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Comunicare la cultura online: una guida pratica per i … · Best practices 4. I social network per ... YouTube e video Google+ Tripadvisor e Foursquare LinkedIn ... network e della

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Comunicare la cultura online: una guida praticaper i musei

Progettazione di siti web, content management, social media e analisidei risultati

Francesca De Gottardo, Alessandro D’Amore, Valeria Gasparotti, Aurora Raimondi Cominesi

con la collaborazione di Federico Giannini, Pietro Colella e Astrid D’Eredità

Comunicare la cultura online: una guida pratica per i museiProgettazione di siti web, content management, social media e analisi dei risultatiI edizione luglio 2014Copyleft licenza Creative Commons CC BY-NC 4.0 IT

Realizzazione a cura di #svegliamuseo www.svegliamuseo.comCon la collaborazione di Tropico del Libro (editing) e Giornata Nazionale delle Famiglie al Museo (comunicazione)

Progetto grafico copertina di Flavia ChiavaroliSviluppo ebook di Veronica Giuffré

Indice

Cover

Frontespizio

Copyright

1. Perché questo ebook? (Francesca De Gottardo)

2. La progettazione di siti web per i musei: aspetti fondamentali e proposta per unostrumento di analisi e valutazione (Federico Giannini)

IntroduzioneQuali contenuti per un sito web museale?Progettare l’accessibilità di un sito web musealeCenni per una maggiore usabilità del sito web musealeRendere più veloci le pagine del sito attraverso accorgimenti tecniciUn sistema di valutazione per siti web musealiBibliografia

3. Tecniche di comunicazione per la cultura online: storytelling e content mangement(Alessandro D’Amore)

Che cos’è lo storytellingPerché lo storytellingCome si fa lo storytellingBest practices

4. I social network per la cultura: quali sono, a cosa servono e come possono essereutilizzati dai musei (Francesca De Gottardo e Valeria Gasparotti, con il contributo diAstrid D’Eredità)

Cosa sono i social network e perché sono importanti per i museiBibliografiaFacebookTwitterPinterestInstagram

FlickrTumblrYouTube e videoGoogle+Tripadvisor e FoursquareLinkedIniTunesU

5. Obiettivi e risultati: l’utilizzo degli analytics per misurare le performance online(Pietro Colella)

Cos’è l’analisi dei datiPerché effettuare l’analisi dei dati onlineAnalisi qualitative e quantitative: un esempio praticoCome strutturare un processo di analisiLa scelta degli strumentiGoogle AnalyticsFacebook InsightsTwitterInstagramIconsquare (in precedenza Statigr.am)APIIFTTT

6. Svegliamuseo: un progetto per “svegliare” i musei italiani online (Francesca DeGottardo)

AntefattoIl progettoSviluppi futuri

7. Le interviste di #svegliamuseo (Alessandro D’Amore, Valeria Gasparotti, FrancescaDe Gottardo e Aurora Raimondi Cominesi)

La community internazionale dei digital media manager musealiCosa abbiamo chiesto e perchéI musei che si sono confrontati con noi fino ad ora

8. Gli autori di questo ebook

Note

1. Perché questo ebook?Francesca De Gottardo

La storia di questo ebook è molto semplice e risale al mio primo incontro conAlessandro D’Amore, solo dopo pochi mesi dall’inizio del mio lavoro per il progetto#svegliamuseo e subito prima che cominciasse a esservi coinvolto anche lui.La frase che ha dato il via al tutto è stata pronunciata da Alessandro e suonavapressappoco così: “guai a te se non pubblichi qualcosa sui risultati incredibili che stateottenendo”. Con una premessa del genere, come potevo tirarmi indietro?

Il progetto #svegliamuseo è nato e cresciuto grazie al lavoro di quattro persone – lasottoscritta, Valeria Gasparotti, Alessandro e Aurora Raimondi Cominesi – che hannoaffrontato lo spinoso argomento della comunicazione digitale in ambito musealespinte da una grande passione e con un approccio che è maturato nel tempo, passandodalla provocazione alla riflessione, al dialogo e alla ricerca.Nel corso dei nove mesi che abbiamo dedicato all’esplorazione del mondo dei socialnetwork e della cultura digitale in senso più ampio, abbiamo imparato molte cose eabbiamo avuto l’occasione di entrare in contatto con realtà molto diverse, dai grandimusei internazionali del calibro dello Smithsonian Institution, ai piccoli museiitaliani che lottano ogni giorno con le difficoltà che tutti conosciamo, così tipiche –purtroppo – del settore culturale, in Italia e non solo. L’esperienza che abbiamovissuto e che stiamo ancora vivendo è sicuramente straordinaria, nel senso che esuladall’ordinario e per questo motivo crediamo valga la pena di condividerla.

L’ebook che state per leggere è il risultato di una riflessione sui mondi del digitale edella cultura che abbiamo fatto insieme ai musei, italiani e stranieri, e con alcunepersone che abbiamo avuto la fortuna di incontrare nel nostro percorso: FedericoGiannini, autore del blog e della fortunata pagina Facebook “Finestre Sull’Arte”,Pietro Colella, digital strategist duro e puro, esperto di analytics e di marketing per ilsettore profit, e Astrid D’Eredità, twittatrice incallita che gestisce, tra gli altri,l’account dell’Associazione Nazionale Archeologi.Un giorno è capitato che ci siamo seduti tutti intorno a un tavolo e abbiamo tiratofuori idee per scrivere qualcosa che facesse un po’ il punto della situazione sugliargomenti ai quali ognuno di noi, a suo modo, era interessato. È così che abbiamoscelto di parlare di siti web, storytelling, social network e metodologie di analisi deidati.

Questo ebook è il nostro contributo per approfondire la conoscenza di strumenti chesono spesso poco noti, sottovalutati, fraintesi o dati per scontati.Non pretende di essere la summa del sapere in materia, soprattutto perché siamoconsapevoli che si tratta di una materia che si muove velocemente ed è, quindi,soggetta a cambiamenti repentini. Il nostro intento è contribuire a fare un po’ dichiarezza su alcuni argomenti e condividere le nostre esperienze di professionisti (eappassionati) di digitale museale.

Speriamo che i musei italiani possano trovare qualche spunto interessante e che ildialogo intorno a questi temi non si esaurisca mai.

2. La progettazione di siti web per i musei: aspetti fondamentali eproposta per uno strumento di analisi e valutazione

Federico Giannini

Introduzione

Negli ultimi anni, l’Italia, al contrario di ciò che si potrebbe pensare, ha avuto unruolo di avanguardia nel campo della progettazione dei siti web per i musei e, piùin generale, della definizione dei principi che determinano la qualità di un sito webculturale.È in questo senso che operò il progetto MINERVA (Ministerial Network ForValorising Activities In Digitalisation), una rete di ministeri europei preposti allacultura, coordinati dal nostro Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che siponeva l’obiettivo “di facilitare la creazione di una visione comune nella definizionedelle azioni e dei programmi nel campo dell’accessibilità e fruibilità in rete dei beniculturali”. Il progetto, che ha avuto il via nel 2002, ha ottenuto importanti risultati evale la pena menzionare, tra gli altri, tre notevoli strumenti prodotti da MINERVA: il“Manuale per la qualità dei siti web pubblici culturali”, il CMS “Museo & Web” e i“10 principi per la qualità di un sito web culturale”.Il primo di questi strumenti è un elenco di regole che un sito web culturale dovrebbeseguire per soddisfare al massimo grado criteri di usabilità e accessibilità. “Museo &Web” è invece un CMS (Content Management System) creato per dare ai musei,soprattutto quelli medio-piccoli, la possibilità di dotarsi di un sito web che possasoddisfare i principi di qualità che un sito web culturale dovrebbe avere secondo lelinee-guida del progetto. Infine, i 10 principi di qualità sono le dieci caratteristichefondamentali che un sito web culturale dovrebbe soddisfare per essere considerato unsito di qualità: il progetto ha fornito anche un sistema di valutazione che permette aimusei di verificare, attraverso schemi e domande, quanto il proprio sito web soddisfii dieci principi.Sono trascorsi ormai diversi anni da quando questi strumenti hanno fatto la lorocomparsa: il manuale per la qualità ha subito l’ultima revisione nel 2006, “Museo &Web” ha visto uscire la sua ultima versione nel 2011, mentre il sistema di verifica deiprincipi di qualità non viene più aggiornato dal 2006.Nel frattempo il web ha subito enormi cambiamenti: sono comparse – o si sonoevolute – nuove forme di interazione tra pubblico e gestori di contenuti, abbiamoassistito all’ascesa dei social network e del loro impatto sulle modalità dicomunicazione, e in un web dominato dai cosiddetti “user-generated content”, spesso

confusionari e scadenti, abbiamo visto crescere la richiesta di contenuti affidabili e diqualità, ma anche la richiesta di “contenitori” adatti a ospitare tali contenuti e arenderli il più possibile fruibili e leggibili.Scopo di questo capitolo è, quindi, quello di cercare di comprendere cosa dovrebbecontenere il sito web di un museo costruito secondo un canone di elevata qualità, e,soprattutto, come dovrebbe essere progettato il contenitore nell’ottica deicambiamenti che il web ha subito negli ultimi tempi.Tuttavia, data la vastità dell’argomento – e pertanto senza alcuna pretesa di esaustività– ci si concentrerà in particolare su quale dovrebbe essere la struttura di un sito webmuseale e sulle buone pratiche di usabilità e accessibilità, prendendo come base gliimportanti risultati raggiunti dal progetto MINERVA.Si concluderà con una proposta per uno strumento di analisi e di valutazione perla qualità di un sito web culturale, pensato e progettato secondo una visione dicostante evoluzione e partecipazione, e tale da favorire l’autovalutazione da parte deimusei, così che potranno avere uno schema chiaro dei punti di forza e di debolezzadei propri siti web, in modo da intervenire con modifiche e aggiornamenti dove piùopportuno.

Cosa: quali contenuti per un sito web museale?

Il CMS “Museo & Web”, nella sua guida, individuava una struttura di base,consigliata per un sito web museale che intendesse essere il più completo possibile.Tale struttura, la cui ultima revisione risale al 2005, prevedeva sette aree principali:

1. Il Museo: pagine dedicate all’istituzione museale (storia dell’edificio,storia della collezione, mappa delle sale, i direttori, le ricerche,l’archivio, il museo nel territorio e nella città) ma anche alle attivitàcondotte dal museo (ricerca, acquisizioni, restauri, pubblicazioni,mostre ed esposizioni, didattica) e a informazioni di carattere pratico(orari di visita);

2. Il Patrimonio: sezione dedicata alla collezione del museo con indicie cataloghi, modellazioni tridimensionali, database degli oggetti;

3. I Percorsi: sezione in cui la collezione del museo viene presentatasuddivisa per percorsi, che possono essere cronologici o tematici, maanche pensati in relazione al pubblico (per esempio, percorsi specifici

per i bambini);

4. I Servizi: pagine dedicate ai servizi offerti dall’istituto museale(bookshop, caffetterie, archivi, sale attrezzate, informazioni perprenotazioni);

5. Risorse in rete: una pagina con link utili;

6. La comunità: uno spazio pensato per accogliere newsletter, forum didiscussione, iniziative di associativismo legate al patrimonio del museo;

7. Novità: una sezione con le ultime notizie.

Oltre a queste macro-aree e alla home page, ovviamente, “Museo & Web”individuava un selettore per il multilinguismo, degli strumenti di metanavigazione(motore di ricerca interno, mappa del sito, guida, pagina dei contatti, moduli difeedback) e un piè di pagina (footer) contenente informazioni sui copyright,disclaimer, date di revisione e aggiornamento, url della pagina.Sono passati nove anni dall’elaborazione di questo schema e molte delle informazioniin esso contenute sono tuttora valide; tuttavia, analizzando molti siti web museali eprendendo come punto di riferimento per questa analisi i siti web dei cinque museipiù visitati del mondo secondo il rapporto 2012 di “Il Giornale dell’Arte” e “The ArtNewspaper” (che sono Louvre, Metropolitan Museum of Art, British Museum, TateModern Gallery e National Gallery di Londra), notiamo che questo schema ha subitouna forte evoluzione.Per comprendere i motivi che stanno alla base di tale evoluzione è necessariocomprendere il comportamento degli utenti sui siti web dei musei: a tal proposito,giungono in aiuto i sondaggi condotti per valutare le azioni degli utenti e per capire leragioni che li spingono a navigare sui siti web dei musei.Prendiamo, a titolo di esempio, tre sondaggi: uno condotto nel 2010, uno tra la finedel 2011 e gli inizi del 2012 e l’ultimo tra la fine del 2012 e gli inizi del 2013,rispettivamente dall’Agenzia Danese per il Patrimonio (un ente che dipende dalMinistero dei Beni Culturali della Danimarca e che si occupa, tra le altre cose, deimusei statali danesi: ha condotto il sondaggio sul sito del Museo ARKEN diCopenaghen e sul sito dei musei della città di Fredericia), dall’Indianapolis Museumof Art e dal British Museum di Londra. Una domanda che ha accomunato tutte le trericerche è stata: “per quale motivo navighi sul sito web del museo?” (e quindi: “qualetipo di informazioni cerchi principalmente sul sito di un museo?”). In tutti i casi, la

risposta preponderante (80% Agenzia Danese per il Patrimonio, 50% IMA, 39%British Museum: la percentuale così alta nel primo caso è dovuta al fatto che quellodanese è, dei tre, l’unico sondaggio che prevedeva una risposta multipla alla domanda)è stata: “per preparare la visita”, ovvero “cerco informazioni pratiche che mi aiutino apreparare la mia visita”.Uno degli scopi principali degli utenti, nonché lo scopo principale per gli utenti deisiti web dei musei esaminati, è quindi quello di cercare informazioni per poi visitaredi persona il museo.Si comprende quindi l’odierna scelta di moltissimi musei – compresi i cinque piùvisitati al mondo – di dedicare un’apposita sezione del sito alla visita, e in alcuni casi(Louvre, Metropolitan, British) si tratta anche della prima voce del menù.Dunque, cosa dovrebbe includere una voce sulla visita (o sulle “Informazionipratiche”, come viene chiamata dal Louvre) per essere il più esauriente possibile?Un’analisi dei principali siti web fa emergere alcune informazioni fondamentali:

– Gli orari e i calendari di apertura;

– Informazioni sui costi dei biglietti, nonché su eventuali riduzioni(gruppi, scolaresche, studenti) e convenzioni con enti, associazioni,ristoranti, attività commerciali e quant’altro;

– Recapiti (numeri di telefono, email) per chiedere informazioni (oeventualmente form da compilare);

– Informazioni sulla raggiungibilità (mezzi di trasporto per recarsi almuseo, sistemi di mappe che consentano agli utenti di calcolare ilpercorso da una determinata posizione.... );

– Informazioni dedicate agli utenti diversamente abili (percorsiriservati, parcheggi riservati, modalità di visita);

– Informazioni legate alla visita (presenza di audioguide a noleggio,informazioni sulle visite guidate);

– Regolamento del museo o elenco di divieti.

A questo punto è possibile aggiungere la facoltà, data da molti musei, di acquistare ibiglietti via web o prenotarli per telefono, nonché le FAQ che raccolgono le risposte

alle più frequenti domande rivolte dagli utenti allo staff del museo.

La seconda tipologia di utenti è, invece, costituita da quelli che cercanoinformazioni, che, se sommati, diventano preponderanti nel caso del British Museum(62% Agenzia Danese, 16% per ragioni professionali + 21% per interesse personaleIMA, 20% per interesse personale + 29% per ragioni professionali British Museum).Come suggerito anche da “Museo & Web”, la prassi è però quella di dividere leinformazioni che riguardano il museo in quanto istituto da quelle che riguardano ilsuo patrimonio (anche se, come si è già visto, rispetto a quanto suggerito da “Museo& Web” è meglio dedicare una parte a sé sia alle informazioni sulla visita sia, come sivedrà tra poco, ad alcune attività come le esposizioni e le attività educative).La sezione sul museo in quanto istituto andrà quindi a includere:

– Notizie storiche sul museo, sia per ciò che riguarda la formazionedella sua collezione, sia sulla sede che la ospita (in questo caso, sipotranno aggiungere anche notizie di carattere artistico e architettonicosul palazzo in cui ha sede il museo);

– Descrizioni delle sale (ci sono musei che decidono di inserire solo ledescrizioni delle sale principali, mentre musei come il British e ilMetropolitan includono informazioni e descrizioni su ogni singola saladel museo), con eventuale presenza di una planimetria navigabile chepermetta agli utenti di raggiungere la sala desiderata in modo facile eintuitivo, e con eventuali ricostruzioni a 360° di tutte le sale o di unnumero significativo di esse (e magari anche dei principali oggetti chele sale ospitano);

– Informazioni sulle attività di ricerca condotte dal museo, tenendosempre presente il fatto che il museo non è solo luogo dove si faformazione ed educazione, ma anche luogo dove si fa ricerca;

– Informazioni sullo staff del museo (organigramma, direzione,ricercatori... );

– Pagine dedicate ai mecenati del museo e alle attività di supporto;

– Una sezione multimediale con gallerie fotografiche, video, audiopodcast. Molti musei, tuttavia, decidono di creare una sezione a sé

stante: un esempio è il sito della Reggia di Venaria Reale che ha unasezione multimediale che nel menù fa voce a sé, mentre il Louvreinclude la sua “mediateca” in una sezione dedicata in modo specificoalla visita, in quanto il museo francese ha deciso di condurreun’ulteriore separazione tra informazioni di carattere più spiccatamente“pragmatico”, come raggiungibilità e costi dei biglietti, e informazionisulla visita, ovvero presenza di audioguide, percorsi, visite guidate;

– Una sezione “lavora con noi” con tutte le posizioni aperte (meglio secon possibilità di candidatura diretta) ed eventuali form perautocandidatura.

Riguardo, invece, la sezione sul patrimonio, potrà essere composta da:

– Informazioni sui singoli oggetti, spesso presenti in un’appositasezione di ricerca. Molti musei decidono di includerli anche nelledescrizioni delle sale: non di rado però alcuni musei, come PalazzoDucale a Venezia, inseriscono gli oggetti della collezione in databaseseparati (benché sarebbe auspicabile che il database fosse integrato nelsito) o adottano approcci misti (come gli Uffizi che integrano nel sitodescrizioni per un pubblico ampio e immagini, e inseriscono invece inun database separato le informazioni riservate agli specialisti comepassaggi di proprietà, numeri di inventario e quant’altro);

– Un motore di ricerca interno per opere e sale, meglio se conspecifiche avanzate (ricerca per autore, per tipo di oggetto, perdatazione... );

– Percorsi di visita o di ricerca, che potranno essere cronologici,tematici su un argomento specifico, o rivolti a uno specifico pubblico(percorsi per i bambini) oppure ancora, tagliati su alcune preciseesigenze del pubblico (il British, per esempio, propone percorsi per “chiha poco tempo”);

– Notizie biografiche sugli artisti o sui personaggi legati al museo;

– Un glossario.

Un’ulteriore tendenza comune ai siti di tutti i principali musei mondiali – compresi icinque più visitati – è quella di dedicare un’apposita sezione agli eventi e allemostre, che spesso sono dotate di propri mini-siti, e di inserire addirittura nellahome page gli eventi o le mostre principali. Questa tendenza risponde a uno deiprincipali utilizzi della rete da parte del pubblico, dei musei e non, ovvero quello diinformarsi sulle ultime novità. Senza dimenticare poi che inserire le notizie sullemostre in home page, magari con grandi fotografie, è una pratica che stimola lacuriosità del pubblico che sarà più portato a cercare maggiori informazioni e apianificare una visita. Vale la pena evidenziare che esiste una buona percentuale diutenti che capita sui siti web dei musei attraverso una navigazione casuale senzacercare alcunché di specifico: in riferimento ai sondaggi citati sopra, si tratta di un10% per l’IMA, e un 10% anche per il British.La pagina delle mostre e degli eventi potrà essere dotata di un calendario chepermetterà agli utenti di cercare gli eventi specifici per un dato giorno dell’anno, e diuna sezione dedicata alle mostre passate: evitare di cancellare le informazioni sullemostre passate è un modo di perseguire le finalità didattiche ed educative delmuseo, oltre che di prolungare la vita delle stesse esposizioni, facendo sì che gliutenti possano continuare a raccogliere informazioni su una mostra anche dopo che siè chiusa.Verrà inoltre data rilevanza alla sezione delle attività didattiche, che rappresentanoun punto focale delle attività del museo, in quanto potremmo definirle, in terminimolto semplici, come “tramite” tra le attività scientifiche del museo stesso e ilpubblico: dato che spesso si pensa alle attività didattiche come a un qualcosa che sirivolge prettamente a un pubblico infantile, sarà cura del sito web distinguere tra leattività rivolte agli adulti e quelle invece rivolte ai bambini, che sul sito web delmuseo magari potranno anche beneficiare di applicazioni e giochi didattici (deicinque musei più visitati del mondo, quelli che sul loro sito mettono a disposizionegiochi e applicazioni sono il Metropolitan, il British e la Tate Modern). Un’ulterioresezione potrà invece testimoniare, con resoconti e fotografie, le attività didattiche chesono state eseguite in passato: diversi musei scelgono di offrire questo tipo ditestimonianza tramite i loro blog.Fondamentale sarà infatti anche l’interazione: diversi musei hanno realizzato sui lorositi dei blog, il più delle volte divulgativi, tramite i quali il pubblico viene informatosu molti aspetti della vita del museo, come per esempio:

– Le attività scientifiche;

– Gli oggetti delle collezioni;

– Le attività didattiche;

– Gli eventi che si tengono presso il museo;

– Approfondimenti sul territorio.

Alcuni musei, come il British, hanno un unico blog per tutti gli aspetti del museo,mentre altri, come il Metropolitan, hanno scelto di aprire più blog, ognuno dedicato aun argomento o rivolto a un pubblico specifico (il Metropolitan ha, per esempio, unblog dedicato ai teenager).Il blog offrirà la possibilità di commentare gli articoli, permettendo quindi undialogo con il pubblico, che potrà essere ulteriormente stimolato dalla presenza di unforum di discussione.Quella di offrire un forum è una pratica meno diffusa: l’unico museo, tra i primi diecipiù visitati al mondo, a dare questa possibilità sul proprio sito è il Natural HistoryMuseum di Londra.Non bisognerà poi dimenticare di inserire negli articoli, nelle pagine istituzionali,nelle pagine della collezione e un po’ in tutto il sito i tasti per condividere icontenuti sui social network, ormai sempre più indispensabili per lacomunicazione dei musei.L’interazione rappresenta il punto debole dei siti web dei musei italiani: dei dieci piùvisitati, solo il Museo Nazionale del Cinema di Torino ha un blog (peraltro nonintegrato nel sito web), e solo quattro – Palazzo Ducale di Venezia, Museo Nazionaledi Castel Sant’Angelo, Reggia di Venaria Reale, Museo Nazionale del Cinema –offrono nel proprio sito web la possibilità di condividere i contenuti sui socialnetwork.Infine, come suggerito da “Museo & Web”, la sezione dei servizi conterràinformazioni sui principali servizi offerti dal museo: bookshop, archivi, caffetterie eristoranti (magari con fotografie e menù), informazioni su possibilità di organizzareeventi nei musei.Molti musei, inoltre, hanno dotato il loro sito web di un portale e-commerce,integrato o parallelo, in cui mettono in vendita la merce acquistabile anche presso ilmuseo stesso.

Come: progettare l’accessibilità di un sito web museale

Il W3C (World Wide Web Consortium), ovvero la ONG che si occupa di sviluppare gli

standard internazionali in fatto di web, definisce l’accessibilità come “la capacitàdi un sito web di essere acceduto efficacemente alla sua interfaccia e al suo contenutoda utenti diversi in differenti contesti”, e aggiunge che “rendere un sito webaccessibile significa permettere l’accesso all’informazione contenuta nel sito anche apersone con disabilità fisiche di diverso tipo e a chi dispone di strumenti hardware esoftware limitati”.Si comprende quindi l’importanza dell’accessibilità: una pratica volta a consentirela consultazione completa di un sito web anche agli utenti diversamente abili comenon vedenti, non udenti, ipovedenti, persone affette da disabilità che impedisconouna piena possibilità di utilizzo di mouse e tastiera, persone affette da disabilitàcognitive, malati di epilessia fotosensibile. Queste persone potrebbero non averepieno accesso alle risorse disponibili sul web e pertanto navigano in rete construmenti diversi da quelli a cui noi siamo abituati.Ma l’accessibilità non riguarda solo i diversamente abili: può capitare che, per diversimotivi, una parte della nostra utenza navighi sul nostro sito web con browser datati, ocon funzionalità disabilitate. Una programmazione in chiave accessibile deve tenerconto anche di queste variabili, anche se sarà opportuno, nel valutare le versioniaccessibili rivolte a chi è dotato di “strumenti hardware e software limitati”,verificare le statistiche di accesso del sito web per organizzare degli interventi mirati.Lo stesso W3C, nel 1997, ha lanciato la WAI (Web Accessibility Initiative), unprogramma volto a definire le buone pratiche di accessibilità per i siti web, e in talsenso la WAI ha raggiunto, tra i vari risultati, l’elaborazione delle WCAG (WebContent Accessibility Guidelines), ovvero le linee-guida per l’accessibilità, rilasciate inuna prima versione 1.0 nel 1999 e nella loro seconda versione 2.0, diventata una W3CReccomendation, nel 2008.In Italia, l’accessibilità è stata oggetto della cosiddetta “Legge Stanca” (Legge n. 4 del9 gennaio 2004), che ha introdotto l’obbligo, per i siti pubblici o di interesse pubblico,di rispettare i criteri e i principi per l’accessibilità previsti dal Decreto Ministeriale 8luglio 2005 (e successive modifiche), ovvero i cosiddetti “Requisiti tecnici e i diversilivelli per l’accessibilità agli strumenti informatici”. Il decreto, in particolare, indica22 requisiti (aggiornati e ridotti a 12 con il D.M. del Ministero dell’Istruzione,dell’Università e della Ricerca del 20 marzo 2013, ma di fatto estesi attraverso icosiddetti “punti di controllo”) che devono essere soddisfatti onde poter garantirel’accessibilità del sito web. Oltre a ciò, compito delle pubbliche amministrazioni èanche quello di formare e aggiornare in modo costante il personale che si occupadella manutenzione del sito, fare in modo che non sussistano forme didiscriminazione tra dipendenti abili e dipendenti diversamente abili, coinvolgere unpubblico diversamente abile nelle operazioni di verifica di accessibilità dei siti web.Risulta, quindi, evidente che per i musei che dipendono da pubbliche amministrazioni

garantire piena accessibilità al proprio sito web non è solo una buona pratica, ma èanche un obbligo.Benché la presente analisi non abbia lo scopo di parlare in modo esauriente di tutti itemi legati all’accessibilità, si ritiene necessario fornire una serie di indicazionifondamentali per far sì che un museo riesca a progettare un sito web in ottemperanzaai requisiti del D.M. 20 marzo 2013. Nell’elenco che segue, saranno indicati traparentesi il numero del requisito che la pratica indicata contribuisce a soddisfare e ilnumero del criterio di successo WCAG 2.0 corrispondente:

– Presenza dell’attributo “alt” delle immagini (soddisfa il requisito1.1 del D.M. 20 marzo 2013 e il criterio di successo WCAG 2.0 1.1.1).“alt” è l’abbreviazione di “alternative”, e indica l’alternativa testuale dautilizzare per descrivere le immagini per chi non le può vedere (utentinon vedenti, o utenti che utilizzano browser testuali). Bisogna cercare diessere piuttosto descrittivi, o comunque evitare di lasciare vuotol’attributo (tale pratica è concessa esclusivamente per le immagini didecorazione, che devono essere ignorate dagli screen reader, ovvero iprogrammi che leggono una pagina web per un non vedente, e daibrowser testuali). Non è inoltre consentito utilizzare simboli graficiprivi di testo (o senza alternative testuali) per veicolare informazioni(3.3 D.M., WCAG 2.0 1.3.3).

– Presenza di alternative testuali per elementi multimediali (1.1,2.1, 2.2, 2.3, 2.4 D.M., WCAG 2.0. 1.1.1, 1.2.1, 1.2.2, 1.2.3, 1.2.4,1.2.5). In caso di presenza di video o podcast audio, sarà bene forniresempre dei sottotitoli e una descrizione esauriente, o un testoalternativo (alcuni musei presentano anche la trascrizione di molti videoe podcast audio: è il caso, per esempio, della National Gallery diLondra).

– Separazione della grafica dai contenuti (3.1 D.M., WCAG 2.01.3.1). Un buon sito web deve utilizzare i fogli di stile (CSS, CascadingStyle Sheets) per separare le informazioni sulla grafica del sito daicontenuti.

– Informazioni, correlazioni e struttura fruibili anche in mancanzadi fogli di stile (3.1 D.M., WCAG 2.0 1.3.1). Diversi browser danno lapossibilità di disabilitare i fogli di stile: le correlazioni tra i contenuti

devono rimanere fruibili anche quando i fogli di stile vengonodisabilitati dagli utenti.

– Presenza di un layout tableless (3.1, 3.2 D.M., WCAG 2.0 1.3.1,1.3.2). È del tutto sconsigliata la pratica di utilizzare tabelle perimpaginare il contenuto. Le tabelle devono contenere esclusivamentedati ed essere utilizzate per lo scopo per il quale sono state concepite.

– Presenza di marcatori in caso di elenchi (3.1 D.M., WCAG 2.01.3.1). Gli elenchi devono essere marcati con le apposite etichetteHTML (<ul>, <ol>, <li>).

– Definizione della corretta sequenza di lettura (3.2 D.M., WCAG2.0 1.3.2). I contenuti testuali devono essere presentati in una formacoerente (per esempio, non si devono utilizzare tabelle o spazi bianchiper impaginare testi).

– Evitare di basare le informazioni solo sul colore (4.1 D.M.,WCAG 2.0 1.4.1). Gli utenti daltonici potrebbero avere difficoltà apercepire informazioni basate solo sul colore (per esempio, link conpoco contrasto rispetto al testo, oppure non sottolineati). È quindi benefare in modo che il colore non sia l’unico metodo per distinguereinformazioni (o quanto meno è bene usare contrasti decisi: siraccomanda un contrasto minimo di 3:1 tra il testo che veicolainformazioni e il testo circostante).

– Suono e riproduzione controllabile in elementi multimediali (4.2D.M., WCAG 2.0 1.4.2). I player di video e audio devono metterel’utente in grado di poter fermare, mettere in pausa, mandare avanti eindietro la riproduzione e controllare il volume.

– Utilizzare un adeguato contrasto cromatico tra testo e sfondo (4.3D.M., WCAG 2.0 1.4.3). Si raccomanda un contrasto minimo di 4,5:1tra lo sfondo e il testo (che può scendere a 3:1 in caso di font a 18 pixel– o 14 pixel e grassetto – e può essere trascurato nei testi di puradecorazione).

– Testo ridimensionabile (4.4 D.M., WCAG 2.0 1.4.4). L’utente deve

essere in grado di ridimensionare il testo con il proprio mouse oattraverso i controlli della tastiera, senza che ci sia perdita di contenutio di funzionalità.

– Assenza di testo sotto forma di immagine (4.5 D.M., WCAG 2.01.4.5). Si deve evitare l’utilizzo di testi all’interno di immagini (fattaeccezione per i logotipi, ovvero i testi che fanno parte di loghi emarchi).

– Evitare script che disabilitano gli strumenti di navigazione cometastiera, mouse, barre di navigazione (5.1, 5.2 D.M., WCAG 2.02.1.1, 2.1.2). È sconsigliabile utilizzare script che disabilitano glistrumenti di navigazione, o ne limitano l’utilizzo (per esempio, scriptche disabilitano il focus di un’azione da tastiera come la selezione di unlink). Si tratta inoltre di un’azione che va a vantaggio dell’usabilità delnostro sito web.

– Evitare azioni con limiti di tempo o, se necessario, permettereall’utente di allungare il tempo limite (6.1 D.M., WCAG 2.0 2.2.1).Ogni utente ha bisogno di un certo tempo per portare a termineun’azione, e se è previsto un limite di tempo (per esempio, perpermettere alla pagina di ricaricarsi), dobbiamo far sì che l’utente possao sospendere il limite di tempo, o allungarlo.

– Evitare scritte lampeggianti o in movimento (6.2, 7.1 D.M.,WCAG 2.0 2.2.2, 2.3.1). Le scritte lampeggianti potrebbero causareproblemi agli utenti epilettici ed è bene evitarle completamente.

– Salto di blocchi laddove necessario (8.1 D.M., WCAG 2.0 2.4.1).Immaginiamo una pagina dove i contenuti informativi sono precedutida una serie di pubblicità, banner o comunque informazioni chepossono non interessare l’utente. Dobbiamo, in questi casi, metterlonelle condizioni di poter saltare direttamente ai contenuti informativiattraverso un apposito link.

– Utilizzare titoli descrittivi (8.2 D.M., WCAG 2.0 2.4.2). Per ognipagina dobbiamo riempire il title tag con una descrizione breve maesauriente e, soprattutto, dobbiamo evitare di inserire lo stesso title tag

su tutte le pagine del sito: è penalizzante anche in ottica diindicizzazione sui motori di ricerca). Questa pratica è importante anchein chiave di usabilità.

– Preservare l’ordine del focus (8.3 D.M., WCAG 2.0 2.4.3). Unelemento in focus è l’elemento che in quel momento è attivo sulla nostrapagina: per esempio, in un form, è il campo che stiamo compilando. Glielementi che, nella nostra pagina, ricevono il focus, devono riceverlosecondo un ordine logico (per esempio il focus non può saltare dalprimo all’ultimo campo di un form, e poi tornare al terzo).

– Rendere chiara la destinazione dei link (8.4 D.M., WCAG 2.02.4.4). Dobbiamo far comprendere ai nostri utenti in modo chiaro eintuitivo la pagina verso cui sta puntando un link, magari avvalendocianche dell’attributo “title” del tag “a”.

– Proporre diversi modi per raggiungere un contenuto (8.5 D.M.,WCAG 2.0 2.4.5). Le pagine del nostro sito web devono essereraggiungibili da più di una fonte: per poter ottenere questo scopo èpossibile inserire un motore di ricerca interno, una tavola dei contenuti,una mappa del sito, o anche una sezione di pagine correlate.

– Utilizzare titoli descrittivi (8.6 D.M., WCAG 2.0 2.4.6). Le sezionidelle pagine web devono essere dotate di titoli descrittivi, e, allo stessomodo, i campi dei form devono avere etichette che li descrivano inmodo semplice e intuitivo.

– Evidenziare il focus (8.7 D.M., WCAG 2.0 2.4.7). Il focus diun’azione deve essere evidenziato in modo tale da renderlo visibile a chista navigando la pagina web. Il focus è evidenziato di default sullepagine web, ma possiamo comunque cambiare lo stile della messa inrisalto del focus attraverso i fogli di stile.

– Definire la lingua della pagina (9.1 D.M., WCAG 2.0 3.1.1). Perogni pagina web deve essere definita la lingua utilizzando l’appositometa tag.

– Evitare pagine bilingui (9.2 D.M., WCAG 2.0 3.1.2). È buona

norma evitare di inserire contenuti in due o più lingue diverse in unasola pagina web o, se proprio necessario, bisogna indicare quale è oquali sono le lingue diverse da quella definita per la pagina doveiniziano le rispettive porzioni di testo. Si tratta di una praticaimportantissima anche in chiave di usabilità.

– Mantenere lo stesso contesto (10.1, 10.2, 10.3, 10.4 D.M., WCAG2.0 3.2.1, 3.2.2, 3.2.3, 3.2.4). Bisogna fare in modo che il templategrafico, i meccanismi di navigazione e gli elementi che abbiamo scelto(bottoni, colore dei link, formattazione dei titoli... ) si ripetano in tuttoil sito web, in modo da non disorientare l’utente (e ciò va anche a tuttovantaggio dell’usabilità del sito). Se in una pagina il contesto cambia,dobbiamo avvisare l’utente.

– Identificare gli errori e dare suggerimenti (11.1, 11.3 D.M.,WCAG 2.0 3.3.1, 3.3.3). Se ci sono delle azioni sul nostro sito web perle quali possono essere previsti errori (per esempio, compilazione diform), nel caso in cui questi ultimi si presentino all’utente, dobbiamoevidenziarli in modo chiaro (con colori diversi o con box appositi), edare all’utente suggerimenti per evitare che ripeta gli errori commessi.

– Etichette per i campi dei form (11.2 D.M., WCAG 2.0 3.3.2). Icampi dei form devono essere descritti in modo chiaro attraverso leapposite etichette.

– Garantire la prevenzione degli errori (11.4 D.M., WCAG 2.03.3.4). Per i form, soprattutto quelli che prevedono transazionieconomiche o inserimenti di dati sensibili, dobbiamo garantire iprincipi della reversibilità (ogni azione deve essere reversibile), delcontrollo (dobbiamo mettere l’utente in condizione di ricontrollare idati inseriti ed eventualmente di modificarli) e della conferma (unavolta terminato il processo di inserimento, dobbiamo presentareall’utente una pagina con il riepilogo dei dati onde permettergli di darela conferma all’azione che sta eseguendo).

– Presenza di una DTD, Document Type Definition (12.1 D.M.,WCAG 2.0 4.1.1). Per le nostre pagine web utilizzeremo una DTDconforme agli standard internazionali del W3C e ci assicureremo che le

pagine vengano redatte in modo corretto per quanto riguarda illinguaggio di markup.

Oltre a queste indicazioni, si ritiene utile fornirne altre che, sebbene non legatedirettamente ai punti indicati dal D.M., possono migliorare notevolmentel’accessibilità del nostro sito web e quindi fornire un’esperienza più soddisfacente agliutenti:

– Rispetto degli standard W3C. Progettare un sito che sia conformeagli standard W3C è sinonimo di grande cura nella progettazione egarantisce maggiori benefici per gli utenti (che si traducono in unamaggiore accessibilità, in pagine più veloci, in assenza di spreco dicodice superfluo che appesantisce inutilmente la pagina) e anche per iprogrammatori (le pagine conformi sono più facili da mantenere).Inoltre un sito web conforme è più pulito, a livello di codice, e quindimeglio navigabile non solo dagli utenti, ma anche dagli spider deimotori di ricerca.

– Finestra del browser adattabile senza sovrapposizione dielementi. Quando l’utente riduce la dimensione della finestra delbrowser, deve poter continuare a visualizzare gli elementi senza che sisovrappongano l’un l’altro, impedendogli una lettura corretta deicontenuti.

– Utilizzo del sito anche con il codice JavaScript disabilitato.Diversi siti web affidano parte dei contenuti a script realizzati in codiceJavaScript, che se disattivato mutilerà il sito di una sua parte. Èdoveroso fare in modo che, in caso di codice JavaScript disabilitato,non venga impedito all’utente di fruire dei contenuti messi adisposizione tramite script, magari con valide alternative o, quantomeno, facendo in modo che il codice disabilitato non rendainaccessibilicerti contenuti.

– Alternative per applet Java, oggetti Flash e script vari. Vale lostesso ragionamento fatto per gli script in JavaScript: se ci sono appletJava o oggetti Flash che veicolano contenuti importanti, questi ultimidevono essere fruibili anche se l’utente non è dotato di dispositivi chepermettano la visualizzazione di applet Java ed elementi Flash (molti

telefoni cellulari e smartphone, per esempio, non supportano Flash).

– Presenza di accesskey per i link principali. Le accesskey sonocombinazioni da tastiera che permettono di selezionare in modo veloceun link e sono utili per gli utenti che navigano sul web attraversol’utilizzo della tastiera. Implementare le accesskey nel proprio sito websignifica avere cura di questo particolare tipo di utenza ed è sempreun’ottima pratica.

– Presenza di una dichiarazione di accessibilità. È sempre una buonapratica dotare il proprio sito web di una pagina in cui si informal’utente su quali sono state le pratiche adottate in fase diprogrammazione per rendere il sito web accessibile.

– Presenza di versioni accessibili in caso di sito non accessibile. Senon è possibile garantire l’accessibilità del sito web principale, sarà benecreare una versione del sito alternativa che sia pienamente accessibile.

Come: cenni per una maggiore usabilità del sito web museale

L’usabilità è definita dalla norma ISO 9241, emanata dall’International Organizationfor Standardization, come il “grado in cui un prodotto può essere usato da particolariutenti per raggiungere certi obiettivi con efficacia, efficienza e soddisfazione in unospecifico contesto d’uso”. È una norma del 1993, che si applica a tutti i prodottiinformatici in generale, ma è calzante anche per i siti web.Possiamo quindi dire che l’usabilità riguarda il modo in cui i contenuti del nostro sitoweb sono più o meno navigabili con facilità. Pertanto l’usabilità investe la strutturadel sito, il modo in cui è scritto il codice, la veste grafica, la scrittura deicontenuti. Semplificando: maggiore sarà l’usabilità del nostro sito web, più facilesaranno la navigazione e l’utilizzo da parte degli utenti. Possiamo dunque pensareall’usabilità come alla facilità di navigazione e d’uso del sito web.Dalla norma ISO emergono tre parole-chiave fondamentali che rappresentano i treprincipi-cardine dell’usabilità:

– efficacia: uno degli approcci fondamentali dell’usabilità è quellosecondo cui l’utente naviga su internet per cercare dei contenuti. Il sitoweb dovrà quindi essere strutturato in modo tale da permettere

all’utente di portare a termine questo compito senza difficoltà;

– efficienza: gli utenti non solo utilizzano il web per ricercareinformazioni, come si è detto sopra, ma desiderano anche che questeinformazioni possano essere trovate nel minor tempo possibile. Il sitodovrà quindi essere strutturato in modo tale da far risaltare leinformazioni più importanti (per esempio, i contenuti più importantipotranno essere inseriti nel menù principale, che non dovrà maicambiare posizione all’interno del sito) e in modo che il caricamentodelle pagine sia il più veloce possibile;

– soddisfazione: gli utenti vogliono anche che la loro esperienza sul sitoweb sia gradevole. Bisogna pertanto progettare il sito in modo tale darestituire all’utente un’esperienza positiva: tempi di caricamento veloci,gradevolezza estetica, struttura facilmente comprensibile.

Possiamo tuttavia essere più specifici ed enumerare altri principi fondamentalidell’usabilità per avere un panorama semplice, ma piuttosto completo, di quelli chedovrebbero essere i concetti da tenere a mente durante la progettazione di un sitoweb, per una maggiore comprensione dei tre principi-cardine dell’usabilità:

– chiarezza: la struttura alla base di un sito web non deve dare adito afraintendimenti e deve sempre essere coerente con se stessa. In altreparole, se si sceglie una linea grafica, andrà mantenuta per tutto il sito, ela stessa regola vale per l’uso di colori o di elementi che corrispondonoad azioni, titoli, note e quant’altro, che non dovrebbe mai variareall’interno dello stesso sito web;

– completezza: dobbiamo metterci nei panni dell’utente, comprenderequali sono le informazioni che il pubblico cerca sul nostro sito web, efornirle nel modo più completo ed esauriente possibile;

– comprensibilità: il pubblico del museo non è composto da solispecialisti, ma è un pubblico molto eterogeneo che può visitare il museoe il suo sito web per motivi e bisogni diversi, e sarà quindi necessarioutilizzare un linguaggio chiaro e comprensibile nella redazione dei testi.Se ci rivolgiamo a un pubblico vasto, è nettamente sconsigliato l’uso ditermini specialistici, o di convenzioni – per esempio, sistemi di

notazione – che un pubblico di non addetti ai lavori non è tenuto aconoscere;

– eleganza: il museo è un luogo dove viene custodito un sapere, dove sifa ricerca, dove si educa il pubblico non specialista, e dove possonoessere svolte altre attività senza che però si perdano mai di vista gliobiettivi fondamentali per i quali un museo è nato. Di conseguenza, ilmuseo sul web dovrà trasmettere un’immagine adeguata: una vestegrafica elegante e curata può non solo far risaltare le informazioni chel’utente cerca, ma fargli vivere anche un’esperienza esteticamentepiacevole.

Per riuscire a soddisfare meglio questi concetti, il team di sviluppo del sito webmuseale potrebbe trovare utile, nelle fasi preliminari del progetto, farsi alcunedomande:

– A chi dovrebbe rivolgersi il nostro sito web?

– Quali sono gli obiettivi che vogliamo raggiungere attraverso il nostrosito web?

– Quali sono le informazioni principali che vogliamo far risaltare?

– Che cosa un utente si aspetta, secondo noi, dal nostro sito web?

– Quale immagine vogliamo trasmettere del nostro museo?

Dobbiamo tener presente che, mentre progettiamo un sito, stiamo progettando unprodotto che presupporrà una interazione e, attraverso questa interazione, dovràfornire delle risposte ai bisogni dell’utente. Come si è detto, il nostro approcciofondamentale deve essere quello secondo cui l’utente naviga sul web alla ricerca diinformazioni, dunque per soddisfare un proprio bisogno.È quindi importante fare in modo che il prodotto finito tenga conto sia delleaspettative del museo (rapporto costi-benefici, immagine) sia di quelle dell’utente(facilità di navigazione, completezza delle informazioni).Anche la veste grafica dovrà risultare curata: uno dei dibattiti più interessanti, aproposito di usabilità, è quello sul rapporto tra usabilità ed estetica. Non sono pochiinfatti coloro che ritengono che l’estetica debba essere subordinata all’usabilità, e

addirittura qualcuno ritiene che se il sito ha un buon grado di usabilità, l’estetica hascarsa importanza. Tuttavia, diversi studi (tra cui il Web Credibility Projectdell’Università di Stanford) hanno dimostrato che gran parte degli utenti che naviganoin rete sono portati a fidarsi di più delle informazioni che compaiono in un sito daldesign curato e professionale, piuttosto che dei contenuti reperiti in siti web dove lagrafica non è gradevole o non è funzionale allo scopo del sito web.Si è parlato in precedenza di accessibilità: qual è la differenza sostanziale tra usabilitàe accessibilità? L’accessibilità riguarda soprattutto gli strumenti, mentre l’usabilitàriguarda l’esperienza. Semplificando, scopo dell’accessibilità è quello di rimuoverele barriere che possono costituire un ostacolo alla fruizione del sito web da parte diutenti diversamente abili o che dispongono di sistemi di software limitati, mentrescopo dell’usabilità è quello di rendere un sito completo, chiaro, facile danavigare.Ne conseguono quindi alcune considerazioni:

– Poiché l’accessibilità si concentra sugli strumenti, questa riguardaperlopiù la programmazione del sito web e non la grafica o lacompletezza dei contenuti e delle informazioni, mentre l’usabilitàinveste il sito web nella sua interezza.

– Un sito web può essere usabile ma non accessibile, a causa, peresempio, della presenza di codice JavaScript che veicola informazionifondamentali e che un utente che abbia l’esecuzione del codiceJavaScript disabilitata, non potrà mai ottenere. Allo stesso modo, puòessere accessibile ma non usabile, per esempio quando tutte lebarriere sono state rimosse, ma le informazioni possono essere difficilida trovare. È dunque infondato l’assunto secondo cui rendere un sitoaccessibile significa renderlo anche usabile.

– È possibile valutare l’accessibilità con sistemi automatici, mentreinvece l’analisi dell’usabilità è soprattutto euristica, anche se è possibiletracciare delle linee-guida (di cui si parlerà a breve). Questo perché lemotivazioni alla base della scelta di una struttura o di una veste graficapossono variare a seconda dei destinatari del sito web, mentre invece lemisure per rendere un sito accessibile sono pensate per un target bendefinito.

Partendo da quest’ultimo punto, poiché l’analisi dell’usabilità si fonda su dati che è

difficile rendere oggettivi e matematicamente misurabili, non bisognasottovalutare l’importanza delle indagini: sottoporre i potenziali utenti a unquestionario prima che il sito web venga progettato sarà un notevole aiuto in fase diprogettazione. Infatti, un questionario pensato per comprendere cosa i nostri utenti siaspettano dal nostro sito web ci consentirà di ricavare informazioni utili sul nostropubblico, che potranno fornire suggestioni decisive al team di sviluppo.Le indagini si riveleranno inoltre fondamentali anche quando il sito web sarà online,perché potranno evidenziare eventuali aree critiche su cui intervenire per apportaremiglioramenti al sito. Questo perché il modo migliore per valutare quanto il nostrosito soddisfa i principi-cardine dell’usabilità consiste proprio nel condurre dei test conutenti che realmente utilizzano il nostro sito web.Tuttavia l’usabilità è un argomento molto vasto, a cui sono stati dedicati interi libri esu cui esiste una specifica bibliografia di settore. Intento di questa trattazione non èquello di discutere l’argomento in maniera esaustiva (si rimanda quindi allabibliografia a completamento del capitolo): si ritiene comunque utile indicare alcunelinee-guida fondamentali che si possono applicare con successo alla maggior parte deisiti web e, nello specifico, a quelli dei musei.

– Dominio dedicato. Diversi siti web museali sono ospitati sul sitodell’ente o dell’istituzione a cui fanno riferimento (Comune, Provincia,Accademia). Tuttavia sarebbe meglio che un museo avesse un dominiodedicato onde permettere ai visitatori di riconoscere il sito web inmodo più facile, di raggiungerlo in modo più efficace, e di trovarlo conmaggior successo sui motori di ricerca.

– Assenza di splash page. Per “splash page” si intende una paginaintroduttiva, spesso fine a se stessa, il più delle volte costituita da unaimmagine inserita con lo scopo di attirare l’utente, e da un link che lointroduce nel sito “vero”, oppure viene presentata all’utente lapossibilità di scegliere la lingua di cui intende avvalersi durante lanavigazione. La pratica della splash page, particolarmente in voga aiprimordi del web e oggi caduta in disuso sui siti più moderni, è daevitare in quanto pone un ostacolo spesso inutile tra l’utente e il suoobiettivo: perché costringere l’utente a fare un passo più del necessarioper raggiungere le informazioni che cerca?

– URL SEO-friendly. Per URL SEO-friendly si intende l’indirizzo diuna pagina web strutturato in modo tale da renderlo utile e

comprensibile sia da parte dei motori di ricerca, sia da parte degliutenti. Un URL SEO-friendly può essere, per esempio, questo:www.sitodelmuseo.com/informazioni/orari.html . Non è invece SEO-friendly un indirizzo come questo: www.sitodelmuseo.com/page.php?ID=57. Fin dall’indirizzo della pagina web si intuisce pertanto che inquella pagina si troveranno informazioni sugli orari del museo, cosainvece affatto intuibile dal secondo indirizzo. Il team di sviluppo faràpertanto sì che gli indirizzi delle pagine siano strutturati in modo SEO-friendly.

– Presenza di title tag e meta description descrittivi. La title tag e lameta description sono due parametri molto importanti, sia per i motoridi ricerca, perché meglio sono redatte queste informazioni, maggiorisaranno le possibilità di scalare i risultati dei motori di ricerca, sia pergli utenti, perché cercando una pagina sul motore potranno vedere inanteprima di che cosa parla. Inoltre questi campi sono utili anche pereventuali feed RSS, che potranno veicolare informazioni utili per gliutenti attraverso questi due parametri, ma anche per i social (cheutilizzeranno i dati di title tag e meta description per costruirel’anteprima del link).

– Presenza di un motore di ricerca interno. Per facilitare la ricercadi informazioni da parte dell’utente, potrà rivelarsi utile inserire unmotore di ricerca che possa “setacciare” le pagine del nostro sito pertrovare le informazioni che interessano all’utente.

– Presenza di breadcrumb. Per “breadcrumb”, ovvero “briciole dipane”, si intende uno strumento di navigazione che permette all’utentedi individuare la pagina in cui si trova e di vedere anche il percorso cheporta a quella pagina (per esempio: “Home – Informazioni – Orari”).Nell’esempio, le voci che costituiscono i livelli superiori della pagina incui l’utente si trova saranno linkate per permettere all’utente di potercitornare in qualsiasi momento, mentre non sarà linkata l’ultima delle“briciole”, ovvero la pagina in cui l’utente si trova. Le breadcrumbforniscono un importante aiuto alla navigazione in quanto consentonoall’utente di sapere sempre in quale punto del sito si trova. Saràopportuno piazzarne nella parte superiore della pagina, in prossimità deititoli.

– Evitare di disabilitare gli strumenti di navigazione. Non è raroimbattersi in siti che disabilitano certe funzionalità utili per lanavigazione (barre degli strumenti, barre di scorrimento, addiritturautilizzo del mouse o della tastiera), o cambiano l’aspetto del browser(per esempio, abilitano in automatico la funzionalità “full screen”). Pergarantire un buon livello di usabilità, è necessario evitare questepratiche che hanno il solo risultato di disorientare l’utenza e di renderedifficoltosa la navigazione.

– Evitare l’uso di popup per l’apertura di link. L’uso di popup o“finestre modali” è sconsigliabile in quanto disturba l’utente, è associataa pratiche poco simpatiche come l’apertura di pubblicità ingannevoli edistoglie l’attenzione dell’utente dal sito web . Inoltre i popup vengonoaperti il più delle volte tramite codice JavaScript, e si è visto che talepratica non garantisce piena accessibilità al sito se l’utilizzo di codiceJavaScript è l’unico mezzo per veicolare informazioni importanti.

– Gli elementi devono essere ricorrenti. Se abbiamo scelto un coloreper un link, una forma per i bottoni, un font per una intestazione e viadicendo, dobbiamo fare in modo che tali elementi non cambino maiall’interno delle pagine. Viceversa, l’utente sarà disorientato e la suaesperienza non sarà gradevole e lo spingerà ad abbandonare il sito.

– Far sì che i menù di navigazione siano individuabili con facilità.La maggior parte degli utenti si aspetta di trovare il menù nella partealta della pagina, o sulla sinistra dello schermo. Sarà quindi opportunoinserire almeno il menù principale in una di queste due posizioni.

– Fare in modo che i menù non cambino posizione. Lo schema dibase definito per il sito deve rimanere tale in tutte le pagine, pertanto imenù non dovranno cambiare posizione. Il rischio è ancora quello didisorientare l’utente.

– Rendere i link ben distinguibili. La natura ipertestuale del webdovrebbe far sì che i link presenti nelle pagine siano ben evidenti: saràquindi opportuno scegliere un colore diverso e che possibilmente cambial passaggio del mouse, e magari utilizzare una sottolineatura. Saràpossibile inoltre scegliere un colore differente per i link che l’utente ha

già visitato.

– Fare in modo che i marcatori di lista siano puntati o numerati.Gli elenchi dovranno essere puntati o numerati per fare in modo chel’utente riesca a distinguerli velocemente e agevolmente.

– Evitare l’uso di una terminologia specialistica. A meno che ilnostro sito web non sia rivolto agli “addetti ai lavori” (ma, trattandosi diun sito web museale, il nostro pubblico sarà molto eterogeneo),dovremo evitare di utilizzare un linguaggio con termini che un pubbliconon specialista non potrebbe comprendere. Tuttalpiù, doteremo il sitodi un glossario. Ovviamente ciò non toglie che possano essere presentisezioni del sito web dedicate agli specialisti del settore. Alcuni siti webinoltre propongono diversi itinerari di lettura a seconda del tipo diutenza.

– Utilizzare citazioni bibliografiche. Per dare modo all’utente diapprofondire certi contenuti del nostro sito web (un’opera, un reperto,un artista, un personaggio) può essere una buona idea inserireriferimenti bibliografici, però con notazioni che siano facilmentecomprensibili da parte di un pubblico vasto. È bene evitare, quindi,sistemi come APA, MLA o Chicago, che vanno bene per articoliscientifici ma che sono poco indicati per pubblicazioni destinate a unpubblico ampio, come appunto un sito web. Molto meglio prediligereun sistema tradizionale autore-titolo, inserendo per intero nomedell’autore o degli autori, titolo del libro, città di pubblicazione, casaeditrice, anno di pubblicazione. Utile anche evitare il ricorso a formulecome ibidem o op.cit..

– Utilizzare una mappa del sito. L’utilizzo di una mappa del sito puòfornire un aiuto all’utente che potrà così avere un quadro completo delsito.

– Utilizzare pagine di aiuto. Se si pensa che certe azioni possonorecare difficoltà all’utente (per esempio, la compilazione di un form perla richiesta di informazioni), sarà opportuno inserire delle pagine odelle note attraverso le quali aiutare e guidare l’utente.

– Assenza di pagine bilingui, trilingui, eccetera. Molti siti web hannola pessima abitudine di non creare diverse versioni per ognuna dellelingue nelle quali intendono sviluppare il sito, ma creano un’unicaversione con pagine che hanno al loro interno le traduzioni. Questapratica è però totalmente sbagliata per diversi motivi. Intanto, nonpermette di individuare con chiarezza la lingua della pagina (una paginabilingue italiano/inglese è da considerare italiana o inglese?). Insecondo luogo, si pone il problema delle traduzioni delle voci del menù:perché il pubblico non italofono dovrebbe navigare nel sito con le vocidel menù in italiano per trovare le traduzioni in inglese all’interno dellaversione italiana? In terzo luogo, l’utenza è abituata a scegliere la linguae a trovarsi quindi in versioni del sito web completamente tradotte, esenza informazioni in lingue diverse (a meno che non si tratti dicitazioni, ma sarà quindi il caso di indicare la lingua diversa e offrireuna traduzione). Risulta quindi chiaro che inserire pagine con icontenuti tradotti all’interno delle pagine stesse è quanto di più sbagliatosi possa fare.

– Nel caso in cui il sito abbia uno shop online, inserire informazionisu privacy e sicurezza. Se abbiamo deciso di dotare il nostro sito webdi uno shop online in cui si effettuano transazioni economiche, èimportante, anche per una questione di trasparenza, indicare condizionidi vendita, modalità del trattamento dei dati (l’indicazione di questeultime è obbligatoria per legge in Italia), informazioni sul soggettoresponsabile della vendita (indirizzi, iscrizioni al registro delle imprese,sede legale, partita IVA: tutti dati obbligatori per legge in Italia). Iprezzi dovranno essere inoltre indicati in modo chiaro, specificando secomprendono imposte, costi di spedizione ed eventuali altri costiaggiuntivi.

Come: rendere più veloci le pagine del sito attraverso accorgimenti tecnici

Uno degli obiettivi principali di uno sviluppatore web è quello di creare pagine cheabbiano tempi di caricamento che siano i più bassi possibile. La velocità dicaricamento è importante sia per gli utenti, che con pagine veloci otterranno leinformazioni che cercano in tempi più rapidi, sia per i motori di ricerca, in quantoGoogle ha recentemente fatto sapere che la velocità di caricamento delle pagine ha un

notevole impatto sui risultati della ricerca sul motore.Si elencano quindi di seguito alcuni accorgimenti tecnici che contribuiscono adabbattere i tempi di caricamento delle pagine.

– Mantenere basso il peso della pagina. Più è basso il peso dellapagina (che non corrisponde solamente al peso del file HTML:quest’ultimo infatti va sommato a tutti gli elementi presenti nellapagina, come immagini, codici JavaScript, file CSS e quant’altro),maggiore sarà la velocità di caricamento.

– Abbassare il numero di richieste HTTP. Le richieste HTTP sono lerichieste di informazioni che partono dal browser con cui navighiamo earrivano al server che ospita la pagina. Il browser invia una richiesta perogni elemento della pagina, e il server risponderà con uno status ealcune informazioni sull’elemento. Se, per esempio, la pagina chenavighiamo è costituita dal file HTML, e dentro ci sono solo cinqueimmagini, il browser invierà sei richieste al server. Più sono le richiesteinviate al server e, quindi, maggiore è il numero di elementi in unapagina, più lento sarà il tempo di caricamento. È possibile abbassare ilnumero di richieste con alcuni accorgimenti: per esempio, usare losprite per le immagini, riunire i diversi CSS in un unico file, così come icodici JavaScript.

– Eliminare i link che rimandano a pagine non esistenti. I “brokenlink”, ovvero link che rimandano a risorse non esistenti (immagini nonpiù presenti sul sito, file CSS rimossi e quant’altro) hanno il solo effettodi inviare al server richieste inutili che causano rallentamento nelcaricamento della pagina.

– Fare in modo che le immagini siano scalate. Per “immaginescalata” intendiamo un’immagine che abbia le dimensioni con le qualieffettivamente si presenterà all’utente sul browser. Non ha sensocaricare sul server un’immagine di 1200 x 1000 pixel, se poi laridimensioneremo a 120 x 100 pixel nella nostra pagina: si tratta di uninutile spreco di peso che influisce negativamente sui tempi dicaricamento della pagina.

– Specificare le dimensioni delle immagini con gli attributi

“height” e “width”. Specificare le dimensioni delle immagini aiuta ilbrowser a scaricarle più velocemente.

– Ottimizzare le immagini. Le immagini per il web dovranno esserecompresse in modo “lossy”, ovvero “con perdita” di informazionioriginali. Questo tipo di compressione è adeguato per il web in quantoconsente di preservare una buona qualità delle immagini per il web (lacompressione “lossy” non è invece indicata per la stampa, in quanto laperdita di qualità sarebbe nettamente percepibile, cosa che non avvienesullo schermo, a meno di fortissime compressioni). Questa operazioneconsente di risparmiare moltissima memoria e di conseguenza consentedi abbattere notevolmente i tempi di caricamento delle pagine.Ottimizzare le immagini significa anche scegliere il formatoappropriato: elementi grafici che non hanno molti colori dovrebberoessere salvati in GIF, mentre grafiche più dettagliate saranno rese con ilformato JPG.

– Fare il minifying di CSS, JavaScript e HTML. Per “Minifying” siintende la compressione dei file CSS, JS e HTML. Esistono degliappositi strumenti in rete che comprimono questi file e consentono direnderli più leggeri.

– Fare il deferring del codice JavaScript. Finché il codice JavaScriptnon viene processato, il browser non invia richieste, e questo causa unrallentamento dei tempi di caricamento della pagina: tuttavia, a volte ilcodice è inutile finché non viene attivata una certa funzionalità delnostro sito. Esistono tecniche che possono però fare in modo che ilcodice JavaScript venga processato solo quando necessario e non vadaquindi a “intralciare” il lavoro del browser.

– Inserire i riferimenti al codice CSS nella head della pagina. Perottenere migliori performance, le informazioni relative ai file CSS (cheregolano la grafica del sito) devono essere inserite nella head dellanostra pagina HTML: il rendering della pagina infatti non sarà completofinché non verranno scaricate tutte le informazioni sullo stile, e forniresubito queste informazioni al browser accelera i tempi di caricamento.

– Evitare l’import CSS. L’import CSS consente a un file CSS di

includere un ulteriore file CSS. Questa pratica però rallenta ilcaricamento della pagina ed è meglio evitarla.

– Ottimizzare l’ordine di caricamento degli script. Se la correttaesecuzione di codice JavaScript dipende dai file CSS, sarà opportunocaricare i file JS dopo i file CSS.

– Fare in modo che le risorse siano uniche. Se in dieci pagine diversedobbiamo mostrare dieci immagini identiche, dovremo fare in modoche tutte puntino alla stessa risorsa (è inutile quindi caricare sul serverdieci file diversi per un’unica immagine: si tratta solo di uno spreco dirisorse e crea inutili rallentamenti).

– Abilitare la connessione keep-alive. Abilitare la connessione keep-alive significa fare in modo che la connessione tra browser e serverrimanga aperta anche dopo che il browser ha scaricato una risorsa(l’opzione contraria è “close”, connessione che si chiude dopo che larichiesta viene eseguita). Tenere la connessione aperta significarisparmiare notevoli risorse in fase di caricamento della pagina. Ondeevitare rischi dovuti al fatto che la connessione rimanga sempre aperta(per esempio, le connessioni keep-alive causano un aumento di lavorodel server), sul server sarà possibile impostare dei tempi di timeout.

– Utilizzare la cache del browser in modo efficace. La cache delbrowser memorizza sul computer dell’utente gli elementi di una paginaweb, in modo che quando l’utente la visita una seconda volta, ilcaricamento sia più veloce in quanto le risorse sono già nella memoriadella cache. Attraverso il file .htaccess del proprio sito web, è possibiledire al browser quali tipi di file memorizzare nella cache e per quantotempo.

Un sistema di valutazione per siti web museali

A conclusione dell’analisi, si presenta un sistema di valutazione per i siti webmuseali. È stato pensato in modo tale da renderlo il più oggettivo possibile eapplicabile anche attraverso auto-valutazione.È suddiviso in undici sezioni (Lingue, Informazioni, Museo, Patrimonio, Eventi,

Interazione, Educazione, Servizi, Accessibilità, Usabilità, Valutazione tecnica) checercano di analizzare tutti gli aspetti fondamentali del sito web di un museo.A loro volta, le undici sezioni sono costituite da diversi parametri (111 in totale) a cuiè stato attribuito un diverso punteggio, a seconda dell’importanza che il parametroriveste per il sito web.Esistono anche parametri che hanno come punteggio massimo 0, ma che possonoavere anche punteggi negativi: questa scelta è stata operata soprattutto per quelle chevengono considerate pratiche fondamentali, senza seguire le quali il sito web si ritienemolto penalizzato.I punteggi massimi di tutti i parametri, sommati, conferiscono al museo un punteggiototale massimo di 200 punti.Il sistema è stato utilizzato per la prima volta sui siti web dei 10 musei più visitati delmondo e sui siti dei 10 musei più visitati d’Italia nel 2012 (secondo il rapporto di “IlGiornale dell’Arte” e “The Art Newspaper”). I risultati sono presentati in questatabella. Dalla classifica dei musei italiani più visitati sono stati esclusi la Galleriadell’Accademia di Firenze e il Museo degli Argenti-Giardini di Boboli in quanto imusei del Polo Museale Fiorentino condividono tutti lo stesso sito web, con leggeredifferenze a seconda del museo. Per quanto riguarda la valutazione tecnica, i test sonostati condotti sulle home page dei siti e su alcune delle pagine più significative (storiadel museo, collezioni, informazioni, ecc.).

Museo Città Data analisi PuntiMusée du Louvre Parigi 02/01/14 121Metropolitan Museum of Art New York 02/01/14 143British Museum Londra 03/01/14 152Tate Modern Londra 03/01/14 143National Gallery of Art Londra 05/01/14 144Natural History Museum Londra 13/01/14 145Musei Vaticani Città del Vaticano 13/01/14 86National Palace Museum Taipei 18/01/14 99National Gallery of Art Washington 13/01/14 109Centre Pompidou Parigi 19/01/14 77Galleria degli Uffizi Firenze 02/01/14 81Palazzo Ducale Venezia 03/01/14 104Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo Roma 04/01/14 65

Museo Centrale del Risorgimento Roma 05/01/14 35Reggia di Venaria Reale Torino 04/01/14 111Museo Nazionale del Cinema Torino 18/01/14 103Museo di Palazzo Vecchio Firenze 13/01/14 54Reggia di Caserta Caserta 19/01/14 62Musei del Castello Sforzesco Milano 20/01/14 73Museo delle Antichità Egizie Torino 29/01/14 84

Si presentano di seguito i singoli parametri del sistema di valutazione. In caso ditempi di caricamento eccessivi di una pagina o di una funzione, si è riprovato per i 2giorni successivi. In caso di persistenza dei problemi (e nel caso in cui manchinoavvisi di malfunzionamento), si assegna punteggio -3. Si assegna punteggio -3 anchequalora una funzione del sito rimandi a errori 404 o malware (esempio: il link per gliorari di apertura rimanda a una pagina non esistente o su cui sono presenti virus).La valutazione tecnica va condotta sulla home page (o su una pagina interna se èpresente una splash page).La valutazione di accessibilità e usabilità è da effettuare almeno su una pagina pertutte le sezioni principali, se presenti (storia del museo, descrizione di una sala,descrizione di un oggetto, form di ricerca o di contatto).

1. Lingue (punteggio massimo: 10 punti)

N Criterio Punteggi

1 Numero di lingue presenti sul sito

1 lingua: 1 punto2-3 lingue: 3 punti4-5 lingue: 5 puntiPiù di 5 lingue: 6 punti

2 Completezza lingue Informazioni complete in una sola lingua: 1Informazioni complete in tutte le lingue: 4

2. Informazioni (punteggio massimo: 21 punti)

N. Criterio Punteggi

1 Orari di apertura Non presenti: 0; Presenti: 1.

2 Informazioni su costi deibiglietti Non presenti: 0; Presenti: 1.

3 Informazioni sulle riduzionidelle tariffe Non presenti: 0; Presenti: 1.

4Informazioni su convenzionicon enti/associazioni/ristorantiecc.

Non presenti: 0; Presenti: 1.

5Possibilità diacquistare/prenotare bigliettion line o per telefono

Non presenti: 0; Presenti: 2.

6 Recapiti telefonici perinformazioni Non presenti: 0; Presenti: 1.

7 Possibilità di contatto via webNon possibile: 0;Via mail: 1;Con form dedicato: 2.

8 Informazioni su comeraggiungere il museo

Non presenti: 0;Indicazioni generiche sulla posizione: 1;Informazioni sulla raggiungibilità con vari mezzidi trasporto: 2.

9Presenza Google Maps osistema di mappe conposizione museo

Non presente: 0;Presente: 1;Presente + calcolo percorso: 2.

10 Presenza di FAQ Non presenti: 0; Presenti: 2.

11 Informazioni dedicate aidiversamente abili

Non presenti: 0;Solo segnalazione facilitazioni: 1;Informazioni dettagliate (modalità di visita,servizi appositi, parcheggi riservati ecc.): 2.

12 Informazioni su audioguide Non presenti: 0; Presenti: 1.13 Informazioni su visite guidate Non presenti: 0; Presenti: 2.

14Informazioni sudivieti/regolamenti Non presenti: 0; Presenti: 1.

3. Museo (punteggio massimo: 38 punti)

N. Criterio Punteggi

1 Storia del museo

Non presente: 0;Una pagina informativa: 2;Storia ricca con sottosezioni: 4. +1 pt. se conimmagini.

2 Informazioni sulla sede delmuseo

Non presenti: 0;Presenti assieme a info storiche: 1;Una pagina informativa: 2;Informazioni ricche con storia del palazzo esottosezioni: 4. +1 pt. se con immagini.

3 Descrizione delle sale

Non presenti: 0;Una pagina informativa o highlight o descrizionidi un numero parziale di sale: 2;Ricche descrizioni delle singole sale: 5. +1 pt. secon immagini.

4 Informazioni su attivitàscientifiche e ricerca Non presenti: 0; Presenti: 3.

5 Informazioni sullo staff delmuseo Non presenti: 0; Presenti: 2.

6 Planimetria

Non presente: 0;Presente immagine: 1;Planimetria navigabile (senza link alle paginedelle sale): 2;Planimetria navigabile (con link alle sale): 3.

7 Pagine dedicate ai mecenati ealle iniziative di supporto Non presenti: 0; Presenti: 2.

8 Sezione multimedia Non presente: 0.+2 punti per video; +2 punti per audio podcast.

9 Visita virtuale a 360°

Non presente: 0;Selezione limitata di sale: 2;Visita virtuale a tutto il museo o alla maggiorparte delle sale: 4.

10 Sezione “Lavora con noi”Non presente: 0;Presente: 3. +1 punto se con possibilità dicandidatura diretta.

4. Patrimonio (punteggio massimo: 22 punti)

N. Criterio Punteggi

1 Descrizioniopere/reperti/oggetti

Non presenti: 0;Una pagina informativa o highlight: 2;Database distaccato: 5;Descrizioni della maggior parte di oggetti : 7. +1 se conimmagini; +1 se con informazioni per specialisti (passaggi,bibliografie, presenza in archivi ecc.).

2Motore di ricercainterno sale eopere/oggetti/reperti

Non presente: 0;Risultati nel motore di ricerca generico: 1; Motore dedicato:2. +1 se con specifiche avanzate.

3 Percorsi tematici Non presenti: 0; Presenti: 4.

4Notizie biografichesu artisti/personaggidel museo

Non presenti: 0; Presenti: 3.

5 Glossario deitermini tecnici Non presente: 0; Presente: 3.

5. Eventi (punteggio massimo: 17 punti)

N. Criterio Punteggio

1 Informazioni su mostre in corso

Non presenti: 0;Una pagina con singole news:2;Sottosezioni dedicate allemostre: 5.

2 Informazioni su mostre passate

Non presenti: 0;Una pagina con singole news:2;Sottosezioni dedicate allemostre: 5.

3 Informazioni su conferenze, convegni, concerti,proiezioni ecc.

Non presenti: 0;Una pagina con singole news:1;

Sottosezione dedicata aglieventi: 3.

4 Magazine dedicato agli eventiNon presente: 0;Presente e acquistabile: 1;Consultabile online: 2.

5 Calendario dedicato agli eventi Non presente: 0; Presente: 2.

6. Interazione (punteggio massimo: 20 punti)

N. Criterio Punteggio

1 Blog dedicato alleiniziative del museo Non presente: 0; Presente: 3.

2 Aggiornamento del blog

Non presente: 0;Meno di una volta al mese: 1;Mensile: 2;Settimanale: 3;Quotidiano: 4.

3 Possibilità dicommentare

Non presente: 0;Solo il blog o solo sottosezioni: 1;Blog e sottosezioni: 2. +1 se possibile commentare anchele opere. +1 se possibile commentare anche con ilproprio profilo social.

4 Blog integrato nel sitoNon presente: 0;Non integrato (sottodominio o grafica differente): 1;Integrato: 2.

5 Forum di discussione Non presente: 0; Presente: 1.

6Possibilità dicondividere i contenutisui social network

Non presente: 0;Solo i contenuti del blog: 1;La maggior parte delle pagine del sito: 1.

7 Area personale Non presente: 0; Presente: 1.

8 Link ai profili social delmuseo

Non presenti: 0;Presenti in una sola pagina del sito: 1;Presenti in tutte le pagine (header, footer... ): 2.

7. Educazione (punteggio massimo: 12 punti)

N. Criterio Punteggio

1 Informazioni su attivitàeducative Non presenti: 0; Presenti: 3.

2 Informazioni su attività perbambini Non presenti: 0; Presenti: 2.

3 Articoli su attività svolte(anche nel blog)

Non presenti: 0; Presenti: 3. +1 se con immagini.+1 se con video.

4 Giochi o applicazionieducative Non presenti: 0; Presenti: 2.

8. Servizi (punteggio massimo: 10 punti)

N. Criterio Punteggio

1 Informazioni su bar eristoranti

Non presenti: 0;Informazioni generiche: 1;Informazioni con fotografie e menù: 2.

2 Shop online Non presenti: 0; Presenti: 1. +1 se con vendita digadget del museo.

3 Informazioni suorganizzazione eventi Non presenti: 0; Presenti: 1.

4 Informazioni sul bookshop Non presenti: 0; Presenti: 1.

5 Informazioni su archivi ebiblioteche Non presenti: 0; Presenti: 3.

6 Informazioni sull’ufficiostampa Non presenti: 0; Presenti: 1.

9. Realizzazione tecnica: valutazione accessibilità (punteggio massimo: 14punti)

N. Criterio Punteggio1 Rispetto standard W3C Sito non conforme: 0; Sito conforme: 2.

2 Layout tableless o basato su frameSito senza layout tableless o con strutturabasata su frame: -2; Approccio misto: -1;Layout tableless: 0.

3 Presenza di una DTD Non presente: -2; Presente: 0.

4 Separazione grafica/contenuti confogli di stile CSS

Assenza di CSS esterni: -1; Presenza di CSSesterni: 0.

5 Alternative testuali per immagini Non presenti o vuote o non significative: 0;Presenti: 1.

6 Alternative testuali per elementimultimediali (anche sottotitoli)

Non presenti o vuote o non significative: 0;Presenti: 1.

7 Elementi lampeggianti o inmovimento Non presenti: 0; Presenti: -2.

8 Adeguato contrasto cromatico trasfondo e contenuti Non adeguato: -2; Adeguato: 0.

9 Finestra del browser adattabilesenza sovrapposizione di elementi

Con sovrapposizione: -2; Senzasovrapposizione: 0.

10Garanzia di utilizzo dei contenutiprincipali anche con Javascriptdisabilitato

Non garantito: -3; Garantito: 0.

11 Alternative per applet Java, scriptJavaScript, elementi Flash o altro Non presenti: 0; Presenti o non necessario: 1.

12 Destinazione dei link chiara Non presente: 0; Presente: 1.13 Accesskey per i link principali Non presenti: 0; Presenti: 1.14 Dichiarazione di accessibilità Non presente: 0; Presente: 1.

15 Funzionalità disponibili anche inmancanza di fogli di stile Non presenti: -2; Presenti: 0.

16 Form con etichette Non presenti: 0; Presenti o non necessarie: 1.

17Presenza di versioni accessibili incaso di mancanza requisiti diaccessibilità

Non presenti: -2; Presenti o non necessarie osito già accessibile: 0.

18 Identificazione della lingua dellepagine Non presente: 0; Presente: 1.

19 Marcatori di lista per elenchi Non presenti: 0; Presenti: 2.

20 Definizione della correttasequenza di lettura Non presente: -2; Presente o non necessaria: 0.

21 Testo ridimensionabile Non presente: -1; Presente: 0.

22 Suono e riproduzione controllabiliin elementi multimediali

Non presenti: -2; Presenti o non necessari: 0.

23 Informazioni non basate solo sulcolore Non presenti: -1; Presenti: 0.

24 Testo sotto forma di immagine Presente: 0; Non presente: 1.

25 Estensioni in caso di azioni conlimiti di tempo Non presenti: -2; Presenti o non necessari: 0.

26 Salto di blocchi laddove necessario Non presenti: -1; Presenti o non necessari: 0.27 Ordine del focus preservato Non preservato: -1; Preservato: 0.28 Focus di un’azione evidenziato Non evidenziato: -1; Evidenziato: 0.29 Errori evidenziati e suggerimenti Non presenti: -3; Presenti o non necessari: 0.

30 Pagine di conferma e controllo incaso di inserimento dati Non presenti: -1; Presenti o non necessari: 0.

9. Realizzazione tecnica: valutazione usabilità (punteggio massimo: 16 punti)

N. Criterio Punteggio1 Dominio dedicato No: 0; Sì: 1.2 Motore di ricerca interno Non presente: 0; Presente: 2.3 Splash page Non presente: 0; Presente: -1.

4 Title tag e meta descriptionsignificativi

Non presenti: 0;Solo title tag o solo meta description: 1;Presenti: 2.

5 URL SEO Friendly Non presenti: 0; Presenti: 1.

6 Popup o form JavaScript perapertura contenuti

Non presenti (o presenti, ma con adeguatealternative): 0; Presenti: -2.

7 Uso di terminologia specialistica Non presente (o diversi percorsi in base aitipi di pubblico): 1; Presente: 0.

8 Citazioni bibliografiche o lettureconsigliate Non presenti: 0; Presenti: 2.

9 Menù di navigazione che noncambiano posizione

Cambio posizione: -2; Stessa posizione intutto il sito: 0.

10 Menù individuabile con chiarezza efacilità Non intuitivo: -2; Intuitivo: 0.

11 Link ben evidenziati Non presenti: 0; Presenti: 1.12 Marcatori di lista puntati o numerati Non presenti: 0; Presenti: 1.

13 Disabilitazione strumentinavigazione Non presente: 0; Presente: -2.

14 Se presente shop online, sicurezzatransazioni e rispetto privacy

Non presente: -3; Presente o non necessario:0.

15 Mappa del sito Non presente: 0; Presente: 2.16 Pagine di aiuto per la navigazione Non presenti: 0; Presenti: 1.17 Elementi grafici ricorrenti Non presenti: 0; Presenti: 1.18 Breadcrumb Non presenti: 0; Presenti: 1.19 Pagine bilingui Non presenti: 0; Presenti: -2.

9. Valutazione tecnica (punteggio massimo: 20 punti)

N. Criterio Punteggio

1 Peso della pagina

Meno di 300 kb: 5Tra 301 e 500 kb: 4Tra 501 kb e 1,00 Mb: 3Tra 1,01 Mb e 1,50 Mb: 1Oltre 1,50 Mb: 0

2 Tempi di caricamento

Sotto 1 secondo: 5Tra 1,01 e 1,5 sec: 4Tra 1,51 e 2,5 sec: 3Tra 2,51 e 3,5 sec: 1Oltre 3,51 sec: 0

3 Richieste HTTP

Meno di 70: 3Tra 70 e 110: 2Tra 111 e 150: 1Oltre 150: 0

4 Presenza di immagini scalate No: 0; In parte: 1; Tutte: 2.5 Immagini con dimensioni specificate No: 0; In parte: 1; Tutte: 2.6 Keep-Alive abilitato No: 0; Sì: 17 CSS nella head del documento No: -1: Sì: 0

8 JavaScript deferringDa 0 a 100 kb: 2Da 101 a 200 kb: 1

Oltre 200 kb: 0.

Bibliografia

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Gray Browman, Silvia Filippini Fantoni e Robert Stein, Exploring the Relationshipbetween visitor motivation and engagement in online museum audiences in NancyProctor e Rich Cherry (a cura di), Museums and the Web 2012: Proceedings, Museumsand the Web, San Diego, 2012.

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Giorgio Brajnik, Elio Toppano, Creare siti web multimediali, Paravia, Milano, 2007.

3. Tecniche di comunicazione per la cultura online: storytelling econtent management

Alessandro D’Amore

Che cos’è lo storytelling

Il termine storytelling è composto dalle parole story (storia) e telling (raccontare),indicando una tendenza che ultimamente va molto di moda in tantissimi ambitiprofessionali: “raccontare storie”.Colui che racconta una storia – potremmo dire in maniera professionale – seguendo idettami dello storytelling è chiamato storyteller.Nella lingua italiana abbiamo un altro nome, che ci portiamo dietro dal passato, menoprofessionale ma decisamente più evocativo: cantastorie. Con le dovute differenze edistinzioni, non c’è niente di più simile ad uno storyteller moderno: deve svilupparedelle capacità personali, seguire uno schema narrativo, utilizzare degli strumentinarrativi, catturare l’attenzione del pubblico e veicolare un messaggio che – spesso – èconoscenza.È una bellissima operazione di ritorno al passato, di riappropriazione di competenzeche avevamo e che abbiamo sempre avuto, che non abbiamo mai perso e chedobbiamo solo consapevolmente recuperare. Un ritorno ai poemi omerici in cui lanotizia di una guerra, lunghissima e atroce, è arrivata fino a noi attraverso il raccontoe l’incrocio di tante storie. L’Iliade, infatti, non è la cronaca di una guerra, ma ilracconto di tante storie.Tutti noi abbiamo già sperimentato lo storytelling e gli effetti di questo processo sunoi stessi fin dai nostri primi anni di vita. L’inizio di una fiaba, di un raccontofantastico, di una storia – appunto – raccontataci durante l’infanzia era una magicaazione di storytelling.Lo storytelling è stato portato sotto i riflettori dal mondo del marketing, dellacomunicazione aziendale e della pubblicità. Le grandi aziende si sono rese conto cheil brand, il marchio, il “nome” non bastavano più. Le persone – e non più iconsumatori – volevano delle storie. Esempi, in questo senso, sono lo spot natalizio diApple e le due campagne pubblicitarie di P&G per Londra 2012 e Sochi 2014.In Italia ci siamo addirittura inventati un format televisivo per mettere in evidenza lanostra bravura nello scrivere e nel raccontare. Tuttavia, chi da tempo ha fatto dellostorytelling il suo punto di forza sono senza dubbio i documentari del NationalGeographic. Per parlarci di una specie, di una razza o di un ecosistema si sceglie unesemplare (o una coppia), lo si “umanizza” e si racconta la sua vita dall’inizio alla

fine, prendendo spunto per raccontarci l’alimentazione, i rapporti sociali oppure comequesti animali affrontano la morte. Non si tratta di storytelling? Certo che sì e anchedella miglior specie.

La definizione più completa ed esaustiva per racchiudere in ultima analisi lostorytelling, è quella di Gianluca Fiscato: raccontare «una storia capace di suscitareemozioni, spiegare i perché, illustrare i come e invogliare l’ascoltatore a cercareil cosa»1.Nei Paesi anglosassoni e oltreoceano – non solo perché la pratica dello storytelling e leriflessioni su questa specializzazione, anche in ambito culturale, sono cominciatemolto tempo fa – si preferisce fare un’ulteriore specifica e non parlare solo distorytelling bensì di digital storytelling, cioè raccontare una storia con tutte lecaratteristiche di cui abbiamo detto ma su un medium digitale.A questo proposito, riportiamo la versione della American Digital StorytellingAssociation che definisce il digital storytelling come «the modern expression of theancient art of storytelling (in which) stories derive their power by weaving images, music,narrative, and voice together, giving deep dimension and vivid colour to characters,situations, experiences and insights»2.Bastano queste poche riflessioni per capire quanto uno strumento come il digitalstorytelling possa essere potente e utile nel settore culturale italiano, inteso nel sensopiù ampio possibile.Ma perché mai un museo o un’istituzione culturale dovrebbe darsi allo storytelling?

Perché lo storytelling

In un articolo del 2008, lo studioso americano Gary Carson ricorda come lostorytelling sia la condizione principale e fondamentale per rendere un museorilevante per le persone, come lo storytelling sia la condicio sine qua non dellasopravvivenza stessa di un museo e – non da ultimo – come lo storytelling sia «ilpotente mezzo attraverso il quale passa il moderno apprendimento»3.Questo meccanismo, dunque, si configura come lo strumento migliore per diffonderee agevolare un nuovo modo di apprendere e di creare coinvolgimento a lungo terminenel pubblico.Nell’ultimo decennio si è ulteriormente sviluppato un filone di studi piuttostointeressante che analizza e approfondisce lo storytelling come strumento diapprendimento dal punto di vista pedagogico e socio-pedagogico. Come affermaWeick, «le storie sono una parte fondamentale della nostra vita, sono utilizzate tutti i

giorni come significato nell’espressione di noi stessi e per trovare un modo per daresenso alla vita»4.È proprio a questo che si riferisce Carson nel suo articolo precedentemente citato: seun museo vuole significare qualcosa per le persone, se vuole essere rilevante per il suopubblico, deve raccontare storie. Storie che non siano avulse dalla realtà circostante odall’epoca presente, storie che parlino di persone comuni, storie attraverso cui gliascoltatori possano identificarsi e partecipare alla creazione di significato, per sestessi e per la comunità.I collegamenti tra l’apprendimento e lo storytelling sono evidenziati in un articolo diJosephs5 in cui argomenta chiaramente come il raccontare storie crei molteplicisignificati e sia il modo migliore per collegare le esperienze personali le une allealtre attraverso il “baratro dell’ignoto”. In particolare, lo storytelling ci permette diandare oltre la semplice esperienza e di fare un salto di significato, che ci fa vedereoltre, ci fa capire e apprendere. In definitiva, per Josephs, lo storytelling è un processoattivo che collega le singole esperienze attraverso la riflessione per farci giungere adun significato non evidente che chiamiamo conoscenza.Il potere e le potenzialità che vivono nello storytelling sono state brillantementefermate in una frase di altri due studiosi americani, McDrury e Alterio: «quandoraccontiamo delle storie e le analizziamo, utilizzando dialoghi riflessivi, creiamo lacondizione e la possibilità di generare dei cambiamenti, in noi stessi e neglialtri»6.Una possibilità da poter sfruttare non di poco conto per un museo.Inoltre gli studiosi propongono anche un modello di apprendimento basato sullostorytelling e sulle tecniche di costruzione e decostruzione delle storie alla ricerca disignificato delle esperienze che vi invito a consultare.

Come abbiamo visto brevemente, lo storytelling è uno strumento potentissimo cheattende solo di essere esplorato, studiato e sperimentato con cognizione di causa daimusei e dalle istituzioni culturali del nostro Paese.Ad un’attenta analisi, non manca nulla alle nostre istituzioni: hanno le storie (lecollezioni di ogni singolo museo), hanno il microfono (tutti gli strumenti web, daisocial media ai blog), hanno un pubblico alla ricerca di storie (i milioni di utilizzatoridella rete).Quindi, se non manca nulla, perché finora non ci siamo alzati dalle nostre sedie eabbiamo cominciato a raccontare storie? Forse perché finora nessuno ci aveva dettoche potevamo farlo, o come potevamo farlo, o perché farlo.I nuovi strumenti che la modernità mette a disposizione ci forniscono un ulterioreincentivo per intraprendere questa strada e per allargare i nostri orizzonti e i nostri

obiettivi.Se un museo vuole ripensare il suo ruolo all’interno del territorio e delle comunità incui agisce, deve necessariamente ripensare se stesso ed essere pronto a far crollarevirtualmente i propri muri e le proprie teche per far “parlare” le proprie collezioniattraverso i racconti dei dipendenti e dei visitatori.

Come si fa lo storytelling

Sembrerà banale ribadirlo, ma ovviamente non c’è un solo modo di fare storytelling; sene potrebbero individuare molteplici varianti.Per fortuna, lo storytelling è uno strumento malleabile e – se conosciutoopportunamente – può essere adattato, modificato, riprodotto ed esportato inqualsiasi contesto. In sostanza, esistono infiniti modi di raccontare storie tanti quantisono gli infiniti contesti che si possono raccontare.Quando mi riferisco agli infiniti contesti, non sto esagerando ma sto facendosemplicemente riferimento alla realtà: tutto può essere raccontato utilizzando glistrumenti dello storytelling.Un caso di studio (esemplare ed estremo allo stesso tempo) del 2008 lo dimostra: sipuò raccontare anche il nulla. L’agenzia spagnola Shackleton Group ha deciso diorganizzare un esperimento per testare l’efficacia di una campagna pubblicitariaaltamente targettizzata di un prodotto mai promosso prima da lanciare solo sui canalisatellitari tematici specifici. È stata scelta la promozione turistica di un paesinodell’Aragona, Miravete de la Sierra, con 12 abitanti tutti ultra settantenni, girando unospot televisivo, creando un sito web ad hoc, una ricostruzione virtuale del paese e delmerchandising. Il punto focale della campagna era rivolto al fatto che in quel paesenon succedesse nulla, infatti la frase finale dello spot era: “qui non succede mai nulla.E a te, da quanto tempo è che non ti succede nulla? Visita Miravete de la Sierra”. Allafine dell’esperimento, il sito aveva ricevuto 517 mila visite, l’awareness del paesinoera cresciuta del 489% e – cosa non trascurabile – i due bed & breakfast del paesehanno registrato il tutto esaurito per 4 mesi di fila7.Siccome non vogliamo riferirci allo storytelling tout court, ma solo fare un riferimentospecifico al panorama museale, possiamo individuare tre principali modalità diracconto:

– lo storytelling diretto, in cui il museo si racconta in prima persona, èla voce narrante della storia;

– lo storytelling indiretto, in cui il museo si fa raccontare dai suoivisitatori, ci sono quindi tante voci narranti;

– lo storytelling partecipativo, in cui il museo svolge la funzione diprimus inter pares, è solo una delle tante voci narranti.

Si può essere tentati di pensare che, nella maggior parte dei casi, sarebbe preferibilelo storytelling partecipativo, soprattutto continuando a leggere l’articolo di Carson: «lepersone sono stanche di ascoltare i monologhi dei cosiddetti esperti, vogliono entrarea far parte di una comunità ed entrare in contatto con i loro pari per condividereesperienze, conoscenze e capacità»8.In realtà, non è esattamente così: non c’è una modalità che funziona e una che nonfunziona, una giusta e una sbagliata. Esistono casi di successo per ognuna di questecategorie.Il discrimine sta sempre nel modo in cui si racconta e nella metodologia che siutilizza.

Follow the leaders, loro ti diranno come fare

Fortunatamente, molte altre persone prima di noi hanno studiato, sperimentato,praticato e parlato di storytelling. Quindi non dobbiamo far altro che studiare:cercare sempre nuovo materiale, nuovi casi di studi, inserire su Google le parolechiave che ci interessano: tutto è lecito. L’importante è non smettere mai di averefame di conoscenza.

E non si fa riferimento solo alle pubblicazioni scientifiche, agli articoli oppure agli

atti dei convegni sparsi per il territorio nazionale e mondiale, ma ci si rivolge anche aiblog, ai forum, alle pagine Facebook, a qualsiasi cosa. Perché di solito gli storyteller –quelli bravi e con idee geniali – adorano avere un blog da curare, in cui scrivere leloro riflessioni, i loro pensieri o semplicemente avere un posto dove parlare dei propriprogetti. Quei blog vanno considerati come vere e proprie oasi nel deserto.È buona norma iscriversi a tutti i blog che sembrano meritevoli di attenzione, seguirele pagine Facebook interessanti, richiedere l’iscrizione a dei gruppi che sembranotrattare argomenti che rientrano nei vostri interessi, ricercare almeno una volta asettimana l’hashtag #storytelling su Twitter, dedicare almeno un’ora al giorno nellaricerca di nuovo materiale.È così che sono riuscito a redigere una lista delle caratteristiche principali efondamentali che una storia deve avere per essere rilevante per i nostri pubblici. Unagrande mano me l’ha data anche Emma Coats, probabilmente pochi di voi laconosceranno perché è una regista freelance. Perché un/a professionista musealedovrebbe interessarsi ad una regista freelance? Perché ha lavorato con la Pixar, e chimeglio delle persone che lavorano lì sanno come si racconta una storia?Così la regista ha twittato, tempo fa, i suoi personali 22 suggerimenti per raccontareuna storia. Ne citerò solo i più significativi e quelli che più si adattano al nostrocontesto:

«#1: You admire a character for trying more than for their successes;#4: Once upon a time there was ___. Every day, ___. One day ___.Because of that, ___. Because of that, ___. Until finally ___#8: Finish your story, let go even if it’s not perfect. In an ideal worldyou have both, but move on. Do better next time;#13: Give your characters opinions. Passive/malleable might seemlikable to you as you write, but it’s poison to the audience;#17: No work is ever wasted. If it’s not working, let go and move on –it’ll come back around to be useful later».

Altre fonti nella mia esperienza sono stati Ed Rodley, Associate Director ofIntegrated Media al Peabody Essex Museum in Salem, e un sito internet americano“The Moth, True Stories Told Alive”.Il professor Rodley ha partecipato all’American Alliance Museums di quest’anno chesi è tenuto a Seattle e – insieme ad altre eminenti personalità, tra le quali Nina Simondel Santa Cruz Museum of Arts & History – ha organizzato un panel dedicato allostorytelling: “Telling stories about storytelling”. Siccome lo spirito di condivisione diidee, pratiche e informazioni contraddistingue gli storytellers, Rodley ci regala questo

Story Tip Sheet. È preziosissimo e ci ricorda che fortunatamente «there’s anunderlying structure that propels a story and holds people’s attention. Something bigis at stake; you’ve set out on a quest. There’s a conflict: you face trials, torments, a test.There’s a twist, a surprising turn of events. The story builds up to a climax: the “momentof change”. Then, resolution».Ma il professionista che ha reso la vita di ogni storyteller decisamente più facile è statoJasper Visser.Nel suo blog “The Museum of the Future”, ha provato a delineare le caratteristiche chedeve avere una storia per attirare l’attenzione del pubblico e soprattutto per far sì cheil pubblico interagisca con la voce narrante, ovvero l’istituzione stessa.Innanzitutto la fiducia e la coerenza. Gli ascoltatori hanno fiducia nel narratore?Esiste coerenza tra ciò che sei e ciò che racconti? Sembra un dettaglio, ma in realtà èla solida base di partenza per qualsiasi operazione di storytelling.La storia deve:

– essere unica e deve avere dei contenuti inaspettati. Pensate aquanti miti o luoghi comuni si potrebbero sfatare se i museicominciassero a raccontare tutte le storie “inaspettate” che ci sono alloro interno;

– svilupparsi cercando di muovere emozioni. Le più grandinarrazioni – pensate, per esempio, ai gialli di Conan Doyle – si basanosulle emozioni: fondamentale utilizzare nella narrazione conflitti,soluzioni, tensioni, misteri e rivelazioni;

– parlare del pubblico, deve generare relazione, in modo che gliascoltatori possano identificarsi con i nostri personaggi. Per usare leparole di Visser, «bisogna trattare i propri ascoltatori come degli eroi,ogni volta che dici loro qualcosa»;

– creare connessioni fisiche nella vita reale, non deve essere fine a sestessa, deve essere capace di trasformare un lettore interessato in unpartecipante entusiasta.

Esserci non vuol dire raccontarsi: i tempi e i modi

Prima di andare avanti, facciamo un brevissimo riassunto schematico delle

caratteristiche irrinunciabili che – secondo guru e studiosi – una storia deve avere(liberamente ispirato dall’infografica di ABC Copywriting e da Riccardo Esposito):

– fiducia. Le persone che ascoltano la storia hanno fiducia nelnarratore? Hanno fiducia in te? Questo aspetto è fondamentale pergarantire la buona riuscita della tua azione di storytelling;

– emozioni. Le storie hanno bisogno di uno sviluppo che tocchi leemozioni. Grandi narrazioni si basano su grandi emozioni: conflitti,soluzioni, tensioni, misteri e rivelazioni;

– relazione. Il pubblico deve identificarsi nel racconto. Questopassaggio ci permetterà di creare un rapporto speciale: identificarsi conil personaggio di una storia vuol dire lasciarsi trasportare nellanarrazione;

– semplicità. Una storia semplice è una storia forte. Togliamo tutto ciòche non serve alla narrazione: tagliamo eventi meno importanti, uniamodue personaggi minori in uno, riduciamo al minimo menzioni ad altriluoghi;

– personale. Il destinatario vuole dare un significato personale allastoria. Noi possiamo indicare la struttura, possiamo suggerire deiriferimenti, ma dobbiamo lasciare spazio alle persone di applicare unapropria morale della favola;

– immersione. A volte il pubblico si immerge completamente in unastoria, vive le esperienze raccontate in prima persona e diventa ilpersonaggio principale. Ecco, questo è l’obiettivo di ogni storyteller;

– familiare. L’audience valuta nuove storie confrontandole con quelleche già conosce. Storie diverse possono condividere una strutturacollaudata, uno sviluppo riconoscibile e facile da inquadrare.

È utile ribadire questi punti non solo perché sono molto importanti nella costruzionedi una storia – cioè della nostra comunicazione online – e perché le liste aiutano amemorizzare ed esemplificare i concetti, ma anche perché dobbiamo sempre tenerlipresente in qualsiasi manifestazione testuale o visuale realizziamo per il web.

Passiamo alle note negative.Il peggior nemico dello storyteller / comunicatore è l’autoreferenzialità. Scriverestorie che riguardano poche persone, affrontare argomenti e tematiche cheinteressano noi e non il nostro pubblico, scrivere pensando a noi e non ai nostrilettori.Il secondo peggior nemico dello storyteller / comunicatore è pensare di aver fattoabbastanza.Aprire un blog e scrivere solo un post di benvenuto, iscriversi ad un social network epostare ogni mattina la scritta “buongiorno” – magari accompagnata da un’immaginea caso –, fare il live-tweeting di un evento ben riuscito e poi dimenticarsi dei followeroppure caricare un video su YouTube e poi trascurare il canale. Tutte queste cose nonsono storytelling, non sono raccontarsi. Il racconto e la comunicazione non sonoimplicite nella presenza online, devono essere programmate, progettate ed elaborate.Il terzo peggior nemico dello storyteller / comunicatore è la costanza. Se il museo ol’istituzione culturale vuole intraprendere un’azione di storytelling e di comunicazioneonline deve pianificare l’organizzazione e l’elaborazione dei contenuti giornalmente o– quantomeno – settimanalmente. La scrittura e il racconto devono rientrare tra leattività quotidiane: sia che si tratti di post sul blog, di foto nella bacheca di Pinterest odi mini-video montati con l’applicazione Vine.Ovviamente si tenderà a pensare che tutto questo vada a scontrarsi inesorabilmentecon l’organizzazione interna di un museo. Invece – per esperienza diretta e indiretta –vi assicuro che potreste rimanere molto sorpresi di quanti vantaggi e soluzioni possaportare il content planning, o meglio, la pianificazione dei contenuti.Non esagero in difetto se dico che 5 ore a settimana siano sufficienti per produrre unpost di 250 parole, programmare tweet per 7 giorni e schedulare condivisioni suFacebook. Come si diceva, l’attività non deve essere casuale ma programmatapreventivamente. Solo se si ha ben chiaro dove si vuole arrivare e come arrivarci, sipuò scegliere la strada più comoda da percorrere.

Dopo aver detto cos’è lo storytelling, perché utilizzarlo nella nostra strategiacomunicativa, quali sono le caratteristiche che trasformano la nostra storia in unabuona storia, ripassiamo i tre mantra della comunicazione online:

– rimaniamo concentrati sul pubblico, dobbiamo scrivere cosainteressa loro, non quello che ci piace;

– l’improvvisazione è abolita, tutto deve essere progettato epianificato;

– la costanza è tutto, renderete i vostri lettori fedeli e desiderosi deivostri contenuti.

Il tempio tetrastilo è morto: le scelte linguistiche

Il punto nevralgico è questo: se vogliamo usare strumenti nuovi, dobbiamoutilizzare un linguaggio nuovo.Non possiamo scrivere un post per il blog del nostro museo con lo stesso stile e lostesso vocabolario con cui Giuseppe Fiorelli teneva il suo diario dei lavori durante leescavazioni di Pompei nell’800. È assolutamente necessaria una diversificazione deiregistri.I professionisti del settore museale non devono smettere di utilizzare terminispecialistici né devono limitarsi ad un lessico di 100 parole, ma devono esercitarsi atrovare il giusto registro per il relativo strumento. Quindi l’inevitabileaccorgimento necessario è sempre lo stesso: ricordarsi a chi stiamo scrivendo, chileggerà questo nostro scritto.Se ci rivolgiamo a dei professionisti, possiamo fare sfoggio del nostro migliorcompendio specialistico. Ma, se non sappiamo precisamente chi potrebbe leggere ilnostro scritto, dobbiamo dare a tutti – indipendentemente dal grado di istruzione – lapossibilità e gli strumenti per capire ciò che scriviamo. Non è dietro ai tecnicismi chesi sviluppa la mission di un museo.La riflessione può essere ampliata ulteriormente e non limitarla alla solacomunicazione online, perché anche nella comunicazione offline (pannellistica,brochure, flyer, didascalie che accompagnano le vetrine) dovrebbe vigere la stessaregola. Per esempio, cosa impedisce in un museo di sostituire un cartellino con ladidascalia “frammento policromo di fregio del tempio tetrastilo A – fase II” con unpiù semplice “frammento decorativo colorato del tempio del 250 a.C.”?Questo caso – assolutamente vero – evidenzia, in tutta la sua drammaticità, il pericolodell’autoreferenzialità.Quando scriviamo qualcosa da pubblicare online o da esporre in pubblico, nonscriviamo mai per noi o per i nostri colleghi. Questo è un punto fermo dal quale nondiscostarsi mai.Per scrivere belle storie bisogna utilizzare le parole giuste. Spesso queste parole nonsono roboanti o altisonanti, ma sono semplici e d’uso comune.Spiegare fenomeni complessi con parole quotidiane, che possono capire tutti, cherendono la complessità del mondo e degli eventi semplice, è il vero segreto deigrandi divulgatori.

Se i musei vogliono continuare a tenere fede alla definizione ufficiale del 2001dell’International Council of Museums9 (“Museum is a non-profit making, [...] whichacquires, conserves, researches, communicates and exhibits for purpose of study”), percomunicare efficacemente con i propri pubblici devono adeguarsi agli strumenticomunicativi del tempo presente e utilizzare un vocabolario vicino alle persone.

Dopo queste riflessioni metodologiche irrinunciabili, passiamo in rassegna deisemplici accorgimenti che possono aiutare nella scrittura:

– utilizzare la forma attiva;

– evitare parole complesse o tecnicismi, meglio un vocabolario di usocomune;

– se esiste una parola per spiegare un concetto, è consigliato utilizzarla;

– sempre meglio la forma affermativa, evitando in particolar modo ladoppia negazione per affermare;

– preferire i verbi ai sostantivi, appesantiscono il testo e lo rendonomeno dinamico;

– arrivare al punto, non perdiamo tempo con introduzioni infinite eriduciamo le parole “inutili” (cioè quelle la cui presenza o assenza nonmodifica il significato del testo);

– utilizzare la piramide rovesciata, seguendo lo schema: informazioneimportante, dettagli di supporto, informazioni relative (qui poteteapprofondire;

– scrivere, rileggere e (eventualmente) riscrivere;

– leggere i commenti ma non prenderli tutti in considerazione, lecritiche possono aiutarci a migliorare, ma non dobbiamo dipendere dalgiudizio altrui;

– leggere molto;

– scrivere moltissimo, l’ispirazione non viene a comando e ridurre ilvizio della procrastinazione è una buona norma.

A questo punto, chiudiamo questo paragrafo con la parziale riproposizione di unafamosa “bustina di Minerva” di Umberto Eco10 da “Il mestiere di scrivere”. Un modotutto particolare, spettacolare e geniale di fornire 40 suggerimenti utili secondo ilprof. Eco per scrivere bene. Ecco i più brillanti:

«2. Non è che il congiuntivo va evitato, anzi, che lo si usa quandonecessario.6. Ricorda (sempre) che la parentesi (anche quando pareindispensabile) interrompe il filo del discorso.11. Sii avaro di citazioni. Diceva giustamente Emerson: “Odio lecitazioni. Dimmi solo quello che sai tu.”19. Metti, le virgole, al posto giusto.27. Non essere enfatico! Sii parco con gli esclamativi!32. Cura puntiliosamente l’ortograffia.40. Una frase compiuta deve avere.»

Anche l’occhio vuole la sua parte: l’organizzazione del testo scritto

Dopo aver analizzato le parole da utilizzare e quelle da evitare, le forme migliori equelle peggiori, pensiamo alla forma che dovremmo dare alle parole, a comestrutturare un testo in maniera che sia facilmente leggibile.Di seguito si citerà abbondantemente un bellissimo e fondamentale post dal blog diLuisa Carrada, dal titolo “Sul web così si legge, così si scrive (dati alla mano)”11.Alcuni passi saranno riportati pari pari – e contrassegnati da virgolette perevidenziarne la maternità – perché sono troppo importanti (e ben scritti) per esseresmembrati o modificati e soprattutto perché mai nessuno li aveva inseriti in unatrattazione specificamente destinata ai professionisti museali.Per capire come organizzare un testo scritto, sembra lecito chiedersi in realtà in chemodo si legge. Questa domanda se l’è posta Jakob Nielsen nel 2007 e si è dato ancheuna risposta: “Come si legge sul web? Non si legge”.Infatti «la lettura che si fa sugli schermi è profondamente diversa da quella cheabbiamo sempre fatto sui libri e sui giornali di carta (molto più diversa dellascrittura!). Nielsen continua a studiarla e oggi ha compendiato i risultati delle suericerche in un pdf di 355 pagine: “How people read on the web”, che dà moltissime

indicazioni su come scrivere testi efficaci, sintetizzate in 83 linee-guida.La lettura è prima di tutto un’azione visiva: prima si guarda, poi si decodifica.Sul web questo è ancora più vero: il testo vive insieme alle immagini, diventa essostesso immagine, come nei titoli e nelle infografiche. La lettura è la più importanteattività che si fa in rete. Il testo è il filo che connette tutto.Eppure c’è una sorta di paradosso in questo, che rende le nostre navigazioni convulse enon sempre appaganti: si legge tanto, ma si cerca di leggere il meno possibile. Lalettura in rete è soprattutto esplorazione: si cerca di capire al volo quali parti dellapagina leggeremo, quali salteremo, quali guarderemo velocemente, quali ignoreremototalmente. Il tutto in pochissimi secondi. Se il testo passa questo primo esame, è piùprobabile che leggeremo almeno alcune parti in maniera più tranquilla e profonda,che stamperemo la pagina per appuntarla e sottolinearla.Raramente il nostro testo sarà letto per intero. Esplorare più che leggere è unastrategia di sopravvivenza, efficace in una rete fin troppo affollata.Ma non si esplora a caso, anzi esploriamo seguendo strategie ben precise. Ed èinteressante sapere che queste strategie non cambiano se siamo nativi digitali,smanettoni smaliziati o neofiti del web. Tutti guardiamo più o meno le stesse cose.Può anche capitare di leggere tutto, ma è l’eccezione, non la regola, e questo avvienequando la motivazione è particolarmente forte.Nielsen individua quattro strategie di lettura sul web, ma c’è un caso in cuipossiamo essere assolutamente certi che il nostro testo non incontrerà i suoi lettori:quando è un muro di parole, fitto, con le righe troppo lunghe, l’interlineainsufficiente, nessuna andata a capo, senza stili del carattere variati.

La modalità con cui abbordiamo questo tipo di testi è nota: la forma a F.Nota perché Nielsen ne ha parlato moltissimo e perché è stata confermata da altri

studi autorevoli come quelli del Poynter Institute. Si legge per intero l’incipit, il primocapoverso, per capire di cosa si parla. Man mano che si procede, si tende a leggeresolo l’inizio dei capoversi e in misura sempre minore, fino ad abbandonare la lettura.In questo modo, molte informazioni rischiano di venire del tutto esclusedall’attenzione del lettore. Se poi si comincia, come spesso si fa, con ritualitàintroduttive e non con l’informazione più importante, il rischio diventa certezza.Se da lettori cerchiamo di leggere il meno possibile e puntare alle parti del testo piùinteressanti, da autori dobbiamo strutturare il testo in maniera da far emergere imotivi di interesse a colpo d’occhio e far fermare il lettore in quella manciata disecondi in cui ci giochiamo tutto.Per questo Nielsen raccomanda la struttura millefoglie: capoversi brevi, staccati etitolati con chiarezza, da scorrere subito e velocemente uno dopo l’altro come siaffonda la forchetta nel famoso dolce.Non si leggerà comunque tutto, ma almeno si troverà ciò che interessa. Se benapplicato, il millefoglie convince a leggere anche pagine piuttosto lunghe.Spesso gli utenti si fanno un’idea di una pagina anche in meno di un secondo. Inquesta prima valutazione l’elemento più importante è il titolo. Quando c’è, oltre lametà degli utenti lo legge.I titoli si devono assolutamente vedere e percepire come tali e per questo si può usareogni tipo di accorgimento: colore, dimensioni, spazi, font. I titoli sono una sorta difaro, ma non esageriamo con l’evidenziazione visiva, altrimenti il disorientamento èassicurato.All’inizio l’attenzione è sempre al massimo, anche sulla carta. Non sappiamo ancoranulla, non abbiamo niente da supporre, da indovinare, nessun luogo dove la mente puòcorrere in avanti. Man mano che accumuliamo informazioni, invece, la mente simette a fare quel che le piace di più: anticipare. Per questo l’incipit è, insieme altitolo, il testo più importante. Non solo l’incipit di tutto il testo, ma anche del singolocapoverso, della singola frase. Le persone leggono le prime poche parole di una rigamolto più di tutto il resto e spessissimo lasciano la riga a metà. Per questo le parolepiù importanti devono stare all’inizio:

– Nel titolo, perché aiuta l’occhio, la mente e anche il motore diricerca;

– Nel primo capoverso, spesso l’unico che si legge per intero. Perchédà l’idea del tutto, come una cornice, e permette di capire che cosaviene dopo. Una volta capito, l’occhio continua la sua esplorazione conuna “lettura spot”, oppure si concentra in quella impegnata. Il primocapoverso è quindi decisivo. Il crollo della lettura avviene tra il terzo e

quarto: l’81% degli utenti legge il primo capoverso, il 71% il secondo, il63% il terzo, solo il 32% il quarto;

– Nella frase, perché le prime parole sono quelle a più alta probabilitàdi lettura. Se sono vuote, piatte, se non contengono indicazioni oinformazioni, sarà l’intera frase a essere abbandonata;

– Nelle voci di una lista: se la prima parola è sempre la stessa, l’utentela salta per andarsi a cercare da solo quella diversa. A proposito di liste,i bullet sono importanti: il 70% guarda la lista con i bullet, soltanto il55% quella senza bullet».

Quindi, se non vogliamo vanificare i precedenti tre passi all’interno della nostrastrategia comunicativa che hanno riguardato l’organizzazione della storia, la sceltadell’argomento e la selezione delle parole, dovremo imparare a rispettare anche iprincipi basilari della disposizione del testo in una pagina web.

Best practices

Per esigenze di spazio, sono stati scelti solo cinque casi in cui l’istituzione museale haprogrammato e messo in pratica un’eccellente azione di storytelling. Va da sé cheabbiamo dovuto tralasciare molti altri contesti italiani ed europei, ma questo non vuoldire che non siano meritevoli di nota. Anche in questo caso è valido l’invito a nonsmettere mai di cercare.

Storytelling indiretto – Delaware Art Museum, Wilmington

Nel 2007 il museo d’arte del Delaware lancia un progetto che già dal nome non lascianulla al caso: “The Art of Storytelling”. L’idea è quella di integrare le visite guidatedelle scolaresche al museo e i programmi formativi scolastici con un momento dicoinvolgimento diretto dei partecipanti. Poi però il progetto si amplia, è statoallargato il target a cui si rivolge e gli è stato dedicato un apposito sito (collegato maautonomo rispetto al sito web del museo). L’idea è semplice: raccontateci la storiache vi ha ispirato questo o quel quadro che avete potuto ammirare durante la vostra

visita al museo.Nella sua semplicità, l’idea funziona e ben presto diventa un punto di riferimento perla comunità e attira le attenzioni degli specialisti. Dopo le prime 6 settimane sonoarrivate al museo 350 storie. Allora il museo decide di allargare il suo bacino dipotenziali partecipanti al progetto e decide di caricare online una galleria di immaginidei suoi dipinti più famosi per permettere anche alle persone che non hanno maivisitato il museo di poter raccontare la propria storia. In realtà il museo fa molto dipiù: aggiunge un’ulteriore sezione al sito dedicato (“Picture a story”) in cui èaddirittura possibile creare la propria “storia per immagini” prendendo elementi,paesaggi e personaggi dai dipinti caricati online dal museo.A distanza di diversi anni, il sito contiene migliaia di storie (raccontate attraversoparole ed immagini) categorizzate per soggetto o tema, valorizzate, votate eincentivate (infatti le migliori vengono registrate dagli utenti stessi e inserite nelleaudio-guide ufficiali).Riprendendo le parole dei curatori, «abbiamo scoperto che stimolare la capacità diraccontare dei visitatori è un modo efficace per coinvolgerli e per indurli a pensare ea guardare l’arte in maniera critica e creativa allo stesso tempo. Inoltre questeiniziative hanno un riscontro positivo anche per le istituzioni museali sia perché siraggiungono e si coinvolgono nuovi pubblici sia perché permettono di ricevere unvalido feedback dell’azione svolta del museo nella comunità»12.

Storytelling diretto – Statens Museum for Kunst, Copenaghen

La Galleria d’Arte Nazionale della Danimarca dal 1998 (anno in cui è stata inauguratala nuova ala del museo) fino ad oggi, ha sempre inseguito rinnovamento einnovazione.Oltre ad un’eccellente opera di digitalizzazione e condivisione delle sue maggioriopere online e a diversi programmi di coinvolgimento da parte di target giovani omolto giovani, la Galleria ha intrapreso un’interessante e mirata azione di racconto delmuseo portata avanti dai restauratori e dai curatori in un’apposita sezione del sito.Come si usa dire, il nome è tutto un programma, ma è semplice ed efficace: “Storiesfrom the Conservator”. Non lezioni o articoli specialistici: storie.I post sono brevi, ricchi di immagini e redatti utilizzando un vocabolariosemplice e termini di uso comune (ovviamente tutti i post – ma possiamo anche diretutto il sito – sono scritti in doppia lingua: danese e inglese). Non sono previsticommenti ai post, ma la discussione, le domande e le curiosità si spostano facilmentesulla pagina Facebook o sul profilo Twitter del museo.

Nello stesso spazio dedicato al lavoro e al racconto dei restauratori attraverso lascrittura, c’è anche un altro pezzo di una grande azione di storytelling: la sezione video.I restauratori in tre minuti parlano del lavoro che stanno svolgendo, di come lo stannosvolgendo e del perché. Nessun “parolone” o tecnicismo, si spiega il proprio lavorocome lo si farebbe a degli amici al tavolo di un bar, senza mai essere banali.Ovviamente i video hanno tutti i sottotitoli in inglese.Il museo ha anche un blog in cui vengono trattati temi maggiormente specialistici emetodologici (ad esempio, “Possono degli adulti essere tentati di fermarsi a disegnarenel bel mezzo di una mostra d’arte?”) ma in maniera meno assidua.

Storytelling partecipativo – MoMA New York

La scelta strategica del colosso museale di New York è stata di farsi raccontare e diraccontarsi, in un mix virtuoso, accattivante e stimolante. Nel suo blog (anche inquesto caso il titolo è un piccolo capolavoro) – “Inside/Out” – il museo si propone diportare “quello che c’è dentro” al museo, fuori, verso i visitatori, e far “entrare nelmuseo” ciò che viene da fuori, dai visitatori. Un colpo di genio semantico. Ma nonsolo, perché la trovata non si ferma alla scelta del nome o all’opportunità di mettereinterno ed esterno del museo sullo stesso livello di importanza e di collegarli sullastessa piattaforma, ma fa un ulteriore passo in avanti quando si arriva alla categoria“Viewpoints”, punti di vista. La prima sottosezione è “I went to MoMA and” e laseconda “Intern Chronicles” (senza trascurare un altro bello spazio per tutti coloro chevolessero scrivere della loro esperienza al MoMA – “Visitor viewpoint”).Non c’era un modo migliore per dare la stessa importanza e lo stesso spazio sia alparere, al giudizio e al punto di vista dei visitatori che a quello degli operatorimuseali. I visitatori possono dare un riscontro immediato della loro visita con gliormai famosi cartoncini che il museo fornisce all’ingresso e sui quali si possonoscrivere, disegnare le proprie impressioni.Insomma, online e offline, operatori e visitatori, tutto nell’attività di storytelling delMoMA è perfettamente integrato per esistere e co-esistere in armonia e coerenza.

Storytelling sui social network: Facebook – Musee de la Grande Guerre di Pays deMeaux

In occasione del centenario dell’entrata in guerra della Francia durante la PrimaGuerra Mondiale, il museo ha organizzato questa bellissima iniziativa per far rivivere

l’orrore e sensibilizzare, in definitiva per comunicare.Ipotizzando che Facebook esistesse sin dagli inizi del Novecento, è stata raccontata lastoria di Léon Vivien, un insegnante di 29 anni, realmente esistito, che ha vissuto inprima persona l’orrore del conflitto: ha lasciato il suo paese, gli amici, la famiglia euna moglie incinta per entrare nell’esercito dopo la morte del migliore amico.Il profilo dell’insegnante è stato aggiornato per ben dieci mesi, durante i quali Léon haraccontato cosa stesse succedendo, le sue emozioni, l’angoscia, l’ansia di dover vivereogni giorno a contatto con il pericolo: si può dire, insomma, che il macrocosmo delPrimo Conflitto Mondiale è stato riprodotto nel microcosmo della sua anima eproiettato sul social network di Zuckerberg.Immagini originali, dialoghi diretti e scambi di battute con altri 9 personaggi, fino altragico finale del 22 maggio 1915, riassunto in una straziante frase alla moglie: “Hopaura, Madelaine. Ti amo. Sono arrivati”.L’iniziativa ha avuto talmente tanto successo che il museo ha aumentato del 45% ilflusso dei visitatori in meno di un anno.

Storytelling sui social network: Twitter – Historic Royal Palaces, Londra

Il dipartimento dei servizi educativi della Torre di Londra ha coinvolto – nell’ambitodi alcune attività scolastiche – un gruppo di studenti delle scuole londinesi in unprogetto che facesse rivivere le storie, le disavventure e a volte le ingiustizie subitedai reclusi e condannati a morte che sono passati dalla prigione inglese nei secoli.Attraverso una ri-scrittura della loro vita, basata sui documenti ufficiali, e inparticolare delle ultime 24 ore che trascorsero nella Torre, gli studenti hanno datovoce a questi personaggi attraverso una serie di tweet che seguivano – appunto – leloro ultime ore di vita prima dell’esecuzione, potremmo quasi dire in diretta con ilpassato.L’esperimento non si è fermato all’aspetto social ma è proseguito: infatti i ragazzihanno curato una sezione ufficiale del sito e hanno registrato in alcuni file audio lestorie migliori e più affascinanti che l’istituzione ha reso disponibili su iTunes.

4. I social network per la cultura: quali sono, a cosa servono e comepossono essere utilizzati dai musei

Francesca De Gottardo e Valeria Gasparotti, con la collaborazione di Astrid D’Eredità

Cosa sono i social network e perché sono importanti per i musei

Da quando esiste, il web è sempre stato percepito come uno strumento che mette incollegamento le persone. Il concetto si è ampliato esponenzialmente dopo la nascitadel Web 2.0, un nuovo modo di concepire Internet che ruota intorno alla capacità dipermettere l’interazione tra l’utente e la rete.La conseguenza diretta di questa evoluzione è stata la comparsa dei social media,ovvero di tutte quelle applicazioni che si basano sui presupposti ideologici del Web2.0 e che consentono la creazione e lo scambio di contenuti generati dagli utenti, gliUser Generated Content (UGC). In altre parole, i social media sono un servizio onlineper la costruzione di comunità virtuali di persone che condividono gli stessi interessi.Grazie a questa caratteristica, i social media hanno rivoluzionato il modo di fareinformazione, trasformando le persone da fruitori di contenuti in produttori ecuratori. Inoltre, quello che era un monologo “uno a molti” nel Web 1.0 si ètrasformato in un dialogo “molti a molti”, caratteristico del Web 2.0.

In realtà, i social network sono sempre esistiti e Facebook e Twitter non sono altroche l’evoluzione online della teoria delle reti sociali, studiata fin dal diciannovesimosecolo dagli esperti di antropologia e sociologia e riferita alle complesse dinamicherelazionali che esistono tra i membri di tutti i sistemi sociali, a qualsiasi livello.Secondo la teoria delle reti sociali, un “social network” è una struttura socialecomposta da nodi – ovvero individui o organizzazioni – che sono legati tra loro da unao più tipologie di rapporto di interdipendenza, come i valori, le aspirazioni, loscambio economico, l’amicizia, l’odio e così via. Tutte le relazioni sociali si possonoriassumere in termini di nodi e legami: i nodi sono gli attori individuali del network, ilegami sono le relazioni che essi riescono a stabilire tra loro.Di conseguenza, un “web social network”, come può essere Facebook, non fa altro chericreare in un mondo virtuale le infinite strutture sociali composte da individui erelazioni.Martin Stiksel, fondatore del social network musicale Last.fm, riassume in una frasetutte le implicazioni di quanto appena esposto “I think the future of social networks stilllies in the connections between people and the potential that lies in these connections. Ifthere is a possibility to pool all of this knowledge, like there is in a social network, to the

benefit of everybody, that’s a really, really powerful thing.” (Fonte Co-bw.com)

Perché i musei dovrebbero sapere cosa sono i social network e, soprattutto, perchédovrebbero utilizzarli?È una domanda che è più che lecito porsi e la prima risposta che si è tentati di dare èquella sbagliata, almeno parzialmente: “perché lo fanno tutti”. È vero, oggi unaconsiderevole percentuale della popolazione mondiale utilizza questi strumenti. Bastipensare che i dati di inizio 2014 per l’Italia testimoniano la penetrazione dei socialmedia presso il 52% della popolazione totale, mentre il 92% degli utenti cheaccedono a internet possiede almeno un account social (dati We Are Social).

Sono numeri impressionanti, ma dovrebbero indurci ad ampliare il ragionamentorispetto al semplice “voler esserci”. Se così tante persone utilizzano i social network ese lo scopo principale di questi media è la costruzione di comunità sulla base delprincipio che “l’amico del mio amico è mio amico”, il potenziale per i musei èenorme, soprattutto in termini di engagement e di quelle che nel marketing chiamanobrand awareness e brand image, ovvero la riconoscibilità di un museo e il tipo dipercezione che è in grado di generare presso il pubblico.I social network sono lo strumento ideale per le organizzazioni culturali che voglianocostruire una forte comunità intorno ai propri valori e alle proprie collezioni, poichési tratta di strumenti che consentono, allo stesso tempo, sia di condividereinformazioni di qualsiasi tipo in tempo reale, sia di sfruttare rapidamente edesponenzialmente le relazioni tra i nodi della rete sociale.Inoltre, queste piattaforme consentono di superare il tradizionale approccio “topdown”, tipico delle istituzioni che lavorano nell’ambito della conoscenza (Università,media, musei, biblioteche etc.).In altre parole, grazie ai social network, un museo ha la possibilità di condividere inrete i propri contenuti più interessanti, creativi e aggiornati – come video, fotografie,eventi e iniziative online di qualunque tipo (contest, meeting, live-chat, quiz). Allostesso tempo però, gli utenti possono partecipare, commentare e perfino crearecontenuti a loro volta.

Questo approccio si discosta dall’immagine tradizionalmente associata a un museo,percepito come autoritario, inaccessibile e complesso. Nello stesso tempo,quest’immagine è in grado di raggiungere un numero esponenziale di persone,ovunque esse si trovino nel mondo e senza che ci sia un diretto collegamento con lastruttura, perché può sfruttare i collegamenti che esistono tra gli utenti, legati dainteressi e amicizie in comune, ma anche dall’appartenenza alle stesse community o acommunity collegate.

Quindi, i social network sono oggi il modo più semplice e rapido per i musei perraggiungere nuovi utenti e creare nuove comunità di pubblico, grazie al fatto che ilWeb 2.0 ha cambiato i meccanismi alla base dei comportamenti d’acquisto e iconsumatori di oggi si fidano molto di più del cosiddetto word of mouth orizzontale– o più classico “passaparola” – rispetto alla tradizionale comunicazione verticale ditipo pubblicitario.In aggiunta a questa considerazione su brand awareness e brand image, e forse ancoraimportante, è la possibilità offerta dai social network di creare un dialogo del tipo“molti a molti” con gli utenti che fanno parte di una determinata comunità.I musei che vogliono costruire una relazione a doppio senso con il loro pubblico,sostituendola a quella classica “dall’alto verso il basso”, trovano in questi strumenti unutile supporto strategico. Grazie alla co-creazione dei contenuti, la comunità degliappassionati può diventare parte attiva nella vita delle istituzioni e interagire in primapersona con il museo di cui è sostenitrice.Tramite questa forma preziosissima di engagement, il museo ha un ulteriore canale didialogo con il proprio pubblico, ne riceve i feedback immediati sulle proprie attività,lo coinvolge in alcune decisioni e lo rende partecipe di quello che succede dietro lequinte.Tuttavia, è importante precisare che, senza un’adeguata strategia di trasformazioneradicale dell’istituzione, i social media rischiano di rappresentare uno dei tanti trendtecnologici che si esauriscono con il tempo. Parlare di trasformazione digitalesignifica investire tempo e risorse nella riflessione sui valori e sulla missiondell’istituzione. Sono questi stessi valori, infatti, che possono essere aperti al pubblicograzie ai social media, in un rapporto di co-creazione di significato, invece che disemplice trasmissione a senso unico dei contenuti.

Nei paragrafi che seguono, descriveremo le caratteristiche e le possibilità di utilizzoper le principali piattaforme social. Tuttavia, questo testo non vuole essere esaustivo:esistono, infatti, numerose altre modalità di creazione e divulgazione di contenuti peri musei che non sono affrontate in questo ebook. Blog, mobile media (mobile app,

audio guide) e chioschi interattivi sono altri esempi di piattaforme che i museipossono adottare per generare significato intorno alle loro collezioni. “Condividere” e“connettersi” sono ormai diventate le parole chiave che influenzano il nostro modo divivere, pensare e lavorare. Di conseguenza, non possiamo pensare che il pubblico diun museo si aspetti di sospendere questi comportamenti quando visita o si interfacciacon un’istituzione culturale.

Una nota

Gli esempi riportati all’interno di questo capitolo sono frutto di una ricerca iniziatanella primavera 2014 e terminata mentre scriviamo. Il settore di cui ci stiamooccupando – social network in ambito museale – è in continua evoluzione e gliesempi riportati servono a fornire un’ispirazione, ma non escludiamo che, a brevetempo dall’uscita di questo ebook, possano risultare già “#old” se comparati a progettipiù recenti.

Bibliografia

G. Mannucci, “Art institutions and web social networks: Facebook’s innovation inreaching new markets”, 2008

D.J. Watts, S.H. Strogatz, “Collective Dynamics of ‘Small World’ Network”, Nature1998

M.E.J. Newman, A.L. Barabasi, D.J. Watts, “The Structure and Dynamic of ComplexNetworks”, Princeton University Press, 2003

Il Sole 24 ore, “Il fenomeno Facebook”, Nòva, 2008

Facebook

Cos’è

Spiegare cosa sia Facebook sembra oggi del tutto superfluo, considerando quantoquesto social network è entrato a far parte delle vite di tutti noi. È indicativo il fattoche in Italia ci siano più di 26 milioni di account Facebook su 35 milioni di utenticonnessi a Internet e su 61 milioni di popolazione totale: più di un terzo del Paeseutilizza questa piattaforma e vi trascorre una media di due ore e mezza al giorno (DatiWe Are Social).

Com’è nato il “re” dei social network? Facebook ha fatto la sua comparsa in statoembrionale nel febbraio del 2004, grazie all’idea di uno studente di Harvard che oggiè una super star del digitale e conta un patrimonio personale che supera i 25 miliardidi dollari. L’idea originale di Mark Zuckerberg si chiamava Facemash ed era pocopiù di un sito web goliardico interno al campus che permetteva di votare gli studentiin base all’aspetto fisico, utilizzando le immagini prese dagli album scolastici (ifacebook, per l’appunto). L’evoluzione del programma, The Facebook.com, eraoriginariamente progettata per i soli studenti di Harvard, ma fu presto aperta ancheagli studenti di altre università della zona di Boston, della Ivy League e della StanfordUniversity. Nel 2006, Facebook ha aperto le sue porte anche a chi non possedeva un

indirizzo email “.edu”, con la sola condizione che avesse più di 13 anni di età.Nel tempo di un anno dalla sua apertura al pubblico, Facebook ha scalato lagraduatoria dei siti più visitati, passando dalla sessantesima alla settima posizione,secondo il sito americano Alexa che si occupa di statistiche sul traffico di Internet.Dal luglio 2007, il social network di Zuckerberg è stabilmente nella classifica dei 10siti più visitati al mondo ed è il primo sito negli Stati Uniti per foto visualizzabili.L’Italia ha iniziato a scoprire Facebook nel 2008, quando si è registrato un boom dipresenze che è andato aumentando fino a raggiungere le impressionanti cifre attuali.In totale, oggi Facebook è disponibile in oltre 70 lingue e conta 1,310 miliardi diutenti attivi, aggiundicandosi il titolo di più grande social network del mondo (fonteMashable).

Come funziona

Dal momento che, secondo le statistiche, una persona su tre ha già un suo profiloFacebook attivo, il rischio di essere banali nello spiegare come funziona questo socialmedia è veramente alto, per cui ci limiteremo ad alcune indicazioni di massima,rimandando a Facebook.com/help e a Mashable.com/Facebook-for-beginners pereventuali approfondimenti.

Iniziare ad utilizzare Facebook è estremamente facile: basta fornire un indirizzoemail valido e alcuni dati personali come nome, cognome e data di nascita. Laregistrazione è gratuita, così come tutte le funzionalità della piattaforma, dalmomento che Facebook ricava i suoi profitti dalle pubblicità (banner, advertising epost sponsorizzati).Una volta completata la registrazione, gli utenti possono creare il loro profilopersonale, scegliendo la propria profile picture (160x160 pixel) e la cover image(851x315 pixel), inviando richieste di amicizia ai propri contatti email e cercandoaltri utenti tramite lo strumento di ricerca messo a disposizione dalla piattaforma.Tramite la funzione “Settings”, è possibile impostare i livelli di privacy del proprioprofilo e le notifiche che si desidera ricevere in relazione ai diversi tipi di attivitàdegli amici nei nostri confronti (tag, menzioni, like, condivisioni, messaggi diretti).La sezione “Activity log”, invece, consente di tenere sotto controllo la nostra attivitàe la timeline del nostro profilo.La home di un profilo Facebook raccoglie i news feed sulle attività degli amici e dellepagine di cui siamo fan. Quando la si consulta da desktop, la piattaforma consenteancora di impostare la modalità con cui si desidera visualizzare il feed di notizie,

offrendo la scelta tra “Top stories” e “Most recent”, mentre da mobile non è piùpossibile decidere e il flusso di notizie segue l’algoritmo di Facebook.

Ma che cos’è l’algoritmo di Facebook? Si chiama Edge Rank ed è la formula chedetermina la visibilità di un post, creato da un utente o da una pagina, all’interno deinews feed degli amici o dei fan. Ovvero, se “edge” è qualunque tipo di notizia – unpost, un link, una foto, un video, un “mi piace”, un commento, un cambio di status, ecosì via –, l’edge rank è l’ordine in cui ci vengono presentate le attività della nostrarete. Quando apriamo Facebook, infatti, non vediamo ogni azione che hanno fatto inostri amici, le persone che seguiamo o le pagine su cui abbiamo messo “mi piace” equesto succede perché Facebook fa una selezione dei contenuti e ci presenta quelliche, in base alle sue valutazioni delle nostre attività, dovrebbero essere più rilevantiper noi.Di conseguenza, capire il funzionamento dell’edge rank è fondamentale per chigestisce una pagina Facebook e vuole che più persone possibile ne vedano gli update.L’algoritmo che regola il meccanismo di ranking è stato reso pubblico per la primavolta nel 2010 e da allora ha subito più modifiche. Quando scriviamo, l’edge rank diFacebook risponde a questo principio: ∑ = fe ue we nfe.Dove fe è la frequenza di pubblicazione, che entra in relazione con ue, ovverol’Affinity score tra l’autore del post e l’utente che lo visualizza, we, che è il “peso” delpost, e nfe, il negative feedback.In altre parole, la visibilità di un post su Facebook è condizionata, in primo luogo,dalla relazione che c’è tra chi scrive e chi legge (affinity score): se visitiamo spesso ilprofilo di un amico o la pagina di un’azienda, se facciamo like ai contenuti diquell’utente, se commentiamo, se abbiamo molti amici in comune, Facebook deduceche c’è un alto livello di affinità tra di noi e che, di conseguenza, i contenuti diquell’amico o di quell’azienda sono interessanti per noi.Un altro fattore molto importante da considerare è il “peso” del post, ovvero ilnumero di like, condivisioni e commenti che quel post ha ricevuto da parte di tutti glialtri utenti, in particolare dai nostri amici. È da tenere presente che, per Facebook,post che contengono fotografie e video sono più interessanti rispetto a postpuramente testuali e avranno più possibilità di essere visti, mentre quelli contenentilink che rimandino l’utente al di fuori della piattaforma abbassano decisamente il“peso”, e quindi la visibilità, del post.Infine, rientrano nel calcolo del rank anche quanto spesso abbiamo interagito inpassato con un certo tipo di post e se noi o altre persone abbiamo nascosto o bloccatoquel post (fonti utili per capire l’edge rank sono Whatisedgerank.com,Socialbakers.com e Alessandrafarabegoli.it).

Il totale degli utenti che vede un post su Facebook è definito “Reach” ed è influenzatoda tutti i fattori appena esposti. In media, circa il 6% degli utenti – nostri amici ofan di una pagina – riesce a visualizzare un post senza investimenti in Facebookadvertising.

Profili, fan page e gruppi

Facebook è una piattaforma dall’architettura complessa e l’utente può scegliere segestire, oltre al proprio profilo personale, anche fan page e gruppi, che possono a lorovolta essere aperti, chiusi o segreti.

Profilo personale. È composto da due sezioni principali, selezionabili grazie aipulsanti in alto a destra nella barra di Facebook: la “Home”, che raccoglie le attivitàdei propri amici e delle pagine di cui si è fan (il news feed del profilo risponde aiprincipi dell’edge rank che abbiamo appena esaminato), e il profilo vero e proprio, odiario, nel quale gli amici possono lasciarci messaggi, postare foto e commentare fotoe messaggi che abbiamo postato a nostra volta. Facebook permette di impostare ilivelli di privacy che vogliamo applicare ai contenuti presenti nel nostro profilo e didecidere quali informazioni personali vengano visualizzate da chi lo visita. È possibilegestire direttamente la sezione “About” e modificare le voci che ci interessano.Chi può aprire un profilo su Facebook? Chiunque abbia più di 13 anni e dimostri diessere una persona fisica, con un nome e cognome e una data di nascita. Accountmultipli, furto d’identità e utilizzo del profilo da parte di aziende e organizzazionirappresentano violazioni dei termini di utilizzo della piattaforma.

Fan page. Nate nel 2007, le pagine Facebook sono rivolte a tutte le entità che nonsono persone fisiche e che vogliono essere rappresentate su questo social network. Insostanza, la fan page è la soluzione perfetta per istituzioni pubbliche, organizzazioni,associazioni e aziende private che vogliano utilizzare Facebook per costruire undialogo con il proprio pubblico. Quando visualizziamo una pagina, troviamo tutte leinformazioni sull’ente o sull’azienda nella tab al di sotto della cover image e possiamodecidere di diventarne fan schiacciando il tasto “like”. In questo modo, Facebook citerrà aggiornati sulle attività di quell’ente o azienda. Se scorriamo verso il basso gliaggiornamenti della pagina, possiamo commentarli, fare like e condividere nel nostroprofilo quelli che ci piacciono particolarmente.Chiunque può aprire una fan page, anche se solo i rappresentanti ufficiali possonoagire per conto di un’azienda o di un ente o personaggio pubblico. Per creare una

pagina, è sufficiente selezionare l’apposita voce nel menu in alto a destra nella barradi Facebook e seguire le istruzioni della piattaforma per scegliere il tipo di ente che sirappresenta e il settore di appartenenza, inserire la propria descrizione, il sito internetdi riferimento e l’immagine di profilo. Una volta che si sono impostate questecaratteristiche di base, la pagina è attiva ed è personalizzabile con numerose opzioni,sia di gestione, sia di visualizzazione. Il creatore di una pagina può autorizzare altriutenti a gestirla, scegliendo di assegnare diversi livelli di responsabilità. Chi ha gliaccessi admin della pagina, può visualizzare gli Insights e può decidere se attivareeventuali campagne di advertising per aumentare la visibilità dei post (per questiargomenti, rimandiamo al capitolo 5 di questo ebook).

Gruppi. La caratteristica principale dei gruppi è il potenziamento delle connessionitra gli utenti, sfruttando la condivisione di un interesse comune. Esistono gruppisegreti, chiusi o aperti. I primi sono visualizzabili solo dai membri del gruppo e ci sipuò accedere esclusivamente attraverso invito, mentre i secondi sono visualizzabili datutti gli utenti di Facebook (solo nome, descrizione e chi ne fa parte, non i post), mavi si può accedere solo previa approvazione della propria richiesta di ammissione. Igruppi aperti, invece, sono visualizzabili in tutti i loro elementi da qualunque utentedi Facebook, post del gruppo compresi, e chiunque può commentare e condividerecontenuti con il gruppo. In questo caso, l’iscrizione è legata alla volontà di rimanereaggiornati sulle attività del gruppo.Chiunque può creare un gruppo Facebook, basta selezionare la voce “crea gruppo”nella colonna dedicata ai gruppi, sulla sinistra della schermata home di Facebook,scegliere un nome e un’icona e invitare nuovi utenti a farne parte.Il formato di un gruppo è molto simile a quello del profilo personale: si impostanoprofile e cover image, si possono condividere foto, messaggi e commenti, e si può farelike o condividere i contenuti pubblicati dagli altri membri.

Meglio profilo, pagina o gruppo?

Soprattutto agli inizi, molti enti culturali si sono trovati nell’indecisione di non saperequale formato scegliere e, ancora oggi, troviamo musei che gestiscono la loro presenzasu Facebook tramite profili personali. In realtà, questa scelta è sbagliata: vediamo inalcuni punti perché (fonti Idearia, Girl Geek Life efacebook.com/notes/tresette/facebook-web-marketing-pagina-o-gruppo).

1. Secondo la definizione che Facebook stesso ne dà, il profilo

personale dovrebbe rappresentare una persona, non aziende,associazioni, cooperative, festival e qualunque entità non sia unapersona fisica. Potenzialmente, Facebook è autorizzato a chiudere iprofili che ritiene non rispondano a questo principio. Di conseguenza,continuare a gestire un profilo con la possibilità di perdere contenuti e“amici” da un giorno all’altro è un’operazione rischiosa e altamentesconsigliata.

2. Il profilo può essere gestito da un’unica persona e Facebook imponeil limite massimo di 5000 amici. La fan page, invece, è gestibile da piùpersone con diversi ruoli (admin, editor, moderatore, analista, etc) e puòessere seguita da infiniti fan.

3. La fan page risponde meglio ai criteri del SEO (Searching EngineOptimization) ed è indicizzata da Google, Yahoo, Bing e da tutti i motoridi ricerca. Il che significa che i contenuti pubblicati nella nostra paginasaranno visibili anche fuori da Facebook e potrebbero apparire nellaricerca dell’utente che digita le parole chiave connesse con gliargomenti dei nostri post, aumentando notevolmente la visibilità delmuseo online.Inoltre, la fan page permette di utilizzare l’advertising per aumentare lavisibilità dei post su Facebook e fornisce utili statistiche sull’andamentodella propria attività e sulla demografia del pubblico, grazie alla sezione“Insights”.Infine, la fan page consente di programmare la pubblicazione deipost in orari e giorni successivi. Nessuna di queste funzioni è inclusanel profilo personale, né nei gruppi.

4. Il profilo espande i propri contatti sul principio della richiesta diamicizia e, su Facebook, il rapporto di amicizia lega gli utenti inmodo bidirezionale: se Lorenzo e Andrea diventano amici,acconsentono reciprocamente a rendere visibili i loro contenuti all’altroe, ogni volta che uno dei due pubblicherà qualcosa sul proprio diario,l’altro vedrà l’aggiornamento nella propria home page. Immaginiamoora un ipotetico museo che apre un profilo su Facebook: come farà ainiziare la propria attività su questo social network? Deve chiederel’amicizia agli utenti. Sicuramente non si tratta di un buon biglietto davisita per un ente culturale, fa un po’ “venditore porta a porta” ed è un

gesto che può facilmente essere percepito come invadente, dalmomento che l’utente medio utilizza Facebook a scopo totalmentepersonale e non ha nessun interesse a far vedere le proprie foto dellevacanze a un perfetto sconosciuto.Non è migliore lo scenario a parti invertite: se l’utente visita il sito webdel museo e sceglie di voler essere aggiornato sulle sue attività, clicca iltasto “Facebook” e si ritrova a dover aspettare e sperare che il museoconfermi l’amicizia.Al contrario, la fan page si basa su un rapporto unidirezionale, nel qualeil fan clicca “mi piace” e riceve gli aggiornamenti del museo nellapropria home, senza dover condividere nessuna informazione personale.

Le obiezioni che spesso vengono sollevate da chi ha scelto il profilo personale invecedella pagina riguardano il livello – appunto – personale del rapporto che si crea con ilpubblico. È vero: da un profilo possiamo inviare messaggi privati agli amici epossiamo taggarli nei nostri post e nelle nostre foto, ma siamo sicuri che agli amici –che poi sono fan, quindi persone che a mala pena conoscono il museo, nella maggiorparte dei casi – questo livello di invasività faccia piacere?

Per quanto riguarda la scelta tra pagina e gruppo, invece, dipende da quali sono gliobiettivi che un museo cerca di perseguire su Facebook. La fan page è un perfettostrumento di marketing e comunicazione, mentre il gruppo consiste in unacommunity di persone che condividono un’idea, un progetto o un interesse.Rispetto ad una pagina, il gruppo è più informale e riduce le distanze, dal momentoche si crea un rapporto di conoscenza e di scambio alla pari tra chi ne fa parte.Spesso, i membri più affiatati del gruppo stringono amicizia tramite i profilipersonali e, in genere, il gruppo consente un livello di interazione e di dialogo più altorispetto alla pagina.Per contro, non fornisce dati demografici sui membri né analytics sulle attività, èpossibile che gli utenti disattivino le notifiche per la pubblicazione di nuovi contenutie, di conseguenza, i post in un gruppo hanno un reach molto più basso rispetto alla fanpage.

Facebook per i musei

Gli utilizzi di Facebook da parte di un museo sono pressoché infiniti. Questapiattaforma incoraggia la creatività, il dialogo, la voglia di stupire e di coinvolgere il

pubblico e si presta, quindi, molto bene alla comunicazione di un museo che vogliamettersi in gioco con mente aperta e intraprendenza.Non ci sono regole particolari da seguire per l’utilizzo di questo social network, anchese quelle che è bene tenere presenti sono sottintese dall’algoritmo dell’edge rank:meglio contenuti visivi – fotografie e video –, meglio integrare i post che contengonoun link esterno con una foto o un video che l’utente visualizza all’interno di Facebook.In genere, per aumentare l’interazione si consiglia di:

– scegliere un tono di voce adatto al canale, ovvero diretto, informale e– perché no? – anche giocoso, compatibilmente con le scelte dicomunicazione del museo;

– rispondere sempre ai fan nei commenti, ringraziando per icomplimenti, soddisfacendo le curiosità e cercando di non farsitrascinare in discussioni pubbliche o in inutili polemiche (se proprionon si riesce a evitare la discussione, è preferibile chiedere all’utente dispostare il dialogo su messaggio privato13);

– terminare i post con domande o con inviti diretti al pubblico acompiere una determinata azione (“scoprite”, “leggete”, “sapevateche?”);

– scegliere fotografie e immagini che possano colpire l’attenzione delpubblico, per avere più probabilità che gli utenti si soffermino anchesulla componente testuale;

– scrivere testi brevi, che concentrino il messaggio più importante nelleprime tre righe e che non superino, se possibile, le cinque righe (dopoquesto limite, infatti, Facebook nasconde il contenuto e gli utenti sonoinvitati a cliccare il link “Read more” per terminare la frase);

– limitarsi nella quantità di informazioni di tipo educativo che si cercadi dare in un Facebook update: ricordiamoci che gli utenti sono suquesto social network per divertirsi, possiamo condividere un concettoprincipale e più accattivante e invitarli ad approfondire l’argomentocliccando sul link;

– pubblicare almeno un contenuto al giorno, senza però correre il

rischio di pubblicarne troppi e di risultare invadenti;

– scegliere gli orari di pubblicazione più indicati sulla base dellapresenza online dei nostri fan: i Facebook Insights e la funzione“Schedule” ci aiutano a programmare i post quando hanno piùpossibilità di essere visti da chi ci segue;

– mostrare il più possibile gli aspetti del museo che normalmente nonsono visibili, come dietro le quinte, lavoro dei curatori, allestimentodelle mostre e così via;

– sforzarsi di essere creativi nella scelta delle fotografie da pubblicare enell’organizzazione degli album fotografici, prendendo spunto dalleboard su Pinterest (non solo “Mostra su Pinturicchio”, ma anche “Operedel 1945”, “La primavera al museo”, “Rosso”, etc.)

– coinvolgere il pubblico con quiz, hashtag tematici, indovinelli suglioggetti delle collezioni, richiami al particolare giorno dell’anno in cui cisi trova, collegamenti con gli eventi contemporanei e con i trendingtopic;

– tenere sempre presente il pubblico e farsi guidare da questo genere didomande: “questo contenuto è interessante? La gente lo vorrebbe vederenella propria home? È un contenuto che porta a commentare? È unafoto che i fan potrebbero voler condividere?”

– non avere mai paura di sperimentare: Facebook è un social network eniente rimane scolpito nella pietra, l’esperimento più assurdo puòtrasformarsi in un inaspettato successo di pubblico e il post che falliscemiseramente si può sempre cancellare.

Twitter

Cos’è

Twitter è un servizio gratuito di social networking e micro-blogging che si basa sulla

condivisione di messaggi di testo della lunghezza massima di 140 caratteri.Il nome “Twitter” deriva dal verbo inglese to tweet che significa “cinguettare” e siriferisce, appunto, alla brevità dei messaggi e alla capacità di questa piattaforma diconsentire lo sviluppo di infinite conversazioni tra illimitati utenti, in un “cinguettio”continuo di opinioni, punti di vista, pensieri, notizie e informazioni.Twitter è stato creato nel 2006 da Odeo, una società californiana alla ricerca diun’idea originale per salvarsi dalla bancarotta. Allo stadio embrionale, il progetto sichiamava Twttr – ispirato da Flickr – e si trattava di un servizio per comunicare conun ristretto numero di persone attraverso SMS.Già nel 2007, la piattaforma iniziava a diffondersi rapidamente e a guadagnaremigliaia di utenti, grazie alla semplicità di utilizzo e alla diretta connessione conl’ambito giornalistico e con l’aggiornamento in tempo reale delle notizie.Oggi, ci sono nel mondo più di 900 milioni di account Twitter registrati, dei qualisolo 255 milioni attivi. I dati riportano una media di 500 milioni di Tweet inviatiogni giorno, nell’80% dei casi da un dispositivo mobile. Una curiosità: il paese chetwitta di più è l’Arabia Saudita, con un utente attivo su tre. In Cina la piattaforma èbloccata a causa delle disposizioni governative, mentre l’Italia è al sedicesimo postonella classifica mondiale per tasso di penetrazione.Nel nostro Paese, il numero degli utenti di Twitter si avvicina ai 10 milioni, dei qualisolo il 35% (3.4 milioni) sono utenti attivi. Anche in Italia, più della metà dellepersone che si connette a Twitter lo fa da smartphone o da tablet, confermando chequesto social network è soprattutto una piattaforma mobile (fonti About.twitter.come Myweb20.it).Quanto all’età, la media degli utilizzatori di Twitter si aggira intorno ai 24 anni alivello globale e ai 32 anni a livello italiano (siamo in assoluto la nazione con l’etàmedia più alta e con la percentuale di utilizzo tra i teenager più bassa).

Come funziona

Cos’è un tweet? È un messaggio di 140 caratteri, che diventano 120 nei casi in cuivogliamo inserire un link o un’immagine.In quei 140 caratteri, spesso si inseriscono simboli strani e diciture difficili dacomprendere per chi è alle prime armi con questo social network, tra #, @, ow.ly,bit.ly e così via. Esaminiamo un esempio di tweet e elenchiamo di quali parti sicompone.

Hashtag [#].Il simbolo del cancelletto serve a contrassegnare le parole chiave di un tweet. Twitterha trasformato questo carattere in un sistema di indicizzazione dei contenuti. Inaltre parole, gli hashtag sono le etichette che rendono ricercabili e visibili i nostritweet anche da utenti che non ci seguono e non vedono i nostri aggiornamenti in newsfeed.Di conseguenza, sono sia un utile strumento per cercare nuovi account da seguire econversazioni in cui partecipare (es. digitiamo #musei e scopriamo chi ne staparlando), sia l’unico metodo possibile per effettuare delle ricerche su specifici temiin questa piattaforma (es. #medioevo, #Tintoretto, #contemporaryart).Alcuni hashtag sono particolarmente importanti perché raggruppano professionisti enotizie intorno a uno specifico tema. Nel caso della comunicazione digitale per imusei, gli hashtag “must read” sono (fonte Danamus.es): #museweb (musei e progettiweb), #musesocial (musei e social media), #musetech (musei e tecnologie, definite inmaniera molto vasta), #mtogo (musei e tecnologie mobili), #openglam (opendata nelsettore culturale), #musegames (musei e gamification) e #museumed (musei e settoreeducativo).È importante utilizzare gli hashtag anche nei nostri tweet, in modo da renderliricercabili dagli altri utenti e da aumentarne sensibilimente la visibilità.Basta scegliere una parola chiave tra quelle che abbiamo scritto nel tweet – quellagrazie alla quale vorremmo che gli utenti ci trovassero – e digitare un # davanti,facendo attenzione a non usare spazi tra due parole se vogliamo indicizzarle insieme(es. #artecontemporanea) e a non inserire altri segni di punteggiatura o caratteriparticolari (#questoèunhashtag, #questo,invece,nonloè e #neanche&questo).

Siccome un tweet è comunque un messaggio che deve veicolare un testo di sensocompiuto, è bene sforzarsi di utilizzare un numero ridotto di hashtag, fino a unmassimo di 3. Nei casi di hashtag numerosi, la prassi consiglia di utilizzarli tutti allafine del testo, per non ostacolare la lettura del tweet (fonti Girlgeeklife.com eMashable.com).

Mention [@].Il simbolo della chiocciola serve per citare altri profili, indipendentemente dal fattoche siano nostri follower, musei, personaggi famosi etc. Grazie alla mention,possiamo attirare l’attenzione degli altri utenti di Twitter sui nostri contenuti, dalmomento che questa funzione genera una notifica automatica nel profilo di chiabbiamo menzionato.La mention crea un collegamento tra due account ed è il metodo fondamentale periniziare nuove conversazioni e per rispondere a un utente che ci ha menzionati a suavolta.È utilizzata anche nei casi in cui stiamo condividendo un articolo, un sito o un’idea evogliamo dare credito all’autore, citandolo all’interno del nostro tweet: in questicasi, si utilizza comunemente la dicitura “via @nome”.

Url abbreviate.Il motivo per cui spesso gli indirizzi di siti internet su Twitter sono accorciati risalealla necessità di risparmiare caratteri nei 140 totali a disposizione. Siti come Bit.ly,Hootsuite e Wordpress accorciano automaticamente qualsiasi url, mentre se silascia il link lungo, Twitter si limita a tagliare la url con tre puntini di sospensione.

Funzioni.Per ogni tweet inviato, è possibile rispondere all’autore, cliccando sull’appositocomando: in questo modo, Twitter automaticamente metterà all’inizio del tweet chestiamo scrivendo i nomi della o delle persone a cui rispondiamo, gli autori del tweetoriginale, e tutte le persone eventualmente citate nello scambio di tweet.Inoltre, cliccando la funzione “Retweet”, è possibile scegliere di retwittare uncontenuto che ci ha colpito, in modo da farlo comparire nel nostro profilo e dacondividerlo con tutti i nostri follower. Solo nel caso in cui stiamo utilizzando Twitterda smartphone, avremo la possibilità di scegliere se retwittare il tweet così com’è, conil nome dell’autore come account principale, o se citarlo come “quote tweet”,riportando il tweet come nostro e mantenendo la mention dell’autore nel corpo deltweet. In questo secondo caso, è importante sottolineare come il limite dei 140caratteri possa impedire la funzione di citazione, nel caso in cui l’aggiunta della

mention al corpo del tweet dovesse superare la soglia di testo consentita.L’ultima funzione di interazione messa a disposizione da Twitter è la preferenza,ovvero la stellina che funziona da bookmark, consentendoci di salvare un tweet cheriteniamo interessante in una specifica sezione del nostro profilo (la pagina“Preferiti” del nostro menu). Anche se la funzione primaria dei preferiti è lapossibilità di salvare contenuti per successivo approfondimento, nel tempo si èevoluta e ha finito per assumere un altro valore, più simile al “mi piace” di Facebook.Usiamo i preferiti per esprimere il nostro accordo su un’opinione o per ringraziare chici ha menzionato, facendo sapere che abbiamo visto il tweet in cui parla di noi (fontiHi-tech.leonardo.it e 4marketing.biz).

Il profilo

Nel momento in cui ci si iscrive a Twitter, la prima scelta importante da compiereriguarda il Twitter handle, ovvero il nome che ci rappresenta sulla piattaforma e nonsolo. Infatti, questo elemento viene indicizzato da Google ed è tra le prime notizie acomparire quando qualcuno ci cerca online. Per questo motivo, è importantescegliere un nome che sia il più possibile chiaro, riconoscibile e autoesplicativo,evitando sigle difficilmente riconducibili al museo.Nel caso del singolo professionista museale, inoltre, è consigliabile utilizzare unnickname che sia direttamente collegabile al proprio nome e cognome.

La seconda scelta importante riguarda la bio, ovvero il profilo in 160 caratteri che cidefinisce su questo social network. Prima di decidere se seguire o meno un utente suTwitter, se ne controlla la bio, che svolge il ruolo di un vero e proprio biglietto davisita e che, di conseguenza, va curata con estrema attenzione. Spesso una bioincompleta o non chiara può dissuadere un potenziale follower che viene spinto adomandarsi se seguire un determinato utente possa o meno garantirgli di leggerecontenuti rilevanti nel suo news feed.La bio deve parlare di chi siamo. Per un museo, questo significa identificarne latipologia e il luogo, cercando di comunicare in poche parole e con originalità perchévale la pena seguirlo. È sconsigliabile sprecare caratteri per segnalare la propriapresenza social su altri canali, mentre è utile sfruttare l’apposita voce per indicare ilsito dell’istituzione: in questo modo, stiamo dando un’informazione utile egarantendo traffico sulla nostra piattaforma principale.Nel caso di account Twitter individuali, la bio dovrebbe specificare brevemente dicosa ci occupiamo e quali sono le nostre passioni, gli argomenti di cui twittiamo

maggiormente, così che coloro che decidono di seguirci capiscano che cosa aspettarsida noi.Inoltre, se vogliamo identificarci come “professionisti di un determinato museo”, èimportante inserire il disclaimer in cui si specifica che ciò che diciamo non è ilriflesso dell’istituzione per cui lavoriamo. In questo modo, salvaguardiamoassociazioni che possono creare spiacevoli disguidi o influenzare la percezione delmuseo.

Infine, su Twitter la foto del profilo è particolarmente importante perché ciidentifica e ci distingue nel flusso costante e fittissimo di tweet che affolla la home diogni utente.Un museo dovrebbe scegliere un’immagine che sia immediatamente riconducibileall’istituzione e che sia distinguibile nonostante le piccole dimensioni. Nella maggiorparte dei casi, l’immagine ideale è il logo del museo, soprattutto quando è il risultatodi una attività di branding mirata.Considerando che Twitter è la piattaforma perfetta per la costruzione di un networkvirtuale tra professionisti, è fondamentale che le singole persone scelgano fotografiein cui sono riconoscibili. Immaginiamo, infatti, di partecipare a una conferenza in cuisono presenti i nostri contatti di Twitter: avere la foto del nostro cane come immaginedel profilo non favorisce certo la socializzazione.Inoltre, per aiutare gli utenti a riconoscerci e a seguirci, è utile avere un’immagine ilpiù possibile coordinata nei diversi canali, dai social media al sito internet.

Follower e following

La dinamica alla base dell’interazione su Twitter è il follow, ovvero l’azione di“seguire” altri utenti su questo social network, leggendone il flusso di tweet nellanostra home.Quando scegliamo di seguire qualcuno, lo facciamo sulla base della bio che nedescrive gli interessi o per ricambiare il fatto che ha iniziato a seguirci.L’elenco dei following che mano a mano ci costruiamo è una risorsa importantissimaper tenerci aggiornati sui temi che ci interessano più da vicino.Twitter stesso si definisce come “the fastest way to get real time information fromaround the world” (fonte Youtube.com), il che significa che uno dei motivi principaliper cui possiamo usare questo social network è tenerci aggiornati su quello cheaccade nel mondo, con la possibilità di scegliere alcuni settori in particolare. Nel casodei musei, è possibile partecipare a intere conversazioni che riguardano ambiti anche

molto specifici di questo campo, basta sapere quali hashtag cercare (v. sopra) e qualiaccount seguire per tenersi informati su determinati argomenti.

Chi seguire, quindi? Ovviamente gli account di altri musei, a cominciare da quelliche operano nel nostro stesso campo, continuando con quelli che sono più virtuosi epossono rappresentare una best practice su Twitter da cui prendere ispirazione. Maperché limitarsi? Le fonti di informazione possono essere le più disparate, daimagazine online che parlano di arte / scienza / storia etc., agli influencer dei diversisettori e ai singoli professionisti che esprimono nella loro bio e nei loro tweetopinioni interessanti su un determinato tema.Un trucco per scoprire account interessanti, soprattutto quando stiamo muovendo iprimi passi su Twitter, è il pulsante “Following” che troviamo nel profilo di chiseguiamo: prendere spunto dalle scelte di chi è attivo su questo social network da piùtempo di noi è un ottimo inizio per cominciare a capire quali sono i nomi ricorrenti,gli influencer e gli account di riferimento per certi argomenti.Inoltre, per facilitare la scoperta e l’aggiornamento sui trend in corso, Twitter mette adisposizione la tab “Scopri”, nella quale si trovano i tweet e gli account di tendenza,insieme ai suggerimenti utili su chi seguire basati su chi stiamo già seguendo.Quando si ha un elenco di following un po’ consistente, la home di Twitter inizia asovraffollarsi e diventa difficile riuscire a seguire quello che è un vero e propriofiume in piena di tweet. Uno strumento davvero molto utile per organizzare ifollowing sono le liste, che consentono di “isolare dalla massa” gli account cheriteniamo più significativi e di cui non vogliamo perderci neanche un aggiornamento.Twitter consente di creare infinite liste, che possono essere pubbliche o private. Nelcaso delle prime, tutti gli utenti possono vederle e decidere di seguirle, qualora il tipodi argomento e la qualità della selezione di account siano interessanti. In questo senso,dare un’occhiata alle liste di chi seguiamo può essere sempre utile per scoprire nuoviaccount e per decidere di tenerci aggiornati – con un solo click – su un intero gruppodi persone che ci sembrano rilevanti.

Quando, cosa e come twittare

I contenuti che raggiungono le persone su Facebook e su Twitter seguono logichefondamentalmente diverse ed è molto importante conoscerle per definire unastrategia di contenuti che sia in linea con la community che segue il nostro museoonline.Mentre Facebook si basa su un algoritmo che tiene conto della rilevanza dei contenuti

e del rapporto tra chi scrive e chi legge, Twitter funziona in modo puramentecronologico, mostrando tutti i contenuti agli utenti in ordine di pubblicazione, senzaapplicare alcun filtro (fonte Wearesocial.it).Di conseguenza, siamo sicuri che vediamo nella nostra home tutti i tweet degli utentiche stiamo seguendo: l’unico limite è il tempo. In altre parole, se un utente non siconnette a Twitter per un’ora e segue 500 persone, è molto probabile che non vedràmai quello che il nostro museo ha pubblicato 50 minuti prima, dal momento che iltweet sarà notevolmente sceso nell’ordine cronologico della sua home, al punto da nonessere più neanche visibile.Va da sé che su Twitter indovinare la giusta frequenza di pubblicazione deicontenuti è vitale. Anche se gli studi di settore dimostrano che non esiste il momentoperfetto in assoluto per twittare e ottenere l’engagement dei nostri sogni, ci sonocomunque alcune indicazioni di massima che può essere utile tenere presenti (fontiBlog.bufferapp.com e Wearesocial.it). Ad esempio, considerando che la maggioranzadegli utenti di Twitter utilizza la app da smartphone, i picchi più rilevanti diengagement si misurano durante gli spostamenti dei pendolari per raggiungerel’ufficio (8-9 di mattina, 5-6 di sera) e in pausa pranzo. Inoltre, sembra che gliaccount che si rivolgono a un pubblico consumer abbiano percentuali maggiori divisibilità durante i weekend (17%).

Indipendentemente da quello che dicono le statistiche, il ruolo più importante nellaprogrammazione dei tweet è giocato dalla conoscenza della propria community.Esistono diversi tool online gratuiti che consentono di studiare la composizione delnostro target e di scoprirne demografia, preferenze e orari di connessione allapiattaforma. I più utilizzati sono Followerwonk, Twitonomy e Twterland, checonsentono di esportare i dati in grafiche molto utili semplici da interpretare (fonteBee-social.it).Una volta compresi gli orari migliori per condividere i nostri contenuti, possiamo farericorso ad altri strumenti online che ci consentono di programmarne la pubblicazione.Grazie a tool come Tweetdeck, Hootsuite e Buffer – per citare i più famosi –possiamo evitare di doverci ricordare di pubblicare un tweet la domenica dopopranzo. Inoltre, tutti gli strumenti di gestione di Twitter consentono di effettuareanalisi della propria performance, decisamente utili in fase di evaluation (v. capitolo5).

Qual è il numero ideale di tweet al giorno? Anche in questo caso, non esiste unarisposta assoluta. In media, le ricerche dimostrano che l’average engagement ratediminuisce dopo il terzo tweet giornaliero e che, quindi, il numero “giusto” di tweet algiorno si aggira tra i 3 e i 5, quando parliamo di aziende e istituzioni medio-piccole,

tra i 5 e 10 per quelle più consistenti, tra i 20 e i 50 per le aziende del calibro di CocaCola.

Quanto ai contenuti da twittare, è innegabile che Twitter sia un ottimo canale percondividere le attività del museo con un ampio numero di utenti. Dalle collezionialle mostre, dai singoli particolare di un’opera al collegamento con un trending topic,dagli eventi speciali agli hashtag creati ad hoc per determinati contest, quiz einiziative online: i musei hanno infinite riserve di materiali che possono usare perrendere il loro account Twitter interessante, vitale e mai noioso.Detto questo, sarebbe consigliabile cercare di variare i propri contenuti e diintervallare quelli strettamente legati alla vita del museo con altre notizie del settoreche possono interessare i nostri follower.Ad esempio, un museo della scienza può condividere articoli che riguardino scoperte,ricerche e iniziative in corso, mentre un museo archeologico può raccontarebrevemente le gesta di un personaggio del passato, includendo link che rimandino adun approfondimento del contesto storico.L’importante è cercare sempre di mettersi nei panni di chi ci segue e legge i nostriaggiornamenti, per fare in modo di condividere spunti che siano sempre il piùpossibile variegati, interessanti e ad alto tasso di engagement.Su Twitter, è incoraggiata la ri-condivisione dei contenuti altrui: la dinamica delretweet serve a intervallare un profilo altrimenti intasato di propri contenuti e adimostrare l’apertura di un account museale verso questo mondo altamentepartecipativo. Una nota da ricordare: è importante controllare sempre le fonti e lenotizie, qualora si retwittino contenuti altrui. Inoltre, possiamo alternare “retweet” e“quote tweet”, curandoci di aggiungere un commento o una nota per personalizzare lacondivisione, quando lo spazio lo consente.

Come si compone il “tweet perfetto”?

Secondo gli studi di settore, il tweet perfetto è lungo tra i 70 e 100caratteri.In questo modo, i follower che giudicano interessante un nostrocontenuto possono retwittarlo aggiungendo un commento personale(“quote tweet”) e saranno più incentivati alla condivisione. Non si trattadi una regola d’oro, ma è sicuramente un’accortezza che può essere utiletenere presente, qualora ci trovassimo nella situazione di avere ancora50 caratteri a disposizione e di pensare “e ora cosa scrivo?”.

I tweet che contengono immagini registrano un tasso di engagementdue volte superiore rispetto a quelli che non ne hanno.

I tweet che contengono hashtag ricevono un tasso di risposta maggiore,ma attenzione: quelli che hanno solo 1 o 2 hashtag ottengono il 21% diengagement in più rispetto a quelli che ne hanno 3 o più.

I tweet che contengono link hanno l’86% di probabilità in più di essereretwittati rispetto a quelli che non ne hanno.

(Fonti Blog.bufferapp.com, Tracksocial.com, Twittercounter.com/10-ways-to-keep-your-twitter-follower-engaged e Twittercounter.com/making-5-twitter-mistakes)

Live Tweeting

Il live tweeting è l’attività di diffondere in tempo reale via Twitter osservazioni,citazioni e concetti chiave di un evento cui si sta assistendo “in presenza”. È unafunzione che è tipicamente collegata a conferenze e convegni, ma non è detto chedebba limitarsi a questi: si può twittare in diretta un workshop, un evento con ilpubblico, un programma televisivo che riguarda temi connessi all’attività del museo, ecosì via.Perché farlo? Perché un resoconto accurato di un evento a cui poche altre personestanno partecipando ci permetterà di aumentare il numero di follower e diacquisire credito e visibilità nel settore in cui operiamo, sia presso gli utenti cheleggono i nostri tweet “da casa”, sia presso quelli che partecipano all’evento e al livetweeting (fonte Techrepublic.com).Le regole da tenere presenti per un buon live tweeting sono poche e semplici: diamovalore ai nostri tweet, riportando concetti che riteniamo interessanti per chi ci segue;ricordiamoci di utilizzare sempre l’hashtag dell’evento cui stiamo partecipando e dimenzionare l’account dello speaker che stiamo citando; cerchiamo di essere efficacinei tweet e di non over twittare (il rischio di essere percepiti come spam da parte deinostri follower è sempre dietro l’angolo).

Twitter netiquette e altri consigli utili

A differenza di Facebook, Twitter è una piattaforma più complessa, seguita da utentiesigenti e attenti al rispetto della cosiddetta “netiquette” e di alcune regole non scrittedi base (fonti Mashable.com, Autori.fanpage.it, Wired.it e Svegliamuseo.com).

Su Twitter sarebbe meglio:

– ringraziare quando si viene citati, o, per lo meno, dare un segnale chesi è letto il tweet, aggiungendolo ai preferiti;

– rispondere alle domande, dirette e indirette, che ci vengono rivolte;

– retwittare i contenuti che ci riguardano che riteniamo interessanti;

– non re-postare in automatico da altri social, dal momento che, spesso,quest’azione si traduce in tweet incompleti che terminano con i trepuntini di sospensione per ragioni di spazio;

– calibrare bene la frequenza dei tweet in base alle risposte dei proprifollower, cercando di non intasarne il news feed e nello stesso tempo dinon rimanere assenti dalla piattaforma troppo a lungo;

– prestare attenzione alla qualità dei propri contenuti ed evitarecontenuti irrilevanti, incomprensibili o fuori contesto: conta quello chesi twitta, piuttosto che quanto si twitta;

– evitare lo spam e l’autopromozione aggressiva: è un’ottima cosaparlare della propria attività, ma è bene anche diversificare i contenutiche condividiamo con i nostri follower;

– non chiedere il retweet, dal momento che, se quello che scrivi è riccodi spunti e meritevole di essere diffuso, il retweet verrà spontaneamentedai tuoi follower;

– utilizzare la funzione retweet / quote tweet per condividere contenutiinteressanti che riguardano il campo in cui opera il museo, ricordandocidi lasciarne menzionato l’autore: i “furti” di tweet sono davvero malvisti su questa piattaforma;

– non esagerare con gli hashtag: si tratta di parole chiave che servono aindicizzare i contenuti, per cui #non #ha #molto #senso #utilizzarli #per#ogni #parola, anche perché rendono complicata la lettura;

– tenere presenti i parametri di lunghezza e comprensibilità quandocreiamo hashtag ad hoc per determinati eventi: più breve è l’hashtag,più caratteri saranno a disposizione degli utenti per i contenuti deitweet;

– non usare l’account istituzionale come se fosse il nostro megafonopersonale ed evitare di lasciarci trascinare in discussioni che nullahanno a che vedere con la mission del museo e il suo tone of voice;

– fare attenzione alla grammatica e a eventuali correzioni automatichedello smartphone o del tablet: potremmo aver scritto il tweet piùinteressante della storia, ma l’errore grammaticale o sintattico nonspingerà i follower al retweet.

Pinterest

Cos’è

Pinterest è un social network basato sulla condivisione di immagini che consente agliutenti di catalogare passioni e interessi.Il termine “Pinterest” deriva dal verbo inglese “to pin” che significa letteralmente“appuntare, fissare con una puntina”. Di conseguenza, Pinterest è assimilabile a unabacheca virtuale che permette di condividere le cose che troviamo in rete e che cipiacciono, ovvero i nostri “interest”.Entrare in Pinterest equivale a intraprendere un viaggio in un mondo ispirazionale,dove le persone si raccontano attraverso le immagini, lasciando poco spazio alleparole.Questo social network esiste dal 2010 e da allora ha conosciuto una crescitainarrestabile, con 1,2 milioni di utenti registrati ad agosto 2011, 11 milioni a gennaio2012 e ben 70 milioni a ottobre del 2013.I dati ufficiali non sono pubblicati, ma tutte le ricerche condotte da terze particonfermano che Pinterest è oggi uno dei social network più interessanti, al punto chesi trova al ventisettesimo posto nell’elenco dei siti più visitati a livello globale stilato

da Alexa (fontiNymag.com, Alexa.com, Searchenginewatch.com).A livello mondiale, la maggior parte degli utenti di Pinterest sono donne. Questo datoè facilmente collegabile con il fatto che si tratta di un social network basatosoprattutto sul processo di scoperta di “cose belle”. Il principio alla base di Pinterest è,infatti, la differenza tra search e discovery. Quando cerchiamo qualcosa online,abbiamo più o meno già in mente che cosa vogliamo e ci limitiamo a utilizzare il webper trovare quell’oggetto al miglior prezzo o nella variabile che più ci piace. Quandoinvece stiamo scoprendo qualcosa, non si tratta quasi mai di un oggetto di cuieravamo alla ricerca in maniera specifica, ma piuttosto di un’immagine che cicolpisce per la sua bellezza e unicità in mezzo ad altre cose interessanti. Ecco,Pinterest ha categorizzato questo processo di scoperta degli oggetti, soprattutto diquelli “belli”, in grado di colpire visivamente l’osservatore.

Come funziona

Le caratteristiche principali di Pinterest sono l’immediatezza, la semplicità e lavelocità d’uso.La prima cosa da fare è scaricare il “pin it button” dal sito di Pinterest e installarlosulla barra degli strumenti del browser che utilizziamo di solito(Mashable.com/pinterest-beginners-guide). In questo modo, quando navighiamo ininternet e vediamo immagini o altri contenuti multimediali che ci colpiscono, bastaselezionarle con il mouse e cliccare il “pin it button” per sceglierle e “pinnarle”direttamente nel nostro profilo.Il passo successivo sarà organizzare i nostri pin secondo tematiche trasversali. Lostrumento per farlo sono le bacheche o board, che fungono da contenitori e chepossono essere create senza limiti e organizzate sulla base dei temi più svariati. Adogni nuovo pin, infatti, Pinterest richiede in automatico l’inserimento di unadescrizione – anche sommaria – e l’assegnazione dell’immagine pinnata a una board,che può essere già esistente o da creare per l’occasione.Le board sono pubbliche e permettono la connessione tra persone aventi gli stessigusti e interessi; proprio per sottolineare questa potenzialità di connessione tra gliutenti, Pinterest consente anche la gestione condivisa delle board.In sostanza, quindi, se mentre navigo online vedo un’immagine che mi piace, adesempio una riproduzione del Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich,posso cliccare il pin it button direttamente dalla barra di navigazione. Da qui, la possopinnare nella mia board a tema “Arte” o posso creare una nuova board ad hoc e

chiamarla “Giornata malinconica”. Posso anche scegliere se condividere questo mionuovo pin sui miei profili Facebook e Twitter. I collegamenti tra Pinterest e altrisocial network, infatti, consentono di amplificare la visibilità di ogni azione checompiamo e di aumentare a dismisura la rete delle connessioni tra pinners, board epossibili ispirazioni, creando un “effetto social” a cascata.Inoltre, Pinterest consente anche il repin di immagini condivise da altri utenti. Nellanostra home troviamo le attività degli account che abbiamo deciso di seguire e a volteè sufficiente scorrere questo feed per farsi prendere da infinite nuove ispirazioni. Èpossibile seguire un utente, in modo da essere aggiornati su ogni suo nuovo pin, oanche solo le singole board.In generale, grazie alla sua natura altamente visiva, utilizzare Pinterest è molto piùdifficile a dirsi che a farsi.

Pinterest per i musei

Pinterest si inserisce molto bene nella strategia web di quei musei che hanno giàimplementato un sistema integrato di comunicazione online tramite sito e socialnetwork orizzontali, come Facebook e Twitter. In questi casi, Pinterest puòfunzionare da efficiente cassa di risonanza e può contribuire a far conoscere leattività del museo anche molto al di fuori dei confini geografici in cui opera, dalmomento che l’engagment in questa piattaforma è molto più vincolato all’aspettovisivo rispetto a quello testuale.Inoltre, grazie al fatto che alle immagini si può aggiungere una descrizione, Pinterestsi configura come un potente strumento di content curation: il focus è sullaselezione, è la “visione” del curatore che dà coerenza alla board (fontiOscilloscopioazzurro.blogspot.it e Palazzomadamatorino.it). E se questo principio èvalido per un normale utente che organizza i contenuti che trova nel web,immaginiamo quali possono essere le potenzialità per un museo e per le collezioni chesono in esso contenute!

Quali sono, quindi, i principali motivi per cui un museo dovrebbe utilizzare questosocial network?

1. Perché Pinterest consente di mettere in mostra una selezione delleproprie collezioni, ma anche di pubblicizzare le proprie attività, ilbookshop o le stesse altre iniziative online del museo.Permette quindi di avere visibilità presso un pubblico diverso e

decisamente più ampio (non dimentichiamoci che si tratta di unapiattaforma con più di 70 milioni di utenti da tutto il mondo). Inoltre,questo strumento consente di amplificare online le competenze dicuratela che già normalmente caratterizzano un museo: grazie aPinterest, è possibile organizzare in board le mostre più impossibili, gliaccostamenti più creativi, le opere più disparate da diverse parti delmuseo o da diversi musei nel mondo.

2. Perché, grazie alla possibilità di ricevere i commenti e i like degliutenti, il museo riesce a misurare quasi istantaneamente il livello digradimento di un’opera, di un pezzo di una collezione o di una mostra.

3. Perché chiunque può commentare i pin e le board di un utente e imusei possono alimentare il confronto e favorire la collaborazione,invitando i propri follower all’interazione. Inoltre, la possibilità dicreare board condivise rappresenta un’occasione unica di co-creazionedei contenuti insieme al proprio pubblico.

4. Perché l’uso creativo di Pinterest è un’ottima dimostrazione diamore per l’arte e di fedeltà alla propria mission. Che cos’è infatti unmuseo se non un’istituzione al servizio della società, aperta al pubblico ededita a comunicare ed esporre le proprie opere “a fini di studio,educazione e diletto”? E quale strumento migliore di Pinterest per farloin maniera interessante, coinvolgente e alternativa?(Fonti Svegliamuseo.com, Themuseumofthefuture.com,Jennifuchs.tumblr.com, Theguardian.com).

Inspirational

J. Paul Getty Museum – Parola d’ordine: creatività

Pinterest è lo strumento perfetto per dare visibilità alle collezioni, ma occorre evitareil più possibile gli elenchi ripetitivi e noiosi. Il cuore delle attività su questo socialnetwork è l’engagement e un museo dovrebbe sfruttare o inventare temi trasversali cheriescano a colpire chi lo segue e che potranno guadagnargli la simpatia del pubblicoonline: basta usare un po’ di fantasia.Il J. Paul Getty Museum deve essere un riferimento per tutti i musei in questo senso ebasta guardare i titoli delle loro board per capire come un approccio nonconvenzionale sia la chiave del successo su Pinterest. Monkeys in the Margins, sulleminiature medievali, Separated at Birth?, sulle somiglianze tra le opere d’arte, MachoMustached Men, sulla imperversante moda dell’uomo con i baffi, e così via: nonstupisce che questo museo superi il milione di follower!

LACMA – Focus sul museo

Il Los Angeles County Museum of Art può essere un buon riferimento per quei museiche desiderano utilizzare Pinterest per presentarsi in maniera insolita e ad unpubblico più vasto di quello che frequenta il loro sito internet.Il LACMA ha creato board tematiche che accompagnano il visitatore attraverso lesale del museo, consentendogli di esplorarne le diverse attività, le evoluzioni nellastoria e gli angoli più remoti. Meritano LACMA Through the Years, Places & Spaces eConservation at LACMA.

Diefenbunker Museum – We love our community!

Lo dice il titolo stesso della board: il Diefenbunker Museum, in Canada, usa Pinterestsoprattutto per costruire e premiare la community degli appassionati del museo.Grazie all’uso delle board condivise e alla scelta di temi come Education andProgramming, con idee fai-da-te da realizzare dentro e fuori il museo, e Love UnderCover, con spunti per la festa di San Valentino al museo, sembra proprio che ilDiefenbunker stia riuscendo nell’impresa di far sentire il pubblico al centro delleproprie attività, anche online.

Smithsonian – Occhio al calendario

Sarà complice il fatto che lo Smithsonian comprende 19 musei, ma il loro profilo diPinterest è davvero bello da guardare. In particolare, lo segnalerei per la bravura concui riescono a collegare le board al calendario, ovvero alle festività e agli eventi –sportivi e non – che nel frattempo succedono nel mondo. Qualche esempio creativo?Smiths-Ho-Ho-Ho-nian, Superb Owls, Happy Haunting Halloween e Take me out to theball game.

Chicago History Museum – Un punto di riferimento per la città (e per lo shopping)

Il Chicago History Museum è l’esempio perfetto di museo che punta a essere unriferimento per il proprio territorio su Pinterest. In sostanza, chi cerca immagini diChicago finisce prima o poi sul loro profilo: hanno board per tutti i gusti, da Biking inChicago a Chicago Families, da Chicago Flora & Fauna a Chinese Chicago e così via.È anche interessante far notare la board a tema Museum Store, che raccoglie tutti glioggetti presenti nel bookshop e che è collegata all’e-commerce del museo, dovel’utente può direttamente acquistare quello che lo colpisce particolarmente.

Instagram

Cos’è

Instagram è una piattaforma online e mobile per la condivisione di foto e video. Ilprogramma permette l’applicazione di filtri che creano un effetto “vintage” sugliscatti, nonché una manipolazione di base delle immagini (dimensione, rotazione,illuminazione).Instagram consente, inoltre, di condividere le foto opportunamente modificate efiltrate direttamente su Facebook, Twitter, Tumblr e Flickr.Fondato da Kevin Systrom e Mike Krieger nell’ottobre 2010, questo social network èstato poi comprato da Facebook nell’aprile 2012. Nei due mesi successivi al suolancio, Instagram ha raggiunto un milione di utenti registrati. Nel 2013, infine, lapiattaforma è stata implementata grazie all’aggiunta di una funzione video e,successivamente, di Instagram Direct, il servizio di messaggistica che consente diinviare foto privatamente a un gruppo di massimo quindici destinatari.

Oggi su Instagram ci sono circa 200 milioni di utenti attivi al mese, una popolazioneperaltro molto giovane, se consideriamo che il 37% dei ragazzi tra i 18 e i 29 anni loutilizza. Il 68% dell’utenza di Instagram è composta da donne, e, più in generale, il17% degli utenti di internet passa il suo tempo su questo social network (fontiJennstrends.com/instagram-statistics-for-2014/, Blog.instagram.com eJennstrends.com/limits-on-instagram/). Quest’ultimo, in particolare, è un dato su cuiriflettere quando pensiamo alle “piattaforme social su cui è necessario avere unapresenza istituzionale”14.Tra le tipologie di contenuti che si possono trovare su Instagram, troviamo soprattuttofoto artistiche e dettagli e scorci “hip”. In questo senso, il claim di Instagram è“Capture and Share the World’s Moments”. Vale a dire che questo social networkincoraggia la condivisione di frammenti della vita, dei viaggi e degli interessi dei suoiutenti, configurandosi come un diario visivo molto potente ed esteticamenteattraente. Lo stesso principio si applica agli Instagram Video.In un blog post sull’assenza di mobile app memorabili create da musei, Koven Smithcita Instagram come app “eccezionale”15. Il motivo è che Instagram fa leva su uncomportamento che la gente aveva già prima che facessero la loro comparsasmartphone e tablet – fare foto e condividerle – e lo rende molto più semplice. Inaltre parole, Instagram fornisce gli strumenti per democratizzare una tendenza erenderla norma.

Come funziona

Nonostante esista una versione desktop, Instagram è una piattaforma prettamentemobile: l’atto stesso di scattare una foto e condividerla è ormai profondamenteintegrato tra i comportamenti che abbiamo quando siamo in giro con il nostrosmartphone. Inoltre, la versione desktop non consente di caricare foto e Instagramnon offre la possibilità di programmare i post in anticipo, sia in-app, sia con altrepiattaforme come Hootsuite.È possibile scattare una foto e modificarla direttamente dalla app, oppure si puòcaricarne una già scattata in precedenza.Una volta caricata la foto, ci troviamo davanti a una schermata con gli editing tool.Questi consentono di zoomare e raddrizzare uno scatto, di cambiare variabili comeluminosità, contrasto ed esposizione, e di aggiungere una cornice.La parte veramente divertente è legata all’applicazione dei filtri: differenti “stili” cheagiscono su colori e luminosità, creando una patina vintage veramente unica ericordando gli effetti della fotografia analogica delle toy camera. Il fattore che esalta

ulteriormente questa componente estetica ed è anche la “firma” di Instagram è ilformato sempre quadrato delle immagini.

Dopo aver modificato la foto, è possibile inserire una didascalia, con un limite di2200 caratteri. Questo spazio è dedicato alla descrizione della foto e all’inserimentodegli hashtag principali.Gli hashtag sono una componente fondamentale di Instagram, dal momento checostituiscono il modo fondamentale per la ricerca dei contenuti da parte degli utenti.Di conseguenza, a meno che qualcuno non vi segua già, l’hashtag è l’unico modoattraverso cui un determinato utente può scoprirvi su Instagram. Facciamo unesempio: se un utente, in qualunque parte del mondo si trovi, è interessato alle opere

dei Preraffaelliti, cercherà sicuramente il relativo hashtag e potrebbe così scoprirel’account Instagram di 24 Ore Cultura, che attualmente gestisce la mostra su questomovimento artistico a Palazzo Chiablese a Torino.Le regole di “bon ton” relative agli hashtag e alle mention sono le stesse che si possonoapplicare a qualsiasi altro social media: evitare gli hashtag troppo lunghi o la divisionedi una frase in tanti hashtag; evitare parole o mention irrilevanti solo per raggiungereun bacino più ampio e sperare di raccogliere più like (il più delle volte verretepercepiti come spam e perderete credibilità).Ricordiamo inoltre che nella didascalia della foto non possono essere inseriti link, èquindi necessario sfruttare lo spazio disponibile per la creazione di un messaggiochiaro ed esplicativo.

Una volta che la foto è pronta, può essere applicata anche una location page, peridentificare il luogo in cui è stata scattata. Questo aspetto diventa cruciale per imusei, in quanto i contenuti di Instagram possono essere filtrati anche attraversoqueste pagine. Fate in modo di averne una permette di recuperare tutte le foto cheriguardano un’istituzione e di massimizzare la ricerca. Inoltre, si può scegliere digeolocalizzare un’immagine: accedendo a quest’opzione, sarà possibile raccogliere suuna mappa, accessibile in home page, tutte le foto scattate.È inoltre possibile essere taggati e taggare altri utenti: le foto in cui siete taggatiappariranno in una specifica sezione, accessibile dalla vostra home page. (FontiSlideshare.net e Youtube.com).

La funzione video consente la creazione e il caricamento di filmati di massimo 15secondi. Non ci sono strumenti di back end che permettono di editare e montare ilvideo, ma è tuttavia possibile caricare video girati ed editati precedentemente, sia dacomputer sia da cellulare.La funzione video consente l’applicazione di filtri che sono completamente differentida quelli delle foto.Il video, una volta finito, non consente la funzione loop: in questo senso, una volta chel’utente l’ha visto, dovrà cliccare nuovamente su play per rivederlo, contrariamente aquanto succede su Vine in cui il video riparte automaticamente.

Su Instagram gli utenti possono interagire tramite commenti o likes. È possibilevisualizzare le foto su cui gli utenti che seguiamo hanno fatto like. Questa funzionenon è da sottovalutare se si pensa a come raggiungere “gli amici degli amici” che sononelle stesse communities dei nostri followers e, potenzialmente, possono essereinteressati ai nostri contenuti.

Instagram per i musei

Quali sono i motivi principali per cui un museo dovrebbe usare questo socialnetwork?

1. La quantità di utenti attivi su Instagram lo classifica come uno dei“must to be on” social network. Inoltre, l’età media della maggior partedegli utenti lo rende particolarmente interessante: i giovani, infatti,sono spesso una delle categorie di visitatori che i musei fanno più faticaa coinvolgere.

2. La componente estetica che caratterizza Instagram si presta moltobene ai tipi di contenuti che i musei possono condividere. Non solo artee oggetti particolarmente affascinanti, ma anche scorci degli edifici escatti da eventi o programmi. Inoltre, con Instagram si possonoevidenziare dettagli affascinanti dalla collezione che normalmente nonverrebbero notati, attirando così potenzialmente l’attenzione su oggettimeno popolari o conosciuti.

3. Instagram si presta moltissimo alla condivisione di momenti da“dietro le quinte”. Dai depositi alle movimentazioni di oggetti, daglieventi all’attività di ufficio: basta un po’ di fantasia e l’universo museopuò entrare e spopolare nella cornice quadrata di questo social network.

4. L’immediatezza di un social visivo, abbinata alle potenzialità di unapiattaforma mobile. A differenza di Pinterest, Instagram viveprettamente su uno smartphone. È lì che si trovano tutte le foto e videoe da lì le posso condividere con estrema facilità. Questa componentefavorisce la condivisione di immagini da parte del pubblico, anchedurante la visita al museo, e la creazione di iniziative da parte delmuseo, come photo contest e instawalk(Instagramers.com/destacados/how-to-organize-an-instameet/), peraumentare l’engagement. La possibilità di scrivere brevi didascalie,inoltre, consente di aggiungere domande, quiz o concorsi e distrutturare la componente descrittiva della storia che viene raccontataper immagini.

Inspirational

Il Metropolitan Museum of Art vince un Webby AwardSarà per gli scatti da Met Gala, o per le impressioni del Tempio di Dendur nellaSackler Wing, ma è veramente difficile non trovare “momenti instagrammabili” in unmuseo come il Met. Il suo profilo Instagram ha da poco vinto un Webby Award16

nella sezione Social: Art and Culture.Sebbene il museo rimanga “gelidamente” poco interattivo in termini di commenti eincoraggiamenti, le foto dimostrano come un’istituzione possa far leva sulla bellezzadegli spazi e degli eventi e celebrarla attraverso un social network.

SF MoMA con #PlayartfullyIl San Francisco MoMA invita gli utenti a scoprire l’arte nel mondo intorno a loroattraverso un piccolo gioco. Il museo, al momento chiuso per lavori di rinnovo, usa lacittà come un playground, chiedendo agli utenti di cercare l’arte nei posti piùsorprendenti e di postarla con l’hashtag #PlayArtfully. Il gioco prende piede su diversisocial network, ma la versione di Instagram è decisamente la più strutturata. Ognigiorno il museo posta un “prompt” con una grafica apposita per la piattaforma.

#CupForFund Palazzo MadamaNel 2013, Palazzo Madama ha organizzato la prima campagna di crowdfundingitaliana per l’acquisto di un servizio di porcellana del 1730, un tempo appartenuto allafamiglia Taparelli D’Azeglio, famiglia di Torino. La campagna social per l’iniziativaha incluso l’hashtag #cupforfund e la call to action che invitava pubblico a scattarefoto delle tazze preferite postandole su Instagram.Nell’ambito di quest’iniziativa, Palazzo Madama e Instagrammers hanno lavoratoinsieme per l’organizzazione di una Instawalk in cui i visitatori erano invitati avisitare il museo e a condividere foto della propria tazza, generando occasioni per ladonazione.

MoMA affida a curatrice in trasferta l’Instagram account del museoCuratori, ricercatori e conservatori dei musei viaggiano continuamente per seguireprestiti o fare ricerca sul campo. Durante questi viaggi, visitano città, musei ed eventi,entrano in contatto con opportunità di arricchimento professionale e personale che siestendono a tutta l’istituzione. Perché non capitalizzare in termini social? Il MoMAaffida per alcuni giorni l’account Instagram ai suoi curatori in viaggio. Un esempio?la curatrice Roxana Marcoci, in visita a Berlino.

Nga organizza un InstameetLa National Gallery of Art ha da poco aperto il suo canale Instagram. Comeguadagnare follower e contenuti per il canale in una volta sola, promuovendo nelcontempo anche le attività del Museo? Organizzando un Instameet naturalmente!

Amsterdam Tattoo Museum mette in vetrina le proprie attivitàL’Amsterdam Tattoo Museum conserva la collezione del famoso tattoo artist Henk‘Hanky Panky’ Schiffmacher. Il museo ha attraversato diversi problemi economici chelo hanno costretto a cambiare sede, tuttavia la community di tatuatori e artistiinternazionali che ruota intorno a quest’istituzione è sempre rimasta molto unita. Ilmuseo ospita anche uno studio in cui tatuatori offrono i loro servizi. Il canaleInstagram è una vetrina di tutte le attività che il museo porta avanti: dalle fiere aglieventi, dalle serate folli a work in progress sulla pelle dei clienti, la voce di questocanale è tutt’altro che seria e istituzionale. Il museo utilizza questo social network conlo stesso spirito irriverente e amichevole che lo caratterizza.

Flickr

Cos’è

Flickr è una piattaforma di photo e video sharing nata nel 2004 e acquisita da Yahoonel 2005.La community di questo social network è in costante crescita: a marzo 2013, infatti,la piattaforma contava 87 milioni di utenti.Flickr stabilisce due principali obiettivi: aiutare gli utenti a mettere le foto adisposizione delle persone interessate e abilitare nuovi metodi per l’organizzazionedelle foto e dei video. Si tratta di due semplici punti, tuttavia è interessante notarecome questi soddisfino esigenze nate con il digitale. Un tempo sviluppavamo i rullinie organizzavamo foto in album cartacei, che accatastavamo su mensole polverose,pronti per essere consultati in occasioni particolari insieme alla famiglia. Sedovessimo compiere oggi quell’operazione verremmo sommersi da materiale, basticonsiderare la quantità di foto che archiviamo digitalmente – su computer osmartphone/tablet – anche senza essere fotografi professionisti.La community di Flickr è molto variegata. Oltre a utenti che impiegano questapiattaforma per l’organizzazione dei loro contenuti video e foto, questa raccoglieanche fotografi professionisti o amatoriali che la utilizzano come vetrina per i proprilavori.

Come funziona

Foto e video possono essere consultati e scaricati senza dover creare un account,tuttavia, per caricare contenuti è necessario registrarsi.Le foto e i video possono essere titolati e taggati, e quest’ultima azione può esserecompiuta anche dagli utenti non autori, qualora il proprietario lo consenta.Flickr è stato riconosciuto come il primo esempio di uso effettivo della “folcsonomia”o folksonomy, ovvero la pratica di assegnare tag a un contenuto al fine diindicizzarlo. Tale pratica può essere “broad”, quando è collaborativa e compiuta dapiù utenti, o “narrow” quando è soltanto colui che pubblica il contenuto a taggarlo.(Fonti: Wikipedia.org; Flickr.com/about/; Stephanspencer.com)Gli utenti possono anche commentare i contenuti, quando aperti. Infatti, Flickrconsente la gestione di profili privati e pubblici. Altra interessante funzione ècostituita dalle note che gli utenti possono postare direttamente sulla foto persegnalarne o commentarne i particolari. Ecco un (esempio).

Gli utenti di Flickr possono organizzare le foto in album e una stessa foto può entrarea far parte di più album. Gli stessi album possono inoltre rientrare in collezioni,organizzate, a loro volta, in collezioni di categoria più alta. È inoltre possibilegeolocalizzare le immagini, che finiranno su una mappa. La mappa, così come ognicontenuto caricato su Flickr, può essere incorporata in blog e siti terzi.

Una delle funzioni più interessanti di questa piattaforma è quella che consente dirilasciare immagini sotto licenze, prevalentemente Creative Commons, o avere“Tutti i diritti riservati” di quello che si carica. Le licenze Commons consentono discaricare e riutilizzare le immagini a determinate condizioni. È possibile, attraversoricerche avanzate, selezionare le immagini con licenze CC per una data parola chiave.(Fonti: Flickr.com/creativecommons/; Creativecommons.org/licenses)

Tra le licenze Commons che Flickr utilizza segnaliamo le principali:

Attribuzione CC BY: raccomandata per l’uso massimo dei materiali, consente a terzidi distribuire, modificare e utilizzare, anche commercialmente, un’opera affinchè siadato credito all’autore.

Attribuzione CC BY-NC: consente ad altri di copiare, distribuire, visualizzare edelaborare un’opera (e opere derivanti) a fini esclusivamente non commerciali. Leopere derivate dovranno accreditare l’autore ed essere non commerciali. Tuttavia,

queste non devono a loro volta licenziare le opere derivate nello stesso modo.

Attribuzione CC BY-ND: questa licenza permette la ridistribuzione, commerciale enon, segnalando il credito e non modificando l’opera.

Attribuzione CC BY-SA: questa licenza permette a terzi di modificare, ottimizzareed utilizzare l’opera come base, creditando l’autore. L’uso commerciale è consentito ameno che non sia specificato diversamente. Le nuove creazioni dovranno sottostare aimedesimi termini. Wikipedia, così come alcuni software open source, utilizzanoquesta licenza che è consigliata per materiali che potrebbero beneficiaredell’incorporazione di contenuti da progetti come Wikipedia o simili.

Flickr per i musei

Come accennato, Flickr è, prima di tutto, un potente strumento per l’organizzazionedi contenuti video e fotografici.Al di là della conservazione di immagini della collezione e delle foto storiche, i museiproducono una quantità importante di fotografie durante eventi, inaugurazioni ooperazioni “behind the scenes” – come conservazione e movimentazioni. Flickr puòrappresentare un ottimo strumento per garantire la loro organizzazione, anche se nonfinalizzata alla diffusione al pubblico, ma solo internamente o tra i principalistakeholder.Inoltre, caricare contenuti su Flickr permette di avere una base “linkabile” per altricontenuti, come blog post, altre piattaforme social o perfino apps e chioschiinterattivi.Le istituzioni culturali possono utilizzare questo strumento in modi creativi e radicali.Ad esempio, l’uso di Flickr per i musei può ispirare la realizzazione di mostre co-curate con il pubblico e altre iniziative a partire dalle immagini.Diversamente, la piattaforma offre degli strumenti utili anche a soddisfare sempliciesigenze organizzative, come il supporto alla gestione dell’archivio fotografico.Quest’ultima opzione, tuttavia, fa sorgere domande sulle possibilità tecniche emuseologiche, per la conservazione di quello che diventerebbe, a tutti gli effetti, unarchivio digitale. (vedi Museumsandtheweb.com)

Diversi musei postano ormai foto su Flickr rilasciate senza particolari restrizioni,come parte del progetto The Commons on Flickr. La piattaforma definisce questosviluppo come un modo per condividere i tesori nascosti negli archivi fotografici del

mondo e, successivamente, mostrare come l’input delle istituzioni che le rilascianopossa renderle ancora più ricche.

Le licenze Creative Commons offrono un’alternativa al copyright totale e sollevanoriflessioni – anche controverse – su come i musei possano garantire o limitarel’accesso alle loro collezioni. Sebbene il dibattito non possa soltanto limitarsi a Flickre ai materiali fotografici, ma includa opere, manoscritti, documenti d’archivio e altroancora, i musei non possono ignorare questa importantissima tendenza. Grandiistituzioni hanno già messo a disposizione alcuni archivi fotografici attraversoquesta piattaforma che può rappresentare un punto di partenza, un piccolo passo, suuna strada verso una maggiore apertura. (vedi Museumsandtheweb.com)

In conclusione, aggiungiamo che, rispetto alle altre piattaforme di photo sharing,Flickr fornisce un supporto più “istituzionale” e permette l’aggregazione di contenutidi vario genere. È comunque presente un aspetto “curatoriale”, come in Pinterest,nella creazione di albums e collezioni. Tuttavia, Flickr rappresenta la base della“piramide social” considerando la flessibilità con cui i contenuti pubblicati possonoessere riutilizzati e linkati anche dalla stessa istituzione su una molteplicità di altrepiattaforme.

Inspirational

Common Ground: a community-curated meetupNel 2009 le istituzioni aderenti al The Commons on Flickr hanno organizzato unameet up in differenti luoghi intorno al mondo. Questo tipo di evento, oggi sempre piùcomune e conosciuto come tweetup o instawalk, ha rappresentato una delle primeoccasioni di riflessione sulle comunità online nonchè sulla sovrapposizione tra Web eesperienza fisica nel museo.

The Powerhouse MuseumUna delle istituzioni che fanno parte di The Commons condivide su Flickr immaginiprovenienti dalle tre maggiori collezioni storiche. Queste possono essere condiviseliberamente in quanto i diritti su queste immagini sono decaduti. Tra gli utilizzi piùinteressanti, abbiamo la serie Then & Now di Paul Wagon, un programmatoreaustraliano che, attraverso le API di Flickr, ha combinato le immagini storiche deiluoghi del museo con le immagini dei luoghi attuali, assemblandole su Google MapsStreet View.

A titolo informativo, segnaliamo un’altra piattaforma che consente di mappare siticulturali e di aggiungervi “uno strato” con foto storiche e di archivio, nonchécontenuti inaspettati: HistoryPin.

Tumblr

Cos’è

Tumblr è una piattaforma di micro-blogging fondata da David Karp nel 2007 eacquistata da Yahoo!Inc. nel 2013.È un social network che consente agli utenti di postare multimedia e contenutitestuali in piattaforme simili a blog, tuttavia più brevi e, soprattutto, più dinamiche.Le tipologie di blog sono diversissime, ma sempre caratterizzate da una particolarecura dei dettagli: da collezioni di illustrazioni a blog tematici su cinema, cucina,fumetti etc., a veri e propri diari personali, fino alla proposta di matrimonio del 2009(fonte Techcrunch.com).Ad oggi sono presenti 188.7 milioni di blog su Tumblr per un totale di 88,297,300post. La piattaforma supporta 13 lingue, ma il focus principale degli utenti nonsembra essere il testo scritto: secondo un articolo di Mashable, già nel 2011 quasi lametà dei post su questo social era costituito da immagini (fonte Mashable.com).La maggioranza degli utenti ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni, seguita dallafascia tra i 35 e i 49 anni. I tempi di permanenza degli utenti sulla piattaforma sonoelevati, con un’ora e mezza di media al mese per persona, un record che è superatosolo da Facebook (vedi Comeusare.tumblr.com).

Come funziona?

Postare su Tumblr è molto semplice: gli utenti possono accedere alla propria homepage o dashboard, che contiene gli aggiornamenti di tutti i blog che hanno deciso diseguire. Dalla dashboard è possibile commentare, ri-bloggare (retumblr) e fare like aipost.La dashboard permette anche di caricare post di testo, immagini, video, citazioni elink, ed è possibile programmare la pubblicazione dei post. Inoltre, l’utente puòscegliere di connettere il proprio blog su Tumblr a Twitter e Facebook.Sulla dashboard è inoltre presente il Tumblr Radar, uno spazio in cui compaiono

contenuti particolarmente interessanti curati dallo staff del social network.Tumblr utilizza le tag: si tratta di parole chiave che ogni utente può inserire all’internodel post che sta pubblicando, per permettere agli altri utenti di cercare e filtrare icontenuti per tema.Questa piattaforma consente anche di editare lo stile e l’aspetto del proprio blog efornisce una buona scelta di temi predefiniti e modificabili in HTML. Infine, èanche possibile personalizzare l’URL del proprio blog.Un aspetto molto positivo di Tumblr è che, essendo sostenuto da finanziatori privati, èuno dei pochi social network che non contengono pubblicità. Tuttavia, il sistemapermette di evidenziare i propri contenuti rispetto ad altri, pagando una cifraabbastanza bassa.

Tumblr per i musei

Tumblr consente la creazione di contenuti molto particolari. Pur avendo dinamichesimili a Twitter e l’immediatezza visiva di Instagram, consente di postare diversetipologie di media senza particolari limiti di spazio.Le GIF (Graphics Interchange Format) sono una componente molto popolare suTumblr: si tratta infatti di immagini dal tono particolarmente ironico e leggero chevengono animate per singoli frame, senza audio, spesso dotate di sottotitoli.In questo senso, Tumblr è la piattaforma ideale per contenuti semi-dinamici. Oggettie opere museali, tipicamente “immobili” e spesso non manipolabili, possono quindiprendere vita grazie alle GIF e, ad esempio, è possibile mostrare il funzionamento diuna macchina di Leonardo o far sì che la famosa Dama accarezzi l’ermellino.L’elemento di “serendipity” sembra la firma di questo social network: è un canale incui un dettaglio nascosto o un oggetto poco conosciuto possono funzionare daelemento di attrazione per raccontare una storia, con una componente di sorpresa chericorda quella che ci assale quando troviamo qualcosa di inaspettato in soffitta.Tumblr costituisce una piattaforma relativamente impegnativa in termini di creazionedi contenuti “tagliati” su di essa, non riciclati da altri social. Tuttavia, la quantità diutenti che lo usano e il suo spirito giovane e a tratti ironico lo rendono un canaleveramente particolare, che, se usato con la giusta strategia, può fornire tantissimispunti a un museo. (Fonti Theguardian.com e Museumnerd.tumblr.com).

Inspirational

Horniman Museum & GardensVincitore del Best of the Web 2014 per la categoria social, il Tumblr dell’HornimanMuseum & Gardens sembra una scatola magica piena di oggetti bizzarri, creaturemisteriose e decorazioni di altri tempi.Il team del museo ha trasformato un’operazione completamente interna – la revisionedell’archivio della collezione – in un evento social. Il Tumblr raccoglie infatti tutti glioggetti curiosi e inaspettati che il team trova nei depositi, aprendo al pubblico le portesu questa componente “dietro le quinte”.

Smithsonian LibrariesIl team “diffuso” delle Smithsonian Libraries fa un uso totalmente nuovo di Tumblr,creando GIF animate dai libri nella collezione. Il risultato è un mix divertentissimoche racconta e anima storie altrimenti immobili sulla pagina. Scelte per il TumblrRadar per ben otto volte, queste GIF sono frutto del lavoro di un vero e proprioartista.

Brooklyn Museum – Keith Haring’s JournalIl Brooklyn Museum, nell’ambito della mostra su Keith Haring, ha postato ogni giornouna pagina del diario dell’artista su un account Tumblr appositamente aperto.All’interno della mostra, una postazione iPad permetteva di accedere al Tumblr econsultarne i contenuti.

Exploratorium – ExplodingtoriumIl famosissimo Science Center di San Francisco ha un account Tumblr, associato aquello più “istituzionale”, che utilizza per postare foto storiche. Queste raccontano lastoria dell’istituzione e danno la possibilità di esplorare gli archivi, altrimentiinaccessibili al pubblico.

YouTube e video

Cosa sono

YouTube è una piattaforma web gratuita per la condivisione e visualizzazione in retedi video (video sharing). Il nome deriva dal termine “tube”, che in slang inglese indicala televisione e si riferisce ai primi modelli dotati di tubo catodico, affiancato alpronome “you”: dunque “you tube” significa “tu fai la televisione”, proprio inrelazione alla capacità fornita dal servizio di organizzare propri canali e raccolte divideo, autoprodotti o recuperati in rete.Fondato nel 2005 da Chad Hurley, Steve Chen e Jawed Karim e divenuto proprietà diGoogle Inc. già dal 2006, è il terzo sito web più visitato al mondo dopo Google e

Facebook, nonché il secondo motore di ricerca dopo il colosso di Mountain View. Idati ufficiali rivelano che ogni mese più di un miliardo di utenti unici visitaYouTube, vengono guardati oltre 6 miliardi di ore di video (pari a quasi un’ora perogni persona sulla Terra) e ogni minuto viene effettuato l’upload di 100 ore di filmati(fonti Statista.com e Youtube.com). Secondo Nielsen, YouTube raggiunge piùamericani adulti nella fascia di età 18-34 anni rispetto a qualsiasi rete via cavo.YouTube ha una vera audience internazionale molto diversificata, non c’è dasorprendersi considerando la varietà di contenuti che vi si possono trovare. Tra i videoche possiamo ritenere più popolari abbiamo Vlog (video blog personali su diversiargomenti, Comedy skits, Gaming (un’interessante sub-cultura di YouTube includeutenti che registrano e trasmettono partite con videogiochi), Educational, Musica,Artisti e perfino video che includono effetti speciali.

Vine è un’applicazione gratuita che permette agli utenti di creare direttamente dalproprio telefono video in loop della durata massima di 6,5 secondi, chiamati appuntovines, e di condividerli su diversi servizi di social networking, come Facebook oTwitter.Secondo i dati diffusi da Twitter, che ha rilevato la start up nel 2012, pochi mesidopo il lancio ad opera degli ideatori Dom Hofmann, Rus Yusupov e Colin Kroll,nell’agosto 2013 Vine segnava quota 40 milioni di utenti registrati (vediTwitter.com/vineapp e Mashable.com); non esistono però cifre ufficiali circa il realenumero dei profili attivi o ulteriori aggiornamenti a riguardo (fonte Theverge.com).La community di Vine include giovani utenti nonché artisti e creativi. Si tratta di unacommunity relativamente piccola e in Italia la app non ha ancora presoparticolarmente piede. Gli utenti di Vine e YouTube sono simili in termini didemografica: giovani tra i 18 e i 29 anni. Capita spesso, inoltre, che le community deidue canali collaborino: Youtubers molto popolari, specie quelli che creano comedyskits e video virali, sono solitamente attivi anche su Vine.

La possibilità di realizzare brevi filmati è simile alla funzione video di Instagram –discussa nel capitolo dedicato a questa piattaforma – , se si eccettua la differentedurata dei filmati, che per l’applicazione ora di proprietà di Facebook è compresa trai 3 e i 15 secondi. Inoltre, mentre per Vine il loop del video è automatico, Instagramrichiede il tap dell’utente per farlo ripartire ogni volta.

Un’ultima piattaforma che permette la condivisione video è Vimeo, fondata nel 2004.Vimeo raccoglie unisce soprattutto un pubblico di appassionati e professionisti dicinema e animazione. I maggiori contenuti che vi si trovano, infatti, sono corti,

cartoni e film indipendenti nonché documentari con una vena particolarmente“artistica”.

Come funzionano

YouTube presenta diverse possibilità di utenza, in forma passiva ed attiva.La prima consiste nell’utilizzo della piattaforma come fosse praticamente un motoredi ricerca da interrogare per ottenere video su un dato argomento o prodotto da unospecifico autore. Come accennato, la piattaforma è il secondo motore di ricerca dopoGoogle. Questo significa che chi usa questa piattaforma per caricare contenuti deveprestare attenzione alla titolazione, scegliendo parole efficaci ma semplici, così daagevolarne la ricerca da parte degli utenti.Il livello successivo si traduce nella sottoscrizione di un account personale (piùpropriamente detto “canale”, collegato ad un indirizzo Gmail) che consente dicommentare, raccogliere ed organizzare i filmati preferiti in archivi (“playlist”) inbase al soggetto o ai gusti personali.Questa seconda modalità prevede non solo la visualizzazione ma anche la produzionee l’immissione in rete di contenuti propri, a loro volta sistemati entro playlist.

Pubblicare un video su YouTube è molto semplice: una volta lanciate le proceduredi caricamento del file dal proprio pc (è anche possibile registrare direttamente dallawebcam o creare una slideshow) si aprirà una finestra che consentirà di inserire leinformazioni di base relative al contenuto del filmato, come il titolo, la descrizione, itag e le impostazioni circa la privacy, tutti dati utili per la rintracciabilità in retedell’opera pubblicata. Una seconda schermata permetterà di definire in dettaglioulteriori preferenze circa, ad esempio, i commenti di terzi, la localizzazione, lelicenze di riproduzione e distribuzione (ovvero la possibilità di incorporare il video insiti esterni), la categoria di appartenenza e le statistiche.Recenti innovazioni del servizio consentono ora di personalizzare un canale YouTubecon elementi grafici selezionati tra i propri scatti oppure tra quelli messi adisposizione sulla piattaforma stessa (Channel Art). Si tratta di una caratteristicautile a chi intenda rafforzare il proprio brand o coordinare l’immagine, ad esempio, sututte le piattaforme social in cui è presente. Esistono inoltre un music store, peraggiungere musica ai video che l’utente crea o carica, e un servizio di sottotitolazionedei contenuti. I sottotitoli, particolarmente importanti quando si pensaall’accessibilità di filmati, possono essere caricati individualmente, creati attraversovoice recognition – in questo caso è consigliata la revisione – o generati mediante una

richiesta agli utenti del canale.

YouTube fornisce diversi strumenti di back-end per osservare gli analytics delcanale, molto utili per tenere sotto controllo andamenti, utenza e durata dellavisualizzazione.Ricordiamo inoltre che, attraverso Google Hangout, è possibile impostare unostreaming live sul proprio canale YouTube.È possibile anche incorporare pubblicità all’interno di un canale, così come esistonocanali a pagamento. È prevista, inoltre, la possibilità di impostare la ricezione didonazioni sul proprio canale. Il merchandising è infine parte della YouTube Culture:se un canale ha particolare successo, contiene slogan e personaggi che diventanopopolari tra gli utenti, è pratica comune creare t-shirts e gadgets dedicati. (FontiSupport.google.com, Chefuturo.it, Dixieleigh.com, Support.google.com/youtube,Youtube.com, Tuttosuyoutube.it, Support.google.com/youtube/answer)

È possibile caricare un video su Vine solo attraverso la app, filmando direttamentecon il proprio dispositivo mobile. Non è possibile importare video da altrepiattaforme, cosa invece realizzabile con Instagram, YouTube e Vimeo. La app offrestrumenti di video editing piuttosto elaborati che permettono la gestione di effetti emontaggio anche complessi. La versione desktop, uscita recentemente, permette solodi ripostare i video di altri utenti (revine).Come dicevamo, a differenza dei video di Instagram, i micro filmati ottenutiutilizzando Vine sono riprodotti in loop, ovvero ininterrottamente. Possono essereregistrati direttamente da smartphone senza soluzione di continuità oppure comeinsieme di più sequenze giustapposte e successivamente condivisi con gli altriutenti, per poi essere rilanciati su Facebook e Twitter o inseriti in embed in siti terzi.In entrambi gli ambienti, invece, il contenuto può essere geolocalizzato edaccompagnato da hashtag e descrizioni che lo completino.(Fonti Techcrunch.com, Blog.twitter.com, Blog.instagram.com, Help.instagram.com,Vinevsinstagram.com, Mashable.com, Blog.kissmetrics.com).

Per quanto riguarda Vimeo, la piattaforma offre un account gratuito basico e uno Proa pagamento, che fornisce caratteristiche avanzate.La funzione “Tip Jar”, fornisce agli user la possibilità di fare donazioni. Nellaversione Pro User, si possono anche guardare video “on demand”, tuttavia,nell’immaginare possibili utilizzi da parte dei musei, garantire accesso libero eillimitato dovrebbe essere un principio dominante. Vimeo offre inoltre la possibilitàdi sottotitolare i contenuti. Il formato, soprattutto con l’opzione Pro, è molto più

grande e “pulito” di YouTube, dove invece regnano una quantità di link, altri video epubblicità.

YouTube per i musei

Quali sono i motivi principali per cui un museo dovrebbe usare YouTube?Forse, in questo caso, la domanda dovrebbe essere: quali sono i motivi per cui unmuseo non dovrebbe usare YouTube? Il canale, infatti, dovrebbe rientrare in una piùampia strategia video di cui la creazione di contenuti ad hoc è parte integrante.Sono pochi i musei, italiani ed esteri, che hanno deciso di sperimentare seriamentesulle possibilità offerte dai canali video.Comunemente, YouTube viene utilizzato come archivio di raccolta dei contenutiche un museo già possiede, caratterizzati da un formato statico – come conferenze etalk – e spesso creati da video maker professionisti. È infatti pratica comune per imusei riversare su questa piattaforma i contenuti creati per chioschi interattivi ingalleria, o altri supporti multimediali per cui i video erano stati originariamenteprodotti.Se è vero che ogni social ha la sua cultura, i suoi rituali, le sue community e i suoilinguaggi, ciò è ancora più vero per YouTube. Le istituzioni culturali non possonoquindi approcciare questo canale come un archivio e aspettarsi di costruire unacommunity intorno a esso. I contenuti devono essere “tagliati” per la piattaforma epartire da una profonda conoscenza della “YouTube culture”. Spesso, questo significaoptare per un tono informale e libero.Se quello che un museo desidera costruire è la popolarità, questo canale impone ladefinizione di un tono personalizzato e interattivo. Esistono infatti serie, comeNerdFighters e Minutephysics, che offrono contenuti educativi, apparentementeinadatti per la piattaforma. Grazie al tono divertente, goliardico e informale,raggiungono picchi di utenza incredibili.

Sebbene questo ragionamento possa essere fatto per qualunque piattaforma social, èparticolarmente applicabile all’uso di Vine, in quanto vi è connessa una communityrelativamente ristretta e “specifica”. La app ha una cultura totalmente differente daglialtri canali video che abbiamo analizzato. Ciò significa che ri-postare contenuti creatiper altre piattaforme non porterebbe alla costruzione di audience solide eappassionate, ma piuttosto determinerebbe uno spreco di tempo e risorse per lagestione di un ulteriore canale social.Quando si parla di strategia video – o di strategia social in generale – è importante

esplorare e conoscere il “taglio” che la molteplicità di canali offrono. Talvolta, lelogiche che applichiamo nella creazione di contenuti per un determinato media – inquesto caso il video – non valgono per queste piattaforme sociali, soggette a logichecompletamente differenti.

Alcuni riferimenti per l’utilizzo di YouTube in ambito culturale possono essere:

– Dixieleigh.com– Museumsandtheweb.com– Archeovideo.wordpress.com– Childrensmuseum.org– Pencils.com– Blogs.houstonpress.com– Socialbrite.org

Inspirational

The Brain Scoop – The Field Museum, ChicagoEmily Graslie presenta il canale The Brain Scoop nel ruolo di Chief CuriosityCorrespondent del Field Museum di Chicago. The Brain Scoop mostra un possibileesempio di come un museo possa investire per la creazione di video adatti aYouTube.Il principale obiettivo è quello di mostrare il “behind the scenes” del museo,illustrando gli oggetti e le attività più strane, curiose e interessanti. Il tutto a cadenzaregolare – ogni due settimane un nuovo episodio – e con uno stile estremamentespiritoso. Emily è sicuramente il personaggio “di punta” in questo senso e con il suoruolo si propone di ispirare le giovani donne a intraprendere carriere nell’ambitoscientifico.

MOCATVMOCATV è un canale YouTube dedicato all’arte contemporanea e sviluppato comeestensione digitale del Department of Education & Exhibition Programming delMuseum of Contemporary Art di Los Angeles. Il canale contiene video originali ecurati volti a educare e coinvolgere un’audience globale. Sebbene il lavoro del MOCAsia prettamente lavoro di studio, cosa che la maggior parte dei musei non possonopermettersi, il risultato è particolarmente interessante. L’istituzione, infatti, utilizza ilcanale per esporre contenuti all’intersezione tra film film, video, musica,

performance, danza e altro ancora.

Metropolitan Museum of ArtI video sono divisi in playlist e coprono una gamma di temi vastissima: concerti,interviste con artisti, dietro le quinte con i restauratori, ma soprattutto vere e proprielectures sulle opere, gli oggetti, gli strumenti musicali e gli elementi architettonicidella collezione permanente. Sembrano essere particolarmente apprezzati i video dellasezione “82nd and Fifth”, una webserie con clip da due minuti che esplorano 100opere del Met con l’intervento di 100 curatori. Tutti i video presentano nelle pocherighe di accompagnamento il link al sito del progetto attraverso il quale è possibileammirare l’opera con close-up in altissima definizione.

Google+

Cos’è

Gestito dal colosso di Mountain view, Google+ è la componente social dei moltiservizi offerti da Google. Ci sono 540 milioni di utenti attivi che usano ogni giornoalmeno una delle componenti dell’universo Google, mentre la versione “Plus” ne conta300 milioni ed è un social network in costante crescita.Google+ è stato lanciato nel 2011 con una prima fase di test solo su invito. Oggi èusato in maggioranza da utenti maschi (65%) e la fascia d’età più popolare è quellatra i 25 e i 34 anni (31%). Le restrizioni per gli utenti minorenni hanno influenzatola presenza di teenager fino a quando, nel 2012, Google+ ha consentito l’iscrizioneagli utenti con almeno 13 anni d’età (fonte Wearesocial.it).Cosa rende particolarmente interessante Google+? Il fatto che i contenuti pubblicicondivisi su questa piattaforma vengono indicizzati e posizionati da Google, adifferenza di quanto accade con i tweet o i post di Facebook. In altre parole, sevogliamo che un nostro contenuto appaia tra i primi risultati di ricerca su Google, ilmodo migliore è condividerlo nel suo Social Engine (fonte Karibusana.org).

Come funziona

Tutte le applicazioni Google sono tra loro connesse: per questo motivo, l’account G+ ècreato nel momento stesso in cui si sottoscrive un account Gmail ed è collegato

all’utilizzo di Google Maps, YouTube, Google Play e altri servizi dell’universo Google.Sebbene questa integrazione non sia sempre fluida e intuitiva, la piattaforma contienestrumenti diversificati e interessanti.

Un profilo Google+ include elementi base di social networking, come una foto, lapossibilità di inserire una bio, una cover image, esperienze, luoghi visitati e interessi.È presente un’area per la pubblicazione di update e la condivisione di contenuti.Gli “amici” possono essere classificati in “cerchie”. Queste non sono altro che listeche a cui si può negare o garantire l’accesso alla visualizzazione di determinati post.Allo stesso modo, gli utenti possono determinare cosa visualizzare nel proprio newsfeed selezionando una o più specifiche cerchie.Lo stream di notizie della home è visualizzato su colonne e consente interazioni ecommenti.Google+ utilizza la funzione “+1” per permettere alle persone di raccomandare icontenuti, simile al “mi piace” di Facebook. Il numero di +1 ottenuto da undeterminato post con link a un sito è correlato a come Google classifica i risultatinelle ricerche su browser: un dettaglio decisamente da non sottovalutare.

A partire dal proprio profilo Google+, sia in versione desktop sia da dispositivomobile, è possibile utilizzare Google Hangout, uno strumento gratuito di videoconferenza che consente la partecipazione attiva di gruppi fino a 10 persone.Tra le molte funzioni, Hangogut consente di scambiare documenti, prendere appunti econdividere gli schermi con altri utenti. Ma non è finita qui: con Hangout è possibilecreare dei “webcasts” delle video conferenze, Google Hangout on Air, che possonoinoltre essere registrate su YouTube per future visualizzazioni. È possibile creare lavideo conferenza dal proprio profilo Google+, ma anche dal proprio accountYouTube. In questo caso, la registrazione sarà visualizzata direttamente su questocanale.

Google+ per i musei

Nonostante Google+ sia sempre più utilizzato come alternativa a Facebook, si trattadi un social network ancora difficile da comprendere per molte istituzioni.Tuttavia, ad uno sguardo più approfondito, Google+ offre servizi che possonocostituire delle ottime opportunità per i musei. Invece che tentare di replicare quil’esperienza di altre piattaforme, questo canale ha tutto il potenziale per essereapprocciato in modo creativo.

Google Cultural Institute è la piattaforma che offre a musei e istituzioni lapossibilità di rendere accessibili le collezioni. Google Art Project include immaginiad alta risoluzione di opere e oggetti provenienti dai musei partner dell’iniziativa, chepossono essere consultate come delle vere e proprie “mostre virtuali”. Inoltre, Googleha attivato un programma per rendere l’interno dei musei accessibile tramite StreetView.A questo si aggiunge Art Talks, una serie di Google Hangout On Air accessibili dallapagina Google+ di Google Art Project, in cui curatori, educatori e professionistimuseali discutono un particolare movimento artistico, il lavoro di un artista o altro.Ma Google Hangout può costituire uno strumento potentissimo anche al di là di questi“eventi”. Un museo può infatti letteralmente mettersi in contatto con il propriopubblico, con altri musei o con esperti in qualsiasi parte del mondo, per generare inmaniera semplice e immediata contenuti e risorse.

Sebbene non specificamente rivolti agli utilizzatori finali, Google Drive e GoogleDocs sono una componente molto utile per l’organizzazione e il lavoro dicomunicazione e produzione di contenuti all’interno di un museo.Specie quando la produzione di contenuti per i social e non solo è affidata a piùpersone, Google Drive permette di organizzare documenti e informazioni,consentendo l’editing e la consultazione di documenti da parte di molteplici utenti, lacreazione di semplici questionari e altri tipi di fogli di lavoro. Nonostante si tratti distrumenti che si allontanano dall’aspetto “social”, li inseriamo in questo report inquanto rappresentano mezzi gratuiti per l’organizzazione del lavoro connesso ai sociale non solo.

Inspirational

Beyond Bollywood – una mostra digitale a supporto di una mostra fisicaLa mostra “Beyond Bollywood”, esposta al National Museum of Natural History finoad Aprile 2015, esplora come l’immigrazione indiana abbia influenzato la culturaamericana. Lo Smithsonian Asian Pacific American Center completa l’esposizionecon una mostra digitale che include alcuni dei contenuti presenti in quella fisica,rendendoli accessibili, insieme ad alcuni pezzi “esclusivi” per la versione digitale.

Royal Ontario Museum – Missione ricercatore/professione reporter!Il museo canadese utilizza Google+ per pubblicizzare eventi e iniziative. Inoltre,Google Hangout on Air viene usato per creare incontri e appuntamenti digitali, con il

pubblico locale e non. Un esempio? ROM ha messo letteralmente in connessione iricercatori “sul campo” con i pubblici in visita. Nel maggio 2014, alcuni ricercatorisono partiti alla volta di Trout River e Woody Point nella regione di Newfoundland(Canada), per recuperare lo scheletro di una balena lunga circa 23 metri. L’animale,parte di una specie a rischio di estinzione, è morto insieme ad altri otto e i campionirecuperati da questa spedizione serviranno al museo per approfondirne e diffondernela conoscenza, anche in termini di salvaguardia. Il ROM ha potuto informare ivisitatori sui dettagli di questa spedizione proprio grazie a un Google Hangout On Aircon i ricercatori inviati sul posto.

#Drinkingaboutmuseums – Google+ e la community musealeDrinking about museums è una serie di incontri informali tra professionisti delmondo dei musei che, trovandosi nella stessa città per conferenze o per lavoro,decidono di incontrarsi per socializzare, fare networking e discutere progetti diinteresse comune. Iniziata qualche anno fa da un gruppo di professionisti a seguitodella conferenza Museums and the Web, #drinkingaboutmuseums ha luogo ormai intutto il mondo. Grazie a un hashtag che i partecipanti usano per informarsi sullelocation, professionisti da tutto il mondo si incontrano per bere qualcosa insieme efare community. Sebbene l’iniziativa si allarghi nel mondo digitale su molti altricanali, Google+ è diventato la “board” ufficiale per informare in quali città hannoluogo gli appuntamenti.

Art talks per l’educazione: una conversazione tra museiQuando si parla di pubblico si pensa sempre solo ai visitatori che varcano le soglie deimusei. Ma i pubblici, in realtà, possono anche essere gli stakeholder: in questo caso,gli insegnanti. Come trovare le giuste risorse – immagini ad alta risoluzione, testi,consigli – per incorporare l’arte nell’insegnamento in classe? Una task force di grandimusei, come Art Institute of Chicago, Metropolitan Museum of Art, Museum ofModern Art e National Gallery of Art, si incontrano tramite Google Art Talk perfornire agli insegnanti consigli su risorse gratuite per educatori della fascia K-12(educazione primaria e secondaria nel sistema americano). Questo Talk è un esempioniente male di quello che lo strumento può fare e aiuta a pensare a questo socialnetwork come strumento di comunicazione per far arrivare i messaggi a unaspecifiche categoria.

Tripadvisor e Foursquare

Cosa sono

Nella pagina dedicata alle informazioni sul portale stesso, fondato nel 2000 ed orafacente parte del gruppo Expedia Inc. Family Travel Company, Tripadvisor èdefinito “il sito di viaggi più grande del mondo, nato per aiutare i viaggiatori apianificare la vacanza perfetta”.Nonostante siano state frequentemente sollevati dubbi e polemiche sulla veridicitàdelle informazioni in essa contenute17, la piattaforma è stata raggiunta da oltre 260milioni di visitatori unici ogni mese nel 2013 (Google Analytics, dati mondiali,luglio 2013) e contiene oltre 150 milioni di recensioni e opinioni relative a più di 3.7milioni di strutture, ristoranti e attrazioni (fonte Statista.com).

Creato a partire dal 2008 da Dennis Crowley e Naveen Selvadurai, Foursquare èinvece un servizio basato sulla geolocalizzazione dedicato a dispositivi mobili o dotatidi GPS che permette agli utenti registrati di condividere la propria posizione con ipropri contatti. L’applicazione è, infatti, per definizione, dedicata a “esploratori chevogliono conoscere i luoghi migliori e condividere ciò che hanno scoperto con glialtri”.I dati ufficiali tracciano il profilo di una community costituita da oltre 50 milioni dipersone in tutto il mondo che hanno eseguito oltre 6 miliardi di check-in; il numerodei check-in vede un aumento quotidiano quantificabile addirittura in milioni (fonteWired.com).

Come funziona Foursquare

Foursquare funziona come un vero e proprio motore di ricerca geolocalizzato eoffre la possibilità di individuare specifiche tipologie di edifici o luoghi diintrattenimento situati nelle circostanze (vedi Aboutfoursquare.com).L’attività principale è quella di effettuare i check-in, cioè segnalare la propriapresenza in un dato luogo, con diverse finalità:

- comunicare il luogo in cui ci si trova, per attività di self branding opiù semplicemente per scoprire in tempo reale chi sia nelle vicinanze(dato visualizzabile nella sezione “Nei dintorni”) o cosa stiano facendo ipropri contatti in altre città (sezione “In tutto il mondo”);

- lasciare commenti e giudizi sugli esercizi e i luoghi conosciuti,consigliandone o meno la visita;

- consultare i commenti di altri utenti per farsi un’idea sui luoghiinteressanti nei quali recarsi;

- accedere agli special, cioè a particolari sconti, promozioni o premiche le aziende dedicano agli utenti per incentivare le visite (la funzionenon è ancora molto diffusa in Italia);

- sbloccare i badge, ovvero piccoli riconoscimenti che si ottengono inbase alle proprie abitudini nel fare i check-in, ad esempio frequentare lesale da cinema, i ristoranti, i locali per karaoke (vediFoursquarebadges.it). Alcuni badges sono sviluppati in collaborazionecon partner commerciali, altri si riferiscono ad eventi importanti comele elezioni americane o il Tour de France, altri ancora sono statirealizzati in collaborazione con amministrazioni locali hanno scelto didedicarne alle proprie città come Milano, Bologna, Parigi, Istanbul,Boston solo per citarne alcune (vedi It.foursquare.com/4sqcities);

- diventare mayor, ovvero aggiudicarsi il titolo di maggiorfrequentatore di una località;

- organizzare i propri desiderata nella sezione “Cose da fare” ecompilare liste di luoghi: per esempio si può redigere l’elenco di puntidi interesse che si desidera visitare nel corso di un viaggio o quello dilocalità già note; le liste possono essere visualizzate e salvate anche daterzi che intendano utilizzarle.

Come si effettua il check-in

Per effettuare il check-in è necessario accedere alla applicazione, disponibile susmartphone e tablet, e cliccare sul pulsante azzurro che indica il segnaposto sullamappa: immediatamente il sistema fornirà la lista dei luoghi nelle vicinanzespecificandone la tipologia, l’indirizzo, la distanza e se eventualmente in quel datomomento uno dei contatti si trovi nello stesso posto. Basterà poi selezionare il luogo

prescelto ed eseguire il check-in, che può essere accompagnato anche da uno status,una foto o il tag di amici presenti e condiviso su Facebook e Twitter. Chi intenda,invece, tenere per sé la propria presenza ed archiviarla unicamente nella cronologiadei luoghi visitati può selezionare l’opzione ‘privato’.

Come si organizzano le liste

Le liste di interesse possono essere organizzate direttamente dal pannello di controllodi Foursquare su smartphone cliccando sul pulsante “Tutte le liste” e selezionando insuccessione il tasto +. Così facendo sarà possibile indicare il nome prescelto per lanuova lista e da quel momento aggiungere i luoghi preferiti, accedendo alla schedainformativa di ciascuno di essi e cliccando sul pulsante “Salva questo posto su unalista”.L’elenco può essere ricondiviso su Facebook e Twitter e aperto agli aggiornamenti deipropri contatti. La piattaforma offre inoltre, come detto, l’occasione di seguire listetematiche prodotte da amici o brand (fonte Foursquareitalia.org).

I social di geolocalizzazione per i musei

Quali sono i principali motivi per cui un museo dovrebbe utilizzare Foursquare?

1. Per attirare nuovi visitatori.Per utilizzare al massimo Foursquare è anzitutto necessario diventareamministratore per conto del museo, in modo da poter gestiredirettamente le operazioni dal pannello di controllo (vediSupport.foursquare.com).In seguito sarà possibile organizzare più attività dedicate agli utenti:

- fornire offerte ai visitatori che effettuano il check-in;- aggiungere informazioni interessanti e suggerimenti sulleattività del museo, sulla presenza di bookshop e caffetteria eindicazioni su orari di apertura e mostre in corso;- monitorare i commenti delle persone che compiono il check-ine inserirli tra i propri contatti;- individuare altri luoghi di interesse nelle immediate vicinanze

del museo e aggiungere consigli e suggerimenti su di essi. Sipossono, ad esempio, fornire indicazioni su edifici storici delcircondario oppure su esercizi commerciali con i quali si èsiglata una partnership (“Prima di visitare il museo fatecolazione in questo bar: il cappuccino è ottimo!”).

2. Per fidelizzare i visitatori e premiare i più assidui tra essi.Un museo o una galleria possono sfruttare Foursquare per coinvolgere ivisitatori attraverso gli “specials”, sconti e premi da offrire agli utentipiù fedeli che ripetono più volte il check-in.Alcune idee:

- Mayor: premio dedicato al visitatore più fedele, sbloccatoautomaticamente da Foursquare che calcola per ciascun utente ilnumero di presenze in un dato luogo;- Numero totale dei check-in: omaggio per il visitatore cheesegue il check-in in museo per un certo numero di volte(“Foursquare dice che sei stato qui 10 volte? Ecco un bigliettod’ingresso gratuito per te!”);- Basato sulla frequenza delle visite: lo special viene sbloccato,ad esempio, ogni 5 check-in.(“Agli utenti di Foursquare è riservato il 20% di sconto sugliacquisti al bookshop ogni 5 check-in!”)- Wildcard special: sempre valido, ma il personale verificherà lecondizioni previste direttamente sullo smartphone prima diattivare la promozione (“Mostraci il tuo Swarm badge e potraiottenere un drink presso la caffetteria del museo o un catalogogratuito”).

3. Per aumentare la propria presenza nella comunità online.Al di là dell’utilizzo in senso stretto nella sede museale, Foursquare offreulteriori opportunità di coinvolgere gli utenti, ad esempioconcentrandosi sulla storia del quartiere in cui il museo si trova.Accanto ai tips sulla qualità del servizio degli esercizi commerciali, èinfatti possibile pianificare una serie di commenti che aiutino adapprofondire e meglio comprendere il significato storico di un luogo e

che, col tempo, si accumuleranno in diversi strati.Per un visitatore può essere interessante recuperare informazioni cheriguardino un palazzo sede della Camera di Commercio che, adesempio, potrebbe essere stato nel secolo precedente sede della Borsadella città e prima ancora, in età romana, un tempio dedicato ad unimperatore romano: queste indicazioni sono utili non solo percontestualizzare le fasi di vita di un luogo ma anche per evidenziare lanatura mutevole delle comunità in cui viviamo.

Inspirational

National Museum of Women in the ArtsSebbene questo museo incorpori valori e ideali universali, che gli permettono diraggiungere una audience globale attraverso i social, Foursquare è molto utile percreare engagement con il pubblico locale che visita il museo. L’istituzione, infatti,regala sconti esclusivi a tutti coloro che fanno Check-in.

LinkedIn

Cos’è

LinkedIn è una piattaforma social con focus sulle relazioni professionali,l’esperienza lavorativa e il networking.Fondato nel 2002 e lanciato nel dicembre 2003, è oggi disponibile in 20 lingue. Nel2013, LinkedIn riportava la presenza di circa 259 milioni di membri in oltre 200paesi. Tra i maggiori utilizzatori, ci sono gli Stati Uniti e l’India, mentre l’Italia èall’ottavo posto con 6 milioni di utenti (Fonti: En.wikipedia.org e Mashable.com).

Come funziona

LinkedIn consente la creazione di profili personali, gruppi e profili aziendali.Diverse tipologie di azioni sono possibili sulla piattaforma: la più interessante ècertamente la possibilità di postare offerte di lavoro e comunicarle attraverso la rete.Tutte le funzioni base di LinkedIn sono gratuite, tuttavia esiste anche una versione a

pagamento che permette di sbloccarne alcune: ad esempio, è possibile sapere chi havisitato il nostro profilo.È interessante come LinkedIn riporti che il 60% degli iscritti dichiari non essereattivamente in cerca di una nuova posizione lavorativa, ma che potrebbero essereinteressati se un’opportunità si verificasse.LinkedIn consente inoltre di inviare e ricevere messaggi privati, tuttavia, non èpossibile farlo se l’utente che volete contattare non è nella vostra rete (a meno che nonabbiate un account Pro).È importante ricordare che LinkedIn è una piattaforma professionale, non si trattadi una semplice “versione seria” di Facebook. Post, profile picture e tono nondovrebbero essere frivoli o destinati a un’utenza più “light” che su questo canale nontroverebbe spazio.Aziende e recruiter navigano su questo social alla ricerca di profili professionaliinteressanti. Aprire un account personale su LinkedIn ha quindi senso se si vuoleessere riconosciuti come professionisti in un determinato settore. Le regole di buonsenso si applicano quindi di conseguenza.È importante darsi un profilo riconoscibile ed evitare la dispersione dei concetti cherendono la nostra esperienza lavorativa e accademica specifica. Il live feed diLinkedIn sarà quindi utilizzabile per condividere notizie o commenti in relazione alproprio campo professionale.Infine, i gruppi consentono agli utenti di postare notizie o articoli, mentre i profiliaziendali sono in genere chiusi, consentendo agli utenti di interagire solo neicommenti a un post.

LinkedIn per i musei

I musei su LinkedIn vengono categorizzati come aziende. Tuttavia, anche se unmuseo non dovesse avere posizioni aperte in maniera frequente, decidere di aprire unaccount su LinkedIn può essere funzionale a creare relazioni di networking conaltri professionisti del settore.L’uso prettamente professionale di questo canale lo rende però poco appetibile percoloro che vogliono postare contenuti relativi alla collezione o agli eventi del museo.Tuttavia, utilizzi interessanti e “creativi” sono possibili: si pensi per esempio a unmuseo di arte contemporanea che voglia reclutare artisti o a un museo scientificoche voglia contattare insegnanti potenzialmente interessati ad alcune attività.Il margine di LinkedIn è molto più specifico, ma questo non toglie che un museopossa utilizzare alcune funzioni – i gruppi in particolare – per prendere contatti con i

suoi stakeholder.

Inspirational

Hack your Hello at AAMNina Simon ha aperto un gruppo su LinkedIn così che i partecipanti alla conferenzanazionale dell’American Alliance of Museums potessero incontrarsi a partire dainteressi comuni o domande. Sono tantissimi i professionisti che partecipanoall’evento ogni anno e la conferenza non ha un focus unico. Dall’archivio allaconservazione, dal digitale alla curatela, tutto il mondo museale – prevalentementeamericano – si ritrova in questo evento. In questo senso, la mediazione che lostrumento digitale pone permette di “sciogliere il gelo” del networking in persona egarantisce agli utenti di individuare professionisti con cui condividono maggiormentegli interessi.

Museums and the WebMuseum Computer NetworkSono diverse le associazioni che utilizzano i gruppi di LinkedIn come piattaforma perscambiare idee, commenti e notizie. Particolarmente interessanti quelle di Museumsand the Web e Museum Computer Network. Oltre che fonte di notizie, i gruppipermettono di individuare i professionisti museali nel settore del digitale.

iTunesU

Cos’è

iTunesU è una piattaforma Apple gratuita che permette a differenti tipologie diistituzioni educative di diffondere i loro contenuti in diversi formati e di creare veri epropri corsi.Università, musei, biblioteche, stazioni radio e televisive possono rendere accessibilirisorse che non trovano altri canali adatti per essere rese pubbliche.La piattaforma funziona esattamente come iTunes, il sistema di distribuzionemusicale di Apple. Invece di fornire album e canzoni, tuttavia, iTunesU raduna corsi,video lectures, talk e documenti in un unico spazio.

L’applicazione può essere scaricata gratuitamente per tablet o smartphone, mafunziona anche in versione desktop, essendo parte integrante del programma iTunes.Ciononostante, si tratta di una piattaforma prettamente mobile, in quanto lamaggioranza degli user tende ad accedere ai contenuti da tablet.Lanciata nel 2007, nel 2013 ha raggiunto un bilione di download (fonte Apple.com).Il “pezzo forte” di iTunesU è costituito dalle università e scuole che lo utilizzanoprincipalmente per la pubblicazione di corsi – veri e propri ebook interattivi chepermettono di creare lezioni suddivise in sezioni. Tuttavia, il canale ha anche unospazio dedicato agli enti no-profit. Per consultare la lista, basta aprire iTunes, entrarenello Store, selezionare iTunesU e accedere alla sezione “Oltre il campus” (vediMacworld.com).

Come funziona

Come dicevamo, iTunesU è integrato nell’iTunes Store e ne replica alcunedinamiche (vedi Apple.com/itunes e Apple.com/itunes/podcasts). Infatti, nellapiattaforma educational i singoli contenuti (items) sono organizzati in collezioni, cosìcome in quella musicale le canzoni sono organizzate in album. In questo senso, l’enteche crea e diffonde le collezioni – come un’Università – può essere paragonata allacasa discografica.La home page di un canale mostra le collezioni disponibili per lo specifico enteeducativo, permettendo di filtrarle per argomento, tema o usando le tag chel’istituzione ha riportato nel caricare le risorse sul canale. Sulla home page è possibileinoltre vedere quali sono le collezioni o gli items più popolari e selezionare soltanto icorsi, qualora l’utente fosse alla ricerca di questo specifico tipo di contenuto.

L’istituzione può organizzare le varie collezioni sotto ulteriori ombrelli tematici. Gliitems presenti nelle collezioni possono essere video, audio o contenuti testuali, comei pdf. I corsi, invece, hanno una struttura a sé stante che integra audio, video e testi inun unico supporto.L’utente può scegliere se visualizzare un item in streaming (direttamente dal canale),scaricarlo individualmente, o iscriversi alla collezione. In questo modo, ogni volta chenuovi items vengono aggiunti, l’utente li troverà automaticamente scaricabili nella sualibreria.

Il particolare tipo di organizzazione che il canale impone, non privo di limitazioniconsiderando che impiega gli stessi criteri del corrispettivo musicale, richiedeall’istituzione di avere una forte unità visiva in termini di brand così che i contenutiappartenenti a un determinato ente siano immediatamente riconoscibili quandol’utente li cerca.Per quanto riguarda l’amministrazione dei contenuti, iTunesU fornisce un’interessantedashboard che consente di osservare quali sono le collezioni e i corsi maggiormentescaricati, nonché dati demografici degli user e indicazione degli strumenti da cuiaccedono (tablet, smartphone, desktop). In questo senso, è possibile tenere sottocontrollo tutta una serie di criteri che informino la strategia di utilizzo diquest’interessante piattaforma.

iTunesU per i musei

“Oltre il campus” fornisce uno spazio specifico perché le no-profit possano diffonderei propri contenuti educativi. La definizione che si può applicare a “materialieducativi” è molto ampia e sotto questo ombrello cadono gran parte delle risorse cheun museo crea e conserva. Da registrazioni di talk durante conferenze a video concuratori ed esperti riversati da altre piattaforme – per esempio chioschi interattivipresenti in mostra –, a corsi e lezioni frontali creati ad hoc.Molti musei e istituzioni culturali utilizzano YouTube riversando sulla piattaforma iloro contenuti video. Tuttavia, iTunesU offre un canale molto più mirato per queicontenuti che sono prettamente “educational” e il cui formato o stile non si adatta allavoce, più dinamica e flessibile, richiesta agli utenti YouTube.A questa funzione iTunesU aggiunge la possibilità di diffusione di testi e contenutiaudio che possono anche essere “specialistici”. In questo senso, il canale vieneutilizzato per la ricerca di risorse con motivazioni differenti da quelle chedeterminano la ricerca su YouTube o altre piattaforme. iTunesU offre quindi alle

istituzioni uno spazio adeguato per rendere disponibili contenuti anche più difficilie accademici.In ogni caso, un museo dovrebbe affrontare la scelta dei contenuti sulla base dellepreferenze dei propri utenti e procedendo per esperimenti insieme a loro.

Sebbene in questo report abbiamo deciso di analizzare solo questa piattaforma,ricordiamo che sono tantissimi i musei che utilizzano iTunes e SoundCloud perdiffondere i loro contenuti audio – spesso riversando contenuti creati per le più“tradizionali” audio guide. Tra questi, troviamo ad esempio il MoMA, che offre unaserie di podcast includendo descrizioni audio delle opere presenti all’interno dellemostre, descrizioni verbali per non vedenti e “MoMA Audio: Kids”, che contienedescrizioni in un formato più accessibile per i più piccoli. Un esperimentoparticolarmente interessante, in questo senso, è costituito da MoMA “Unadultered”,una serie di podcasts non ufficiali creati da bambini tra i 3 e i 10 anni.

Inspirational

Smithsonian Hirshorn Museum and Sculpture GardenLo Smithsonian Hishhorn divide i propri contenuti sul canale iTunesU per tipologia(Talks, Magazines, Exhibits, Brochures, ArtLab+, Themes). Grazie alla fortericonoscibilità e alla semplicità del design applicato al canale, le collezioni sonovisivamente coinvolgenti e agevolano la ricerca da parte degli utenti. La home delcanale include inoltre singoli items e sceglie di farli comparire sotto ombrelli tematicichiari.

Brooklyn Museum sceglie di chiudere il proprio account iTunesUInseriamo questo caso perché fa riflettere su come un canale come iTunesU possa nonessere adatto a una determinata istituzione. I motivi sono spesso legati alla necessitàdi bilanciare i costi e i benefici di una piattaforma. Nel caso del Brooklyn Museum, ilcanale rappresentava uno strumento macchinoso e, nonostante gli sforzi, l’istituzionenon è mai riuscita a ottenere risultati significativi. iTunesU non è uno strumentosemplice e vale la pena investigare il suo potenziale solo se pensiamo che possaveramente esserci utile a raggiungere determinate fasce di pubblico.

Smithsonian LibrariesLe Smithsonian Libraries creano appositamente corsi per questa piattaforma. Questascelta è molto interessante in quanto il target principale di quest’organizzazione

“behind the scenes”, che non ha una collezione esposta al pubblico, è composto daricercatori e studiosi. In questo senso, lo strumento “Corsi” offerto da iTunesUpermette all’istituzione di riflettere sui propri contenuti e presentarli in un formatoaccessibile, aprendoli così a nuove e non tradizionali audience.

Hardvard Thinks BigLa rinomata istituzione mette insieme una serie di episodi volti a presentare le“grandi idee” esposte da alcuni membri della facoltà. Quest’iniziativa è di interesse inquanto mostra come anche un museo possa fare leva sui suoi esperti per“impacchettare” contenuti appositamente creati per questa piattaforma. In questocaso, non solo il titolo e il format rendono chiare le intenzioni dell’Università, ma ilsuccesso della collezione dimostra come il popolo digitale – e non solo gli studentidella facoltà – abbia sete di conoscenza e significati.

5. Obiettivi e risultati: l’utilizzo degli analytics per misurare leperformance online

Pietro Colella

Cos’è l’analisi dei dati

L’analisi dei dati è un processo che consiste nella racconta, elaborazione erappresentazione dei dati al fine di supportare una serie di decisioni strategiche. Taledefinizione, seppure semplicistica, comprende un vasto mondo composto di processie persone.Per processi si intendono tutte le routine e le operazioni che devono essere svolte perraccogliere i dati, elaborarli in maniera più o meno stutturata e rappresentarli. Lepersone, invece, sono tutti i soggetti che prendono parte ai processi appena descritti,nonché altri individui indirettamente coinvolti: spesso chi fa l’analisi dei dati non èchi realmente prende le decisioni.L’analisi dei dati si compone di diverse fasi, anche se non è possibile individuare unascala gerarchica di importanza: tutte hanno lo stesso peso e seguono una precisasequenza. Ovvero, se la raccolta dei dati viene fatta in maniera superficiale nerisentiranno l’elaborazione e soprattutto la rappresentazione finale, che risulteràinconsistente e priva di spunti pratici. Al contrario, se a fronte di una raccolta di unelevato numero di dati seguono una scarsa elaborazione e una pessimarappresentazione, verranno vanificati gli sforzi della fase iniziale facendo risultare illavoro poco rappresentativo della realtà.

Esiste però una fase che, nel parere di chi scrive, è sicuramente la più importante ditutte: la definizione degli obiettivi.Spesso, questa viene trattata in maniera superficiale, con la conseguente nascita diproblemi nel corso dell’analisi. Per il momento, è sufficiente precisare che gliobiettivi dell’analisi devono essere reali e raggiungibili, chiari e comprensibili a chiesegue l’intero processo.

1. La raccolta

La prima parte del processo di analisi dei dati è la raccolta. Nello specifico, questafase comprende tutte quelle operazioni che hanno lo scopo di ottenere il maggiornumero possibile di informazioni.In rete, non è sempre semplice avere a disposizione tutti i dati dei quali si hanecessità. Ad esempio, è sicuramente possibile ricavare molti dati sui visitatori delproprio sito web, mentre, al contrario, è molto più faticoso ottenere informazionidalle piattaforme che non sono di proprietà, come i social network. O ancora, a volteè impossibile raccogliere informazioni da media non di proprietà e non gestitidall’utente, come i siti web di terzi.Esistono però due strade che si possono seguire: la prima sono le API, acronimo diApplication Programming Interface, che si possono utilizzare per potersi interfacciarecon i social network e ottenere delle informazioni destrutturate, ovvero tanti dati daaggregare ed elaborare successivamente. La seconda strada sono le piattaforme,gratuite o a pagamento, che integrano diversi servizi di analisi dei dati e cherestituiscono valori di sintesi aggregati. Rispetto all’utilizzo delle API, i portali appenadescritti riescono a fornire dati difficilmente individuabili sulla rete che vengonorappresentati a livello aggregato, quindi già elaborati.In pratica, sulla rete si possono trovare tre grandi gruppi di dati disponibili; in estremasintesi, possiamo ottenere:

– dati grazzi, elaborabili e interpretabili;– dati elaborati, che in alcuni casi sono ri-elaborabili e sicuramenteinterpretabili;– informazioni interpretate, che sono già presentabili e sulla base dellequali è possibile prendere direttamente delle decisioni.

2. L’elaborazione

La seconda fase del processo di analisi dei dati è l’elaborazione, cioè tutte quelleoperazioni attraverso le quali i dati vengono aggregati e analizzati per poter dareuna risposta precisa agli obiettivi della ricerca.Grazie alla rete, sono sempre meno le energie che si utilizzano in questa fase. Gliaddetti ai lavori stanno lentamente riducendo l’utilizzo di Excel o altri software dicalcolo, come SPSS, per potere lavorare sui dati.Da un lato, si tratta di una situazione positiva perché lascia la possibilità di

concentrare maggiori energie nelle operazioni precedenti o successive, dall’altro, però,il minore tempo necessario per l’elaborazione è dovuto al fatto che i dati si trovanosempre più in forma aggregata, quindi non grezzi, e hanno già subito una certaelaborazione che può influenzare la decisione finale. Per spiegare meglio questaaffermazione, pensiamo alla dashboard di Google Analytics che mostra il grafico dellevisite giornaliere di un sito web. Per ottenere questa visuale è stato già realizzato, daGoogle, un processo di raccolta dei dati, di aggregazione e successivamente dipresentazione in un grafico a linee per una più immediata interpretazione da partedell’utente finale. Niente però vieta di elaborare nuovamente quel dato per ottenerealtre informazioni.Spesso, quando si lavora online, la fase di elaborazione è molto ridotta: difficilmentel’utente si trova a lavorare con i dati grezzi (i report in CSV di Facebook ne sono unesempio) e sempre più ha a disposizione un’informazione già presentatagraficamente (ad esempio, gli Insights di Facebook).

3. La presentazione

Il punto di arrivo del processo di analisi è la presentazione dei dati. In questa fase siincludono tutte quelle operazioni che hanno l’obiettivo di presentare graficamente irisultati dell’analisi e di fornire una serie di spunti qualitativi per poter dare il via adun momento di riflessione e di discussione sulle possibili cause e conseguenze di uncerto valore di una certa variabile, o insieme di variabili, e alla definizione di unalinea strategica e di azione.Se gli obiettivi sono stati specificati in maniera corretta, spesso la presentazionecontiene già le principali informazioni sulle cause e sulle conseguenze di un certoaspetto.Rappresentare i dati può sembrare semplice, ma bisogna sempre tener presente chi èil destinatario finale del lavoro. La mancata comprensione di un grafico nasce dalfatto che chi lo sta leggendo non ha le necessarie competenze, conoscenze e capacitàper farlo. Chi lavora sui dati ormai è assuefatto alle informazioni e dà per scontatomolti fatti e concetti che il pubblico dell’analisi non conosce o non riesce a capireperché non ha una visione su tutti i dati analizzati.È compito del presentatore studiare e realizzare un percorso di visualizzazione deidati che sia chiaro ed esplicativo del lavoro, che segua un percorso simile al seguente:

– Processo di raccolta, elaborazione e presentazione– Principali dati utilizzati

– Livello di raggiungimento degli obiettivi di ricerca– Analisi delle cause– Analisi delle conseguenze

Le persone

Le persone coinvolte nel processo di analisi sono sostanzialmente di due tipi:

– Chi commissiona l’analisi– Chi esegue e presenta l’analisi

A volte questi soggetti coincidono, ma possono anche essere differenti. Nel caso incui non si tratti della stessa persona, si devono ben tenere in considerazione le diversecompetenze, conoscenze e capacità che questi soggetti hanno.Chi formula gli obiettivi non conosce il percorso che l’analista deve seguire, quindideve non solo essere ben attento a spiegare in maniera corretta e comprensibile quelloche vuole ottenere, ma deve anche assicurarsi che gli obiettivi siano stati ben recepiti.Dall’altra parte, chi svolge l’analisi deve fare attenzione ad interpretarecorrettamente i goal di ricerca senza concentrarsi, prima del previsto, sulle operazionida svolgere.Entrambi gli interlocutori devono cercare di comprendere i differenti codici dicomunicazione utilizzati e valorizzare le proprie capacità di ascolto e interpretazionedelle necessità altrui. In questa fase, assume molta importanza la componente umanadella persona, rispetto a quella meramente tecnica.

Perché effettuare l’analisi dei dati online

La risposta più semplice è immediata è: per gestire al meglio la relazione con ilcliente.La rete mette a disposizione dei musei molti strumenti con i quali comunicare alproprio target e questo comporta la necessità di gestire, in maniera integrata, tantitouchpoint, o punti di contatto.La gestione integrata dei canali web ha inizio con una parte analitica, ovvero l’analisidei dati, una parte strategica, con la definizione delle strategie di alto livello, unaparte operativa che consiste nella realizzazione pratica delle strategie.

La fase analitica è la prima e ha come output una serie di dati e informazioni chedefiniscono, più o meno approfonditamente, lo scenario nel quale si opera.Solitamente, si riesce a capire se qualcuno parla in rete di un museo se ci sono altricanali aperti da fan e appassionati oltre quelli già attivati. Spesso si può individuareuno specifico target che parla di un museo e dedurre quali sono le caratteristichedemografiche, sociali e comportamentali online e offline. Si può infine stimare ilreach, cioè il numero totale di utenti raggiunti, e calcolare il livello di interazione trai fan e il museo e tra i visitatori stessi.Ad un livello più profondo, è possibile condurre un’analisi qualitativa, valutando, adesempio, il contenuto delle discussioni e i significati sviluppati. Questa fasepresuppone un certo livello di conoscenza del proprio target e delle caratteristiche delmuseo in questione.A questo punto si avranno sicuramente chiari lo scenario nel quale opera il museo,caratterizzato da opportunità da cogliere e minacce da affrontare, e la valutazione delposizionamento web del museo, caratterizzato da punti di forza e di debolezza. Permaggiori approfondimenti si può fare riferimento all’Analisi S.W.O.T..

Nella fase strategica, si utilizzano le informazioni e i dati ottenuti per svilupparelinee strategiche di alto livello.In questo caso, non esiste un’unica ricetta corretta e precisa, ma si deve tenere contodi una serie di vincoli (economici, gestionali, strutturali, umani e di tempo) entro iquali il management ha la possibilità di operare. Ai fini di questa trattazione, èsufficiente precisare che è molto importante che la strategia sia coerente con lecaratteristiche del target.Scopo della fase strategica è anche l’individuazione di obiettivi di breve emedio/lungo periodo e di KPI (Key Performance Indicators) qualitativi e quantitativi.

La terza fase, quella operativa, identifica tutte operazioni con le quali si realizza lastrategia in maniera efficace ed efficente. Questa fase è ampiamente trattataall’interno dell’ebook, che racconta case study e strategie digitali cui i musei cheleggono possono ispirarsi.

Il percorso non è però terminato, in quanto è necessario sviluppare un momento diverifica sul raggiungimento degli obiettivi qualitativi e quantitavi che ci si eraprefissati. In quest’ultima fase, nuovamente analitica, ha senso analizzare ancora i datiper poter fare tutte le valutazioni del caso.

È ora chiaro a cosa realmente serve l’analisi dei dati. Nella fase iniziale di unprocesso strategico è necessario fornire informazioni sullo scenario nel quale si operae sui punti di debolezza di un museo. Nella fase finale, l’analisi dei dati permette divalutare qualitativamente a quantitativamente il raggiungimento degli obiettivi.Seguirà una fase di analisi dei gap – o punti critici – per ottenere informazioni espunti sulle azioni correttive da mettere in atto.

Analisi qualitative e quantitative: un esempio pratico

Fondamentalmente, l’analisi dei dati è caratterizzata da due approcci: uno di tipoqualitativo e uno quantitativo, dovePer analisi di tipo qualitativo si intende un processo destrutturato guidato dalla liberaintuizione di una persona. L’obiettivo di questo tipo di approccio è realizzare unamacro analisi dei dati a disposizione e, basandosi sull’esperienza e sulle competenzepossedute, sviluppare una serie di ipotesi e di congetture. A queste sarà data conferma

o smentita dalle analisi quantitative, che sono eseguite proprio per poter rappresentarecon numeri e dati un preciso aspetto di uno scenario o di un’ipotesi sviluppata inprecedenza.Sulla rete, questi due approcci si realizzano in parallelo e, a volte, si intrecciano.

Ad esempio, nel momento in cui si vogliono analizzare le performance di unapagina Facebook, solitamente si procede per prima cosa ad un’analisi macroscopicaper controllare il livello di interazione degli utenti sui contenuti pubblicati.Potrebbe verificarsi che vi sia un calo dell’engagement (con tale termine si intende ilnumero di azioni che gli utenti hanno realizzato, come per esempio mettere like,commentare o condividere) e, in questo caso, il primo passo da seguire è verificarequalitativamente se vi sono delle possibili cause che si possono approfondire, comead esempio l’orario di pubblicazione, la tipologia di contenuto, e così via.Il secondo passaggio è basato sull’esperienza e competenza di chi svolge l’analisi,nonché sui dati storici che aiutano a formulare delle ipotesi, come “i contenuti di uncerto tipo attirano meno i fan”.A questo punto, il terzo step è l’analisi nel dettaglio dei singoli post, tramite iFacebook Insights oppure utilizzando direttamente i dati grezzi che Facebook offre,per verificare se l’ipotesi formulata trova fondamento nei dati a disposizione. In casodi risposta affermativa, il problema è già risolto e si può passare ad una nuova fasestrategica per modificare le proprie azioni e correggere eventuali errori.È doveroso precisare che per sviluppare un nuovo piano sarà necessario dotarsi di datie informazioni che possano fornire una base sulla quale prendere le decisioni. Dunqueil processo di analisi dei dati non può considerarsi completo se non si fornisconoinformazioni che abbiano un valore strategico, sulle quali basare le decisionifuture.

Seppure in maniera molto sintetica e superficiale, è stata data una panoramica dicome analisi qualitative e quantitative si intreccino tra di loro e siano il collante delprocesso di gestione integrata della relazione con il cliente.Nella pratica, l’analisi di un singolo social network (come il caso citato in precedenza)viene spesso accompagnata da un studio più allargato, che tocca altre piattaforme emedia utilizzati dai musei. Ad esempio, le performance della pagina Facebook hannodelle conseguenze che si riflettono sul sito web, che di riflesso crea meno trafficoverso l’ecommerce o altri social netowork.Un buon analista web deve essere in grado di avere una visione a 360° dei mezziutilizzati, per riuscire a comprendere appieno in che modo si modifichino i flussi e ilcomportamento del proprio target, quando si agisce sulle diverse leve di intervento.Queste abilità si acquisiscono sia con la pratica, sia con un attento studio delle

variazioni dei dati, sia impostando un perfetto sistema di misurazione dei canali.

Come strutturare un processo di analisi

In questa sezione si esamineranno quali sono gli strumenti che la rete mette adisposizione per poter raccogliere e analizzare i dati. Nella prima parte verrà datorisalto alla definizione degli obiettivi di ricerca, per poi approfondire, anche se inmaniera non esaustiva, i mezzi da utilizzare per svolgere il processo di analisi dei datisui canali del museo.

La definizione degli obiettivi

Più volte si è ripetuto che la fase di definizione degli obiettivi è caratterizzata da unacomponente che richiede un alto livello professionale per specificare nel dettaglio gliindicatori che si vogliono ottenere e quali aspetti è necessario approfondire.A questa si affianca, però, una componente umana e relazionale che porta i soggetticoinvolti a cercare di capire più approfonditamente se in realtà gli obiettivi debbanoessere meglio specificati o solo analizzati più a fondo, a causa di un diverso codice dicomunicazione e di background tra le persone coinvolte. Generalmente, questa è unadella fasi più sottovalutate e che crea i maggiori rallentamenti durante l’analisi.Ad esempio, può avere senso la richiesta di stimare il tasso di utenti che interagisconocon un contenuto, ma ciò non rappresenta una base di partenza per poter studiaredelle nuove strategie, per il semplice fatto che ci sono tanti modi che gli utenti hannoper interagire.A volte può avere senso approfondire una certa prospettiva, ma tale richiesta deveessere esplicitata da chi decide gli obiettivi, altrimenti si rischia di realizzare unreport incompleto e con poco significato.Per tale motivo si discuteranno, senza nessuna pretesa di esaustività, quali sono lecaratteristiche principali che gli obiettivi devono avere per ottenere un’analisi divalore.

Raggiungibilità. Spesso ci si trova di fronte a richieste che non possono esseresoddisfatte perché non esistono strumenti che possano fornire i dati. Ad esempio, nonè possibile conoscere le caratteristiche demografiche del target di una paginaFacebook non proprietaria.Gli obiettivi devono sempre essere raggiungibili perché l’analisi possa essere realizzatain modo corretto. La principale causa dell’irraggiungibilità degli obiettivi nasce dalla

mancanza di competenze da parte di chi richiede l’analisi.

Chiarezza e precisione. Gli obiettivi devono sottendere alla creazione di indicatorinumerici, ad esempio il numero delle visite di un sito e la variazione percentuale sulperiodo precedente.Se l’obiettivo è troppo vago si corre il rischio di non ottenere i risultati attesi. Si creaun gap tra obiettivi richiesti e output realizzato che può diventare anche moltogrande, al punto da non fornire una base di informazioni sulla quale creare dellestrategie. Per tale motivo si tende a strutturare l’achitettura degli obiettivi in 3 livelli:

– Obiettivo generale: formulato in modo ampio, serve per indicare ladirezione della ricerca;– Sotto-obiettivi: delimitano l’obiettivo generale e permettono didefinire le linee di ricerca da adottare;– Obiettivi specifici: indicano il vero punto di arrivo della ricerca,nonché i risultati e gli indicatori attesi.

Periodo di riferimento. È altresì importante stabilire i tempi della ricerca, cioè gliintervalli temporali da prendere in considerazione per l’analisi. In questo caso, nonesiste un approccio preciso e definitivo, anche se è bene tenere a mente che intervallitroppo lunghi generano tante informazioni che devono essere accuratementeinterpretate per individuare un trend.Ad esempio, se si nota un amento del 300% delle visite ad un sito nell’arco di un annoè faticoso risalire ad ogni singolo elemento che potrebbe aver influito sulla variazione:una nuova versione del portale, le attività promozionali, le azioni di comunicazioneoffline.Di contro, se il periodo di tempo è troppo breve si rischia di etichettare come trenddelle variazioni dovute a specifici eventi che difficilmente possono ripetersi.Mutuando dall’esempio precedente, se si realizzano delle attività promozionali, ènormale e fisiologico un aumento delle visite al sito del museo, ciò non può essereconsiderato un trend perché, al termine delle campagna, quasi sicuramente le visitecaleranno e si assesteranno su un punto più basso.Per questi motivi, la decisione dell’intervallo temporale da analizzare è scelta infunzione degli obiettivi. Se si vorrà stimare la risposta nel breve periodo degli utentialle campagne di comunicazione, l’intervallo sarà breve. Se si vorrà analizzare come ilnuovo layout del sito ha impattato sulla navigazione degli utenti, l’intervallo sarà piùlungo.

Rilevanza. Gli obiettivi richiesti devono essere rilevanti, cioè devono realmentecreare una base di informazioni utile per prendere decisioni.Se, alla fine del processo di analisi, non si ottengono dati necessari per la decisione,significa che gli obiettivi richiesti non avevano la giusta rilevanza. Se le richieste sonopoco consistenti, anche l’intera analisi risulterà di poco valore, con conseguentespreco di risorse e tempo.Se un museo vuole cercare di aumentare le visite al proprio sito e poi portare gliutenti su Facebook dove può dialogare con loro, ha poco senso scegliere comeindicatore di ricerca il dispositivo utilizzato per navigare o la provenienzademografica. Piuttosto, sarebbe rilevante studiare il comportamento del consumatoree i flussi di visita, nonché il tempo di permanenza sul sito e il numero di paginevisitate. Ciò potrebbe fornire spunti per valutare come l’utente naviga il sito e quantiarrivano sulla pagina di Facebook per leggere nuovi aggiornamenti.Questo vuole essere solo un esempio, che ha lo scopo di mostrare come specificaredegli obiettivi inconsistenti possa portare a non avere dati sui quali prendere delledecisioni.

La scelta degli strumenti

La scelta degli strumenti da utilizzare nell’analisi è il passo finale prima della fase diraccolta vera e propria.La selezione deve essere fatta in funzione degli obiettivi da raggiungere e in base allerelazioni di causa ed effetto che esistono tra i diversi canali.In rete si possono trovare strumenti gratuiti o a pagamento. Nella prima categoriarientrano, ad esempio, Google Analytics, Facebook Insights e Twitter Analytics: tuttistrumenti creati dalle rispettive aziende di produzione della piattaforme da esaminare.A questi si aggiungono altri tool che hanno funzioni simili o supplementari e che sonodisponibili sia gratuitamente, sia a pagamento.I social network che al momento non forniscono alcun tipo di informazioni perl’analisi sono Instagram e Whatsapp, tenendo ben presente che quest’ultimo non è

considerato un social network in stile classico ma è più un’app di messaging.Una soluzione molto efficace per le aziende è la scelta di utilizzare strumentistrutturati per integrare in un’unica piattaforma tutti i canali utilizzati e avere unavisione d’insieme dell’andamento. Nello specifico, si parla di “software dimonitoring” che forniscono anche altri servizi molto potenti, come il listening sualcune parole chiave in tutta la rete e le analisi semantiche delle conversazioni edemografiche sul target. I costi di questi strumenti, in media, si aggirano su alcunecentinaia di euro mensili, cifra che, purtroppo, li pone al fuori dalla portata di moltimusei.

Si passerà ora ad analizzare le caratteristiche dei principali strumenti a disposizione ea valutare le loro potenzialità in un’ottica di business.

Google Analytics

Google Analytics è un servizio fornito gratuitamente da Google che consente dianalizzare le statistiche sui visitatori di un sito web. Attualmente è in uso presso circail 50% dei siti web (fonte W3techs.com)Consente di ottenere molte informazioni sulle caratteristiche demografiche delproprio target, sulla provenienza e sul comportamento di visita del sito. GoogleAnalytics si può integrare con altri servizi come Adwords, la rete Display e ilRemarketing.Dal punto di vista dell’analisi dei dati, Analytics non permette all’utente di vedere idati grezzi, ma mostra le informazioni a livello aggregato, che possono esseresuccessivamente elaborate oppure direttamente presentate, riducendo i tempi.

Gli Obiettivi

Un aspetto molto importante di Analytics sono gli Obiettivi, cioè la capacità del sito difar realizzare una determinata azione ad un utente. Nella pratica, un obiettivo puòessere la conclusione di una transazione, oppure il raggiungimento di un certo numerodi pagine visitate per visita, o ancora il download di una brochure informativa.Ogni volta che l’utente tiene il comportamento che si vuole tracciare, si genera unaconversione che viene segnata nell’apposita sezione.Si possono impostare quattro tipi di obiettivo:

– Destinazione: si indica una pagina specifica che l’utente deveraggiungere. Un esempio classico è la pagina di ringraziamento perl’acquisto effettuato, oppure la pagina per il completamento dellaregistrazione. Ai fini della trattazione, è opportuno precisare che questotipo di obiettivo si integra con l’analisi del flusso di navigazione, alloscopo di comprendere il tunnel di conversione.

– Evento: viene specificata una certa azione che l’utente deve compiereper poter segnare una conversione, ad esempio il click su un bottone osu un’immagine, la riproduzione di un video, la raccomandazionesociale. Alla stregua del precedente obiettivo, seguendo i flussi dinavigazione si può stimare il tunnel di conversione. A differenza di tuttigli altri obiettivi, impostare un evento comporta l’inserimento di unosnippet (frammento, poche righe) di codice all’interno della pagina,quindi è necessario avere accesso ai sorgenti o contattare lo sviluppatoredel sito.

– Durata: segnala le visite che durano per un determinato periodo ditempo o più a lungo. Questo indicatore può essere utilizzato per valutarela capacità che ha un portale di fornire informazioni utili, quindiminore è la durata della visita, maggiore è la facilità di ricercare icontenuti desiderati. Al contrario, può essere utilizzato per capire se inavigatori continuano a visitare le sezioni del sito per ottenere ulterioriapprofondimenti e se il materiale presente è utile e interessante.Ovviamente, il concetto di “contenuto utile e interessante” vaapprofondito mediante altri indicatori.

– Pagine/schermate per visita: segna una conversione quando ilvisitatore visualizza uno specifico numero di pagine o schermate.Questo indicatore può essere integrato con il secondo sopra citato.

Le Dashboard

Con il termine Dashboard si fa riferimento ad una schermata che permette all’utentedi avere una visuale d’insieme su uno specifico aspetto, grazie all’utilizzo deiwidget. Questi sono dei componenti grafici che hanno lo scopo di facilitare all’utentel’interazione e la comprensione dei dati.

Con Google Analytics si possono creare dashboard di ampio raggio per avere unavisione generale circa le visite al sito e la capacità di conversione del portale, comel’esempio in figura. Oppure si possono creare delle dashboard che analizzino unospecifico aspetto, come, ad esempio, le caratteristiche demografiche di tutti ivisitatori nuovi e di ritorno del sito.Le dashboard possono essere create dall’apposito menu, oppure importate dallasezione “Galleria”, dove sono presenti quelle che la community di Analytics ha giàcreato e condiviso. Questa seconda opzione facilita notevolmente il museo che hapoca praticità con il sistema.

Le Sezioni

Google Analytics è strutturato in 5 sezioni, che verranno ora analizzate nelle lorocaratteristiche principali.

1. RealtimeQuesta sezione è strutturata per fornire informazioni in tempo reale sulla località diprovenienza degli utenti, le sorgenti di traffico (diretto, referral, social), i contenutivisualizzati, gli eventi che si sono verificati e le conversioni ottenute.Questa parte di Analytics è molto utile nel caso vi siano particolari situazioni chegenerano picchi di traffico in un arco di tempo molto ristretto, in genere si parla di

poche ore. Alcuni esempi classici di utilizzo possono essere inaugurazioni di mostreesclusive, aperture speciali, eventi in diretta. Diventa utile, in tali casi, capire lecaratteristiche principali del target che sta visualizzando il sito e il comportamento dinavigazione.

2. PubblicoLa sezione Pubblico contiene le informazioni sugli utenti che visitano il sito e, nellospecifico, le caratteristiche demografiche: la località di provenienza dellaconnessione, la lingua utilizzata e gli interessi. Inoltre, si può valutare la fedeltà deinavigatori, se si tratta di nuovi utenti o di visite reiterate. Infine, è possibile saperecon quale device l’utente si collega, da mobile o fisso, quale browser e quale providerutilizza per la connessione.

La schermata principale della sezione “Pubblico” è una panoramica di tutte le sotto-sezioni. Come si evince dalla figura, Google Analytics mostra alcuni widget chepermettono di avere una visione d’insieme sul target.Nella parte superiore della pagina viene mostrato un grafico che evidenzial’andamento delle visite, solitamente, nell’ultimo mese; subito sono vi sono alcuniindicatori di performance:

– Sessione: numero totale di visite;– Utenti: numero di utenti unici che hanno visitato il sito (se tale valoresupera quello precedente significa che ci sono visitatori che ritornano);– Visualizzazioni di pagina: indicatore generico del numero totale dipagine visualizzate, da confrontare con altri valori più specifici, comead esempio la durata delle visita;

– Pagine/visita: indica il numero delle pagine visualizzate in ognivisita. Questo dato va rapportato al numero delle pagine totali del sito eai flussi dei visitatori. Si prenda per esempio la situazione in cui inavigatori sono alla ricerca del programma degli eventi dell’estate: se ilnumero delle pagine/visita è elevato significa che le informazioni sulsito non sono facilmente ricercabili e che l’utente deve visitare moltepagine per poter trovare l’informazione che cerca;– Durata sessione media: indica il tempo medio della durata dellavisita e, come già discusso, va analizzato insieme ad altri indicatori,come il numero delle pagine/visita;– Frequenza di rimbalzo: rappresenta il numero dei visitatori cheabbandonano il sito dalla stessa pagina dalla quale sono entrati. Se, peresempio, la maggior parte degli utenti arriva sulla home page e laabbandona, ciò può significare che il sito non fornisce un valoreaggiunto alla navigazione e i visitatori non riescono a trovare quello checercano;– Percentuale di nuove sessioni: indica il rapporto tra i nuovi utenti ei visitatori complessivi del sito. Minore è tale rapporto, maggiore è iltasso di fedeltà al portale.

Nella parte inferiore della pagina vengono fornite informazioni che possono esseredefinite “di contorno”, perché danno dati aggiuntivi e integrativi di quelli appenaesaminati: i dati demografici, il sistema, la tecnologia utilizzata e la lingua.

Dati demografici e Interessi. Tali informazioni vengono ricavate da cookie di terzeparti DoubleClick. Nella pratica, non tutti i siti possono ottenere questi dati, masolamente quelli che raggiungono un massa critica di visite tale che, anche medianteanalisi di scomposizione dei dati, non è possibile ricavare l’identità di un singoloutente.

Dati geografici. Indicano qual è la lingua utilizzata dai visitatori e la provenienzageografica. Un’analisi approfondita di questa sezione potrebbe aiutare a comprenderese è necessario utilizzare un sito multi-lingua e quale linguaggio implementare.

Comportamento. In questa sezione si possono valutare gli indicatori che aiutano acomprendere l’affezione di un navigatore al sito web. È possibile sapere quanti sono inuovi visitatori e quanti sono quelli che ritornano e, di questi, quante volte il singoloutente ritorna sul sito. Vengono, infine, forniti i dati sulla durata delle visite.

Tecnologia e Mobile. In queste due sezioni è possibile comprendere quali browser eprovider di connettività utilizzano i navigatori, nonché la percentuale di visite damobile. Solitamente questi dati hanno molto valore per gli sviluppatori, piuttosto cheper l’area marketing.

Flusso di utenti. Questa sezione permette di valutare i modelli di traffico al sito web inrelazione alle sorgenti di provenienza. La schermata è composta dai nodi, che sono ipunti di passaggio del traffico; dalle connessioni, che indicano il percorso dell’utente;dalle uscite (la parte in rosso), che rappresentano in quale nodo i visitatori hannoabbandonato il sito.Si possono selezionare diverse sorgenti di traffico per effettuare analisi che hanno unvalore più qualitativo che quantitativo. Il flusso di navigazione va successivamenteapprofondito con altri indicatori numerici in relazione all’obiettivo di ricerca.

3. AcquisizioneLa parte di “Acquisizione” restituisce le informazioni circa la provenienza deinavigatori, quindi permette di comprendere quali sono i canali che generano trafficosul sito. Google Analytics, a priori, identifica 5 sorgenti di traffico:

– Organico: tutti gli utenti che sono atterrati sul sito perché erano allaricerca di una precisa keyword su un motore di ricerca. Analytics nonfornisce, però, la lista delle parole chiave che generano traffico al sito, ameno che non sia in atto una campagna pubblicitaria su Adwords el’utente abbia cliccato sull’annuncio;– Diretto: i navigatori che arrivano sul sito digitando direttamentel’indirizzo nella barra del browser. Si tratta quindi di persone che giàconoscono il portale e lo visitano solitamente per uno specifico motivo;– Referral: indica i siti e le relative pagine che portano traffico sul sito.È fondamentale capire quali siti stanno generando valore per il portale,il livello di coinvolgimento degli utenti e la loro capacità di realizzaregli obiettivi;– Email: tutti gli utenti che arrivano sul sito dopo aver cliccato suun’email. Solitamente si tratta di campagne di mailinglist;– Social: i navigatori che arrivano dai social network. In questo caso èstato condiviso su un social un link al sito che è stato successivamentecliccato. Anche in questo caso, diventa fondamentale comprendere ilcomportamento dei visitatori e la capacità di raggiungere gli obiettiviper poter valutare quale social network genera più valore.

I dati che si ottengono da questa sezione, generalmente, vengono incrociati con quellidel comportamento sul sito e delle conversioni ottenute. Nella schermata iniziale,quella panoramica, si ottiene una visione di insieme sulle sorgenti, il comportamentoe le conversioni.

Per ognuna delle sorgenti vi è una sotto-sezione dedicata.

Tutto il traffico. Vengono visualizzati tutte le sorgenti e i mezzi di provenienza degliutenti, senza alcuna classificazione tra diretto, organico e via dicendo. Questopermette di avere una visione precisa di quali sono i siti o le campagne che generanopiù traffico e quali obiettivi vengono raggiunti.

Referral. Sono indicati tutti i domini e le singole pagine che generano traffico sul sito.

Campagne. È una lista di tutte le campagne che hanno generato traffico sul portale. Inquesta sezione, per esempio, compaiono le campagne pubblicitarie realizzate con lamailinglist, con i banner, oppure sui social network o su Adwords. I risultati presentisono influenzati dall’utente stesso che può decidere o meno di tracciare unacampagna.

Sociale. Vengono mostrati quali social network generano traffico al sito. Si puòapprofondire quali sono le pagine di atterraggio, quindi quale contenuto è statocondiviso e ha attirato l’attenzione dell’utente. Nella sezione Trackback è possibilevisualizzare quali sono le pagine condivise sui social che hanno portato traffico al sito.Questa sezione è molto importante se si vuole capire quali sono i contesti e gliargomenti nei quali il museo viene citato e che generano interesse nei visitatori.

Adwords e Ottimizzazione per i motori di ricerca. Sono due sezioni che si attivanoquando si collega l’account Adwords a quello di Analytics e si realizzano dellecampagne a pagamento. Ai fini di questa trattazione, non verrà dato approfondimentodi queste sezioni.

4. ComportamentoLa sezione sul comportamento restituisce degli indicatori che permettono di valutarequantitativamente e qualitativamente i contenuti presenti nel sito.Oggi, chi gestisce un sito deve creare, con una certe frequenza, dei contenuti chesiano realmente utili ai visitatori. Da un lato aumenta la soddisfazione dei navigatoriche trovano un plusvalore nel sito, dall’altro Google valuta positivamente questasituazione e incrementa il ranking, migliorando il posizionamento sul motore diricerca.In questa sezione, dunque, si possono ottenere informazioni sulla durata della visita ela profondità, sui contenuti del sito, e sugli eventi realizzati dai navigatori.Come tutte le altre sezioni già viste, anche quella “Comportamento” ha una visualepanoramica, (in figura sono stati censurati alcuni dati sensibili).

Nella parte superiore è rappresentanto l’andamento mensile del numero complessivodi pagine visitate.Più in basso, vi sono degli indicatori numerici sul numero complessivo delle pagine,il tempo medio di durata di una visita e la frequenza di rimbalzo. Nella parteinferiore, nello specifico quella che è stata offuscata, vi è la lista di tutte le pagine chevengono più visitate. Grazie a questa classifica, si possono fare una serie diconsiderazioni circa i migliori e peggiori contenuti del sito.

Contenuti del sito. In questa sotto-sezione si possono realmente classificare icontenuti. In primo luogo è necessario comprendere su quali pagine gli utentiatterrano, quindi quali sono gli argomenti che portano i visitatori sul sito o quali sonole pagine che si diffondono più facilmente in rete. Poi si valutano i dettagli, cioè lemacro aree logiche nelle quali sono stati suddivisi i contenuti.Per un museo, questa fase comporta una serie di difficoltà nella concettualizzazionedella suddivisione, però, per meglio rendere l’idea, basta pensare ad un e-commerce dimoda che divide la sua collezione in scarpe, maglie, pantaloni, accessori. Grazie aduna visione di dettaglio, può studiare quali sono le aree che più attirano l’utente.Come ultimo passaggio, si valuta da quali pagine il visitatore abbandona il sito.Solitamente l’uscita si verifica se l’informazione ricercata è stata individuata oppurequando si arriva ad un punto morto della navigazione.Per ottimizzare i contenuti è necessario seguire il processo di analisi appena descritto,che deve essere integrato con altri elementi, come le caratteristiche del target o gliobiettivi di conversione.

Ricerca del sito. In questa sotto-sezione sono raccolte tutte le keyword che l’utentericerca nell’apposito modulo all’interno del sito. Questa lista aiuta a comprenderequali sono gli argomenti e le informazioni di cui il navigatore ha bisogno e che nonriesce ad individuare facilmente.

Eventi. La parte degli eventi si collega agli Obiettivi che sono stati trattati inprecedenza. In questa schermata sono raccolti tutti gli eventi tracciati e vengonofornite informazioni di approfondimento, come la pagina nella quale l’evento si èverificato e il flusso di navigazione che ha portato una certa sorgente a generarel’evento.

Analisi dati In-Page. Si tratta di una schermata dinamica che aiuta a capire come gliutenti utilizzino realmente il sito web, quali siano le aree della pagina più cliccate ecome avvenga l’interazione con i contenuti. Spesso, da questa sotto-sezione nasconodelle considerazioni di tipo qualitativo per poter ottimizzare le singole pagine e icontenuti.

5. ConversioniQuesta è la sezione di maggiore sostanza di tutto l’applicativo perché permette dicapire se il sito raggiunge lo scopo per il quale è stato creato e se gli utenti tengono icomportamenti previsti e raggiungono gli obiettivi prefissati nella strategia.

Affinché questa sezione sia funzionante, è opportuno impostare degli obiettividall’apposito pannello di controllo “Obiettivi”, che si trova in Amministrazione, sottola Vista del sito di riferimento.Google Analytics prevede già una casistica di goal da attivare, oppure si puòprocedere manualmente all’inserimento.La sezione “Conversioni” a differenza di tutte quelle precedenti, non ha unapanoramica complessiva, ma è necessario approfondire le singole sezioni. In questasede, ai fini della trattazione, verrà esaminata solamente la sotto-sezione degli“Obiettivi”.

Obiettivi. Da questa schermata è possibile valutare e studiare il tasso diraggiungimento del singolo obiettivo e rapportarlo ad altri indicatori, come il numerodi utenti unici o il numero delle visite.È importante approfondire anche l’URL nella quale il goal è stato segnato e,soprattutto, il percorso inverso, che mostra quali sono le pagine a ritroso che l’utenteha seguito.Un altro strumento è la canalizzazione dell’obiettivo, la quale restituisce unarappresentazione grafica del tunnel di conversione e che aiuta a studiare i passaggiche l’utente compie. In pratica, partendo da un certo numero di utenti che arriva alsito, il tunnel si stringe progressivamente ad imbuto durante la navigazione, poichédiminuisce fisiologicamente durate la visita il numero degli utenti che sottendono adun preciso obiettivo.

Facebook Insights

Facebook mette a disposizione di chi gestisce le fan page uno strumento di analisi,chiamato “Insights”, che permette di ottenere informazioni sulla composizione deltarget, aiuta a valutare chi interagisce con la pagina e quali contenuti ottengono piùinterazione.Gli Insights si attivano automaticamente quando si superano i 30 like e, solitamente,i dati non si aggiornano in real time, quindi bisogna sempre considerare una certavarianza per i dati di brevissimo periodo.

Le performance dei gruppi

Prima di analizzare Insights, si vuole ricordare che anche per i gruppi al di sotto dei250 membri esiste un piccolo sistema per valutare le performance.Ad oggi, questo metodo, seppur macchinoso e rudimentale, è realmente funzionante,ma non è da escludere che futuri aggiornamenti di Facebook possano rendereinutilizzabile e inefficace il procedimento.Il punto di partenza dell’analisi sono gli utenti che hanno visualizzato il contenutocondiviso, che vengono mostrati da Facebook nella parte inferiore del post, alla voce“Visualizzato da”. Questo dato rappresenta la portata effettiva del post, che spesso èsuperiore a quella che hanno le singole pagine. Se poi si rapporta il numero delleinterazioni ottenute dal post (like, commenti e condivisioni) alla portata, si ottiene iltasso degli utenti che, dopo aver visto il post, hanno interagito con esso.Questo piccolo stratagemma fornisce due informazioni: in primo luogo il numero diutenti che realmente legge i post, solitamente con rispettivi nomi e cognomi; insecondo luogo, si può studiare quali sono gli iscritti al gruppo che più interagisconoattivamente.

Come funziona Insights

L’accesso agli Insights avviene cliccando l’ononimo pulsante nel menu superiore cheappare sulla pagina della quale si è amministratori.A tal proposito, si ricorda che le fan page hanno diversi livelli di accesso e adognuno di essi sono associate schermate differenti: all’aumentare della posizionegerarchica, aumenta la quantità delle informazioni visualizzate.

Facebook permette anche l’esportazione in forma tabellare di tutti i datirappresentati graficamente, insieme ad altre tipologie di approfondimento: èsufficiente accedere alla sezione “Esporta” in alto a destra nel menu.

Come Google Analytics, anche Facebook ha una schermata iniziale che mostra unapanoramica generale della pagina su un arco di tempo settimanale.

La pagina è divisa in tre parti.

La parte superiore contiene il menu dal quale si può accedere alle sezioni diapprofondimento per valutare la composizione del target, la portata della pagina el’andamento dei post.Poco sotto vi sono tre riquadri che includono alcuni indicatori di sintesi.Il primo a sinistra mostra il numero dei like complessivi della pagina e l’andamentosettimanale confrontato con quello della settimana precedente (in realtà questoindicatore ha una scarsa valenza perché il periodo di riferimento settimanale è sceltoarbitrariamente da Facebook e potrebbe non coincidere i tempi delle strategie inatto).Il riquadro centrale mostra la portata dei post, cioè quanta gente visualizza lecondivisioni, e, anche in questo caso, vi è il confronto tra la settimana attuale e quellaprecedente.

Infine, nella sezione a destra viene mostrato il coinvolgimento settimanale, cioèquanti utenti hanno cliccato sul post e interagito con un’azione (like, commento,condivisione).In pratica, analizzando l’immagine, si può affermare che questa settimana la paginaha ottenuto 9 nuovi like e i post (non viene mostrato il numero delle condivisioni)sono stati visti da 927 utenti, 436 dei quali hanno cliccato sui post, mentre solo alcunihanno interagito: 33 hanno cliccato like, 4 hanno commentato e altri 4 hannocondiviso il contenuto.La parte inferiore di questa schermata mostra le performance degli ultimi post everrà approfondida successivamente.Una terza parte è attiva solo se viene monitorato l’andamento dei “mi piace” di altrepagine.

Mi Piace

In questa sezione si possono approfondire alcuni aspetti d’insieme sulla crescita dellapagina, nonché sulla provenienza dei like. È divisa in 4 parti:(elenco numerato)La prima sotto-sezione mostra quanti like si ottengono giornalmente. Si tratta di unindicatore che non ha un valore assoluto, ma va rapportato con altri dati che sarannoapprofonditi successivamente. In questa sotto-sezione si può selezionare anche l’arcotemporale dell’analisi, che influenzerà tutti i grafici che si trovano al di sotto.

La seconda sotto-sezione mostra i like giornalieri in maniera aggregata, quindi diprimo acchito si può notare con quale velocità la pagina cresce. L’arco temporale diriferimento è quello che si è impostato nella sezione precedente.

La terza sotto-sezione è un grafico a linee che permette di approfondire quanti likeprovengono da azioni spontanee degli utenti, quanti sono quelli che provengono dacampagne pubblicitarie e quanti utenti hanno tolto il “Mi Piace” alla pagina.

L’ultima sezione è forse la più importante, perché mostra la provenienza dei like.Facebook individua 4 tipologie di provenienza dei fan:

– Sulla tua Pagina: utenti che arrivano sulla pagina e mettono like,solitamente perché la ricercano o vi arrivano direttamente;– Suggerimenti di Pagine: ad un utente che ha appena messo “Mi

Piace” a una pagina o a un post, vengono mostrati suggerimenti dipagine simili. Solitamente si tratta di fan che sono abbastanza in lineacon i contenuti della fan page di riferimento;– Navigazione su dispositivo mobile: like effettuati da dispositivimobile;– I tuoi post: utenti che hanno messo like direttamente dal post, senzaatterrare prima sulla pagina;– Altri.

Persone

Dopo aver analizzato i “Mi Piace”, sembra logico comprendere le caratteristichedemografiche del target della pagina.I grafici presenti in questa sezione sono facilmente interpretabili e mostrano lepercentuali di uomini e donne, nonché le fasce di età alle quali appartengono.Le barre in blu si riferiscono alla pagina analizzata, quelle in grigio indicano la mediadi Facebook. Non sempre questo dato può essere utile all’analisi perché un datomedio non è sempre confrontabile con un prodotto di nicchia o un servizio non dimassa.Nella parte inferiore della sezione è riportata la provenienza dei fan che permette divalutare l’eventualità di scrivere post in più lingue o di realizzare campagne dicomunicazione per ogni singola zona di provenienza dei visitatori, stimolando, adesempio, i fan che si trovano più vicini al museo.

Vi sono, inoltre, altre 2 sotto-sezioni che danno informazioni demografiche sullepersone raggiunte, cioè quelle che hanno visto i contenuti della pagina senza essernefan, e su quelle coinvolte, cioè quelle che hanno interagito in maniera diretta con ipost.Solitamente non ci sono grandi differenze tra questi gruppi di target e piccolevariazioni percentuali sono poco significative, anche in considerazione del fatto chepossono essere causate da arrotondamenti. Se però si notano dei gap, significa che visono delle azioni correttive da mettere in atto.

L’ultima sotto-sezione assume notevole importanza nel caso dei musei perché mostrale caratteristiche demografiche degli utenti che hanno fatto check-in e la loroprovenienza geografica. Queste sono le persone che veramente hanno visitato ilmuseo: a loro bisogna comunicare e indirizzare le nostre campagne di fidelizzazione.

Portata

La portata, altresì detta Reach, indica il numero delle persone che hannovisualizzato il post.Nello specifico, Facebook fa riferimento al numero di utenti che hanno vistocomparire nella propria timeline il post e non vi è alcuna sicurezza che il post sia statorealmente letto o compreso. Questa sezione è suddivisa in 4 parti.

– La prima sotto-sezione indica esclusivamente la portata di ognisingolo post, limitandosi a indicare il numero delle impression generate.

– La seconda mostra il numero delle interazioni giornaliere degliutenti, quindi non in funzione del singolo post. I dati della prima eseconda sezione possono essere rapportati tra di loro, per valutareapprofonditamente l’andamento dell’engagement nel tempo e sul singolopost. Purtroppo, la modalità di rappresentazione dei dati (diagramma adarea) non permette di ottenere i dati grezzi, che invece si possonovisualizzare mediante la funzione di esportazione dei dati.

– La terza sotto-sezione mostra i feedback negativi ottenuti, comeutenti che nascondono il post o lo segnalano come spam.

– Per ultimo, viene mostrata la portata complessiva di tutta lapagina, cioè tutte le notizie, comparse sulla timeline degli utenti, chesono generate dai post pubblicati, dai post scritti da altre persone, dalricorso a Facebook Advertising, dai tag e dalle registrazioni.

Generalmente, all’analisi del reach segue l’analisi dei contenuti e delle interazioni, alloscopo di individuare l’imbuto del comportamento degli utenti sulla nostra pagina diFacebook.

Post

Questa sezione aiuta a valutare quali sono i post che hanno avuto le miglioriperformance ed è suddivisa in due parti.

La sotto-sezione superiore contiene tre schermate.

1. Nella prima viene mostrato quando i fan della pagina sono online equanti sono. Questo dato può essere utile per individuare gli orarimigliori in cui condividere. Si può anche analizzare il singolo datogiornaliero e sviluppare il perfetto timing del piano di condivisione.2. La seconda schermata è utile per fare un’analisi macroscopica delpiano editoriale in quanto vengono mostrati quali sono i contenuti cheottengono maggiore engagement.

Facebook individua tre tipi di contenuto: video, link e foto. L’esempioriportato in figura evidenzia che i link hanno meno successo delle foto eanche dei video, è dunque facile affermare che i video sono il contenutomigliore e che sarebbe meglio condividerne di più.Se si approfondisce l’analisi sul dato scomposto, si nota che i videohanno una portata doppia rispetto ai link e tripla rispetto alle foto,nonostante il numero di “Mi Piace, commenti e condivisioni” siasostanzialmente uguale.A quanto pare, gli utenti mediamente interagiscono in maniera identicasu tutti i contenuti, ma sono maggiormente attratti da video e foto, infunzione ai “Click su post”. Ad esempio, se rapportiamo i click sul postalla portata media, si nota che in media il 27% degli utenti che ha vistoil video ha cliccato sul post, mentre per le foto si tratta del 24%. I datisono sostanzialmente molto vicini, quindi non c’è una tipologia dicontenuti che realmente prevale sulle altre.

3. La terza parte di questa sotto-sezione mostra i post principali dellepagine sotto controllo e mostra qual è il singolo post che durante lasettimana ha ottenuto maggior engagement.

La seconda sotto-sezione è, forse, quella più importante per valutare i contenuti,poiché essi sono mostrati singolarmente con tutti i dati di approfondimento.

Per ogni condivisione si può valutare la tipologia di contenuto (link, foto, video), ildestinatario (se tutti o uno specifico target geografico), la portata (quante personehanno visto il post) e il coinvolgimento (le modalità di interazione).La portata può essere a sua volta divisa in organica o a pagamento, se si utilizzaFacebook advertising, e in fan/non fan. Il coinvolgimento mostra il numero di clickper post e il numero di interazioni.Per comprendere le performance della pagina si valuta prima la portata, poil’attrattività del post in base ai click e infine l’engagement rate.Un secondo livello di approfondimento può essere affrontato cliccando sul pulsantecon la freccia verso il basso che è posizionato a fianco della voce “Mi piace,Commenti e Condivisioni”, che restituisce altri indicatori.Il primo mostra le attività degli utenti, dividendo i “mi piace” da commenti econdivisioni: in questa schermata è realmente possibile comprendere e valutare leperformance del singolo post.La seconda sezione prende il nome di “Post nascosti, Tutti i post nascosti,Segnalazioni di spam, “Non mi piace più” sulla tua Pagina” e mostra tutti i feedbacknegativi per ogni singolo contenuto condiviso.Infine, è possibile visualizzare il tasso di coinvolgimento che si ottiene suddividendo

la somma delle interazioni degli utenti (non necessariamente fan) sul post e di clicksul contento per la portata.

Se, nella sotto-sezione che mostra la lista tabellare dei contenuti, si clicca sul singolopost , si accede ad una visuale di approfondimento per valutare i “mi piace”, icommenti e le condivisioni ottenuti sul post pubblicato e sulle condivisioni pubblicheda altri utenti (quelle senza filtri di privacy, generalmente altre pagine).Inoltre, in funzione del contenuto, è possibile ottenere informazioni sui click sul link,se si tratta di un indirizzo web, sulle visualizzazioni di foto se si tratta di un’immagine,sui click per riprodurre il video e il tempo di visualizzazione se si tratta di un filmato.

È necessario precisare che questa sezione degli Insights di Facebook contiene molteinformazioni che sono state trattate ricorrendo alla sintesi e agli esempi pratici,piuttosto che all’approfondimento numerico del dato. Di primo acchito potrebbeapparire molto complesso analizzare le performance dei post, ma la pratica costantee l’esperienza rendono queste operazioni molto semplici, divertenti e stimolanti epossono realmente fornire una base di dati per la realizzazione di nuove strategie.

Visite

L’ultima sezione che si analizzerà riguarda la provenienza delle visite sulla pagina,similmente a quanto detto per Google Analytics.Questa sezione è suddivisa in 3 parti.

La prima mostra quali sezioni della fan page l’utente visita:– il diario, cioè la schermata principale;– le informazioni, che sono una parte di approfondimento della paginache può essere visitata, ad esempio, per capire quali sono gli orari diapertura di un museo o per avere notizie più dettagliate rispetto a quellesintetiche che si trovano nella pagina principale;– le foto, accedendo dall’apposita tab;– le schede di amministrazione (non sono importanti ai fini dello studiosull’utente finale);– altre schede, se sono state create.

La seconda sezione mostra il numero delle azioni che gli utenti hanno realizzato sullapagina: si tratta di check-in, menzioni o pubblicazione di post. Questi dati sono utili

per individuare i fan più affezionati e fedeli del museo.

L’ultimo grafico riporta i domini esterni a Facebook dai quali provengono le visite, eaiuta a capire se gli utenti ricercano la pagina dall’esterno, se ci sono referralimportanti che puntano alla fan page e se il sito web è in grado di portare traffico.

Twitter

Twitter fornisce un sistema di analisi delle performance del profilo.Nel momento in cui si scrive questo e-book, l’accesso ad Analytics è disponibile solo achi ha implementato le Twitter Cards. Probabilmente questo servizio, in futuro, saràattivato per tutti gli utenti.Per molto tempo, gli utenti di Twitter – soprattutto le aziende – hanno avuto lanecessità di valutare le performance del proprio profilo, ovvero il suo tasso di crescita,la composizione della base di utenti, il livello di interazione sui contenuti, la capacitàdi sviluppare discussioni su precisi argomenti e l’utilizzo degli hahstag.Negli ultimi anni, grazie alle API messe a disposizione da Twitter (si può controllarela documentazione su Dev.twitter.com/docs), sono nati molti strumenti, sia gratuitisia a pagamento, che aiutano gli utenti nell’analisi delle proprie performance. Alcunidi essi si possono ancora utilizzare e integrare con gli Analytics di Twitter:

– www.twitonomy.com

– www.tweetlevel.edelman.com

– www.simplymeasured.com

– www.foller.me

– www.tweetstats.com

– www.twtrland.com

– www.twittercounter.com

– www.twitaholic.com

– www.tweetreach.com

– www.topsy.com

– www.followerwonk.com

– www.mentionmap.com

Twitter Analytics si compone di 3 macro aree che approfondiscono i Tweet, iFollower e le Twitter Cards.

Tweet

La sezione Tweet permette di valutare le performance dei contenuti condivisi edunque di comprendere quali sono i contenuti migliori e quali hanno bisogno diessere rivisti.La prima schermata alla quale ci si trova di fronte è un grafico riassuntivo dellaportata, ovvero il numero delle persone che hanno visualizzato i tweet.

Nella parte sottostante, sono elencati tutti i tweet e per ognuno di essi vienedettagliata la portata, il numero di interazioni e l’engagement rate espresso inpercentuale. Cliccando sul tweet, si possono approfondire le tipologie di interazionidegli utenti: numero di risposte, numero di retweet e numero di preferiti.Si può anche valutare l’andamento orario del reach, solo per le prime 30 ore di ognisingolo tweet.

La sezione a destra contiene degli indicatori giornalieri sull’andamento dei tweet. Ai

più attenti non sarà sfuggito che gli Analytics offrono due tipologie di informazioni:una filtrata per contenuto (nella parte centrale) e una filtrata per giorno (nella colonnadi destra). Questo tipo di posizionamento aiuta ad avere una visione panoramica e didettaglio in un’unica pagina, lasciando poi la possibilità di approfondire ogni singolotweet.

(Fonte: Vincos.it)

Follower

La sezione dei follower, alla stregua degli Insights di Facebok, aiuta a valutare lacrescita dell’account e la composizione qualitativa e quantitativa dei follower.La parte superiore contiene un grafico a linee che mostra la crescita del numero deifan. Subito sotto, si può studiare la composizione della base di utenti iniziando dagliinteressi, per poi sapere quali sono gli argomenti che maggiormente vengono trattati.Twitter li suddivide in “particolari” e “principali”.Inoltre, è possibile valutare la provenienza geografica a livello di nazione e di cittàdi provenienza.Infine, vi sono informazioni sul genere sessuale e su quali sono gli altri account che i

follower seguono maggiormente.

Valutando gli interessi principali e secondari, insieme agli account seguiti daifollower, si può capire quali sono i temi che possono ottenere un maggior feedback esu quali puntare a discapito di argomenti che non interessano al target.

Twitter Cards

Le Twitter Cards permettono la creazione di un tweet arricchito, ad esempio, daun’anteprima del post o da una breve descrizione della pagina, e si utilizzano permisurare l’impatto virale di un account e dei suoi follower.È necessario inserire uno snippet di codice nel sito manualmente oppure tramite unplugin se si utilizza Wordpress (si veda Dev.twitter.com).Il primo elemento visibile è una panoramica (Istantanea) delle performancenumeriche ottenute: nella circonferenza più grande sono indicati i valori totali, inquella più piccola le azioni e i goal realizzati dall’account in esame.

Come si nota nell’immagine, iniziando ad analizzare dalla circonferenza a sinistra, laCard è stata twittata una volta dall’account e due volte da altri utenti: spostandosiverso il centro, si possono visualizzare le impression (il reach) e infine quanti sono iclick e i retweet ottenuti.

Nella sezione più in basso, si può notare un grafico a linee che mostra l’andamentogiornaliero aggregato dei tweet, del reach e dei click. Tale grafico è utile per averesempre una visuale d’insieme e individuare eventuali picchi in attivo o in negativo.

Più in basso ancora vi è una panoramica di tutte le Twitter Cards utilizzate e il lorotasso di conversione, che può essere confrontato con il tasso medio di tutte le Cardsattive sul social network.Infine, nell’ultima sezione in basso si notano i link, cioè le pagine, che hanno ottenutopiù interazioni da parte del pubblico.

Nella macro area della Twitter Cards, ai fini dello scopo di questo e-book, verrannoanalizzate solo le sezioni relative alle Fonti e agli Influencer. In quest’ultima sezione,nello specifico, vengono analizzati quegli account che Twitter classifica comeinfluencer e che hanno condiviso le nostre Cards. Dalla schermata si deduce anchequal è stato il reach generato da ogni influencer e i click che ha portato: questi datipermettono di sapere quali sono gli utenti che generano maggior valore per il nostroaccount.Nella sezione relativa alle Fonti, si può sapere quali app, widget e siti web hannogenerato il maggior numero di interazioni in termini di portata e click.

(fonte: http://www.skande.com/)

Instagram

Instagram non ha un sistema pubblico di Analytics. Per fortuna, però, questo socialnetwork mette a disposizione alcune API, meno potenti di quelle di Facebook e diTwitter, che comunque permettono di valutare le performance di un account.Nel tempo, sono nate molte app, alcune gratis, altre a pagamento, che sfruttano le APIper strutturare dei sistemi di Analytics soddisfacenti, grazie ai quali è possibileanalizzare i follower e i following, nonché le performance delle fotografie.Verrà analizzato un solo strumento che, a esclusivo parere di chi scrive, è il giustocompromesso per i costi (nulli, in quanto è uno strumento gratuito) e le informazioniche permette di ottenere. È opportuno precisare che i dati che utilizzano applicativi diquesto tipo sono pubblici, per cui l’analisi può essere realizzata sia sul nostro account,sia su quello di altri musei.

Iconosquare (in precedenza Statigr.am)

È un applicativo gratuito, raggiungibile su Iconosquare.com, composto da seischermate.Nella prima – panoramica – si possono visualizzare i dati generali, come i media

caricati, l’andamento dei follower negli ultimi 7 giorni e i tassi di interazione degliutenti:

– love rate, quanti like in media per ogni foto;

– talk rate, quanti commenti in media per ogni foto;

– spread rate, quanti like per ogni foto provenienti dai non follower.

La seconda sezione è una panoramica mensile sull’andamento dell’account, con unfocus sui contenuti e sui follower.La terza parte approfondisce i media e mostra le informazioni su quanti sono quellicondivisi, quando vengono postati, quali i filtri e quali hashtag sono maggiormenteutilizzati dall’account.La quarta sezione analizza l’engagement e individua quali foto hanno conseguito lamigliore risposta dai fan e quanti commenti e like sono stati ottenuti giornalmente.La quinta sezione, mostra in sintesi in quale giorno e in quale orario i post ottengonoil maggiore engagement, dando dunque la possibilità di decidere di condividere lefoto negli orari migliori.

Nell’esempio in figura: da un’analisi generale si nota che il sabato e la domenica sonoi giorni in cui si hanno maggiori interazioni e nell’orario pomeridiano e serale siconcentra maggiormente l’engagement. In realtà, se si guarda più attentamente, ilsabato mattina è il momento in cui si ottengono le migliori performance.

Proseguendo l’analisi della sezione, si può valutare per quanto tempo un contenutogenera interazioni, quindi se i fan sono molto attivi o meno. Infine si possono avereinformazioni riguardanti l’utilizzo degli hashtag, se quelli che utilizza l’account sonotra quelli più in voga su Instagram e la frequenza di utilizzo degli stessi.L’ultima sezione permette di valutare la crescita nel tempo di follower e ifollowing, di ricevere suggerimenti sui nuovi utenti che hanno interagito conl’account e che potrebbero essere seguiti, infine mostra quali sono i profili ai qualil’account ha dato più like.

API

Le A.P.I., acronimo di Application Programming Interface (in italiano Interfaccia diProgrammazione di un’Applicazione), sono un’insieme di procedure definite dallosviluppatore che permettono l’espletamento di specifiche funzioni di un certoprogramma. Ad esempio Facebook, grazie alle sue API, ci permette di avere la lista ditutte le persone che hanno messo like ad uno specifico post di una certa pagina.L’argomento delle API è di tipo avanzato e presuppone la capacità di programmare ela conoscenza dei linguaggi necessari per potersi interfacciare con le variepiattaforme.Ai fini della trattazione, è sufficiente evidenziare che le API rappresentano un livellodi astrazione più elevato del codice puro, semplificando il lavoro del programmatoreche non deve riscrivere sempre le medesime funzioni.

Facebook, Twitter e Instagram mettono a disposizione della API che si possonoutilizzare anche direttamente da browser:

– Facebook: https://developers.facebook.com/tools/explorer

– Twitter: https://dev.twitter.com/console

– Instagram: http://instagram.com/developer/api-console/

Facebook dispone di un set di API molto potente e molte informazioni sono già resedisponibili negli Insights (tuttavia la ricerca di “quali sono gli utenti che hanno messolike ad uno specifico post” si può realizzare solamente tramite API).

Anche Twitter fornisce delle API potenti, delle quali, però, molte non sono integratenegli Analytics forniti dalla piattaforma, come tutte quelle che riguardano gli hashtag.Scrivendo il codice corretto, si possono ottenere molte informazioni: a titolo diesempio, si può scoprire se vi sono degli influencer che utilizzano un determinatohashtag.Instagram, invece, ha un set limitato di API che vengono utilizzate da tutti gliapplicativi che analizzano le performance di un account. Tuttavia, si tratta diinformazioni superficiali e non approfondite.

Le API, attualmente, vengono utilizzate dagli sviluppatori di tutti i software dilistening e da tutti gli applicativi gratuiti o a pagamento precedentemente menzionati.Con l’obiettivo della sintesi e ai fini dello scopo dell’e-book, si analizzerà ora unostrumento che permette di integrare le API di tanti social network.

IFTTT

È un applicativo, acronimo di If This Then That, raggiungibile su Ifttt.com, cheintegra diversi web services.

Come si intuisce dal nome, l’applicazione si struttura in 2 parti, una “this” e una“that”.La prima ha l’obiettivo di creare un evento, al verificarsi del quale si attiva unaprocedura automatica, che è specificata nella seconda parte. Ad esempio, puòrappresentare un evento “Il checkin su Foursquare” o “una foto su Facebook nellaquale io sono taggato”.La parte di “that” indica l’azione che verrà effettuata, come ad esempio “Condividi ilmio check-in su Facebook” oppure “condividi la foto su Twitter”.La combinazione di This (Trigger) e That (Action) prende il nome di Recipe, le qualivengono costantemente aggiunte e aggiornate dalla community di IFTTT.Alcuni recipes che possono essere utili ad un museo:

– Quando cambia l’immagine del profilo di Facebook, allora cambiaanche quella di Twitter;

– Quando su Instagram viene pubblicata una foto con un certo hashtag(ad esempio quello del museo), allora twittala ringraziando i fan;

– Quando pubblico su Instagram una foto, allora caricala in un album suFacebook.

Le applicazioni di IFTTT sono realmente molto ampie e i casi sopra citati sono unestratto esemplificativo. Le potenzialità di questo strumento aiutano i CommunityManager a gestire e integrare velocemente tutti i canali di comunicazione di unmuseo o di un’azienda.

6. Svegliamuseo: un progetto per “svegliare” i musei italiani onlineFrancesca De Gottardo

Antefatto

L’avventura di #svegliamuseo è iniziata nell’estate del 2013, quando sono stataincaricata di svolgere alcune ricerche sui musei italiani online per conto dell’agenziaper cui lavoravo.Nello specifico, si trattava di mappare il posizionamento online e sui social networkdegli enti culturali di Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, per unaricerca finalizzata a supportare la candidatura di Venezia come Capitale Europeadella Cultura nel 2019.Malgrado l’esito del processo di selezione non sia andato a buon fine per Venezia,l’indagine che ho svolto si è rivelata molto utile ed è stata a tutti gli effetti la base dacui si è sviluppata successivamente l’idea di #svegliamuseo.Nel corso delle mie ricerche, infatti, ho scoperto come molte delle istituzioni culturalipiù rappresentative del territorio esaminato fossero scarsamente comunicate online.Fatta eccezione per alcune realtà del Trentino Alto Adige e per gli enti supportati dafondazioni private nelle altre regioni, quasi tutti i siti internet presi in esame si sonorivelati antiquati, statici e molto limitati nel fornire informazioni all’utente. Nellagrande maggioranza dei casi, inoltre, i musei di piccole dimensioni non erano presentionline con siti propri, ma solo attraverso siti comunali o reti provinciali cheraggruppavano le realtà del territorio in portali forniti di schede.Spostando l’analisi sui social network, la situazione continuava a dimostrarsi più chelacunosa. Erano pochissimi i musei di piccole e medie dimensioni presenti suFacebook e quasi nessuno di essi si trovava su Twitter. Tutte le altre piattaforme disocial networking o blogging erano completamente trascurate da quasi tutte lestrutture prese in esame. Persino alcune tra le realtà culturali più note non eranorintracciabili sui social network di maggiore utilizzo, mentre, in alcuni casi, iprofili erano presenti, ma gestiti da visitatori e appassionati, invece che dalleistituzioni stesse.Anche gli enti culturali che curavano la propria presenza social dimostravano, nellamaggior parte, uno scarso spirito d’iniziativa verso un utilizzo più completo e creativodi questi strumenti, limitandosi ad annunciare gli eventi in corso di svolgimento, gliorari di apertura e i futuri appuntamenti.Ovviamente, già all’epoca della mia ricerca, esistevano alcune eccezioni notevoli,come il Mart di Rovereto, il MUSE di Trento – ai tempi ancora in pre–apertura – e la

Peggy Guggenheim Collection di Venezia. Tolti questi e pochi altri esempi isolati diutilizzo efficace del web, l’indagine si chiudeva prendendo atto di una situazionegeneralizzata di arretratezza e di mancata comprensione delle potenzialità offertedagli strumenti digitali.Concludevo la mappatura sostenendo che “la comunicazione online dei musei e delleistituzioni culturali nel Nordest si trova in questo momento in una fase di transizione,con alcuni esempi isolati di eccellenza, una buona parte di strutture che si stannoadeguando al cambiamento e una restante parte, ancora numerosa, di musei che nonsi comunicano online o lo fanno con metodi antiquati. Alcune realtà si differenzianonettamente dalla media e dimostrano di aver bene appreso la lezione dei museistranieri, scegliendo di intraprendere la strada della comunicazione bidirezionale chelega il museo all’utente, coinvolto in prima persona e chiamato a diventare egli stessoproduttore di contenuti.”Una volta terminata la ricerca per Venezia Capitale Europea della Cultura, mi èrimasta la curiosità di approfondire la situazione dei musei online nel resto d’Italia edi metterla a confronto con le pratiche di gestione degli strumenti digitali da parte deimusei stranieri. Ero curiosa di capire quali fossero le reali potenzialità offerte daisocial network in ambito museale e quali potessero essere i trend di sviluppo deldigitale nel settore culturale.Grazie a questa seconda fase di ricerca di best practices e di benchmark, ho iniziatoa raccogliere una buona quantità di materiale sull’argomento “musei e mondodigitale” e a riflettere sull’idea di utilizzarla in un progetto strutturato.L’analisi svolta, infatti, confermava la necessità di iniziare una discussione con imusei italiani su queste tematiche, in modo da sottolineare l’importanza di un usostrategico degli strumenti digitali e di rendere accessibili le informazioni, gli esempipositivi e i possibili spunti di utilizzo.

Il progetto

Lo scopo iniziale di #svegliamuseo, quindi, è stato principalmente quello di accenderei riflettori sui temi legati al digitale in ambito museale.Abbiamo volutamente scelto un nome provocatorio, che fosse allo stesso tempo dirichiamo e auto–esplicativo, nel tentativo di attirare l’attenzione della comunità degliaddetti ai lavori e di tutti gli appassionati che volessero partecipare al dialogo chestavamo cercando di impostare.Lo stesso tono di voce del progetto voleva essere in linea con gli obiettivi che cieravamo posti e con gli argomenti di cui stavamo trattando: professionale, sì, ma

distaccato dai dogmi della comunicazione tradizionalmente elevata della cultura e piùvicino allo stile diretto e chiaro della comunicazione online.Per perseguire il duplice obiettivo di evidenziare le carenze del settore culturaleonline, ma soprattutto di fornire esempi, risorse e spunti che potessero incoraggiareil cambiamento, abbiamo progettato di agire su due fronti principali.Da una parte, mettiamo in connessione i musei internazionali che utilizzano glistrumenti digitali in maniera efficace, strutturata e creativa, con i musei italiani chesi offrono volontari per essere consigliati sulle strategie web e social da adottare.Dall’altra, ci proponiamo di dare voce ai musei italiani che sono già presenti onlinein maniera proattiva, chiedendo loro di condividere esperienze, problematicheaffrontate e sviluppi futuri, in modo che possano svolgere una funzione di traino e diesempio per i colleghi meno “avanzati” digitalmente.Inoltre, attraverso un blog, un gruppo su Facebook, un hashtag e un account suTwitter, abbiamo iniziato a condividere online articoli di nostra produzione enotizie provenienti dal web sugli argomenti intorno ai quali ruota #svegliamuseo,cercando di mettere in circolo la conoscenza: dai social media alle strategie dicomunicazione e ai metodi di analisi, dai blog museali agli esempi più all’avanguardiadi utilizzo dello storytelling, dal mobile ai media interattivi all’uso delle wearabletechnologies, dagli opendata all’internet of things e altro ancora.

Con il passare dei mesi e grazie al contatto costante con i musei – italiani e stranieri –che si è venuto a creare nel gruppo Facebook, su Twitter e tramite scambi di emailcon i singoli professionisti, abbiamo potuto arricchire la nostra comprensione diqueste tematiche e delle problematiche connesse, e abbiamo iniziato a lavorare ad unapprofondimento della mission di #svegliamuseo.L’obiettivo che ci poniamo oggi è di svolgere un ruolo di aggregatore di risorse e dicontenitore di idee sui temi connessi al digitale in ambito museale, incoraggiando unmaggiore dialogo tra le comunità di professionisti nel settore culturale echiamando a raccolta esperti dal contesto nazionale e internazionale.Vorremmo, quindi, che il nostro progetto diventasse un punto di incontro, diconversazione e di scambio su tecnologie, media e comunicazione online nel settoreculturale. Un’idea che è ben riassunta da quanto si legge nella home del sito:“#svegliamuseo è un progetto sperimentale nato per ‘svegliare’ i musei italiani onlinesfruttando il potere del Web per creare un effetto rete.”In questo senso, il fatto che non siamo un museo e che possiamo sfruttare una benmaggiore libertà di movimento e una visione d’insieme ci aiuta a lavorare dall’esternoper creare – appunto – una rete trasversale che coinvolga i musei in Italia e nel mondoper lo sviluppo di best practices e di miglioramento reciproco.

Sviluppi futuri

In meno di un anno dal suo inizio, #svegliamuseo ha assistito – e in parte hapartecipato – a un sensibile processo di trasformazione nel settore dellacomunicazione online della cultura italiana che si proponeva di mettere in moto.È innegabile che, rispetto a un anno fa, siano molti di più i musei italiani presenti suisocial network, soprattutto su Twitter e Facebook, con alcune eccezioni su Pinterest,Instagram e YouTube.Si tratta di un fenomeno che ha riguardato soprattutto i musei di piccole e mediedimensioni, dimostrando che esiste la volontà di aprirsi all’utilizzo di questi strumentie che hanno gioco più facile le strutture che sono meno penalizzate dalle gerarchieinterne.Per fare un esempio numerico: i musei italiani che hanno partecipato all’iniziativa“Ask a Curator Day” su Twitter a settembre 2013 erano solo 15; a febbraio 2014erano in 34 i nostri musei per “Follow a Museum Day”, mentre a fine marzo 2014erano più di 110 per la “Museum Week”.Questo significa non solo che si è diffusa una più forte consapevolezza dellepotenzialità offerte dai mezzi di comunicazione online, ma anche che gli enticulturali italiani iniziano ad apprezzare i vantaggi che derivano dalla partecipazione ainiziative condivise e dalla costruzione di una rete su scala internazionale.Ci rendiamo conto di come non basti aprire un account su Twitter per considerare diaver fatto il proprio dovere nella costruzione di una strategia di comunicazioneonline. Senza una corretta fase di pianificazione di target e obiettivi a priori e dievaluation e analisi dei dati a posteriori, i social network rischiano di essereutilizzati fine a se stessi e di non apportare nessun contributo alla gestione di unastruttura museale.È necessario, inoltre, che la strategia online di un museo sia studiata in riferimentoalle necessità specifiche dell’istituzione e al suo target, così come alla situazioneculturale, politica ed economica in cui essa opera.#svegliamuseo vorrebbe muoversi in questa direzione, proponendosi come unapiattaforma di ascolto e riflessione su strategie, forme e dimensioni possibili che imedia digitali possono assumere. In un settore in continua evoluzione, non vogliamodettare regole ma lavoriamo per creare opportunità di apprendimento e di scambio,cercando costantemente un confronto con i professionisti che si rapportano con questiargomenti nella loro pratica lavorativa quotidiana.

Per rendere più immediato e più facilmente fruibile questo dialogo tra figureprofessionali in tutto il mondo, abbiamo inaugurato una nuova fase del progetto,

chiamata Svegliamuseo On Air, che consiste in una serie di incontri virtualitramite Google Hangout, trasmessi in diretta e registrati su YouTube. Si tratta diuna serie di video-interviste di un’ora in cui incoraggiamo lo scambio di metodologie,esempi e consigli tra un professionista di un museo straniero e un collega di un museoitaliano intorno a specifici temi nell’ambito del digitale museale, dalla pianificazionestrategica sui social network all’uso degli analytics, dalle metodologie di blogging aglistrumenti di gestione dei post, dalla formazione digitale dello staff alle tecniche digamification. Stanno aderendo al progetto gli esponenti di alcuni tra i musei piùall’avanguardia nell’utilizzo di questi strumenti e ci auguriamo che le intervistepossano essere un’utile occasione di apprendimento reciproco.

Iniziative di questo tipo vogliono contribuire ad alimentare la curiosità e lo spiritod’intraprendenza dei musei italiani. In questo senso, #svegliamuseo continueràsempre a lavorare e a ricercare per creare iniziative che portino allo sviluppoprofessionale del personale museale, per ottenere una digital awareness diffusa etrasversale anche in ambito culturale.

In meno di un anno, quindi, #svegliamuseo ha vissuto una significativatrasformazione: da “movimento” connotato da elementi di attivismo e provocazione,si è evoluto in un vero e proprio progetto strutturato. La risposta positiva da partedelle community che ci seguono ha alimentato il nostro entusiasmo e la voglia diimpegnarci per fornire nuovi contenuti e continuare il dialogo su questi temi.Forti dell’esperienza che stiamo accumulando e spinti dalla profonda passione per lacultura che ci contraddistingue, ci muoviamo verso un ruolo strutturato e ci sforziamodi far sì che #svegliamuseo possa diventare un riferimento nel settore dellacomunicazione culturale digitale, sia a livello di aggregazione dei contenuti, sia perquanto riguarda la possibilità di creare attività di formazione professionale econsulenza.

6. Le interviste di #svegliamuseoAlessandro D’Amore, Aurora Raimondi Cominesi, Francesca De Gottardo, Valeria

Gasparotti

La community internazionale dei digital media manager museali

Se c’è una cosa che abbiamo imparato dalle varie esperienze lavorative nel settore deldigitale museale è che le persone che ci lavorano, a qualsiasi livello, formano unacommunity estremamente ricettiva.Infatti, il ruolo del digital media manager, o delle sue declinazioni, è relativamentenuovo all’interno della maggior parte delle istituzioni. Spesso le persone arrivano asvolgere questo lavoro partendo da posizioni differenti, come Comunicazione ePubbliche Relazioni o Educazione, e talvolta l’inquadramento stesso di questaposizione non è chiaramente definito.

La capacità di reinventarsi e la profonda curiosità costituiscono, quindi, una sortadi prerequisito per i professionisti di questo settore.A questo proposito, abbiamo avuto la fortuna di interfacciarci con persone “social”nel vero senso della parola, sempre disponibili ad aiutare e a dare sostegno al progetto,a prescindere da livello, quantità di esperienza o ruolo.Fin dall’inizio, #svegliamuseo ha sfruttato le potenzialità racchiuse in questoricchissimo gruppo di professionisti entusiasti. Invece di compilare liste di Do’s &Don’ts sull’uso degli strumenti digitali basandoci solo sulle nostre competenze eprofessionalità, abbiamo preferito fare un passo indietro e giocare il ruolo diarbitri, favorendo connessioni e mediando la trasmissione di informazioni tra iprofessionisti museali italiani e quelli esteri.Nonostante venga dato ampio spazio alle best practices provenienti da altri paesi,l’obiettivo delle interviste di #svegliamuseo non è quello di fare paragoni apportandoun punto di vista esterofilo. Al contrario, vorremmo infondere un atteggiamentopropositivo, favorendo la costruzione di una community italiana che possainterfacciarsi alla pari con quella estera.Inoltre, la scelta di illuminare i “retroscena” dei digital media department esteri èmotivata dalla nostra volontà di far comprendere come, spesso, i problemi e ledifficoltà che si affrontano in musei anche molto avanzati digitalmente – come laTate, ad esempio – siano estremamente simili a quelli con cui si confrontano i museiitaliani, indipendentemente dalla loro importanza o grandezza.

È anche interessante notare come questa community non si limiti a riflettere su comesfruttare i social network e i digital media per superare il modello di trasmissione “topdown” del museo tradizionale, ma utilizzi questi strumenti come canale primarioper lo scambio tra professionisti.Twitter è l’esempio principale in questo senso: intorno agli hashatg #museweb,#musetech, #mtogo e #musesocial, ha luogo ogni giorno un ricco scambio di risorse einiziative per lo sviluppo professionale nel settore. Le conferenze internazionali comeMuseums and the Web o Museumnext costituiscono utili momenti di incontroeffettivo che consolidano maggiormente collaborazioni e scambi.Il nostro obiettivo con le interviste di #svegliamuseo ai professionisti stranieri, quindi,è quello di generare uno scambio e di favorire la discussione sul piano internazionalein modo che si creino quante più possibili occasioni di confronto e di crescita.

Cosa abbiamo chiesto e perché

1. Team, formazione e processi interniLe domande che abbiamo rivolto ai professionisti delle comunicazione museale, inItalia e all’estero, sono volte soprattutto a svelare gli aspetti di “dietro le quinte” dellavoro dei digital department o delle persone che rivestono il ruolo di digital mediamanager.Come prima cosa, abbiamo ritenuto interessante comprendere come i team di lavorosiano strutturati e come si interfaccino con i dipartimenti più tradizionali.Musei più grandi e complessi, come la Tate o il Prado, possiedono un digital teaminterno nel quale lavorano diverse figure (generalmente da due a quattro persone) chegestiscono il sito e gli strumenti multimediali nelle gallerie, insieme ai social media eai progetti digitali.Rispetto all’organigramma generale delle istituzioni, il digital team risiede spesso neldipartimento dedicato alla comunicazione o all’educazione, mentre talvolta è unsettore a sé stante.In alcuni casi, invece, i social media sono visti come uno strumento di trasmissionea più voci, nel quale il digital team svolge un ruolo di coordinamento, mentredipartimenti come educazione o curatela vengono incentivati a collaborare allacreazione di contenuti per gli specifici canali. Un esempio in questo senso è il Mart diRovereto, che assegna la gestione di Pinterest al settore educazione per affinità ecompatibilità della piattaforma rispetto alle attività svolte dal dipartimento.Nei musei più piccoli, invece, i social media sono gestiti da un’unica persona, la qualespesso non è nemmeno parte del dipartimento comunicazione, né ha una formazione

specifica in questo senso. Esempi come il James A. Michener Art Museum, però, cidimostrano come siano la buona volontà, la curiosità e l’entusiasmo a muovere anchele professionalità lontane dall’universo social verso la comprensione e ilpadroneggiamento di questi strumenti.

Ulteriori aspetti su cui abbiamo cercato di concentrarci sono la formazione e ilbackground dei professionisti digitali nei musei.Spesso, infatti, se si pensa alla possibile job description di un digital media curator, ci siimmagina che questa figura non debba possedere solo competenze di tipo strategico ecapacità di scrittura su varie piattaforme, ma anche che padroneggi la capacità digestire i canali da un punto di vista tecnico.Sebbene molti tra gli intervistati abbiano riferito di avere competenze di base nelsettore IT, spesso ereditate da precedenti lavori, queste non sembrano essere un pre-requisito fondamentale per lavorare con gli strumenti digitali. Molto più importantisono la curiosità, la flessibilità e la capacità di re-inventarsi. È bene sottolinearecome la maggior parte degli intervistati abbia una formazione di tipo umanistico ecome la passione per l’arte, la cultura e la mission del museo sia un elementofondamentale in tutti i contesti che abbiamo esplorato.

In tutti i casi, i professionisti intervistati si pongono il problema della “digitalawareness” e di come questa si sviluppi in maniera trasversale all’istituzione. Alcunimusei hanno evidenziato le difficoltà che possono sorgere quando una strategiadigitale non è completamente compresa, condivisa o supportata a tutti i livellidell’organizzazione.In questo senso, le opportunità di sviluppo professionale per lo staff dovrebberoessere incoraggiate. Queste possono prendere la forma di attività di formazione, conmodelli e approcci più o meno informali, nonché momenti per la condivisione e laspiegazione delle modalità di lavoro che coinvolgono il digitale applicate ai progetti.Il digital team dovrebbe essere il principale sostenitore dell’introduzione del digitalenel mondo del museo, non solo rivolto agli utenti finali, ma anche e soprattutto perl’avvio di un cambiamento interno. La Tate è l’esempio emblematico in questo senso,dal momento che ha messo in atto una strategia per diffondere competenze e mind seta tutti i livelli interni al museo, in uno scenario in cui il digital team agisce quasi comeun consulente per il personale degli altri dipartimenti.In generale, questo primo nucleo di domande ci è sembrato molto interessante, inquanto ci costringe a riflettere su come il cambiamento e la consapevolezza interni aun’istituzione siano determinanti nel generare il processo di cambiamento versol’esterno, visibile e tangibile agli utenti finali.

2. Iniziare una strategia di comunicazione online: difficoltàe motivazioni

Per la maggior parte delle istituzioni museali intervistate, la decisione di cominciare autilizzare le piattaforme di social networking è stata lanciata da un direttoreparticolarmente sensibile ai nuovi strumenti di comunicazione o da un direttivoattento agli sviluppi della tecnologia.È stato così – per esempio – per lo Statens Museum for Kunst di Copenaghen, ilMuseum of Arts and History di Santa Cruz, il DDR Museum di Berlino, ilRijksmuseum di Amsterdam, il Prado di Madrid, il National Museum of Women inthe Arts e l’Horiniman Museum & Gardens.Ma questo non vuol dire che la spinta all’utilizzo di questi strumenti possa derivaresolo dalle “alte sfere” dell’organigramma museale.Infatti, sia Mar Dixon sia Àlex Hinojo ci hanno confermato come l’impulso possaprovenire da un singolo dipendente, da un dipartimento o da un professionista che,senza scopo di lucro, si metta a disposizione di una serie di musei del territorio percreare una comunità virtuale. Questo, in particolare, è il caso di Hinojo, che ha creatoun progetto ad hoc per riunire i musei catalani in una rete virtuosa e consentire diespandere le proprie possibilità di visibilità e di raggiungimento di nuovi pubblici.D’altronde, anche le interviste ai musei italiani hanno confermato come sia spesso lospirito d’iniziativa del singolo a dare l’avvio all’apertura di questi canali.

Tutti i musei intervistati hanno ritenuto opportuno pianificare, organizzare eprogettare una social media strategy per i motivi sopra citati: ampliamento dei propripubblici, raggiungimento di un buon posizionamento online, aumento di quella chepotremmo chiamare brand awareness e nuove possibilità di engagement del pubblico.La difficoltà comune incontrata dalla maggior parte delle istituzioni alle qualiabbiamo rivolto le nostre domande è quella del coordinamento lavorativo.L’inserimento di nuove mansioni all’interno dell’organico ha inevitabilmente portato imusei a ripensare la distribuzione del lavoro, delle ore e degli orari. A parte i pochicasi in cui è stata prevista l’assunzione di nuove figure professionali (v. StatensMuseum e Horniman Museum), per gli altri si è resa necessaria l’attività diformazione del personale interno già presente.Sono state messe in funzione turnazioni durante i weekend e le festività, così comeriunioni o meeting interdipartimentali per la programmazione e l’elaborazione deicontenuti. Infatti, per alcuni intervistati (v. Rijksmuseum e National Museum ofWomen in the Arts), anche la necessità di interfacciarsi con tanti dipartimenti,personalità e interessi è stata rilevata come una criticità iniziale.Un’altra grande difficoltà incontrata dai musei che cominciavano ad utilizzare i socialmedia è stata la poca fiducia del pubblico – e a volte anche dei professionisti stessi –

verso questi strumenti e le loro potenzialità. Oggi la situazione è chiaramente moltocambiata, considerando che queste piattaforme fanno ormai parte della nostra vitaquotidiana.In ultimo, riteniamo rilevante l’osservazione puntualizzata da Merete Sanderhoff,responsabile e curatrice del reparto digital dello Statens Museum: la difficoltà ditrovare il coraggio per essere un museo open, che significa essere pronti stare sottola lente d’ingrandimento di milioni di persone e avere la forza di ammettere glieventuali errori che si commettono.

3. Diversi canali: quali priorità, quali obiettiviUna volta presa la decisione di investire sulla comunicazione online, e creato un teamdigital, o, perlomeno, designata la persona che se ne occuperà, il passo successivo èquello di sviluppare una strategia social, selezionando i canali su cui si vuole esserepresenti e decidendo in che modo si intende sfruttarli.Ogni piattaforma social e digitale ha finalità proprie e si adatta a veicolareinformazioni differenti: per questo motivo, abbiamo chiesto come si approcciano imusei italiani e stranieri a questa differenziazione, e come la sfruttano.Anzitutto, va detto che i social network sono da considerare un’emanazione delcentro operativo online del museo: il sito web ufficiale. È qui che si concentranotutte le informazioni, a partire dal database dettagliato della collezione, e tutti i target,cosa che lo rende anche il canale più difficile da gestire. È dal sito web che lo staffdigitale può attingere per promuovere la collezione e invitare l’audience del museo afare altrettanto: il progetto “Rijksstudio” non esisterebbe se il museo non avesse resodisponibili 150.000 opere sul suo sito.Ma laddove la comunicazione sul sito è resa difficoltosa dalla compresenza di diversitipi di audience, e da una conseguente necessità di elaborare contenuti funzionali,entrano in gioco i social network a semplificare il lavoro del reparto comunicazione.I social media permettono, infatti, di selezionare un target di riferimento (prioritànumero uno) e di differenziarlo per ogni canale, tenendo però sempre presente, comeci hanno ricordato il Prado e il National Museum of the Women in the Arts, che lastrategia migliore è quella di associare tra loro le diverse piattaforme permassimizzare il loro impatto. L’esempio migliore? L’iniziativa “Dinosauri in carne eossa” del Museo di Storia Naturale di Firenze: multicanale, interattiva e coinvolgente.

Da quale social network iniziare? I musei con cui abbiamo parlato confermano chesi debba farlo da Facebook, ad oggi la piattaforma più popolare, anche tra i membridello staff museale.

Il potenziale di Facebook viene individuato nella capacità di sviluppare un dialogoquotidiano con il pubblico, e il suo impiego si focalizza generalmente sulladivulgazione di eventi e attività legate al museo. Attenzione, però: non sempre questasi rivela una strategia vincente. Allo Statens Museum for Kunst, ad esempio, hannoconstatato che la promozione degli eventi non funzionava bene e che il pubblico siapprocciava al museo per scoprire cose nuove, divertenti e significative sull’arte,vedendo nell’istituzione una risorsa credibile al riguardo. Così al Prado: i post dimaggior successo sono quelli legati alle opere d’arte della ricca collezione spagnola.Un altro campanello di allarme viene dal Museo della Scienza e della TecnologiaLeonardo da Vinci di Milano: attenzione a non usare Facebook come un’estensionedella newsletter, il pubblico si aspetta contenuti unici.Ad ogni modo, scegliere di concentrarsi sulla promozione di eventi corrisponde anchea localizzare geograficamente il proprio pubblico, limitandolo a quello locale.

Perché il pubblico si allarghi su scala globale, il social network più utilizzato è inveceTwitter, il cui target è molto ben preciso: quello dei colleghi e dei professionistimuseali, nonché dei “fanatici” dell’arte, dell’archeologia e della scienza.L’utilizzo di hashtag dedicati e ricorrenti e lo scambio di cinguettii con istituzionisimili alla propria permettono di diffondere la mission e i contenuti del museo in uncontesto atto a recepirli e potenziarli. Come confermatoci da Álex Hinojo dei MuseiCatalani, Twitter è il canale più influente tra le piattaforme social. E la#museumweek l’ha dimostrato anche in Italia, dove Twitter sta prendendo sempre piùpiede, anche tra un pubblico meno elitario (e dove Palazzo Madama costituiscel’esempio più illuminato di utilizzo creativo, trascinante e comunitario di questapiattaforma).

Il problema della diffusione di una determinata piattaforma nel paese in cui si opera èun punto altrettanto importante da prendere in considerazione. Prendiamo, adesempio, Pinterest: ancora quasi sconosciuto in Spagna, poco utilizzato in Italia.Eppure Pinterest ha un potenziale enorme: quello di lasciare che sia il pubblico a fareil “lavoro sporco”, interagendo, senza mediazione, con le opere, mentre è il museo alasciarsi ispirare. Vedere per credere: le board del Museum of Art & History di SantaCruz.

Se Facebook e Twitter permettono un dialogo costante con il proprio pubblico; sePinterest aiuta a diffondere i contenuti della collezione e YouTube funge da archiviodi notizie su eventi, mostre e contenuti più “ufficiali”, dov’è che il museo si metteveramente “a nudo” e si presenta libero da ogni patina istituzionale? La risposta è:

Instagram. È qui che, non importa in quale paese vi troviate, potrete apprezzare idietro le quinte, le foto di una nevicata vista dagli uffici, un cartellone pubblicitarioche stona con la facciata più “classica” del museo, il primo piano di un qualche stranooggetto (v. Horniman Museum), e così via.

Altri canali meno diffusi, come Google+ o Foursquare, servono da “supporter” allealtre piattaforme: Google+ per ottimizzare il posizionamento del museo nei motori diricerca; Foursquare per monitorare i check-in via Twitter o proporre premi e sconti achi si geo-localizza al museo (v. NMWA).

Dalle conversazioni che abbiamo portato avanti, è emersa anche l’enorme potenzialitàofferta dai social network di comunicare con un tono diverso da quello del puromarketing. Al centro dell’universo social c’è il visitatore, non il museo: è bandito iltono “pubblicitario” e si crea massima apertura a conversazioni amichevoli,incoraggianti, inclusive. Ed è importante che si tratti di conversazioni, non dimonologhi del museo né di dialoghi unilaterali del pubblico: come hanno saggiamentesottolineato dallo Statens Museum di Copenhagen, nessuno continua a chiamare chinon risponde mai.E se si volessero avere queste conversazioni in altre lingue? La scelta delmultilinguismo è molto soggettiva, non codificata, sicuramente problematica, eladdove il problema per i musei anglosassoni non si pone, può diventarlo per paesicome l’Italia che vogliano aprirsi ad un pubblico più globale. Fate del vostro meglio equello che potete, direbbe Luca Melchionna del Mart – però, ecco, almeno provateci.Ad ogni modo, qualunque lingua si utilizzi, bisogna tenere a mente che gli obiettivinon cambiano, e sono gli stessi per tutti: la finalità dei social network è anche quelladi stimolare le persone a visitare il museo e fidelizzarle oltre la visita, nonché istruirlesui contenuti che sono il cuore pulsante di ciascun museo. Nella definizione ICOM, ilMuseo “espone a fini di studio, educazione e diletto”: i social media rappresentanoun’ulteriore opportunità in questo senso.

4. Interazione online – offlineLa domanda è stata posta per investigare come i social media siano integrati nellegallerie, sia in termini di marketing e promozione dei canali in cui il museo èpresente, al fine di ottenere fan e follower, sia in termini di creazione diopportunità di interazione con i visitatori, sempre connessi alla rete, anche duranteuna visita al museo.Fino a tempi recenti, la dimensione digitale e quella fisica del museo sono state

considerate come separate e indipendenti. Oggi, sempre più persone accedono ainternet, compiono transazioni, lavorano e si connettono con amici, familiari ecomunità attraverso i loro strumenti mobile. Un articolo di Mashable conferma cheinternet da mobile supererà internet da desktop nel 201518. Un’altra ricerca compiutada Cisco stima che, per la fine del 2014, il numero di cellulari connessi alla rete saràmaggiore di quello delle persone presenti sulla Terra, mentre, nel 2018, ci sarannoquasi 1.4 mobile devices per capita19. Tutto questo significa che sempre più visitatorivarcheranno la soglie del museo con i loro smartphone e/o tablet in mano,utilizzandoli per accedere alle informazioni e scattare foto, ma, sopra ogni cosa, percondividere la loro esperienza con altri.Di conseguenza, i musei devono pensare a come integrare i social media all’internodei loro spazi, a sostegno di questo addizionale livello di engagement. Non è piùpossibile parlare solo dell’interazione “statica” e accademica generata dalle didascalieo dagli altri strumenti di interpretazione, ma è necessario comprendere comel’engagement sia ormai “a doppio senso” e guardi ai social media come a unimportante strumento per il coinvolgimento attivo del visitatore.L’integrazione più comune dei social media all’interno degli spazi museali èrappresentata dall’inserimento delle icone nei supporti istituzionali, qualibrochures e pannelli, presenti all’ingresso.

Ma questo tipo di visibilità è sufficiente a generare engagement?Esistono molte altre pratiche che sfruttano meglio le opportunità rappresentate dai

social media nelle gallerie. Quella più comune riguarda la creazione e diffusione diun hashtag specifico per la condivisione delle foto scattate durante l’esperienza almuseo o ad una mostra. In alcuni casi, il museo condivide le foto pubblicate dagliutenti, talvolta anche on-site, come succede alla Tate Britain.

I photo contest sono un’ulteriore pratica sempre più consolidata.Il National Museum of Women in the Arts ne organizza durante gli eventi seraliindirizzati a un pubblico giovane. In queste occasioni, il museo chiede ai visitatori discattare istantanee della serata e di condividerle con un hashtag predefinito.Più in generale, i musei si stanno indirizzando verso la creazione di “momentiinstagrammabili”. Un esempio in questo senso è la pratica del “museum selfie”,vale a dire gli autoscatti in contesti museali. Sempre di più, infatti, i musei mettono adisposizione “selfie station” in cui i visitatori possono farsi autoscatti, spesso ironici egiocosi, nel contesto di una particolare opera o ambiente.Nonostante siano meno comuni, sono utilizzate anche altre tecniche e spunti per farpartire conversazioni.Il Royal Ontario Museum, per esempio, incoraggia i visitatori a twittare domande eriflessioni in relazione ai diversi settori del museo, indicando sulla mappa gli account

Twitter dei curatori di riferimento per ogni area, oltre a quello ufficialedell’istituzione. Questo esempio è di particolare interesse perché si tratta di unasovrapposizione tra la comunicazione istituzionale, rappresentata dalla mappa, equella più amichevole e tipica della comunicazione online, rappresentata dagliaccount Twitter.

Un altro esempio interessante di interazione tra online e offline viene dall’Italia. IlMUSE di Trento, infatti, poco prima dell’inaugurazione ufficiale ha posizionato uncontainer nella piazza principale della città e l’ha utilizzato come un “calendariodell’avvento del MUSE”, un vero e proprio tabellone per il conto alla rovescia, che èstato rivelato, giorno dopo giorno, con l’aiuto dei passanti. Alle sei di sera di ognigiorno un suono – di animali, natura o strumenti tecnologici – annunciava losvelamento di una tessera del calendario e chi riusciva ad indovinarne l’origine potevagirare la casella e partecipare ad un momento di condivisione collettiva, amplificatoanche sui social media del museo. Infatti, tutti i partecipanti al gioco offline sonostati fotografati e sono entrati a far parte di una gallery su Facebook e sul profiloPinterest del museo, creando un interessante fenomeno virale di condivisione delleimmagini e di attenzione costante, proiettata sul conto alla rovescia per l’aperturadella nuova sede del MUSE.

Nel complesso, tutti i musei intervistati dichiarano di “non fare abbastanza” perl’integrazione dei social media nelle gallerie, dimostrando quanto questi strumentifatichino ancora a trovare il loro posto all’interno dell’istituzionalità del museo.Comunicare la presenza social è importante, tuttavia, e mostre e collezioni offronoopportunità enormi per andare oltre alla semplice promozione di queste piattaforme eper coinvolgere i visitatori negli spazi, incoraggiandoli a guardare più da vicinol’ambiente e gli oggetti che li circondano.

5. Evaluation dei datiCome si fa a capire se i social network “funzionano”? Da cosa dipende il successosui canali online e come andare incontro alle aspettative e alle richieste delladirezione del museo?L’evaluation dovrebbe qualificarsi come uno step fondamentale di qualsiasi progetto,digitale e non. In un contesto in cui le istituzioni lavorano sempre di più “a progetto”e sono vincolate da finanziamenti a singhiozzo e contratti a tempo determinato,l’approccio standard vuole che, una volta terminato un progetto, si passiimmediatamente a quello successivo. A conclusione di una mostra, un evento o unacampagna online, l’attività di evaluation, ossia la valutazione dei dati, dovrebbe essereparte fondante dell’iter da percorrere, soprattutto considerando che i dati raccoltipossono servire come base di partenza per il progetto successivo.

L’evaluation nei confronti dell’attività sui social media non ha ancora un ruolo solidoe definito tra i musei che abbiamo intervistato.Spesso, la natura “sperimentale” di molti progetti social non lascia il tempo o nongenera la consapevolezza necessaria per una riflessione in questo senso.L’attività di valutazione dei dati, infatti, necessita di un pensiero più strutturato, inquanto operazione “invisibile”, percepita come meno importante, soprattutto incontesti in cui le risorse in termini di denaro e tempo sono scarse.Le cause possono essere diverse. La prima è, spesso, la mancanza di consapevolezzarispetto a cosa misurare per valutare il successo (numero di like? numero diamici? qualità dei commenti e delle interazioni?). Inoltre, la mancanza diorientamento rispetto alla miriade di strumenti a basso costo che permettono digestire e valutare la presenza online costituisce un ulteriore deterrente. Nonostante lamaggior parte di queste piattaforme offra alcuni servizi gratuiti che consentono digestire le metriche base, accedere a quelli che consentono un’analisi approfondita puòcomportare una spesa onerosa.Mentre nel settore profit questo tipo di reportistica è un pre-requisito fondamentale

per tenere sotto controllo andamenti, trend e soprattutto ritorno economico, il settoreno-profit è ancora titubante.La maggior parte dei musei intervistati produce, in un modo o nell’altro, reportcontenenti i risultati dell’attività social sui vari canali. Gli strumenti utilizzati sonospesso HootSuite e Tweet Deck, tuttavia si nota come l’uso di questi strumenti sialimitato e sia ancora impossibile tenere traccia dei dati qualitativi (il tono positivo diun commento, per esempio) se non attraverso la registrazione manuale di determinaterisposte ai post su spreadsheet in Excel o tramite la creazione di Storify.Quasi tutti i musei intervistati, tuttavia, comprendono l’importanza dell’evaluation,soprattutto per generare consapevolezza del valore dell’attività social all’internodel museo .

Tra i musei italiani, un caso di eccellenza in questo campo è Palazzo Madama, cheintegral’evaluation all’interno dei propri progetti come momento fondamentale, svolgendoanalisi su metriche definite per il prima, il durante e il dopo. In questo modo, lavalutazione dell’attività social “parla” con le altre fasi del progetto, elevando l’attivitàonline a parte integrante dell’attività del museo.Carlotta Margarone – Digital Media Curator a Palazzo Madama – inoltre, condivide irisultati del lavoro sui social media a diversi livelli: crea report mensili e semestralisull’attività online per la direzione del museo e per gli altri dipartimenti interni, maanche per l’esterno, riportando in conferenze sul tema del digitale gli obiettivi, irisultati e i dati relativi alle singole iniziative (un caso su tutti è quello della campagna#CupForFunds).

È da notare come, nello strutturare report che raccontino e traccino l’attività onlinedel museo, sia spesso necessario usare un linguaggio che sia comprensibile dalladirezione dell’istituzione. Non tutto lo staff del museo, infatti, utilizza Twitter o sacosa sia Instagram, quindi includere screenshot e “tradurre” i termini in modo chesiano accessibili a tutti fa parte del processo di sensibilizzazione e legittimazione diquesti strumenti.Al National Museum of Women in the Arts, la valutazione del lavoro sui social mediaè inserita all’interno delle attività di evaluation su mostre e programmi.Particolarmente interessante è il caso delle Smithsonian Libraries, le quali hannoacquistato un servizio specifico – Union Metrics – per la valutazione dell’accountTumblr che consente di tracciare non solo il numero di utenti, ma anche come questisiano collegati tra loro. In questo senso, l’istituzione analizza la propria audiencepotenziale, oltre a quella reale, andando a comprendere in quali community i proprifollower sono inseriti.

6. Consigli per un museo alle prime armiI suggerimenti che siamo riusciti a raccogliere durante le interviste sono statipiuttosto diversificati e comprendono un ampio raggio di azioni possibili econsigliate.I consigli ricorrenti possono essere riassunti in questa lista:

– Conoscere da chi è composto il proprio pubblico e sapere su qualipiattaforme si trova;

– Elaborare una strategia ponendosi le giuste domande;

– Non avere paura di sperimentare: ci sono molti strumenti pervalutare cosa è andato bene e cosa invece male per ogni progetto;

– Scegliere accuratamente le piattaforme su cui essere presenti, megliopoche ma utili per il raggiungimento del target ricercato;

– Trovare il tono di voce più adatto all’istituzione.

Tutte le maggiori istituzioni contattate colgono l’occasione per focalizzare buonaparte dei loro suggerimenti sull’importanza della pianificazione, della conoscenza deipropri pubblici e di quali piattaforme o social network essi preferiscano. Èun’operazione preliminare considerata fondamentale da tutti i musei intervistati.Alcune istituzioni – come lo Statens Museum, National Museum of Women in theArts e le Smithsonian Libraries – hanno posto l’accento anche sulla necessità diintraprendere una social media strategy solo in presenza di personale altamentemotivato e disponibile (soprattutto alla flessibilità oraria e alla ridefinizione deipropri incarichi e mansioni) e di spiegare gli obiettivi e le modalità di raggiungimentodi questi obiettivi alla maggior parte delle persone possibile all’interno del museo, inmaniera che tutti possano comprenderne i vantaggi e le opportunità (soprattuttocoloro i quali hanno poteri decisionali e amministrativi).Un interessante focus del Rijksmuseum, invece, accende i riflettori sulle collezioni: ilpubblico si aspetta dal museo storie uniche e interessanti. È questa una chiave di voltaimportantissima per creare engagement e fidelizzazione nel pubblico.

Anche per quanto riguarda i contenuti condivisi dall’istituzione sui social media, unconsiglio ricorrente (v. Rijksmuseum e Horniman Museum) è di evitare postpromozionali o commerciali: gli utenti sono bombardati da contenuti e informazionie non si aspettano da un museo condivisioni marketing oriented.Certamente un altro suggerimento rilevante è contenuto nella famosa frase: “Thinkbig, start small, move fast”. Sono di questo avviso, ad esempio, Mar Dixon e ÀlexHinojo: la strategia digitale viene considerata da questi due professionisti come unelemento vivo e in continuo mutamento, perennemente alla ricerca dell’equilibrioperfetto e soggetto alla ridefinizione costante degli obiettivi e delle metodologie.Senza dubbio, un suggerimento interessante riguarda l’allineamento ai trendnazionali e internazionali: ad esempio, il DDR Museum consiglia di unirsi adiniziative online internazionali e di ampio respiro; il National Museum of Women inthe Arts si focalizza sulla ricerca e sullo studio delle strategie messe in pratica daistituzioni museali maggiormente attive sui social o che hanno attivato una digitalstrategy prima di noi; Smithsonian Libraries raccomanda di tenersi sempre informatisui trend online e offline del settore.

L’ultimo punto che ci sembra meritevole di essere preso in considerazione sono ledomande che un’istituzione culturale deve porsi prima di pianificare, redigere emettere in pratica una social media strategy.Tutti i musei intervistati concordano su quanto questo passaggio sia cruciale: se non cisi pone le domande giuste, si rischia di non ottenere i risultati che si desiderano.Inoltre, se si parte con una strategia digitale senza sapere dove voler arrivare,sicuramente si arriverà ad un risultato sbagliato o comunque diverso dalle nostreaspettative.Rientra tutto nella grande e impegnativa attività della programmazione preliminare diuna digital strategy, ma domande quali “dov’è il mio pubblico?”, “chi è il miopubblico?”, “quali risultati voglio ottenere?” e “attraverso quali strumentiraggiungo i miei obiettivi?” devono essere i primi quesiti che vengono in mentedurante la progettazione di una strategia.In effetti – come ha affermato Adrian Murphy del Horniman Museum & Gardens – :“La tecnologia può fare tutto ciò che tu le dici di fare. Per questo motivo, bisognaessere sicuri che tu le stia dicendo di fare le cose giuste”.

I musei che si sono confrontati con noi fino ad ora

1.Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto – Mart

Abbiamo avuto il piacere di parlare con Luca Melchionna, Coordinatore dellaComunicazione Digitale del Mart.L’istituzione è nata in due tempi, prima nel 1987 e poi nel 2002, nella nuova sede diRovereto disegnata da Mario Botta, e oggi si configura come uno dei musei di artecontemporanea più conosciuti in Italia.Il Mart detiene, inoltre, il primato di museo all’avanguardia per quanto riguarda lacomunicazione online e l’apertura al mondo digitale, posizionandosi ai primi posti pernumero di follower sui principali social media e curando professionalmente le proprieattività di engagement.

Il Mart è presente online sui seguenti canali:– sito web: http://www.mart.trento.it/– Facebook: https://www.facebook.com/martrovereto– Twitter: https://twitter.com/mart_museum– Google+: https://plus.google.com/u/0/+martrovereto/posts– LinkedIn: https://www.linkedin.com/company/2235669– Pinterest: http://www.pinterest.com/martmuseum/– Flickr: https://www.flickr.com/photos/mart_museum/– YouTube: https://www.youtube.com/user/MartRovereto

2. Museo delle Scienze di Trento – MUSE

Abbiamo intervistato Elisa Tessaro, Referente web e social media, SezioneComunicazione e Promozione del MUSE.Il Museo delle Scienze di Trento ha inaugurato la nuova sede, disegnata da RenzoPiano, a luglio del 2013 e in meno di un anno ha raggiunto cifre ragguardevoli, sia intermini di pubblico, sia in riferimento all’engagement digitale.Seguita da uno staff giovane e aperto alla sperimentazione, la comunicazione delmuseo sul web è stata improntata fin da subito al coinvolgimento della communitydegli appassionati, al punto che la voce “Social Media” è presente nel menu in homepage del sito, accompagnata dall’invito a partecipare alla vita del MUSE tramite iprofili social.

Il MUSE è presente online sui seguenti canali:– sito web: http://www.muse.it/– Facebook: https://www.facebook.com/musetrento– Twitter: https://twitter.com/MUSE_Trento

– Pinterest: http://www.pinterest.com/musemuseum/– YouTube: https://www.youtube.com/user/MUSETrento

3. Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia “Leonardo da Vinci” di Milano –MUST

Ha risposto alle nostre domande Paolo Cavallotti, Responsabile Internet e MediaInterattivi del MUST.Quello di Milano è il più grande museo della scienza e della tecnologia in Italia ed èuna struttura all’avanguardia per molti aspetti, a cominciare dalla mission, basatasull’apertura dell’istituzione alla discussione di temi scientifici, alla ricerca eall’impatto sulla società.Il MUST è stato uno dei primi musei nostrani a investire nella ricerca interna perquanto riguarda lo sviluppo web e media e oggi tutte le sue attività si estendono suicanali digitali, in un processo di integrazione costante tra online e offline.

Il MUST è presente online sui seguenti canali:– sito web: http://www.museoscienza.org/– Facebook: https://www.facebook.com/museoscienza– Twitter: https://twitter.com/Museoscienza/– YouTube: https://www.youtube.com/user/museoscienza

4. Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze – MSN

Ci ha raccontato la sua esperienza Alba Scarpellini, Responsabile UfficioComunicazione, Sviluppo e Organizzazione eventi al MSN.Fondato nel 1775 da Pietro Leopoldo di Lorena, il MSN è il più importante museonaturalistico italiano e uno tra i maggiori in Europa.Aperto a tutti fin dalle origini, il museo oggi ha fatto dell’apertura – al pubblico, allenovità, alle iniziative digitali – una propria caratteristica fondante. Molto attivoonline, il MUST cura quotidianamente il rapporto di engagement con la propriacommunity e non smette di sperimentare nuove piattaforme, da Second Life aTumblr.

Il MSN è presente online sui seguenti canali:

– sito web: http://www.msn.unifi.it/mdswitch.html– Facebook: https://www.facebook.com/museostorianaturalefirenze– Twitter: https://twitter.com/StoriaNaturale– YouTube: https://www.youtube.com/user/museostorianaturale1– Flickr: https://www.flickr.com/photos/museostorianaturalefirenze/– Foursquare: https://it.foursquare.com/storianaturale– Tumblr: http://dinosauricarneossafirenze.tumblr.com/,http://passaggioinindia.tumblr.com/– Yelp: http://www.yelp.com/biz/museo-di-geologia-e-paleontologia-firenze

5. Palazzo Madama di Torino

In relazione con #svegliamuseo fin dagli inizi del progetto, ha parlato più volte connoi di digitale e musei Carlotta Margarone, Digital Media Curator di Palazzo Madamae Communication Manager presso Fondazione Torino Musei.Palazzo Madama appartiene sicuramente a quelle poche realtà museali italiane che sidistinguono in quanto a creatività della comunicazione online, abilità strategicanell’uso degli strumenti e capacità di essere presenti in maniera efficace su diversepiattaforme.Tra i protagonisti della Museum Week a livello europeo e spesso presente aconferenze internazionali sui temi che riguardano il digitale in ambito culturale,questo museo rappresenta un fiore all’occhiello per il nostro patrimonio culturaleonline e segue alla lettera la propria mission – “farsi attraversare dai desideri delpubblico” – qualificandosi sempre di più come “museo aperto” da prendere amodello.

Palazzo Madama è presente online sui seguenti canali:– sito web: http://www.palazzomadamatorino.it/index.php– Facebook: https://www.facebook.com/palazzomadamatorino– Twitter: https://twitter.com/palazzomadamato– Pinterest: http://www.pinterest.com/palazzomadama/– Instagram: http://instagram.com/palazzomadama– YouTube: https://www.youtube.com/user/palazzomadamatorino– Flickr: https://www.flickr.com/groups/palazzomadamatorino/– Foursquare: https://it.foursquare.com/v/palazzo-madama--museo-civico-darte-antica/

– Spotify: http://open.spotify.com/user/palazzomadamato

6. Museo Nazionale del Prado, Madrid

Per il nostro primo sconfinamento oltralpe abbiamo avuto modo di intervistare JavierPantoja Ferrari, Direttore del Dipartimento per i Servizi Web e la Comunicazione online.Nato come Gabinetto di Storia Naturale nel 1785 per impulso di Carlo III, il Prado èdiventato, nel corso di due secoli, il museo per eccellenza per conoscere la storia dellapittura spagnola.Oggi è primo in Spagna per numero di utenti sui maggiori social network, risultato diuna illuminata apertura verso i maggiori trend internazionali nel campo dellatecnologia e della comunicazione museale, e un’attenzione verso l’integrazione deipercorsi museali e digitali.

Il Prado è presente online sui seguenti canali:– sito web: http://www.museodelprado.es/– Facebook: https://www.facebook.com/museonacionaldelprado– Twitter: https://twitter.com/museodelprado– Pinterest: http://www.pinterest.com/museodelprado/– YouTube: http://www.youtube.com/museodelprado– Google+: https://plus.google.com/+MuseoNacionaldelPrado/about– Foursquare: https://es.foursquare.com/museodelprado

7. Musei Catalani

Da un interessante scambio di tweet è nata la nostra intervista a Àlex Hinojo, CulturalSector Engager e promotore del progetto @CatalanMuseums.Quella dei musei della Catalogna è una realtà frastagliata, divisa tra grandi musei,come il Museo Picasso di Barcellona, e piccole realtà, come la biblioteca locale diRoquetes, ma con un denominatore comune: il legame con il territorio e la storia dellaCatalogna.Per far fronte a questa disparità e moltitudine di voci, il progetto si proponeva diriunire gli sforzi di ognuno sotto un’egida “digitale” comune. Ad oggi, l’accountTwitter del progetto ha cessato di essere attivo, essendo la sfida stata raccolta daimusei e portata avanti da loro.

Il progetto @CatalanMuseums era presente online sui seguenti canali:– Twitter: https://twitter.com/CatalanMuseums

8. Statens Museum for Kunst, Copenhagen

Una doppia intervista, questa, che ha visto la partecipazione di Merete Sanderhoff,Curatrice del Dipartimento Digital e Ricercatrice, e Sarah Grøn, Digital Editor.La Galleria Nazionale ospita la maggior collezione d’arte in Danimarca, nata nel 1521quando il re Christian II ricevette in dono da Albrecht Dürer “le più belle copie deimiei disegni”.Oggi quegli stessi disegni sono promossi sul web da un team giovane e ricco di ottimeidee. E per quanto i canali social del SMK non abbiano ancora raggiunto grandinumeri, sono loro la forza trainante della (neo-nata) rivoluzione digitale inDanimarca.

Il SMK è presente online sui seguenti canali:– sito web: http://www.smk.dk/en/– Facebook: https://www.facebook.com/smk– Twitter: https://twitter.com/statensmuseum/– Instagram: http://instagram.com/statensmuseumforkunst– Pinterest: http://www.pinterest.com/statensmuseum/– YouTube: http://www.youtube.com/user/StatensMuseumfKunst– Google+: https://plus.google.com/+StatensMuseumforKunst/

9. Museum of Art and History, Santa Cruz (CA)

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Elise Granata, Community Engagement &Marketing Associate.L’MAH nasce come museo di arte contemporanea ma con una mission ben precisa:quella di essere un museo per il territorio e la comunità che lo popola, con cui ilmuseo interagisce costantemente e per il quale ha sviluppato mirati programmididattici.Diretto da un nome come Nina Simon, autrice del volume “The ParticipatoryMuseum” e del popolare blog “Museum 2.0”, l’MAH non può che essere un museoparticolarmente attento alle tematiche social e della comunicazione online, figurando

tra i migliori esempi al mondo.

L’MAH è presente online sui seguenti canali social:– sito web: http://www.santacruzmah.org/– Facebook: https://www.facebook.com/santacruzmah– Twitter: https://twitter.com/santacruzmah– Instagram: http://instagram.com/santacruzmah– Pinterest: http://www.pinterest.com/santacruzmah/– Vimeo: http://vimeo.com/santacruzmah– Flickr: https://www.flickr.com/photos/santacruzmah/

10. Rijksmuseum, Amsterdam

L’esperienza social del Rijksmuseum ci è stata presentata da Linda Volkers, MarketingManager.Il museo olandese ha spesso cambiato sede e volto (architettonico), ma mai il cuorepulsante delle sue collezioni: l’arte e la storia del paese che lo ospita.Quello che ha fatto, però, è stato renderle accessibili ad un pubblico più vasto, ilprimo tra i musei del mondo ad aver digitalizzato oltre 150.000 opere e ad averle resedisponibili a tutti, senza vincoli, e modificabili. Non c’è bisogno di aggiungere chel’attenzione ai social e alla comunicazione va di pari passo.

Il Rijksmuseum è presente online sui seguenti canali social:– sito web: https://www.rijksmuseum.nl/en– Facebook: https://www.facebook.com/rijksmuseum?fref=ts– Twitter: https://twitter.com/rijksmuseum– Instagram: http://instagram.com/rijksmuseum– Pinterest: http://www.pinterest.com/rijksmuseum/– YouTube: http://www.youtube.com/user/RijksmuseumAmsterdam

11. DDR Museum, Berlino

Intervista a Federica Felicetti, Social Media Manager italiana “adottata” dal museotedesco.Un museo, questo, dalla mission ben precisa: quella di raccontare Berlino all’epoca

della Repubblica Democratica Tedesca (DDR – Deutsche Demokratische Republik).Oggi è uno dei musei più visitati della città, in cui il visitatore è invitato a entrare incontatto diretto e fisico con le opere. Una difficoltà che online è stata superatatramite la partecipazione a mostre virtuali, per esempio, e un’attenta cura dei social,con risposte… in tempo reale!

Il DDR Museum è presente online sui seguenti canali social:– sito web: http://www.ddr-museum.de/– Facebook: http://facebook.com/ddrmuseum– Twitter: https://twitter.com/ddrmuseum– Pinterest: http://www.pinterest.com/ddrmuseum/– YouTube: http://www.youtube.com/ddrmuseum– Google+: https://plus.google.com/+DDRMuseumBerlin

12. Museo Nazionale delle Donne nell’Arte, Washington D.C.

Nella capitale americana abbiamo parlato con Laura Hoffmann, Digital MediaSpecialist.Grazie a lei abbiamo scoperto un museo forse “di nicchia” ma ricco di tematiche,artistiche e sociali, importanti per capire il ruolo delle donne nell’arte. Fondato nel1987, è l’unico grande museo nel mondo dedicato a questo tema e agli ideali ad essoconnessi.La loro strategia social primaria? Agire trasversalmente sui vari dipartimenti delmuseo, coinvolgendo l’intero staff e riuscendo così a proporre contenuti sempre diqualità per il pubblico e sempre in linea con lo scopo dell’istituzione.

Lo NMWA è presente online sui seguenti canali social:– sito web: http://www.nmwa.org/– Facebook: https://www.facebook.com/womeninthearts– Twitter: https://twitter.com/womeninthearts– Flickr: https://www.flickr.com/photos/womeninthearts/

13. Mar Dixon – Culture Themes, UK

Non un’istituzione museale vera e propria, ma un progetto dedicato alla

comunicazione culturale e una mente dinamica dietro le sue molteplici diramazionisocial: quella di Mar Dixon, Audience Developer e Social Media Specialist.L’abbiamo intervistata e cercato di capire da dove nascono, a cosa servono, qualesuccesso abbiano i numerosissimi hashtag a tema cultura che Mar promuove suTwitter (in particolare). Uno fra tutti? #Museumweek.

Mar è presente online sui seguenti canali social:– sito web: http://culturethemes.blogspot.it/– Twitter: https://twitter.com/CultureThemes

14. Horniman Museum & Gardens, Londra

Abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con Adrian Murphy, Responsabile Digital eMarketing.Fondato nel 1860, il museo illustra, tramite gli oggetti, i manufatti e i campionicollezionati da Frederick John Horniman nel corso dei suoi numerosi viaggi, la storianaturale, sociale e artistica dei popoli del mondo.L’Horniman è una piccola star nel firmamento digitale grazie all’idea di raccontarsisui social attraverso le immagini. La cifra stilistica del suo storytelling virtuale? Ilbizzarro, l’inusuale, l’inaspettato, a volte persino l’estremo, basti pensare all’iniziativadi successo “Extreme Curator” con hashtag dedicato su Twitter. Apertosiprecocemente alla comunicazione digitale e ai social media, l’Horniman è da sempreuna fucina di idee e un punto di riferimento per molti.

L’Horniman è presente online nei seguenti canali social:– sito web: http://www.horniman.ac.uk/– Facebook: https://www.facebook.com/hornimanmuseumandgardens– Twitter: https://twitter.com/HornimanMuseum– Instagram: http://instagram.com/hornimanmuseumgardens– Pinterest: http://www.pinterest.com/hornimanmuseum/– YouTube: http://www.youtube.com/user/horniman– Flickr: https://www.flickr.com/groups/horniman_museum/pool/– Tumblr: http://in-the-horniman.tumblr.com/

15. Tate, Londra

Intervista corale a John Stack, Head of Digital; Rosie Cardiff, Senior Digital Producer;Elena Villaespesa, Digital Analyst; Tijana Tasich, Web Producer.La Tate ospita la collezione nazionale di arte britannica dal 1500 ai giorni nostri,arricchita da opere internazionali sia moderne che contemporanee, spaziando da unquadro di Turner ad una fotografia di Henry Wessel, passando per la famosa“fontana” di Duchamp.Per capire quanto sia contemporaneo e digitale questo museo vi basti sapere che sullafacciata del museo campeggia l’indirizzo web del sito ufficiale. E del digitale, allaTate, si vuole fare il connettore invisibile di ogni altra attività del museo – per ora, cistanno riuscendo benissimo..

La Tate è presente online sui seguenti canali social:– sito web: http://www.tate.org.uk/– Facebook: https://www.facebook.com/tategallery– Twitter: https://twitter.com/tate– YouTube: http://www.youtube.com/user/tate

16. Smithsonian Libraries, Washington D.C.

Le voci di Richard Naples, Scholarly Communication & IT Support, e Keri Thompson,Web Services & Digital Library Digital Projects Librarian, ci hanno raccontato leSmithsonian Libraries dalla prospettiva digital.Qualche numero per imparare a conoscerle meglio: 20 biblioteche; 4.000 istituzioniservite in tutto il mondo; 2 milioni tra libri a stampa e manoscritti conservati.Ed un team associato ad ogni piattaforma social, attraverso cui le biblioteche siraccontano. Non avendo una collezione visitabile, libri e documenti si animano per ilpubblico solo su Tumblr – nel senso che prendono davvero “vita” sulla piattaformadigitale (vedere per credere, per esempio, il faro che dice “I love you”).

Le Smithsonian Libraries sono presenti online sui seguenti canali social:– sito web: http://library.si.edu/– Facebook: https://www.facebook.com/SmithsonianLibraries?ref=s– Twitter: https://twitter.com/SILibraries– Instagram: http://instagram.com/SILibraries– YouTube: http://www.youtube.com/user/SmithsonianLibraries– Tumblr: http://blog.library.si.edu/

17. Royal Ontario Museum, Toronto

Abbiamo chiacchierato con Ryan Dodge, Social Media Coordinator del ROM diToronto.Il ROM è uno dei maggiori musei al mondo di storia naturale: vi potete trovaredinosauri e samurai, ma anche la storia dettagliata della colonizzazione del Canada.Da un punto di vista digital, l’era dei dinosauri è ormai un ricordo e il museo èlanciato verso nuove sperimentazioni, specialmente con canali meno usati dalle altreistituzioni e una maggiore integrazione tra online e onsite. Solo qui potete trovare gliaccount Twitter dei curatori stampati sulla mappa (cartacea) del museo.

Il ROM è presente online sui seguenti canali social:– sito web: http://www.rom.on.ca/en– Facebook: https://www.facebook.com/royalontariomuseum– Twitter: https://twitter.com/ROMtoronto– Google+: https://plus.google.com/+royalontariomuseum

Gli autori di questo ebook#svegliamuseo team

Francesca secondo Aurora

Francesca De Gottardo è la fondatrice di #svegliamuseo, nonché sua assidua einfaticabile project manager.Laureata con successo in Egittologia prima e in Archeologia Funeraria poi, dopo lalaurea ha lavorato nell’editoria e delle fondazioni culturali, per poi seguire un Masterin Marketing e Comunicazione alla Bocconi. Da lì a social media manager perun’agenzia di comunicazione il passo è stato breve, come decidere di ripartire dinuovo da zero e volare a Washington, dove attualmente è visiting social mediaprofessional per lo Smithsonian Institution.La sua città natale, Pordenone, le è rimasta incollata addosso come un nome dibattaglia, ma le sue battaglie ormai le combatte in tutto il mondo.

http://bit.ly/[email protected]

Francesca ha co-ideato questo ebook e ne è stata la project manager. Ha curato inparticolare il capitolo sui social network (introduzione ai social media, Facebook, Twittere Pinterest) e il capitolo su #svegliamuseo, co-editando il capitolo sulle interviste di#svegliamuseo.

Alessandro secondo Valeria

Alessandro D’Amore è membro del team di #svegliamuseo, in cui riveste il ruolo distorytelling expert. Da bravo archeologo, scava sotto le parole, gli oggetti e i luoghi –digitali e reali – e scova la poesia che si nasconde in ogni cosa.Laureato con lode in Archeologia, sta finendo un Master in Comunicazione e NuoviMedia e il suo percorso accademico è completato da un’esperienza solida e variegatain musei e istituzioni, tra cui il Museo di Stato della Repubblica di San Marino.Dal Molise con furore, vive a Forlì ma sogna spesso di fuggire altrove.

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Alessandro ha co-ideato questo ebook, ha curato il capitolo sullo storytelling e alcuneparti del capitolo sulle interviste di #svegliamuseo.

Valeria secondo Francesca

Valeria Gasparotti è co-founder del canale Svegliamuseo On Air e project manager di#svegliamuseo, contribuendo alla sua definizione strategica e ai suoi sviluppi.È laureata in Comunicazione e Gestione nei Mercati dell’Arte e della Cultura e halavorato come addetta stampa per il Museo Nazionale della Scienza e dellaTecnologia “Leonardo da Vinci”. L’esperienza di un anno nel Dipartimento StrategieMobili dello Smithsonian Institution ha ispirato e supportato la sua tesi di Mastersull’interpretazione mobile nei musei. È attualmente project coordinator presso ilNational Museum of Natural History di Washington DC.Carrarina DOC, per quanto lo rinneghi, unisce un carattere di marmo a tutto il pepedi una rossa naturale.

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Per questo ebook, Valeria ha curato alcuni contenuti del capitolo sui social network(Instagram, Tumblr, Google+, iTunes U, Linkedin, Flickr e YouTube). Ha inoltre co-editato il capitolo sulle interviste di #svegliamuseo.

Aurora secondo Alessandro

Aurora Raimondi Cominesi è stata il primo membro di #svegliamuseo, braccio destrodel capitano per i primi mesi e traduttrice compulsiva.Subito dopo la laurea in Archeologia e un tirocinio presso il Museo Archeologico diCremona, è volata a Los Angeles per lavorare al J. Paul Getty Museum comeCuratorial Intern. Dalle riproduzioni è però voluta tornare alle ville pompeiane e ailoro affreschi: oggi lavora per la Fondazione Restoring Ancient Stabiae e vede ilVesuvio tutti i giorni.Se la volete conquistare (culturalmente, s’intende), regalatele una grammatica di una

lingua straniera che non conosce. Tipo lo swahili.

it.linkedin.com/pub/aurora-raimondi-cominesi/22/985/[email protected]

Per questo ebook, Aurora ha curato le schede dei musei stranieri e ha co-editato ilcapitolo sulle interviste di #svegliamuseo.

Con la preziosa collaborazione di

Federico Giannini

Federico Giannini è un web designer e web developer professionista, con unaspecifica formazione nell’ambito delle tecnologie web per i beni culturali. In qualitàdi professionista del web, collabora anche con alcuni musei nell’ambito dello sviluppodi tecnologie web.È laureato con il massimo dei voti in Informatica Umanistica all’Università di Pisa, ètitolare di un’attività che si occupa di realizzazioni per il web e ha scritto alcuni saggidivulgativi di storia dell’arte.Svolge infatti anche l’attività di divulgatore: è l’ideatore e l’autore di “Finestresull’Arte” (www.finestresullarte.info), il più importante progetto italiano didivulgazione storico-artistica sul web.Abita a Carrara.

https://www.linkedin.com/pub/federico-giannini/41/118/[email protected]

Per questo ebook, Federico ha curato il capitolo sulla progettazione di siti web per i musei.

Pietro Colella

Pietro Colella è Digital Strategist & Analyst in Gummy Industries. Ha studiatoMarketing Management da Bari a Brescia ed è appassionato di social mediamarketing, branding online e data analysis.In ufficio lo si vede spesso alle prese con grafici e fogli Excel ed è anche il

responsabile ufficiale della macchina del caffè e dell’advertising online.Iphone dipendente, trascorre il suo tempo libero ascoltando tanta musica elettronica eadora dilettarsi in cucina… rigorosamente pugliese!

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Per questo ebook, Pietro ha curato il capitolo sull’utilizzo degli analytics per misurare leperformance dei musei online.

Astrid D’Eredità

Astrid D’Eredità è un’archeologa passata dalle trincee di scavo alla rete per occuparsidi social media e web content management. È consulente di diverse agenzie, tra cuiBrand Portal e Manafactory, nella cui crew ha raccontato l’edizione 2013 del Festival“Hai Paura del Buio?” degli Afterhours.Ha conseguito un PhD in Archeologia e una specializzazione in Museologia eMuseografia ed è stata borsista del Centro Studi “Gianfranco Imperatori” di Civita.Nel tempo libero dal lavora come responsabile della comunicazione dell’AssociazioneNazionale Archeologi e dell’Orchestra di Piazza Vittorio, e instagramma con passionei Patulìdi, i suoi due incolpevoli gatti rossi.

http://www.linkedin.com/in/[email protected]

Per questo ebook, Astrid ha curato alcuni contenuti del capitolo sui social network(YouTube, Foursquare e Tripadvisor).

Note

1. http://www.4marketing.biz/2012/05/cose-lo-storytelling-sette-punti-per-comprenderlo/#.U6VeU7F41q0

2. http://electronicportfolios.com/digistory/

3. Carson G., «The End of History Museums: What’s plan B?», in The PublicHistorian, 30 (4), 2008, pp. 9 – 27.

4. Weick, K.E., Sensemaking in Organizations, Sage, 1995.

5. Josephs, C., «The Way of the S/Word: Storytelling as Emerging Liminal»,International Journal of Qualitative Studies in Education, 21(3), 2008, pp. 251-267.

6. Mc Drury, J. and Alterio, M., Learning Through Storytelling in Higher Education,2003, London, Kogan Page.

7. http://www.shackletongroup.com/en/portfolio?page=2

8. Carson G., 2008.

9. “Museum is a non-profit making, permanent institution in the service of societyand of its development, and open to the public, which acquires, conserves, researches,communicates and exhibits, for purpose of study, education and enjoyment, materialevidence of people and their environment.”

10. Eco U., La Bustina di Minerva, Bompiani 2000.

11. http://www.mestierediscrivere.com/articolo/letturaweb_nielsen

12. Fisher M. et alii, The Art of Storytelling: Enriching Art Museum Exhibits andEducation through Visitors Narratives, 2008.

13. Il gestore di una fan page non può inviare un messaggio privato a un utente, ma

può rispondere a quelli che gli utenti inviano alla pagina.

14. Clough, Dixie. You Tube and Video Strategy for museums – appuntamentoSvegliamuseo on Air, 16 Giugno 2014 https://www.youtube.com/watch?v=8BZSUI2g2xg

15. Smith, Koven. How can museums make memorable apps? Koven J. Smith DotCom. 13 Luglio 2013 http://kovenjsmith.com/archives/1194

16. Il prestigioso premio riconosce casi di eccellenza nell’ambito internet in diversecategorie: http://www.webbyawards.com/

17. Ayeh J. H., Ahu N., Law R. (2013) “Do We Believe in TripAdvisor?” ExaminingCredibility Perceptions and Online Travelers’ Attitude toward Using User-GeneratedContent, Journal of Travel Research, online article, pp. 1-16

18. O’Dell, Jolie. New Study Shows the Mobile Web Will Rule by 2015. 13 April2010. http://mashable.com/2010/04/13/mobile-web-stats/

19. Cisco. Visual Networking Index. 5 February 2014.http://www.cisco.com/c/en/us/solutions/collateral/service-provider/visual-networking-index-vni/white_paper_c11-520862.html.