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1 Comune di Carpineto Romano DE.CO. Registro dei prodotti – Disciplinare di produzione – Albo comunale delle iniziative e manifestazioni De.Co. Con il progetto De.co. (Denominazione Comunale) il Comune di Carpineto Romano vuole promuovere e valorizzare il territorio e le sue tipicità attraverso l’idea lanciata da Gino Veronelli, secondo cui all’appiattimento culturale, così come alla sempre più insistente dipendenza umana da modalità di vita fast life, va contrapposto la tutela di quelli che lui amava definire “giacimenti gastronomici” d’Italia, facenti parte di un patrimonio storico e civile che affonda le sue radici nella stessa antichità umana. Da queste spinte ideali si struttura il movimento delle De.Co., la cui linea di pensiero innesca un forte fermento ed una battaglia culturale che parte dalle comunità locali in nome della difesa delle proprie tradizioni, dei propri “saperi” e della propria storia. Un modo intelligente per riappropriarsi del proprio territorio che, come afferma lo stesso Veronelli, avrà delle conseguenze reali in termini economici e sociali, ossia “si assisterà - in Italia - ad uno straordinario aumento dell’occupazione, nei luoghi di nascita e di residenza. E tutto quello che verrà proposto col marchio della denominazione dei luoghi, quanto meglio determinati, costituirà un vero e proprio baluardo – vincente – contro le proposte delle colossali industrie alimentari”. Carpineto Romano Carpineto sorge nel panorama incontaminato dei Monti Lepini, alle pendici del Monte Semprevisa, tra valli e pareti rocciose; un paese che ha fatto da sfondo ad affascinanti leggende. Secondo il mito della vittoria degli Eneidi sui Volsci, fu Silvio Carpeto a dare ad Ecetra, antica città fortezza che tanta resistenza aveva opposto a Roma, il nome di Carpineto, ma più attendibile è la versione secondo cui un nucleo abitato si stanziò nella Karpineta (Foresta di carpini) durante le invasioni barbariche. Passeggiando tra i vicoli, tra case e le numerose chiese disseminate nel paese è possibile ripercorrere le tappe di una storia millenaria: reperti di età neolitica, resti di epoca volsca e romana, edifici medievali in stile gotico romano, opere di epoca rinascimentale, barocca e neoclassica. “Un incontro di arte, cultura e natura rende Carpineto Romano uno dei luoghi più caratteristici dell’Appennino laziale”. Si può iniziare la passeggiata a Carpineto Romano visitando gli splendidi complessi conventuali di s. Agostino e s. Pietro, continuando la visita nelle chiese di s. Maria del Popolo e s. Leone Magno, fino a giungere nella caratteristica piazza Regina Margherita, con la imponente facciata settecentesca della Collegiata e la monumentale fontana del Tripisciano. Da questa piazza è possibile recarsi alla visita di antichi e suggestivi luoghi di culto come la chiesa di s. Michele Arcangelo ed il monastero di clausura Carmelitano, con l’annessa chiesa di s. Giovanni.

Comune di Carpineto Romano · Essa era formata solo da una intelaiatura conica di pertiche che sorreggevano la copertura di frasche, felci, strame e riparava dalle intemperie una

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Comune di Carpineto Romano

DE.CO.

Registro dei prodotti – Disciplinare di produzione – Albo comunale delle iniziative e manifestazioni

De.Co. Con il progetto De.co. (Denominazione Comunale) il Comune di Carpineto Romano vuole promuovere e valorizzare il territorio e le sue tipicità attraverso l’idea lanciata da Gino Veronelli, secondo cui all’appiattimento culturale, così come alla sempre più insistente dipendenza umana da modalità di vita fast life, va contrapposto la tutela di quelli che lui amava definire “giacimenti gastronomici” d’Italia, facenti parte di un patrimonio storico e civile che affonda le sue radici nella stessa antichità umana. Da queste spinte ideali si struttura il movimento delle De.Co., la cui linea di pensiero innesca un forte fermento ed una battaglia culturale che parte dalle comunità locali in nome della difesa delle proprie tradizioni, dei propri “saperi” e della propria storia. Un modo intelligente per riappropriarsi del proprio territorio che, come afferma lo stesso Veronelli, avrà delle conseguenze reali in termini economici e sociali, ossia “si assisterà - in Italia - ad uno straordinario aumento dell’occupazione, nei luoghi di nascita e di residenza. E tutto quello che verrà proposto col marchio della denominazione dei luoghi, quanto meglio determinati, costituirà un vero e proprio baluardo – vincente – contro le proposte delle colossali industrie alimentari”. Carpineto Romano Carpineto sorge nel panorama incontaminato dei Monti Lepini, alle pendici del Monte Semprevisa, tra valli e pareti rocciose; un paese che ha fatto da sfondo ad affascinanti leggende. Secondo il mito della vittoria degli Eneidi sui Volsci, fu Silvio Carpeto a dare ad Ecetra, antica città fortezza che tanta resistenza aveva opposto a Roma, il nome di Carpineto, ma più attendibile è la versione secondo cui un nucleo abitato si stanziò nella Karpineta (Foresta di carpini) durante le invasioni barbariche. Passeggiando tra i vicoli, tra case e le numerose chiese disseminate nel paese è possibile ripercorrere le tappe di una storia millenaria: reperti di età neolitica, resti di epoca volsca e romana, edifici medievali in stile gotico romano, opere di epoca rinascimentale, barocca e neoclassica. “Un incontro di arte, cultura e natura rende Carpineto Romano uno dei luoghi più caratteristici dell’Appennino laziale”. Si può iniziare la passeggiata a Carpineto Romano visitando gli splendidi complessi conventuali di s. Agostino e s. Pietro, continuando la visita nelle chiese di s. Maria del Popolo e s. Leone Magno, fino a giungere nella caratteristica piazza Regina Margherita, con la imponente facciata settecentesca della Collegiata e la monumentale fontana del Tripisciano. Da questa piazza è possibile recarsi alla visita di antichi e suggestivi luoghi di culto come la chiesa di s. Michele Arcangelo ed il monastero di clausura Carmelitano, con l’annessa chiesa di s. Giovanni.

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Itinerario

Santuario di Santa Maria del Popolo (sec. XV) Chiesa di piccole dimensioni dedicata dai carpinetani alla Vergine che li aveva liberati dalla peste; ricca di motivi mariani e dell’ immagine della Madonna col Bambino, fu ristrutturata anch’essa come molti altri edifici da papa Leone XIII. Palazzo Pecci Elegante edificio situato nella parte “dammonte” del paese, nel punto più elevato della collina; vi nacque papa Leone XIII. Importante la biblioteca con migliaia di volumi e alcune cinquecentine e con le varie sale interne che ospitano mostre itineranti. Chiesa Collegiata (sec. XVIII) Dedicata ai Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, conserva nell’abside una delle opere più belle di Carpineto “La Flagellazione di Giulio Romano” e nella sagrestia, secondo la critica, la migliore espressione campanaria medioevale del Lazio. Fontana Monumentale del Tripisciano Situata nella piccola piazza della Vittoria, la fontana porta incisi alcuni versi latini del pontefice carpinetano e fu edificata in ricordo dell’acqua del Carpino, portata in paese assieme all’illuminazione stradale a gas ad acetilene. Chiesa di San Leone Magno (sec. XIX) Costruita nel 1882 dall’architetto Francesco Fontana per volere di papa Leone XIII, sorge sull’omonima piazza. Sugli altari delle quattro cappelle laterali le pale d’altare opera dei maestri perugini, mentre sull’altare maggiore una grandiosa Pietà marmorea, opera di Sosnowski. Chiesa di San Michele Arcangelo (sec. XIV) Nota come chiesa dell’Angelo, conserva le tombe gentilizie dei Pecci e dell’archiatro di Leone X. Tre bassorilievi arricchiscono ulteriormente il patrimonio artistico di questa chiesetta. Chiesa di San Giovanni (sec. XIII) - Monastero Carmelitano. La più grande istituzione ecclesiastica, con antico titolo arcipresbitale, allorché nel secolo XIII i Canonici Lateranensi erano i “domini” di Carpineto. Fortemente rimaneggiata sotto il pontificato di papa Leone XIII, dell’antico arredo rimangono solo i due “olea sancta” con lo stemma del cardinale Amato Conti, signore di Carpineto (sec. XV). Vi si accede da una ripida gradinata. La custodia della chiesa è affidata alle suore Carmelitane di stretta clausura. Convento di San Pietro (sec. XVII) Costruito nel 1606 per volere di Pietro Aldobrandini, allora Signore di Carpineto, la Chiesa e il convento annesso erano retti dall’ordine dei Francescani della Provincia Riformata, detti Zoccolanti, che resero la struttura un rinomato luogo di studi filosofici e teologici. Degno di nota è l’affresco di “Le stimmate di San Francesco” attribuito al caravaggista francese Simon Vouet. Chiesa di san Giacomo Maggiore Con il titolo di santa Maria Maggiore, edificata nel sec. XIII dentro il "borgo"; divenne centro della vita democratica ,conservando per statuto comunitario l'urna per la elezione dei consiglieri della comunità .Nel sec. XVII ebbe il titolo di san Giacomo Maggiore e fu semiabbandonata per la forte umidità in favore dell'antistante chiesetta di san Barnaba. Restaurata ed ampliata ,con canonica, dall'architetto Augusto Bonann (anno 1884). Convento di Sant’Agostino (sec. XIII) La chiesa con il convento erano dedicati originariamente a Sant’Antonio Abate, nel XIV secolo fu intitolata a Sant’Agostino. Nel portale principale della chiesa, restaurata da papa Leone XIII, si possono ammirare due leoni stilofori che afferrano con gli artigli montoni e lepri e che sorreggono eleganti colonne finemente lavorate.

I Musei civici

Carpineto vi invita a degustare le bellezze paesaggistiche, le suggestioni del centro storico, i suoi angoli, le sue chiese e l'efficace recupero architettonico, ma soprattutto le memorie sacre e la sua storia secolare raccolta sistematicamente in collezioni e musei pubblici. In questi ultimi tempi sono stati realizzati importanti musei o mostre permanenti in luoghi di culto, salvaguardando così un inestimabile patrimonio secolare di arte e di fede.

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La Reggia dei Volsci Palazzo Aldobrandini, via della Torre Antica Nel Palazzo seicentesco dei principi Aldobrandini eletto a museo della città “La Reggia dei Volsci”, sotto la torre civica, tra un viridarium ottocentesco e spazi teatrali, in nove sezioni si sviluppa la storia civica, artistica e economica di una comunità lepina. Oggetti - guida e gigantografie raccontano gli spazi urbani ed il territorio, storie e leggende, tempi di festa e di carestia, l’uomo e il suo lavoro, l’economia di una società agropastorale, il rinascimento culturale del “bello stato aldobrandino” e la revocazione storica del “Pallio della Carriera”, fino alla religiosità dell’età leoniana e al fenomeno migratorio, aspettando il Caravaggio.

I Cimeli di Leone XIII San Nicola Mostra permanente nell'ex chiesa di san Nicola. Presenta un interessante itinerario della memoria del pontefice Leone XIII con il materiale esposto, frutto di generose donazioni e recenti acquisti. il percorso, sottolineato da accorgimenti espositivi, presenta un 'iniziale gigantografia della patria del pontefice; seguono fastosi abiti pontificali di Gioacchino Pecci, prelato e cardinale fino al soglio pontificio, documentato da importanti "reliquie": stole, fasce, comunichini, e ricordi del giubileo dell'anno 1900. Molto stimolanti gli oggetti di un pontefice "intimo": occhiali, bastoni, scarpe, stoviglie e manoscritti della sua molteplice attività di letterato e di pontefice. Tra le cose più preziose: la penna che firmò l'enciclica "Rerum Novarum" (1891). La stampa d 'epoca documenta gli ultimi giorni del - pontefice carpinetano. Simulacrum Canonica – Via San Giacomo Mostra permanente recentemente inaugurata nella canonica della chiesa san Giacomo. E' una raccolta di materiale ed oggetti sacri provenienti da una decina di chiese, spaccato d'arte e di artigianato anche locale, ereditato dal clero, dagli ordini religiosi, dalle confraternite. La mostra si svolge in 4 sezioni e 2 sottosezioni. Nelle due sottosezioni si ammirano i calchi di pontefice romani da Leone XI/l ed ex voto del brigantaggio ottocentesco. Museo Agropastorale Lo stazzo (privato) è suddiviso in 15 settori ben marcati, favorendo gli studenti e visitatori in un interessante esperienza didattica. All'interno delle capanne: il focolare domestico centrale con gli utensili da cucina (i còm-meti) e quelli dell'approvvigionamento idrico (le copelle); gli abiti da lavoro (cioce, pezze, maglie di lana); gli strumenti agricoli per falciatura e mietitura (i féri) e del! 'industria casearia (i cassi, i colaturi,le secchie). Habitat I Lepini sono un’oasi naturale di straordinario valore naturalistico, di origine carbonica, con un paesaggio caratterizzato dal processo di carsificazione con centinaia di suggestive doline e inghiottitoi. La vegetazione è rigogliosa e ad alte quote presenta splendide formazioni di lecci, faggi, carpini e castagni mescolati ad altre formazioni boschive, anche rare, come il “taxus baccata”. Vive tra questi monti una ricca specie di fauna, soprattutto dove la macchia e il bosco conservano la loro integrità. Ma nella caratterizzazione del paesaggio in modo determinante, ha inciso l’uomo con la sua attività agro-pastorale, presente da centinaia di anni. Le prime tracce risalgono all’uomo paleolitico, fino ad insediamenti pastorali tipici più recenti, con capanne e terrazzamenti a gradoni. Frequenti sono i reperti archeologici che si incontrano sulle montagne (insediamenti di età preromana, romana e medioevale) che fanno di questa zona un interessante intreccio tra cultura, storia e natura. Da Carpineto, posto nel cuore dei monti Lepini, si possono effettuare interessanti escursioni naturalistiche alle “Faggeta”, al monte Semprevisa, al monte Melaina e al monte Capreo (croce monumentale), come a numerosi siti archeologici di probabili “ville rustiche” si epoca romana, disseminati ovunque nel territorio (Abbazia di Valvisciolo del sec. XIII, Tolfo, valle Cisterna).

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Antiche dimore La capanna lepina Antico ricovero per l’agricoltore ed il pastore; costruita in pietra la base, ed in paglia o strame, sostenuta da un’armatura di rami, il tetto. La pianta è normalmente circolare e talora sub-ellittica con dimensioni di circa 4 m di diametro (per le circolari) e 6 per 4 m (assi dell’ellisse). Il muro perimetrale a secco di pietre non squadrate è di spessore notevolissimo (circa 1 metro o più) e poco elevato (poco più di 1 metro). Esso è interrotto da una stretta apertura che costituisce l’entrata. Il pavimento è sempre in terra battuta o ricoperto di “schiazze” (pietre piatte non lavorate). All'interno delle capanne troviamo il focolare domestico centrale, con gli utensili da cucina, gli abiti da lavoro, gli strumenti agricoli per falciatura e la mietitura e il necessario per la lavorazione del latte. La forma più semplice di questo tipo di abitazioni è lo “stazzo”, costituito dalla “capanna”, accanto alla quale vi è il recinto entro cui si ricoverano gli ovini nel periodo notturno; quasi sempre anch’esso in muro a secco di pietre, naturalmente squadrate, con muri spessi (oltre 1 metro alla base) e bassi, quasi come si trattasse di “ridotte” fortificate. La maggiore o minore importanza agricola dello ”stazzo” può determinare l’aggiunta di una o due altre capanne ellittiche, sempre a scopo di ricovero degli animali (bovini, suini), le cui dimensioni variano a seconda degli animali ricoverati. Assai caratteristica è la capanna a mutatora, utilizzata dal pastore negli spostamenti del suo gregge quando doveva raggiungere gli appezzamenti di terra in cui c'era bisogno della stabbiatura (concimazione). Questa capanna mobile era un rifugio temporaneo, dalle modeste dimensioni (un metro e mezzo circa di diametro per un'altezza di quasi due metri) e abbastanza leggera da essere trasportata. Essa era formata solo da una intelaiatura conica di pertiche che sorreggevano la copertura di frasche, felci, strame e riparava dalle intemperie una o due persone che pernottavano insieme agli animali.

Antichi mestieri

L’ombrello del pastore Utensile che non poteva mancare nel vestiario del pastore. Un ombrello molto grande, di colore verde, che i pastori portavano a tracolla durante gli spostamenti delle greggi, per ripararsi dal solleone in estate o dalla pioggia in inverno. A Carpineto Romano è ancora presente la figura dell’ombrellaio, ultimo artigiano rimasto in Italia. Un mestiere in via di estinzione ma che, grazie alla famiglia Mancini, è ancora presente. Come ricordava il sig. Mancini Leone, fino a qualche decennio fa, la sua bottega riforniva i pastori della zona e dell’agro-romano. Un mestiere faticoso e laborioso, visto che per fare un ombrello ci si impiega circa mezza giornata. Un lavoro che richiede diverse fasi: si inizia tagliando le stecche di giunco che arrivano in fasce da 50 kg ciascuna (sono importate dalle Filippine, anche se volgarmente le chiamano “stecche d’India); dopo averle tagliate, in misure differenti a seconda della consistenza che si desidera ottenere, vanno lavorate applicandovi la latta, dove andrà inserita la forcella, che servirà a saldare insieme tutto lo scheletro dell’ombrello. Il manico invece è in legno di faggio. Bisogna poi cucire la tela, che va prima tagliata in otto pezzi e quindi cucita a mano. L’ultima operazione è quella della verniciatura interna ed esterna dell’ombrello. Questi ombrelli venivano richiesti anche dai pescatori di anguille, che lo utilizzavano a rovescio come fosse un contenitore. Nella bottega del sig. Mancini venivano realizzate diverse misure di ombrelli cha variavano dai 65 cm di raggio agli 85 cm. Oggi a portare avanti questa antico mestiere è il figlio Giuseppe. Produttori • Laboratorio di promozione artigianale per la tutela e valorizzazione degli ombrelli da pastore Mancini, via

Lorenzo La Porta n. 23, Carpineto Romano.

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Prodotti da forno

Ciambella carpinetana “Avevo tre ciambelline, le benedissi con farvi sopra il segno della croce; et magnatene, cessò la frebbe con il flusso di sangue et in breve fu del tutto sano” così guarì un giovane carpinetano ammalato grave secondo il racconto estratto dalla penna incerta di frà Carlo da Sezze, francescano laico e sagrestano che pose nel convento di S. Pietro le radici della sua santità. Vera regina della tavola carpinetana è la ciambella, o più semplicemente la ciammella. Ha una fragranza assolutamente inconfondibile, come inconfondibile è la forma e il sapore. Sono stata tentate imitazioni, ma senza successo. E dire che gli ingredienti sono semplicissimi: si devono amalgamare, nella giusta proporzione, farina di grano tenero, olio extra-vergine d’oliva, anice, sale, acqua e lievito naturale. Una volta ottenuto l’impasto e ritagliatovi una parte, tanto da farne un piccolo pane di circa 20 cm con un diametro di qualche centimetro, il segreto sta nell’unire gli estremi e, con un colpo ben calibrato con l’interno della mano, far acquistare la caratteristica forma a ciambella. Dopo essere stata “scottolata“ in acqua bollente, viene messa nel forno a legna. Va sfornata allorché acquista un colore dorato. Ottime mangiate ancora calde, anche se mantengono la loro fragranza a lungo, oppure intinte nel vino o nel latte. Si possono acquistare nei negozi e nei laboratori di Carpineto, dove possono essere trovati altri tradizionali prodotti da forno, altrettanto saporiti e genuini: giglietti, santamarta, crostate con confetture di frutta e di frutti di bosco. ‘Ntortalicchi E’ un dolce del tutto particolare sia come gusto, sia come forma, che si mangia durante il periodo di natale ma non solo. Appartiene alla più genuina tradizione gastronomica di Carpineto ed oggi, questo dolce dal sapore esclusivo, è stato rivalutato e viene riproposto dalle sette hostarie dei Rioni Storici, durante i festeggiamenti del Pallio della Carriera, e nelle varie sagre ed eventi gastronomici. Gli ingredienti sono semplici e genuini: farina, uova, uva sultanina, lievito, e, forse l’elemento vincente, patate lessate e tritate al passatutto. Il tutto viene amalgamato e fatto riposare, aggiungendovi una piccola dose di liquore. Quindi vengono ritagliati dei pezzetti di massa, stesi ed arrotolati come gli gnocchi lunghi. Questi ritagli di pasta vengono attorcigliati o ritorti irregolarmente, fatti friggere in abbondante olio d’oliva e cosparsi di zucchero. Pangiallo Tipico dolce natalizio di frutta secca. Lasciare ammorbidire l’uvetta in una ciotola d’acqua tiepida per trenta minuti. Strizzarla e asciugarla su carta da cucina. In una casseruola mettere lo zucchero, il miele, quindi aggiungere noci, mandorle, nocciole, pinoli, uvetta, infine il cioccolato fondente tritato e la farina setacciata. Mescolare bene fino a quando il composto risulterà ben amalgamato. Suddividere l’impasto in porzioni, infarinarle e modellarle con le mani a forma di piccoli panetti. Eliminare la farina superflua, disporre i panetti sulla placca del forno e cuocerli a 170° per venti minuti. Una volta raffreddati si possono servire tagliati a fettine e accompagnati da un vino dolce. Si conservano anche per diversi mesi avvolti in carta pergamena.

Giglietto Ingredienti: 3 uova intere, 250 gr di zucchero e una grattata di buccia di limone; 250 gr di farina che si aggiunge dopo aver battuto uova e zucchero. Mettere su una teglia da forno imburrata una cucchiaiata di impasto per biscotto, facendo attenzione a distanziarle tra loro. Infornare, a forno caldo, a 180° per 15 minuti circa. Dolce tipico della tradizione locale che non poteva mancare negli appuntamenti più importanti della vita (matrimonio, battesimo, ecc.).

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Santa Marta Ingredienti: 5 uova intere, 1 kg di farina, 250 cl di latte, 20 gr di bicarbonato di ammonio, 500 gr di zucchero, un etto di burro, limone e liquore q.b. Dolce tipico della tradizione locale che non poteva mancare negli appuntamenti più importanti della vita (matrimonio, battesimo, ecc.). Melati Ingredienti: 4 uova, 5 cucchiai di zucchero, 4 mezzi gusci di olio, 3 etti e mezzo di farina, mezza bustina di lievito, 1 limone, liquore a piacere. Amalgamati tutti gli ingredienti si ottiene un impasto non troppo denso. A questo punto con l’aiuto di un cucchiaio si formano delle palline che vengono immerse in olio bollente. Una volta ben dorati e cotti vengo posti su fogli di carta pane. Fatti raffreddare possono essere spolverati con zucchero o passati al miele. Tipico dolce di carnevale. Pane Un tempo, il pane si preparava in casa. La farina di grano, passata al setaccio, veniva impastata, fatta lievitare dentro i cassoni (le madie), e, alla chiamata della fornaia, portata a cuocere al forno a legna. Oggi, i forni di Carpineto, pur costruiti con criteri tecnologici moderni, panificano con il medesimo metodo di allora e con tutte le garanzie igienico-sanitarie. Questi gli ingredienti: farina, acqua, sale e lievito. I tempi di lavorazione, dall’impasto all’uscita dal forno, sono ancora oggi di sette ore circa. Un pane che a seguito della lunga lievitazione e di una cottura lenta e decisa si presenta croccante fuori e morbido dentro. La pezzatura è di circa 1,5 Kg. Si può scegliere entro una vasta gamma di forme di pane: rosette, ciabatte, cosce, filoni e ciambelloni. Tutti prodotti che si possono acquistare nei negozi e nei forni di Carpineto e del comprensorio.

Produttori • Vapoforno Reggio - Via Carpinetana, Km 18,800 - 00032 Carpineto Romano (RM) – tel. 06 97189555 -

www.vapofornoreggio.it • Dolciaria eredi di Carella M.- Via G. Matteotti, 8 - 00032 Carpineto Romano (RM) – tel. 06 97189044 • Panificio La Rosetta - Via Leone XIII, 8 - 00032 Carpineto Romano (RM) - 3405177829 • Pizzeria Pocci Eligio - Via Dante Alighieri, 49 - 00032 Carpineto Romano (RM) – tel. 0697189284 (dolci e

pizze) • Forno Gabrielli Edoardo – Largo Carpini - 00032 Carpineto Romano (RM)

Frutti stagionali Tartufo nero pregiato A Carpineto, nel cuore dei monti Lepini “…..si produce un tartufo nero pregiato fra i più profumati d’Europa” (Prof. Domenico Bigioni - Presidente G.E.T. Federazione Europea Tartufai) Questi pregiatissimi funghi sotterranei a forma di tubero, erano già apprezzati in Grecia e nella Roma antica. Nerone li definiva “cibo degli dei”. Apicio, nel più importante trattato di arte culinaria, non solo dell’antichità, parlò con enfasi dei tartufi, che entravano, già allora, in molti piatti. Nei secoli successivi, furono tra gli ingredienti fondamentali nei menù delle feste organizzate da Donna Olimpia Aldobrandini, signora di Carpineto. Infatti, le proprietà chimiche del terreno a struttura carsica, nonché le caratteristiche fotoclimatiche dei Monti Lepini, portano a maturazione eccellenti esemplari di tartufo nero pregiato tra i più profumati d’Europa. Le pezzature, medie o grandi, sono determinate dall’abbondanza delle piogge. Allorché la quantità delle precipitazioni sono favorevoli, tra i boschi e le radure di lecci, querce, cerri, in simbiosi con ulivi, viti, rose selvatiche, allignano i prelibati tuberi. A prima vista, il tartufo non ha un bell'aspetto, presentando protuberanze irregolari. Ma sotto la scorza rude e il colore nero, non accattivante, si nascondono sorprendenti prelibatezze. Appena raccolti e spazzolati, effondono profumi intensi e delicati nello stesso tempo. In estate si trova lo

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“scorzone” (tuber aestivum vitt), che tra gli altri, ha il pregio di avere un costo più accessibile rispetto al re della gastronomia, il tartufo nero pregiato (tuber melanosporum), che matura nei mesi invernali. Produttori

• Associazione Tartuficoltori di Carpineto Romano Castagne e marroni La castagna è la regina autunnale di Carpineto. E’ un frutto che ha segnato la storia alimentare di queste terre. La polpa è ben protetta da una buccia esterna marrone e da una pellicola amara all’interno che va tolta. La pasta del frutto è bianco-avorio. Hanno un sapore morbido e un odore inconfondibile. Allorché, agli inizi di ottobre, i ricci incominciano ad aprirsi, vengono consumate bollite, oppure cotte su vivaci bracieri, ottenuti da legna di leccio o meglio ancora di corbezzolo. Il profumo si spande tra strade, vicoli e piazze. Le castagne, così cotte, infondono buonumore ed allegria, ravvivano le amicizie. Meglio ancora se sono accompagnate da un leggero vino novello. E’ buona norma acquistarle direttamente dai proprietari o dai grossisti al momento della raccolta. La più importante è il marrone, che ha un frutto grosso, rotondeggiante, con il pericarpo più pallido, caratterizzato da strie meridiane più scure e da un sapore squisito. Per la loro conservazione è bene “lavorarle” dopo averle messe in acqua, fatte asciugare e continuamente rigirate. Così trattate mantengono a lungo le loro proprietà gustative ed olfattive. Produttori • Azienda agricola Calvano Anna, 00032 Carpineto Romano - 3474573495 • Azienda La Colonna di Fabiani Caterina, località contrada Scarangi snc, - 00032 Carpineto Romano - 06

9719127 Cerasamarina (corbezzolo) Il Corbezzolo (Arbutus unedo L.) appartiene alla Famiglia delle Ericaceae. Alberello sempreverde alto 5-6 m (a volte fino a 10 m), con portamento spesso arbustivo. Le foglie persistenti, alterne, coriacee, con breve picciolo, hanno una lamina obovato-ellittica. I fiori sono posti in racemi ramificati di colore bianco crema o rosato, provvisti di corolla lanceolata con 5 denti brevi; il calice ha denti triangolari. Fiorisce da ottobre a dicembre e fruttifica nell'autunno seguente. Il frutto è una bacca di colore rosso scuro a maturità, con superficie ricoperta di granulazioni, che oltre essere gustato fresco può essere utilizzato per la produzione di marmellate, gelatine, sciroppi, succhi, creme, salse e canditi. Se fermentati danno il vino di corbezzole e distillati con proprietà digestive. Inoltre dai frutti, foglie e fiori si estraggono principi attivi con proprietà astringenti, antisettiche, antinfiammatorie, antireumatiche. Ottimo il miele di corbezzolo. Sorove - sorbe Dante Alighieri lo cita come frutto aspro, in contrapposizione al fico, che ha frutti dolci: …« ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi/ si disconvien fruttare al dolce fico. » (Dante, Inferno, XV, 65-65). Ma le testimonianze dell’uso del sorbo sono molto antiche: le prime risalgono al 400 a.C. in Grecia; i Romani lo fecero conoscere al resto dell’Europa. Uno dei frutti più allappanti, soltanto ben maturo è possibile mangiarlo. Non matura sulla pianta, bensì per terra, una volta caduto tra l’erba, oppure raccolto e lasciato per alcuni giorni dentro una cesta o sulla paglia, come facevano un tempo, in locali freddi ed asciutti. Olive e olio extravergine La coltivazione delle piante di olivo ha una tradizione plurisecolare; il rinvenimento di alcuni torcular è la testimonianza che la lavorazione delle olive veniva praticata già in epoca romana; certa è invece la presenza nell’area, tra il 1300 e il 1400, di numerosi uliveti e frantoi, come testimoniano i catasti parrocchiali dell’epoca. Questo tipo di coltivazione ha segnato, quindi, l’economia locale e, con maggior evidenza, il paesaggio. La messa a dimora delle piante, infatti, avviene nei tipici terrazzamenti ricavati nei declini rocciosi dei monti, il cui

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terriccio indispensabile per farle allignare è trattenuto dai muri a secco costruiti con pietra calcarea del posto. Le varietà di ulivi coltivati nella zona di Carpineto sono molteplici: itrana, oliarola, leccino, rosciola e frantoiana. Le olive ottenute vengono preparate e conservate in tanti modi diversi (al fumo, spaccate e condite con aglio ed olio e le classiche olive in salamoia), ma sopratutto lavorate per ottenere un olio, dalle proprietà organolettiche e biochimiche che gli danno il riconoscimento di olio extravergine di qualità. L’olio così prodotto si caratterizza per la delicatezza del gusto, la moderata acidità e l’intenso profumo. L’olio viene prodotto ancora oggi in frantoi artigianali, per spremitura a freddo, in modo da garantirne intatto il valore organolettico e nutritivo. Oggi i frantoi locali sono stati chiusi e gli olivicoltori locali portano le olive per la molitura nei vicini frantoi. Produttori • Macali Maurizio, Via Rerum Novarum, 19 - 00032 Carpineto Romano (RM) -329/0381721 • Azienda La Colonna di Fabiani Caterina, località contrada Scarangi snc, - 00032 Carpineto Romano - 06

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Frutti in via di estinzione Le decine e decine di varietà di melo e di pero che ancora negli anni cinquanta venivano coltivate sono scomparse dalla produzione o sono a rischio di estinzione a causa delle nuove esigenze del mercato. Le varietà moderne sono senza dubbio più produttive, ma molto più fragili proprio per la loro omogenità del patrimonio genetico. Macchine perfette e super efficienti ma solo in condizioni standard. Solo nel Comune di Carpineto Romano sono state censite dall'Arsial una notevole varietà di mele e di pere: mela cera, mela da serbo, mela gialla, mela invernale, mela limoncella, mela rosa, mela rossa, mela renetta, mela s. Giovanni, mela striata rossa, mela verde, pera cannellina, pera ceppetto, pera estiva, pera fegatara, pera garofalo, pera moscarola, pera pratarea.

Formaggi Il latte ha sempre rivestito un'importanza centrale nella vita dell'uomo. Rappresenta infatti, fin dai primi mesi di vita, l'alimento principale per il nostro sostentamento. Proprio dall'esigenza di conservare intatti ed a lungo i valori altamente nutritivi del latte, si è dato inizio alla produzione di formaggio. Le tecniche di caseificazione, furono messe a punto dagli Etruschi. Presso i Greci e i Romani, il formaggio rappresentava l’alimento quotidiano principale, tanto che il nome sembra derivare dal latino popolare "formaticum", che tradotto alla lettera significa "latte coagulato dentro una forma”. Nell'età imperiale il formaggio era presente nei banchetti con raffinate preparazioni culinarie. Nel Medioevo fu la Chiesa che conservò il segreto della sua produzione e successivamente, nel periodo del Rinascimento, lo diffuse in tutta Europa. Dal punto di vista nutrizionale, il formaggio, è molto importante per il suo alto valore energetico, in quanto ricco di grassi, proteine e sali minerali. Le numerose varietà di formaggi e il loro valore alimentare dipendono dal tipo di latte impiegato e dal metodo di lavorazione, che permette di classificarli secondo vari criteri: crudi, semicotti e cotti; con acidità naturale o di fermentazione; a maturazione rapida, media o lenta; grassi, semigrassi e magri. La produzione si svolge seguendo le operazioni di caseificazione, salatura, maturazione o stagionatura. Nella caseificazione, al latte intero (o scremato), riscaldato a 30-35°C, viene aggiunto il presame o caglio, (in dialetto quaglio, ricavato dalla parte finale dello stomaco dell’agnello essiccato e macinato), che ne coagula la casina formando una massa gelatinosa (cagliata), la quale contiene grassi, sostanze minerali, coloranti e lattosio. Essa viene poi frantumata, per eliminare il siero latteo, con l’aiuto di un bastone dentato (menaturo), che la riduce in granuli caseosi di grossezza variabile dal chicco di riso alla noce. Quindi, per i formaggi a pasta dura, segue la cottura lenta per la completa eliminazione del siero. Alla fine, mentre il siero rimane in caldaia, i granuli vengono estratti in apposite tele e riversati negli stampi (casso), collocati su tavoli inclinati e scanalati (spianatore) e sottoposti a pressione, affinché possa fuoriuscire il residuo siero latteo. La salatura dà sapore al formaggio, completa l’eliminazione del siero e regola il corso della maturazione. Può essere fatta a secco, applicando il sale fino e asciutto sulle forme, più volte, a intervalli di qualche giorno, oppure in salamoia, per una durata che varia a seconda dei formaggi, da pochi minuti a molti giorni.

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Con la maturazione (o stagionatura), che può essere naturale o artificiale, gli agenti fermentati contenuti nella pasta fresca operano profonde modificazioni di composizione, consistenza, colore, odore e sapore, caratterizzandone la tipicità. Caso pecorino e di capra e peco At 12 the present Pope (Leone XIII) takes a simple repast, consisting usually of an omelette, a roll, and some of the sheep's milk cheese made at his native Carpineto (THE POPE'S DAILY LIFE - New York sun 1896) La produzione del formaggio è molto diffusa nei Lepini e in particolar modo a Carpineto Romano, soprattutto quella realizzata con latte ovi-caprino; la pastorizia, infatti, è un’attività che ha sempre fortemente caratterizzato l’economia del comprensorio. Ma se fino a qualche decennio fa il formaggio era prodotto dai pastori negli stazzi, secondo antichissime procedure, oggi il latte ovi-caprino viene lavorato in moderne strutture di trasformazione, in cui sono garantite sia le norme igienico-sanitarie, sia la tradizionale qualità del prodotto. Il procedimento di produzione è pressocché simile, la differenza sostanziale è strettamente legata al latte utilizzato. La pasta con colore variabile dal bianco al paglierino, quest'ultimo relativo al prodotto piú stagionato, mostra consistenza compatta con presenza di minute occhiature irregolarmente distribuite. Il sapore, inizialmente dolce e delicato, diviene leggermente piccante e deciso al raggiungimento del periodo minimo di stagionatura con accentuazione al protrarsi della stessa. Si tratta di un prodotto di nicchia con caratteristiche uniche legate al tipo di alimentazione delle greggi, e dal posizionamento dei pascoli stessi ricchi di essenze spontanee e aromatiche (che possono essere assolati, esposti alle correnti marine “alla marina” o ombreggiati “pacino”). ‘Mpanata Già era stato pressato il formaggio e lo scolo di esso veniva riversato con un’aggiunta di caglio sul fuoco e dopo una rapida mescolata riemergeva alla superficie la bianca ricotta. I pastori preparavano la rituale ‘mpanata: tagliate larghe fette di pane, esse venivano riposate dentro un paiolo di rame, dove già era stata versata la soffice schiuma che usciva sopra la ricotta, provenendo dal basso del caldaio posto sul focolare. Sopra le fette andavano quindi poste: schiuma, siero in discreta quantità, ricotta e soprattutto (una vera delizia) il fondo del caldaio dove era andata depositandosi parte della ricotta, che acquistava un sapore tutto particolare a contatto con il fuoco. Onde evitare di graffiare il paiolo (o commodo), il fondo del caldaio veniva raccolto con l’indice della mano destra con impressionante destrezza e pratica, e poi mediante un cucchiaio sparso sul pane, ottenendo una vera calda prelibatezza. Ricotta Una volta tolta la pasta del formaggio nel caldaio, si filtra il siero rimasto (non devono rimanere pezzetti di formaggio) e in seguito all’aggiunta del latte si manda tutto ad ebollizione. Raggiunta la temperatura di 90 gradi il siero è pronto per essere filtrato con l’aiuto della schiumarola. Il morbido composto che si viene così a formare viene adagiato nelle apposite fascelle. La ricotta mangiata calda è eccezionale, ma anche fredda è sublime. Caciotta Il latte dal secchio passa, attraverso una pezza di canapa (che serve per filtrarlo), a jo callaro di rame stagnato (caldaio), e si porta ad un temperatura tra i 32 e 35 gradi. Una volta raggiunta la temperatura indicata, si spegne il fuoco e si versa, disciolto nell’acqua il caglio, che poi, con moto circolare, si mescola bene con il latte. Spento il fuoco si lascia il preparato a riposo per permettere la trasformazione del latte in cagliata. La consistenza della cagliata si controlla con il dorso della mano o con il dorso della seconda falange del dito medio. Secondo l’esperienza la cagliata è pronta per la rottura quando toccandola non lascia residui solidi sulla pelle. Mediante l’utilizzo di un bastone dentato (menaturo), in senso rotatorio e mescolando velocemente, si spezza tutta la massa fino a ridurla in piccolissimi frantumi. Il primo movimento che si effettua per rompere la massa coagulata, è il segno della croce a cui si affida la buona riuscita delle operazioni. A questo punto con l’aiuto della schiumarola, sempre su fuoco lento, si recupera la pasta precedentemente frantumata e la si pone dentro le fascelle pronta per essere mangiata.

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Produttori • Caseificio “La perla del Lazio srl” s.s. carpinetana km 16,800 (località Isola) - 00032 Carpineto Romano

(RM) - 3358792738

Carni basse L’allevamento delle pecore, delle capre e dei suini è stata una attività praticata a Carpineto e sui Monti Lepini da tempo immemorabile. Numerose erano le greggi che pascolavano sui monti, brucando erbe dal sapore salmastro. A seguito dell’abbandono delle terre, anche l’allevamento del bestiame si è ridimensionato. Le ottime carni dei capretti, degli abbacchi e dei maialini da latte sono divenute perciò prodotti pregiati, di nicchia. Si possono acquistare direttamente, su ordinazione, presso gli allevatori rimasti. Porco nero di Carpineto anche detto magrone Il signor capitano Giuseppe Pecci possiede tre tinelle di terreno all'Isola con casetta ad uso di animali negri.... (catasto della parrocchia di sant'Angelo anno 1744). Secondo quanto emerso dagli "Statuti ed Ordinanze della Terra di Carpineto" (1556) la sua presenza nei Monti Lepini risale alla metà del XVI secolo e forse anche al Medioevo. Secondo altre testimonianze storiche risalenti al 1500, si fa riferimento ad un suino nero importato dalla Cina dalla famiglia Caetani proprietaria del ducato di Sermoneta dal 1276. L'areale di allevamento dell'animale è il sud del Lazio e in particolar modo il comprensorio dei Monti Lepini. Il peso medio per la femmina è 118 Kg mentre per il maschio si arriva ai 205 Kg. Un'altezza per la femmina che raggiunge i 72 cm al garrese e gli 83 cm per il maschio. Ha una carriera produttiva di 6-8 anni. Le sue carni sono segnalate come prodotti tradizionali del Lazio ai sensi del D.M. 350/99. Fin dai tempi più antichi, le carni suine erano considerate una ghiottoneria, sia consumate fresche che conservate. Allevatori • Azienda agricola Isabella Cacciotti Contrada Annunziata snc, 00032 Carpineto Romano (RM) – 069717308 –

3347375413 • Macali Maurizio, Via Rerum Novarum, 19 - 00032 Carpineto Romano (RM) -329/0381721

La carne ovi-caprina Il vasto territorio montuoso, ricoperto da boschi di faggio, leccio, quercia, tra i quali si slargano ampie praterie, ha consentito alle popolazioni lepine di dedicarsi da sempre alla pastorizia. Le capre e le pecore si cibano ancora oggi di foraggi non contaminati e le carni mantengono il profumo e il sapore di un tempo. Le carni ovi-caprine, rispetto a quelle bovine, contengono più proteine, meno grassi, hanno un sapore delicato ed una freschezza ed una genuinità assoluta. L’agnello e il capretto forniscono carni delicate che non necessitano quasi di frollatura. I tagli principali che si ricavano sono il cosciotto, la lombata e le costolette, considerati di prima qualità, cioè da destinare a cotture rapide e meno elaborate (classiche sono le costolette di abbacchio alla scottadito). Il piatto forte della cucina tradizionale locale è la pecora o la capra a jo callaro, secondo gli antichi riti dei pastori. Infatti, cuocere la pecora a jo callaro è un’arte, tramandata da esperti, che ne hanno appreso la tecnica da segreti ricettari del mondo pastorale. La cottura avviene dentro un grosso recipiente di rame, dove i pastori preparavano il formaggio (jo callaro, appunto). I tempi di cottura sono lunghi. Mentre la carne si cuoce lentamente, gli astanti in circolo ne prelevano dei pezzi come assaggio. Abbacchio e capretto di Carpineto Una volta la carne dei bovini era poco usata. Come possenti macchine da lavoro, erano sfruttati fino al limite delle loro forze ed erano macellati solo quando erano decrepiti, malati, esauriti dalla fatica. Per questo motivo,

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alla loro carne, quasi sempre scura e tigliosa, si preferiva quella dei suini, dei volatili da cortile e della selvaggina. Inoltre godevano (e godono tuttora) di una giustificata notorietà l’agnello e il capretto, cresciuti sui profumati pascoli montani. Ugualmente apprezzate le frattaglie, sia chiare (cervello, animelle, schienali) che scure (fegato, cuore, rognone, polmone) che, sapientemente cucinate, costituiscono ancora un cibo sapido e nutriente. Produttori • Macali Maurizio, Via Rerum Novarum, 19 - 00032 Carpineto Romano (RM) -329/0381721 • Allevatori di Carpineto iscritti nell’apposito registro dell’Asl Rm g 6

I Mieli Il miele, non è soltanto un ottimo dolcificante, ma è un prodotto che ha molteplici proprietà benefiche per l’uomo: antibatteriche, antiossidanti, sedative ed antinfiammatorie. La base per la produzione del miele è il nettare, cioè un liquido zuccherino secreto dai fiori per attirare insetti pronubi che favoriscano la loro fecondazione. Una volta raccolto, questo liquido zuccherino viene trasportato nell'alveare utilizzando una sacca detta mellifica. Il nettare giunto all'alveare e trasferito da un’ape all’altra viene posto nelle celle esagonali costruite in cera. Una volta che il miele è maturo (dopo che ha perso gran parte dell’umidità) le api provvedono ad opercolare le celle con un velo di cera, così da divenire scorta alimentare per l'inverno. Il miele che viene estratto dall'alveare è solo quello che le api producono in sovrappiù al loro fabbisogno. Una volta estratto il miele viene riposto in contenitori igienici di materiale inox per essere decantato e successivamente filtrato. L’ultima fase è l’invasettamento e l’etichettatura. Nel territorio di Carpineto Romano sono prodotti diversi tipi di miele tra i quali: castagno, millefiori, acacia e corbezzolo. Allevatori • Azienda agricola Isabella Cacciotti Contrada Annunziata snc, - 00032 Carpineto Romano (RM) - 069717308

– 3347375413 • Azienda La Colonna di Fabiani Caterina, località contrada Scarangi snc, - 00032 Carpineto Romano - 06

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Animali in via d’estinzione Cavallino lepino detto Pony d’Esperia L'origine del pony d'Esperia è antichissima e risale a razze orientali giunte a seguito di mercanti e marinai. Noto anche come cavallino lepino, presenta forme contenute ed estrema rusticità, conseguenza di una selezione naturale molto rigida, anche se il contributo genetico di sangue orientale, ancora è riconoscibile nella finezza e distinzione dei soggetti più tipici. È in grado di cibarsi i risorse foraggere difficilmente raggiungibili. Presente sui Monti Aurunci, Ausoni e Lepini. A Carpineto sono stati individuati soggetti con mantello grigio e baio. Ha un'altezza di 120-145 cm. al garrese, criniera e coda abbondanti, testa corta e di forma conica, il collo è proporzionato e non troppo muscoloso, garrese pronunciato. Il dorso può essere insellato e la groppa è spiovente, gli arti robusti e asciutti, appiombi regolari, zoccoli forti e pigmentati. In origine il suo utilizzo era esclusivamente da soma oggi si sta riscoprendo come ottimo animale da sella. Avendo una predisposizione naturale per il salto è un buon soggetto per gare di pony e l’ ippoterapia. Allevatori • Macali Maurizio Via Rerum Novarum, 19 - 00032 Carpineto Romano (RM) - 329/0381721 • Circolo Ippico il Ceppetto – Località Scarangi Carpineto Romano - Tel.3355255732

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Salamandrina dagli occhiali - Salamandrina terdigitata Dorso di colorazione scura, bruna o nera, ruvido al tatto e verrucoso, la salamandrina lascia intravedere macchie bianco-rosacee sulle zampe e sulla coda. Dai fianchi sembrano emergere le costole. Il capo presenta una caratteristica macchia chiara a forma di "v". Ha grandi occhi neri con prominenti arcate sopracciliari. Il ventre ha una colorazione vivace. La gola presenta una mezzaluna bianca sotto il mento in contrasto col nero del collo. L'addome ha un disegno caratteristico con piccole macchie bianco - nere che distingue un individuo dall'altro. Le parti inferiori, a partire dall'inguine fino alla punta della coda, comprese le zampe, hanno colore rosso vivo. I maschi sono generalmente di dimensioni inferiori a quelle delle femmine e coda relativamente più lunga. Tartaruga Lepina Emys orbicularis è l'unica specie di testuggine acquatica autoctona in Italia (a parte Emys trinacris in Sicilia). Se le temperature non scendono sotto i 10°, in genere può rimanere attiva durante tutto l’anno. Al di sotto di queste temperature, nei mesi invernali (dalla fine di Novembre ai primi di Marzo) cade in uno stato di ibernazione; per la maggior parte dei casi avviene in ambiente acquatico, ma può anche avvenire fuori dall’acqua. Le Emys orbicularis sono territoriali e stanziali, vivono in piccole colonie dove il numero delle femmine di solito è maggiore rispetto ai maschi. La loro vita è fortemente legata all’ambiente acquatico, anche se sono stati osservati esemplari a distanza anche di qualche km dall’acqua; questi spostamenti avvengono soprattutto durante il periodo degli accoppiamenti e successive nidificazioni; i maschi vanno alla ricerca di una compagna e le femmine di un luogo idoneo per la deposizione. Trattandosi di rettili, quindi animali a sangue freddo, la loro temperatura e di conseguenza le principali attività sono influenzate dall’andamento climatico. Esse passano la maggior parte della giornata, oltre che alla ricerca del cibo, riscaldandosi al sole su rocce, tronchi o appese alle radici di qualche pianta galleggiante. Sono animali timidi e schivi che al primo segnale di pericolo cercano rifugio in acqua, e questo rende ancor più difficile il loro avvistamento in natura. Emys orbicularis è tra le tartarughe più longeve, in natura la vita media è di 40 anni, ma in cattività può superare il secolo di vita, il caso maggiore registrato è stato di un esemplare detenuto in un giardino botanico nel Sud della Francia per 120 anni.

Ricettario culinario tipico Pacche secche (pere e mele) Pere e mele tagliate a listelli e messe dentro i “canestri” (cesti di vimini) ad asciugare ed ammosciare sotto il sole girandole e rigirandole per parecchi giorni, poi infornate in forno, rigorosamente a legna, caldo ma spento. Un antico metodo di conservazione dei frutti che venivano consumati durante il periodo invernale.

Pallocco de fave Ingredienti: fave, olio, aglio e peperoncino. Le fave, dopo averle lessate dentro una pentola di coccio, che una volta veniva posta davanti al fuoco del camino, vengono frantumate e ripassate in un soffritto di aglio, olio e peperoncino.

Pizzola Ingredienti: Polenta, zeppole di porco nero, sale e acqua Le zeppole sono ciò che resta del grasso di maiale dopo averne ricavato lo strutto. Vengono impastate con la polenta e salate. Una volta stesa la massa ottenuta, si avvolge con foglie di castagno o più raramente di cavolo, si ricopre con cenere e brace e si lascia cuocere per circa un’ora.

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Caffè de cercia Alla raccolta di cerce (ghiande di quercia) si sceglievano quelle più piccole e lunghe in modo che potessero essere abbrustolite ben bene dentro una caldarostara: si aggiungeva grano, ceci ed orzo abbrustoliti separatamente. Poi, con aggiunta di anice naturale, si macinava tutto nella molella (a causa dei chicchi divenuti durissimi), ottenendo un particolare caffè naturale e ben aromatizzato. Polenta La polenta era la parte più importante nell’alimentazione contadina: i pastori la gustavano al mattino, come viatico della giornata; i contadini a sera dopo il lavoro dei campi, in orario più accettabile rispetto a quello dei pastori che terminavano il lavoro a “‘n’ora de notte”. Nelle capanne sempre pronto un paiolo (callarozza) sospeso alla catena di legno, un arnese che scendeva dal culmine della capanna conica e che mediante un sistema di dentelli consentiva un posizionamento preciso sul fuoco. Faticoso ed estenuante “ lo ciotà” per una cottura completa, impedendo il formarsi dei “pallocchi” (grumi di polenta) e nello stesso tempo che il fondo stesso del paiolo formasse uno strato di pellicola scura che poteva rovinare la polenta stessa. La polenta veniva accompagnata da: - pomodoretto e ricotta secca grattata - ciammaruche (chiocciole) e pomodoretto - erba pazza raccolta dai campi e fritta alla padella con olio e aglio - coppiette con pomodoretto e peperoncino - mazzolelle (viscere) con olio, aglio e cipolla cotte in padella - scodatura di agnello con basilico e pomodoretto…..alla tiana - polenta con lo latte: acqua e latte in discreta quantità (tale però da non renderla dolciastra) senza alcun condimento….in bianco

Le stampate di castagne Castagne arrostite e poi messe a cuocere a fuoco lento in una pignatta posta accanto al focolare, con un accenno di zucchero. Lacne stracciate con i fagioli e cotica Preparare una sottile sfoglia con solo acqua e farina, lavorando a lungo l’impasto fino ad ottenere un impasto sodo. Prendere la sfoglia tra le mani e “stracciarla” a pezzetti. Cuocere, facendo dolcemente sobbollire i fagioli, possibilmente in un recipiente di coccio (pignata), con cipolla, aglio, rosmarino, timo e qualche cotenna di maiale, ben pulita e precedentemente passata sulla fiamma per togliere ogni eventuale setola, e ben raschiata. Preparare un soffritto con un battuto di lardo o di grasso di prosciutto, cipolla e aglio. A rosolatura avvenuta, aggiungere la conserva di pomodoro diluita con un pochino di acqua. Lasciare cuocere fino ad ottenere un denso sughetto che va aggiunto al brodo di fagioli, in parte passati per rendere meno liquida la minestra. Lasciare sobbollire ancora perché si amalgamino bene i sapori. Lessare a parte in acqua bollente e salata le “lacne”. A metà cottura, scolare quasi tutta l’acqua per eliminare l’amido in eccesso, e versare quindi la pasta nel brodo di fagioli. Completare la cottura ancora per pochi minuti. Lasciare riposare la minestra prima di servirla. Per chi lo desidera, aggiungere un filo d’olio extravergine di oliva a crudo. Frascategli Disporre la farina sulla spianatora (spianatoia) e spruzzarvi sopra dell’acqua usando una “frasca” (rametto con le foglie da cui il nome) o usando una scopettina di saggina, “jo scopitto”. Passare con la mano sulle gocce d’acqua e formare delle palline. Procedere così fino ad esaurimento della farina prevista. Passare delicatamente sul setaccio i “frascategli” per togliere la farina eccedente. Cuocere in acqua bollente salata e condire con delicato sugo di pomodoro cosparso di pecorino o “marzolina” grattugiata. La “marzolina” è un formaggio ottenuto con il latte di capra.

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Gnocchi longhi e tunni con la lepre Con acqua e farina del tipo 1 o 0 ottenere un impasto molto sodo. Con esso fare dei cilindretti sulla tavola di legno, usando il palmo delle mani. Si debbono allungare e assottigliare il più possibile. Si cuociono in abbondante acqua salata. Una volta cotti condirli con il sugo di lepre ottenuto secondo questa antica ricetta: preparare un trito con cipolla, costa di sedano, carota e pancetta e fate soffriggere con olio extravergine di oliva. Unire quindi la lepre e aggiungere un cucchiaio di farina. Farla rosolare a fiamma bassa per circa 15 minuti. Bagnare quindi con un bicchiere di vino bianco secco che si lascia evaporare. Aggiungere i pomodori ben maturi, spellati e tagliati a pezzi, sale, pepe, una presa di noce moscata, e lasciare cuocere fino a quando il sugo si sarà ben ristretto. Una volta versato il preparato sugli gnocchi condire con abbondante pecorino grattugiato. Coppiette de cavaglio Carne essiccata di cavallo condita con peperoncino. Una volta veniva ben essiccata al fumo delle capanne, o gettate nella brace dove acquistavano una colorazione più scura ed un sapore di particolare intensità, venivano consumata avidamente, ma anche con una certa ritrosia, perché rappresentava il frutto di una disgrazia familiare: un animale deceduto improvvisamente, un cavallo “spallato” (cioè caduto in qualche burrone). Oggi la carne di cavallo viene generalmente sostituita da quella di maiale. Calategli secchi Il Cantharellus cibarium è il fungo più conosciuto dopo i Porcini (Boletus) grazie al fatto di essere diffuso in Europa praticamente ovunque, dai Paesi scandinavi fino al bacino del Mediterraneo. Molti sono i nomi dialettali con cui viene chiamato: Galletto, Finferlo, Cresta di Gallo, appellativi che si rifanno alla forma a cresta di gallo che in certe forme di sviluppo il Cantharellus cibarius può assumere. E' ricercato ed apprezzatissimo, poiché ha odore e sapore fruttati molto intensi e difficilmente lo si vede attaccato dagli insetti o dalle larve. Il Galletto è un fungo che non cresce quasi mai isolato ed è di dimensioni modeste. La forma generale è ad imbuto. Il colore tipico dominante va dal giallo all'arancione. Il cappello è solitamente del colore tipico, mentre l’imenio (la parte sottostante il cappello) può avere anche colori più chiari. L’habitat di crescita sono i boschi di abete e latifoglia (faggio e quercia). Per l’ essiccazione occorre tagliare i calategli a fette di circa 5 mm in senso longitudinale e disporli poi al sole su di una cesta o un telaio, in modo che vi sia areazione da ambo i lati. Ora, sistemati i funghi sui supporti, si può procedere all’essicazione secondo due metodi: - All’aperto (se la stagione e il clima lo permettono), ma non direttamente sotto il sole, che li essiccherà troppo rapidamente e in modo imperfetto; meglio se all’ombra con un bel venticello caldo che li asciugherà alla perfezione e abbastanza rapidamente. Ricordare di ritirarli di sera, per evitare l’umidità della notte. - In ambiente chiuso, vicino ad una stufa a legna (meglio se di quercia) lasciandoli ad asciugare per almeno 36-48 ore, dopodiché si possono sistemare in sacchetti di tela e adagiarli ancora per 2-3 giorni vicino alla stufa e poi conservarli in contenitori di vetro a chiusura ermetica oppure sottovuoto. Prosciutto carpinetano con peperoncino La cultura del prosciutto è molto antica, legata a particolari procedimenti per asciugare la carne e garantirne la conservazione. Un sistema semplice ma caratterizzato da almeno una decina di operazioni molto delicate. Dopo aver selezionato le cosce e fatte riposare, si procede alla rifilatura con appositi tagli per renderle idonee ad una ottimale stagionatura e per conferirgli la tradizionale forma a chitarra. Dopodiché va effettuata la salatura e la pepatura della parte magra, quella che è rimasta bene in vista dopo la rifilatura. Trascorsa una settimana, va tolto il sale spazzolando il prosciutto e nel contempo va massaggiato per far penetrare quello in superficie. Al termine del periodo di salatura si procede al lavaggio del prosciutto in acqua tiepida. Il prosciutto deve asciugarsi appeso in luogo asciutto e ben ventilato, avendo cura di sugnare (con strutto e pepe) la parte intorno all’osso che spunta dalla parte magra.

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Per sapere se l’operazione prosciutto è andata a buon fine si utilizza lo spillone, cioè un osso di cavallo, da inserire in prossimità dell’osso del prosciutto per poi essere annusato. Peco e crapa a jo callaro E’ il piatto forte della cucina tradizionale carpinetana, preparato secondo gli antichi riti dei pastori, che eliminavano gli esemplari ovi-caprini di “scarto”. Oggi, questa pietanza viene riproposta in occasioni di feste. Cuocere la pecora a jo callaro è un’arte. Si va alla ricerca degli esperti, che hanno appreso la tecnica da segreti ricettari del mondo pastorale. La cottura avviene dentro un grosso recipiente di rame, ove i pastori preparavano il formaggio (jo callaro, appunto). I tempi di cottura sono lunghi. Mentre la carne lentamente si cuoce, gli astanti in circolo, ne prelevano dei pezzi come assaggio. Maialino nero alle brace Una volta procurato il maialino si deve pulirlo accuratamente e privarlo di quante più setole possibile; una volta asciugato, va spezzato e posto sulla brace. La cottura deve essere lenta ed omogenea. Durante la cottura occorre salare la carne. Una volta pronto (all’esterno deve risultare croccante, ma morbido all’interno) può essere servito con un filo d’olio extravergine d’oliva, con l’aggiunta di finocchietto selvatico e foglie d’alloro. Maialino nero al forno Tritare aglio e rosmarino assieme, aggiungere poi a questo trito pepe bianco e sale. Condire il maialino nero con il trito appena fatto e con l’aggiunta di vino bianco, massaggiando bene la carne. Prendere una teglia ed olearla bene, quindi posare il maialino e infornare a 180° per circa 2 ore aggiungendo del finocchietto selvatico e delle foglie d’alloro. Il maialino sarà pronto quando la cotenna sarà croccante e la carne resterà morbida. Al maialino si possono aggiungere delle patate sempre cotte nel forno. Salcicce con finocchietto selvatico Tritare 1 kg di prosciutto e 1 kg di locena di maiale e metterla in un recipiente. Aggiungere 50 gr di sale, il peperoncino q.b. , 50 gr di semi di finocchietto selvatico e 300 ml di vino bianco. Mescolate il tutto per bene e lasciate riposare l’impasto per un’ora. Sciacquate la budella con acqua calda, aceto e qualche foglia di alloro, strizzarle per bene e allargare con le dita la parte dove infilare l’apposito imbuto per insaccare. Mentre il budello si riempie, praticare dei fori con un ago in modo che fuoriesca l’aria e il budello non si rompa. Legare ora le salsicce nella lunghezza desiderata. Lardo stagionato Prendere un pezzo di lardo comprensivo di cotenna (è importante che il lardo sia quello della parte lombare e che il maiale sia adulto) quindi assicurati che sia ben compatto e spesso (almeno 3 cm). Dopo aver scelto il pezzo di lardo occorre procurarsi una conca dove verrà riposto il lardo. Dopo aver massaggiato il lardo con sale marino, strofinare dei pezzi d'aglio nella conca fino ad ungerla completamente. Tritare e schiacciare tutti gli aromi (pepe nero, aglio fresco sbucciato, rosmarino fresco) eccetto il sale. La conca verrà poi riempita a strati, alternando sempre il lardo alla mistura, poi si copre il tutto con una lastra di marmo in alternativa legno. Lasciare stagionare in un luogo asciutto e fresco, lontano da fonti di calore per almeno 6 mesi. Il modo migliore per gustarlo è sopra una fetta di pane abbrustolito. Scodature d’abbacchio Il periodo della scodatura era generalmente il mese di aprile, durante il periodo pasquale. Tagliata la coda all’abbacchio si procedeva all’asportazione del pelo mediante l’uso del fuoco, successivamente si procedeva alla loro cottura in un tegame (tiana) dopo aver fatto un soffritto con aglio ed olio extravergine d’oliva a cui si univa del pomodoretto. Le code, una volta cotte, venivano anche utilizzate come condimento della polenta.

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Abbacchio o Capretto alla cacciatora Occorre un capretto o un abbacchio giovane e tenero, da far rosolare a tocchetti in olio extravergine d’oliva. “Sfumare” rapidamente con vino bianco secco. Salare e pepare. Intanto preparare nel mortaio un pesto aromatico di rosmarino, salvia, aglio, diluito con aceto. Versare sull’abbacchio o capretto ormai cotto a puntino e ben dorato. Lasciare insaporire prima di servire. Costolette d’abbacchio alla scottadito Una ricetta semplice, ma molto saporita, che mette in risalto in modo particolare la delicatezza e la morbidezza delle costolette di agnello. Piatto tipicamente pasquale, ma può essere gustato in tutto il periodo che va da marzo a giugno, che è quello in cui la carne di agnello è particolarmente buona e saporita. Tirare fuori le costolette dal frigorifero almeno mezz'ora prima della cottura. Preparare un pinzimonio di olio extravergine d’oliva, aglio e rosmarino ed ungervi le costolette. Coprirle e lasciarle insaporire per almeno una mezz'ora. Scaldare su fiamma viva la piastra in ghisa. Mentre si sta scaldando unire un filo d'olio extravergine d’oliva ed asciugarlo con carta da cucina. Quando la piastra sarà ben calda comincerà ad emettere un lieve fumo, appena percettibile. E' il momento di mettere le costolette al fuoco. Lasciarle cuocere per qualche minuti, senza toccarle, affinché possano ben cuocere. Mantenere la fiamma piuttosto vivace. Non deve ne comparire acqua sul fondo della piastra (temperatura troppo bassa), ne fumare eccessivamente (temperatura troppo alta). La costoletta deve essere ben dorata e presentare le classiche striature brune, segno che la cottura è avvenuta correttamente (non eccedere troppo nella cottura altrimenti la carne si indurisce). Girare le costolette senza utilizzare utensili che possono pungerle, altrimenti si favorisce la fuoriuscita dei succhi interni, a discapito della morbidezza. Lasciar cuocere le costolette sul secondo lato così come si è fatto per il primo. Terminata la cottura mettere le costolette in un piatto o in una teglia e coprire con carta stagnola (alluminio). Lasciarle riposare per un paio di minuti, per permettere ai succhi, che sono concentrati al centro della costoletta, di ridistribuirsi, contribuendo così a rendere la carne più uniformemente morbida. Regolare di sale, unire una grattugiata di pepe e servire. L’utilizzo del latte nella cucina dei pastori a Carpineto Nel mondo dei pastori era frequente l’uso del latte, non solo come alimento nutrizionale o per la trasformazione in formaggio, ricotta o caciotta, ma anche come materia prima per la preparazione di piatti tipici di uso quotidiano. Il latte unito all’acqua, nelle giuste proporzioni, con l’aggiunta di qualche patata e di un pizzico di sale veniva impiegato per la preparazione delle minestre o del riso. Generalmente per la preparazione della minestra si utilizzava la pasta “spezzigliata” (spezzettata). Ma il latte veniva utilizzato anche per la cottura di cavoli e rape che acquistavano un sapore particolare e per la preparazione della polenta in bianco. Coratella d’abbacchio Polmone, cuore, fegato tagliati a pezzi con l’aggiunta a volte delle budella tagliate a striscioline rappresentava il piatto tipico della tradizione popolare. Una volta tagliati vengono posti in un tegame di coccio (con questo materiale si ottengono decisamente i migliori risultati come cottura e come sapore), dopo aver fatto scaldare a fuoco basso l’olio extravergine d’oliva e fatto appassire la cipolla, assieme al pepe e alla salvia. Naturalmente l’ordine con cui veniva posta la coratella nel tegame era prima il polmone, poi il cuore e dopo qualche minuto il fegato (più morbido, pertanto con tempi di cottura inferiori). Fatti rosolare i pezzetti qualche minuto (per creare un po’ di crosticina), farli sfumare con il vino bianco secco fino ad evaporazione. A questo punto aggiungere l’alloro, coprire il tegame e portare a cottura a fuoco basso. A seconda del gusto si può aggiungere finocchietto fresco e peperoncino. Mazzolelle d’abbacchio e capritto alla brace Intestino e viscere d’abbacchio o di capretto che una volta puliti venivano posti sulla brace fino al raggiungimento della tipica croccantezza.

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Ciammaruche alla brace Piatto semplicissimo ma dal sapore antico. Una volta raccolte le chiocciole vengono poste sulla brace per pochi minuti. La cottura è quasi immediata, dopodiché con uno stuzzicadenti sono pronte per essere estratte dal guscio e mangiate. Centopegli de vacca La trippa è un piatto molto ricco dal punto di vista nutrizionale, ricco di proteine e con pochi grassi. La trippa una volta pulita per bene con acqua fredda e fatta scolare va tagliata a listarelle. Nel frattempo preparare un trito con la costa del sedano, la carota e la cipolla e fare soffriggere in un tegame insieme all’olio extravergine d’oliva, poi aggiungere la trippa. Lasciata ammorbidire ed asciugata la trippa, aggiungere il bicchiere di vino che potrà essere rosso oppure bianco. Fatto evaporare e poi aggiunta la polpa di pomodoro, mescolare bene, lasciare andare per alcuni minuti e poi aggiungere abbondante pepe macinato e sale quanto basta. Lasciare cuocere coprendo il tegame con un coperchio e aggiungendo di tanto in tanto un mestolo di acqua calda o di brodo. Intanto, in una ciotola, preparare il pecorino grattugiato e la mentuccia sminuzzata. Quando la trippa sarà cotta, spegnere il fuoco e aggiungere il contenuto della ciotola e fare mantecare. Occalozzo stagionato con sale e peperoncino Il guanciale è un taglio grasso del maiale, ottenuto dalla "guancia", tra testa e spalla, simile alla pancetta come composizione, in quanto è costituito da tessuto adiposo con una o due vene trasversali di muscolo magro. Dopo averlo strofinato con sale, ricoperto di pepe e fatto stagionare per tre mesi è pronto per essere mangiato. Ha un sapore leggermente diverso rispetto alla pancetta, e una consistenza più dura. Peticcioli d’abbacchio e de magrone Pulire i peticcioli (zampe), e poi metterli a cuocere in una pentola con acqua salata e far bollire per 10 minuti. Preparare un trito con la cipolla, l'aglio, il peperoncino che va soffritto in un tegame con l'olio extravergine d’oliva, i pomodori pelati e del sale. Lasciare sul fuoco finché il sughetto non si sarà ristretto. Scolare i peticcioli e metterli nel sughetto. Continuare la cottura girandoli continuamente e aggiungendo qualche mestolo dell'acqua di cottura dei piedini. Lasciar cuocere per 30 minuti. A fine cottura si può aggiungere qualche foglia di menta.

Da Carpineto al mare. Le vie della neve

«Volendo questa città provvedersi di neve per la corrente stagione, prego V.S. di fornirne qualche quantità necessaria, come pure indicarmi il prezzo ristretto di ogni soma condotta». Così il gonfaloniere di Terracina, il 27 aprile del 1821, così scriveva al suo omonimo di Carpineto. I «Nevaroli», erano coloro che scendevano in pianura dai Monti Lepini e a dorso d'asino portavano la neve al mare. Poi le stesse gerle tornavano cariche di pesce. Così a Carpineto Romano commerciavano ciò che avevano in abbondanza, neve, per ciò che mancava, pesce. Nevaroli e mulattieri erano pastori che, spinti dalla fame, alle prime nevicate pressavano il raccolto in profonde doline, stratificandone il prodotto con rami e fogliame di faggio, così da permetterne il taglio in blocchi e facilitarne il trasporto. In seguito a questo secolare scambio di merci oggi nella cucina carpinetana troviamo anche riferimenti culinari tipici delle città sul mare ed il brodetto di pesce, la pasta con le sarde e con le alici e il baccalà ne sono a testimonianza. Brodetto di pesce dei nevaroli Dopo aver pulito il pesce (palombo, triglia, fragolino, scorfano, gattuccio e vongole), in un tegame di coccio si fa soffriggere, in olio extravergine d’oliva, l’aglio ed il prezzemolo, a cui poi si aggiunge il vino fino a farlo evaporare un po’. Unito il pomodoro si fa cuocere per qualche minuto. A questo punto si dispone il pesce nel tegame iniziando dal più grosso che cuoce in più tempo e man mano si aggiungono anche gli altri; si insaporisce con una presa di sale e una buona macinata di pepe. Alla fine si cosparge il tutto con il prezzemolo tritato si

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copre il recipiente e si lascia cuocere per 20/30 minuti su fiamma bassa. Il brodetto, una volta filtrato, si serve in piatti di coccio accompagnato con qualche fetta di pane abbrustolito e strofinato, per chi piace, con un pò di aglio. Pasta con le sarde o con le alici Spinate le sarde o le alici si fanno soffriggere in un tegame con aglio ed olio extravergine di oliva a cui si aggiungono dei pomodoretti e del prezzemolo. Nel frattempo in abbondante acqua salata si fa cuocere le pasta, che una volta cotta, si fa saltare in padella con il preparato a base di alici o sarde. Prima di servire spolverare il piatto con del prezzemolo. Gelato puzzo ‘lla neve Utilizzare del ghiaccio (un tempo prelevato direttamente dalle profonde doline, ricoperte da foglie di faggio) che, una volta tritato grossolanamente e posto in un bicchiere, viene ricoperto di sciroppo di corniolo (crognale) o di ciliegia (cerasa). Mescolato il tutto è pronto per essere degustato. Baccalà in bianco o al sugo Il baccalà è considerato da sempre uno dei piatti più magri dei ceti poveri, eppure a vederlo al mercato sembra uno dei più cari. Per un baccalà in bianco occorre uno spicchio d’aglio, olio extravergine d’oliva, pepe e prezzemolo. A questo punto non resta che farlo cuocere in padella fino a raggiungere la tipica colorazione dorata. Per il baccalà al sugo bisogna far soffriggere l’aglio in olio extravergine d’oliva, far rosolare in seguito il pesce e poi aggiungere i pomodori pelati a fuoco basso. RISTORANTI • Il Faggio – via Rerum Novarum, 26 - 00032 Carpineto Romano (RM) – tel. 0697189031

www.ristoranteilfaggio.com

• I quattro fratelli – contrada Isola - 00032 Carpineto Romano (RM) - tel 0697189229 www.quattrofratelli.it

• La sbirra – via verdesca, 26 - 00032 Carpineto Romano (RM) - tel. 069798635 [email protected]

• La reggia dei Volsci - via della Torre Antica – 00032 Carpineto Romano (RM) - tel 069710032 www.lareggiadeivolsci.com

• Pizzeria trattoria Feoli dal 1955 - via Maenza, 26 – 00032 Carpineto Romano (RM) –

tel. 0697189507 www.pizzeriafeoli.com • La tana del lupo – via G. Matteotti – 00032 Carpineto Romano (RM) - tel. Gaetano 3279451108

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Manifestazioni e rassegne culturali

SAGRA DEL TARTUFO NERO PREGIATO LEPINO La sagra, organizzata dal 1997 nella prima decade di febbraio, è un appuntamento in cui i tartufai espongono e commercializzano il prezioso tubero ed i ristoratori mettono in mostra tutta la loro creatività nell’elaborare menù a base di tartufo. Alcune specialità sono di grande pregio: polenta lepina con tartufo, fettuccine, rigorosamente lavorate a mano ed amalgamate con farina di castagna e di grano duro, condite con tartufo e con funghi porcini, capretto, abbacchio e maialino tartufato, oltre alle classiche bruschette. ENTE PALLIO DELLA CARRIERA – HOSTARIE RIONALI Da ventuno anni, l’odierna rievocazione storica in costume è ambientata nel periodo di maggiore splendore degli Aldobrandini, in particolare sotto il ducato di Donna Olimpia Aldobrandini recuperando nel contempo i tempi propiziatori della religiosità nei 7 rioni o contrade e le feste civiche: abbinamento cavalli, cavalieri e rioni storici; imbussolamento nella chiesa di san Giacomo Maggiore; offerta dei ceri alla vigilia del santo patrono Agostino (27 agosto) nella chiesa Collegiata. Ma il "Pallio" non è solo rievocazione storica, ma momento di forte aggregazione comunitaria, contenitore di esperienze artistiche (con mostre), culturali (conferenze, proiezioni cinematografiche, rappresentazioni teatrali), artigianali ed enogastronomiche. L’aspetto enogastronomico è curato minuziosamente durante l’apertura delle sette hostarie rionali. L’obiettivo delle hostarie è quello di riscoprire le ricette e le tecniche culinarie che sono state alla base dell’alimentazione del ceto nobiliare e popolare. I menù comprendono piatti assolutamente freschi e genuini: prosciutti, olive in salamoia di Carpineto, pasta all’uovo con salse varie, pappardelle alla lepre o al sugo di cinghiale, carni ovi-caprine e suine allevate allo stato semibrado, polenta con spuntature e salsicce. Le hostarie hanno avuto il grande merito di aver proposto, per prime, il tartufo lepino, che ora è parte integrante della gastronomia locale. Ogni sera esse si animano e si colorano, creando un’atmosfera di vivace allegria e di cordiale ospitalità. LA SAGRA DELLA CALDARROSTA Grazie ai suoi vasti boschi, da sempre coltivati, Carpineto è stata insignita del titolo di “Città del castagno”. La castagna, poi, è a pieno titolo la regina nella gastronomia carpinetana, non solo nella preparazione dei dolci, ma anche, e soprattutto, nella preparazione di primi e secondi piatti. Nel corso della sagra della caldarrosta, organizzata in pieno autunno, i ristoratori promuovono menù appetitosi e genuini: ravioli con ripieno di castagne, fettuccine con farina di castagne condite con funghi porcini e tartufo e maialino al forno con castagne. FESTA DELLA MONTAGNA Dal 1962 la festa è un vero e proprio contenitore d’eventi legati alla montagna, nello splendido scenario del pianoro carsico di Pian delle Faggeta, uno dei luoghi più suggestivi per l’incantevole bellezza del panorama e per l’interesse naturalistico-scientifico ai piedi del M. Semprevisa (1536 s.l.m.). Tali luoghi sono stati catalogati dalle direttive Europee come siti d’interesse Comunitario. Il S.I.C. “monte Semprevisa – Pian delle Faggeta” è caratterizzato da boschi di faggio, carpino, leccio, querce e castagno, ed esemplari di tasso (Taxus baccata) e agrifoglio (Ilex aquifolium), nonché fioriture di rare e stupende orchidee selvagge. In prossimità di pozze d’acqua, fontanili, sorgenti e pozzi, vivono alcuni anfibi di particolare interesse scientifico come la Salamandrina dagli occhiali, o minuscoli anfibi come il “triturus carnifex” e la “bombina variegata”. Nel Pianoro è possibile ammirare numerosi animali allo stato brado e semibrado: cavalli (Pony d’Esperia), bovini (mucca maremmana), suini, ovini e caprini. In questo incantevole angolo del territorio lepino, a pochi chilometri da Roma, Latina, Frosinone, già descritto come luogo di una bellezza “aspra e selvaggia”, il Gruppo Ippico Capreo, nel primo week end di agosto, fa rivivere, gli ancestrali riti di una civiltà silvo-pastorale con le sue tipiche pietanze che l’hanno contraddistinta nei secoli. Due giorni all’insegna del vivere bene, dove buon cibo, un ambiente naturale e soprattutto tanta ospitalità, fanno dimenticare la solita routine quotidiana.

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FESTIVAL DELLA COMPLESSITA’ Il Festival non è un convegno, non è un incontro tra esperti; non ci sono complicate teorie da spiegare. È un modo diverso di fare e condividere cultura. Attraverso conversazioni si propone ai partecipanti un’esperienza irripetibile e l’idea che poche cose sono semplici e che un filo invisibile collega fatti, vicende, passato, presente e futuro delle persone, delle società e di tutto ciò che vive sul nostro pianeta. Una riflessione su alcuni problemi di questa nostra epoca di globalizzazione in cui il destino di ciascuno appare dipendere dal destino di tutti gli altri e essere collegato a un tutto incomprensibile. Oggi tutto sembra tradirci. La scienza, il progresso, il benessere che abbiamo conquistato appaiono come rivoltarsi contro di noi e generare inquinamento, conflitti, crisi economica, corruzione, solitudine e malattie inguaribili. Forse dobbiamo ricominciare a porci delle domande: la globalizzazione ci sta rubando la nostra identità? Internet è davvero il futuro? Possiamo imparare ancora dal nostro passato e dalla natura? Che significa fare salute? È ancora possibile uno sviluppo per i territori che abitiamo? Ha senso parlare di valori e beni comuni? Siamo davvero liberi di pensare e di sperare? Viviamo tempi in cui è difficile orientarsi e guardare in avanti: forse è necessario che ricominciamo. Ma non da zero, ma da dove siamo. LEPINI B. FEST Imperdibile appuntamento musicale estivo nato nel 1993, che ha contrassegnato Carpineto Romano come la città della musica blues dell’intero comprensorio lepino. Se c’è una musica che rappresenta il centro di gravità della popular music, questa è certamente il blues. Nato in America tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, è stato ed è tuttora una fonte d’acqua viva da cui hanno attinto tutti i generi musicali successivi e una miriade di musicisti. Grazie al suo potere generativo e alla sua capacità di attrarre, influenzare e comprendere altre musiche, a lungo andare si è conquistato un appellativo forte: la madre di tutte le musiche. Il termine blues è legato all’espressione “to have the blue devils” ovvero “avere i diavoli blu“. Era un modo di dire spregiativo utilizzato dai bianchi, che associavano il colore blu al senso di malinconia e tristezza che attribuivano a quella musica sconosciuta. Giunto alla soglia degli anni ‘50, il blues ha tracciato un’impronta indelebile nella storia ed è ormai pronto a diventare davvero “la madre di tutte le musiche. Il suo potere è attivo ancora oggi sia direttamente nella sua forma originale, sia indirettamente nella moltitudine di generi e stili che circolano attorno alle nostre orecchie. Numerosi gli artisti che si sono succeduti negli anni, tra i quali ricordiamo: Harold Bradley, Herbie Goins e Roberto Ciotti. BUSKER FESTIVAL Sono trascorsi 24 anni da quando, per un’idea originaria dell’allora Assessore alla Cultura Quirino Briganti, con il coinvolgimento di un busker argentino di nome Fabian, Manola Colangeli e Franco Fosca, già Direttore Artistico del Festival, nacque uno dei più antichi festival d’arte di strada d’Italia, il Busker Festival di Carpineto Romano, dando vita a un sodalizio magico tra i musicisti e i vicoli di questa bellissima e antica cittadina laziale. Dal 1990 a oggi, ogni 25 e 26 agosto, le strade di Carpineto Romano si sono animate di quell’arte in grado di abitare ogni angolo urbano, in piena tradizione “baschera”, dando vita a una festa unica di musica e colori. L’arte di strada ha le sue origini nel Medioevo e nel Rinascimento, quando i “bascheri” arrivavano nella nostra comunità destando stupore e meraviglia agli occhi ignari della popolazione. Quelle suggestioni vengono oggi riproposte negli stessi luoghi del centro storico, dove i nostri avi, attraverso l’arte di strada, scoprirono il teatro, la musica e le fantasie dei giocolieri. FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL FOLKLORE Organizzato dall’associazione “Sbandieratori e musici dei sette rioni storici di Carpineto Romano”, ospita ogni anno artisti provenienti da tutta Europa, che con i loro spettacoli e le loro esibizioni animano le vie del paese e molti dei paesi limitrofi. Un modo per promuovere la conoscenza ed il confronto tra realtà diverse e differenti tra loro, creando un eccezionale interscambio culturale tra i partecipanti e nel contempo sviluppando un vero spirito europeo all’interno della comunità di Carpineto e nel comprensorio lepino.

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FABULA Un Festival dell’infanzia a Carpineto Romano, come occasione speciale per cercare di offrire ai bambini e ragazzi un “proprio tempo”, un tempo nuovo per conoscere e sperimentare, per immaginare e creare, per formulare ipotesi e per far nascere idee! Un tempo per arricchire le possibilità di conoscere meglio il mondo e per immaginarne uno nuovo, attraverso esperienze che coinvolgono i sensi in maniera attiva, a partire dai laboratori: meravigliosi ”luoghi” in cui sperimentare e conoscere tecniche e materiali, in un clima di condivisione e di gioco privo del timore del giudizio dell’altro o dell’errore. Per passare poi al mondo dei libri illustrati, da sempre una inesauribile fonte di conoscenza, fascino, stupore, immaginazione; libri fatti di immagini e testi, che nella loro presunta semplicità, rappresentano un’ampia metafora del reale, un potente mezzo di superamento di barriere linguistiche e concettuali, spesso vere e proprie opere d’arte capaci di dar vita a personaggi e storie che non scompaiono con l’ultima pagina, ma che continuano a popolare l’universo dei bambini ed il nostro mondo. Mostre di illustrazioni in cui riconoscere e far conoscere, l’illustrazione appunto, come un’ arte a tutti gli effetti, un’arte così ricca di strumenti e tecniche e così libera, da aprirsi a molti utilizzi, un’ arte che a volte rischia di essere sottovalutata o dimenticata, ma che trova oggi fortunatamente, un suo grande riconoscimento nella letteratura per l’infanzia, grazie alla quale possiamo apprezzarne forse il suo più grande valore. Infine il teatro che è in grado di regalare momenti di magia tra sogno e realtà, in una cornice meravigliosa di un paese incastonato tra i monti e le pietre di un borgo medievale dove l’infanzia trova un nuovo spazio per crescere. NOTTE DI SAN LORENZO Stelle cadenti, musica, artigianato ed enogastronomia. La Notte di San Lorenzo, dal 2007, per Carpineto Romano rappresenta il momento in cui i “saperi” della tradizione agro pastorale si intrecciano con quelli della musicale popolare. Il tutto contornato dall’affascinante fenomeno delle stelle cadenti. Da un’idea della Compagnia dei Lepini e del maestro Ambrogio Sparagna ogni anno il Comune di Carpineto Romano organizza “La Notte di San Lorenzo” nell’incantevole scenario di Pian della Faggeta (quota 895 metri di altezza). Alla musica si uniscono, tuttavia, i sapori della tradizione artigianato ed enogastronomia. Durante la serata viene fatta degustare ricotta e formaggio preparata dai pastori locali, che un tempo pascolavano i loro greggi a Pian della faggeta. In questo modo si è voluto unire idealmente l’antico mondo dei pastori con la contemporaneità che, per ironia della sorte, vede nella musica dei pastori e dei contadini una delle sue espressioni più rigogliose. La Notte di San Lorenzo concepita in questo modo intende valorizzare la fusione artistica tra tradizione e sperimentazione. In primo luogo, perché gli spettacoli che propone non sono semplice intrattenimento, ma rappresentano il frutto di un costante e meticoloso percorso di ricerca nei contenuti e nei linguaggi, che punta al coinvolgimento attivo e alla trasmissione di sapere. In secondo luogo, perché la musica della tradizione popolare e le arti – manuali ed eno-gastronomiche – del mondo agro-pastorale, protagoniste dell’evento, non sono residui di un passato scomparso e dimenticato, ma testimoniano ancora oggi una gran vitalità. CARPINETO JAZZ FEST Festival di musica jazz nelle piazzette del centro storico di Carpineto Romano. Un modo intelligente per far rivivere antichi luoghi attraverso morbide armonie, improvvisazioni musicali e progressioni armoniche insolite. La musica jazz definita anche musica colta, in quanto risultante della conoscenza della musica classica, delle varie etnie musicali e di sviluppi armonici complessi, riaccende attraverso le sue sonorità, mai uguali, il centro storico. Grandi artisti si sono succeduti negli anni, come Marta Capponi, Fabio Macera, Pier Cortese, Jacopo Ferrazza e Carlo Negroni, dando al festival uno spessore internazionale. Un genere musicale di nicchia, che ha registrato nel corso degli anni un crescendo di ascoltatori di diversa provenienza, che oltre a godere della musica, apprezzano il fresco clima montano nelle calde sere d’estate. NOTTE DEL SALTARELLO

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La Notte del Salterello è divenuta un vero e proprio punto di riferimento per gli appassionati di questo genere musicale. Sonorità e balli caratteristici del centro Italia, molto affini con la tarantella, diffusa invece, nell’Italia meridionale. Canti in cui a farla da padrone sono il suono dell'organetto, zampogna, ciaramella e tamburello, tipici strumenti della nostra tradizione musicale. Naturalmente a seguito dei mutamenti sociali, quei canti e quei balli, che rappresentavano momenti di aggregazione e di socializzazione, ma soprattutto occasione per alleggerire il duro lavoro nei campi, sono andate morendo. Le feste religiose, il carnevale, le serate di incontri festosi in casa d'inverno, l'uccisione del maiale, oggi hanno lasciato il posto a feste e sagre estive, nelle quali le radici culturali e musicali tornano protagoniste, anche attraverso moderne reinterpretazioni di virtuosi musicisti, che hanno riportato in auge un genere musicale che altrimenti sarebbe andato perduto. CONCERTI AL CHIOSTRO Una rassegna che va in scena da 25 anni presso il chiostro seicentesco della chiesa di s. Pietro. In collaborazione con l’Associazione “Convivium pro Musica” e sotto la direzione artistica del M° Francesco Belli, il Comune di Carpineto organizza, durante il periodo estivo, incontri musicali che, nel corso degli anni, sono riusciti ad avvicinare un pubblico sempre più attento e numeroso al mondo della musica classica, magistralmente interpretata da musicisti di livello internazionale. Il M° Francesco Belli dal 2003 è anche il Direttore Artistico dell’Orchestra “Latina Philharmonia”, un progetto culturale-artistico dell’associazione “Convivium pro Musica”, che ha regalato a “I Concerti al Chiostro” serate di elevato spessore musicale. LepinArt : mercatino dell’artigianato artistico. L’associazione LepinArt da più di quindici anni diffonde la cultura delle arti creative manuali nel territorio regionale, valorizzando le diverse espressioni dell’artigianato locale ed in particolare del territorio lepino e che derivano da un impegno di tipo amatoriale. I mercatini nei quali si esprime l’artigianato LepinArt, vivacizzano sagre e manifestazioni sul territorio coinvolgendo il pubblico con la vendita di opere frutto dell’ingegno personale e con laboratori aperti al pubblico.

• Prodotti ed ingredienti “No OGM” * Il presente documento potrà nel tempo subire modifiche ed integrazioni sia nella parte riguardante il registro dei prodotti che nell’albo delle manifestazioni. Si allegano, a questo proposito, schede di richiesta prestampate per la richiesta del marchio De. Co. e per eventuali integrazioni al documento stesso. Lo studio De. Co. è stato promosso dal Comune di Carpineto Romano e redatto con la collaborazione tecnico-scientifica della Compagnia dei Lepini e del Museo Civico “La Reggia Dei Volsci”.

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