICA Compendio di notizie di carattere generale sui principali temi riguardanti la scienza urbanistica, le leggi vigenti in Italia nonché nozioni di carattere tecnico-applicativo. a cura di Francesco Occhicone EDIZIONE 2010 EDIZIONI

Compendio di Urbanistica

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Page 1: Compendio di Urbanistica

COMPENDIO DI

URBANISTICA

Compendio di notizie di carattere generale sui principali temi riguardanti la scienza urbanistica, le leggi vigenti in Italia nonché nozioni di carattere tecnico-applicativo.

a cura di Francesco Occhicone

EDIZIONE 2010

EDIZIONI

Page 2: Compendio di Urbanistica

Il termine URBANISTICA indica una disciplina intesa a studiare i fenomeni che

caratterizzano le formazioni e trasformazioni urbane. A partire dal secolo scorso, essa si è andata

sempre più specializzando, tendendo sempre più al fine della messa a punto di tecniche capaci di

ridurre i fenomeni urbani a categorie controllabili mediante norme. In precedenza, prescindendo

da questi più recenti aspetti tecnico-specialistici, un’urbanistica in senso più lato, cioè come

pensiero riflessivo sulla realtà urbana, è nata contemporaneamente alle città.

In questa trattazione verrà tralasciata tutta la parte storica di tipo, diciamo così, filosofica,

per restringere il campo di studio alla parte tecnica della disciplina, che si fa partire, appunto, dal

secolo scorso.

Quindi, dopo un generale excursus sulle principali norme giuridiche che si sono

succedute nella storia degli ultimi cento anni circa, ci addentreremo nell’analisi delle varie

tipologie di pianificazione del territorio ai vari livelli e sotto gli aspetti giuridico,

amministrativo-procedurale e tecnico, fornendo infine notizie e considerazioni inerenti la parte

prettamente tecnica delle problematiche urbanistiche.

* * * * *

Page 3: Compendio di Urbanistica

La scelta di porre come limite temporale il 1985 a questa breve e sintetica rassegna di

legislazione urbanistica è stata dettata dalla necessità di delineare un quadro di riferimento

essenziale ad uso degli allievi del quinto anno del corso per geometri; quadro che può consentire

di percepire la difficile problematica della gestione del territorio.

Sommario

• Necessità di una disciplina urbanistica

• L.N. 2359 del 25/6/1865, “Disciplina delle espropriazioni forzate per causa di

pubblica utilità”

• L.N. 2892 del 15/1/1885, “Legge per il risanamento della città di Napoli”

• L.N. 320 dell’8/7/1904

• L.N. 502 dell’11/7/1907

• L.N. 1150 del 17/8/1942, “Legge Urbanistica Nazionale”

• D.l. n 154 del 1/3/1945, “Piani di ricostruzione degli abitati danneggiati dalla

guerra”

• D.L. n 1402 del 27/10/1951

• L.N. 1357 del 21/12/1955, “Proroga dei termini per l’attuazione dei PRG e dei PR e

disposizioni per il rilascio di licenze in deroga al regolamento edilizio”

• L.N. 167 del 18/4/1962, “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili

per l’edilizia economica e popolare”

• L.N. 765 del 6/8/1967, nota come “Legge ponte”

• L.N. 865 del 22/10/1971, “Legge per la casa”

• L.n. 10 del 28/1/1977, “Norme per l’edificabilità dei suoli”, nota come “legge

Bucalossi”

• L.N. 513 del 8/8/1977, “Provvedimenti urgenti per l’accelerazione dei programmi in

corso”

• L.N. 457 del 5/8/1978, “Norme per l’edilizia residenziale”,

• L.N. 94 del 25/3/1982, “Norme per l’edilizia residenziale”

• L.N. 47 del 28/2/1985, “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistica ed

edilizia. Sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie”

• APPROFONDIMENTI

Page 4: Compendio di Urbanistica

NECESSITA’ DI UNA DISCIPLINA URBANISTICA

Tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento quel complesso fenomeno economico e

culturale che va sotto il nome di Rivoluzione Industriale determina, dapprima in Inghilterra poi in Germania

e in Francia, e più tardi in tutta l’Europa, radicali mutamenti e profonde lacerazioni in un tessuto fisico e

sociale ancora impreparato ad affrontare i molteplici problemi, non solo economici, derivanti dai nuovi

modi di produzione. Le città sono congestionate da un’espansione fortemente accelerata, messa in crisi

dalla rottura dell’antico equilibrio con la campagna. Basti pensare che, un esempio per tutti, la città inglese

di Manchester, che intorno al 1750 contava meno di 12.000 abitanti, nel 1850, cioè nel giro di un secolo,

arriva ad oltre 400.000.

Alla congestione delle aree urbane contribuisce il progresso dei mezzi di comunicazione (strade,

canali navigabili, ferrovie, linee di navigazione servite dalle nuove navi a vapore), che consentono una

mobilità sociale senza precedenti. Città e territorio, pertanto, diventano oggetto di importanti riflessioni

critiche; in tutta Europa, a partire dall’Inghilterra e dalla Francia, vengono votate le prime leggi sanitarie

che saranno alla base della legislazione urbanistica. Dal corpus normativo delle leggi igienico-sanitarie

derivano i “regolamenti edilizi”: uno strumento tecnico che riveste un ruolo primario nella formazione della

città dell’Ottocento.

Tuttavia i primi esempi di programmazione completa li si comincia ad avere solo verso la fine del

XIX sec.. Tra le varie proposte degne di nota sono quelle della “Città Giardino”, di Ebenezer Howard (in

cui rilevante era il rapporto “campagna-città” con grandi spazi verdi tra i vari caseggiati, proposta questa,

comunque, alquanto utopistica) e della “Città Industriale”, di Tony Garnier (sicuramente innovativa e più

concreta perché proponeva soluzioni di problemi concreti e affrontava la struttura organizzativa, spaziale e

funzionale della nuova città, prodotto dell’era industriale, finalmente accettata come dato economico e

culturale imprescindibile).

Nella prima metà del Novecento, nei venti anni che intercorrono tra le due guerre mondiali, le varie

correnti del Razionalismo architettonico incidono profondamente sullo sviluppo del pensiero urbanistico.

Al centro della riflessione critica sui fenomeni urbani sta il problema dell’abitare concepito come momento

fondamentale dell’esistenza dell’individuo e della società e in rapporto a funzioni determinate e costanti.

Contemporaneamente, il rapido progresso tecnologico apre la strada all’impiego di materiali nuovi (acciaio

e cemento armato) e all’uso di nuove tecniche nelle costruzioni. Le nuove possibilità così consentite alla

concezione stessa degli edifici e alla loro espressione formale vanno definitivamente trasformando il volto

della città, mettendone in crisi le tradizionali forme di controllo. Le nuove proposte supportate dalle dette

considerazioni hanno tutte come nucleo portante la dimensione innovativa del quartiere, e non più la

singola abitazione, si tendono cioè sempre più a programmare le città non come aggregazione di singole

Page 5: Compendio di Urbanistica

abitazioni, ma ad organizzare gli spazi e le grandi aree tendendo a renderle sempre più indipendenti e

autosufficienti. In questo contesto sicuramente esemplare è il caso della cosiddetta “utopia lecorbusierana”

(dal nome di LE CORBUSIER, che ne è l’autore), che proponeva una città “a dimensione d’uomo”

suddividendo l’organizzazione urbana in quattro settori chiave: abitare-lavorare-ricrearsi-circolare. La

residenza (l’”abitare”) è ancora il centro dell’operare urbanistico e il punto di partenza per la successione

delle integrazioni e delle connessioni che, mettendo in relazione le “funzioni chiave”, danno luogo al

quartiere e, ampliando la scala, alla città.

Dopo la seconda guerra mondiale, l’enorme sforzo economico e politico della ricostruzione

costringe i paesi europei ad affrontare problematiche urbanistiche assai complesse, a ragionare su una scala

che supera la dimensione storica della città per coinvolgere ambiti territoriali sempre più vasti. Le

formulazioni teoriche del razionalismo degli anni Venti e Trenta appaiono troppo limitate e superate dalla

dimensione territoriale degli interventi necessari. Tuttavia l’ipotesi del quartiere come nucleo di base dello

sviluppo urbano resta a fondamento di alcune esperienze urbanistiche di quest’epoca: dalle realizzazioni

dell’edilizia economica e popolare dell’INA Casa in Italia, alle new towns inglesi, agli interventi di

decentramento effettuati nei paesi scandinavi. E proprio il decentramento urbano, inteso come strumento di

riequilibrio territoriale, è il tema urbanistico centrale di questo periodo. In quest’ ambito, mentre si pone il

problema del coordinamento della città con le attività produttive trasportate al di fuori dei suoi limiti e con i

nuovi insediamenti suburbani, un ruolo sempre più importante viene assegnato, dal dibattito urbanistico, al

concetto di integrazione tra città e campagna.

Pertanto, nell’eccezionale circostanza della ricostruzione postbellica, il pensiero urbanistico si fa

più maturo. Al suo interno emerge un filone di studi scientifici (economici, geografici, sociologici) che

orientano in modo nuovo e diverso, nel senso di un’effettiva pianificazione, gli obiettivi operativi della

disciplina urbanistica. Da questo filone non soltanto nascono nuove metodologie di analisi urbana e

territoriale, ma si sviluppano importanti innovazioni nella concezione normativa.

Page 6: Compendio di Urbanistica

NORMATIVA URBANISTICA ESSENZIALE

Gli anni che seguirono l’unità d’Italia videro un crescente bisogno, da parte del nuovo stato, di

promuovere le disuguaglianze economiche che affliggevano il territorio nazionale. La pesante eredità degli

stati pre-unitari si concretizzava nella mancanza di efficienti vie di comunicazione ed in un sistema

economico disomogeneo; al nord una nascente industrializzazione, al sud estesi latifondi ed un’agricoltura

arcaica.

Per l’urgente esigenza della creazione di una rete stradale e ferroviaria che promuovesse i commerci il

Parlamento pose mano ad una legge che consentisse gli espropri necessari. La materia fu regolata dalla:

L.N. 2359 del 25/6/1865, “Disciplina delle espropriazioni forzate per causa di pubblica utilità”

Con la suddetta legge si introducono i Piani Regolatori Edilizi ed i Piani di Ampliamento. Il primo,

destinato al centro storico da risanare, consentiva di allargare o aprire nuove strade, di fissare le altezze e gli

allineamenti degli edifici ricostruiti, di definire le aree di demolizione e di ricostruzione; il secondo,

destinato all’espansione della città, dettava disposizioni in merito all’individuazione delle aree per

l’edificazione, i collegamenti con la viabilità preesistente, le opere di urbanizzazione.

La legge stabilisce inoltre la non obbligatorietà dei PRE che, comunque, possono essere adottati solo dai

comuni con più di 10000 ab. Stabilisce il termine di 25 anni per la loro attuazione ed il riconoscimento

implicito nel PR della dichiarazione di pubblica utilità. Nei Piani di Ampliamento si stabilisce l’obbligo di

cedere il terreno per la viabilità, dietro compenso per l’esproprio.

Questa legge ha come criterio base il pagamento di un indennizzo che risarcisca completamente il danno

economico subito, senza tener conto, ovviamente, del valore affettivo che il proprietario ha nei riguardi del

bene. In essa si prende, come riferimento per l’indennizzo, il valore del terreno insieme al reddito

agricolo da esso prodotto; tale valore va ricavato mediante stima e perciò fa riferimento al valore di

mercato.

La legge non ebbe una vasta applicazione a causa del forte onere economico derivante ai comuni soprattutto

nel caso di esproprio di edifici.

Sia prima che dopo l’unità d’Italia le grandi città, cresciute sia per lo sviluppo industriale che per la spinta

demografica, manifestano urgenti problemi di assetto urbanistico. Essi vennero affrontati dalle

amministrazioni locali principalmente attraverso disposizioni finalizzate al miglioramento dell’igiene

pubblica e al conseguimento dell’ideale, allora in voga, del “bello e ordinato”.

Gli interventi erano principalmente concentrati nelle zone dei centri urbani, solitamente i più degradati,

dove furono frequenti le demolizioni per garantire la sicurezza statica e gli allineamenti stradali.

Page 7: Compendio di Urbanistica

Questi interventi restavano comunque limitati e parziali (diversamente da quanto si stava realizzando in

tutte le grandi città europee). Ciò però conferma la gravità della situazione che attraversavano le nostre

città.

Fu proprio il Sud che fornì al legislatore la ragione di un successivo intervento. Il centro antico di Napoli

superaffollato e privo di un decente sistema fognario subì, nel 1884, un’epidemia di colera. Il Parlamento

affrontò il problema con un intervento straordinario mediante la:

L.N. 2892 del 15/1/1885, “Legge per il risanamento della città di Napoli”

Questa legge, come avverte l’intestazione, fu varata solo per il caso particolare della città di Napoli, onde

demolire e ricostruire un quartiere malsano colpito da epidemia di colera, causata dalle condizioni

antigieniche e dal sovraffollamento delle abitazioni. In parole povere lo scopo che si prefiggeva il

legislatore era quello di “espropriare molto e pagare poco”, dovendosi adattare alle condizioni

economiche del tempo e del luogo, con finalità sociali.

L’art. 13 stabilisce che l’indennità dovuta ai proprietari va determinata effettuando la media del valore

venale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio con data certa. In difetto di tali fitti accertati, si deve

sostituirli con l’imponibile netto agli effetti delle imposte sui terreni e sui fabbricati.

Negli anni seguenti furono messi in atto interventi legislativi particolari per alcune grandi città:

L.N. 320 dell’8/7/1904

Introduce per la città di Roma l’imposta sulle aree fabbricabili;tale legge era comunque valida per tutti i

comuni che reputassero necessario promuovere nuove edificazioni.

L.N. 502 dell’11/7/1907

Destina metà del ricavato delle imposte sulle aree fabbricabili a beneficio dello IACP (istituto autonomo

case popolari) di Roma; tale legge dichiarava inoltre fabbricabili tutte le aree comprese nel perimetro del

PR di Roma (precedentemente la legge Luzzati sulle case operaie, del 1903, aveva introdotto l’edilizia

popolare in Italia; a questa legge risalgono i primi Istituti Case Popolari).

Dal punto di vista urbanistico questa innovazione è assai importante perché in opposizione al concetto

tradizionale di edificabilità come diritto connaturato ad ogni suolo, stabilisce il principio che sono

fabbricabili solo le aree comprese nel perimetro del Piano Regolatore

Altra innovazione è l’aver introdotto l’obbligo per i Comuni di dotarsi di Regolamento Edilizio, strumento

che, a quella data, era limitato al controllo dell’espansione edilizia e non a regolare tutta l’attività edilizia

come avviene oggi.

Il ripetersi del ricorso alle leggi speciali per risolvere situazioni contingenti fece sì che da più parti si

sentisse la necessità di una disciplina urbanistica integrale, organica e autonoma, alla quale si poteva

Page 8: Compendio di Urbanistica

giungere solo separando le norme urbanistiche da quelle riguardanti l’esproprio, evitando l’equivoco che

il PR (piano regolatore) fosse solo una particolare ipotesi di dichiarazione di pubblica utilità.

Il Piano Regolatore infatti, pur introducendo il vincolo sulla proprietà privata per l’esecuzione di certe

opere, non è soltanto un progetto di opere pubbliche ma, soprattutto, uno strumento guida per la gestione

del territorio. Si pervenne, in tal modo, alla legge istitutiva del piano regolatore per la città di Roma.

1931 - Con la legge istitutiva del PR di Roma si introdussero alcuni principi fondamentali in materia di

procedura urbanistica, fra i quali quello della lottizzazione dei terreni per nuovi insediamenti abitativi e

quello sulla formazione dei comparti edilizi.

Tali principi formeranno la base per la futura:

L.N. 1150 del 17/8/1942, “Legge Urbanistica Nazionale”

La legge n. 1150 entrò in vigore durante la guerra e rimase inattuata per molti anni. Ad essa doveva far

seguito il regolamento di attuazione per renderla operativa, ma al termine del periodo bellico, a causa della

situazione d’emergenza, il legislatore si orientò a favore dell’approvazione di “Piani di Ricostruzione” che

tra il 1945 ed il 1951 furono introdotti nella normativa italiana per porre mano alla ricostruzione

postbellica.

In essa si stabiliva, inoltre, che la disciplina urbanistica doveva attuarsi mediante piani regolatori di vario

ordine, tra cui, i piani regolatori ed i piani particolareggiati.

I Piani di Ricostruzione riunendo in un unico atto le previsioni dei Piani Regolatori e dei Piani

Particolareggiati costituirono, di fatto, una prima deroga alla legge del 1942 e ne ritardarono l’attuazione.

La LUN è l’unica legge organica in materia urbanistica alla quale, nel corso degli anni, successive

leggi hanno apportato modifiche sostanziali senza, peraltro, sostituirla. È tuttora in vigore nelle sue

linee sostanziali. Le modificazioni più significative alla LUN sono state introdotte con

la L.n. 765 del 1967 (se vuoi saperne di più sulle leggi 1150/1942 e 765/1967 scorri la pagina sino agli

approfondimenti).

La ricostruzione postbellica fu un’occasione perduta per l’urbanistica italiana. Anziché realizzare veri e

propri interventi di riprogettazione urbanistica, come avveniva nelle altre nazioni europee coinvolte nella

guerra, si decise di procedere per mezzo di decreti legge che autorizzassero e aiutassero la ricostruzione di

ciò che era come era.

Il primo emanato riguardò l’Italia a sud della “Linea Gotica”, già liberata dalle truppe alleate, e fu il:

D.l. n 154 del 1/3/1945, “Piani di ricostruzione degli abitati danneggiati dalla guerra”

L’ultimo fu il:

Page 9: Compendio di Urbanistica

D.L. n 1402 del 27/10/1951

Questi lodevoli interventi pensati per garantire un tetto agli italiani venivano calati in una situazione

caratterizzata da controlli inesistenti ed inefficienza amministrativa che inibirono una corretta

pianificazione delle aree urbane distrutte nonché quelle periferiche prese d’assalto dalla speculazione

edilizia.

Ma la voglia di approfittare ancora di un regime transitorio e rimandare ancora la predisposizione dei piani

regolatori resta forte a tal punto che il Parlamento nel 1955 emana la:

L.N. 1357 del 21/12/1955, “Proroga dei termini per l’attuazione dei PRG e dei PR e disposizioni per il

rilascio di licenze in deroga al regolamento edilizio”

Non stupiamoci di questo modo di far leggi perché ancora nel 1993 la L.n. 317 annuncia “Norme generali

per il completamento dei piani di ricostruzione postbellica”.

I successivi anni ’60 videro un grande riequilibrio sociale ed economico tra industria e agricoltura e tra

nord e sud Italia. Il “miracolo economico” provocò lo svuotamento delle campagne del sud e il

sovraffollamento delle città del nord, per cui a causa della diffusa povertà delle masse operaie e

bracciantili si dovette affrontare il problema degli alloggi per i lavoratori e le categorie svantaggiate.

La problematica venne affrontata con la:

L.N. 167 del 18/4/1962, “Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia

economica e popolare”

In essa, i Comuni con popolazione superiore ai 50000 abitanti, sono obbligati a dotarsi di piani di zona o

PEEP comprensivi di opere di urbanizzazione, attrezzature di servizio e, finalmente, di verde pubblico.

Con l’art. 10 la legge consente inoltre ai Comuni di espropriare fino al 50% delle aree per riutilizzarle in

proprio o per rivenderle ai privati che si impegnano a costruire case con caratteristiche (per prezzi e

qualità) economiche e popolari. La restante parte resta a disposizione dello Stato per alloggi demaniali, o

delle Regioni, o degli istituti INA-Casa, cooperative, ecc.

L’art. 12 contiene un principio dirompente: l’indennità di esproprio va determinata dall’Ufficio Tecnico

Erariale sulla base del valore del terreno senza tener conto del suo incremento dipeso direttamente o

indirettamente dalla formazione e attuazione dei piani urbanistici. Viene così azzerato il valore delle aree

periferiche.

Riepilogando la 167/1962 è assai importante perché con lo snellimento delle procedure, con la

dichiarazione di pubblica utilità per l’edilizia residenziale, con la previsione delle opere di urbanizzazione

nonché l’acquisizione delle aree da parte dei Comuni a prezzo di terreno agricolo costituisce una coraggiosa

rottura con la prassi degli anni precedenti.

La cronica scarsità di risorse finanziarie fece sì che la legge trovasse attuazione pratica soltanto nelle

regioni del nord e, per di più, nelle città più grandi; inoltre la Corte Costituzionale dichiarò illegittimo l’art

Page 10: Compendio di Urbanistica

10 poiché è giustificabile l’esproprio delle aree destinate ad usi pubblici da parte della collettività (strade,

parcheggi, verde, ecc.), ma non altrettanto può dirsi per le aree destinate alla residenza che, perciò, hanno

un uso strettamente privatistico; e comunque queste aree non possono essere valutate con il criterio del

prezzo agricolo, ma riferendosi al prezzo di mercato.

La frenetica attività edilizia seguita al “miracolo economico”, che caratterizzò l’Italia dalla fine degli anni

’50 alla fine degli anni ’60, aveva prodotto un’espansione disordinata delle città con indici di affollamento

inaccettabili e tutto ciò aggirando norme e vincoli con ogni sorta di abuso generalizzato che

comprometteva ogni successiva possibilità d’intervento di pianificazione.

Da più parti si chiedeva una riformulazione sostanziale della legge urbanistica. Nel 1966 tre eventi

catastrofici (la frana di Agrigento che fece sprofondare un intero quartiere, e le alluvioni di Firenze e del

Veneto) convinsero il Parlamento che era giunto il momento di fare qualcosa. L’intervento legislativo

mirava quindi ad abbattere la speculazione edilizia ed a salvaguardare il patrimonio culturale e

paesaggistico nazionale.

Si pervenne cosi alla:

L.N. 765 del 6/8/1967, nota come “Legge ponte”

Tale legge avrebbe dovuto finalmente consentire sostanziali mutamenti nella politica urbanistica italiana

poiché stabiliva la demolizione per le opre eseguite senza licenza edilizia o in modo difforme da questa, la

licenza inoltre poteva essere rilasciata solo se l’area fosse già servita da opere di urbanizzazione, infine le

nuove lottizzazioni erano subordinate alla stipulazione di una convenzione tra privati e Comune. Fissava,

inoltre, consistenti limitazioni all’edificazione in quei Comuni ancora sprovvisti di strumenti urbanistici e

stabiliva anche che ogni nuova costruzione fosse dotata di parcheggi auto in misura non inferiore ad 1

m2 ogni 20 m2 di superficie.

La legge si concludeva preannunciando l’emanazione di norme relative agli standard urbanistici e i limiti

all’edificazione per mezzo di decreti ministeriali. (I D.M. 1404 e 1444 furono emanati nel 1968 e se vuoi

saperne di più clicca su di essi).

Nonostante il nostro Paese attualmente non stia attraversando un periodo economico favorevole, non è

facile capire o ricordare le difficoltà e i disagi che molti italiani hanno dovuto sopportare in una fase

storica di grandi riequilibri economici e di fortissima emigrazione interna quale è stato il periodo degli

anni Sessanta.

La contestazione giovanile del 1968, le grandi lotte operaie e la mobilitazione dei sindacati sul problema

degli alloggi, culminata nello sciopero generale per la casa del 1970, indussero il Parlamento a varare la:

Page 11: Compendio di Urbanistica

L.N. 865 del 22/10/1971, “Legge per la casa”

Nelle intenzioni del legislatore essa avrebbe consentito di operare in modo organico e definitivo su di un

bene fondamentale quale la casa.

Con essa viene istituito un comitato, il CER, con compiti di orientamento, controllo e coordinamento dei

programmi per l’edilizia; si ritorna, nel caso di espropri, all’indennizzo stabilito sulla base del valore medio

agricolo determinato dall’UTE; vengono estesi i programmi pubblici di edilizia residenziale ad abitazioni

malsane o colpite da calamità naturali; viene ampiamente trattata l’edilizia agevolata e convenzionata. Si

cerca, poi, di orientare gli operatori del settore verso il recupero edilizio.

La prima metà degli anni Settanta è caratterizzata anche da leggi e decreti che, pur non avendo

connotazioni strettamente urbanistiche, hanno a che vedere con l’edilizia: si tratta della L.N. 1086/1971

“Norme per la disciplina delle opere in conglomerato cementizio armato e precompresso e a struttura

metallica”, dei Decreti Delegati del 1972 che trasferiscono alle Regioni a statuto ordinario alcune

competenze in materia urbanistica e della L.N. 64/1974 “Provvedimenti per le costruzioni con particolari

prescrizioni per le zone sismiche”. Da questo momento in poi tutte le figure professionali coinvolte nel

processo edilizio, limitatamente all’ambito di rispettiva competenza, saranno chiamate a rispondere dei

propri atti davanti alla legge.

Giungiamo alla fine degli anni Settanta che vedono la promulgazione della:

L.n. 10 del 28/1/1977, “Norme per l’edificabilità dei suoli”, nota come “legge Bucalossi”

La legge contiene importanti elementi innovativi alcuni dei quali, secondo il parere degli esperti, non ben

formulati. Innanzitutto introduce il programma pluriennale di attuazione (p.p.a.), mediante il quale

l’Amministrazione comunale stabilisce i tempi e i modi degli interventi edificatori; l’altra grande novità

riguarda la possibilità o meno di concedere il permesso a qualsiasi trasformazione dei suoli; comunque chi

ottiene tale permesso deve pagare un contributo destinato a coprire i costi di urbanizzazione.

Ciò, in sostanza, equivale alla separazione dello jus ædificandi dallo jus possidendi, ma questo la legge

Bucalossi non lo dice esplicitamente. Ragion per cui la Corte Costituzionale sarà chiamata in causa per le

controversie sollevate dai proprietari di aree fabbricabili che vedevano lesi i loro diritti naturali (se vuoi

saperne di più sulla legge Bucalossi, sullo jus ædificandi e lo jus possidendi scorri la pagina sino agli

approfondimenti).

Con la:

L.N. 513 del 8/8/1977, “Provvedimenti urgenti per l’accelerazione dei programmi in corso”

e con la:

Page 12: Compendio di Urbanistica

L.N. 457 del 5/8/1978, “Norme per l’edilizia residenziale”,

si assiste, finalmente, ad una ripresa del settore edilizio che, non dimentichiamolo, è un settore trainante

poiché fa da volano a molteplici attività e settori ad esso collegati. In particolare la L.N. 457 introduce un

piano decennale che riguarda tutti gli interventi di edilizia sovvenzionata, convenzionata e agevolata

finalizzati alla costruzione di abitazioni e al recupero del patrimonio edilizio esistente, nonché

l’acquisizione e l’urbanizzazione di aree destinate agli insediamenti residenziali.

Siamo così giunti agli anni Ottanta che vedono l’intervento della Corte Costituzionale e, in seguito, il

primo condono edilizio.

La Corte, con sentenza n. 5 del 30/1/1980, definiva illegittimo l’indennizzo delle aree espropriate calcolato

sulla base del loro valore agricolo. Ciò avrebbe comportato un enorme esborso di denaro in più per quelle

amministrazioni che si erano impegnate in programmi di edilizia pubblica. Per evitare un tracollo delle

casse comunali il Parlamento provvide ad apporre una “toppa”, con la L.N. 385 del 31/12/1980, mediante

la quale veniva prorogata la validità degli indennizzi con possibilità di un conguaglio successivo e in

attesa di una nuova e risolutiva norma.

Ma il problema della casa restava comunque di difficile soluzione, anche perché la situazione economica

del paese presentava ancora prospettive negative. In questa cupa atmosfera il Governo ricorse ad

interventi straordinari varando la:

L.N. 94 del 25/3/1982, “Norme per l’edilizia residenziale”

Essa concedeva mutui a tasso zero ai Comuni che si impegnavano in programmi di acquisizione di aree da

urbanizzare e destinare all’edilizia residenziale, arrivando ad ipotizzare l’occupazione d’urgenza delle aree.

La legge elencava anche una serie di opere non soggette a concessione ma a semplice autorizzazione

gratuita ed arrivando alla implicita ammissione di impossibilità di controllo del processo pianificatorio con

l’introduzione del principio del silenzio-assenso.

La semplificazione delle procedure introdotte dalla legge 94/1982 fu intesa dagli operatori del settore e dai

singoli proprietari di aree edificabili non già come una accelerazione dei tempi lenti della burocrazia, ma

come un tacito invito ad arrangiarsi con probabile garanzia d’impunità. Gli italiani, nonostante leggi,

decreti, circolari esplicative, PRG, PP e quant’altro, continuavano ad impegnarsi in uno degli sport

preferiti: costruire dovunque e comunque abusivamente eludendo vincoli, norme, piani regolatori, tasse. Le

stime di questo fenomeno, peraltro approssimate, davano i brividi: circa il 30 – 40% del patrimonio

edilizio. Alcune località erano (e sono) abusive al 90% includendo anche gli edifici pubblici.

L’indulgenza con relativa assoluzione dai peccati venne sotto forma di condono edilizio; tale rimedio

invocato a gran voce dagli italiani fu introdotto dal Parlamento con la:

Page 13: Compendio di Urbanistica

L.N. 47 del 28/2/1985, “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistica ed edilizia. Sanzioni,

recupero e sanatoria delle opere edilizie”

La legge nei primi articoli elenca i casi di opere abusive e prosegue annunciando la concessione in sanatoria

previo pagamento della oblazione. Si rendono nulli gli atti di compravendita relativi ad edifici abusivi o

lottizzazioni abusive; si dispone la confisca delle lottizzazioni abusive e si annunciano controlli periodici

del territorio mediante rilevamenti aerofotogrammetrici.

Per quanto riguarda lo snellimento delle procedure urbanistiche ed edilizie si specificano le categorie di

opere edilizie per le quali non è più necessaria la concessione e l’autorizzazione, ma una semplice relazione

che descriva le opere da eseguirsi nel rispetto delle norme vigenti, presentata all’inizio dei lavori, e firmata

da un professionista abilitato.

Che dire di ciò che è successo in campo legislativo ed urbanistico dal 1985 sino ai giorni nostri?

Molto semplicemente che gli italiani, un po’ per necessità e, un po’ per naturale inclinazione, hanno

continuato a costruire abusivamente in spregio alle leggi, tanto è che nel 1994 sono stati riaperti i termini

del condono edilizio (ma forse anche per la cronica necessità che hanno le casse dello Stato di denaro).

Ancora nel corrente anno, 2004, ci viene riproposta una nuova sanatoria edilizia.

Concludendo possiamo affermare che la nostra normativa è affetta da:

� complessità organizzativa;

� difficoltà interpretativa;

� sovrapposizione di competenze.

Page 14: Compendio di Urbanistica

APPROFONDIMENTI

L.U. n°1150 del 1942

Analizziamo più dettagliatamente i punti significativi della legge urbanistica nazionale n° 1150 del 1942.

Essa si articola in quattro titoli suddivisi, a loro volta, in capi.

Il titolo I riguarda l’ordinamento statale dei servizi urbanistici ed all’art. 1 si afferma che:”L’assetto e

l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio dello Stato sono

disciplinati dalla presente legge. Il Ministro dei lavori Pubblici vigila sull’attività urbanistica anche allo

scopo di assicurare, nel rinnovamento ed ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri

tradizionali, di favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all’urbanesimo.”

Il titolo II tratta della disciplina urbanistica. Nei capi che lo costituiscono si stabilisce che essa è

regolamentata da piani regolatori di vario ordine i quali devono essere corredati di norme di attuazione.

Viene inoltre introdotto per la prima volta il concetto di Piano Territoriale di Coordinamento

(PTC) (senza però dire se si tratta di piani regionali o provinciali).

Vengono definite le caratteristiche dei Piani Regolatori Generali (PRG) che devono estendersi a tutto il

territorio comunale qualificandone la destinazione d’uso (zonizzazione); essi, una volta approvati, hanno

durata a tempo indeterminato.

Introduce, poi, i Piani Particolareggiati Esecutivi (PPE) che sono i veri strumenti di attuazione dei PRG.

I PPE devono essere corredati da un piano finanziario che specifichi le risorse destinate alla sua attuazione

(costi di acquisizione aree, pagamento opere di urbanizzazione, ecc.). La loro approvazione equivale a

dichiarazione di pubblica utilità (con durata limitata a 5 e 10 anni) e quindi rende possibile l’espropriazione

delle aree ad esso necessarie.

Tra i contenuti delle norme di attuazione dei PPE vi è l’epropriabilità delle aree inedificate o di quelle su

cui insistono costruzioni in contrasto con la destinazione di zona.

I proprietari di piccole aree o di zone con confini di proprietà irregolari tali da non consentirne un utilizzo

efficace possono costituire volontariamente dei comparti edificatori.

Si introduce l’obbligatorietà della licenza per qualsiasi costruzione. L’art. 33 definisce i contenuti

del Regolamento Edilizio (RE); l’art. 34, poi, consente ai piccoli Comuni di dotarsi di uno strumento

urbanistico più agile, il Programma di Fabbricazione (P.d.F) da allegare al proprio regolamento edilizio.

Il titolo III tratta della determinazione della indennità di espropriazione, per la quale l’art. 37 fa

riferimento alla l.n. 2359 del 25/6/1865, stabilendo inoltre il criterio che nessun indennizzo è dovuto ai

proprietari per le limitazioni ed i vincoli derivanti alla loro proprietà a causa dell’approvazione del PRG.

Page 15: Compendio di Urbanistica

Il titolo IV contiene le disposizioni generali e transitorie con riferimento alla pubblicazione di un successivo

regolamento di attuazione che non ebbe mai seguito.

Riepilogando la Legge Urbanistica Nazionale ha portato profonde modificazioni all’assetto giuridico in

materia urbanistica introducendo innovazioni riguardanti principalmente:

� I PRINCIPI NORMATIVI

� L’ORGANIZZAZIONE DELLA PIANIFICAZIONE

� I POTERI CONFERITI AI COMUNI

Principi normativi

Principali innovazioni introdotte dalla legge:

� la pianificazione urbanistica riguarda tutto il territorio nazionale;

� l’attività edilizia, sino ad ora regolamentata all’interno dei centri abitati, viene regolamentata in

tutto il territorio dello Stato;

� obbligo della licenza edilizia;

� la licenza edilizia è subordinata all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla

realizzazione delle stesse da parte del Comune nel triennio successivo, o all’impegno dei privati di

realizzarle contemporaneamente alle opere oggetto della licenza;

� responsabilità del titolare della licenza, del Direttore dei lavori e dell’assuntore per ogni

inosservanza delle norme di legge fissate nella licenza;

� attribuzione al Sindaco della vigilanza sull’attività edilizia;

� vengono introdotte sanzioni penali per le infrazioni e le violazioni di legge.

Organizzazione della pianificazione

La pianificazione urbanistica si attua mediante due livelli:

� un primo livello territoriale mediante i PIANI TERRITORIALI;

� un secondo livello locale mediante STRUMENTI URBANISTICI GENERALI ED

ESECUTIVI.

La pianificazione locale si articola ulteriormente in due fasi:

� fase previsionale mediante il Piano Regolatore Generale (PRG), che ha vigore a tempo

indeterminato;

� fase attuativa mediante i Piani Particolareggiati Esecutivi (PPE), esecuzione di iniziativa

pubblica e validità decennale.

Page 16: Compendio di Urbanistica

Vengono anche disciplinate le Lottizzazioni di aree a scopo edilizio che dopo la L.n. 765/1967 si

configureranno come veri e propri strumenti di attuazione del PRG ad opera dell’iniziativa privata.

Poteri conferiti ai Comuni

La LUN estende a tutti i Comuni la facoltà di dotarsi di PR; questa facoltà antecedentemente alla L.U.N.

era limitata ai Comuni con almeno 10000 ab. (ricordiamo la L.n. 2359 del 1865). Nella LUN è inserito un

elenco di Comuni di preminente importanza per i quali vige l’obbligo di dotarsi di PR. I Comuni, inoltre,

possono espropriare, entro i limiti di espansione dell’abitato, le aree inedificate e quelle su cui insistono

costruzioni in contrasto con le destinazioni attribuite all’area dal piano, onde realizzare su di esse residenze,

industrie o opere pubbliche di competenza di Comuni, Province, Regioni, Stato e altri enti pubblici o di

diritto pubblico.

Da un punto di vista amministrativo il P.R.G. (oggi ridenominato P.U.C. – Piano Urbanistico Comunale)

per poter entrare in vigore deve seguire un iter abbastanza laborioso ma che ne garantisce (almeno nelle

intenzioni) trasparenza e massimo controllo del rispetto delle norme. Alla pagina che segue si riporta uno

schema dell’iter di approvazione del PUC.

Come conclusione possiamo dire che il potere che hanno i Comuni di predisporre il PRG e di attuarlo si

scontra con la cronica carenza di mezzi tecnici e finanziari da parte di questi; inoltre le difficoltà nella

procedura di predisposizione e approvazione dei PRG e gli strumenti d’intervento assai scarsi si sono

rivelati ostacoli insormontabili per la piena attuazione della legge. Si dovette attendere sino al 1967 perché

finalmente la normativa urbanistica si arricchisse di disposizioni che prendessero il posto dei decreti

attuativi promessi dalla L.n. 1150/42 e mai emanati.

Page 17: Compendio di Urbanistica
Page 18: Compendio di Urbanistica

Legge n° 765 del 6/8/1967

Il Parlamento nel 1967 approva la L. n° 765/67 anche conosciuta con il nome di “Legge ponte”. Tale legge

avrebbe finalmente consentito sostanziali mutamenti nella politica urbanistica italiana.

I primi articoli stabiliscono tempi più brevi per la formazione dei piani; gli artt. 6 e 7 affermano che le

opere eseguite senza licenza edilizia o in modo difforme da questa o che siano in contrasto con le

indicazioni del PRG devono essere demolite e gli atti relativi (compravendita) devono essere

annullati.

Anche l’art. 8 è assai importante perché stabilisce, per la prima volta, che le nuove lottizzazioni sono

subordinate alla stipulazione di una convenzione tra privati e Comune.

La legge, tra le altre cose, demandava al Ministero dei Lavori Pubblici l’emanazione di appositi decreti tesi

a migliorare l’attività edilizia.

I decreti furono pubblicati nel 1968; essi sono:

� il D.M. n. 1404/68, “Distanze minime a protezione del nastro stradale da osservarsi nella

edificazione fuori dai centri abitati e nei nuovi insediamenti previsti dagli strumenti urbanistici”;

� il D.M. n. 1444/68, “Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati e

rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici...”.

Ecco in sintesi il contenuto dei due decreti.

Il D.M. n. 1404, dopo aver determinato all’art. 1 il campo di applicazione estendendolo a tutte la rete viaria

nazionale, definisce, all’art. 2, il “ciglio stradale” come il

limite della sede o piattaforma stradale comprendente

tutte le sedi viabili sia veicolari che pedonali, incluse le

banchine quando siano transitabili, nonché le strutture di

delimitazione non transitabili, come parapetti arginetti e

simili. Si veda, a maggior chiarimento la figura riportata a

fianco.

Ai successivi artt. 3 e 4 definisce la classificazione delle strade tenendo conto della funzione che svolgono e

ne determina la distanza minima delle costruzioni.

Si hanno così:

a) autostrade, e raccordi autostradali: distanza minima di edificabilità dal ciglio 60 m;

b) strade statali di interesse nazionale e internazionale, strade di grande comunicazione o ad elevato

traffico (statali), tangenziali e raccordi di scorrimento veloce: distanza minima 40 m;

c) altre strade statali, strade provinciali e comunali di larghezza /10,50 m: distanza minima 30 m;

Page 19: Compendio di Urbanistica

d) altre strade provinciali e comunali: distanza minima 20 m.

Il nuovo Codice della Strada (D.P.R. del 26/4/1993) si sovrappone al suddetto decreto con dei limiti più

articolati che si riportano nella seguente tabella:

Strade urbane Nei centri abitati Tipo

di strada

Strade extraurbane Fuori dai centri abitati ma all’interno del perimetro urbano Con PRG Senza

PRG A 60 30 30 30 B 40 20 - - C 30 10 - - D - - 20 20

E - non stabilita non stabilita 20

F 20 (10 se strade vicinali) non stabilita non

stabilita 10

Per gli edifici esistenti che ricadono in zona di rispetto stradale possono essere autorizzati solo il restauro e

la ristrutturazione senza modifiche planimetriche o aumenti di

volume.

L’art. 5, infine, dispone che in corrispondenza degli

incroci le distanze vanno raddoppiate, così come mostrato in

figura a lato.

Il D.M. n. 1444 stabilisce limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra fabbricati nonché

le zone omogenee nel seguente modo:

� Zone tipo A: il territorio interessato da agglomerati urbani che hanno carattere storico, artistico

o di particolare pregio ambientale.

� Zone tipo B: il territorio totalmente o parzialmente edificato, diverso dalle zone A. Si intendono

parzialmente edificate le zone la cui superficie coperta degli edifici esistenti non sia inferiore al

12,50 % (1/8) della superficie fondiaria.

� Zone tipo C: il territorio destinato a nuovi complessi abitativi inedificato o in cui non si

raggiunga il limite di superficie di cui alla zona di tipo B.

� Zone tipo D: il territorio destinato a nuovi insediamenti industriali.

Page 20: Compendio di Urbanistica

� Zone tipo E: il territorio destinato ad usi agricoli.

� Zone tipo F: il territorio destinato ad attrezzature e impianti di interesse generale quali:

attrezzature per l’istruzione superiore all’obbligo, sanitarie e ospedaliere, parchi pubblici urbani e

territoriali.

La capacità insediativa di un’area viene stabilita assegnando a ciascun abitante una superficie di 20

m2 esclusivamente residenziali oltre a 5 m2 per i servizi di prima necessità (pari a un volume convenzionale

rispettivamente di 80 e 20 m3).

Al fine di garantire ai Comuni una conveniente disponibilità di aree per le attrezzature di interesse

pubblico (istruzione, sanità, assistenza, culto, cultura, etc.; sport e tempo libero, parcheggi) gli articoli 3, 4,

e 5 stabiliscono, per le diverse zone omogenee le quantità minime di suolo da destinare agli scopi anzidetti

(in aggiunta alle aree destinate alle sedi viarie) negli strumenti urbanistici (vedasi tabella riportata alle

pagine seguenti).

Page 21: Compendio di Urbanistica

Zona territoriale omogenea Dotazione minima inderogabile in m2 per abitante insediato o insediabile esclusi gli spazi per sedi viarie (2) Limiti all’edificazione

Densità edilizia (in m3/m2)

Altezza H di edificazione in metri

Distanza D tra edifici antistanti (come in figura)

Edificazione in zona C Classe Carattere o

destinazione

Assistenza prescolastica

scuole d’obbligo

a

Attrezzature d’interesse

comune b

Verde attrezzato

c

Parcheggi pubblici

d

Totale

a+b+c+d Risanamento: minore o uguale ai valori preesistenti, escluse le sovrastrutture e le aggiunte recenti

A

- Esistente con carattere storico artistico o di particolare pregio ambientale - Zone circostanti integrative di tale carattere

4,5 2 9 2,5+4 (1)

18+4 (1),(3),(4)

Nuove costruzioni: [del 50% della densità media della zona e comunque [5

Nuove costruzioni: [dell’altezza media di edifici storico-artistici situati in prossimità

[ delle preesistenti, escluse le sovrastrutture e le aggiunte recenti senza valore storico-artistico

Distanze minime tra edifici con e senza strada interclusa, da applicare in zona C

B

- Esistente ma senza il carattere della zona A - Edificata totalmente - Edificata parzialmente ma con rapporto di copertura fondiario / 1/8e con densità territoriale / 1,5 m3/m2

4,5 2 9 2,5+4 (1)

18+4 (1),(3),(4)

Secondo PRG o PdiF Ricostruzioni: [ 5 sino a 50000 ab. [ 6 sino a 200000 ab. [ 7 oltre 200000 ab. Densità > ammesse se [70% delle preesistenti

Nuove costruzioni: [ altezze edifici preesistenti e circostanti, salvo pianificazione esecutiva

C

- Inedificata destinata a nuovi complessi insediativi; edificata parzialmente con rapporto di copertura [ 1/8 e

4,5

2

9

2,5+4 (1)

18+4 (1)

Secondo PRG o PdiF

Secondo PRG o RE - In contiguità a zone A , H compatibili con quelle della zona A contigua

D minima assoluta di m 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti

Vedi disegno 1

Page 22: Compendio di Urbanistica

con densità territoriale [ 1,5 m3/m2 - Id. per zone contigue o in rapporto con preesistenze amb. art. e archeologiche - Id. per Comuni con pop. prevista[ 10000 ab.

4,5 4

2 2

15 4

2,5+4 (1)

2+4 (1)

24+4 (1)

12+4 (1)

D

Per nuovi insediamenti industriali e assimilabili

10% dell’intera superficie utile della zona 10%

Secondo PRG o PdiF

Secondo PRG o PdiF

E Per usi agricoli 6 6 Secondo PRG o

PdiF Abitazioni: [0,03

Secondo PRG o PdiF

Istruzione superiore all’obbligo

Attrezzature sanitarie ed ospedaliere

Parchi urbani e territoriali

F

Per attrezzature e impianti di interesse generale, anche sovracomunale

1,5 1 15

Dotazione in m2 per 100 m2 di sup. lorda di pavimento degli edifici previsti

80

Per complessi commerci

ali e direzionali

Centri commerciali e zone direzionali

/ 40+16(1) Min. 40 80+16(1)

Secondo PRG o PdiF (preferire alla densità l’indice di sfruttamento in m2/m2

Secondo PRG o PdiF

Vedi disegno 2

(1) Previsto dall’art. 41 sexies della LUN. (2) Per la sola residenza si considerano 20 m2/ab. (pari a 80 m3/ab.), per residenza e servizi integrativi si considerano 25 m2/ab. (100 m3/ab.) (3) Salvo impossibilità. (4) In caso di impossibilità si possono reperire gli spazi nelle adiacenze.

Page 23: Compendio di Urbanistica

Questi indici fissano misure e dimensioni da rispettare nella progettazione urbanistica dei piani

particolareggiati e nella costruzione degli edifici per consentire alla popolazione insediata di poter contare

su una edilizia rispettosa dei moderni criteri dimensionali.

Gli artt. 7, 8 e 9 fissano norme più propriamente edilizie. In particolare, l’art. 7 fissa i limiti di

densità edilizia per le varie zone; l’art. 8 fissa i limiti di altezza degli edifici; l’art. 9 fissa i limiti di minimi

di distanza tra fabbricati e di questi dai confini. Per quest’ultima norma si vedano esempi riportati nelle

figure seguenti.

Page 24: Compendio di Urbanistica
Page 25: Compendio di Urbanistica

L. n. 865 del 22/10/1971 nota come “Legge per la casa”

Tale legge ha 76 articoli divisi in 5 titoli e, forse per questa ragione, fu definita “legge fiume”.

In essa si stabiliscono tempi e modi per la formazione ed il finanziamento dei programmi per l’edilizia.

Viene prevista la costituzione del Comitato per l’edilizia residenziale (CER), con compiti di

orientamento controllo e coordinamento di enti e strutture destinati a fornire case ai lavoratori.

L’intero titolo II (artt. 9-25)contiene le norme sulle espropriazioni per pubblica utilità. Dal momento che si

afferma il principio di “casa come servizio sociale” gli indennizzi vengono stabiliti sulla base del valore

medio agricolo determinato dall’UTE (Ufficio Tecnico Erariale); se le aree ricadono nel perimetro urbano è

previsto un incremento di valore con modalità variabili in base alla dimensione numerica del Comune.

Poiché si estende la facoltà di esproprio alle zone costruite, ma da risanare (centri storici), si deduce un

chiaro intento del legislatore di orientare gli operatori verso il recupero edilizio.

I successivi titoli trattano la materia dei programmi pubblici di edilizia residenziale, edilizia agevolata e

convenzionata.

Nonostante le grandi aspettative questa legge subì gravi ritardi applicativi, ma soprattutto divenne operativa

in un periodo di grande crisi che colpì l’economia mondiale (guerra del Kippur che vide Israele scontrarsi

con i Paesi Arabi del Medio Oriente), causando un forte rincaro dei prodotti petroliferi con conseguenze

inevitabili sulla traballante economia nazionale.

L. n. 10 del 28/1/1977 - “Norme per l’edificabilità dei suoli”, nota come “legge Bucalossi”, dal nome

del Ministro dei Lavori Pubblici che la firmò.

Tale provvedimento si configura come legge quadro in materia urbanistico-edilizia cioè come legge che

pone i principi fondamentali ai quali dovranno adeguarsi le Regioni nell’emanare le proprie leggi

urbanistiche. Ai Comuni spetteranno le funzioni di adozione dei piani urbanistici, l’emanazione dei

regolamenti edilizi ed il rilascio della concessione edilizia. Essa è inoltre caratterizzata da buone intenzioni:

per esempio quella di rendere uguali nei confronti della pianificazione urbanistica tutti i proprietari di aree

di espansione che attraverso il programma pluriennale di attuazione vedono stabilito come, dove e

quando è possibile realizzare gli interventi previsti. Ciò allo scopo di graduare la realizzazione delle

necessarie opere di urbanizzazione primaria e secondaria nonché l’attività edificatoria, onde evitare che la

città si sviluppi in modo caotico e disomogeneo.

L’altra buona intenzione riguarda la possibilità, oppure no, di concedere il permesso a qualsiasi

trasformazione dei suoli e degli immobili.

Il Decreto Legge Bucalossi, di fatto, istituiva il principio giuridico della separazione fra il diritto di

proprietà (jus possidendi) e il diritto di costruire (jus ædificandi), riservando quest’ultimo alla collettività.

Page 26: Compendio di Urbanistica

Mancando, però, una esplicita dichiarazione di ciò che si voleva perseguire (come già detto la separazione

dello jus ædificandi dallo jus possidenti), tre anni dopo la Corte Costituzionale con sentenza n.5 del

30/1/1980, concludendo un’importante disputa giuridica, affermava che il diritto ad edificare continuava ad

essere un requisito del diritto di proprietà. Il fatto che la legge avesse trasformato la “licenza edilizia” in

“concessione onerosa” non poteva modificare un tale stato delle cose.

Lo spirito innovativo con cui era stata formulata la legge fu, dunque, vanificato dal parere negativo della

Corte Costituzionale e l’Italia perse un’altra occasione per uniformarsi allo standard di altre nazioni europee

in materia di proprietà dei suoli. La legge n. 10/77 non era riuscita ad affermare un nuovo ed importante

principio di utilità sociale:anteporre il beneficio collettivo al privilegio del singolo. Negli estensori e

promotori della legge rimaneva la consolazione che, se non altro, la concessione introduceva un onere che

andava in parte a finanziare opere essenziali di urbanizzazione a beneficio della collettività.

Riassumendo, i punti qualificanti della legge sono:

� la nuova disciplina della Concessione Edilizia (che sostituisce la Licenza edilizia);

� l’introduzione del Programma Pluriennale di Attuazione del piano regolatore (PPA).

Le caratteristiche della Concessione Edilizia sono:

� irrevocabilità: una volta rilasciata la concessione edilizia non può essere ritirata o diventare

inefficace se non nei casi previsti di annullamento o decadenza.

� trasferibilità: tale ipotesi si verifica nel caso in cui il titolare cede ad altri tale diritto per

propria volontà o per causa di morte.

� onerosità: viene rilasciata dietro versamento di un contributo, salvo i casi di gratuità

� validità: limitata nel tempo; i lavori devono iniziare entro un anno dalla data del rilascio e

l’ultimazione deve avvenire entro tre anni dalla data d’inizio dei lavori.

� pubblicità: l’avvenuto rilascio della concessione viene comunicato al pubblico tramite

affissione all’albo pretorio del Comune.

Programma Pluriennale di Attuazione

Anche il PPA è stato oggetto di critiche da parte della Corte Costituzionale poiché non è possibile rinviare a

tempo indeterminato l’edificabilità di un suolo senza un adeguato indennizzo. Così il PPA è stato abrogato

e poi sospeso in atteso di qualcosa che lo sostituisse, ma che ancora non si è visto.

Page 27: Compendio di Urbanistica

Opere ed oneri di urbanizzazione

Per opere di urbanizzazione si intendono gli impianti e le attrezzature che i Comuni devono realizzare per

conferire ad un territorio le caratteristiche urbane; gli oneri sono ovviamente le spese che si sostengono per

realizzarle.

Le opere di urbanizzazione sono di due tipi: primarie e secondarie.

Primarie: Secondarie: a) strade residenziali; a) asili nido e scuole materne;

b) spazi sosta e parcheggio; b) scuole dell’obbligo;

c) fognature; c) mercati di quartiere;

d) rete idrica; d) uffici comunali;

e) rete distribuzione energia elettrica e gas; e) chiese e servizi religiosi;

f) illuminazione pubblica; f) impianti sportivi di quartiere;

g) spazi di verde attrezzato. g) centri sociali;

h) aree verdi di quartiere.

L. n.457 del 5/8/1978 - “Norme per l’edilizia residenziale”

Questa legge, nata con lo scopo di incrementare gli interventi di edilizia residenziale, nel Titolo IV

introduce delle norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico esistente.

Tali norme configurano un nuovo sistema di programmazione degli interventi di recupero così strutturato:

� individuazione delle zone da recuperare da parte della pubblica amministrazione;

� perimetrazione, all’interno di esse, degli immobili o complessi edilizi, degli isolati e delle aree

oggetto del recupero.

Il Comune opererà tale scelta in base a criteri discrezionali con la sola ed unica condizione: che sussista un

effettivo stato di degrado. Altrettanto discrezionale è l’individuazione degli immobili da assoggettare a

Piano di Recupero.

Il Piano di Recupero (PdR) è stato introdotto con lo scopo di fornire agli operatori pubblici e privati uno

strumento di dettaglio con un iter di approvazione più agevole rispetto a quello dei Piani Particolareggiati e

quindi più appropriato alla complessa problematica del recupero edilizio.

Vi sono inoltre definiti i seguenti tipi d’intervento:

� interventi di manutenzione ordinaria: quelli riguardanti opere di riparazione, rinnovamento e

sostituzione delle finiture degli edifici o quelle necessarie a mantenere in efficienza gli impianti

tecnologici esistenti;

Page 28: Compendio di Urbanistica

� interventi di manutenzione straordinaria: opere e modifiche necessarie per rinnovare e

sostituire parti anche strutturali degli edifici, per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e

tecnologici, purché non alterino i volumi, le superfici e non modifichino la destinazione d’uso delle

unità immobiliari;

� interventi di restauro e risanamento conservativo: quelli miranti a conservare l’organismo

edilizio e ad assicurarne la funzionalità. Essi comprendono il consolidamento, il ripristino e il

rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio e l’eliminazione degli elementi estranei

all’organismo edilizio;

� interventi di ristrutturazione edilizia: quelli volti a trasformare gli organismi edilizi mediante

un insieme di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte nuovo;

� interventi di ristrutturazione urbanistica: quelli volti a sostituire il tessuto urbanistico

esistente con altro diverso mediante modificazione dei lotti, degli isolati e della rete stradale.

L. n. 47 del 28/2/1985 - “Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia; sanzioni,

recupero e sanatoria delle opere abusive”

La legge in questione affronta due problematiche per mezzo delle quali combattere l’abusivismo: controllo

dell’attività edilizia e sanatoria per le opere realizzate abusivamente prima del 1-10-83.

La prima viene combattuta attraverso l’inasprimento delle sanzioni. La seconda attraverso una

regolamentazione delle situazioni derivanti dall’abusivismo passato.

La legge si articola in cinque capitoli:

Capo I: norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia. Sanzioni amministrative e penali.

Capo II: snellimento delle procedure urbanistiche ed edilizie.

Capo III: recupero urbanistico di insediamenti abusivi.

Capo IV: opere sanabili. Soggetti legittimati.

Capo V: disposizioni finali.

Le disposizioni contenute nel capo I rafforzano i poteri del Sindaco in materia di vigilanza; estendono le

responsabilità del Direttore dei lavori relativamente alla non conformità delle opere alla Concessione

edilizia; sanciscono la nullità degli atti di trasferimento di opere edilizie abusive e di terreni lottizzati

abusivamente; inaspriscono le sanzioni civili e penali per le trasgressioni in materia urbanistico-edilizia.

Nel capo II invece sono contenute le disposizioni finalizzate allo snellimento ed alla semplificazione delle

procedure urbanistiche ed edilizie.

L’approvazione degli strumenti urbanistici esecutivi (del Piano Regolatore) non è più di competenza delle

Regioni ma del Comune.

Page 29: Compendio di Urbanistica

La legge n° 47/85 introduce anche una nuova categoria di opere edilizie che non era presente nella

precedente legislazione: le “opere interne” per le quali non si richiede né concessione né autorizzazione,

purché:

� non comportino modifiche alla sagoma delle costruzioni ed ai prospetti;

� non comportino aumento delle superfici utili e delle unità immobiliari;

� non modifichino le destinazioni d’uso;

� non rechino pregiudizio alla statica della costruzione;

� nel caso di immobili in centri storici rispettino le caratteristiche costruttive originarie.

Per l’esecuzione delle opere interne basta presentare al Sindaco una relazione firmata da un professionista

abilitato alla progettazione.

Jus ædificandi e jus possidendi

Il concetto del diritto di proprietà ci accompagna fin dai tempi dell’antica Roma. Da allora è rimasto quasi

inalterato: dallo Statuto Albertino al Codice italiano del 1865, ed in seguito nella Costituzione della

Repubblica e nel Codice Civile che conferma la pienezza del dominio seppure con alcuni limiti.

Ai cittadini è riconosciuto il diritto di risiedere in un determinato luogo e la libertà di edificare sul terreno di

proprietà, pur nel rispetto del diritto dei confinanti e delle regole di igiene e sicurezza stabilite dai

regolamenti.

Nel diritto di proprietà è quindi insito il diritto di edificare. Sembra perciò più appropriato il termine di

licenza edilizia con cui il sindaco autorizza una costruzione. La licenza è un atto dovuto e, se il richiedente

rispetta le regole, non può essere negata.

La concessione onerosa introdotta dalla legge Bucalossi con cui la pubblica amministrazione consente al

privato di realizzare qualcosa, potrebbe lasciar intendere che tale diritto esercitato dalla amministrazione

stessa possa essere trasferito al privato dietro pagamento di una quota; con ciò il diritto ad edificare non

sarebbe più insito nel diritto di proprietà.

Ecco perché la Corte Costituzionale con sentenza n. 5 del 30/1/1980 decise che la L. 10/1977 (nota come

“legge Bucalossi”) non poteva arrogarsi il potere di trasferire questo diritto. La Corte stessa accettò,

comunque, il principio che la licenza edilizia (gratuita) poteva essere trasformata in concessione onerosa.

Concetto di vincolo

Nel linguaggio giuridico il significato di vincolo è: “l’assoggettamento o la soggezione di una persona in

quanto titolare, dal lato passivo, di una situazione cui fa riscontro un diritto soggettivo altrui”; tale concetto

è tipico del rapporto obbligatorio in cui alla situazione giuridica attiva del creditore (dir. sogg. di credito),

Page 30: Compendio di Urbanistica

corrisponde l’obbligo del debitore di adempiere. In generale potremmo dire anche: “la limitazione del

diritto di proprietà su un bene”.

Tale concetto compare in modi e con contenuti diversi. Si possono quindi avere:

� vincoli speciali (ambientali, territoriali): agiscono su un territorio, o parte di esso, ma anche su

singoli edifici; a questa categoria appartengono i vincoli paesaggistici, i vincoli posti dalle

Soprintendenze su immobili di interesse storico e artistico; sono di questo tipo i vincoli dipendenti

da zone di rispetto di strade, aeroporti, cimiteri, aree archeologiche, ecc.

Nelle zone sottoposte a tale tipo di vincolo non vige l’inedificabilità assoluta, ma qualsiasi

realizzazione o intervento deve sottostare al nulla-osta dell’Ente che gestisce il vincolo;

� vincoli urbanistici: dipendono dalla destinazione d’uso delle aree previste dal PRG. Nella

maggior parte dei casi essi non prevedono l’inedificabilità, ma la definiscono in modo preciso;

� vincoli edilizi: discendono dall’applicazione di norme e regolamenti, e si concretizzano in

limiti alle modalità di costruzione;

� vincoli procedurali: riguardano i tempi e i modi di operare.

Con particolare riferimento al diritto amministrativo si può affermare che il vincolo assoluto e a tempo

indeterminato rientra nel concetto di espropriazione con conseguente obbligo d’indennizzo.

La giurisprudenza ha infatti parlato, con riferimento a queste ipotesi, di “espropriazioni non traslative”

contrapponendole a quelle traslative nelle quali vi è il passaggio di titolarità dall’espropriato

all’espropriante.

IL REGOLAMENTO EDILIZIO

Il Regolamento Edilizio (RE) è uno strumento normativo che ha validità nell’ambito del Comune e ha lo

scopo di limitare o orientare l’attività edificatoria privata; è obbligatorio, per legge, per tutti i Comuni.

La legge n. 1150/42 stabilisce all’art. 34 che, in assenza di piano Regolatore, il Regolamento Edilizio sia

integrato da un Programma di Fabbricazione.

Le materie regolamentate dal R.E. vengono indicate nell’art. 33 della L.U.N. n.1150/42, e vengono ad

integrare quelle contenute nei regolamenti delle leggi comunali e provinciali. Tale elencazione non è

tassativa, quindi i Comuni hanno facoltà di emanare norme regolamentari anche in altre materie non

espressamente richiamate dal citato art. 33.

A titolo di esempio si fornisce un elenco incompleto delle materie regolamentate:

� formazione, attribuzioni, e funzionamento della Commissione Edilizia Comunale;

� presentazione delle domande di concessione e autorizzazione;

� richiesta di punti di allineamento e di livello per le nuove costruzioni;

� compilazione di progetti di opere edilizie e la direzione dei lavori di costruzione;

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� altezza massima e minima dei fabbricati secondo le zone;

� eventuali distacchi dai fabbricati vicini e dal filo stradale;

� ampiezza e formazione dei cortili e degli spazi interni;

� sporgenze su vie e spazi pubblici;

� aspetto dei fabbricati, decoro dei servizi, e degli impianti che interessano l’estetica dell’edilizia

urbana;

� norme igieniche di interesse edilizio;

� recinzione e manutenzione aree scoperte, parchi e giardini privati;

� vigilanza sull’esecuzione dei lavori;

Le norme del R.E. si suddividono in tre gruppi:

� norme di procedura, riguardanti composizione, competenza e funzionamento della

Commissione Edilizia, ecc.;

� norme di carattere edilizio e urbanistico, riguardanti la definizione degli indici e dei

parametri edilizi, ecc.;

� norme di carattere igienico-sanitario, riguardanti le dimensioni dei locali, l’illuminazione e

l’aerazione degli stessi, i servizi igienici ecc.

Il contenuto delle norme del R.E. tende a ridursi per effetto del passaggio di molte prescrizioni nelle Norme

Tecniche di Attuazione dei Piani Regolatori.

Alcune, infine, possono essere integrative del Codice Civile con riferimento alla disciplina:

� della proprietà edilizia;

� delle distanze nelle costruzioni;

� delle luci e delle vedute;

� dello stillicidio, ecc.

Procedura di formazione del Regolamento Edilizio

Il R.E. è adottato con deliberazione del Consiglio Comunale e trasmesso alla Regione per l’approvazione.

In sede di approvazione la Regione può introdurre modifiche al R.E. Tali modifiche sono comunicate al

Comune che entro 60 giorni adotta le proprie controdeduzioni.