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Con l’audacia del realismo Assemblea Generale di Compagnia delle Opere Milano, 25 novembre 2012 Allegato al Corriere delle Opere n.12 - Dicembre 2012 - Inserto redazionale

Con l'audacia del reealismo

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libretto dell'assemblea generale cdo 2012

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Con l’audaciadel realismoAssemblea Generaledi Compagnia delle Opere

Milano, 25 novembre 2012

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In copertina:

Foto di Robert Doisneau - Tailleurs de Pierre Quai De La Tournelle,1969

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Assemblea Generaledi Compagnia delle Opere

Milano, 25 novembre 2012

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Con l’audacia del realismo

Si ringrazia:

BFS Partner, Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, Ge.Fi., Team Service, Utilità.

Dicembre 2012 - Compagnia delle Opere

© 2012, Fraternità di Comunione e Liberazione, per i testi di Julián Carrón.

Impaginazione: Concreo srl

Finito di stampare: Dicembre 2012 - Tipografia PMA Group - Cormano

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Bernhard ScholzPresidente Compagnia delle Opere

Per rappresentare il titolo della nostra assemblea abbiamo scelto due espressioni artistiche: il brano di Vivaldi che abbiamo appena ascoltato al violino e la foto di Robert Doisneau. L’uomo che trasforma con un impeto forte e creativo delle pietre informi per costurire una cattedrale e che fa vibrare quattro corde per espimere una melodia che alza lo sguardo del cuore: la realtà esaltata in tutto il suo potenziale di bellezza. Con l’audacia del realismo è un titolo forte, soprattutto in mezzo alla crisi che stiamo vivendo. L’abbiamo scelto perché abbiamo visto tante persone, imprese e opere sociali che stanno di fronte alla realtà in tutta la sua difficoltà e drammaticità. Non si arrendono, ma cercano di trovare proprio in quella realtà ardua, complicata e a volte percepita come avversa, quel punto dal quale è possibile ripartire, riprendere un lavoro, cambiare approccio, cre-are qualcosa di diverso e possibilmente di nuovo. Abbiamo visto persone che affrontano senza remore i problemi della propria azienda, che aprono appena possibile prospettive ai giovani, che costruiscono una propria pro-fessionalità in mezzo a tante avversità, che chiudono la propria azienda senza rancore o che aprono una nuova attività senza false illusioni. Spesso l’uso della parola “realismo” intende sottolineare un limite che impedisce l’avverarsi di un desiderio, di un’ambizione. È come se la realtà venisse vissuta come un freno, o un limite. Ma c’è chi vive la realtà in modo di-

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verso: con il desiderio di conoscerla e di esplorarla per scoprire il bene che ci può dare.

È possibile avvicinarsi alla realtà della propria vita, delle relazioni con gli altri, alla propria realtà lavorativa e imprenditoriale, alla realtà so-ciale, con un’apertura di fondo, ascoltando, osservando, per trovare quel punto prezioso che ci permette di riprendere, ripartire, ridestare il nostro impegno. In un momento dove tutta la vita sociale sembra oscillare fra ri-bellione e rassegnazione, è decisivo riproporre l’esperienza di un realismo che sa accogliere la realtà così come si presenta, per trasformarla, cambiar-la, rendendola passo dopo passo più prossima alle nostre esigenze di bene e di giustizia. Un tale realismo si esprime in un’audacia che – come dice l’etimologia della parola – vuol dire “osare”, “tendere verso”, “desiderare con intensità”. Non è spericolatezza, ma capacità di lasciarsi provocare dalle circostanze e di rispondere con la totalità di se stessi.

Il realismo stesso si propone come sollecitazione al coraggio, all’intra-prendenza, all’audacia, appunto.

Oggi vogliamo comprendere meglio questo realismo, l’origine e la ra-gionevolezza dell’audacia. Perché ci interessa ridestare in noi una posizio-ne umana che ci permetta di vivere e di lavorare all’altezza del momento storico che ci è chiesto di affrontare. Lo faremo attraverso le domande ar-rivate nelle ultime settimane proprio in preparazione di questa assemblea.

Nel corso della sua storia la CDO ha sempre voluto e vuole lavorare insieme a tutte le persone, istituzioni e associazioni disponibili ad una tale collaborazione per poter contribuire con la propria identità ed esperienza al bene dei paesi in cui siamo presenti. È sempre un grande onore per noi che tante persone e associazioni partecipino alle nostre iniziative, naziona-li e locali. Ringrazio quindi di cuore per la loro partecipazione alla nostra assemblea il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, e il Presidente della Legacoop, Giuliano Poletti. Voleva partecipare anche il presidente di Rete Imprese Italia e di Confartigianato Giuseppe Guerrini. Ma per un

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contrattempo imprevisto non ha potuto venire e mi ha pregato di portarvi il suo saluto.

Tante volte abbiamo detto negli ultimi anni che la crisi che attraver-siamo ha un’origine culturale. La ragione è molto semplice: non esiste un’economia neutra. Ogni decisione che prendiamo – e l’economia è frut-to di una infinità di decisioni sia nella macroeconomia sia nelle imprese – dipende da criteri e obiettivi che hanno un’origine culturale. Il valore che riconosciamo ai collaboratori, al lavoro in quanto tale, all’impresa, al profitto, alla sostenibilità ecologica incidono sulle decisioni. Ma tutti questi criteri, in ultima analisi, dipendono dalla questione antropologica fondamentale: chi è l’uomo e cosa lo rende felice? Se i valori non sono ri-conducibili a questa domanda rimangono astratti, senza incidenza, richia-mati all’infinto per finire nel nulla - come oggi spesso vediamo. Diventano un appello all’eticità come palliativo. È per questo che siamo grati a don Julián Carrón che partecipa ogni anno alla nostra assemblea: non per una ritualità, ma perché è un aiuto decisivo a tutti noi per approfondire una sensibilità umana più autentica, poter ascoltare parole che testimoniano un’esperienza di vita più vera, più consistente, oserei dire più originale.

Ogni operare umano è inevitabilmente frutto di una posizione umana e quindi di una cultura; questo può essere cosciente o no, riconosciuto a no, esplicito o implicito. Per quanto ci riguarda, molti di noi riconosco-no esplicitamente, con semplicità e trasparenza, che l’esperienza cristiana come ci è stata comunicata da don Luigi Giussani e come ci viene comuni-cata dal suo successore don Carrón è la fonte ideale alla quale attingiamo con la speranza di diventare più uomini, più liberi, sempre più respon-sabili nel nostro agire e nel nostro decidere, disponibili alla correzione e al cambiamento cui la realtà ci costringe. Siamo adulti responsabili delle decisioni che ogni giorno prendiamo nel nostro lavoro e ne rispondiamo davanti a tutti, personalmente. Questo chiarisce quanto sia fuorviante e quasi ridicola l’affermazione spesso ripetuta parlando della CDO come del

Bernhard Scholz

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“braccio economico di Cl”. Noi non vogliamo essere il “braccio” di nessuno, ma una possibilità

per tutti. Siamo una associazione completamente libera nelle sue decisioni e nella sua operatività. Per questa ragione ci interessa qualcosa di molto importante: vivere al meglio la nostra libertà, in modo che la nostra vita, la nostra professionalità e la nostra imprenditorialità siano sempre più ra-dicate in un’umanità autentica e sempre più adeguate e competenti nell’af-frontare la realtà, collaborando con tutti alla costruzione del bene comune, impegno più che mai urgente. E per questo cominciamo con le domande che vogliamo porre oggi a don Carrón.

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Julián CarrónPresidente Fraternità di Comunione e Liberazione

La crisi e la persona

Bernhard Scholz. Questi tempi sono caratterizzati da una difficoltà per chi fa opere e impresa. Tutto sembra venire giù come durante un terremo-to. Nell’assemblea scorsa, abbiamo riscoperto come essere liberi e non schiavi delle circostanze e come vivere con una capacità costruttiva che tanti ci hanno testimoniato. Oggi ci troviamo a navigare “controvento”, che cosa ci può aiutare ad avere audacia e realismo?Julián Carrón. È solo con tremore che accetto l’invito dei miei amici di rivolgermi a voi che siete i veri protagonisti in questo terremoto. La ragio-ne per cui può essere utile parlarvi è aiutarvi a rendervi più consapevoli che ciascuno di voi, imprenditori o coinvolti a vario titolo nella azienda, siete persone. Può sembrare la scoperta dell’acqua calda, ma non mi sem-bra che sia così banale. È proprio questo che tutti danno per scontato, riducendo la persona alle proprie capacità. Ma la persona è una. Dire che l’imprenditore è una persona vuol dire che prima di qualsiasi altra cosa ha bisogno di una consistenza personale senza la quale tutto il resto, a cominciare dalle sue capacità, risulta insufficiente. È fin troppo evidente oggi che il terremoto colpisce il centro del proprio io, la sua consistenza. In questo senso la crisi può essere una occasione preziosa per scoprire la verità di sé, dove è la propria consistenza, e così porre un fondamento adeguato per affrontare la situazione, la sfida che abbiamo davanti e che non è mai slegata dall’esercizio della propria professione.

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Ma che cos’è l’io di ciascuno di noi? Il genio di Dante viene in no-stro aiuto: «Ciascun confusamente un bene apprende / nel qual si queti l’animo, e disira: / per che di giugner lui ciascun contende» (Purgatorio, XVII, vv. 127-129). Dove un io così costituito, con questo desiderio di bene che ci costituisce, può trovare la propria consistenza per potere resi-stere in mezzo a un terremoto? È proprio qui la sfida più vera delle circo-stanze che ci troviamo ad affrontare. Per trovare una risposta non bastano opinioni, interpretazioni, chiacchiere, che lasciano il tempo che trovano. Occorre che ciascuno guardi nella propria esperienza (o nell’esperienza altrui) che cosa ha la consistenza di tenerlo in piedi. San Tommaso ci fornisce il criterio della consistenza: «La vita dell’uomo consiste nell’af-fetto che principalmente lo sostiene e nel quale trova la sua più grande soddisfazione» (S. Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, IIa, IIae, q. 179, a.1 co). Per avere consistenza, dunque, occorre trovare quell’affetto in grado di sostenere la vita, proprio perché poggia tutto sulla propria soddisfazione.

È a questo livello che come cristiani possiamo offrire il nostro sem-plice contributo: se noi per primi accettiamo la verifica della fede nelle odierne circostanze. Solo chi ha fatto questa verifica, infatti, può fornire la conferma che solo Cristo, presente nella Chiesa, corrisponde alle esi-genze costitutive del cuore dell’uomo. Come ha ricordato mercoledì scor-so Benedetto XVI, «Cristo, Lui solo appaga i desideri di verità e di bene [di cui parla Dante] radicati nell’anima di ogni uomo» (Udienza generale, 21 novembre 2012). Solo Cristo, quindi, assicura una soddisfazione tale da generare un affetto capace di sostenere la vita in qualsiasi eventualità, rivelandosi un’ancora sicura in mezzo al terremoto. È qui dove si vede se la sfida delle circostanze ha maturato in noi una certezza che ci consente di offrire ai nostri fratelli uomini un punto d’appoggio sicuro. Solo Lui può essere il fondamento adeguato di un’amicizia operativa come la vo-stra. Infatti, solo nella compagnia di amici veri sarete in grado di guardare

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la realtà della vostra azienda con verità, senza essere vinti dalla paura che vi impedisce di riconoscere come stanno le cose, unica condizione per poterle affrontare con qualche possibilità di successo. Una compagnia di amici che vi sorregga a guardare tutti i segni della situazione in cui cia-scuno si trova senza censurarne nessuno, che vi incoraggi e vi sostenga nella disponibilità a riconoscere e obbedire all’indicazione di tutto quello che occorre cambiare, che vi suggerisca e vi aiuti ad avere l’audacia di prendere delle decisioni anche rischiose che siano più adeguate per af-frontare le sfide che avete davanti.

Tutto, se confermato nell’esperienza, vi farà scoprire il valore più pre-zioso della vostra amicizia: quello di essere sostegno a uno sguardo più vero sul reale. Paragonato a questo, qualsiasi altro tornaconto o vantaggio di qualunque tipo è troppo poco, per tempi di terremoto e non.

San Tommaso ha colto bene la natura della sfida: «Dalla natura sca-turisce il terrore della morte, dalla grazia scaturisce l’audacia [parola che avete scelto come titolo di questo incontro]» (cfr. S. Tommaso d’Aquino, Super Secundam ad Corinthios, 5, 2). «“Dalla grazia scaturisce l’auda-cia” vuol dire allora: da una Presenza diversa da noi scaturisce in noi l’audacia» (L. Giussani, Un avvenimento di vita, cioè una storia, Edit-Il Sabato, Roma 1993, p. 308). Potrò avere l’audacia di cui ho bisogno solo se sono disponibile a poggiare tutto quanto su quella presenza, su quella compagnia vera che mi offre il punto d’appoggio per rischiare. Perciò, diceva don Giussani, «emblematica dell’audacia è La navigazione di An-drea Pisano (una piccola scultura […]). Vi si stagliano due discepoli sulla barca che, fendendo le acque del lago, remano, tanto tesi quanto calmi e sicuri, verso l’altra riva: dietro di loro, sulla barca, c’è Gesù. Il cammino, il passaggio, la traversata verso il destino, diventa infatti possibile solo quando c’è una presenza (se uno fosse da solo a remare, gli si annebbie-rebbe la vista, subito si fermerebbe). Il cammino diventa semplice se c’è una presenza, cioè, diciamo subito la parola: se c’è una compagnia» (Ivi).

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L’origine e l’opera

Scholz. Tante opere e imprese associate alla CdO nascono da persone appartenenti all’esperienza cristiana, spesso vissuta nel movimento di Comunione e Liberazione. Come questa origine si riverbera nell’ope-ra? Come si riverbera nell’impresa? Carrón. Ti ringrazio di questa domanda perché in questi tempi è parti-colarmente urgente chiarire qual è il rapporto tra il movimento di Comu-nione e Liberazione e le opere fatte da persone educate nel movimento.

1) Lo scopo del movimento di Comunione e Liberazione è educa-tivo: educare persone che possano poi, assumendosi la propria respon-sabilità, prendere l’iniziativa di generare opere; e questa è una respon-sabilità affidata totalmente all’adulto. Il movimento non entra nella gestione dell’opera, perché sarebbe come ammettere che il movimento non è capace di generare adulti che si prendano la propria responsabili-tà; e questo sarebbe il fallimento totale dell’esperienza di un movimento come il nostro. Non è che il movimento si disinteressi delle opere. No. Il movimento si interessa, è presente svolgendo il compito suo proprio, cioè attraverso la generazione dell’adulto. Don Giussani era talmente convinto che il movimento poteva generare soggetti adulti che ha la-sciato totalmente nelle mani delle persone la responsabilità dell’opera che creano; non ha sentito il bisogno di mettere un «guardiano» per tenere sotto osservazione le persone. Ha scommesso e “rischiato” tutto sulla consapevolezza della responsabilità degli adulti.

2) L’opera è interamente di chi la fa, quindi non c’è un’opera “del” movimento. Il movimento non ha opere, tranne l’Istituto Sacro Cuore che don Giussani ha voluto come un esempio per tutti nell’ambito edu-cativo. Per questo, nessun’altra opera è sotto la responsabilità diretta del movimento. Il movimento non fa parte del Consiglio di amministrazio-ne di questa o quell’opera, e quindi, non facendone parte, non si assume

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la responsabilità delle decisioni che prende un Consiglio di amministra-zione. Mi sembra che la questione sia semplice.

Tutte le persone che come adulti decidono di dare vita a un’opera, de-vono avere la consapevolezza della loro responsabilità totale dell’opera. Questo è particolarmente importante perché a volte si nota proprio una mancanza di questa consapevolezza. E così può capitare che si lascino andare le cose su cui occorrerebbe intervenire, invece di assumersene la responsabilità come adulti. Se tutti fossero veramente consapevoli della loro responsabilità, certe cose non accadrebbero.

Questa è una chiamata alla responsabilità personale in quanto adulti, e quindi è una sfida a crescere in questa autocoscienza nel modo di ge-stire le opere in cui siete coinvolti. Questa assunzione di responsabilità è una parte di questa crescita del soggetto che tutti ci auguriamo. È questa la responsabilità del laico che la Chiesa vuole che ciascuno si assuma, affinché nel fare le cose possa testimoniare tutta la novità della vita cristiana, tutta la novità che nasce dalla creatura nuova. Per questo mi sembra che ci sia tanta strada da fare, e non perché non ci siano tante esperienze stupende tra di voi, ma perché occorre imparare da quello che accade, o dalle possibili deficienze che si possono rilevare nelle opere, per prendere consapevolezza ed evitare sbagli o rischi che ci si trova tante volte ad affrontare.

La capacità di un adulto - che partecipa dell’esperienza di Comu-nione e Liberazione - di generare opere è un segno della vivacità del movimento, della sua energia educativa di generare persone sensibili ai bisogni degli altri e in grado di mettersi insieme per realizzare ini-ziative, opere, che costituiscano risposte adeguate ai bisogni. A questo non rinunceremo mai. Quante volte resto senza parole davanti a tanta creatività, iniziativa e generosità! Questo è il frutto dell’educazione ri-cevuta nel movimento di Comunione e Liberazione. È una cosa bellis-sima, che testimonia la capacità che ha la fede di generare soggetti in

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grado di diventare protagonisti attraverso la realizzazione di opere. Una tale ricchezza di iniziative è un fatto, un dato evidente a tutti, e non può essere messa in discussione a causa dei limiti di ciascuno o degli sbagli che chiunque può commettere. Anzi, riconoscerli, chiedere scusa e cor-reggersi rappresenta la possibilità di riprendere coscienza della propria responsabilità nelle opere in cui ci si impegna. Non si può mettere a rischio tale ricchezza per una mancanza di responsabilità personale.

Fa parte di questa responsabilità, oltre al realismo e alla prudenza nel realizzare le opere che Dio permette di fare, il far risplendere in esse la loro diversità, per esempio, nel modo di trattare il personale così come nel modo di rapportarsi ai clienti e ai fornitori. Sembrano segni quasi banali, ma tutti sappiamo che “gridano” la diversità di un’opera.

Ma prima di finire questo punto, vorrei approfittare di questa oc-casione per dire una cosa a riguardo della CdO, spesso presentata dai giornali come il «braccio economico» di Cl e che porta taluni a pensare che Cl dipenda economicamente dalla CdO. Niente di più lontano dalla realtà.

Fin dall’inizio il movimento è vissuto esclusivamente grazie ai sa-crifici economici delle persone che vi aderiscono. Chi appartiene al mo-vimento, si impegna a versare mensilmente una quota di denaro libe-ramente stabilita, il cosiddetto «fondo comune», che don Giussani ha sempre indicato come gesto educativo a una concezione comunionale di ciò che si possiede, alla coscienza della povertà come virtù evangelica e come gesto di gratitudine per quello che si vive nel movimento. Proprio per la ragione educativa detta, non è rilevante l’entità della quota che ciascuno versa, ma la serietà con la quale si rimane fedeli all’impegno preso. Per sostenere la vita delle nostre comunità in Italia e nel mondo e le iniziative caritatevoli, missionarie e culturali, il movimento di Comu-nione e Liberazione non ha bisogno d’altro; e per questo siamo liberi da tutto e da tutti nello svolgere il nostro compito come movimento.

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La responsabilità

Scholz. Spesso l’appartenenza alla Chiesa o a un movimento ecclesiale viene vista come un limite alla responsabilità personale, mentre tu insisti sul fatto che proprio una tale appartenenza favorisce l’assunzione di re-sponsabilità. In che cosa consiste questo potenziamento della responsa-bilità attraverso un’appartenenza?Carrón. Tutto dipende da come si concepisce il nesso tra appartenenza e responsabilità. Ci sono tipi di appartenenza che, invece di aiutarlo a ma-turare, a crescere nella sua responsabilità, si sostituiscono al soggetto che appartiene. Quasi che l’appartenenza a un certo gruppo potesse risparmia-re il rischio di una responsabilità personale e giustificasse come un a pri-ori il proprio comportamento. C’è, invece, una appartenenza che genera la persona nella sua responsabilità, nella sua libertà, nella sua iniziativa. Appunto, risveglia tutte le energie nascoste del soggetto.

«La dimensione comunitaria - diceva don Giussani - rappresenta non la sostituzione della libertà, non la sostituzione della energia e della deci-sione personale, ma la condizione dell’affermarsi di essa. Se io metto un seme di faggio sul tavolo, anche dopo mille anni (posto che tutto rimanga tale e quale) non si svilupperà niente. Se io prendo questo seme e lo metto dentro la terra, esso diventa pianta. Non è l’humus che sostituisce l’ener-gia irriducibile, la “personalità” incomunicabile del seme: l’humus è la condizione perché il seme cresca.

La comunità è la dimensione e la condizione perché il seme umano dia il suo frutto. Per questo la vera persecuzione, la più intelligente, è quella che ha usato il mondo moderno, non quella che ha usato Nerone con il suo anfiteatro. La vera persecuzione non sono le fiere, non sono neanche i lager. La persecuzione più accanita è l’impedimento che lo Stato cerca di realizzare all’esprimersi della dimensione comunitaria del fenomeno religioso.

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Così per lo Stato moderno l’uomo può credere tutto quello che vuole, in coscienza: ma fino a quando questa fede non implichi come suo conte-nuto che tutti i credenti siano una cosa sola e che perciò abbiano il diritto di vivere e di esprimere questa realtà. Impedire l’espressione comunitaria è come tagliare alle radici la alimentazione della pianta; la pianta poco dopo muore» (L. Giussani, Il senso religioso, Rizzoli, Milano 2010, pp. 182-183). Mi sembra che abbiamo davanti tanti esempi di che cosa acca-de quando si impedisce questa possibilità, questa espressione comunitaria decisiva per il crescere delle persone.

Il test dell’appartenenza è la sua capacità di far fruttificare il seme, cioè di generare adulti con una capacità di stare nel reale, di giudicare, di capire la realtà, di essere disponibili all’ascolto di essa. A questo livello non bastano affermazioni di principio. Occorrono testimonianze che do-cumentino che le persone fioriscono nell’appartenenza e che l’apparte-nenza genera le persone.

Scholz. Ci sono persone che con il loro talento e temperamento hanno avuto il dono di creare opere e imprese. Si sono messe in gioco perso-nalmente, si sono assunte una propria responsabilità. Ma in alcuni casi questo impegno personale diventa un personalismo, un accentramento su di sé, con una relativizzazione dei criteri oggettivi. Questo personalismo si evidenzia, poi, anche nella difficoltà del passaggio generazionale. Da dove nasce questo personalismo e quale sarebbe la strada per una reale valorizzazione della persona responsabile?Carrón. Il personalismo è un tentativo sbagliato di risolvere il problema della vita, di raggiungere quel compimento per cui valga la pena vivere. Peccato che quel tentativo nasca dall’incapacità di capire la natura dell’io e dal non aver trovato risposta adeguata alle sue esigenze. «La natura dell’uomo è rapporto con l’infinito», abbiamo ricordato al Meeting scor-so. Se non ci rendiamo conto che siamo «fatti per l’infinito», cerchiamo

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consapevolmente o inconsapevolmente di rispondere al nostro bisogno umano - dicevi - con un «accentramento su di sé» che non potrà mai soddisfare il desiderio d’infinito che ci costituisce. Oltre che sbagliato, il personalismo è inutile per rispondere all’esigenza per cui si fa.

Ma questo personalismo è possibile soltanto grazie alla connivenza di tutti coloro che pensano di risolvere il problema della loro vita scaricando la loro responsabilità su chi esercita tale personalismo, il cosiddetto «re-sponsabile» (tutti possiamo essere conniventi con questo personalismo). Allora «il rapporto con il responsabile, quando è seguito perché è il capo dell’organizzazione sulla quale si sono scaricate tutte le speranze e dalla quale si pretende l’attuazione del proprio progetto, tende ad essere asso-lutamente chiuso in una dipendenza individualistica.

L’obbedienza che si instaura è obbedienza all’organizzazione, di cui il responsabile è il punto cruciale e il guardiano, e questo elimina la creati-vità delle nostre persone, perché tutto è stabilito e definito dalla struttura a cui si aderisce, tutto diventa schema» (L. Giussani, Il rischio educativo, SEI, Torino 1995, p. 63).

Come si esce dal personalismo?Dal personalismo si esce come si esce da qualsiasi idolatria: trovando

una presenza talmente vera che provoca per la promessa di compimento che la sua stessa esistenza pone davanti a noi. Solo chi si rende bene conto della vera natura del proprio bisogno umano può capire che quello che ri-sponde ad esso è soltanto la sequela di quella presenza che ci provoca per la promessa che contiene. Ma la chiave sta nella concezione stessa della sequela. La sequela non può essere concepita come un eseguire ordini di uno sul quale si ha scaricato la propria responsabilità con la speranza che l’altro risolva il problema della propria vita.

«La sequela è il desiderio - diceva don Giussani - di rivivere l’espe-rienza della persona che ti ha provocato e ti provoca con la sua presenza nella vita della comunità, è la tensione a diventare non come quella per-

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sona nella sua concretezza piena di limiti, ma come quella persona nel valore a cui si dà e che redime in fondo anche la sua faccia di povero uomo; è il desiderio di partecipare alla vita di quella persona nella quale ti è portato qualcosa d’Altro, ed è questo Altro ciò cui sei devoto, ciò cui aspiri, cui vuoi aderire, dentro questo cammino» (Ibidem, p. 64).

Solo uno impegnato nel rivivere l’esperienza della persona che l’ha provocato, può arrivare all’Altro, a Colui in cui trova ciò a cui aspira: non avendo più bisogno di accentrare tutto e tutti su di sé, può finalmente liberarsi da ogni personalismo.

Solo un uomo così può suscitare nell’altro il desiderio di seguire, di implicarsi e, così facendo, aiuta i suoi collaboratori a diventare se stessi, mettendoli in condizione di offrire il proprio contributo all’opera comune. In questo modo, tutte le risorse umane sono messe al servizio dell’opera.

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Bernhard ScholzPresidente Compagnia delle Opere

Adesso vogliamo rispondere a tre domande che riguardano la vita della CDO. Chi porrà queste domande ha fatto una sintesi delle diverse do-mande che sono pervenute. Alle domande che non abbiamo potuto in-serire per questioni di tempo risponderemo nelle prossime occasioni di incontro. Le risposte che cercherò di dare in base alla nostra storia e alla nostra esperienza degli ultimi anni non sono evidentemente esaustive, ma intendono orientare il nostro lavoro comune.

Strumenti e metodi

Carlo Saggio, Presidente CDO Sicilia OrientaleIn questi mesi, molte volte, ci siamo ritrovati a dirci che la situazione in cui ci troviamo ad agire e a sviluppare le nostre imprese impone a ciascuno di noi un cambiamento profondo. In qualche modo la durez-za delle circostanze ci chiede di riappropriarci delle ragioni vere del nostro lavoro. Credo che il coraggio di cambiare, nel senso detto, sia richiesto anche alla Compagnia delle Opere. Un cambiamento che ci conduca verso la verità della nostra esperienza e che ci faccia scoprire anche - in modo nuovo - qual è la vera utilità della nostra associazione, delle sue attività e degli strumenti che crea. Se, quindi, abbiamo chiara la percezione della necessità di un cambiamento, meno chiaro sono il contenuto e la direzione di questo cambiamento.

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Qual è allora il passo che viene chiesto - ora! - alla Compagnia delle Opere perché possa essere veramente “utile”? Scholz. La risposta a ciò che urge “ora” è compresa nel titolo di questa assemblea: lavorare e lavorare insieme “con l’audacia del realismo”. Ma questo potrebbe rimanere una intenzione senza incidenza se non ci fosse un metodo per viverlo. Ma qual è questo metodo?

È il metodo nel quale si esprime la nostra origine: noi vogliamo valorizzare prima di tutto la singola persona nella sua unicità, nella sua capacità di intraprendere, nella sua iniziativa, nella sua creatività, nel suo desiderio di scoprire se stessa e il mondo. Da lì parte tutto e in que-sto è anche radicato lo scopo della CDO: il sostegno alla responsabilità, di cui abbiamo parlato, non una sua sostituzione.

Per la stessa ragione la CDO non ha come scopo di tutelare lo status quo delle imprese, ma il loro sviluppo responsabile, affinché tutto il potenziale che esiste possa emergere al meglio. Vorrei sottolineare due caratteristiche essenziali di questo metodo: La valorizzazioneLa valorizzazione non è un’imposizione di progetti e nemmeno un’ap-plicazione di modelli, ma il riconoscimento delle opportunità che le cir-costanze offrono, cogliendo interessi, bisogni, esigenze, proposte come possibilità di crescita umana, professionale, imprenditoriale. Valorizza-re non vuol dire essere ciechi di fronte ai limiti, ai problemi e ai drammi della vita, ma avere l’audacia di scoprire, in mezzo a mille difficoltà, ciò che ci permette di costruire, millimetro per millimetro o metro per metro, a seconda delle condizioni. Vogliamo partire da ciò che c’è e non da ciò che manca per costruire sempre e ovunque. L’incontroLa seconda caratteristica è l’incontro, soprattutto il riconoscimento del valore conoscitivo dell’incontro. L’incontro ci permette di conoscere più a fondo e di valutare con criteri sempre più adeguati. La conoscenza

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è quasi sempre frutto di un dialogo. Per questa ragione, l’incontro nel suo valore conoscitivo ci permette di valorizzare persone, collaborato-ri, clienti e fornitori, di cogliere opportunità di mercato. Non basta la pur importante intuizione, bisogna conoscere e per conoscere bisogna incontrare.

Queste due caratteristiche possono emergere in tutta la loro forza se sono radicate in ciò che io vorrei chiamare l’habitus della domanda: saper porre domande che aprono alla realtà, che fanno parlare la realtà, i collaboratori, i clienti, i fornitori, gli interlocutori istituzionali – per co-gliere, comprendere, capire e farsi capire. È nel decifrare con semplicità e sistematicità un mercato che trovo la strada per crescere; è nell’indagi-ne paziente e dedicata su diversi materiali che trovo la via per un nuovo prodotto possibile; è nella lettura della mia esperienza lavorativa che scopro il mio talento.

La domanda è l’esatto contrario della pretesa: la domanda apre, la pretesa chiude. Chi, di fronte a un problema, comincia a porre delle do-mande può trovare una strada, chi pretende di sapere già o chi pretende che qualcun altro gli debba dare la risposta finisce in un vicolo cieco. La nostra forza sta nella domanda, non nelle affermazioni superficiali e tantomeno nella pretesa che prima o poi diventa violenta. Chi non pone domande difficilmente si aprirà all’innovazione, alla collabora-zione, alla formazione. Chi non ha domande – se posso permettermi questa osservazione – prima o poi lascerà anche la nostra compagnia. Al contrario, invece, chi pone domande vere, interessanti e interessate aiuta tutti, apre scenari e orizzonti altrimenti sconosciuti che insieme si possono raggiungere trovando soluzioni nuove. È la lealtà verso il bisogno e le esigenze ad aver fatto crescere la CDO, le nostre imprese e le nostre opere; ad aver fatto crescere e modificare i tanti servizi e strumenti per gli associati.

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I nostri servizi e gli strumenti

Vediamo alcuni degli strumenti principali e in che modo cercano di ri-spondere alle esigenze attuali:

Per dare occasioni di acquisire e scambiarsi conoscenze che favori-scono la scoperta di nuovi mercati e approcci più innovativi, per rendere più immediato e sistematico l’incontro tra potenziali clienti e fornitori è stato creato Matching che comincia domani, 26 novembre, con la sua 8° edizione in veste nuova.

A questo si aggiunge Expandere, per realizzare incontri a livello locale e regionale. Questi due strumenti hanno il grande vantaggio di favorire la collaborazione fra imprese, di creare quelle reti di cui tutti parlano ma che troppo pochi realizzano.

Tante sono le iniziative per l’internazionalizzazione attraverso CDO Network e CO.Export, per favorire relazioni con imprese in altri paesi, sia in forma di missioni imprenditoriali, sia in forma di Matching all’estero. In questo non ci interessa la delocalizzazione, ma una collocazione delle nostre imprese in partnership internazionali.

Diversi servizi si occupano di formazione per imprenditori, profit e no profit e professionisti, con società dedicate, con la Scuola d’Impresa, con la Scuola Opere. La formazione che proponiamo non si basa tout court su un’applicazione di modelli o strumenti gestionali, come spesso avviene, ma su una riflessione sulla propria esperienza che permette di elaborare in modo sempre più pertinente decisioni e valutazioni decisive per lo svilup-po delle imprese e delle opere.

Proprio in questo tempo di crescente disoccupazione è particolarmente utile il servizio “CDO per il lavoro” sul nostro sito destinato a chi cerca lavoro e alle imprese, con ampie informazioni sui contratti e sulle norme di lavoro. Anche per questo invito tutti a utilizzare il nostro portale www.cdo.org che offre tantissime informazioni utili e interessanti.

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In continua evoluzione sono i primi servizi che la CDO ha creato:I servizi finanziari per l’accesso al credito, che aiutano le imprese a valutare adeguatamente e in modo trasparente il proprio potenziale (ad esempio la riclassificazione) mediante seminari, una rete professionale di mediatori creditizi e servizi dedicati come il PMI Tutoring.

A questo si aggiungono le numerose convenzioni e accordi di colla-borazione con importanti partner nazionali nel campo dell’energia, delle assicurazioni, dei servizi per favorire il risparmio in acquisti e forniture. Lo sviluppo di questi strumenti e servizi che sono basati sulla forza della valorizzazione e la potenzialità dell’incontro ha due condizioni importanti: una crescente professionalità nella proposta, un crescente coinvolgimento degli associati nella loro realizzazione.

In questo si esprime il fatto che la valorizzazione porta ad uno sviluppo anche professionale e che l’incontro richiede una partecipazione attiva in prima persona. Questo si vede molto bene per esempio a Matching, nella formazione e nel PMI tutoring.

Un metodo per l’utilità

Sono allora utili i nostri servizi? Grazie al grande impegno e alla dedizione intelligente di tanti nostri amici, possiamo dire che hanno aiutato e stanno aiutando molto chi fa impresa, ma sappiamo anche che devono essere con-tinuamente verificati nel modo di proporli e nella loro efficacia, così come sarà necessario progettare e sviluppare altri strumenti.

Per questo metteremo a tema nella nostra Assemblea Nazionale a mar-zo del prossimo anno i nostri strumenti e servizi, per valutare la loro uti-lità rispetto alle domande e ai bisogni presenti, per vedere come nuovi e potenzialità possano essere valorizzate. Per questo appuntamento chiedo anche un lavoro a tutti i Direttivi nelle associazioni locali e nazionale.

In questa fase di crisi e di travaglio per tante imprese e opere, i nostri

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strumenti e servizi non possono promettere di risolvere i problemi, ma vogliono essere una strada seria per affrontarli con realismo.

La questione più importante per essere realisti è la fedeltà al metodo che ci caratterizza: nei nostri incontri, nel nostro modo di lavorare, nel nostro modo di progettare gli strumenti. Questo non è per niente scontato, perché vuol dire mettersi con tutto il nostro bisogno, con tutte le nostre domande, senza pretesa e senza pregiudizi di fronte alla realtà così come si presenta per cercare – con chi desidera – punti veri e solidi su cui costruire, per scoprire nuove opportunità forse anche in altri luoghi. La crisi porta con sé due rischi: la chiusura di fronte alla realtà e la confusione. La nostra risposta deve essere invece una continua apertura e un metodo che porta chiarezza nelle decisioni.

In questo la nostra “amicizia operativa” ha la grande occasione di ri-scoprire in cosa consiste l’amicizia stessa: nel sostegno all’altro perché possa vivere e realizzare la sua vocazione umana e professionale dentro e attraverso le circostanze che la realtà pone, così come sono. Io ho visto quest’anno, di nuovo, tanti amici che hanno aiutato molte persone in modo completamente gratuito in momenti di grave difficoltà con un consiglio, un sostegno e la semplicità di un affetto reale. In questo si esprime, spesso in modo quasi impercettibile ciò che siamo. Vorrei dire oggi a queste per-sone il nostro grazie!

Vorrei proporre ancora un’osservazione finale importante su questo tema. Possiamo dire che i nostri strumenti e servizi non sono neutrali, come niente può essere neutro in sé. Ma la nostra diversità non sta in un approccio confessionale o in un modello economico particolare. Al con-trario: la cultura che coltiviamo nel nostro operare ha come scopo di far emergere la realtà nella sua originalità, nella molteplicità dei suoi fattori, per poter rispondere in modo creativo alle opportunità, potenzialità e occa-sioni che si scoprono. Cerchiamo con semplicità e sistematicità di scoprire la natura delle cose, di cogliere il suggerimento che la realtà stessa ci offre.

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Comprendere per esempio che il profitto non è lo scopo dell’impresa, ma uno strumento pur decisivo, è frutto di una tale ricerca che vuole arrivare alla scoperta delle dinamiche originali di un’impresa e non di un’imposi-zione morale o etica. Il metodo di valorizzare, di incontrare, di domandare vuole portare lì: alla scoperta del bene che la realtà racchiude per scoprirlo e renderlo utile al mondo.

La società civile e la politica

Guido Bardelli, Presidente CDO MilanoL’estrema confusione in cui si muove la vita politica del nostro Paese, anche in ambito cattolico, ci costringe di nuovo a chiarire i termini spe-cifici del “nostro” fare politica. Sorgono, in proposito, queste domande:

Perché vale ancora la pena desiderare e tentare di impegnarsi in politica invece di accodarsi alla facile – e spesso finta – sirena dell’an-tipolitica?

Tutti invocano una maggiore presenza in politica della “società civi-le”. La CDO ne è un’espressione qualificata; cosa deve dunque privile-giare nel giudicare le diverse opzioni politiche in campo? Detto in altri termini, cosa dobbiamo chiedere alla politica?

Cosa significa giocare anche in politica – che sembrerebbe per defi-nizione il luogo della ricerca dell’egemonia – il primato della presenza come metodo di azione?Scholz. Da sempre abbiamo sottolineato il principio “Più società, meno Stato”. Questo principio è più attuale che mai. Vediamo i due sintomi più eclatanti della nostra situazione.

Il debito pubblico che espone l’Italia ai mercati finanziari è frutto di uno Stato padrone e assistenzialistico, che si è sostituito alla responsabi-lità e all’iniziativa dei membri della società. In questo modo ha rafforza-to il suo potere invasivo perdendo sempre di più in efficacia.

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La crisi finanziaria ha dimostrato che un liberismo senza regole, sem-plicemente guidato dall’ambizione del massimo profitto nel minor tempo possibile, ha indebolito in nome di una presunta libertà l’economia reale e la società.A discapito di una vera libertà e di una sostanziale solidarietà assistiamo di fatto ad una continua oscillazione fra liberismo e statalismo, due po-sizioni figlie di una stessa idea di uomo privato della sua responsabilità. Di fronte a questo scenario – al quale si aggiungono i problemi della globalizzazione dei mercati – vediamo crescere ogni giorno di più due atteggiamenti: ribellione e antipolitica da una parte, rassegnazione e ri-nuncia dall’altra, ambedue caratterizzati da un risentimento esasperato.

Due sono le questioni per affrontare in modo costruttivo questa enor-me sfida culturale e politica.Ricostruire la società attraverso una socialità vera La prima questione è la ricostruzione di una società civile forte basata su una reale socialità, formata da famiglie che portano i figli alla scoperta di sé, da imprese orientate ad uno sviluppo integrale e sostenibile, da iniziative sociali che creano relazioni sostanziali, da scuole che intro-ducono al mondo, da proposte culturali che promuovono conoscenza e senso della bellezza, tutti avendo sempre a cuore il bene di tutti. Senza una tale socialità o relazionalità sostanziale la società rimane un’amal-gama indifferenziato di individui, dove ognuno cerca di perseguire il suo interesse personale, ognuno dissociato dall’altro. Il vuoto viene poi inevitabilmente riempito dallo Stato con la sua presunzione di risponde-re a tutti i bisogni, indebolendo però sempre di più la sua efficacia. Le conseguenze più immediate sono una crescente burocrazia e una spesa pubblica esagerata. Ma la conseguenza più importante è una deresponsa-bilizzazione delle persone, la perdita di senso civico e, paradossalmente, anche di un giusto senso dello Stato.

Il desiderio di una res pubblica al servizio dell’uomo richiede quindi

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innanzitutto la costruzione o la ri-costruzione di una socialità che può diventare linfa vitale di una comunità forte e solidale fondata sulla re-sponsabilità e la libertà delle persone. È questo il primo ed essenziale contributo che la CDO vuole dare: vivere una tensione ideale in grado di plasmare passo per passo la vita sociale e lavorativa, rendendola sempre più vicina e utile alle esigenze fondamentali delle persone.

La società è il luogo dove emerge una soggettività ideale in grado cambiare e di portare una diversità, poco o tanto, subito o dopo, questo dipende da tanti fattori. Ma l’ideale è la cosa più concreta che esiste, perché tutto parte da lì, ogni decisione, ogni iniziativa, ogni mossa. E dove non c’è ideale c’è ideologia, perché l’uomo non può agire senza un ultimo criterio di riferimento. Questo riferimento ultimo può essere riconosciuto coscientemente attraverso una esperienza educativa o in-coscientemente assorbito dalla mentalità dominante, diffusa attraverso l’invasività dei media. Tanti intellettuali propongono quotidianamente rimedi in una sempre più forbita applicazione del condizionale – “si do-vrebbe”, “sarebbe meglio che”, “bisognerebbe subito” – sempre indiriz-zato ad una realtà politica o statale che, proprio per il fatto di non aver cambiato niente o poco fino ad ora, mostra la sua lacunosità essenziale. Senza un soggetto in grado di portare una novità non c’è possibilità di un cambiamento reale.

Di fatto ciò che viene esclusa dalla discussione è proprio la domanda fondamentale: da dove può nascere una soggettività nuova, capace di av-viare un cambiamento culturale e politico? Di fronte a questa domanda sembra quasi cinica l’affermazione di tanti che sostengono che non basta un ideale, o che l’ideale è qualcosa di astratto. Non confondiamo un idealismo, questo sì astratto e ideologico, con un ideale vero e reale, che è l’unica fonte di un miglioramento sostanziale e duraturo. Non escludia-mo un ideale per il fatto che qualcuno possa averlo tradito. Senza ideale la vita sociale e politica si appiattisce, perché non si capiscono più le

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ragioni per un impegno che va oltre un tornaconto immediato o per un sacrificio che inevitabilmente si pone nella vita personale e sociale. Sen-za ideale la responsabilità si relativizza e la libertà si affievolisce. Con un ideale si costruisce sempre, con un’ideologia si piega la realtà alle proprie presunzioni. Non è casuale che tutte le ideologie cerchino quasi sempre il potere statale come soluzione di tutti i problemi, dimenticando che lo Stato – oltre al fatto che non è in grado di farlo – non è un’entità astratta, ma è fatto di persone che a loro volta decidono in base ai loro ideali o ideologie. Favorire una politica che serve.La seconda questione è quindi una politica che crei le condizioni più favorevoli affinché ognuno possa esprimersi al meglio, la società possa sprigionare il suo potenziale e ogni iniziativa, ogni impresa, ogni opera possa contribuire al bene di tutti. Una politica non radicata nella socie-tà diventa inevitabilmente autoreferenziale, mettendo il potere al servi-zio di tanti padroni ma non del popolo. Questo vale anche per il potere dell’antipolitica, la cui base non è l’enfasi del popolo ma, semplicemente e drammaticamente, l’enfasi del risentimento. Il compito della politica è quello di riconoscere e valorizzare il positivo che c’è, di definire con la massima trasparenza le regole e i criteri per il riconoscimento dell’utilità pubblica di ogni attività economica e sociale, in modo che ogni iniziativa meritevole possa contribuire al bene comune. Questo è l’esatto contrario di un rapporto lobbistico, che si basa su favori e privilegi che indeboli-scono il tessuto sociale e anche la tenuta personale e professionale di chi, approfittandone, pur ne beneficia.

A questo proposito vorrei dire rispetto agli attacchi nei confronti della CDO con fermezza e chiarezza che non esiste e non è mai esistito un sistema di potere del quale la CDO farebbe parte. Anche se presumibil-mente i nostri detrattori sembrano non stancarsi di affermare il contrario, noi non ci stancheremo mai di dire la verità. Una mentalità di potere

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che persegue l’egemonia politica, economica e culturale è totalmente contraria all’educazione che abbiamo ricevuto e che si è documentata in tutte le assemblee della CDO, come anche oggi di nuovo ci è stata ripro-posta. La responsabilità personale non è solo un principio di vita sociale, ma la condizione per una maturazione vera della persona stessa. Certo, nell’esercizio personale di questa responsabilità tutti corriamo il rischio di sbagliare e siamo soggetti alla tentazione del possesso, del denaro e del successo. Non sarà mai una perdita di tempo fare attenzione in ogni momento ai passi che facciamo. A questo proposito, se la magistratu-ra ipotizza che qualcuno abbia agito contro la legge, ci auguriamo che faccia chiarezza in tempi rapidi. Perché l’assenza di chiarezza alimenta, soprattutto nei media, insinuazioni e sospetti generalizzati, mortificando e sottacendo l’esperienza di una costruzione positiva e di una tensione al bene che continua a emergere in modo evidente sotto i nostri occhi, sorprendendo spesso prima di tutto noi stessi.Qual è allora la politica che serve?A livello nazionale il governo di Mario Monti ha aperto una nuova stra-da, caratterizzata da serietà, competenza e credibilità internazionale, so-prattutto attraverso il controllo dei conti pubblici e alcuni primi passi per favorire la crescita. Questa strada deve essere proseguita dal prossimo governo e decisamente allargata per aprire a uno sviluppo di nuovi spazi della vita economica, sociale e culturale del Paese. La partecipazione all’Unione Europea è decisiva non solo perché è utile per l’Italia ma an-che perché l’Italia possa dare il suo contributo specifico al futuro dell’U-nione, proprio rispetto ai problemi che l’Unione deve affrontare.

Accenno tre temi fondamentali.Favorire la crescita. La crescita del PIL non è l’unico indicatore per la salute di un paese ma, di fronte a un grave indebitamento, è una conditio sine qua non per creare occupazione e un welfare sostenibile. Per favorire la crescita sono

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più gli ostacoli da abbattere che non i nuovi interventi da fare: riduzione sensibile del peso fiscale per famiglie e imprese ispirata al principio “meno sovvenzioni meno imposte”; semplificazione delle procedure, velocizzazione dei tempi di risposta e affidabilità dei pagamenti della Pubblica Amministrazione. Questo non come promessa sempre riman-data, ma come impegno da realizzare subito. Il sistema imprenditoriale italiano è sano nella sua sostanza ed è capace di riformarsi dove neces-sario. Bisogna dargli spazio!Riforma del welfare. Il sistema del welfare pubblico si trova in una crisi profonda. Al con-tempo il mondo del non-profit non viene riconosciuto per lo straordi-nario contributo che dà alla vita del Paese e per il potenziale ulteriore che potrebbe esprimere. Per questo sarà indispensabile un riordino della normativa superando la dicotomia pubblico/privato, per permettere alle realtà del terzo settore di concorrere liberamente, con norme chiare e tra-sparenti, al bene comune e per dare ai cittadini la possibilità di scegliere liberamente chi possa rispondere al meglio ai loro bisogni. Riforma del sistema scolastico e della formazione professionale.I concorsi per docenti e l’introduzione del TFA hanno dimostrato – se ce ne fosse ancora bisogno – che il sistema scolastico italiano necessita di un’ampia riforma. I due pilastri di una tale riforma devono essere una crescente autonomia di tutti i centri scolastici e il riconoscimento del docente come professionista. Una tale riforma non potrà prescindere da una reale implementazione della parità scolastica, che per ora non è avvenuta a differenza degli altri paesi europei. Va perciò chiarita al più presto la situazione delle scuole paritarie, che vengono penalizzate non innanzitutto da una normativa europea, ma da un mancato riconoscimen-to del valore della loro attività da parte dello stato. Nello stesso tempo, deve essere favorita la connessione tra educazione e lavoro con risorse certe e stabili per l’obbligo di istruzione e la formazione terziaria non

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accademica, anche con l’utilizzo della leva fiscale. Su questi temi ci siamo espressi in vari luoghi e con diverse pubbli-

cazioni e lo faremo nei prossimi mesi, anche su altri temi importanti, per esempio sulle politiche attive del lavoro.

In tutte le riforme è necessaria un’attenzione concreta al primo nucleo della società, che è la famiglia, senza la quale è impossibile immaginare uno sviluppo integrale e una educazione alla libertà e alla responsabilità. Un denominatore comune di queste riforme è la necessaria rimozione di un pregiudizio culturale che vede in tutte le iniziative che nascono dalla società e non dallo stato – imprese, opere non-profit, scuole – dei poten-ziali mal-fattori invece di riconoscerli come reali bene-fattori. Le poche eccezioni non possono relativizzare questo principio.

Tutto questo richiede un’attenzione al principio di sussidiarietà. Vor-rei precisare che la sussidiarietà non vuol dire inserire i privati dove lo stato non riesce più a dare servizi e non è una giustificazione di qualsiasi iniziativa dal basso. Tanto meno è identificabile tout court con liberaliz-zazioni e privatizzazioni. È, invece, un criterio essenziale che vuole va-lorizzare la priorità della libertà e della responsabilità personale e asso-ciativa, per favorire soggetti e iniziative in grado di rispondere ai bisogni che emergono e che si lasciano valutare per la qualità e la sostenibilità delle risposte che danno. Questo richiede un lavoro serio e competente nella ricerca di soluzioni legislative e normative sempre più adeguate.

Il dialogo con la politica e le elezioni

Sui temi citati e altri vogliamo un dialogo e un confronto aperto con tutte le forze politiche – e questo è il reale apporto che un’associazione come la nostra può dare, in virtù di una conoscenza radicata in esperienze. È il contributo che diamo e daremo a chi ha deciso o deciderà – liberamente e personalmente – per un impegno politico diretto. In base all’ascolto che

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riceveremo, i nostri associati faranno liberamente le loro scelte di voto. Siamo infatti alle porte di una lunga campagna elettorale che può essere un momento positivo e costruttivo se sarà un vero confronto tra le forze politiche su programmi e prospettive per il futuro dell’Italia. Se i partiti riprenderanno la loro vera funzione, che consiste nel concorrere al bene del Paese, tanta autoreferenzialità e tanti tatticismi di breve respiro po-trebbero essere superati. Occorre una modifica della legge elettorale che dia ai cittadini la libertà di scegliere i candidati per non dare continuità ad un sistema oligarchico sempre più staccato dalla gente.

Come CDO non faremo mai parte di una costituente partitica di qual-siasi tipo. Siamo convinti che questo non sia il nostro compito. Auspi-chiamo invece che tante persone dotate di competenza, serietà e una buo-na esperienza della vita sociale e lavorativa si candidino nelle prossime scadenze elettorali. Qualsiasi confusione e sovrapposizione di compiti e di responsabilità fra realtà della società civile e le forze politiche porta prima o poi al clientelismo da una parte e al corporativismo collaterale dall’altra. Le elezioni riguarderanno anche tre regioni.

A questo proposito vorrei solo sottolineare due questioni:Il malcostume e le gravi irregolarità emerse in diverse Regioni sono ingiustificabili, ma non possono diventare un argomento contro tutto il buono che le amministrazioni regionali hanno realizzato. Il federalismo deve essere riproposto come strada per la soluzione anche dei problemi emersi, in termini di una reale e verificabile responsabilizzazione. Sarà necessaria una vera e propria riorganizzazione dello Stato e quindi una riforma del titolo V della Costituzione insieme con una riforma istituzio-nale generale che riduca i costi, semplifichi le procedure e liberi risorse in un quadro normativo certo e garante di una vera giustizia e parità per tutti i soggetti che operano nella società.

In Lombardia qualunque sarà il suo prossimo governo, esso dovrà consolidare e sviluppare ulteriormente i passi innovativi che sono stati

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fatti in questa Regione e che sono confermati da tanti dati e risultati che hanno trovato apprezzamenti anche a livello internazionale: un’ammini-strazione efficace con costi bassi sostenibili, un sistema dei voucher e di doti che sostengono la libertà di scelta, una collaborazione tra pubblico e privato nel welfare per citare solo alcuni esempi; di questo va dato merito a Roberto Formigoni e alla società lombarda. Come associazione non siamo apolitici: vogliamo semplicemente distin-guere fra un lavoro che riguarda noi, un lavoro che riguarda i partiti e un lavoro che riguarda le istituzioni pubbliche. Siamo più che interessati a che la politica torni al più presto a quella nobiltà che tanti politici hanno saputo e sanno esprimere, ma che purtroppo è venuta meno negli ultimi tempi. Non vogliamo una politica che salva, ma una politica che serve, possibilmente con realismo e audacia.

Educazione e lavoro

Monica Poletto, Presidente CDO Opere SocialiSempre più spesso le imprese e le opere si trovano ad essere luoghi di educazione: i giovani che arrivano a lavorare con noi si trovano – at-traverso il lavoro – a muovere i primi passi nella realtà “adulta”. La tentazione che tante volte subiamo è che l’educazione al lavoro avvenga attraverso metodi esortativi e non attraverso il lavoro stesso. Che cosa vuol dire nella tua esperienza che si educa al lavoro attraverso il lavoro? Che cosa vuol dire essere maestri?Scholz. Il lavoro è una modalità privilegiata per conoscere se stessi e il mondo. Noi ci conosciamo attraverso le relazioni che viviamo e at-traverso il lavoro che facciamo, non attraverso un’introspezione. Non siamo ciò che facciamo, ma ciò che facciamo ci permette di conoscere chi siamo. In questo senso il lavoro è un bene, non solo per i frutti che porta, ma per la crescita di noi stessi.

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Fare esperienza di sé

Offrire questa possibilità ai giovani è uno dei modi migliori per aiutarli a fare esperienza di sé, del bene infinito della loro vita e di tutto il po-sitivo che possono creare lavorando bene. Questo avviene attraverso due modalità essenziali.

Testimoniare attraverso il proprio lavoro che l’incontro con la realtà non è uno scontro, ma una scoperta che parte dalla fiducia nel fatto che la realtà di una officina, di un ufficio, di un cliente siano sempre un’occa-sione. È impossibile non comunicare ciò che veramente e realmente cre-diamo e desideriamo. Questa comunicazione implicita del nostro essere attraverso il nostro modo di lavorare e di affrontare la vita lavorativa è molto incisiva.

Il giovane ci guarda e ci osserva molto di più per quello che siamo rispetto a ciò che diciamo e facciamo. Chi lavora inevitabilmente educa o diseduca i giovani che lavorano con lui.

A questo si aggiunge una seconda modalità più esplicita, che riguarda la formazione in senso stretto: la trasmissione di conoscenze e compe-tenze. Su questo aspetto vorrei solo sottolineare che spesso siamo troppo rapidi nella spiegazione e troppo lenti nel provocare quelle domande che permetterebbero al giovane di comprendere le ragioni che generano co-noscenze e competenze: perché i nostri clienti vengono da noi? Perché utilizziamo questa metodologia nel marketing? Perché utilizziamo questa procedura per la manutenzione della macchina? In questo modo il giovane viene introdotto non a una esecuzione di compiti senza capirne le ragioni, ma a una collaborazione attiva e sempre più intelligente. Così non recepi-sce solo informazioni e istruzioni per l’uso, ma diventa capace di acquisire conoscenza. Penso che per favorire una tale crescita personale e professio-nale sia decisiva una chiara attribuzione di responsabilità e non solo una precisa consegna di compiti da eseguire.

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Il problema della motivazione

L’obiezione principale a queste considerazioni è questa: i ragazzi non sono motivati, vogliono solo guadagnare e non sono disposti a fare fatica. Per ri-spondere vorrei portare degli esempi. Una scuola che fa formazione profes-sionale per giovani provenienti da situazioni disagiate, l’ASLAM, ha pro-mosso la Fondazione Istituto Tecnico Superiore per la Filiera dei Trasporti e della logistica intermodale nella Provincia di Varese, che ha ricevuto la certificazione per poter erogare corsi e a somministrare esami per richie-dere all’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile la “Licenza di Manutentore Aeronautico”. È la prima e unica scuola che eroga questa certificazione in ambito scolastico.

Questo significa che è possibile educare dei giovani ai quali nessuno dava una speranza a una professionalità di altissima competenza e di grande responsabilità; creare occupazione in un settore nel quale bisognava attin-gere a personale dalla Slovenia, dalla Svizzera, da Malta e della Grecia perché non sembrava possibile avere personale italiano. Un altro esempio riguarda la conferenza Lavorare insieme per l’occupa-zione dei giovani, tenutasi a Napoli il 12 e 13 novembre, per dare avvio ad un programma di lavoro in tema di occupazione giovanile assieme alla Germania. Nel corso del convegno sono state presentate, alla presenza dei Ministri del lavoro italiani e tedesco, due nostre scuole di formazione pro-fessionale: Cometa di Como e Piazza dei mestieri di Torino quali esempi nuovi e positivi da guardare.

Queste e tante altre nostre realtà di formazione professionale non si con-traddistinguono prima di tutto per una metodologia didattica – sicuramente anche per questo – ma soprattutto per una ragione tanto semplice quanto non scontata: i ragazzi incontrano in queste scuole insegnanti e professioni-sti che si interessano veramente a loro e alla loro vita. Questo non emerge attraverso lunghi dialoghi pseudo-psicologici o buonisti, ma attraverso una

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sguardo che li abbraccia e al tempo stesso li sfida. Si sentono valorizzati per quello che sono ed è per questo che nasce il

desiderio di esprimerlo in quello che fanno con professionalità. Si sentono guardati con una ultima gratuità che non li misura per quello che possono fare, ma li afferma in quello che sono ed è per questo che si libera la loro voglia di fare e il loro desiderio di lavorare bene. Perché tutti abbiamo il desiderio di esprimere quello che siamo. Ma questo desiderio può essere oppresso da una disistima di sé e del mondo. Bisogna liberarlo per dare spazio all’audacia del realismo perché ogni talento possa esprimersi: questo è il cuore della maestria.

L’introduzione dei giovani nel mondo del lavoro

Per l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro insistiamo su tre cose: favorire in tutti i modi l’apprendistato per la qualifica e il diploma profes-sionale per i giovani tra 15 e 18 anni; inserire negli istituti tecnici e nei licei l’alternanza scuola-lavoro; dare una forma duratura alla formazione professionale con una strutturazione dei fondi statali così come avviene per gli altri tipi di formazione scolastica.

Anche qua occorre incidere, quando possibile, su un cambiamento culturale: affermare e testimoniare la dignità del lavoro, anche e in modo particolare la dignità del lavoro manuale, come un’espressione autentica dell’uomo che, tra l’altro, ha creato in Italia la grande tradizione dell’ar-tigianato che ancora oggi la rende competitiva anche in forme e modali-tà diverse. Mi auguro che le imprese profit e non profit nostre associate diventino sempre di più scuole di lavoro e scuole di vita, come abbiamo documentato nella nostra pubblicazione Giovani e imprese - crescere insie-me: chi aiuta i giovani crescere, cresce anche lui in umanità e intelligenza professionale e imprenditoriale. Così possiamo scoprire sempre di nuovo il grande paradosso che non c’è niente di più “utile” della gratuità.

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Conclusioni

Bernhard ScholzPresidente Compagnia delle Opere

Vorrei chiudere questa assemblea leggendo una parte di una lettera di un nostro associato:«Per me la CDO è una grande scuola permanente che mi accompagna sul-la strada del cambiamento. È sempre più evidente che dobbiamo tendere all’eccellenza. Possiamo farlo da soli? La CDO è un luogo dove il mio modo di pensare è costantemente chiamato ad un paragone che corregge, allarga gli orizzonti, apre a nuove prospettive. Nel tempo vedo grandi frut-ti, ma occorre la pazienza del contadino.

I benefici sono: una soddisfazione mia personale e dei collaboratori; la crescita dell’azienda che, pur operando in un contesto difficile, e in un mercato perennemente in crisi, prosegue la propria navigazione con buone prospettive per il futuro; un ottimo rapporto di rete a monte con i fornitori e a valle con i clienti, in una logica di partnership e di crescita di ciascuno (il vecchio motto “Mors tua, vita mea” è stupido - io punto ad avere for-nitori e clienti in buona salute perché senza un contesto sano anch’io sono destinato ad ammalarmi). In tal senso l’azienda è fattore di costruzione di nuova socialità. Non solo: quanto più partecipo alla vita della CDO, trovo nella vasta trama di relazioni costruite in questi anni molte opportunità di lavoro. Sono fermamente convinto che in questo contesto di crisi la CDO è ancora più necessaria, ma dobbiamo avere il coraggio di metterci vera-mente al lavoro».

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Allora mettiamoci al lavoro con l’audacia del realismo per scoprire che tutto ci è dato perché possiamo vivere il rapporto con l’infinto dentro e attraverso le circostanze, sempre e ovunque.Grazie della vostra presenza!