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Confucio. BREVIARIO. A cura di Gabriele Mandel. Copyright 1995 Rusconi Libri s.r.l., Milano. Prima edizione settembre 1995. Su concessione Rusconi. INDICE. Introduzione, di Gabriele Mandel. 1. Una breve introduzione storica: pagina 4. 2. La vita di Confucio: pagina 17. 3. Il pensiero di Confucio: pagina 29. La trascendenza: pagina 36. La morale comune: pagina 38. Morale individuale: pagina 42. Il pensiero politico di Confucio: pagina 46. Società e politica: pagina 48. 4. Il Confucianesimo dopo Confucio: pagina 53. Nota preliminare: pagina 65. Nota del curatore: pagina 69. BREVIARIO. 1. Il buon governo: pagina 73. 2. La Via della grande Scienza: la Virtù e la Saggezza: pagina 104. 3. I gioielli dell'Etica: pagina 128. 4. Colui che vuole giungere alla Saggezza: pagina 173. 5. Il vero saggio è ignoto: pagina 183. 6. Aforismi di quieta saggezza: pagina 198. 7. Pietà filiale: pagina 214. Glossario: pagina 222. Bibliografia essenziale: pagina 263. Tavola cronologica delle dinastie cinesi: pagina 267.

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Confucio. BREVIARIO. A cura di Gabriele Mandel. Copyright 1995 Rusconi Libri s.r.l., Milano. Prima edizione settembre 1995. Su concessione Rusconi. INDICE. Introduzione, di Gabriele Mandel. 1. Una breve introduzione storica: pagina 4. 2. La vita di Confucio: pagina 17. 3. Il pensiero di Confucio: pagina 29. La trascendenza: pagina 36. La morale comune: pagina 38. Morale individuale: pagina 42. Il pensiero politico di Confucio: pagina 46. Società e politica: pagina 48. 4. Il Confucianesimo dopo Confucio: pagina 53. Nota preliminare: pagina 65. Nota del curatore: pagina 69. BREVIARIO. 1. Il buon governo: pagina 73. 2. La Via della grande Scienza: la Virtù e la Saggezza: pagina 104. 3. I gioielli dell'Etica: pagina 128. 4. Colui che vuole giungere alla Saggezza: pagina 173. 5. Il vero saggio è ignoto: pagina 183. 6. Aforismi di quieta saggezza: pagina 198. 7. Pietà filiale: pagina 214. Glossario: pagina 222. Bibliografia essenziale: pagina 263. Tavola cronologica delle dinastie cinesi: pagina 267.

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INTRODUZIONE, di Gabriele Mandel. 1. UNA BREVE INTRODUZIONE STORICA (Per i termini seguiti da asterisco (*) si può consultare la voce nel "Glossario" a pagina #). Le più grandi civiltà antiche sorsero e si svilupparono lungo i grandi fiumi di pianura (il Nilo, il Meandro, l'Indo, il Fiume Giallo): grandi civiltà sedentarie - figurative - in contrapposizione a quelle nomadiche - astratte - delle Steppe dell'Asia centrale e dei deserti arabo-africani. Una di queste grandi civiltà, quella cinese, deve appunto la sua millenaria concezione del sovrannaturale all'insediamento agricolo, dipendente dall'osservazione dei fenomeni naturali del cielo e della terra in stretto rapporto con la coltivazione dei cereali. Da questa base trasse origine l'uso di riti sacrificali e l'insieme dei concetti che per millenni determinarono la vita dello spirito e il senso escatologico di quella che si suol definire "impropriamente" la “religione confuciana”, ossia il sistema etico-spirituale più diffuso nell'Estremo Oriente, elaborato - ma non ideato - da Confucio e dai suoi allievi. Per meglio capire questa lunga sopravvivenza d'un modo d'essere, di vivere e di concepire il sociale in senso trascendente mi è parso opportuno anzitutto premettere questo brevissimo cenno sulla storia della Cina. L'uomo di Pekino e il suo antenato, l'uomo di Lantian, risalgono a oltre 500000 anni or sono, ma nel sud della Cina sono stati ritrovati fossili ancor più antichi La grande ansa del Fiume Giallo si mostrò forse fin da allora un ottimo territorio per l'insediamento umano: e dopo un primo periodo nomadico la progressiva canalizzazione delle acque sviluppò in queste zone un'antica e sempre più progredita civiltà agricola. Il periodo nomadico venne adombrato dalla mitologia cinese nella figura dell'imperatore Fuxi, che avrebbe insegnato la caccia, l'allevamento, la divinazione con gli “otto trigrammi” e la scrittura. Dopo Fuxi regnarono Yao e Shun, imperatori che impersonarono quelle virtù magistrali di buon governo e di leale condotta sulle quali si basò, in seguito, la dottrina confuciana. Il periodo sedentario è adombrato nella figura dell'imperatore- ingegnere Yu il Grande, fondatore della dinastia Xia (Ventiduesimo- Diciottesimo secolo avanti Cristo), la prima a mostrarci una attendibilità storica. A questa dinastia successe quella degli Shang (o Shang-Yin), che secondo la cosiddetta “cronologia lunga” avrebbe regnato dal 1765 al 1122 avanti Cristo, e secondo altre tradizioni dal 1558 al 1050. Le vicende che la riguardano, pur se abbondano ancora di coloriture leggendarie, sono sempre più confermate dagli scavi archeologici. Prende ampio sviluppo la scrittura usata su scapole di bue e su gusci di tartaruga per indagini oracolistiche e divinatorie (il genere "jiaguwen"). Soprattutto nella bronzistica, tecnica introdotta in Cina dalle popolazioni nomadiche delle Steppe dell'Asia centrale, possiamo notare una competenza considerevole; i “vasi rituali*” divennero la più alta espressione dell'arte cultuale, e a parer mio sono fra gli

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oggetti di bronzo più belli al mondo. Molti recano iscrizioni con date, nomi di donatori, nomi di antenati importanti, ricorrenze particolari, durante le quali venivano fusi e donati. Le forme furono fissate sin dalla tarda epoca Shang, e la loro classificazione ricalca ancor oggi quella tracciata su una epigrafe dall'archeologo del periodo Song (960-1276), Lu Dalin (che nel 1092 pubblicava il "Kaogutu", o "Tavole archeologiche"). Il culto dei morti, i riti vari, i funerali di re e di principi comportavano il sacrificio di esseri umani e di animali, in seguito sostituiti con le caratteristiche “immagini” (di legno, di terracotta, di ceramica smaltata), che troviamo con relativa abbondanza nelle tombe sino al periodo Tang (618-907), momento culmine di questo tipo d'arte funeraria. Le perversioni degli ultimi imperatori Shang (pur se in tutta questa lunga fase storica sarebbe più giusto parlare semplicemente di “regnanti”, mentre il primo “imperatore” reale sarà Shihuangdi) condussero alla rovina della dinastia. Il popolo si ribellò, condotto dal fondatore della dinastia Zhou, alla quale si deve la radicalizzazione delle precipue forme culturali della gente cinese. Fu, questa, la dinastia che - originatasi nello Xhaanxi - regnò per il periodo più lungo di tutta la storia della Cina, dal 1050 circa al 222 avanti Cristo. In un primo tempo gli Zhou regnarono nell'Ovest del paese (1050-771 avanti Cristo), poi nell'Est (770-256 avanti Cristo), con una organizzazione di tipo feudale*: e i piccoli principati a volte si guerreggiarono fra di loro, spesso in modo sanguinoso, altre volte furono abbastanza forti da contrapporre al potere centrale un governo pressoché indipendente. Si evidenziarono infatti due momenti cruciali per la storia degli Zhou con i reami-periodi detti “Primavere e Autunni” (720-481 avanti Cristo) e “Regni combattenti” (453-221 avanti Cristo) Comunque con la dinastia Zhou vennero rigidamente codificati i precedenti riti per la venerazione degli antenati e per il culto del Cielo ("Shangti"; Cielo: "Dien") L'imperatore è proclamato “figlio del cielo” - come già avveniva per i capi delle tribù nomadiche delle Steppe dell'Asia centrale - e, quindi ha sangue celeste. Il “sangue blu” - concetto d'una nobiltà del sangue che le popolazioni nomadiche (dette anche “barbariche”) portarono in una Europa prima retta dalla “nobiltà del censo”, e che naturalmente non si riferisce al “colore” ma alla “parentela” col Cielo. Ciò unì intimamente il culto degli antenati dell'imperatore alle forme cosmogoniche; e cerimonie essenziali divennero quella della Primavera e quella dell'Autunno. Riti-sacrifici principali furono il Kiao, lo Hsiang grande, il triplice Hsien, lo Hsien unico, intesi come l'immagine percepibile nel mondo fenomenico di quanto avviene nel mondo invisibile delle Grandi forze; e il rito - offerta di vino, di carni e di prodotti della terra, in recipienti tradizionali di bronzo e di giada - eseguito secondo una rigida etichetta, univa intimamente il Cielo alla Terra e l'imperatore al popolo. Questa “regolazione armonica delle cose in formazione” comportava una conoscenza specifica; da qui la posizione privilegiata dei “conoscitori”, i cosiddetti “saggi”, ma anche gli indovini e i maghi. La necessità della conoscenza delle formule e dei riti, della giusta azione, della previdenza, della lettura dei testi (in particolare divinatori), conferì sempre più valore e importanza alla figura del letterato. L'organizzazione dell'impero comportò così una burocrazia versata in conoscenze varie (elementi di ingegneria. computo e conoscenza dei tempi per l'agricoltura, conteggi amministrativi) e una totale “adesione di casta” all'imperatore e ai suoi ministri. Per diventare funzionari di Stato occorreva quindi seguire insegnamenti specifici, in scuole dapprima libere sotto la direzione di un “saggio”, e in

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seguito in facoltà statali. Le cariche erano affidate solo ai laureati di queste Facoltà: e la burocrazia colta divenne così la spina dorsale del vasto impero cinese. Le conoscenze tradizionali vennero raccolte in cinque testi, detti per antonomasia "I Cinque Classici" ("Libro delle odi*", "Libro della storia", "Libro dei mutamenti", "Libro dei riti*", "Cronache delle Primavere e degli Autunni*") Si ebbe così un "Corpus letterario" che costituì il testo sacro della Cina fondamentalista e la base per conseguire non solo la laurea-incarico ma il valore ideale di “uomo perfetto”, di “Saggio” ("Sheng"), o, se vogliamo, di “santo”, di sacerdote. Ciò permise il perfezionamento di una lingua scritta, che unificava il pensiero di molte popolazioni che avevano lingue parlate differenti; privilegiava la letteratura, dava importanza preminente alla tradizione filosofica. Conseguenza di questo fervore culturale è l'affermarsi di due “funzionari di Stato” con relative scuole di pensiero: Confucio (551-479), di cui vedremo la vita e l'opera, e Laozi* (Lao Tze). Confucio riorganizzò e commentò i Cinque Classici*, e la sua scuola raccolse i suoi detti in ulteriori testi di formazione, i “Quattro libri”*. A Laozi invece si attribuisce il "Daodejing"* ("Tao-te King"), da cui trasse origine una scuola parallela e antagonista a quella confuciana. L'ultimo periodo degli Zhou dell'Est, detto Epoca dei regni combattenti (453-221 avanti Cristo), di grande importanza nella storia della civiltà cinese, vede le aspre e sanguinose lotte per l'egemonia di sette principati che tendono all'indipendenza: Zhao, Wei, Han, Yan, Qi, Chu e Qin. E' rimasta famosa la strage susseguita alla battaglia di Changping, in cui i soldati Qin massacrarono in un sol giorno 400000 prigionieri Zhao. Alla fine il regno di Qin conquistò tutti i paesi vicini, e la dinastia degli Zhou venne rovesciata dal re Zheng (221-210 avanti Cristo), che instaurò la dinastia Qin (221-206 avanti Cristo). Eliminata quasi del tutto la classe nobile, egli unificò la Cina, e ne divenne il primo imperatore storico, col titolo-nome di Shihuangdi*. E' celebre soprattutto per aver riunito in una sola “Grande muraglia cinese” i molti tratti di muraglie eretti dai vari regni per difendersi dai nomadi delle Steppe. Normalizzò e unificò in tutto il vasto impero pesi, misure, moneta; e riorganizzò l'assetto amministrativo su basi legislative affidandolo ai giudici (Scuola del Legismo, con Shang Yang e Han Fei) ed escludendone i letterati, molti dei quali anzi fece decapitare. Nel 213 avanti Cristo, Shihuangdi ordinò “l'incendio dei Libri”, e i testi confuciani e taoisti vennero sistematicamente bruciati, anche se per fortuna non tutti furono distrutti. Vennero risparmiati solo testi medici e di agricoltura, e privilegiati i trattati sulla strategia di guerra di Sunzi e di Wuzi (fu giusto in questo periodo che fece la sua apparizione la micidiale balestra). L'impero dei Qin sopravvisse di poco al suo fondatore. Nel 206 avanti Cristo, dalla ribellione popolare contro il potere autocratico di Shihuangdi sorse una nuova dinastia, quella degli Han, fondata da un ufficiale Qin, Luiu Bang, proclamatosi imperatore col nome di Gaozu. I letterati - soprattutto confuciani, che molta parte ebbero nella ribellione popolare - vennero reinseriti nell'amministrazione dello Stato, la cui struttura si basò essenzialmente sulla burocrazia. Venne perfezionato il sistema delle nomine dipendenti dalle lauree in lettere, conseguite dopo gli studi dei testi classici, della morale, della storia, della letteratura, della poesia e della lingua. Il regno degli Han dell'Ovest (206 avanti Cristo-8 dopo Cristo) ebbe come principali nemici quei nomadi delle Steppe (unni, mongoli e turchi) che fondarono l'impero degli Xiongnu; per contro intrecciò

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relazioni diplomatiche molto estese, sino con la Mesopotamia. Dall'8 al 23 dopo Cristo la Cina fu governata dall'effimera dinastia degli Xin, fondata da Wang Mang; ma nel 25 dopo Cristo, Liu Xiu riprese il potere fondando la dinastia degli Han dell'Est (25-220), che dovette affrontare una serie di disastri naturali (deviazione del Fiume Giallo) e politici: ma conseguì anche grandi successi diplomatici (perfetta organizzazione dell'antica Via della Seta affidata alle tribù turche; apertura di una sede diplomatica di Roma nella capitale Luoyang; commerci con tutti i paesi noti). Si colloca all'inizio di questo periodo l'invenzione e uso della carta e della stampa, che in seguito mercanti e conquistatori musulmani diffonderanno in tutta l'Asia. Il periodo, caratterizzato anche da una prima introduzione in Cina del Buddhismo, non fu segnato da grandi avvenimenti storici; per contro varie sette di letterati taoisti (Sopracciglia rosse, Turbanti gialli, Cinque moggi di riso) suscitarono alcune rivolte che alla fine permisero a vari “eroi nazionali” di deporre la dinastia instaurando il periodo dei Tre Regni (Wei, Shu e Wu; 220-280). Inizia il Medioevo cinese. Il regno di Wu è conquistato dai Jin, che danno inizio a una nuova dinastia (Jin dell'Ovest, 265-316; Jin dell'Est, 317-589), ma nel resto della Cina si instaurano “Sedici regni combattenti” (304-439) e altre “Dinastie del Nord e del Sud” (386-589). Importante l'azione dei regni turchi del Nord della Cina nella diffusione e nell'affermarsi del Buddhismo (soprattutto sul piano artistico, con i capolavori di Dunhuang, nel Gansu, che imporranno la tipologia iconografica greco-romana del Gandhara nell'arte buddhista cino-giapponese dei periodi successivi). Nel 581 il generale Yang Jan fonderà l'effimera dinastia Sui (581- 618), che in pochi anni riunificherà la Cina, consegnandola alla susseguente dinastia dei Tang (618-907), con i quali s'apre una splendida età d'oro delle arti (gli stili cinesi giungono sino in India, in Iràn, nel Tibet e in Giappone), delle religioni, della filosofia e della politica. La dinastia Tang dovrà però anche combattere i Turchi (sui quali tuttavia riporta la vittoria del 680), e gli Arabi musulmani (745-751), che invece vincono i Cinesi sul Talas (Urbekistàn). I Tang proscrivono allora (842-845) le religioni straniere (Buddhismo, Islamismo e Cristianesimo nestoriano), aumentando oltremodo il potere dei confuciani. Verso la fine della dinastia Tang due contrabbandieri di sale, Wang Xianzhi e Huang Chao, guidano 600000 ribelli armati in una lunga marcia (5500 chilometri) che attraversa tutto il paese durante sette anni. Come conseguenza l'impero si frantuma alla fine in “Cinque dinastie” a Nord (907-960) e “Dieci regni” a Sud (902-979). La riunificazione graduale di gran parte del paese ebbe luogo con la dinastia dei Song (960-1276), pur con la presenza a Nord delle dinastie non cinesi dei Liao tungusi (o Kitan, 907-1125, con capitale Pekino) e dei Jin giurceni (1125-1234), e a Nordest degli Xia tanguti (1036-1227). Nel 1215 i Mongoli di Gengis Khàn conquistano Pekino, nel 1233 Kaifeng, nel 1253 il Sichuan, nel 1276 la Cina del sud con la presa di Hangzhou. La Cina viene a far parte dell'immenso impero mongolo - l'impero che fu il più grande del mondo -, e che nel 1260 è retto da Qubilay Khàn. Questi, eletta Pekino (Kanbalik) come sua capitale, fonda in Cina la dinastia degli Yuan (1276-1368). L'impero ha contatti con mercanti e con missionari europei (creazione di un arcivescovado a Pekino), alcuni dei quali descrivono i propri viaggi. Celebre fra questi Marco Paolo (alla veneta: Marco Polo) de' Vilionis, detto Milione, autore del "Livre des merveilles" (erroneamente chiamato "Il milione"). Dalla Cina vengono portate in Europa la bussola, la polvere

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da sparo, la carta e la stampa (d'uso corrente in tutta la Cina a partire dai Song), la carta moneta (inventata dai Jin nel 1154 e resa obbligatoria dai Mongoli a partire dal 1260). Per contro le scienze matematiche e astronomiche dei musulmani influiranno notevolmente su quelle cinesi. Un ulteriore mutamento di corso del Fiume Giallo (1336) provoca un periodo di carestie che innesca una serie di rivolte contadine durate vent'anni Alla fine il capo d'una di queste rivolte, Zhu Yuanzhang, in una decina d'anni (1359-1368) caccia i Mongoli (pur se la totale liberazione della Cina e della Manciuria avrà luogo solo nel 1382) e fonda la dinastia Ming (1368-1644). Il periodo Ming, uno dei più splendidi, e anche dei meglio conosciuti in Occidente, è caratterizzato dalla diffusione d'una ceramica tecnicamente raffinata e artigianale ma sublime (in particolare le fabbriche di Jingdezhen), che ispira anche le manifatture d'Europa. E' il periodo del maggior florilegio letterario, ma anche delle forti lotte tra i funzionari confuciani e la casta degli eunuchi di Palazzo, con una corruzione sempre più progressiva, e una conseguente decadenza del potere. I Portoghesi, poi gli Spagnoli e gli Olandesi aprono nei mari della Cina i loro emporii; il gesuita padre Matteo Ricci (1552- 1610) entra a Pechino nel 1600; e il gesuita padre Giuseppe Castiglione (Milano 1688-Pekino 1766) col nome di Lang Shihning diventa il pittore di Corte dell'imperatore Qianlong. Padre Athanasius Kircher (1601-1680) tenterà di dare in Europa una prima informazione gnomica della scrittura cinese. Nel 1644 un pecoraio, Li Zicheng, s'impadronisce di Pekino e depone la dinastia Ming. Dalla Manciuria però nuovi “barbari avanzano, e tra il 1644 e il 1681 conquistano la Cina, instaurandovi con pugno di ferro la dinastia Qing (1644-1911). Impongono ai Cinesi il codino come simbolo di schiavitù, ma cercano tuttavia di sinisizzarsi per quanto possibile, appoggiando il neo-Confucianesimo, e promuovendo una politica agraria molto favorevole ai contadini, ciò che porta i Cinesi da 120 milioni circa (nel 1680) a 313 milioni nel 1794. Danno inoltre alla Cina la sua massima estensione, con nuove conquiste in Asia (occupazione del Tibet nel 1720) e nelle steppe mongole (circa 11500000 chilometri quadrati contro gli attuali 9736000). Purtroppo l'Inghilterra voleva estendere il suo potere anche in Cina, e con l'Est India Company (1816) diffuse nel paese l'uso dell'oppio, ciò che portò alla rovina non solo la popolazione locale, ma anche la bilancia commerciale dell'Impero Qing. Fomentando poi varie ribellioni, l'Inghilterra facilitò la conquista di territori coloniali anche da parte di altri Stati europei (Austria-Ungheria, Belgio, Francia, Germania, Italia). Inutilmente contro questo stato di cose insorsero i Boxer (1900): profittando della situazione il Giappone scese in guerra contro la Cina due volte (1894 e 1904), annettendosi Taiwan e Corea. La ribellione di Wuchang (10 ottobre 1911) pose la Cina nelle mani dei “Signori della guerra”, messi poi a tacere dal generale Jiang Jieshi (più noto come Chang Kai-shek), affiancato dal Partito nazionale (Guomindang), fondato da Song Jiaoren. Il 14 febbraio 1912 abdicò l'ultimo imperatore Qing, e ebbe così inizio la storia contemporanea della Grande Cina Popolare. 2. LA VITA DI CONFUCIO.

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“Da quando esistono gli uomini sulla terra nessuno s'è elevato al di sopra degli altri e ha superato la folla dei mortali, come Confucio.” "Mengzi", Libro secondo, 1, 2a. Kongzi (o Kongfuzi: maestro Kong, riportato in latino nei testi dei missionari gesuiti del Diciassettesimo secolo come “Confucius”, da cui l'italiano Confucio) nacque a Queli (Qufu) il secondo giorno del decimo mese del ventunesimo anno del regno di Hsiao di Lu (27 agosto 551 avanti Cristo), secondo una solida tradizione che tuttavia non ha l'obbligo d'essere storicamente autentica. Qufu, nell'attuale provincia di Shandong, era a quei tempi la capitale del regno di Lu, piccolo stato sorto da un feudo creato da Wuwang, il fondatore della dinastia degli Zhou dell'Est (770-256 avanti Cristo). Il regno di Lu, parte della cui storia è raccontata nel "Chunqiu" ("Cronache delle Primavere e degli Autunni"*) attribuito a Confucio, sparì nel 256 avanti Cristo sotto i colpi del confinante regno di Chu, a sua volta conquistato poi dal regno di Qin nel 223 avanti Cristo. A Confucio fu dato il nome Qiu (collina) e il soprannome Zhongni (collina a cratere) perché, a quanto si tramanda, aveva una infossatura alla sommità del cranio. La sua famiglia (Kong, che in antico cinese significava “uovo di rondine” e in seguito significò “convessità” discendeva dall'antica dinastia Shang, che aveva regnato in Cina dal 1600 al 1025 circa avanti Cristo. Suo padre, Shuliang He, famoso guerriero, aveva avuto da un primo matrimonio nove figlie, e da un secondo un maschio, Mengpi, zoppo e ritardato. Aveva sposato a settant'anni una fanciulla di quindici, Yan Zhangzai - che aveva due sorelle maggiori -, avendone, unico figlio, Confucio. Quando Confucio compì due anni il padre morì, e quando ne compì otto morì anche la madre (detto per inciso molti Maestri e profeti di varie religioni - si pensi ad esempio a Maometto - vissero una consimile dolorosa esperienza). Orfano e senza mezzi, con tutta probabilità fu istruito in uno di quei collegi in cui si insegnava la calligrafia, la storia, la musica, il tiro con l'arco, la guida dei carri, nonché la ritualistica e la Morale, che a quei tempi si compendiava nelle tre virtù della “pietà filiale”: fedeltà al signore, al maestro, al padre. Molte sono le biografie di Confucio, ma potrebbe risultar difficile - e solo in parte è possibile - districare leggenda ed eulogia dal reale vissuto del filosofo. Notizie attendibili e relativamente complete si possono comunque leggere nelle "Memorie storiche" di Sima Qian (o Ssu Ma Cheng, 135-90 avanti Cristo), Libro 47, "Famiglie ereditarie" 17. Nei "Lunyu"* egli stesso scrive di sé: “A quindici anni mi dedicai allo studio della Saggezza; a trenta camminavo con passo fermo sul sentiero della virtù; a quaranta ero del tutto illuminato; a cinquanta conoscevo i decreti del Cielo; a sessanta capivo ciò che ascoltavo; a settanta seguendo i desideri del mio cuore non trasgredisco a nessuna regola” ("Lunyu", 2, 4). Egli era di statura imponente e di carnagione scura: un tipico uomo del nord. Aveva “cinque sporgenze, cioè occhi pronunciati, naso prominente con grandi narici, pomo d'Adamo prognante, orecchie grandi con ampi lobi piatti, denti sporgenti. Caratteri che si riscontrano nelle molte sue effigie incise sulle steli, e nelle statue che lo raffigurano. Il volto era largo, come “un melone maturo”, mani larghe e forti, barba folta, labbra carnose. A diciannove anni prese moglie, ed ebbe un figlio cui mise nome Li (Carpa) per celebrare così un gesto di favore del re, che all'annuncio della nascita gli aveva inviato in dono una grossa carpa (secondo altre fonti due carpe). In seguito ricoprì la carica di sovrintendente ai granai pubblici, poi

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quella di sovrintendente ai pioli cui venivano legati gli animali da immolare durante i riti. A ventidue anni iniziò il suo insegnamento, aprendo nella propria casa una scuola di filosofia, ritualistica e storia. Verosimilmente iniziò in questo periodo la compilazione dell'opera storica "Cronache delle Primavere e degli Autunni"*. Nel 528 avanti Cristo, a quarant'anni, sua moglie morì. Circa nel 538 si recò a Loyang, capitale dell'impero Zhou, ove visitò i più importanti luoghi di culto tradizionali, e dove, secondo resoconti dell'epoca, incontrò anche Laozi*, il fondatore del Taoismo, allora modesto archivista di Corte. Tornato a Lu, riprese l'insegnamento, raccogliendo intorno a sé, a quanto si dice, numerosi rampolli delle più importanti famiglie nobili, ma anche quanti, fra la gente semplice, dimostravano attitudini speciali. Oramai era famoso, e le sue qualità lodate in ogni dove. Dai "Dialoghi" ("Lunyu") rileviamo sufficienti aspetti del suo carattere, e molte vicende relative al suo comportamento. Era ad esempio serio durante l'insegnamento e le mansioni ufficiali, e gaio e cordiale negli altri momenti. Non peccava di presunzione, non aveva preconcetti, non era egoista né ostinato. Tuttavia la sua applicazione rigida delle norme, soprattutto rituali, lo mostra uomo senza compromessi, con un carattere genitoriale spiccato, e inflessibile: né mezze misure né patteggiamenti. Dai "Dialoghi" appaiono la sua dignità pur affabile, la serietà senza rigidezza, la premurosità non servile; ma per noi conta forse più il fatto, emergente da tutta la sua opera, ch'egli non trattò mai i grandi temi che hanno affascinato il resto dell'umanità: il mistero del divino, il problema dell'anima, l'escatologia. Nel 501 egli ricoprì, nel suo paese natale, la prima carica importante: fu nominato governatore di Zhongdu, poi ministro dei lavori, e in seguito ministro della giustizia. Nel quattordicesimo anno di regno del re Ding (il termine “re può forse essere improprio, per il piccolo territorio feudale di Lu; lo si potrebbe anche rendere con principe, o duca; si tratta in ogni caso del signore assoluto dello Stato) sembra che sia stato nominato primo ministro, e che durante questo incarico abbia condannato a morte Shaozheng Mao, un dignitario che si era ribellato al potere centrale. Malgrado l'alto incarico, non mutò tuttavia modo di vita, continuando a cibarsi parcamente e a vestirsi di tela grezza: “Nutrirsi di cibo grossolano, bere acqua, piegare il braccio e farsene capezzale: con queste tre cose si può essere contenti. Essere ricco e mancare di giustizia è per me essere una nuvola fuggevole che non reca beneficio.” Leggiamo nel testo di Sima Qian: “Dopo tre mesi della sua amministrazione, la polenta di cereali, l'agnello e il maiale non aumentarono di prezzo; uomini e donne non andavano insieme per via; non ci si appropriava di oggetti lasciati in strada; e gli ospiti giunti nella città da ogni dove erano ben accolti da tutti senza che si dovessero rivolgere ai funzionari.” Confucio aveva dichiarato ai suoi allievi: “Se mi venisse affidato il potere, in un solo mese getterei le basi di un nuovo ordine sociale, e in tre anni otterrei risultati notevoli.” Durante il suo mandato, opponendosi alla corruzione, alle prevaricazioni, all'ignoranza dei funzionari amministrò così bene gli affari dello Stato che, secondo quanto narrano i suoi biografi, non c'eran più ladri nel paese. Esagerazione forse, ma dopotutto è probabile che se si governasse con equità, giustizia e disinteresse, il popolo potrebbe vivere sereno. L'ordine costituito da Confucio suscitò le gelosie degli altri ministri, e le apprensioni dei paesi confinanti. Li Shu, re di Qi, inviò al re di Lu, in regalo, trenta coppie di cavalli pezzati e

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ottanta danzatrici-musicanti molto belle e abili. Il dono suscitò l'entusiasmo della piccola capitale e della Corte: il re, interessandosi ai loro spettacoli e alle loro grazie, si distolse dagli affari di Stato e non seguì più i consigli di Confucio. In effetti può darsi piuttosto che, per la situazione precaria determinata dalle lotte fra staterelli, il re di Lu abbia stretto rapporti d'alleanza o quanto meno di buon vicinato con il regno di Qi, adottando un atteggiamento più elastico di quello che il filosofo propugnava. Resta il fatto che Confucio, sdegnato per l'attaccamento del re alle attrici più che agli affari dello Stato, si allontanò di nuovo dalla patria, dopo aver espresso il proprio rammarico con questa poesia (in una delle varie versioni): “La lingua di una donna ti può allontanare, l'incontro con una donna può portarti alla morte. Molto meglio andarmene libero e preservare i miei ultimi anni.” La nuova peregrinazione, in compagnia di molti discepoli, durò tredici anni Andò dapprima a Wei, e abitò in casa di Yan Zhouzou, cognato di Zilu. Per i suoi consigli, il re di Wei diede a Confucio un appannaggio eguale a quello che questi aveva ricevuto a Lu: sessantamila misure di grano. I dignitari però si mostrarono ostili, e il Maestro preferì ripartire. Giunto a Kuang, fu scambiato per un'altra persona, e arrestato. Rilasciato dopo cinque giorni, ripartì subito, visitando vari staterelli che, in lotta fra loro, si contendevano l'un l'altro supremazie precarie, all'incirca come accadrà poi ai vari principati italiani nel Quattrocento. Non riuscì ad ottenervi incarichi di governo, anche se in molte Corti venne accolto con deferenza e onore. Continuava comunque ad occuparsi dell'istruzione dei molti allievi. Diceva loro: “Quando nacqui, io non possedevo la conoscenza. L'ho cercata per amore dell'antichità e a forza di studio.” E ancora: “Vi è gente che vuol fare cose che ignora; io non ho questa pretesa. Ascoltate molto, scegliete poi ciò che si è dimostrato lodevole, mettetelo in pratica. Osservare molto per istruirsi: ecco la scienza pratica, ecco la via della conoscenza.” A sessantotto anni compiuti tornò nella sua città natale. Faceva regolarmente visita al suo re, ed era prodigo di consigli. Senza un grande costrutto, tuttavia, dal momento che non venivano affatto seguiti. In questo periodo pare che si sia dedicato soprattutto al riordinamento e alla stesura definitiva dei "Cinque Classici".* Nel 478 avanti Cristo, un mattino, intonò questo canto: “Ecco come si crolla il monte Tai; il grande albero viene abbattuto e il saggio se ne va come una pianta sfiorita" (Secondo un'altra versione: “Il monte Tai si crolla, la grande trave si spezza, il filosofo avvizzisce). All'allievo Tzu Qun disse: “Il mondo vive da tempo nel disordine morale. Nessun sovrano è stato in grado di seguire il mio insegnamento. E' ora che io muoia.” Secondo un'altra tradizione avrebbe invece detto: “Sotto gli Xia il feretro si disponeva in alto, sulla gradinata est; sotto gli Zhou sulla gradinata ovest; sotto i Shang tra due colonne. La notte scorsa ho sognato d'esser seduto tra le due colonne, davanti alle offerte che si fanno al defunto. Ciò dipende senz'altro dal fatto ch'io discendo dai Shang.” Dopo di che si ritirò nella stanza interna della sua casa, si mise a letto senza più rivolgere la parola ad alcuno, e sette giorni dopo

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morì. Aveva settantatré anni; era il giorno "jichou" del quarto mese del sedicesimo anno del regno di Ai di Lu (479 avanti Cristo). Confucio venne sepolto a nord della capitale, in quella che nel corso dei secoli è diventata una vasta necropoli immersa in una foresta d'alberi centenari (alcuni hanno sicuramente ottocento anni) E' la foresta del Grande Saggio, la Zhishenglin. Il luogo è suggestivo, poetico, quasi magico; la tomba del Maestro, visitata anno dopo anno da un numero considerevole di pellegrini d'ogni ceto, è un modesto tumulo coperto d'erba, sormontato da una stele Ming e da una più piccola Song, al centro del cortile che si trova dietro ad un tempio a sala. Anche la sua casa, trasformata a poco a poco in un vasto Tempio, fu luogo di pellegrinaggio e di venerazione, gestito, come la tomba, dai discendenti in linea diretta del filosofo. Visitandola, e visitando l'annesso Palazzo dei suoi discendenti, ci si può rendere conto in modo palpabile dell'importanza che il grande filosofo ha avuto per la Cina lungo tutto il corso dei secoli. Nel Tempio (Kongzimiao), che corre parallelo al Palazzo dei discendenti, il sacrificio all'anima del grande filosofo veniva celebrato dall'imperatore stesso L'attuale complesso deriva da un santuario edificato nel 479 avanti Cristo, ampliato, ricostruito e restaurato ben sessanta volte. Esso misura 160x350 metri circa, con una superficie effettiva di 210000 metri quadrati. Ha cinquantaquattro porte e comprende 466 sale, padiglioni, chioschi, torri. Due statue nel secondo cortile sono d'epoca Han dell'Est (25-220); una grande stele vi venne innalzata dall'imperatore Tizu (Hongwu, 1368- 1398), fondatore della dinastia Ming. Il grande portale Guiwenge è del 1018, e dà accesso alla corte dei tredici padiglioni, con 53 steli a partire dal periodo Tang (618-907). Si entra infine nel Grande tempio propriamente detto, il Dachen Dian. Sorge su una terrazza di marmo alta due metri, copre un'area di 1836 metri quadrati, è alto 32 metri ed ha uno dei più bei tetti di tutta la Cina, sostenuto da colonne scolpite con straordinaria perizia: di marmo le dieci anteriori, e di pietra le diciotto disposte sugli altri tre lati. Notevoli sono soprattutto gli antichi strumenti musicali che vi si conservano. Ai lati del Tempio, due gallerie ospitano una collezione importante di antiche steli della dinastia Han, parte con sculture, parte con calligrafie. Dietro il Tempio si trova la Sala dei Ricordi del Saggio, che conserva 120 lastre ("shengiidian") con famose immagini agiografiche di Confucio incise nel 1592. Il Palazzo dei discendenti, iniziato nel 1378 dal cinquantacinquesimo discendente e ricostruito tra il 1522 e il 1567, consta di 463 ambienti, suddivisi in tre aree Copre, all'incirca come il Tempio, una superficie di 160x350 metri quadrati, a dimostrazione dell'importanza della famiglia, che in effetti già in epoca Song (960-1269) aveva ricevuto il titolo di “Sacri duchi di Yansheng”, e nei periodi successivi ebbe sempre alti gradi e vasti possedimenti. In pratica furono i signori dell'intera Qufu. Dalla porta principale si entra in una piccola corte, e da qui in una più grande; al centro di questa v'è un impressionante arco di trionfo cerimoniale ("yimen"), e a sinistra si trovano gli Archivi. Proseguendo oltre l'arco di trionfo si entra nella Grande sala ("datang") in cui sono allineati tutti gli strumenti, suppellettili e costumi inerenti agli antichi riti, e lo scranno sul quale i discendenti di Confucio ricevevano i visitatori. A destra si va al Tempio degli antenati, e proseguendo si penetra poi negli appartamenti privati ("neizhal"). In una sala di questi, in oltre cento cofani, sono conservati ottomila abiti, il più antico dei quali è del periodo Yan (1276-1368). Superata questa sala e l'attiguo “padiglione del

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Buddha”, si entra in un grazioso giardino. Tutta l'ala ovest del palazzo funge oggi da albergo. In Cina altri importanti templi a Confucio sono quello di Pekino, fra i più antichi, quello di Xian, che ospita l'importantissimo Museo delle steli; e quello di Canton, in cui insegnò anche Mao Zedong. Di Confucio la più antica testimonianza autorevole in Europa fu quella del gesuita padre Matteo Ricci, missionario in Cina: “Da tutti è tenuto e venerato per il più santo huomo che mai fusse al mondo (...) In ogni città e scuola, dove si congregano i letterati, per legge antica vi è il tempio del Confucio molto somptuoso, dove sta la sua statua e il suo nome et titulo; et tutti i novilunij et plenilunij e quattro tempi dell'anno i letterati gli fanno una certa sorte di sacrificio con profumi et animali morti che gli offeriscono, sebene non riconoscano in lui nessuna divinità, né gli chiedono niente”. E Voltaire, che parlò di Confucio nel suo "Dizionario filosofico", scrisse la famosa quartina: “Della sola ragione salutare interprete, senza meravigliare il mondo illuminava gli spiriti. Parlò solo da saggio, mai come Profeta: tuttavia gli si credette, e perfino nel paese natale". 3. IL PENSIERO DI CONFUCIO. “Io non creo: tramando.” "Lunyu", 7,1. Nella metà del Sesto secolo avanti Cristo - che vide in Grecia il fiorir del pensiero di Talete e di Pitagora - nacquero in Asia tre fra i più eminenti pensatori dell'umanità tutta: il Buddha, Laozi (Lao Tze) e Confucio. Da loro presero origine tre sistemi di pensiero, che in ambito popolano divennero anche formule religiose. Il meno divinizzato di questi tre personaggi fu forse Confucio, anche se la sua casa natale venne trasformata nei secoli in un grande tempio, e lungo i secoli sono stati festeggiati sempre più ritualmente il suo nome, la sua nascita, il suo spirito. Un sistema di pensiero è più che un sistema filosofico: è un modo di concepire la vita, di darle significato, di privilegiare l'etica, in definitiva una risposta globale e completa alle tre grandi pulsioni psichico-spirituali di ogni essere umano, simbolizzate dai tre termini: Arte, Fede, Civismo. Una precisazione anzitutto: in Cina, il “paese delle tre religioni” ("san jiao"), difficilmente troveremmo Confucianesimo, Taoismo e Buddhismo operanti alla stessa stregua del Cattolicesimo, del Protestantesimo o dell'Islàm in Occidente; v'è piuttosto una sorta di animismo generalizzato, di “santonismo” simile al “marabuttismo” del Nordafrica, e fra gli intellettuali l'adesione d'una stessa persona agli insegnamenti dottrinali del Confucianesimo, del Taoismo e del Buddhismo a seconda delle circostanze, dei casi, e financo dell'età. Tuttavia la dottrina di Confucio è stata sempre considerata la più “nazionale”, la più rappresentativa di una unità cinese e del suo spirito, dei suoi valori. Comunque è anche possibile vedere una stessa funzionalità - a livello meno immanente - nel Taoismo, e si può dire allora che le due correnti, anche opponendosi nel corso dei secoli, si

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completano e si compenetrano, giusto come ci insegna il concetto degli opposti ("yin" e "yang") di cui s'è fatto il mondo. Mentre il Buddha fu un personaggio storico divinizzato, Confucio fu un personaggio storico mitizzato. Si può ritenere tutta sua la mole di pensieri che gli si attribuiscono, così come si può anche supporre che nulla di tutto ciò che ci è stato tramandato come suo sia stato da lui detto. Così come per il Buddha e per Laozi. Le rielaborazioni abbondanti, i mutamenti di rotta nel corso dei secoli per ragioni politiche e per ragioni filosofiche, e le grandi purghe (di Shihuangdi in particolare), o i contrasti con il Taoismo, autorizzano ad assumere con una certa cautela molte delle parole di Confucio, ma non certo il suo pensiero, la cui base è senz'altro autentica, o quanto meno corrispondente. Così come d'altronde le parole di Gesù Cristo sono state raccolte in numerosi Evangeli - quattro ortodossi e molti apocrifi - solo dopo la sua morte. Va considerato comunque che il Confucianesimo dettò alla Cina per oltre due millenni e mezzo la via del corretto comportamento intimo e sociale di là da ogni altra scuola di pensiero, religione, strategia politica. “In effetti - scrisse padre Séraphin Couvreur SJ., della Scuola francese d'Estremo Oriente (1979) - il “Confucianesimo” è la chiave della civiltà cinese. Più d'una semplice filosofia, il pensiero di Confucio è l'espressione dell'anima eterna della Cina, con una sensibilità colorata di magia”. Quali noi li conosciamo, i "Quattro Classici" confuciani furono riordinati, divisi in capitoli e annotati nel Dodicesimo secolo. Come già detto, è da tener presente, sempre, che Confucio non lasciò nulla scritto di suo pugno. In realtà ognuno degli aforismi di questo libro sarebbe da leggersi con la premessa “Il Maestro disse...” A mia opinione tutto ciò che è attribuito a Confucio deriva dal suo pensiero; e nulla di ciò che è attribuito a Confucio è stato scritto da lui. I due primi libri: "Daxue"* ("Il grande insegnamento", o "La grande scienza") e "Zhongyong" ("L'invariabile medio", o "L'equilibrio invariabile") derivano dal "Liji"* ("Il Libro dei riti"). Il "Daxue" si divide in due parti; la prima contiene le parole di Confucio trasmesse dall'allievo Deng Shienn (Tsengzi), e la seconda i commentari di queste, scritti dai discepoli di Deng Shienn. Il "Daxue" è stato rivisto, corretto e disposto nell'ordine attuale da Zhou Xi (1130-1200), il san Tomaso d'Aquino del Confucianesimo. Zhou Xi scrisse: "Il "Daxue" è opera di Confucio e dei suoi discepoli. E' come la porta dalla quale si accede alla virtù. L'ordine anticamente seguito negli studi è conosciuto oggi solo grazie a questo libro, fortunatamente giunto sino a noi, e grazie al "Lunyu" e agli scritti di Mengzi, che sono venuti in seguito. Sicuramente il discepolo della saggezza che inizierà lo studio di questo libro non dovrà temere di smarrirsi.” Il "Zhongyong" ("L'invariabile medio", o "L'equilibrio invariabile") contiene gli insegnamenti morali espressi da Confucio e trascritti da suo nipote Kong Ki Zisi, figlio di Peiu. Secondo Zhung Xi “il medio è ciò che non inclina da alcuna parte e, costante, non cambia mai. Il medio è la Via diritta per tutti gli esseri, e la costanza è la legge invariabile che li regge.” Il decimo capitolo (o “libro”) del "Zhongyong", lo "Haing Dang" - di diciassette paragrafi - ci narra le abitudini, i comportamenti, il modo di vita di Confucio. E' indubbio: analizzando la qualità psicologica del suo pensiero e della sua vita, ci troviamo di fronte ad un personaggio fortemente genitoriale, con una chiara fissazione al periodo anale: tutto della sua precisione, della sua impeccabilità, del suo ordine perfino ossessivo e della sua predilezione per la tradizionalità inderogabile ce lo lascia

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intendere. I "Lunyu"* ("Dialoghi") sono la fonte più autentica della dottrina di Confucio. Si tratta di dialoghi fra il Maestro e i discepoli, nella costante ricerca della Realizzazione del Sé. Il "Mengzi"* è una raccolta di citazioni e di commenti sull'opera e sui detti del seguace di Confucio, Mencio* (Mengzi, 372-289 avanti Cristo), che a giusta ragione si può considerare il san Paolo del Confucianesimo. E' probabilmente la più completa espressione della filosofia derivata da Confucio, e del pensiero cinese. Una ulteriore messe di informazioni filosofiche si può ricavare da "Discorsi familiari di Confucio" ("Kongzi Jiayu"), non inserito tra i libri canonici ma del pari autorevole. Uno dei primi testi post-Confucio di un certo rilievo (contiene ancora numerosi detti del Maestro, attendibilmente accettabili come tali) è il "Da Dai Liji"* dovuto a due cugini: Dai il Vecchio e Dai il Giovane, la cui stesura principe in centotrentadue capitoli fu curata da Hien, parente dell'imperatore Han Wudi (141-87 avanti Cristo). Considerata l'importanza canonica di questo libro m'è parso giusto arricchire il presente "Breviario" con alcuni aforismi tratti dal "Da Dai Liji", che ci è giunto oggi mutilato dei primi trentotto capitoli. Un gran numero di commentatori s'è dunque preoccupato di spiegare i "Quattro Classici", a partire da Xunzi (289-238 circa avanti Cristo). Come detto, il più importante è Zhou Xi (1130-1200), rappresentante maggiore della scuola fondata dai due fratelli Zhengzi (dinastia Song): Zheng Hao (1032-1085) e Zheng Yi (1033-1107). Dobbiamo a questa scuola i due corpi importanti, il "Seu Shu Zhang qiu" ("I Quattro libri riveduti e ordinati") di Zheng Xi e il "Seu Shu pei Zhu" (Spiegazione completa dei Quattro libri"), di Deng Lin. Il "Seu Shu pei Zhu" contiene: 1) le annotazioni "zhu" dei "Seu Shu Zhang qiu", di Zheng Xi; 2) una parafrasi "kiang" dei commentari di Zheng Xi; 3) un'analisi dei capitoli e delle parafrasi; 4) note filologiche, storiche e geografiche Composto in periodo Ming, riedito nel 1779 con importanti aggiunte di Duding Ki, è stato da allora aumentato e ristampato col titolo "Seu Shu pu Zhu fu kao pei Zheu" ("Spiegazione completa dei Quattro Libri rivista e aumentata"). Anche l'imperatore Kangxi (1662-1723) della dinastia Qing fece compilare dai suoi studiosi un "Jeu qiang Seu Shu kiai I" ("Parafrasi quotidiana dei Quattro libri"). Il più illustre commento resta probabilmente quello di Zhou Xi. Alla sua stesura ritengo che ci si debba senz'altro affidare per avere un testo sicuro e preciso, da adottare per la traduzione migliore. Comunque rendere in italiano un testo cinese non è facile. Lo stile è spesso laconico, sintetico, d'una fascinosa bellezza come quella d'una poesia ermetica che ben difficilmente si può rimettere in prosa. In mancanza di flessioni grammaticali, il senso multiplo d'un ideogramma è chiarito solo dal contesto, ma ciò si presta a traduzioni interpretative multiple.

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La trascendenza. Il Confucianesimo non è una religione, e Confucio non è un profeta. Dal punto di vista di un credente come si pone allora, per i confuciani, il concetto di Dio? Negli scritti attribuiti a Confucio si parla spesso del Cielo ("Dien"): “Solo il Cielo è veramente grande... Non si può ingannare il Cielo... Il Cielo, creatore degli esseri, li tratta a seconda del comportamento che essi scelgono di condurre... Che può un uomo contro la volontà del Cielo?... Il Cielo agisce senza nulla dire; produce senza agire... Il figlio del Cielo è depositario del suo mandato...” Il peccato si commette contro il Cielo, e Confucio afferma: “Il saggio rispetta la volontà del Cielo; solo l'uomo volgare non si preoccupa di conoscerla e non la rispetta”. Negli scritti confuciani è comunque sviluppata in modo considerevole la morale pratica, ma ben poco è detto sulla natura degli esseri trascendenti (gli “spiriti”) e dell'anima umana, questioni il più delle volte addirittura neglette. Si dà per inteso in ogni modo che gli spiriti esistono; e Confucio dice: “La loro azione è potente. Non li vediamo, non li sentiamo, ma sono legati agli esseri umani e non li abbandonano. Per essi gli uomini si purificano, si adornano, offrono sacrifici Sono dovunque e da ogni parte. Gli inni dicono: L'arrivo degli spiriti non può essere avvertito, ma è verità. Fate attenzione. Pur se sono invisibili, sono veramente presenti”. Così il saggio confuciano ha due impegni: compiere bene i propri doveri e venerare gli spiriti. Quanto alle anime umane, il filosofo disse ad un allievo: “L'uomo si compone di due parti: la sostanza aerea e la sostanza spermatica. Ogni uomo muore: ciò che va nella terra e si decompone, la carne e le ossa, è la sostanza spermatica; la sostanza aerea sale e diventa gloriosa”. Uno stretto seguace del Maestro parla di due anime, una che dirige le azioni vegetative e una, superiore, che si forma dopo la nascita con la respirazione. La prima segue le passioni, e l'altra la Via retta. Alla morte l'anima materiale segue il corpo, e l'altra se ne va libera. Ciò è in stretta correlazione con i princìpi negativo e positivo - "Yin" e "Yang" - di cui si fanno l'universo e tutte le cose, le vicende umane e la Natura stessa. Sembra tuttavia che in Confucio sia prevalso un atteggiamento né esplicativo né negativo ma prudente. Leggiamo infatti: “Trattare i morti come morti sarebbe inumano Trattarli come vivi non sarebbe ragionevole... Se vi dico che sono dotati di conoscenza, i figli devoti si ucciderebbero per andare a trovare i loro genitori defunti. Se dico che sono sprovvisti di conoscenza, i figli empi non si darebbero più la pena di seppellire convenientemente i loro genitori morti. Restiamo al dunque, nulla preme. Dopo la morte saprete di che si tratta”. La morale comune. Per Confucio - in definitiva un autentico "laudator temporibus actis" - la natura originale dell'essere umano è buona. Nasciamo immuni da macchia, e ci guastiamo solo crescendo in un ambiente corrotto. Ognuno di noi porta nel proprio cuore il concetto del bene: e non occorre andarlo a cercare nei testi o negli insegnamenti. Ma questa inclinazione naturale può trovare la sua deviazione, ed è allora il Male. Perduta la sua qualità razionale, l'essere umano non è più in grado di capire la Via della virtù, e se ne allontana. “L'uomo, dice Confucio, ha sette inclinazioni: gioia, dolore, collera, timore,

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amore, avversione, desiderio. Questi sentimenti sono innati. L'avversione e il desiderio sono i due grandi moventi psichici. Il cuore umano è un mistero insondabile. Il bene e il male vi coabitano senza che questo appaia all'esterno” Si tratta allora di seguire una parte o l'altra dell'essere, meditare e riflettere per seguire la giusta inclinazione, mantenersi fermo nel bene e non lasciarsi trascinare al male: “Il mezzo migliore per conservare lo spirito è quello di moderare e di padroneggiare le proprie passioni”. L'ambiente ha dunque un grande influsso, e Confucio lo spiega con queste parole: “Negli anni d'abbondanza la maggior parte della gente è pigra; e negli anni di carestia è crudele. Il Cielo dà a tutti le stesse disposizioni naturali, ma molti soffocano i sentimenti naturali, buoni nel cuore, a causa delle circostanze esterne in cui si trovano. Supponiamo che coltiviate orzo o grano. Spargete il seme e lo coprite di terra. I terreni su cui seminate sono eguali, adatti alla cultura dell'orzo o del grano. Seminate dappertutto e nello stesso tempo. Il seme germoglia, la messe cresce. Al solstizio è del tutto matura. Se presenta differenze, non è a causa del seme ma perché il terreno non è dappertutto fertile allo stesso modo, non dappertutto è piovuto allo stesso modo, e non dappertutto c'è stata eguale rugiada, eguale cura da parte dell'uomo. Le cose di eguale specie sono tutte simili fra loro, perché solo l'uomo non dovrebbe corrispondere a questa legge generale? I più grandi saggi avevano la nostra stessa natura”. Da queste considerazioni deriva il concetto politico ed etico dell'ambiente. Governare è per Confucio creare un ambiente adatto allo sviluppo corretto dei sudditi. Benessere e insegnamento sono la base essenziale. Dare il buon esempio, compiere il proprio dovere, rispettare tutti i sudditi, dal primo ministro all'ultimo contadino, è il dovere del buon governante, che emanerà leggi giuste, con giustizia le farà rispettare. Così i suoi sudditi, dal primo ministro all'ultimo contadino, sono obbligati a seguire il suo esempio e creare uno stato basato essenzialmente sull'etica. Vi si può giungere? Sì, secondo Confucio: mantenendo il giusto equilibrio, senza eccedere nel bene o nel male, con equità, lealtà e benevolenza. Oggi potremmo dire “con tolleranza”, virtù ben rara in questo mondo di feroci integralismi d'ogni colore e d'ogni etichetta, tanto materialisticamente egoistici. Con la tolleranza si raggiunge la pace interiore, poiché si è in pace con se stessi e con gli altri avendo compiuto il proprio dovere a beneficio di tutti. In definitiva, per Confucio, anziché cercar di migliorare gli altri, e di pretendere da loro una buona condotta, è necessario migliorare se stessi e a tutti i costi seguire la Via della buona condotta. Se ognuno migliora se stesso, tutta l'umanità si troverà migliorata. A questo proposito Piero Corradini (1993) commentò: “Sarà necessario che la conoscenza umana si fondi su qualcosa di inequivocabile, che non lasci adito a dubbi (si dice che a quarant'anni Confucio non avesse più dubbi!), e ciò potrà essere realizzato soltanto se ogni cosa, ogni fatto sarà conosciuto per quello che realmente è, se i nomi saranno corrispondenti a ciò cui si riferiscono. Si tratta della cosiddetta 'rettificazione dei nomi" ("zhengming"*), chiave di volta di tutto il pensiero confuciano. Per realizzare, nella pratica, tale operazione, occorre dedicarsi allo studio delle tradizioni e della storia, da cui si potrà comprendere il significato di tutte le cose e, in particolare, grazie ad appropriati modelli, si potrà raggiungere la consapevolezza dei propri doveri”. Più che l'imitazione dei modelli passati, qui si tratta della puntualizzazione del valore dei termini: questione di estrema importanza psicologica, puntualizzata poi da tutto il Sufismo e oggi proposta come teoria dell'origine della

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nevrosi da Alfred Lorenzer ("Sprachzerst”rung und Rekonstruktion", Suhrkamp V, Frankfurt a/M 1971). Morale individuale. Per Confucio dunque l'essere umano nasce puro, e si corrompe a causa d'un ambiente corrotto, se non vi sa resistere; quanto alla saggezza, “alcuni nascono saggi per un raro dono del Cielo, e altri diventano saggi grazie ai loro studi e ai loro sforzi”. Occorre comunque, per tutti, sviluppare le qualità positive e dominare quelle negative; e per fare ciò occorre conoscere i valori della positività e aderire sinceramente al bene. Gli antichi hanno lasciato insegnamenti precisi sia con il loro giusto comportamento, sia nelle pratiche dei riti sacrificali, di cui hanno indicato le sequenze cerimoniali immodificabili Per Confucio dunque “conoscere” mantiene nel “giusto mezzo”, nella “Via dell'equilibrio immutabile”: conoscere la propria natura, conoscere le parole dei saggi, conoscere la storia dei grandi d'ogni tempo che con il loro esempio ci hanno illuminato; conoscere i modi per venerarli, per venerare gli antenati, per venerare gli spiriti: in pratica conoscere i riti sacrificali. “Dirigere sinceramente la propria volontà, non illudersi, non ingannare se stessi. Così come proviamo ripugnanza per ogni odore sgradevole o inclinazione per ogni oggetto gradevole e seducente, altrettanto amiamo la virtù, e di questa ci compiaciamo. Ecco perché l'uomo saggio veglia attentamente sulle proprie intenzioni e sui propri pensieri segreti”. La felicità estrema d'ogni essere umano è seguire la propria inclinazione naturale al bene, i desideri della propria anima superiore, sopprimendo le passioni inconsulte, accettando la propria condizione senza nulla più desiderare, pronto ad adattarsi ad ogni variare delle circostanze esterne, e rimanendo sempre padrone di se stesso. Questo cammino lungo la Via della Saggezza è un percorso potremmo dire iniziatico, quasi alla stessa stregua del Shan (Zen) nel Buddhismo o del Sufismo nell'Islàm: “Il discepolo della Saggezza avanza sulla vera Via per gradi. Vuol giungere a possedere la saggezza come se fosse una sua realtà naturale. Quando l'ha acquisita, la mantiene con tranquillità, è per lui un tesoro immenso. Egli è sempre presso la sua sorgente; vi attinge e vi si conforma in tutte le circostanze. Per questa ragione il discepolo della Saggezza vuole giungere a possederla nel modo più completo”. Vi sono, per conseguenza, varie tappe verso la realizzazione del Sé: uomo comune, apprendista, maestro, perfetto, santo. Il cammino è tracciato: conoscere e rispettare la volontà del Cielo (“Il saggio corregge i vizi e fa fiorire le virtù; venera il Cielo e

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si conforma alle disposizioni della provvidenza”); regolare la vita sulla base delle quattro virtù: umanità, prudenza, fermezza d'animo, equità; osservare i riti e i costumi insegnati dagli antenati (“Il saggio agisce solo secondo le regole d'onestà che si chiamano riti”). Per seguire questa Via occorrono: vigilanza e rispetto di se stessi e degli altri, sincerità, moderazione sino alla mortificazione, dominio della collera e delle passioni, modestia in ogni occasione, comportamento umile e mansueto, carità disinteressata, carità con giustizia, appropriata alle circostanze, per ogni essere umano senza distinzioni. Si può dire quindi che a proposito della Morale individuale Confucio ha predicato, e ribadito, poche regole semplici e chiare, che si trovano soprattutto nel "Zongyong": “La natura è opera della volontà del Cielo: e vivere secondo natura costituisce la Legge dell'uomo. Restaurare o rimettere in luce questa Legge è ciò che chiamiamo Insegnamento, o Religione. La Legge è ciò da cui non è permesso allontanarsi neanche un istante, poiché allora non sarebbe più Legge. L'equilibrio e l'armonia: ecco la Legge generale di ogni mutamento che si produce nel cielo e sulla terra”. Legge morale, quindi, senza mutazioni di sorta nel tempo e nei luoghi, verificabile ascoltando i desideri, l'inclinazione e le esperienze comuni di tutti gli esseri umani; con una realtà trascendente e una pratica espressa nei due principi "ren" (umanità, tolleranza, bontà d'animo), e "y" (la virtù della Giustizia, l'equità). Riti e musica ci riconducono incessantemente a queste virtù. I riti ("li") comprendono cerimonie a carattere religioso, sacre e profane, le regole d'onestà, le buone maniere, l'osservanza dell'ordine sociale, e ha quindi valore per tutti i comportamenti dell'individuo e della collettività, nella collocazione ottimale di ciascun essere al suo posto, e di ciascuna cosa nella sua corretta collocazione (la legge dei nomi; di cui si può leggere in "Lunyu", 13, 3). Il “giusto comportamento” è dettato dal senso di giustizia e dalla ragionevolezza (“Il fondamento dei riti è la Ragione stessa, al punto che i riti non contemplati dai "Libri dei riti" possono essere considerati tali solo se sono conformi alla Ragione”). La musica poi “agisce sull'intimo dell'uomo, i riti all'esterno di lui. Lo scopo della musica è l'armonia. Quando si studia a fondo la musica per regolare il proprio cuore, questo diventa in modo naturale calmo, retto, amorevole, sincero. I grandi saggi amavano la musica e vedevano ch'essa è in grado di rendere il popolo buono”. Il pensiero politico di Confucio. Base della società è, per il “Maestro di mille generazioni” (come è spesso scritto in cima alle sue immagini), la famiglia. Ciò si è in effetti dimostrato vero in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Uno Stato è forte quando sani e forti sono i vincoli che legano ogni famiglia di quello Stato. “I governi regionali sono il fondamento degli imperi, le famiglie sono il fondamento dei governi regionali, gli individui sono il fondamento delle famiglie”. Il nucleo familiare aveva un significato essenziale per le genti nomadiche che invasero a più riprese la Cina antica: il capofamiglia reggeva la sua gente, più famiglie di eguale ceppo formavano il clan, e più clan formavano la

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tribù (l'orda). Tutta la tribù era dunque retta da un vincolo di sangue, con l'obbligo di proteggere e aiutare il consanguineo; e il capo - discendente dal Cielo, per cui di sangue “celeste”, come già detto - era il padre di tutti. Anche la famiglia, e la sua origine, il matrimonio deriva per Confucio dalla inclinazione naturale. Il matrimonio cinese è tendenzialmente monogamo, ma accanto a questo era accettato, per tradizione millenaria, il concubinaggio organizzato, in particolare nella classe dei grandi mercanti; e rammentiamo che per il Confucianesimo la classe dei mercanti è la classe inferiore. La famiglia si basa sull'osservanza dei relativi doveri familiari, che legano fra di loro i coniugi, i genitori ai figli, i figli ai genitori e i fratelli ai fratelli: “Il genitore sia veramente genitore, il figlio veramente figlio, il fratello maggiore veramente tale, il figlio minore veramente tale, il marito veramente sposo, la moglie veramente sposa; tutta la famiglia sarà nell'ordine, e il mondo intero godrà la pace”. Per Confucio l'inosservanza di questi doveri è altrettanto colpevole che l'inosservanza dei doveri sociali e delle leggi. Di tutti questi doveri il più puntualizzato è quello della “pietà filiale”. “La pietà filiale è una legge importante e immutabile per la vita dei popoli come la regolarità del movimento degli astri lo è per il firmamento, e la fertilità delle campagne per la terra”. Prima virtù dell'umanità, essa regola tutti i diritti non solo espletandosi quando i genitori sono in vita, ma anche dopo la loro morte, legando così passato, presente e futuro in un inscindibile rapporto di osservanza corretta delle tradizioni. Per il Confucianesimo il lutto per i genitori durava tre anni, dato che i genitori portano sulle spalle i figli da quando nascono sino a quando compiono quattro anni. L'obbligo maggiore per un orfano è in ogni caso quello di agire in modo degno, al fine di non disonorare la memoria del padre con il proprio comportamento scorretto Società e politica. La “società umana” trova la sua ragione d'essere da un lato nelle leggi della Natura e dall'altro nella sua propria inclinazione al bene, secondo il detto arcaico: “Con la sua potenza invisibile il Cielo stabilisce i popoli, li unisce, li raduna perché vivano in comune”. Questa società umana ha un solo e unico scopo: far brillare e far fiorire la virtù, per poter giungere alla più alta perfezione. Gli esseri umani, abbiamo visto, si dividono per Confucio unicamente in tre classi sociali: quelli dotati di intelligenza superiore, quelli d'intelligenza media, e quelli d'intelligenza inferiore; da queste tre classi derivano le due categorie essenziali: i saggi (gli istruiti, i colti, coloro che sanno) e il volgo. Tutti debbono accettare il proprio stato, la propria classe, il proprio compito, fermo restando che possono evolvere e “virtuosamente” giungere sino ai più alti gradi della perfezione morale e culturale. Il compito di chi governa l'umanità, in qualsiasi posizione si trovi, è di “rettificare” il popolo: “Può regnare solo colui che sa riformare la moltitudine secondo la via diritta del dovere”. Naturalmente il governante deve possedere le più alte qualità, e il Cielo - che non ha favoriti - gli concede il potere scegliendolo in ragione della virtù, grazie alla quale anche il popolo lo ama: “Il popolo ama solo i prìncipi che fanno il bene”. Il potere quindi viene dalla volontà celeste, ed è trasmesso con il consenso del popolo a colui che risulta degno di esercitarlo a totale beneficio del popolo stesso. Il sovrano va considerato - dilatando gli stessi doveri sociali dell'individuo - come il padre del popolo; lo Stato è una famiglia, i sudditi son come

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figli, e tutti compiendo il proprio dovere debbono collaborare al benessere collettivo. Il Confucianesimo ha stabilito tre possibilità di trasmissione del potere: devolutivo (il potere è dato a colui che lo sa esercitare); ereditario (dinastico, pur che il figlio dell'imperatore abbia imparato quanto occorre e se ne mostri degno); rivoluzionario. Quest'ultimo modo fu considerato, ai tempi di Confucio, in relazione alle norme della Morale e della Virtù: “Il Cielo può ritirare i suoi favori, dal momento che non ama chi è disattento ai propri doveri. Anche il popolo può sempre ritirare il suo affetto, poiché ama solo i benefattori. Quando il sovrano (o comunque chi detiene il potere) si allontana dalla Via della virtù, il Cielo lo abbandona, e il popolo può ritirargli il suo mandato e affidarlo a persona più degna. Questo principio fu inteso da Mengzi (372-296 circa avanti Cristo) e da Shiunzi (Quarto secolo avanti Cristo) - sociologi notevoli - come una giustificazione della rivoluzione popolare, e dopo di loro il Confucianesimo ritenne ortodossa questa tesi, abbastanza pericolosa se male interpretata. A carattere generale credo utile allora leggere queste parole di Mengzi: “Solo il discepolo della saggezza può rimanere fermo nella pratica della virtù pur senza disporre di beni materiali. Gli uomini comuni in effetti non sono fermi nella virtù quando mancano di beni stabili. Se non sono fermi nella virtù si permettono ogni sorta di licenze, di disordini, d'ingiustizie e di eccessi. Perseguirli e punirli con la morte quando cadono nel crimine è come prendere i popoli in una rete. Come può commettere un simile atto criminale un capo di Stato veramente dotato della virtù della "pietas"? Ecco perché un principe illuminato, organizzando la vita economica del suo popolo, fa in modo che ognuno abbia di che mantenere i genitori e nutrire la moglie e i figli; negli anni fertili vi sia di che vivere in abbondanza, e negli anni di carestia non si muoia di fame. Potrà allora istruire il popolo, e guidarlo sulla via della virtù”. Ne consegue un concetto di comunità umana globale. Confucio affermò: “Tutti gli uomini che abitano la terra sono fratelli”. Un'idea di comunità globale che risale agli albori della Cina stessa, e che non ammette le guerre di conquista, le stragi in nome di un principio sovrano. La guerra è innaturale. Ancora Mengzi scrisse: “Confucio biasimava tutti i ministri che aumentavano i tesori dei prìncipi rapaci; e a più forte ragione avrebbe condannato i ministri suscettibili di suscitare una guerra nel solo interesse del loro principe Se si dà inizio alle battaglie per guadagnare territori, i cadaveri degli uccisi copriranno le campagne; se si dà inizio ad una battaglia per conquistare una città, gli uomini uccisi riempiranno la città. Questo significa forzare la terra a divorare la carne degli uomini. Colui che eccelle nel muovere guerra merita il supplizio più rigoroso”. L'esercito serve solo per la difesa dagli attacchi esterni, e per il contenimento della eventuale criminalità interna. Ma soprattutto, per Confucio, “la Giustizia è ben più redditizia delle tasse o del guadagno in denaro”. In definitiva si potrebbe ridurre l'edificio para-religioso di Confucio ad un unico e semplice principio: il buonsenso. Un buonsenso derivato da un quieto vivere illuminato dal gusto del sapere, dalla cultura letteraria, ma soprattutto frutto maturo d'una sedentarietà organizzata: la Cina è per eccellenza un subcontinente agricolo. L'astronomia era la conoscenza necessaria per regolare le coltivazioni, e quindi le sorti dell'Impero. La successione delle stagioni, il calcolo delle fasi lunari, le previsioni meteorologiche sono elemento essenziale d'una cultura agricola: dilatate a dimensione subcontinentale, in una Cina unita e dipendente dal Cielo e dal suo

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rappresentante, l'Imperatore celeste, queste erano l'essenza stessa della vita, la risposta al bene e al Male escatologici. Le vicende protostoriche degli imperatori che si adeguarono ai concetti di Rettitudine, di Benevola umanità e di Giustizia costituirono per Confucio il modello immutabile e la fonte di informazioni corrette per la conduzione ottimale della terra, madre e nutrice di un popolo contadino. 4. IL CONFUCIANESIMO DOPO CONFUCIO. Il termine cinese per indicare il Confucianesimo è "yo Xia", traducibile grossomodo con “comunità dei letterati”: quei saggi che laureatisi nelle scuole imperiali e formatisi allo studio dei "Cinque Classici", costituivano il nerbo della classe imperiale dei funzionari di Stato. Il termine quindi non si rifà direttamente a Confucio, ma a quel suo complesso di regole e di insegnamenti che a loro volta riassumevano i riti e l'etica del passato. I "Cinque Classici" compresero automaticamente, a partire dall'Undicesimo secolo, i "Quattro libri" confuciani; e a questi se ne aggiunsero altri, in particolare di commentari, sino a giungere, attorno al Tredicesimo secolo, a tredici libri. Gli allievi di Confucio appartenevano a famiglie altolocate, e non sappiamo quindi se il privilegio di accedere alle alte cariche statali sia dipeso dalla scuola o dalla posizione familiare; d'altronde studenti d'altre scuole, Meitisti, Sufisti, Taoisti, entravano del pari al servizio dello Stato. Certo è che sin dai primi due secoli gli allievi di Confucio si divisero sui metodi e sulle modalità interpretative del verbo del Maestro, perdendo così sempre più il potere effettivo. Fu così che nel Quinto secolo avanti Cristo ebbe in effetti predominio assoluto il diretto antagonista del Confucianesimo, il Taoismo, fondato da Laozi, ampliato da Zhoangzi, e ora potenziato da Yangshu, pensatore introspettivo che pose l'accento soprattutto sull'inutilità di occuparsi assiduamente degli affari terreni. Yangshu predicò una sorta di nichilismo, che condusse in definitiva ad una forma di edonismo sfrenatamente egoistico. Per lui tutto andava disprezzato, dal momento che solo il “Cambiamento eterno” esiste e tutto il resto è nulla: “Perché agire e non agire? L'uomo integro non è preso in considerazione, e la fama gratifica uomini senza princìpi. Gli uomini famosi sono solo dei mentitori, e null'altro” (7, 1) Tutto quindi è relativo, la vita fuggevole, e stolto è colui che si affanna a migliorarla per gli altri. Vive bene solo chi si preoccupa di se stesso, e gode della vita senza limiti. Posizione, come si vede, in

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antitesi con il Confucianesimo, ma che ebbe molti seguaci, attratti in particolare dalle pratiche magiche, soprattutto volte a prolungare la vita e la prestanza sessuale. Del tutto differente la filosofia di un altro grande pensatore: Moti o Mozi* (Mo Tzu. Mei Ti, in latino "Micius", 470-391 avanti Cristo). Secondo lui la felicità può essere elargita al più gran numero di persone grazie ad una politica illuminata, ad un governo consapevole e onesto. La scuola di Moti, a metà strada fra Confucianesimo e Taoismo, pone l'accento sulle capacità dell'individuo, e sulle sue possibilità di emergere; e predica una felicità materiale, determinata dal benessere fisico ed economico, non dal comportamento etico né da quello egoistico. Contro queste correnti insorse Mengzi (Meng Ke, "Mencio" in italiano; 372-289 avanti Cristo), nato nella stessa città di Confucio. Fu il primo grande restauratore del Confucianesimo e importante per questa scuola, quanto lo fu San Paolo per il Cristianesimo. Il suo insegnamento si caratterizza per una tendenza ottimista, ancorché conservatrice e intollerante. Egli mise in atto i princìpi del Maestro offrendo consigli a molti regnanti del tempo, pur senza troppa fortuna. Fu comunque il revisore e il divulgatore prolifico dell'opera di Confucio (gli si attribuiscono tre libri, e quattro furono scritti dai suoi allievi), e i suoi testi, inseriti nel “canone” confuciano, fanno parte dei "Quattro libri". Mengzi tuttavia non diede un'eccessiva importanza ai riti, preferendo una scolastica tutta volta alla praticità. Per lui esistono i quattro “semi” delle virtù: vergogna, modestia, senso del giusto, senso dell'ingiusto; innati nell'essere umano e validi quanto il “sentimento della compassione”, tanto caro a Confucio. Abile dialettico, gli si deve in un certo senso il fondamento dell'organizzazione burocratica sulla falsariga dei commenti di Confucio, ma soprattutto basata sui diritti del popolo, cui egli attribuisce il diritto di ribellarsi a un sovrano ingiusto. Dobbiamo considerare che questa filosofia dello Stato basata sui reciproci doveri mantenne un considerevole vigore per oltre mille anni. Si può dunque affermare che il principio del bene comune, grazie ad un governo socialmente e giuridicamente equilibrato, sia opera soprattutto sua, anche se non del tutto originale. Altro seguace di Confucio, ma un poco differenziato dalla filosofia di Mengzi, fu Xunzi* (Shiunzi, Hs n Tzu; ante 289-post 238 avanti Cristo), considerevole organizzatore e sistemista, che si oppose vigorosamente ai taoisti. Egli affermava che “l'uomo è per sua stessa natura cattivo, e diventa buono solo con la cultura”; e ciò, in contrasto con il verbo di Confucio, non poteva esser considerato ortodosso dagli altri maestri confuciani, che gli rimproverarono soprattutto il suo eccessivo pessimismo esistenziale. In effetti egli si oppose al concetto dei “semi” positivi di Mencio, predicando che in definitiva l'essere umano nasce con la passione per i piaceri e il guadagno, ed è di natura egoista, passionale, rissoso. Comunque Xunzi riaffermò l'importanza dei riti, la corretta obbedienza verso i superiori di grado in grado nella scala gerarchica, e la paterna bontà verso gli inferiori. Tutto il suo insegnamento emerge da queste sue parole: “Ognuno di noi ha delle inclinazioni naturali che cerca di soddisfare a ogni costo. Se a queste inclinazioni non vengono opposti ostacoli o limiti ne consegue uno stato di lotta fra l'individuo e gli altri. Questa lotta genera disordine, e il disordine genera rovina. I saggi di un tempo odiavano il disordine; per questo motivo stabilirono leggi relative alla morale e alla giustizia imponendole al popolo. In tal modo le inclinazioni vennero limitate e i bisogni soddisfatti. Non bisognava che la soddisfazione di un

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bisogno desse origine a nuovi problemi. Così l'equilibrio era costantemente conservato. Questa è l'origine della Morale e della Legge... La legge, l'etichetta e l'equità non sono un dono naturale ma il prodotto dell'opera di uomini saggi”. Xunzi, considerato spesso troppo calcolatore ed eterodosso dagli altri maestri confuciani del tempo, rivestì più dei predecessori alti incarichi governativi, ed ebbe fra i suoi allievi alti funzionari politici. Furono forse suoi discepoli anche Lissu e Hanfeizi, i due collaboratori di Shihuangdi, che molto contribuirono al sorgere dell'impero Qin (221-206 avanti Cristo) e all'affermazione della Scuola legista* ("fajia"), secondo la quale solo lo Stato doveva detenere il potere, con diritto di vita e di morte, di punire e di premiare. Per uno strano paradosso comunque proprio alla scuola di Xunzi si formarono quei funzionari che aderendo al legismo del primo grande imperatore storico furono i più accaniti nemici del Confucianesimo, e che diedero luogo al famoso “Incendio dei libri” voluto da Shihuangdi nel 213 per stroncare l'ascendente di tutti i filosofi-funzionari. Furono risparmiati, come già detto, solo i libri di medicina, di divinazione e di agronomia, ma vennero anche uccisi nella capitale Xianyang quattrocento letterati. Fortunatamente molte opere sopravvissero perché incise sulle steli di pietra, o accuratamente nascoste sotto i tetti e nelle intercapedini dei muri. Nel 206 avanti Cristo Liu Bang, deposto il figlio di Shihuangdi, dà inizio alla dinastia Han (Han dell'Ovest, 206 avanti Cristo-8 dopo Cristo), proclamandosi imperatore col nome di Gaozu. La dinastia prosegue la politica accentratrice dei Qin, ma fa sua l'organizzazione burocratica confuciana, soprattutto istituzionalizzando il sistema di reclutamento dei funzionari grazie alla laurea in Lettere conseguita nelle Università confuciane dopo quattro anni di studi e diciotto esami. La Cina si espande in Asia, in particolare sotto l'imperatore Wudi; e il Confucianesimo va sempre più acquistando fisionomia religiosa, soprattutto grazie agli insegnamenti dell'intellettuale Dong Zhongshu* (Tung Chiung-shu, circa 179-103 avanti Cristo). Importantissimo il suo memoriale scritto per l'imperatore: "Magnifica rugiada degli annali. Primavera e Autunno" (Shun Xiu Fan Lu"). Egli, restaurando i riti, mise l'accento in modo particolare sugli opposti "Yang" e "Yin", origine di tutte le cose, in una sorta di dualismo che nell'essere umano trova riscontro nella Natura e nell'Emotività (da cui deriva il concetto dei Cinque elementi, "wu xing"*, su cui si basa la scienza cinese). E' necessaria la forza della Ragione, o dell'insegnamento dei saggi, per sviluppare il senso del bene insito nella Natura; solo così si potranno regolare i moti ,dell'Emotività umana. L'ordine cosmico e la legge morale già propugnati da Confucio vengono ulteriormente letti in chiave politica per rendere oltremodo preziosa la figura dell'imperatore, grazie alla quale tutto l'impero è coordinato: “Coloro che nei tempi antichi stabilirono la scrittura, tracciarono tre linee parallele e le congiunsero con una linea verticale: il carattere Wang (imperatore). Le tre linee indicano Cielo, terra, Uomo, e la linea verticale congiunge i princìpi di tutti e tre. Chi occupa il centro del Cielo, della terra e dell'Uomo passandovi attraverso e unendo tutti e tre? Il sovrano. Perciò egli è l'esecutore delle volontà del Cielo; regola le stagioni e le porta a compimento; modella la propria azione su ordini giusti sicché il popolo li può seguire Così il “figlio del cielo”, “l'imperatore celeste” congiunge l'umanità e la trascendenza, rappresenta "yang" comandando il popolo "yin"; rappresenta "Yin" obbedendo al Cielo, "Yang"; in un continuo scambio e relazione degli opposti in cui tutti, dal sovrano all'ultimo plebeo, fanno parte di un insieme globale

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coordinato. Ecco quindi il farsi religioso del pensiero etico di Confucio, e l'organizzarsi politico della scolastica confuciana divenuta ora dottrina ufficiale della burocrazia dello Stato. Con gli Han dell'Est (25-220) sorgono numerosi templi dedicati a Confucio, e la sua figura viene, si può dire, divinizzata in una sorta di demiurgo che incarna i princìpi metafisici della burocrazia di Stato. Tuttavia il Confucianesimo non si limita all'ambito religioso; col tempio prende maggior piede l'arte degli oggetti rituali, in cui più si esprime il concetto di un'arte confuciana. L'unico accenno ad una forma pittorica dettata da Confucio (“Prima di dipingere bisogna avere un fondo bianco”, in "Lunyu", 3, 8) indusse i pittori a cercare la semplicità; mentre le arti applicate concorsero all'abbigliamento classico dei mandarini. Comunque l'arte per eccellenza fu soprattutto la calligrafia*, come si conveniva ad una classe di letterati. Artisti calligrafi e trattati sull'arte calligrafica abbondarono soprattutto in periodo Tang e Song. Con la dinastia dei Tang (618-907), splendido momento di evoluzione internazionalizzata per tutte le arti cinesi, il sistema burocratico confuciano prese maggiormente piede e si rafforzò sempre più, abbandonando ogni residuo di legismo Qin. Fu tuttavia con la dinastia dei Song (960-1276) che raggiunse i più alti vertici del suo potere e la massima ampiezza della sua diffusione. Si può anzi parlare di un nuovo corso dell'intero complesso burocratico-filosofico, più propriamente detto neo-Confucianesimo. Dopo le scuole di maestri tradizionali poco importanti, ecco due grandi correnti: la Xinglixue e la Xing Xing. Xing si può tradurre con filosofia della natura, secondo il concetto che di Natura ci ha dato Schelling. La Scuola Xinglixue, che propugnava un accordo tra ordine naturale e natura umana, ebbe inizio con Zhou Xi* (1130-1200), nato in un periodo di torbidi conseguiti alle conquiste di parte della Cina del nord da parte di dinasti turchi che, come i precedenti Regni combattenti (305- 389), avevano appoggiato maggiormente la diffusione del Buddhismo. Zhou Xi si occupò appunto anche di Buddhismo e di Taoismo, e solo dopo il suo incontro con Li Dong e lo studio delle opere dell'originalissimo Maestro Xiuzi si dedicò interamente al Confucianesimo. Con una serie cospicua di importanti opere che costituiscono a tutt'oggi il "Corpus ortodosso" del pensiero dei Maestri, diede un commento nuovo ai "Quattro libri" (in particolare al "Daxue"). Nel 1178, nominato prefetto di Zhangzhou (Fujian), la città nota per i narcisi, all'imboccatura del Fiume dei nove draghi (Jiulongjiang), vi fondò l'Accademia della Grotta del Daino Bianco, importantissimo centro d'insegnamento Il pensiero di Zhou Xi, ortodosso ma non intollerante, si basò sui principi del "sin" e del "ji". Il "ji" (aspirazione, forma esterna, essenza tangibile dell'anima) è l'eterna Sostanza vivente di cui si fa la vita. Il "sin" (cuore, sede ed essenza dell'attività spirituale, vita) è la qualità d'ogni ragione di vita. L'unione dei due princìpi costituisce il valore d'ogni essere umano, valore ch'egli non deve tradire, ma esprimere con amore, carità, giustizia, e soprattutto moralità. Vero Tomaso d'Aquino, statura considerevole di organizzatore, Zhou Xi si pone nella storia del pensiero cinese come l'integratore della metafisica confuciana, non aliena dal Buddhismo indiano da un lato; e dall'altro come l'ideatore d'una formula di pensiero che raggiunge il più alto grado nella struttura politica della Società. E', si può dire, il suo revisionismo a rendere il neo-Confucianesimo solido al punto da superare la grande parentesi della conquista mongola, quando

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con la dinastia Yuan (1276-1368), Buddhismo, Nestorianesimo, Manicheismo e Islàm si diffusero maggiormente in tutta la Cina, mentre l'organizzazione militare e burocratica dei Mongoli, e lo stretto contatto con tutto il resto del vasto impero gengiskhanide si avvalevano di ministri e di generali non più necessariamente usciti dalle Università confuciane. Quando il governo della Cina tornò in mani cinesi con la dinastia Ming (1368-1644), la restaurazione neoconfuciana fu il segno d'una restaurazione del potere autoctono strettamente nazionalistico; ma il pensiero di Zhou Xi e della sua scuola si dimostrò privo della possibilità di quel rinnovamento che i nuovi tempi richiedevano. Vi poté far fronte, per contro, l'altra scuola che era sorta parallela alla Xinglixue: la Scuola Xing Xing, che poneva in essere l'identità fra natura umana e coscienza, e riconoscendo la supremazia dello spirito (Xin) risultava pertanto eminentemente “idealista”. Esponente maggiore ne fu Wang Yangming* (1472- 1528), ultima grande figura della dottrina confuciana, che giunse ad una espressione mistica mai toccata in precedenza. Grazie alla sua opera si può dire che il Confucianesimo toccò, in questo periodo, il più grande potere nell'ambito della burocrazia, ciò che diede tuttavia adito ad un rigido formalismo, ad una cristallizzazione delle formule, ad una sorta di culturalismo speciosamente artificioso, che fece della classe dei funzionari, i “mandarini”*, la rappresentante formale e vuota di un pensiero superato e artefatto. Nello stesso periodo però il Confucianesimo ebbe rilievo in Giappone, dove era stato introdotto sin dal Sesto secolo unitamente alla cultura cinese, ma dove era rimasto solo una forma di conoscenza culturale e nulla più. Nel periodo degli "shogun" Tokugawa invece (1600-1868), il neo-Confucianesimo si diffuse soprattutto come ideologia della classe al potere, e in particolare prese piede la scuola Xinglixue di Zhou Xi. Si ebbero così, grossomodo, tre correnti ben distinte: la Shushigaku, che si rifaceva appunto a Zhou Xi; la Yomeigaku, che si rifaceva al pensiero di Wang Yangming; e la Kogaku, o Scuola antica, tradizionalmente legata alle antiche conoscenze, e che ebbe un certo influsso nel Bushid“, l'ideale etico-cavalleresco del Giappone guerriero. A partire dal Settecento il nazionalismo nipponico riprese il sopravvento, modificando i concetti confuciani in una nuova corrente kokugaku, cui si rifecero pensatori anche di grande rilievo quali Arai Hakuseki (1656-1725) e Miura Baien (1723-1789). E oggi? Il primo ottobre 1949 Mao Zedong (1893-1976) è nominato presidente della Repubblica popolare della Cina. Il Confucianesimo è abolito, in favore di un rinnovamento dialettico, culminato col periodo dei Cento Fiori, e defluito successivamente nelle Quattro Modernizzazioni; ma leggendo gli scritti di Mao si ode ancora l'eco lontana del Confucianesimo. GABRIELE MANDEL. NOTA PRELIMINARE. La lingua cinese. L'immensità del territorio cinese e la pluralità etnica della sua popolazione allineano un gran numero di dialetti e alcune lingue, del tutto differenti fra di loro. Si va dalla lingua comune ufficiale (la lingua dell'etnìa Han) al mongolo, al tibetano, al turco, con qualche

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sopravvivenza di mancese. La lingua scritta, invece, grazie alla a natura ideografica (un segno = un significato) può essere “letta” da tutti, anche se è poi pronunciata in modo differente. La “lingua comune ufficiale” ("p£t“nghuà"), “lingua parlata” ("baihuà"), è in opposizione alla “lingua classica” ("wényan"), non parlata, che serve solo per i messaggi scritti. Fu questa, per secoli, la lingua dell'amministrazione cinese. Dopo il Movimento dei Quattro (maggio 1919) non è più stata usata, e oggi è capita solo dagli studiosi specifici e dagli universitari. Così molti testi antichi, scritti in "wényan", vengono oggi ritrascritti in "baihuà". Sono però molte le pubblicazioni di testi classici in edizione “bilingue” ("wényan" + "baihuà"). La grammatica cinese è molto semplice; non ha declinazioni né coniugazioni né eccezioni, ma è composito-situazionale ("io essere", "io passato essere", "io futuro essere", per: sono, sono stato, sarò. "Io amare tu"; "tu amare io", per: io ti amo, tu mi ami), per cui è importante il contesto e l'ordine dei vocaboli. La lingua cinese è però complicata dagli accenti, o toni, elemento fondamentale d'ogni sillaba (per ogni vocabolo, quindi). Sono quattro, più un tono neutro, per cui "Ma" può essere pronunciato "mƒ" (canapa), "m†" (madre), "ma" (cavallo), "mà" (critica), ma" (collera). Un termine che incontreremo spesso, "Yi" (da non confondere con "I", "Y", "Yi", mutazione), ha così cinque pronunce differenti, cinque significati, e naturalmente cinque ideogrammi diversi: "YŒ" (rettitudine), "Yì" (cerimonia), "Y¡" (ormeggiare), "Y‹" (formica), "Yi" (considerazione). I vocaboli possono essere costituiti da una sola sillaba, o da un insieme di sillabe ("Bai": bianco, "ma": cavallo; perciò "baima": cavallo bianco". "Zh“ng": centro, "gu¢": paese = "zh“nggu¢": paese del centro, cioè Cina. "RE'n": persona; perciò "zh¢nggu¢rèn": persona del paese centrale, cinese. "Fˆi"": volare in aria, "ji": macchina; perciò "fˆiji": macchina che vola nell'aria, cioè “aeroplano”). Da rammentarsi che in cinese il cognome precede SEMPRE il nome. Trascrizione e lettura. I sistemi di trascrizione sono più di trenta, a partire da quello proposto da padre Matteo Ricci nel 1605. La “Commissione della Repubblica popolare cinese per la Riforma della scrittura” ne elaborò uno approvato dall'Assemblea popolare nel 1958: la trascrizione "pinyin". A questo, privato però di alcuni accenti, si rifanno i testi attuali degli studiosi occidentali, e anche il presente testo; per cui ad esempio il nome del celebre pittore Gu Kaizhi (345-411) corrisponde a ciò che in altri autori è scritto Ku K'ai-chih (secondo il sistema Wade-Giles del 1912), o Ku-Kai-Tshi, Kou Ka‹-tshi, eccetera. Laozi era comunemente scritto Lao-tze, Ren Renda sta per il vecchio Jen Jen-ta, "Daodejing" per "Tao Te-king" (la "g" finale non si legge mai), e "Yjing" sta per il più noto "I King". Comunque, prima della trascrizione "pinjin" (oggi seguita da tutti gli studiosi), i sistemi più in uso erano quelli del citato T. Wade (1818-1895) e il Sistema delle Poste cinesi, seguito soprattutto nei testi geografici. La trascrizione "pinyin" è forse complicata dal fatto che alcune lettere hanno una lieve differenza se sono iniziali o finali. In ogni modo cerco di renderne al meglio la lettura col seguente specchietto: B si legge P.

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C si legge TZ. D si legge T. G sempre dura, come in "ghiaia". H sempre aspirata. I nei sette casi: "zi", "ci", "zhi", "chi", "shi" e "ri", non si pronuncia: allunga solo la consonante precedente. J sempre dolce, come in "giardino". P si legge P'. Q si legge TC (con la C dolce, come in "cielo"). R all'inizio della sillaba tra la R e la G di "giardino". T si legge T'. š U chiusa, come la U francese. W si legge U. X come la SC di "scivolare". Z sempre dolce. CH si legge TCI (dolce). SH si legge SCI. YI si legge I. YU si legge U chiusa (" "), come la U francese. ZH si legge DGI (o come la G di "giardino"). IAN si legge IEN. YAN si legge IN. NOTA DEL CURATORE. Rendere in italiano un testo cinese non è facile. Lo stile è spesso laconico, sintetico, d'una fascinosa bellezza come quella d'una poesia ermetica che ben difficilmente si può rimettere in prosa. In mancanza di flessioni grammaticali, il senso multiplo d'un ideogramma è chiarito solo dal contesto, ma ciò si presta a traduzioni interpretative plurime. Nel caso dei Classici di Confucio, il testo originale è scarno, secco, diretto, con un che di arcaico che rende la lettura a volte difficile, soprattutto perché in una frase semplice s'ha da cogliere un concetto profondo, non detto ma lasciato alla profondità stessa del sentito. Come l'eco della Marangona a Venezia. Così mi son trovato fra l'obbligo di rendere la frase il più fedele possibile all'originale, e la necessità di esprimere pienamente il pensiero in una forma adatta al lettore italiano contemporaneo propenso più al concetto che all'attendibilità filologica. Una buona traduzione in italiano è quella, completa, di Fausto Tomassini per la UTET di Torino e quella, più divulgativa per l'armonia della lettura, di Stanislao LoKuang (Istituto Culturale italocinese, Milano 1956). Altra versione più legata all'arcaicità del testo e quindi più arida è quella di Edoarda Masi (Bur, Milano 1975). Per queste varie ragioni ho cercato una via di mezzo: lettura facile, diretta, completa, nel rispetto dell'originale sì, ma senza quella restituzione lettera-lettera che può affascinare solo il filologo specifico. Il fatto non è, comunque, di poco rilievo, e se il lettore troverà differenze con altre edizioni, rammenti che del Daodejing sussistono, nelle varie lingue europee, oltre cinquanta traduzioni “differenti” fra di loro, e non è del tutto facile scegliere fra queste la più attendibile vicina all'originale. I QUATTRO LIBRI DI CONFUCIO. 1 - "Daxue" ("Il Grande Studio"). Tratto dal "Liji" ("Usi e Cerimonie"). Contiene parole di Confucio trasmesse dall'allievo e nipote Zhengzi; e i commenti di questi raccolti dai suoi discepoli. Il Libro - diviso in dieci paragrafi - fu corretto e riordinato nella veste attuale da Shu Xi, allievo di Zhengzi.

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2 - "Zhongyong" ("L'invariabile medio"; "L'equilibrio immutabile"). Parole di Confucio raccolte dall'allievo e nipote Zhengzi e coordinate dall'allievo di questi, Shu Xi. Si divide in trentatré paragrafi. 3 - "Lunyu" ("Lun" significa esaminare e discutere una domanda, "yu" rispondere, spiegare. Il titolo è reso solitamente con "Dialoghi", ma sarebbe più propriamente "Domande e risposte"). Si divide in due parti: "Shang Lunyu" e "Xia Lunyu", ognuna delle quali di cinque libri, ciascuno di due paragrafi. Questi i titoli delle venti parti: 1. Xio Yul. 2. Wei Zheng. 3. Pa Y. 4. Li Jenn. 5. Qunye Zhang. 6. Yung ye. 7. Shueul. 8. Tai pe. 9. Zihan. 10. Xiang Tang. 11. Sienzin. 12. Yen Yuen. 13. Zilu. 14. Xienwenn. 15. Wei Ling Qung. 16. Ji Shi. 17. Yang Huo. 18. Weizi. 19. Zi Zhang. 20. Yao Yue. 4 - "Mengzi". Il "Libro di Mecio" (Meng Ko, detto Ziyu, noto come Mengzi: il filosofo Mencio*). Si divide in due parti; la prima di tre libri e la seconda di quattro. Ogni libro è diviso in due capitoli. Questi i titoli dei libri: 1. Lenag Huei Wang. 2. Qung suenn Zhu. 3. Zhen Wenn Qung. 4. Li Leu. 5. Wan Zhang. 6. Qaozi. 7. Din sin. 1. IL BUON GOVERNO. Un tempo le leggi erano fissate per proteggere dal brigantaggio. Oggi sono fissate per esercitare il brigantaggio: non è forse

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vero che le tasse sono esorbitanti? Mengzi, Libro settimo. 2, g. Si deve provare vergogna quando, sotto un buon governo, si ottiene un incarico e non lo si sa assolvere; e quando, sotto un cattivo governo, si ottiene un incarico. "Lunyu", 14, 1. Se lo stato precipita nell'abisso, non lo si salva violando le regole e le leggi, ma facendole rivivere. "Mengzi", Libro quarto, 1, 17. Quando uomini abbietti arrivano al servizio di un principe, prima d'avere un incarico s'affannano per ottenerlo; quando ce l'hanno si affannano per conservarlo. Allora non retrocedono davanti a nessun crimine pur di non perderlo. "Lunyu", 17, 15. I ministri d'oggi amano le donnacce, si abbandonano alla corruzione, sono frenetici e incolti, orgogliosi e negligenti. Sfruttano il popolo con la costrizione: feriscono i sentimenti della gente castigando quelli che seguono la Via retta. I loro sforzi consistono nel soddisfare i propri desideri senza tener conto dei mezzi usati. "Da Dai Liji", 41, 1. Disprezzo la lingua dei demagoghi perché inquina le nazioni e le famiglie. "Lunyu", 17, 17. Molti cattivi ministri, avendo simulato a lungo l'onestà senza cercar di raggiungerla, alla fine s'immaginano di possederla. "Mengzi", Libro settimo, 1, 30. Zikung chiese: “Che dobbiamo pensare dei politici d'oggi?”. Confucio rispose: “Ohimè, sono uomini di malaffare. Scompariranno”. "Lunyu", 13, 20. V è una differenza fra uccidere un uomo con un bastone e ucciderlo con una spada? Nessuna. V'è una differenza fra uccidere i sudditi con la spada e ucciderli a causa di una scorretta amministrazione? Nessuna. "Mengzi", Libro primo, 1, 4. Non basta la probità per un buon governo come non bastano le sole leggi per garantire la giustizia "Mengzi", Libro quarto, 1, 1b. Supponiamo che qualcuno ci venga a dire: “Io sono tanto forte da sollevare un grande peso ma non ho la forza di sollevare una piuma; ho la vista abbastanza acuta da vedere il baffo di un coniglio, ma non riesco a vedere un grande carro carico”. Ammetteremmo queste affermazioni? E allora come è possibile che con le tasse i ministri si arricchiscano e il popolo diventi sempre più povero? "Mengzi", Libro primo, 1, 7f. La virtù trionfa sulle cattive inclinazioni come l'acqua trionfa sul fuoco. Ma oggi molti ministri sono come quegli uomini che, vedendo un grande carro carico di legna divorato dalle fiamme, vogliono spegnere

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l'incendio con un bicchier d'acqua. Affermeranno che l'acqua non può trionfare sul fuoco, e il loro comportamento incoraggia molti uomini viziosi. Così tutto finisce nella più grave perdita. "Mengzi", Libro primo, 1, 18. Gli antichi re, per far brillare le virtù naturali nei cuori di tutte le genti s'applicavano innanzitutto a governare bene il loro regno, e per far ciò mettevano anzitutto ordine nelle loro famiglie. Per mettere ordine nelle loro famiglie lavoravano anzitutto al perfezionamento di se stessi, e per far ciò regolavano i moti del loro cuore. Per regolare i moti del loro cuore, rendevano anzitutto perfetta la loro volontà, sviluppando il più possibile le conoscenze; e le conoscenze si sviluppano scrutando la natura delle cose. "Daxue", prima parte. Se un ministro, vedendo uomini di talento li invidia e li angaria; se vedendo uomini sapienti e virtuosi si oppone loro e impedisce che siano conosciuti; se non sa fare proprie le qualità degli altri e per conseguenza non protegge il popolo, quest'uomo è dannoso allo Stato. "Daxue", seconda parte, 10. Se gli esattori delle tasse si preoccupano principalmente di ammassare tesori per se stessi, la colpa è dei ministri indegni. Quando ministri disprezzabili gestiscono gli affari pubblici nascono sventure e rovine. Quand'anche vi fossero uomini virtuosi, non sarebbe permesso loro di rimediare al male. Ecco ciò che si intende dicendo: “La giustizia rende di più allo Stato che le tasse”. "Daxue", seconda parte, 10. Chiunque governa l'impero deve osservare nove leggi: perfezionare se stesso, rispettare i saggi, amare i parenti, onorare i grandi dignitari, condividere i sentimenti dei dignitari di grado inferiore, aiutare paternamente anche il suddito infimo, attirarsi la stima di ogni tipo di lavoratori, accogliere con bontà gli stranieri, amare i propri feudatari. "Zhongyong", 20f. Colui che governa un popolo dandogli il buon esempio è come la stella polare che resta immobile mentre tutte le altre stelle girano intorno a lei. "Lunyu", 2, 1. Se colui che governa guida il popolo per mezzo di leggi e lo mantiene unito con le punizioni, il popolo non farà il male, ma non conoscerà vergogna. Se colui che governa guida il popolo con i buoni esempi e fa regnare l'unione regolando gli usi, il popolo si vergogna di fare il male e diventa virtuoso. "Lunyu", 2, 3. Se il principe avrà un comportamento onorevole sarà rispettato; se onorerà i genitori e sarà buono coi sudditi sarà obbedito; se innalzerà gli uomini onesti e farà educare quelli la cui virtù è ancora debole, indurrà il popolo a coltivare la virtù. "Lunyu", 20. Colui che nella gestione della Cosa pubblica mostra quella deferenza che è il fondamento della società, non avrà difficoltà di sorta. Colui che nella gestione della cosa pubblica si comporta senza la deferenza richiesta dal comportamento sociale, come potrà mai governare?

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"Lunyu", 4, 13. Non basta essere governatore di una città con mille famiglie o di una prefettura con cento carri da guerra per essere un uomo di virtù. "Lunyu", 5, 7. Rispetto per i superiori, deferenza verso gli eguali, benevolenza verso il popolo, giustizia con tutti i sudditi. Ecco le quattro principali virtù del buon governo. "Lunyu", 5, 15. Ziwenn fu per tre volte nominato primo ministro, e non se ne inorgoglì; fu per tre volte dimesso, e non se ne dispiacque. Quando lasciava l'incarico faceva conoscere al suo successore i propri atti amministrativi. Ecco un uomo fedele al proprio dovere. L'indifferenza alle cariche è il principio della perfezione. "Lunyu", 5, 18. Si può amare il popolo e praticare la virtù, ma non si può dargliene una conoscenza ragionata. "Lunyu", 8, 9. Grande è il ministro che serve il suo principe secondo le regole della giustizia, e si ritira quando non ha più nulla da fare. "Lunyu", 11, 23. Colui che amministra gli affari pubblici deve aver cura che non manchi il benessere al popolo, non manchino le forze per difenderlo, ma soprattutto deve meritare la fiducia della gente. "Lunyu", 12, 7. Quando il popolo ha il necessario, anche il principe - pur se ha le casse vuote - ha il necessario. Quando il popolo non ha il necessario, anche il principe - pur se ha le casse piene - non ha il necessario. Le tasse onerose rendono la cultura impossibile e rovinano il popolo e lo Stato. "Lunyu", 12, 9. Se il principe non compie i suoi doveri di principe, il suddito i suoi doveri di suddito, il padre i suoi doveri di padre e il figlio i suoi doveri di figlio, pur nella più grande abbondanza nessuno riuscirà più a vivere. "Lunyu", 12, 11. Ascoltare chi ha subito un danno e rendergli giustizia, chiunque lo può fare. L'importante sarebbe fare in modo che non vi siano più persone danneggiate. "Lunyu", 12, 13. Se chi governa non sarà cùpido né ambizioso non ci saranno più ladri, nemmeno se il furto venisse premiato. "Lunyu", 12, 17. Per governare un popolo non occorre la pena di morte. Basta che il signore sia virtuoso, e il suo popolo sarà virtuoso. La virtù del signore sarà come il vento, e la virtù del popolo sarà come l'erba. Il vento piega l'erba. "Lunyu", 12, 18.

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La virtù dell'umanità consiste nell'amare gli uomini. La prudenza consiste nel conoscere gli uomini. Conferendo cariche agli uomini virtuosi e non ai malvagi, si spronano i malvagi a correggersi. "Lunyu", 12, 21. Il principe deve dare egli stesso l'esempio di tutte le virtù, e aiutare il popolo che lavora. "Lunyu", 13, 1. Se i nomi non si riferiscono correttamente alle cose vi è confusione di linguaggio. Se vi è confusione di linguaggio, le cose non si eseguono. Se le cose non si eseguono, il benessere e l'armonia sono negletti. Se il benessere e l'armonia sono negletti, supplizi e condanne non sono proporzionati alle colpe. Se i supplizi e le condanne non sono proporzionati alle colpe, il popolo non sa più dove mettere mani e piedi. "Lunyu", 13, 3b. Se il principe ama la civiltà e le buone maniere, nessuno dei suoi sudditi oserà ignorarle; se il principe applica la giustizia, nessuno dei suoi sudditi oserà disobbedirgli; se il principe ama la sincerità, nessuno dei suoi sudditi oserà mentire. "Lunyu", 13, 4. Se un uomo, pur avendo imparato a memoria tutte le trecento poesie del "Shijing", è un inetto, quand'anche venisse incaricato d'una missione diplomatica in un paese straniero, a che gli servirà la sua letteratura? "Lunyu", 13, 5. Se il principe è virtuoso, il suo popolo compirà il proprio dovere senza che glielo si ordini; se il principe non è virtuoso egli stesso, avrà un bel dar ordini: il popolo non gli obbedirà. "Lunyu", 13, 6. Ora che la popolazione è diventata numerosa che cosa occorre fare? Renderla ricca. E quando sarà diventata ricca? Renderla istruita. "Lunyu", 13, 9. Se si succedessero sul trono per cent'anni principi veramente virtuosi, si potrebbero alla fine correggere anche gli uomini più scellerati, e non sarebbe più necessaria la pena di morte. "Lunyu", 13, 2. Se salisse al potere un sovrano veramente degno di questo titolo, in capo a trent'anni la virtù fiorirebbe dovunque. "Lunyu", 13, 12. Se un uomo sa governare se stesso non ha difficoltà a governare uno Stato; e se non sa governare se stesso non potrà governare gli altri. "Lunyu", 13, 12. Si suol dire che è arduo essere un buon sovrano, che non è facile essere un buon ministro. Se un principe capisse bene la difficoltà di regnare sarebbe estremamente vigilante; e questo solo gli sarebbe quasi sufficiente per amministrare in modo regolare e perfetto. "Lunyu", 13, 15. Condurre un popolo alla guerra prima di averne formata la virtù, è

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condurlo al massacro. "Lunyu", 13, 30. Se il governo è ben regolato, parlate con franchezza e agite correttamente. Se il governo è mal regolato, agite correttamente ma parlate il meno possibile. "Lunyu", 14, 4. Un padre può amare veramente il figlio, e imporgli egualmente esercizi penosi. Un ministro fedele può dunque impedirsi di ammonire il suo principe? "Lunyu", 14, 8. Se un principe si compiacerà di mantenere l'ordine fissato dalle leggi e dagli usi, il popolo sarà guidato facilmente. "Lunyu", 14, 44. Colui che è al servizio di un principe pensi anzitutto ad adempiere all'incarico con grande cura e solo in ultima stanza al suo salario. "Lunyu"; 15, 37. Ciò che deve preoccupare gli uomini di governo non è il piccolo numero dei loro amministrati ma i difetti della giustizia; non la mancanza di risorse, ma la mancanza di concordia e d'unione. Non si deve temere povertà laddove si opera secondo giustizia. "Lunyu", 16, 1b. “Colui che nasconde i propri tesori e lascia il suo paese nel disordine, merita d'essere chiamato benefattore?” “No.” “Colui che ama occuparsi degli affari pubblici, ma lascia passare le occasioni per farlo, merita d'essere considerato prudente?” “No.” "Lunyu", 17, 1. Occorre che un funzionario si conquisti la fiducia dei sottoposti prima di imporre loro dei compiti, altrimenti si sentiranno vessati. Occorre che si meriti la fiducia del principe, altrimenti sarà considerato un uomo dalle rimostranze sbagliate. "Lunyu", 19, 10. Colui che si dedica ad un lavoro, assolva anzitutto in modo perfetto questo suo compito, e solo dopo si dedichi anche ad altro. Per un funzionario l'esercizio della sua carica è la cosa più importante, e lo studio molto meno. Per uno studente lo studio è la cosa principale, e l'esercizio d'una carica non è necessario; per cui studi anzitutto pienamente. Ciò anche se un funzionario trova nello studio un mezzo per compiere perfettamente i suoi incarichi, e se uno studente trova nell'espletamento di un incarico il mezzo di confermare e allargare i suoi studi. "Lunyu", 19, 13. Se coloro che dirigono la società s'allontanano dalla retta Via, il popolo si divide e la discordia conduce al crimine. Se riconoscete la realtà delle accuse presentate nei tribunali, abbiate compassione dei colpevoli più che rallegrarvi dell'abilità nello scoprirli. "Lunyu", 19, 19. Gli errori involontari di un governante saggio sono come le eclissi

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del sole e della luna: quando sbaglia, tutti gli occhi lo vedono; e quando si corregge, tutti gli sguardi lo contemplano. "Lunyu", 19, 21. Un governante saggio possiede queste qualità: elargisce senza sperperare, fa pagare le tasse senza scontentare il popolo, ha desideri senza essere cùpido, è sereno e felice senza essere orgoglioso e negligente, è dignitoso senza essere rigido. Un governante saggio evita questi difetti: la crudeltà che gli fa punire con la morte quei sudditi che infrangono la legge se egli non li ha istruiti; la violenza nell'imporre ai sudditi tasse senza preavviso; la criminalità provocata dall'imposizione di oneri impossibili richiesti con prepotente premeditazione. "Lunyu", 20, 2. Perché parlare di ricchezza e di potenza? Parliamo di carità e di giustizia. Se colui che è al governo dice: “Con quale mezzo aumenterò la mia potenza e la mia ricchezza?”, i grandi prefetti diranno: “Con quali mezzi possiamo aumentare le ricchezze e la potenza delle nostre case?”, e del pari funzionari e popolani diranno: “Come possiamo aumentare le nostre ricchezze e il nostro potere?”. Grandi e piccoli si disputeranno potere e ricchezze, e lo Stato sarà in pericolo. Quando ricchezza e potere vengono prima della giustizia, gli inferiori non saranno contenti se non quando avranno tolto tutto ai superiori. "Mengzi", Libro primo, 1, 1. Quando cani e porci mangiano il gettito delle tasse, quando per strada si trovano uomini morti di fame senza che chi governa apra i suoi granai agli indigenti, chi governa ha un bel dire: “Non sono io che li uccido, ma la mancanza di raccolto”. E' come dire, dopo aver ammazzato un uomo con la propria spada: “Non sono stato io ad ucciderlo, ma la mia arma”. "Mengzi", Libro primo, 1, 3. Se il popolo è governato con bontà, facendo raramente ricorso alle pene, e con imposte e tasse giuste, i contadini vangheranno la terra in profondità e la libereranno accuratamente dalle erbe cattive. "Mengzi", Libro primo, 1, 5. Se nell'amministrazione dello Stato il principe s'applicherà in modo benefico, tutti i funzionari vorranno lavorare per lui, tutti i contadini vorranno coltivare le sue terre, i mercanti vorranno frequentare i suoi mercati, gli stranieri percorreranno le sue strade, e quelli che avranno di che lamentarsi dei loro capi correranno da lui per denunciarli. "Mengzi", Libro primo, 1, 7p. Quando i beni sono divisi in modo tale che i sudditi non hanno di che mantenere i genitori, di che sfamare le mogli e i figli, e nelle buone annate sono sempre infelici e nelle cattive non possono sfuggire alla morte, essi si interessano solo a sfuggire alla miseria e alla morte, e non hanno tempo per seguire civismo e giustizia. Il fondamento di un buon governo è una amministrazione giusta. "Mengzi", Libro primo, 1, 7t. All'interno di un principato si trova un parco reale di quaranta stadi. Se qualcuno uccide un cervo in questo parco, è condannato come se avesse ucciso un uomo. Questo spazio di quaranta stadi è come una fossa scavata nel bel mezzo di quel regno per ucciderne i sudditi. Non

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ha forse ragione il popolo di trovarlo troppo grande? "Mengzi", Libro primo, 2, 2b. Un re, volendo far costruire un grande edificio, ordina che si raccolgano grossi tronchi, ed è contento quando, raccolti, li giudica atti a sostenere il peso del tetto. Se poi gli operai, con le asce, li assottigliassero in modo che non possano più reggere il peso del tetto, il re ne sarebbe ancora contento? E come può accettare, allora, che le imposte vengano assottigliate dai funzionari? "Mengzi", Libro primo, 119 L influsso di un buon governo corre più rapidamente d'un corriere imperiale a piedi o a cavallo. Mengzi, Libro secondo, 2, 9. Un popolo oppresso accoglie un buon governante con la stessa gioia con cui un uomo appeso con la testa in basso accoglie il suo salvatore. "Mengzi", Libro secondo, 1, 1g. Quando giunge il momento di accettare un incarico, lo si accetta. Quando giunge il momento di lasciare un incarico, lo si lascia. Se conviene esercitarlo a lungo lo si esercita a lungo, e se conviene lasciarlo per tempo, lo si lascia per tempo. "Mengzi", Libro secondo, 1, 2S. Un governante che usa la forza pur affermando di lavorare per il bene del popolo è un tiranno. Un governante che usa l'influsso della sua virtù e fa il bene del popolo, ecco il vero sovrano. A colui che sottomette con la forza i popoli, i popoli non si sottomettono col cuore, ma solo perché non hanno la forza di opporre resistenza. I popoli si sottomettono col cuore e con gioia a colui che li governa col solo scettro della sua virtù. "Mengzi", Libro secondo, 1, 3. La bontà conduce alla gloria e la malvagità al disonore. I governanti d'oggi temono il disonore e tuttavia sono malvagi. Come quell'uomo che, temendo l'umidità, continua però a vivere in un luogo paludoso. Per evitare il disonore, il miglior mezzo è stimare la virtù e onorare i saggi virtuosi, affidare gli incarichi a uomini onesti, competenti e capaci, e approfittare dei tempi di pace per rivedere e perfezionare le leggi amministrative e penali. "Mengzi", Libro secondo, 1, 4a. Oggi lo Stato gode d'un periodo di pace e di riposo, ma i ministri ne approfittano per darsi ai divertimenti, poltrire senza occuparsi degli affari pubblici, oltraggiare il popolo. E' un modo di comportarsi che attirerà grandi disastri. "Mengzi", Libro secondo, 1, 4a. Se un Governo onora i saggi, affida gli incarichi a uomini capaci e conferisce dignità agli uomini più notevoli per i loro talenti, tutti gli intellettuali del paese se ne rallegrano e desiderano lavorare per lui. Se nel mercato pubblico esige l'affitto delle botteghe, ma non impone tasse sulle merci, o si accontenta di stabilire i regolamenti senza esigere nemmeno l'affitto delle botteghe, tutti i mercanti dell'impero ne gioiranno e desidereranno portare le loro mercanzie nel suo mercato. Se sorveglia gli stranieri alle frontiere senza pretendere dazi, se esige dai contadini un buon lavoro senza vessarli, e dai mercanti un lavoro onesto e non tributi straordinari, ecco,

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quello sarà un paese prospero e ben governato. "Mengzi", Libro secondo, 1, 5. Vivere alla corte di un cattivo principe o conversare con un uomo malvagio è come sedersi con abiti sfarzosi in mezzo al fango e al carbone. "Mengzi", Libro secondo, 1, 8c. Per la prosperità di uno Stato i tempi favorevoli valgono meno della situazione favorevole del luogo, e la situazione favorevole del luogo vale meno della concordia dei cittadini. C'era una fortezza con alti baluardi e lunghe mura; i nemici l'assediarono ma non poterono conquistarla. Quando l'assediarono, quello era il tempo favorevole per loro; non poterono prenderla perché la situazione favorevole del luogo valeva più del tempo a loro favorevole. Ma se gli abitanti, non uniti dalla concordia, avessero abbandonato la fortezza, nemmeno la situazione favorevole del luogo sarebbe valsa a salvarla. "Mengzi", Libro secondo, 2, 1. Un governante che voglia eccellere nel buon governo non avrà ministri che solo obbediranno ai suoi ordini, bensì ministri che gli potranno insegnare quali ordini dare. "Mengzi", Libro secondo, 2, 2l. E' necessario istruire il popolo, costruendo le scuole. Lo scopo principale delle scuole sarà quello di far conoscere bene agli uomini i reciproci doveri. Quando, a cura dei maestri, questi doveri sono ben conosciuti, gli uomini si amano l'un l'altro. "Mengzi", Libro terzo 1, 3g. Una buona amministrazione comincia col tracciare correttamente i limiti dei possedimenti, perché se non sono ben definiti le tasse non sono rilevate con giustizia. Per questo i ministri crudeli e gli esattori rapaci non definiscono correttamente i limiti dei possedimenti. "Mengzi", Libro terzo, 1, 3i. Se un bambino zampetta carponi sino ai bordi di un pozzo e si espone al pericolo di cadervi dentro, la colpa non è del bambino, ma dei suoi genitori che non vegliano sufficientemente su di lui. Del pari gli errori di un popolo debbono essere attribuiti ai suoi capi, che non l'hanno istruito bene. "Mengzi", Libro terzo, 1, 5d. Un governante inumano, che esercita un'autorità dispotica, diffonde il vizio tra i sudditi. S'egli stesso non conosce ragione e giustizia, né i funzionari né i sudditi riconosceranno l'autorità delle leggi. I grandi violeranno la giustizia, e i piccoli trasgrediranno alle disposizioni. "Mengzi", Libro quarto, 1, 1d. Se il capo del governo misconosce i suoi doveri, il popolo ignorerà i propri, i sediziosi avranno potere e la rovina sarà imminente. "Mengzi", Libro quarto, 1, 1e. Colui che non serve lo Stato secondo giustizia, che passa da un ministero all'altro senza regole, che con i suoi discorsi critica i princìpi del passato, nuoce gravemente al suo popolo. "Mengzi", Libro quarto, 1, 1f.

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Se un capo di governo opprime violentemente i suoi sudditi, la sua vita è continuamente in pericolo e il suo stato regredisce, oppure egli muore di morte violenta e il suo stato è perduto per i suoi discendenti. Dopo la morte sarà chiamato Crudele, e nemmeno dopo cento generazioni questo soprannome sarà dimenticato. "Mengzi", Libro quarto, 1, 2b. Quando il buon ordine regna in uno Stato, il meno virtuoso serve il più virtuoso, e il meno saggio serve il più saggio. Quando il buon ordine non regna in uno Stato, il minore serve il maggiore e il più debole serve il più forte. "Mengzi", Libro quarto, 1, 7a. Un principe disumano pone la sua sicurezza in ciò che gli è dannoso e il suo vantaggio in ciò che gli è nocivo. Egli ama ciò che causerà la sua perdita. "Mengzi", Libro quarto, 1, 8a. Colui che eccelle nel muovere guerra si merita il supplizio. Il più criminale dopo di lui è il ministro che stringe alleanza fra capi di governo al fine di poter muovere ulteriori guerre. In terzo luogo viene il ministro che impone tasse pesanti al popolo. "Mengzi", Libro quarto, 1, 14b. Un principe cortese non tratta gli uomini con disprezzo; un principe moderato non toglie i beni ai suoi sudditi. Un principe che tratta i suoi sudditi con disprezzo e toglie loro i loro beni, teme solo che gli si resista. "Mengzi", Libro quarto, 1, 16. Non basta esporre al principe gli errori dei funzionari e i difetti dell'amministrazione. Un uomo di virtù rettifica le idee del principe. "Mengzi", Libro quarto, 1, 20. Se il prìncipe considera i suoi ministri come proprie membra, i suoi ministri lo considereranno come il loro cuore e le loro viscere. Se li considera come cani e cavalli, essi lo considereranno come un lupo. Se li considera come fango e paglia, essi lo considereranno un malfattore, un nemico. "Mengzi", Libro quarto, 2, 3a. Sotto un principe umano tutti i sudditi sono umani; sotto un principe giusto tutti i sudditi sono giusti. "Mengzi", Libro quarto, 2, 5. Nessuno ha potuto ancora sottomettere tutte le genti con la sua vana ostentazione. Riformate i costumi grazie ad una reale virtù, e sottometterete tutto l'impero alla vostra autorità. Mai principe ha ristabilito l'ordine nel regno, se prima il regno non s'è sottomesso a lui con amore. "Mengzi", Libro quarto, 2, 16. Si possono valutare i ministri che risiedono a corte in base alla qualità degli ospiti che ricevono; e si possono valutare i ministri che soggiornano in un paese straniero in base alla qualità delle persone che li ospitano. "Mengzi", Libro quinto, 1, 8.

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Pe Yi era un buon ministro. Non permetteva ai suoi occhi né alle sue orecchie di indugiarsi sul male. Non avrebbe servito un principe se non l'avesse ritenuto degno di stima, né avrebbe guidato uomini se non li avesse ritenuti degni delle sue cure. In tempi di ordine accettava un incarico; in tempi torbidi si dimetteva. Non avrebbe potuto sopportare il soggiorno in una corte governata dall'arbitrio, né in un paese i cui abitanti fossero dei viziosi. "Mengzi", Libro quinto, 2, 1a. Gli addetti al dazio e i guardiani notturni assolvono un compito d'utilità pubblica, per cui il governo li deve pagare convenientemente. Come può accettare d'essere pagato dal governo colui che non assolve nessun compito d'utilità pubblica? "Mengzi", Libro quinto, 2, 6b. Mi offrissero l'appannaggio di un ministro, non lo accetterei senza esaminare prima se l'onestà e la giustizia lo permettono. Comunque non lo accetterei affatto per avere una casa, degli appartamenti magnifici, e i piaceri d'una moglie o di più concubine, bensì per aiutare i poveri e gli indigenti che mi attorniano. "Mengzi", Libro sesto, 1, 10f. Prevenire i desideri malvagi di un prìncipe è ancor più grave che assecondarli. Oggi tutti i ministri prevengono i desideri malvagi dei loro prìncipi. Che grave colpa! "Mengzi", Libro sesto, 2, 7c. Un ministro saggio si sforza di mantenere il suo prìncipe sulla Via della virtù, e di per sé tende sempre più alla perfezione. Ma oggi i ministri dicono: “Aumenterò i possedimenti del prìncipe, e aumenterò le tasse perché possa arricchire”. Uomini siffatti oggi vengono considerati buoni ministri, ma un tempo erano chiamati depredatori del popolo. "Mengzi", Libro sesto, 2, 9a. Voler fare la guerra con accanimento a favore del prìncipe che non segue la via della virtù e non tende alla perfezione è assecondare la malvagità. Date il potere a un prìncipe che segue la corrente e non corregge gli abusi attuali, e non potrà mantenerlo più di mezza giornata. "Mengzi", Libro sesto, 2, 9b. L'amore per il bene è sufficiente per governare uno Stato. Se un ministro vuole il bene, in tutto il suo Stato, nessuno troverà gravoso percorrere mille miglia per venire a dargli un buon consiglio. "Mengzi", Libro sesto, 2, 13b. La voce e il volto di un uomo presuntuoso respingono tutti mille miglia lontano. Gli uomini onesti se ne stanno in disparte, ma i detrattori, gli adulatori, i lusingatori ipocriti l'accompagnano. Un ministro accompagnato da detrattori, da adulatori, da lusingatori ipocriti, quand'anche lo volesse, potrà mai rimettere in buon ordine uno Stato? "Mengzi", Libro sesto, 2, 13c. I buoni capi di Stato d'un tempo amavano la virtù dei saggi, e amandola non facevano prevalere il loro potere. Anche i saggi d'un tempo agivano così, e ponendo tutto il loro impegno nella saggezza non si sottomettevano al potere dei grandi. Così il re o il principe, che

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non aveva rispetto per i saggi, non ricevevano sovente le loro visite, e a maggior ragione non ottenevano i loro servigi. "Mengzi", Libro settimo, 1, 8. Prendendo a modello gli altri nel fare il bene si incoraggia la pratica della virtù. Un saggio governante che può fare di meglio per incoraggiare il bene? "Mengzi", Libro settimo, 1, 8b. Un linguaggio improntato alla bontà ha meno presa sugli uomini della reputazione di bontà. Un buon governo attira il plauso del popolo meno dei buoni insegnamenti, perché un buon governo ispira comunque il timore, mentre i buoni insegnamenti ispirano affetto. Un buon governo arricchisce il popolo e il principe, i buoni insegnamenti arricchiscono i cuori. "Mengzi", Libro settimo, 1, 14. Gli uomini di provata virtù e generosamente industriosi sono soggetti a sofferenze e contrarietà. Solo i ministri neghittosi e i figli delle concubine pensano a se stessi e sanno premunirsi contro le sventure cui possono essere soggetti; e così diventano molto astuti. "Mengzi", Libro settimo, 1, 18. V'è gente che dice: “Io sono abile nell'ordinare un'armata in battaglia. Io sono abile nel condurre una guerra”. Ecco genti gravemente colpevoli: un buon principe non ha nemici da combattere. "Mengzi", Libro settimo, 2, 4a. Se il principe non ha fiducia in coloro che si distinguono per la loro virtù e la loro saggezza, allo Stato mancheranno civismo e giustizia. Se il civismo e la giustizia vengono a mancare, i ruoli e i princìpi amministrativi verranno confusi. Se i princìpi e i regolamenti amministrativi vengono a mancare, gli introiti dello Stato non saranno mai sufficienti. "Mengzi", Libro settimo, 2, 12. Uomini senza umanità hanno ottenuto il potere. Uomini senza umanità mai hanno ottenuto la gloria. "Mengzi", Libro settimo, 2, 13. Il popolo è la parte più importante di uno Stato; poi vengono gli spiriti protettori della terra e delle messi; e solo al terzo posto viene il capo dello Stato. "Mengzi", Libro settimo, 2, 14. Gli antichi saggi illuminavano la gente con la luce della loro intelligenza. Oggi i prìncipi voglio illuminare i sudditi con le tenebre del loro spirito. "Mengzi", Libro settimo, 2, 20. Un principe deve stimare soprattutto tre cose: il suo territorio, il suo popolo, le leggi. Se stima ancor più le perle e le pietre preziose attira su di sé grandi sventure. "Mengzi", Libro settimo, 2, 28. Se dovessi essere nominato ministro, io non vorrei un salone immenso né grandi insegne sul tetto. Non vorrei davanti a me una infinità di cibi, in piatti che coprano tutta una grande tavola, né accanto a me qualche centinaio di donne. Non andrei alla ricerca di piaceri, non

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farei orge, né andrei a caccia con tanti cavalli e mille carri al mio seguito. Non mi permetterei tutte queste cose che i ministri si permettono: mi conformerei alle leggi stabilite. "Mengzi", Libro settimo, 2, 34. Governare è seguire la Via retta. Se chi governa è retto, il popolo lo segue e lo ama. Se imbocca la Via sbagliata, che via seguirà mai il popolo? "Da Dai Liji", 41, 2. Quando si guida il popolo col prestigio e l'educazione, il potere dell'educazione personale avrà un grande effetto, rendendo il popolo forte e contento. Se lo si costringe con leggi e ordini, le leggi e gli ordini si moltiplicheranno, egli ne verrà intrappolato, sarà infelice, si lagnerà. La contentezza consegue serenità, le lamentazioni danno origine a sventure. "Da Dai Liji", 46, 3. La tessitrice sceglie essa stessa la seta e la canapa. Un buon operaio sceglie sempre i materiali con i quali eseguire il proprio lavoro. Così un buon governante sceglie sempre i propri collaboratori. Chi prende alla leggera la scelta dei collaboratori avrà difficoltà nella sua impresa. Scegliete ministri adeguati, e avrete un buon governo. "Da Dai Liji", 65, 7. 2. LA VIA DELLA GRANDE SCIENZA: LA VIRTU' E LA SAGGEZZA. La virtù del civismo è ciò che distingue l'uomo da tutti gli altri animali. Considerata in concreto, essa è la Via del dovere. "Mengzi", Libro settimo, 2, 16. La Via della Grande scienza si compone di tre princìpi: far brillare in se stessi le virtù risplendenti, riformare gli altri uomini, porsi come meta la perfezione più alta. "Daxue", prima parte. Conoscendo la meta cui si tende e alla quale si vuole giungere, si può prendere una decisione. Presa questa decisione, lo spirito può avere quiete. Ottenuta la quiete, lo spirito può godere della tranquillità. Godendo della tranquillità, può prendere in esame le cose. Dopo questo esame può raggiungere la meta, che è perfezione. "Daxue", prima parte. E' utile distinguere in ogni cosa il principale e l'accessorio, e in ogni affare l'inizio e la fine. Colui che sa porre ogni cosa nel suo giusto luogo non è lontano dalla Via della perfezione. "Daxue", prima parte. Dall'imperatore al più umile dei sudditi, tutti debbono anzitutto perfezionare se stessi. Colui che neglige se stesso non può regolare convenientemente le cose che da lui dipendono. Un uomo che cura poco ciò che ama molto, non curerà mai con diligenza ciò che gli è meno caro.

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"Daxue", prima parte. So che la Via della virtù non è seguita: gli uomini illuminati e intelligenti l'oltrepassano e gli ignoranti non la raggiungono. So che la Via della virtù non è ben conosciuta: i saggi vogliono strafare e i viziosi non far nulla. E' così che tutti bevono e mangiano, ma pochi sanno riconoscere i sapori. "Zhongyong", 4. Tutti si vantano d'essere abili, corrono precipitosamente, e cadono nelle reti, nelle trappole, nei fossi, come animali selvaggi. Nessuno sa sfuggirvi. Così tutti dicono: “Io conosco perfettamente la Via della virtù”; sanno trovare l'Equilibrio immutabile, ma non sanno mantenerlo neppure per la durata di un mese. "Zhongyong", 7. Colui che ama imparare, ben presto raggiunge la virtù della prudenza; colui che si sforza raggiunge ben presto la virtù del "ren"*; colui che sa arrossire per ciò che è male avrà presto la forza d'animo. Conoscere queste tre cose - imparare con ardore, compiere sforzi, arrossire per ciò che è male - è possedere i mezzi per migliorare se stessi. Conoscere i mezzi per perfezionare se stessi è conoscere l'arte di governare gli uomini. Conoscere l'arte di governare gli uomini è saper governare tutti i popoli dell'impero. "Zhongyong", 20e. La vera perfezione è sempre agente, sempre perseverante. Si manifesta negli effetti, si estende e si propaga lontano. Diventa ampia e profonda, luminosa e sublime. "Zhongyong", 26. Solo colui che ha raggiunto la perfezione è in grado di fissare le grandi leggi delle cinque relazioni sociali, di stabilire il fondamento della società umana, di conoscere come il Cielo e la Terra producono e conservano tutte le cose. E di che altro avrebbe bisogno allora, oltre a se stesso? "Zhongyong", 32. La virtù dell'uomo saggio ama rimanere nascosta, e il suo splendore aumenta giorno dopo giorno. La virtù dell'uomo volgare ama manifestarsi, e a poco a poco sparisce. La virtù del saggio non ha un sapore particolare e non disgusta mai, perché è semplice anche se non disadorna, senza pretese ma non disordinata. "Zhongyong", 33a. La virtù è leggera come una piuma. Ma anche una piuma ha il suo peso, e d'altronde l'azione del Cielo non è sentita né dall'udito né dall'odorato. "Zhongyong", 33g Gli uomini desiderano ardentemente onori e ricchezze; se non potete ottenerli onestamente, rifiutateli. La povertà e il disprezzo fanno orrore agli uomini; se vi toccano anche se non li meritate, non fuggiteli. Colui che abbandona la Via della virtù fosse solo per un brevissimo tempo, non è un saggio. Saggio è chi segue la Via della virtù anche tra affari pressanti, anche fra i più gravi disordini. "Lunyu", 4, 5. Un uomo perfetto, mantenendo fermo se stesso mantiene fermi gli altri,

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capendo quali sono i propri doveri lo fa capire anche agli altri. La virtù perfetta consiste non nel soccorrere tutti quanti gli uomini, perché questo non è possibile a un solo essere umano, ma a giudicare gli altri giudicando se stessi, e nel trattare gli altri come si vuole che gli altri ci trattino. "Lunyu", 6, 28. Ci si smarrisce raramente quando si seguono regole severe. "Lunyu", 4, 22. Come si può uscire da una casa, se non dalla porta? Come si può vivere, se non seguendo la Via della virtù? "Lunyu", 6, 15. Val meglio amare la Virtù che semplicemente conoscerla, e val meglio seguirne le gioie che semplicemente amarla. "Lunyu", 6, 18. La virtù che possiede la più alta perfezione è quella che si mantiene nell'equilibrio immutabile. "Lunyu", 6, 27. Proponetevi di seguire sempre la Via della virtù; rimanete in questa Via; non allontanatevi mai dalla perfezione. Se vi dovete divertire, dilettatevi con le sei arti liberali: socievolezza, musica, tiro con l'arco, guida di un carro, calligrafia, matematica. "Lunyu", 7, 6. Se ammucchiare ricchezze fosse davvero conveniente, lo farei anche se dovessi diventare per questo un funzionario con la frusta in mano. Ma dal momento che ciò continua a non essere importante, io preferisco ammucchiare Saggezza. "Lunyu", 7, 11. La virtù perfetta è la bontà innata che ogni uomo possiede in se stesso; ma gli uomini, accecati dalle passioni non la sanno cercare. Seguendo la china del vizio si persuadono che la virtù è molto lontana. "Lunyu", 7, 29. Ad una armata di tre legioni si può strappare con la forza il generale in capo; ma è impossibile strappare di forza la determinazione a chi ha deciso di seguire la Via della virtù. "Lunyu", 9, 24. Uscendo da casa comportatevi convenientemente come vi comportate alla presenza di un ospite importante; governando il popolo siate diligenti come quando celebrate un sacrificio solenne; non fate ad altri ciò che non volete che sia fatto a voi stessi. Nella contrada nessuno sarà scontento di voi, in famiglia nessuno si lamenterà di voi. "Lunyu", 12, 2. Governare o dirigere gli uomini è far seguire loro la Via diritta. Se il signore cammina davanti a tutti sulla Via diritta, chi oserà non seguirlo? "Lunyu", 17, 16. La repressione delle passioni non è ancora la perfezione, ma è comunque difficile.

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"Lunyu", 14, 2. Abbandonarsi ai cattivi istinti senza mai pentirsene è come farsi trascinare dalla corrente senza poterla più risalire. Ma dannoso è anche risalire la corrente delle passioni senza vincerle. Darsi alla caccia senza esserne mai sazi è perdere il proprio tempo. Abbandonarsi alla passione del vino senza esserne mai sazi è rovinare se stessi e gli altri. "Mengzi", Libro primo, 2 4f. Colui che viola le virtù umanitarie è un malfattore; colui che viola la giustizia è uno scellerato. Quand'anche fosse re, uno scellerato è uno scellerato, e un malfattore è un malfattore. "Mengzi", Libro primo, 2, 8. Se un uomo procede con successo, è perché qualcuno lo ha aiutato. Se non progredisce ulteriormente, è perché qualcuno glielo ha impedito. Il suo procedere e il suo fermarsi paiono l'opera d altri uomini; tuttavia non attribuiteli ad una forza umana. "Mengzi", Libro primo, 2, 16d. La prudenza e la perspicacia servono a poco, se non si sa cogliere l'occasione giusta; la zappa e il sarchiatoio servono a poco, se non si adoperano nel momento opportuno. "Mengzi", Libro secondo, 1, 1e. L'azione della sensibilità è potentissima e va lontano. Se viene coltivata come la sua stessa natura richiede, se non viene lesa, estende la sua azione dovunque. Essa fornisce un valido aiuto alla giustizia e alla ragione; e senza di essa il corpo languirebbe. Deve essere coltivata con frequenti atti di virtù, poiché per un solo atto di virtù isolato non si manifesta e non aiuta, e non agisce quando un uomo compie un'azione sapendo egli stesso che è un'azione negativa. "Mengzi", Libro secondo, 1, 2l. La compassione è il fondamento della beneficenza; la vergogna e l'orrore del male sono i fondamenti della giustizia; la volontà di rifiutare a se stessi e di cedere ad altri è il fondamento del civismo; l'inclinazione ad approvare il bene e a rimproverare il male è il fondamento della saggezza. Ogni uomo ha in se stesso, in modo naturale, questi principi basilari, così come ha quattro membra. Colui che non sviluppa in sé questi quattro principi nuoce gravemente a se stesso. "Mengzi", Libro secondo, 1, 6d. Sviluppare i quattro princìpi del bene è come accendere un fuoco, o dar corso a una sorgente inesauribile. Colui che sa sviluppare pienamente i quattro princìpi del bene può governare un impero, e colui che non li sviluppa non è neppure in grado di compiere i doveri familiari. "Mengzi", Libro secondo, 1, 6e. I re possiedono le ricchezze, il saggio possiede la virtù. I re possiedono alti titoli, il saggio possiede la giustizia. Tre cose sono considerate dovunque con rispetto: gli alti titoli, l'età matura e la virtù. A corte si rispettano gli alti titoli, fra la gente l'età matura, fra i saggi la virtù; ma ciò che riforma i costumi e dirige il popolo è la giustizia. "Mengzi", Libro secondo, 2, 2h.

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La propria indole è un principio che l'uomo riceve dal Cielo con l'esistenza. Essa è del tutto buona. Mai un uomo è nato naturalmente malvagio: la maggior parte degli uomini si abbandona alle passioni e perde la bontà naturale. Diventa malvagio l'uomo che oltrepassa i limiti della moderazione. Così, ogni volta che si parla di bene e di male, bisogna rammentare che il malvagio dapprima era buono. "Mengzi", Libro terzo, 1, 1a. L'uomo ha la legge naturale scolpita nel cuore; se però è ben nutrito, ben vestito, ozioso e non studia, allora non è un uomo: è un animale. "Mengzi", Libro terzo, 1, 4i. Elargire è beneficenza, insegnare la virtù è dedizione; cercare ministri validi è amare davvero il popolo, perché dare una carica a qualcuno è facile, ma darla a qualcuno che sappia espletarla bene è molto difficile. "Mengzi", Libro terzo, 1, 4m. L'ineguaglianza è nella natura stessa delle cose. Ve ne sono che valgono due volte o cinque volte più di altre; e certe valgono dieci, cento, mille, diecimila volte più di altre. Metterle tutte sullo stesso piano è turbare l'universo intero. Se le scarpe, grandi o piccole, si vendessero tutte allo stesso prezzo, chi ne farebbe più di grandi? Se le scarpe, buone e cattive, si vendessero tutte allo stesso prezzo, chi ne farebbe più di buone? "Mengzi", Libro terzo, 1, 4. Una vista acuta non mette tuttavia in grado di disegnare un cerchio o un quadrato perfetti senza l'aiuto del compasso e della squadra. Un orecchio fine non mette in grado d'accordare perfettamente uno strumento senza l'aiuto del diapason. La virtù interiore non basta per far regnare l'ordine e la pace, senza una amministrazione impeccabile. "Mengzi", Libro quarto, 1, 1a. Ci sono solo due vie: la via del vizio e la Via della virtù. "Mengzi", Libro quarto, 1, 2b. Le regioni sono alla base dello Stato, le famiglie sono alla base delle regioni, e gli individui sono alla base delle famiglie. "Mengzi", Libro quarto, 1, 5. La perfezione è la dimora tranquilla d'ogni uomo, e la giustizia è la sua via diritta. Lasciar vuota e disabitata una dimora tranquilla, abbandonare e non seguire la via diritta, quanto è deplorevole! "Mengzi", Libro quarto, 1, 10b. Non cercate lontano la via della virtù: essa è scolpita nel nostro cuore stesso. La pratica della virtù è facile: sbagli se la cerchi nelle cose difficili. "Mengzi", Libro quarto, 1, 11. Il principale frutto della bontà è la pietà filiale. Il principale frutto della giustizia è la condiscendenza verso i fratelli. Il principale frutto della saggezza è la conoscenza e la pratica costante di queste due virtù. Il principale frutto del civismo è regolare e coronare queste due virtù. Il principale frutto della musica è renderle gradevoli. Diventate gradevoli, si sviluppano. Nel loro sviluppo non potranno essere fermate. Non potendo più essere fermate,

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si mostrano in tutti i movimenti dei nostri piedi e delle nostre mani, senza che ci se ne accorga. "Mengzi", Libro quarto, 1, 27. Shuenn e Wenwang vissero in contrade distanti l'una dall'altra più di mille stadi; e in due epoche differenti separate da più di mille anni. Quando, piacendo loro, fecero fiorire la virtù nell'impero, furono simili l'uno all'altro come i due lati di una tavoletta. I princìpi dei saggi sono stati gli stessi in tutti i tempi. "Mengzi", Libro quarto, 2, 1. Se gli uomini virtuosi insegnano a quelli che non sono virtuosi, e se gli uomini valenti insegnano a quelli che non sono valenti, i giovani saranno felici d'avere dei padri valenti e virtuosi. Se gli uomini virtuosi abbandonano i non virtuosi e gli uomini valenti abbandonano quelli che non sono valenti, ci sarà solo un pollice di distanza tra uomini virtuosi e valenti ma senza pietà, e quelli che non valgono nulla. "Mengzi", Libro quarto, 2, 7. Se in un primo tempo vi sembra di poter ricevere una cosa, e poi vi accorgete che è bene non riceverla, ricevendola manchereste alla vostra integrità. Se in un primo tempo vi sembra di poter regalare una cosa, e poi vi accorgete che è bene non regalarla, regalandola violereste le regole della carità. Se in un primo tempo vi sembra di poter sacrificare la vostra vita e poi vi accorgete che non è bene farlo, sacrificandola verreste meno alla virtù della forza. "Mengzi", Libro quarto, 2, 23. Ovunque sotto il cielo, quando si parla di natura si vuol parlare degli effetti naturali. Gli effetti naturali hanno questo di speciale: sono spontanei. Quel che non ci piace negli uomini prudenti all'eccesso è che fanno violenza alla natura. "Mengzi", Libro quarto, 2, 26. Giudicando le cose secondo i princìpi della saggezza, ci sono ben pochi uomini le cui mogli non avrebbero di che arrossire e di che piangere vedendo quali mezzi impiegano per avere ricchezze, onori, guadagni o promozioni. "Mengzi", Libro quarto, 2, 33c. Voler incontrare un uomo di qualità e di virtù senza trattarlo convenientemente è come desiderare che percorra la strada per giungere sino a noi, e sbattergli la porta in faccia. La Via corrisponde alle cortesie, la porta al civismo. Solo l'uomo di qualità sa percorrere questa via, entrare e uscire da questa porta. La via per la capitale è liscia come una pietra polita e diritta come una freccia: gli uomini eminenti la percorrono, ma la gente comune la guarda solamente. "Mengzi", Libro quinto, 2, 7d. La natura umana può essere comparata al giunco, e la giustizia al paniere di giunco. La natura umana riceve la propensione alla carità e alla giustizia così come il giunco si presta ad assumere la forma di un paniere. Potete fare un paniere di giunco senza contrariare le tendenze della sua natura? Non lo potete: dovete tagliare e piegare il giunco. "Mengzi", Libro sesto, 1, 1. La natura umana è come un'acqua vorticosa. Se le aprite un passaggio

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verso oriente, correrà verso oriente; se le aprite un passaggio verso occidente, correrà verso occidente. La natura umana non discerne il bene dal male, così come l'acqua non discerne l'oriente dall'occidente, né l'alto dal basso. La natura dell'uomo tende al bene, come l'acqua tende al basso. Tuttavia, se pestando sull'acqua la fate schizzare, gli schizzi potranno superare l'altezza della vostra fronte; se ne fermate il corso e la contenete potete farla restare in cima a una montagna. Non obbedisce così alla tendenza naturale ma alla forza. Se l'uomo decide di fare il male, la sua natura è violentata. "Mengzi", Libro sesto, 1, 2. La natura è la vita, ma la natura di un cane non è quella di un bue, e quella di un bue non è quella di un uomo, così come il bianco di una penna bianca non è quello della neve, e il bianco della neve non è quello di una perla bianca. "Mengzi", Libro sesto, 1, 3. Come la natura di per sé ci porta ad amare i cibi saporiti e i bei colori, così la bontà è in noi, e non di fuori da noi. "Mengzi", Libro sesto, 1, 4a. In assoluto, ogni uomo prova sentimenti di pietà per gli infelici, di pudore e d'avversione per il male, di deferenza e rispetto per gli altri uomini. Sa discernere il vero dal falso e il bene dal male. La commiserazione deriva dalla benevolenza, la vergogna e l'orrore del male dalla giustizia. La deferenza e il rispetto costituiscono il civismo. La virtù grazie alla quale discerniamo il vero dal falso e il bene dal male è la prudenza. La benevolenza, la giustizia, il civismo e la prudenza non ci vengono dal di fuori, come un metallo fuso colato dentro a uno stampo: la natura li ha posti in noi. Tuttavia alcuni uomini sono due volte, cinque volte, o un numero illimitato di volte migliori o peggiori di altri, perché non usano allo stesso modo le loro facoltà naturali di fare il bene. "Mengzi", Libro sesto, 1, 6. Nelle buone annate la maggior parte dei giovani rimane buona; nelle cattive annate la maggior parte dei giovani si corrompe. Il Cielo dà a tutti le stesse disposizioni naturali; ma parecchi soffocano in se stessi i buoni sentimenti dei loro cuori a causa delle circostanze in cui si trovano. "Mengzi", Libro sesto, 1, 7a. Un tempo, sulla Montagna dei Buoi, gli alberi erano belli. Poiché la foresta era ai limiti d'una provincia, furono tagliati. Avrebbero potuto mantenere la loro bellezza? Poiché la linfa circolava ancora, poiché la pioggia e la rugiada li inumidiva, i ceppi diedero gemme e rametti, ma buoi e pecore, sopraggiunti a loro volta, li mangiarono. La natura era stata generosa, ma è colpa sua se quella montagna oggi è brulla? Così è per i sentimenti che l'uomo riceve dalla natura. Se ogni giorno vi si danno colpi, come possono svilupparsi? "Mengzi", Libro sesto, 1, 8b. I buoni sentimenti dell'uomo sono, al mattino, ancora integri. Le azioni fatte durante la giornata interrompono e soffocano i buoni sentimenti. L'azione riparatrice della notte non sempre è sufficiente per preservarli dall'annientamento completo. Quando l'intervento benefattore della notte non è più sufficiente sopravviene l'annientamento totale, e l'uomo non si differenzia più dall'animale. Vedendolo così, divenuto un essere senza ragionevolezza, si può

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stentare a credere alle sue buone qualità di un tempo. "Mengzi", Libro sesto, 1, 8b. Ogni essere si sviluppa se trova ciò che è necessario al suo mantenimento; e muore se ne è privato. Se mantenete i sentimenti del cuore, essi si conservano, se non li coltivate si perdono. Vanno e vengono, senza un tempo preciso, e nessuno conosce il luogo in cui dimorano. "Mengzi", Libro sesto, 1, 8c. La benevolenza è essenziale per il cuore di un uomo. La giustizia è la via che l'uomo deve seguire. Che disgrazia per l'uomo perdere la Via e non seguirla, perdere i buoni sentimenti e non cercare di recuperarli. Quando una gallina o un cane scappano si va alla loro ricerca; si perdono i buoni sentimenti e non si fa nulla per recuperarli. Lo sforzo d'ogni discepolo della saggezza deve essere volto alla ricerca dei buoni sentimenti perduti. "Mengzi", Libro sesto, 1, 11. Fra le varie parti che costituiscono un uomo, alcune sono nobili, altre meno; alcune sono importanti, altre non lo sono. Egli deve evitare di curare le meno importanti a scapito delle più importanti, e le meno nobili a scapito delle più nobili. Colui che cura in particolar modo le meno importanti è un uomo meschino; colui che cura in modo particolare le più importanti è un uomo davvero grande. "Mengzi", Libro sesto, 1, 14b. Le orecchie e gli occhi non pensano, e sono quindi ingannati dalle cose esteriori. Le cose esteriori sono in relazione con i nostri sensi, che sono sprovvisti d'intelligenza, e li attirano. Lo spirito pensa, ma per giungere alla conoscenza della verità deve riflettere. "Mengzi", Libro sesto, 1, 15. La benevolenza, la giustizia, la sincerità, la buona fede, l'ardore infaticabile nel fare il bene, sono tutti valori conferiti dal Cielo. Quelli conferiti da prìncipi e ministri sono valori conferiti dagli uomini. Gli antichi curavano i valori conferiti dal Cielo, e i valori conferiti dagli uomini venivano di conseguenza. Oggi gli uomini si curano dei valori conferiti dal Cielo solo per ottenere valori conferiti dagli uomini, e quando li hanno ottenuti, non si curano più di quelli conferiti dal Cielo. Così alla fine perdono tutto. "Mengzi", Libro sesto, 1, 16. Le granaglie più preziose sono quelle che nutrono l'uomo, ma finché non sono mature valgono meno del loglio. Così è della virtù: occorre che giunga alla sua perfezione. "Mengzi", Libro sesto, 1, 19. La meta è la virtù perfetta. Tutti i saggi tendono esclusivamente alla perfezione della virtù, anche se non occorre che seguano tutti la stessa via. "Mengzi", Libro sesto, 2, 6b. Quando il Cielo vuole imporre a qualcuno un grande incarico, dapprima abbevera il suo cuore con l'amarezza, affatica i suoi nervi e le sue ossa, affida le sue membra e tutto il suo corpo al tormento della fame, e lo riduce alla più estrema indigenza, ostacolando e rovesciando tutte le sue imprese. Così risveglia in lui i sentimenti migliori, fortifica la sua pazienza, e gli infonde ciò che ancora gli

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mancava sulla Via della virtù. "Mengzi", Libro sesto, 2, 15b. Colui che coltiva perfettamente la sua intelligenza, conosce la sua natura. Conservare perfettamente le proprie facoltà intellettuali, mantenere in sé i doni della natura, ecco i mezzi migliori per servire il Cielo. Essere indifferenti alla lunghezza o alla brevità della vita lavorando invece per perfezionare se stessi sino alla sua fine, ecco i modi per mantenere i doni ricevuti dal Cielo. "Mengzi", Libro settimo, 1, 1. Nulla esiste che non sia voluto o ordinato dal Cielo, e bisogna accettare con sottomissione ciò che vuole e ciò che ordina. Ma chi ha una giusta idea della provvidenza celeste non rimane accanto ad un muro che minaccia rovina. La morte di colui che termina i suoi giorni compiendo i propri doveri è voluta direttamente dal Cielo, ma non così quella del criminale che muore nei ceppi. "Mengzi", Libro settimo, 1, 2. E' utile cercare i beni che possiamo trovare cercandoli, come è utile ricercare i beni che perdiamo se li trascuriamo. Questi beni sono in noi: sono le virtù. Ma a nulla serve cercare quei beni il cui conseguimento sottostà a delle regole e la cui acquisizione dipende dalla volontà del cielo. Questi sono beni di fuori da noi. "Mengzi", Libro settimo, 1, 3. Noi abbiamo in noi stessi i princìpi di tutte le conoscenze. La più grande felicità è di capire, esaminando noi stessi, che nulla manca alla nostra perfezione. Se uno si sforza di amare gli altri come ama se stesso, la perfezione che cerca gli è vicinissima. "Mengzi", Libro settimo, 1, 4. Stimate la virtù, ponete la vostra felicità nella giustizia, e così potrete essere sereni sempre. "Mengzi", Libro settimo, 1, 9. Ogni cibo è buono per colui che ha fame; ogni bevanda è buona per colui che ha sete. Essi non possono ben giudicare, perché hanno il gusto alterato dalla fame e dalla sete. Fame e sete alterano solo il palato e lo stomaco? No, anche il cuore dell'uomo; ma colui che è in grado di sopportare fame, sete, povertà senza alterare il cuore grazie alla sua virtù, saprà eguagliare gli uomini più virtuosi. "Mengzi", Libro settimo, 1, 27. Ogni uomo prova un senso di compassione per alcune cose. Se estendesse questo senso di compassione a tutto ciò che lo merita, acquisirebbe la virtù del civismo. Ogni uomo si rifiuta di commettere alcune azioni cattive. Se estendesse questo rifiuto alle azioni cattive di cui si rende colpevole, acquisirebbe la virtù della giustizia. Se gli uomini sviluppassero il più possibile i sentimenti che li esortano a non nuocere a nessuno, la loro bontà non avrebbe mai difetto. Se sviluppassero il più possibile il sentimento che li porta a non violare la proprietà altrui, il loro senso della giustizia non verrebbe mai meno. "Mengzi", Libro settimo, 2, 31a. Il modo migliore per sviluppare le virtù innate del cuore è quello di diminuire i desideri. Colui che diminuisce i suoi desideri difficilmente potrà allontanarsi dalla Via della virtù: così come

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colui che ha molti desideri ben difficilmente potrà compiere atti virtuosi. "Mengzi", Libro settimo, 2, 35. Coloro che hanno aspirazioni elevate procedono sulla della virtù, avendo come modelli i grandi del passato. Coloro che hanno un forte attaccamento al dovere si astengono dal compiere cattive azioni. "Mengzi", Libro settimo, 2, 37b. La virtù suprema detta umanità è quella in grado di creare nel mondo un senso di amicizia globale. Il sapere supremo è quello in grado di creare nel mondo una generale armonia. La luce suprema è quella in grado di creare fra gli uomini l'illuminazione consapevole. "Da Dai Liji", 39, 9. 3. I GIOIELLI DELL'ETICA. Ama il prossimo tuo come te stesso e non fare agli altri ciò che non vuoi che gli altri facciano a te. "Lunyu", 15, 23. Nel mondo intero tutti gli uomini sono fratelli. "Lunyu", 12, 5. Dall'imperatore al più umile dei sudditi, tutti debbono anzitutto perfezionare se stessi. Colui che neglige se stesso non può regolare convenientemente le cose che da lui dipendono. Un uomo che cura poco ciò che ama molto, non curerà mai con diligenza ciò che gli è meno caro. "Daxue", prima parte. Giudicare nei processi, posso farlo bene io come chiunque altro. Ma non sarebbe molto meglio fare in modo che non vi siano più processi? "Daxue", seconda parte, 4. Un uomo può essere abbastanza saggio per governare l'impero e i principati, abbastanza disinteressato da rifiutare incarichi e relativi appannaggi, tanto coraggioso da camminare sulle spade nude, e tuttavia non essere in grado di mantenere l'Equilibrio immutabile. "Zhongyong", 9. Il saggio regola la sua condotta a seconda delle condizioni in cui si trova, e non desidera nulla di fuori dalla sua condizione. Nella ricchezza e negli onori agisce come si addice a un uomo ricco e onorato. Nella povertà e nell'abiezione agisce come si addice a un uomo povero e disprezzato. Fra i barbari d'Occidente o del Settentrione agisce come si addice ai barbari. Nella sventura e nel

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dolore agisce come è bene agire nella sventura e nel dolore. Ovunque e sempre il saggio ha in sé ciò che gli necessita. "Zhongyong", 14. L'arciere assomiglia al saggio, perché quando la sua freccia non raggiunge il centro del bersaglio è in se stesso che ne cerca la causa. "Zhongyong", 14. Anche il saggio è come il viaggiatore che per andare lontano parte dal punto in cui si trova, o come colui che volendo scalare una montagna deve partire dal basso. "Zhongyong", 15. Le leggi comuni a tutti gli uomini sono cinque, e tre le virtù che aiutano a osservarle. Le cinque leggi generali son quelle che reggono le relazioni fra prìncipe e suddito, fra padre e figlio, fra moglie e marito, tra fratello maggiore e fratello minore, fra compagni e amici. Le tre virtù necessarie a tutti gli uomini sono la prudenza, l'umanità e la forza d'animo. Non sterili, ma sincere. "Zhongyong", 20c. Alcuni uomini possiedono fin dalla nascita la conoscenza delle cinque grandi leggi morali, altri l'acquisiscono grazie all'insegnamento dei maestri, e altri a prezzo di laboriose ricerche. Comunque la si ottenga, è sempre la stessa. Alcuni osservano le cinque leggi generali senza sforzo, altri con grande pena; il risultato finale è sempre lo stesso. "Zhongyong", 20d. L'impresa che è stata correttamente preparata riesce; e quella che non lo è stata non riesce. Un ordine che è stato meditato a lungo non incontra ostacoli insormontabili nella sua esecuzione. Un affare combinato per tempo non è abbandonato per mancanza di risorse. Una azione programmata con calma non ha difetti causati dalla mancanza di ponderatezza o di riflessione. Una regola di condotta fissata convenientemente conduce con sicurezza alla meta. "Zhongyong", 20g. La vera perfezione è opera del Cielo, ma farla brillare in se stessi è lavoro e dovere dell'uomo. "Zhongyong", 20i. Quando s'avvicina un avvenimento felice o una sventura l'uomo veramente perfetto sa sempre in anticipo ciò che accadrà di buono o di cattivo. "Zhongyong", 24. Un ignorante che vuol seguire il proprio giudizio, l'inferiore che vuol fare di testa propria, un uomo che nelle tristi circostanze attuali vuol conservare le usanze antiche, ecco gli uomini che attirano su di sé la sventura. "Zhongyong", 28. Solo colui che possiede una saggezza perfetta ha abbastanza perspicacità, intelligenza, sagacità e prudenza per governare i suoi sudditi; e abbastanza generosità, grandezza d'animo, affabilità e bontà per amare tutti gli uomini. Questi solo è abbastanza attivo, coraggioso, fermo, costante per assolvere correttamente i suoi doveri;

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è abbastanza integro, ponderato, moderato e retto per non cadere nella negligenza; e ha abbastanza ordine e conseguenzialità nelle proprie azioni, abbastanza cura e vigilanza nei propri affari, per acquisire il giusto discernimento. "Zhongyong", 31. Un giovane in casa deve amare e rispettare i genitori; fuori casa deve rispettare gli anziani e quelli che hanno un grado elevato. Deve essere attento nelle azioni e sincero nelle parole; amare tutti ma stringere amicizia solo con uomini dabbene. Compiuti questi doveri, dedichi il resto delle sue forze allo studio delle lettere e delle arti liberali. "Lunyu", 1, 6. Il saggio non s'addolora perché gli uomini non lo conoscono; s'addolora se non conosce gli uomini. "Lunyu", 1, 16. Se prenderemo in considerazione le azioni di un uomo, osservando i motivi che lo fanno agire ed esaminando ciò che gli dà gioia, non potrà restarci nascosto ciò ch'egli è in realtà. "Lunyu, 2, 10. Sapere veramente è conoscere bene ciò che si sa e riconoscere che non si sa quel che si ignora. "Lunyu", 2, 17. Dopo aver sentito dire molte cose, non occupatevi di quelle dubbie, parlate con circospezione delle altre, e sarete poco biasimati. Dopo aver osservato molto, tralasciate ciò che può risultare dannoso, e fate il resto con precauzione; raramente dovrete pentirvene. Se le vostre parole attireranno poco biasimo e le vostre azioni poche critiche, otterrete facilmente degli incarichi. "Lunyu", 2, 18. Non so a che può essere utile un uomo che manca di sincerità, ma a che può essere utile un carro che manca del giogo per i buoi, o un calesse che manca delle stanghe per il cavallo? "Lunyu", 2, 22. Un buon vicinato è quello in cui regna la probità. E' saggio quell'uomo che, dovendo scegliere un posto a sua dimora, vuole anzitutto avere dei vicini onesti. "Lunyu", 4, 1. Colui che nelle proprie imprese cerca unicamente il proprio interesse nuoce all'interesse di molti, e di molti s'attira il malcontento. "Lunyu", 4, 12. Ogni forma di saggezza, qualsiasi essa sia, si riassume in questo: perfeziona te stesso e ama il prossimo tuo come te stesso. "Lunyu", 4, 15. A che serve essere abili nelle parole? Quelli che ricevono tutti con belle parole, parole che vengono dalle labbra ma non dal cuore, a lungo andare si rendono odiosi. "Lunyu", 5, 4.

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Non sempre chi ha molta audacia ha anche il necessario discernimento per saper ben giudicare. "Lunyu", 5, 6. Un pezzo di legno marcio non può essere scolpito, un muro di fango non può essere intonacato. Un tempo credevo che le azioni di un uomo corrispondessero alle sue parole; e ora non ascolto le sue parole ma osservo solo le sue azioni. "Lunyu", 5, 9. Colui che è schiavo delle sue passioni non potrà mai avere fermezza d'animo. "Lunyu", 5, 10. La perfezione consiste nel non fare agli altri ciò che non si vuole che gli altri facciano a noi. "Lunyu", 5, 11. A tutti potete insegnare i comportamenti e la buona condotta, ma guardatevi dall'insegnare a tutti la verità sull'uomo e sulle azioni del Cielo. "Lunyu", 5, 12. Dimentica i difetti del tuo prossimo, e avrai pochi nemici. "Lunyu", 5, 22. Io mi vergognerei d'usare un linguaggio affettato, di avere una compostezza esteriore eccessiva, di mostrare troppa deferenza. Mi vergognerei di trattare con amicizia colui che nel fondo del mio cuore disprezzo. "Lunyu", 5, 23. Se sei giustamente incollerito con qualcuno, non esprimere una collera ingiusta con qualcun altro; e se hai commesso un errore, non ripeterlo una seconda volta. "Lunyu", 6, 2. I vizi dei padri non distruggono le buone qualità dei figli. "Lunyu", 6, 4. Colui che non ha forze cade a metà del cammino, ma colui che non ha volontà non lo inizia nemmeno. "Lunyu", 6, 10. Ogni uomo nascendo ha la rettitudine nel cuore. Colui che la perde e tuttavia continua a vivere, ha una fortuna immeritata. "Lunyu", 6, 17. L'uomo ha delle regole costanti, che vanno osservate in ogni azione e in ogni giorno della vita. Se uno, guidato dalla luce della ragione, s'applica pienamente alle cose che deve compiere, onora gli spiriti e gli uomini sinceri senza adularli né sollecitare i loro favori, non sarà deviato dalla troppa ricchezza né dall'eccessiva sventura. "Lunyu", 6, 20a. Non scegliete l'uomo che affronta una tigre senza armi, o attraversa un fiume senza barca, o sfida la morte senza preoccuparsi della vita. Scegliete l'uomo che agisce sempre con circospezione, e che prima di agire riflette.

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"Lunyu", 7, 10. Preoccupiamoci con grande attenzione soprattutto di tre cose: dell'astinenza, perché aiuta l'intelligenza; della guerra, perché da lei dipende la vita o la morte d'un gran numero d'uomini, il benessere o la rovina d'una nazione; e della malattia, perché ne dipende la nostra vita. "Lunyu", 7, 12. Parlare di cose straordinarie è incitare gli uomini a non seguire le regole ordinarie. Parlare di atti di violenza e di audacia è sminuire negli uomini i sentimenti caritatevoli. Parlare d'opposizione alle leggi e all'autorità è condurre gli uomini a violare la giustizia. "Lunyu", 7, 20. Non potrà essere costante colui che non avendo niente finge d'avere qualcosa, che essendo vuoto cerca d'apparire pieno, che avendo poco vuole vivere con magnificenza. "Lunyu", 7, 25. La più grande sventura che può toccare a un uomo è ch'egli non venga edotto dei suoi propri errori. "Lunyu", 7, 30. La prodigalità conduce alla tracotanza, e la parsimonia all'avarizia. La tracotanza è peggiore dell'avarizia. "Lunyu", 7, 35. Colui che fa dei complimenti oltre misura è stucchevole; colui che è circospetto oltre misura è timoroso; colui che è coraggioso oltre misura causa disordini; colui che è franco oltre misura offende con i suoi pareri insistenti. "Lunyu", 8, 2. Colui che ama mostrare la propria bravura e sopporta penosamente la povertà sarà causa di disordini. Se un uomo senza virtù si sente detestato cadrà nel disordine. "Lunyu", 8, 10. Quand'anche avessero le migliori qualità del mondo, l'uomo avaro e l'uomo orgoglioso non vanno presi in considerazione. "Lunyu", 8, 11. Colui che cerca il proprio vantaggio ferisce la Giustizia. "Lunyu", 9, 1. Evita quattro difetti: i desideri disordinati, le decisioni irrevocabili, la caparbietà, l'egoismo. "Lunyu", 9, 4. Se hai una pietra preziosa, vendila; ma non andare a caccia dell'acquirente. "Lunyu", 9, 12. Tutto scorre come l'acqua di un fiume, e nulla si ferma né di giorno né di notte. "Lunyu", 9, 16. Vi sono a volte delle messi che non giungono a maturazione, o che dopo

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essere fiorite non hanno semi. Così è per colui che non è perseverante. "Lunyu", 9, 21. Non basta prestar orecchio a un consiglio giusto e sincero: l'importante è poi correggersi. Non basta che un consiglio giusto e sincero non dispiaccia: l'importante è meditarci sopra. Non voglio uomini che amano i consigli ma non li meditano, che li ascoltano ma non si correggono. "Lunyu", 60, 23. Un uomo illuminato e prudente non esita; un uomo perfetto non ha preoccupazioni; un uomo coraggioso non ha paura. "Lunyu", 60, 27. Agli occhi di un padre un figlio è sempre un figlio, abbia talenti o no. "Lunyu", 11, 7. Colui che non sa che cosa è la vita, come potrà mai sapere che cosa è la morte? "Lunyu", 11, 12. Non accogliere i calunniatori che si insinuano a poco a poco negli spiriti, né le accuse che fanno provare a chi le ascolta il dolore lancinante d'una ferita, è accortezza. Non accogliere le insinuazioni abili dei calunniatori, né le lamentele che fanno provare il dolore lancinante di una ferita, è l'accortezza di un uomo previdente. "Lunyu", 11, 16. Il tiro di quattro cavalli non riuscirà ad andare veloce quanto la lingua, né sarà possibile far rientrare la parola che è stata pronunciata. "Lunyu", 11, 18a. Bisogna aver cura tanto dell'aspetto esterno quanto del nostro intimo, e dell'intimo quanto dell'aspetto esterno: una pelle di tigre o di leopardo non si distingue da una pelle di cane o di agnello, se il pelo è stato rasato. "Lunyu", 11, 18b. Colui che è celebre non ha una gloria vera. Il più delle volte si tratta di pura apparenza L'uomo illustre è semplice, diritto, amante della giustizia. Presta attenzione alle parole che ode, osserva i volti di chi lo ascolta, e pone gli altri al di sopra di se stesso. Celebrità e gloria si assomigliano, ma differiscono fra di loro come fra di loro differiscono ciò che è vero e ciò che è falso. "Lunyu", 12, 19. Non affrettatevi troppo, non mirate a mete modeste. Chi si affretta non va lontano, e chi mira a mete modeste trascura le grandi. "Lunyu", 13, 17. La mancanza di riflessione è causa di grandi mali. "Lunyu", 13, 22. Un uomo coraggioso, un uomo costante, semplice nei modi, riservato nelle parole, giungerà facilmente alla perfezione. "Lunyu", 13, 27.

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Un uomo virtuoso ha buone parole sulle labbra, ma non tutti quelli che hanno buone parole sulle labbra sono virtuosi. Un uomo perfetto è di certo coraggioso, ma non tutti gli uomini coraggiosi sono perfetti. "Lunyu", 14, 5. E' più difficile sfuggire al dolore nella miseria che all'orgoglio nell'opulenza. "Lunyu", 14, 11. Colui che facilmente promette grandi cose, ha poi difficoltà a porle in atto. "Lunyu", 14, 21. Un tempo si studiava la saggezza per diventare virtuosi; oggi si studia la saggezza per acquisire il plauso degli uomini. "Lunyu", 14, 25. Uno chiese: “Che dobbiamo pensare di colui che risponde col bene a chi gli fa del male?”. Il Maestro rispose: “Se rispondete col bene a chi vi fa del male, con che cosa rispondereste a chi vi fa del bene? E' sufficiente rispondere con la giustizia all'ingiustizia, e con il bene al bene”. "Lunyu", 14, 36. Gli uomini comuni non apprezzano una virtù che cresce a poco a poco e che non cerca la fama. "Lunyu", 14, 37. L'operaio che vuole fare un buon lavoro comincia con l'affilare i suoi strumenti. "Lunyu", 15, 9. Colui che è limitato nella previdenza si troverà ben presto in difficoltà. "Lunyu", 15, 11. Non ho ancora visto un uomo che ami la virtù tanto quanto si ama un bell'aspetto. "Lunyu", 15, 12. Io non do nulla a colui che non chiede. "Lunyu", 15, 15. I bei discorsi fanno considerare il vizio una virtù. Una lieve impazienza rovina un grande progetto. "Lunyu", 15, 26. Se un uomo è fatto segno all'odio o all'ammirazione della gente, esaminate le sue azioni per vedere se è veramente degno dell'odio o dell'ammirazione. "Lunyu", 15, 27. Non correggersi dopo un errore involontario è commettere un errore volontario. "Lunyu", 15, 29. Due uomini che seguono due vie differenti non si possono aiutare reciprocamente con i loro consigli.

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"Lunyu", 15, 39. La lingua esprima chiaramente il pensiero. Questo basta! "Lunyu", 15, 40. Se una tigre scappa dalla gabbia, o un bue selvatico fugge dal recinto, o una pietra preziosa custodita in una cassaforte viene danneggiata, di chi è la colpa, se non del loro guardiano? "Lunyu", 16, 1b. E' ben raro che un grande impero economico duri più di cinque generazioni. "Lunyu", 16, 2. Tre tipi di amicizia sono vantaggiosi, e tre tipi di amicizia sono nocivi. Vantaggiosa è l'amicizia di un uomo che parla senza circonlocuzioni, l'amicizia di un uomo sincero, l'amicizia di un uomo di grande sapere. Nociva è l'amicizia di un uomo abituato a ingannare con una falsa apparenza, l'amicizia di un uomo abile nell'adulazione, l'amicizia di un parolaio. "Lunyu", 16, 4. Vi sono tre cose che è utile amare e tre cose che amare è nocivo. E' utile studiare le cerimonie e la musica, dire il bene che troviamo negli altri, legarsi d'amicizia con gli uomini saggi e virtuosi. E' nocivo dar libero corso ai propri desideri, perdere il tempo andando di qua e di là, darsi ai festini e ai piaceri disonesti. "Lunyu", 16, 5. Quando vi trovate alla presenza di un uomo eminente per rango e virtù, evitate questi tre sbagli: rivolgergli la parola prima ch'egli vi interroghi (è precipitazione); non rispondergli se vi interroga (è simulazione); credere che vi ascolti attentamente (è cecità). "Lunyu", 16, 6. Gli esseri umani sono tutti simili per loro natura, ma differiscono a seconda delle abitudini che assumono. "Lunyu", 17, 2. Due sole categorie di uomini non cambiano mai il loro modo d'essere: i più saggi e i più insensati. "Lunyu", 17, 3. Per uccidere una gallina si usa forse la mannaia che serve per squartare un bue? "Lunyu", 17, 4. Se un oggetto è veramente duro non lo assottigli sfregandolo; se un oggetto è essenzialmente bianco non diventa internamente nero se lo copri di colore. Precipuo di una zucca è di essere mangiata. A che serve se la si lascia appesa a una corda? "Lunyu", 17, 7. Quando si parla di civismo, quando si elogia il civismo, intendiamo forse parlare soltanto delle pietre preziose e delle sete che si offrono in dono? Quando si parla di musica e si elogia la musica, si parla solo di campane e di tamburi? Il civismo esige anzitutto il rispetto, la musica ha per tema principale l'armonia. Pietre preziose,

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sete, campane e tamburi sono solo accessori. "Lunyu", 17, 2. Un tempo chi aveva grandi aspirazioni tralasciava le piccole cose, ma oggi si abbandonano alla licenziosità. Un tempo quelli che erano costanti nelle loro risoluzioni si mostravano poco condiscendenti; oggi sono collerici e intrattabili. Un tempo gli ignoranti erano semplici e onesti; oggi sono subdoli. "Lunyu", 17, 16. Le donne del volgo e i servitori sono le persone meno maneggevoli. Se li trattate familiarmente vi mancano di rispetto; se mantenete le distanze brontolano scontenti. "Lunyu", 17, 24. Non bisogna disprezzare nessun mestiere, neanche il più umile; tuttavia non lo eserciti colui che intende occuparsi di grandi cose come la perfezione di se stesso e degli altri. "Lunyu", 19, 4. L'uomo ignorante colorisce sempre con una bella apparenza gli errori che ha commesso. "Lunyu", 19, 8. Il lutto è perfetto solo se il cuore prova un dolore perfetto; tutti gli altri ammennicoli sono secondari. "Lunyu", 19, 14. Se qualcuno ci viene a dire: “Non posso attraversare il mare con una montagna sotto il braccio”, questa è una impossibilità reale; ma se dice: “Non ho la forza di spezzare un ramo come mi ordina il mio superiore”, questa è una impossibilità voluta. "Mengzi", Libro primo, 1, 7g. Si conosce il peso di un oggetto pesandolo, e la sua lunghezza misurandolo. Così anche per i sentimenti del nostro cuore. "Mengzi", Libro primo, 1, 7i. Quando si vogliono pesci non si sale sugli alberi a cercarli. "Mengzi", Libro primo, 1, 7m. Inseguendo uno scopo senza averne i mezzi non solo si gettano al vento le forze dell'intelligenza e le risorse, ma di certo si attirano grandi mali. "Mengzi", Libro primo, 1, 7n. Colui che ha fame non è schifiltoso nella scelta del cibo, e né colui che ha sete nella scelta delle bevande. "Mengzi", Libro secondo, 1, 1f. Se, esaminandomi, trovo che ho torto, temo il mio avversario anche se è un semplice contadino coperto d'una tunica di lana. Se esaminando me stesso trovo che ho ragione, marcerò contro i miei avversari, fossero mille o anche diecimila. "Mengzi", Libro secondo, 1, 2e. L'uomo deve vegliare sulle sue facoltà intellettive e morali e non ledere la propria sensibilità. "Mengzi", Libro secondo, 1, 2g.

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Quando lo spirito s'applica completamente a una cosa, eccita la sensibilità. Quando la sensibilità s'applica completamente a una cosa, offusca lo spirito. Così quando un uomo corre e inciampa, la sensibilità eccitata agita e offusca lo spirito. "Mengzi", Libro secondo, 1, 2h. C'era un contadino che, disperato per il fatto che il suo grano non cresceva, passò la giornata a tirarne gli steli con le mani. Tornato a casa disse: “Sono stanco: tutto il giorno ho aiutato il grano a crescere”. I figli corsero al campo e videro gli steli oramai secchi. Al mondo molti uomini, per far crescere la loro messe, lavorano in modo altrettanto insensato. "Mengzi", Libro secondo, 1, 2m. Coloro che ritengono inutili la sensibilità, le passioni, gli affetti, e li trascurano, son come quel contadino che lascia crescere l'erba cattiva tra le messi. Coloro che usano mezzi violenti per svilupparne più rapidamente le energie son come quell'insensato che strappa la sua messe. I loro sforzi non solo sono inutili, ma sono anzi nocivi. "Mengzi", Libro secondo, 1, 2m. Se sento qualcuno pronunciare una frase inesatta, io vedo in che cosa è accecato. Se sento uno che non tiene la lingua a freno, so in quali eccessi precipita. Se sento dire una parola che conduce al male, vedo come ci si allontana dalla via della virtù. Se qualcuno pronuncia parole evasive conosco ciò che l'imbarazza e lo blocca. I difetti di un uomo che si tradisce con le parole nascono dal cuore e nuocciono alla sua condotta, e di qui ai suoi affari. "Mengzi", Libro secondo, 1, 2n. All'uomo arrivano solo quelle cose felici o infelici che egli stesso s'attira. "Mengzi", Libro secondo, 1, 4c. Il fabbricante di frecce è forse più inumano del fabbricante di corazze? Certo: chi fabbrica frecce teme che non uccidano, chi fabbrica corazze teme che non proteggano! E' così per il medico e il fabbricante di bare: il primo vuole che gli uomini guariscano, e il secondo trae profitto dalla loro morte. Si dimostra così che la scelta di una professione è importante. "Mengzi", Libro secondo, 1, 7a. E' forse saggio colui che, cercando una casa, vuole avere dei vicini disonesti? "Mengzi", Libro secondo, 1, 7b. Colui che non possiede né umanità, né saggezza, né civismo, né giustizia, è come uno schiavo: non è un uomo, è una cosa. Se colui che è sceso a questo rango infimo prova soltanto vergogna per il proprio svilimento, è come un fabbricante di frecce, che può arrossire per ciò che fa, ma continua a farlo. Invece di limitarsi a provare vergogna, inizi a coltivare le virtù umane. "Mengzi", Libro secondo, 1, 7c. E' indubbio ch'io non mi lamento per i decreti del Cielo, ma posso affliggermi per i castighi che invia. Io non mi permetto di accusare gli uomini, ma provo compassione per i castighi che si attirano. "Mengzi", Libro secondo, 2, 13a.

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Colui che mira a diventare ricco non fa beneficenza, e colui che fa beneficenza non diventa ricco. "Mengzi", Libro terzo, 1, 3c. Se mancano i laureati i contadini non saranno ben diretti, e se mancano i contadini i laureati non saranno ben nutriti. "Mengzi". Libro terzo, 1, 31. Mai un uomo ha potuto innalzare gli altri abbassando se stesso. "Mengzi", Libro terzo, 2, 1g. Huo prefetto di Lu, volendo che Confucio gli facesse visita, spiò il momento in cui Confucio non era in casa e gli mandò in dono un maialino cotto. Secondo la tradizione, infatti, quando un prefetto invia un dono a un letterato, se il letterato non è in casa a ricevere il dono deve recarsi dal prefetto per ringraziarlo di persona. Confucio allora spiò il momento in cui il prefetto non era in casa, e vi si recò per porgere il suo ringraziamento. "Mengzi", Libro terzo, 2, 7b. Supponiamo che un uomo rubi le galline del vicino. Qualcuno gli dice che questo modo di fare non è onesto, e l'invita a smettere. Che direste se l'uomo rispondesse: “Diminuirò il numero dei furti; comincerò col rubare solo una gallina al mese, e fra un anno cesserò del tutto”? Se riconoscete di violare la giustizia, cessate subito! "Mengzi", Libro terzo, 2, 8b. Gli uomini temono la morte, eppure si compiacciono di trattare gli altri in modo disumano. E' come se, temendo l'ubriachezza, cercassero di bere il più possibile. "Mengzi", Libro quarto, 1, 3. Se qualcuno ama il suo prossimo e non è riamato, consideri se la sua benevolenza è perfetta. Se qualcuno governa gli altri e non arriva a regolare correttamente la loro condotta, consideri se il suo discernimento è perfetto. Se qualcuno fa delle cortesie e non ne è ricambiato, consideri se il suo rispetto per il prossimo è perfetto. Se qualcuno nelle sue azioni non raggiunge la meta che si propone, esamini e cerchi in sé la causa degli insuccessi. Un governante sia perfetto egli stesso, e il suo popolo lo amerà. "Mengzi", Libro quarto, 1, 4. Se qualcuno non è abbastanza forte da imporre la sua volontà, dovrà obbedire oppure lottare. "Mengzi", Libro quarto, 1, 7b. Oggi i piccoli imitano i grandi, ma non hanno nessuna intenzione di sottomettersi loro. E' come se un allievo non volesse ricevere compiti dal maestro. "Mengzi", Libro quarto, 1, 7c. Se una sventura è inviata dal Cielo, è forse perfinanco possibile sfuggirla; ma se qualcuno attira su di sé la sventura con le proprie mani, è indubbio: dovrà morire. "Mengzi", Libro quarto, 1, 8c. E' impossibile parlare a un uomo che nuoce gravemente a se stesso. E' impossibile iniziare qualcosa con un uomo che trascura se stesso.

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Biasimare ciò che è onesto e giusto significa nuocere a se stessi. Blaterare che non si può essere sempre perfetti, che non si può sempre essere giusti è trascurare se stessi. "Mengzi", Libro quarto, 1, 10a. Nulla v'è di meglio nell'uomo delle sue pupille. Esse non possono nascondere ciò che nel cuore c'è di cattivo. Se il cuore è irreprensibile le pupille sono pure; se il cuore non è irreprensibile esse sono oscurate. Se ascoltando le parole di un uomo lo guardate negli occhi, che cosa vi potrà nascondere? "Mengzi", Libro quarto", 1, 15. E' abbastanza comune lodare uomini che non lo meritano e biasimare uomini che s'applicano a correggere se stessi. "Mengzi", Libro quarto, 1, 21. Gli uomini parlano senza riflettere, se non trovano nessuno che li corregga. "Mengzi", Libro quarto, 1, 22. Che grande difetto volere innanzitutto dare lezioni agli altri! "Mengzi", Libro quarto, 1, 23. Imparate anzitutto a discernere e a fuggire il male; poi sarete in grado di fare risolutamente il bene. "Mengzi", Libro quarto, 2, 8. Colui che rende pubblici i difetti degli altri dovrà poi domandarsi come fare per evitare conseguenze spiacevoli e maldicenze. "Mengzi", Libro quarto, 2, 9. E' veramente grande colui il cui cuore è come era nel giorno della sua nascita. "Mengzi", Libro quarto, 2, 12. Ciò che rende l'uomo differente dagli animali è un nonnulla che facilmente l'uomo ignorante smarrisce. "Mengzi", Libro quarto, 2, 19. Il cielo non ha due soli; l'uomo non abbia due padroni. "Mengzi", Libro quinto, 1, 4. Quando conviene andarsene presto, si parta presto; quando conviene dimorare a lungo, si dimori a lungo Quando è utile rimanere un cittadino privato, si rimanga un cittadino privato, e quando è utile assumere una carica, si assuma una carica. "Mengzi", Libro quinto, 2, 1d. Dare il segnale dell'inizio è prudenza; dare il segnale della fine è saggia abilità. La prudenza può essere comparata alla destrezza, e la saggezza alla forza. Supponiamo che tiriate a un bersaglio posto a cento passi: se soltanto lo colpite è effetto della vostra forza, ma se lo colpite nel centro è effetto della vostra destrezza. "Mengzi", Libro quinto, 2, 1f. Essere amico di qualcuno è amare la sua virtù, non prevaricare la sua condizione. "Mengzi", Libro quinto, 2, 3a.

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Si rende onore alla dignità, si rende onore alla grandezza, si rende onore alla saggezza. Sono tutte egualmente conformi alla ragione e alla giustizia. "Mengzi", Libro quinto, 2, 3e. Un uomo di cultura, risoluto a seguire i propri princìpi, li segue anche a pericolo della propria vita, così come un uomo coraggioso non si smentisce mai, anche se ne va della sua testa. "Mengzi", Libro quinto, 2, 7d. L'albero che può crescere in modo facile non si svilupperà, tuttavia, se verrà esposto un giorno al sole e dieci giorni al freddo. Raramente ho fatto visita ai capi di governo, ma non appena mi allontanavo dalla loro presenza gli adulatori raffreddavano l'ardore dei loro buoni propositi. Come avrei potuto coltivare nei loro cuori i germi dei buoni sentimenti? "Mengzi", Libro sesto, 1, 9a. Nel gioco degli scacchi non basta l'abilità per aver valore; l'acquisterete solo se in più vi applicherete completamente al gioco "Mengzi", Libro sesto, 1, 9b. Amo la vita e amo la giustizia. Se non potrò avere tutte e due, sceglierò la giustizia e sacrificherò la vita. Indubbiamente amo la vita, ma dal momento che amo altre cose più della vita, non userò a tutti i costi ogni mezzo per conservarla. Temo la morte, ma dal momento che vi sono cose che temo più della morte, vi sono anche mali che non cerco di evitare pur di non morire. "Mengzi", Libro sesto, 1, 10a. Supponiamo che un uomo sia in uno stato tale che solo una scodella di riso o una tazza di minestra lo possa tenere in vita. Se non li ha, morirà; ma se gli vengono offerti con male parole e maleducazione, foss'anche un pellegrino, meglio è che non li accetti; e se gli vengono offerti prendendolo a calci, foss'anche un mendicante, meglio è che li disdegni. "Mengzi", Libro sesto, 1, 10e. Pensiamo a un uomo il cui dito anulare è incurvato e non lo può raddrizzare. Questo difetto non è una malattia, non causa dolore, non nuoce al lavoro Tuttavia, se quest'uomo sente dire di qualcuno che gli potrà raddrizzare il suo dito, per andarlo a vedere non troverà lunga neppure la strada più lunga. Se il suo dito non è come quello degli altri uomini considera ciò un male, ma se il suo cuore non è come quello degli uomini dabbene non considera ciò un male. Ecco che cosa significa non dare la giusta importanza alle cose. "Mengzi", Libro sesto, 1, 12. Tutti conoscono il modo di coltivare e di far crescere delle piccole piante da frutto, che si possono sradicare con due mani, o con una sola; ma non sanno coltivare se stessi. Si amano forse meno di quanto amano un alberello? Ecco una mancanza estrema di riflessione. "Mengzi", Libro sesto, 1, 13. L'uomo ama ogni parte del suo corpo senza eccezione. Amandole tutte, le cura tutte senza eccezione. Poiché ama ogni piccola parte della sua pelle, non c'è piccola parte della sua pelle che non curi. Ma per sapere se veramente ama la sua persona, il solo mezzo è di sapere se ama più il suo corpo o la sua anima.

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"Mengzi", Libro sesto, 1, 14a. Colui che beve e mangia oltre misura è disprezzato, perché cura la parte meno importante di se stesso a detrimento di quella più importante. Se l'uomo mangia e beve senza pensare al suo spirito, è tutto bocca e stomaco, e nulla più. "Mengzi", Libro sesto, 1, 14c. Se un mastro carpentiere che insegna l'arte usa squadra e compasso quando è necessario, anche i suoi allievi useranno squadra e compasso quando sarà necessario. "Mengzi", Libro sesto, 1, 20. Colui che si applica ad azioni che gli procurino celebrità, in effetti lavora a favore degli altri; e colui che lavorando si disinteressa del tutto della celebrità lavora a proprio vantaggio. "Mengzi", Libro sesto, 2, 6a. Gli uomini comuni correggono i propri errori solo dopo aver commesso degli sbagli. Fanno sforzi generosi solo dopo aver avuto il cuore angosciato, e dopo aver assistito al proprio fallimento. Cominciano a capire solo quando hanno letto sui volti e udito nei discorsi degli altri quale disprezzo ha suscitato la loro condotta. "Mengzi", Libro sesto, 2, 15c. La maggior parte degli uomini agisce senza conoscere la ragione del proprio comportamento. Hanno delle abitudini, e non se ne chiedono la ragione. Continuano così per tutta la vita, senza saperne il perché. "Mengzi", Libro settimo, 1, 5. Occorre che l'uomo si vergogni delle cattive azioni. Colui che si vergogna di non avere avuto vergogna d'una cattiva azione, non commetterà più nulla di cui doversi vergognare. "Mengzi", Libro settimo, 1, 6. La vergogna è un sentimento importantissimo. Gli abili mestatori di inganni e di furbizie non arrossiscono mai. Colui che non ha più questo sentimento essenziale in un uomo buono, che potrà mai conservare di quei valori che costituiscono un uomo buono? "Mengzi", Libro settimo, 1, 7. Se un uomo ricco e potente non si inorgoglisce, allora è davvero superiore all'uomo comune. "Mengzi", Libro settimo, 1, 11. La condizione sociale cambia l'espressione del viso, la ricchezza muta il portamento esteriore. Come è forte in un uomo l'influsso del rango che riveste! Eppure ogni uomo è solo figlio di uomo. "Mengzi", Libro settimo, 1, 36a. Io non rispondo alle domande di coloro che si fanno avanti in nome del loro grado, o della loro saggezza, o della loro età, o dei servizi che m'hanno reso, o della loro vecchia amicizia per me "Mengzi", Libro settimo, 1, 43. Se qualcuno si astiene da ciò di cui meno si deve astenere, si asterrà da ogni cosa. Se qualcuno tratta male colui che dovrebbe trattare nel miglior modo, non tratterà bene nessuno. Colui che avanza troppo in fretta, presto retrocede.

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"Mengzi", Libro settimo, 1, 44. Meglio non avere affatto libri di storia, che interpretarli alla lettera. "Mengzi", Libro settimo, 2, 3. Se uno non segue la via della virtù, sarà ben difficile che riesca a imporla a qualcuno, fossero anche sua moglie e i suoi figli. Se uno impartisce ordini cattivi, sarà ben difficile che li possa far eseguire da qualcuno, fossero anche sua moglie e i suoi figli. "Mengzi", Libro settimo, 2, 9. Una cattiva annata non farà morire un uomo che ha provviste in abbondanza. La corruzione del secolo non farà vacillare colui la cui virtù è perfetta. "Mengzi", Libro settimo, 2, 10. Sui monti, un sentiero diventa un viottolo non appena è un po' battuto; ma se non viene frequentato per un po' eccolo di nuovo invaso dalle erbe. Che le cattive erbe non invadano il vostro cuore. "Mengzi", Libro settimo, 2, 21. Quando alla porta della città vediamo profondi solchi per terra, sappiamo che non può essere stato il passaggio di un solo carro a farli. "Mengzi", Libro settimo, 2, 22. L'uomo, che avendo dei talenti non conosce la grande via della saggezza, ha quanto gli occorre per attirarsi la morte. "Mengzi", Libro settimo, 2, 29. Se un uomo colto parla quando è bene tacere, lo fa per ingraziarsi con i suoi discorsi il favore di qualcuno. Se non parla quando occorre parlare, è per guadagnarsi con il suo silenzio il favore di qualcuno. In entrambi i casi è come il ladro che scavalca i muri. "Mengzi", Libro settimo, 2, 31b. Il saggio perfeziona se stesso, ed ecco che la pace regna in tutto l'impero. Il difetto comune degli uomini è quello di trascurare i propri campi e pulire quelli degli altri; di esigere molto dagli altri e imporre a se stessi solo fardelli leggeri. "Mengzi", Libro settimo, 2, 32b. Se date consigli ai grandi, non pensate al loro potere e non considerate la loro pomposa magnificenza. "Mengzi", Libro settimo, 2, 34. Passino pure davanti alla mia porta, ma sono contento che non entrino in casa mia quelli che vengono considerati virtuosi dagli stolti. Questi pretesi saggi agiscono come vogliono gli altri e ottenuta la loro approvazione se ne vantano, adulando i grandi del loro tempo. Ecco perché vengono considerati virtuosi dagli stolti. "Mengzi", Libro settimo, 2, 37d. Sembra che non vi sia in lui nulla di biasimevole, nulla di reprensibile. Nei suoi sentimenti pare sincero e degno di fede; nella condotta pare integro e lodevole; piace alla moltitudine, ed egli stesso si crede perfetto. In realtà segue la corrente, imita gli uomini viziosi del suo tempo, e non percorre in nulla la Via della

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saggezza. Ecco perché lo chiamo “un vero pericolo per la Virtù”. "Mengzi", Libro settimo, 2, 37g. Disprezzo l'apparenza senza sostanza. Spregio il loglio perché temo che possa venir confuso con il grano; la congettura speciosa perché temo che venga presa per un buon ragionamento; i discorsi ampollosi e privi di senso perché temo che si presti loro attenzione. "Mengzi", Libro settimo, 2, 37h. L'uomo comune non conosce parole elevate e non è in grado di preoccuparsi convenientemente. Non è in grado di riconoscere un uomo saggio né un funzionario onesto, per affidar loro la sua persona in modo consapevole. Negli atti e nel progredire ignora a che cosa spira; non conosce stabilità e non ha fermezza d'animo Ogni giorno cerca di fare delle scelte, ma ignora i valori. E' condotto dagli eventi e non sa dove va. Subisce la spinta dei cinque sensi e altera in se stesso la visione delle cose Ecco perché è un uomo comune. "Da Dai Liji", 40, 1. Giunge alla perfezione del carattere colui che in ogni cosa non è eccessivo. "Da Dai Liji", 41, 8. Quando le buone usanze del matrimonio decadono, i rapporti fra gli sposi diventano sregolati e le sregolatezze nocive si moltiplicano. "Da Dai Liji", 46, 2. Ascoltando le ragioni di un litigio mi rendo conto di non essere migliore degli altri, ma a me importa non dare origine a litigi. "Da Dai Liji", 46, 3. L'uomo di qualità cerca di individuare i propri difetti e li combatte. Si sforza di superare le difficoltà, di allontanarsi da desideri egoistici, e s'occupa solo di affari corretti. Si può chiamare ciò “coltivarsi”. L'uomo di qualità organizza il suo tempo per progredire. A tempo opportuno agisce; non evita ciò che è difficile, non segue solo ciò che è facile, e solo conta per lui ciò che è giusto. Inizia presto al mattino la propria opera, e alla sera la esamina. E così sino alla morte. "Da Dai Liji", 49, a. L'uomo di qualità acquisisce vaste conoscenze, ma non ne fa sfoggio. Parla poco, ma agisce; ed agisce sinceramente. Nelle azioni cerca di fare meglio degli altri, ma nelle parole è secondo agli altri. E così per tutta la sua vita. "Da Dai Liji", 49, d. Nelle azioni non cercate la gloria, ottenuto un incarico non diventate boriosi; ma fate in modo che le vostre parole vengano ripetute, e il vostro comportamento imitato. "Da Dai Liji", 49, d. L'uomo di qualità, buono in sé, si rallegra della bontà degli altri. L'uomo di qualità, valido in sé, si rallegra della validità degli altri. Ma quando si accorge di non essere valido, non ricerca l'incapacità degli altri. "Da Dai Liji", 49, m. Se non si studia da giovani, se non si segue la legge da adulti, se

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non si è in grado di insegnare ad altri da vecchi, di che utilità è stata la nostra vita? "Da Dai Liji", 49, ab. Promettere cose che non si possono mantenere è imbrogliare; occuparsi di cose che non ci interessano è vanità; dire cose comuni con frasi ampollose è vacuità; non essere utili a nessuno eppure ricevere ampie ricompense è furto; compiacersi di discorsi noiosi è confusione; condannare uomini a dure pene senza sentirsene amareggiati è delinquenza. "Da Dai Liji", 49, ad. L'aquila e il nibbio considerano bassa la montagna, e nidificano sulle sue vette; pesci, tartarughe marine e coccodrilli vivono nei bassi fondali e si nascondono sotto la superficie dell'acqua Tuttavia possono venir catturati quando si buttano sull'esca. Ecco perché il saggio non va contro giustizia, e nulla ha presa su di lui. "Da Dai Liji", 57, a. L'occhio non può vedere simultaneamente e chiaramente un oggetto a destra e uno a sinistra. L'orecchio non è in grado di percepire simultaneamente e chiaramente un rumore a destra e uno a sinistra. L'uomo consapevole non serve due padroni. "Da Dai Liji", 64, r. Colui che, ricco e potente, rimane semplice e rispettoso, che in una situazione onorevole mantiene severità ma vive secondo morale e senza arroganza, ecco uno che possiede la virtù. "Da Dai Liji", 71, ac. Guardatevi da colui che non si sa decidere, che parla senza concludere, e che non sapendo riconoscere i propri limiti affastella progetti di continuo. "Da Dai Liji", 71, am. Guardatevi dalle vanterie di chi conclude piccoli affari senza mai accedere a decisioni importanti, la cui competenza è tanto scarsa da non permettergli nulla di grande, che considera le minime cose perdendo di vista la grande pratica, e cambia spesso strada pensando sempre a se stesso. "Da Dai Liji", 71, ao. Se una pianta ha sofferto alla base, le sue foglie appassiranno. Con le foglie appassite non darà frutti. Così, se al governo mancano uomini onesti, come potrà vivere bene la gente minuta? "Da Dai Liji", 76, 6. Non sposate una ragazza la cui famiglia è sediziosa; non sposate una ragazza la cui famiglia è indisciplinata; non sposate una ragazza la cui famiglia è stata condannata; non sposate una ragazza la cui famiglia è morta ammalata. Ma soprattutto non sposate una ragazza che non ha ricevuto una buona educazione dalla madre. "Da Dai Liji", 76, 6. Morale e giustizia sono le sovrane del benessere. "Da Dai Liji", 80, 2.

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4. COLUI CHE VUOLE GIUNGERE ALLA SAGGEZZA. La menzogna è nociva, ma più nociva ancora è la calunnia, che impedisce a un uomo retto e capace di esprimere i propri talenti. "Mengzi", Libro quarto, 2, 17. Colui che perfeziona se stesso abbraccia ciò che è giusto e buono, e vi aderisce con tutte le sue forze. Lo studia completamente, se lo fa spiegare a fondo, lo medita attentamente, lo distingue chiaramente, lo esegue seriamente. Vi sono cose che non studia, ma quelle che studia non le abbandona anche se non riuscirà a capirle. Vi sono cose sulle quali non si interrogherà, ma quelle sulle quali si interroga non le abbandona, anche se non riuscirà a capirne le risposte vi sono cose sulle quali non mediterà, ma quelle sulle quali mediterà non le abbandonerà, anche se non troverà ciò che cerca. Vi saranno cose che non cercherà di distinguere, e cose che non cercherà di fare, ma quelle che distinguerà e che farà non le abbandonerà, anche se non riuscirà a farle in modo perfetto. Forse quel che altri potranno fare al primo colpo, egli riuscirà a farlo al centesimo, e quel che altri potranno fare al decimo, egli lo farà ai millesimo; ma senza dubbio colui che avrà questa condotta, da ignorante diventerà illuminato, da debole diverrà forte. "Zhongyong", 201. Colui che vuole giungere alla Saggezza fa molta attenzione alle virtù innate. Interroga, impara, sviluppa quanto più può le sue virtù e indaga i punti più sottili della legge naturale. Dà alle sue virtù tutta l'elevazione e tutta perfezione di cui è capace, e si mantiene costantemente nell'Equilibrio immutabile. Per non dimenticare ciò che ha imparato, lo ripete spesso; impara ciò che ancora non sa; coltiva e perfeziona le sue virtù; impara e osserva compiutamente le regole del civismo. "Zhongyong", 27. Se colui che coltiva la saggezza manca di compostezza non sarà rispettato, e acquisirà una conoscenza solo superficiale della virtù. Metta in primo piano la fedeltà e la sincerità, non stringa amicizia con uomini che non gli somigliano, e se cade in errore abbia il coraggio di correggersi. "Lunyu", 1, 8. Colui che vuole giungere alla Saggezza applica la propria intelligenza in ciò che riguarda il suo dovere e l'uomo ignorante in ciò che

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riguarda il suo interesse. "Lunyu", 4, 16. Al fine di non allontanarsi dalla Via diritta, colui che vuole giungere alla Saggezza studia i Libri, acquisisce molte conoscenze, e regola la sua condotta sui veri princìpi etici. "Lunyu", 6, 25. Non insegno a colui che non si sforza di capire; non aiuto nell'oratoria colui che non si sforza di esprimere il suo pensiero. Se qualcuno, dopo aver sentito esporre la quarta parte d'una teoria, non è in grado di capire da sé le altre tre parti, è inutile che io gli insegni. "Lunyu", 7, 8. Avere capacità e tacere davanti a quelli che non ne hanno; conoscere molto e chiedere il parere di chi conosce poco; sapere e considerarsi ignorante; essere ricco e comportarsi come se non si avesse; venire offesi e non ribellarsi. Ecco come si comporta un buon allievo. "Lunyu", 8, 5. Colui che vuole giungere alla Saggezza deve avere cuore grande e grande coraggio. Il fardello è pesante, e il viaggio lungo. Il suo fardello è la pratica delle virtù; non è pesante? Il suo viaggio finirà solo con la morte; non è lungo? "Lunyu", 8, 7. Se, innalzando un cumulo di terra, smettessi quando manca l'ultima badilata, tutto il mio lavoro sarebbe stato vano. Se, innalzando un cumulo di terra, vi mettessi solo una badilata di tanto in tanto, il mio lavoro avanzerebbe. "Lunyu", 9, 18. Fate procedere il discepolo per gradi. Se può solo studiare col maestro, non fatelo entrare nella Via della virtù. Se può solo entrare nella Via della virtù, fate che non vi si fissi solidamente. Se può solo fissarvisi solidamente, fate sì che non decida ancora se una legge generale si può applicare in un caso specifico. "Lunyu", 9, 28. Il timido non osa avanzare, e io gli do uno stimolo perché proceda; l'ardente ha bramosia per due, e io lo fermo e lo tiro indietro. "Lunyu", 11, 21. Poiché non trovo discepoli in grado di mantenersi costantemente nel giusto equilibrio, cerco uomini con alte aspirazioni, anche se non sono in grado di giungere così in alto, e uomini che pur non essendo intelligenti abbiano l'amore del dovere; poiché almeno i primi comunque procedono sulla Via della virtù e seguono gli esempi e gli insegnamenti dei saggi, e i secondi si astengono dal male. "Lunyu", 13, 21. Un discepolo della Saggezza che ricerca il benessere non è un vero discepolo della Saggezza. "Lunyu", 14, 3. Anche un discepolo della Saggezza può non essere perfetto, ma sicuramente non sarà mai perfetto un uomo senza princìpi. "Lunyu", 14, 7.

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Un discepolo della Saggezza perfeziona se stesso, poi fa regnare la virtù e la pace nel popolo. Ma perfezionare se stesso, e poi far regnare la virtù e la pace nel popolo è sommamente difficile. "Lunyu", 14, 45. Colui che vuole giungere alla Saggezza volge i suoi pensieri alla virtù, e non al cibo. Il contadino coltiva la terra, ma nonostante il lavoro conosce anche la carestia e la fame. Colui che vuole giungere alla Saggezza s'attira onori e ricchezze. Dedicando tutte le sue cure alla virtù non ha da temere la povertà. "Lunyu", 15, 31. E' veramente un discepolo della Saggezza colui che in presenza del pericolo espone la sua vita; che di fronte ai vantaggi offertigli ne valuta la giustizia; che nelle cerimonie in onore degli spiriti ha cura d'essere rispettoso; che nel lutto pensa solo al suo dolore. "Lunyu", 19, 1. L'artigiano che vuole eseguire bene un lavoro rimane costantemente nella sua bottega. Così colui che vuole giungere alla Saggezza assiduamente impari ed eserciti. "Lunyu", 19, 7. Solo colui che vuole giungere alla Saggezza è stabile nella virtù, anche quando non possiede beni stabili. "Mengzi", Libro primo, 1, 7r. All'uomo arrivano solo quelle cose felici o infelici che egli stesso s'attira. "Mengzi", Libro secondo, 1, 4c. Colui che coltiva in sé le virtù umane è come un arciere. L'arciere cura anzitutto la posizione, poi scocca la freccia; se questa non raggiunge il centro, egli non attribuisce la propria sconfitta a coloro che hanno vinto, ma ne cerca la causa in se stesso. "Mengzi", Libro secondo, 1, 7d. Un saggio non prende per modello l'uomo troppo rigido né quello che non possiede una sufficiente dignità. "Mengzi", Libro secondo, 1, 8e. Colui che vuole giungere alla Saggezza procede sulla vera Via a piccoli passi. Vuole arrivare a possederla perfettamente come se fosse naturale in lui. Quando è diventata naturale in lui, la mantiene serenamente. Quando la mantiene serenamente, ne trae un abbondante tesoro. Quando ha un abbondante tesoro, vi attinge e ne usa in ogni circostanza. "Mengzi", Libro quarto, 2, 14. Colui che coltiva la Saggezza ne impara tutti i precetti e li espone chiaramente, non per fare sfoggio di una grande cultura, ma per viverne l'essenza. "Mengzi", Libro quarto, 2, 15. Colui che vuole giungere alla Saggezza, divenuto l'uomo più virtuoso del suo villaggio, si lega d'amicizia a tutti gli uomini virtuosi del suo villaggio. Divenuto l'uomo più virtuoso del regno, si lega d'amicizia con tutti gli uomini virtuosi del regno. Divenuto l'uomo

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più virtuoso dell'impero, si lega d'amicizia con tutti gli uomini virtuosi dell'impero. "Mengzi", Libro quinto, 2, 8a. Se colui che s'applica allo studio della Saggezza non ha fede nei suoi princìpi, su che cosa mai baserà il suo comportamento? "Mengzi", Libro sesto, 2, 12. Si può insegnare in molti modi. Quando mi rifiuto di formare e di istruire qualcuno, anche questo mio comportamento è una lezione che gli do. "Mengzi", Libro sesto, 2, 16. Colui che vuole giungere alla Saggezza, in povertà osserva sempre la giustizia e nella prosperità non si allontana mai dalla Via della virtù. Perché in povertà possiede la giustizia ed è padrone di se stesso, e nella prosperità non inganna il popolo nelle sue speranze poiché non si allontana mai dalla Via della virtù. Nella povertà lavora in solitudine su se stesso per rendersi perfetto, e nella prosperità perfezionando se stesso rende perfetti tutti gli altri. "Mengzi", Libro settimo, 1, 9. L'acqua dapprima riempie i fossati, e poi se ne va più lontano. L'allievo della Saggezza, studiando la dottrina dei saggi, impari bene la lezione precedente prima di passare alla seguente. "Mengzi", Libro settimo, 1, 24b. Colui che vuole giungere alla Saggezza si alza al canto del gallo e s'applica nello studio e nella pratica della virtù. Colui che al canto del gallo si alza per inseguire il guadagno è discepolo d'un brigante. La distanza che separa il desiderio del guadagno dall'amore per la virtù è una distanza immensa. "Mengzi", Libro settimo, 1, 25. Colui che vuole giungere alla Saggezza è come un uomo che, scavando un pozzo, quand'anche avesse scavato per nove volte otto piedi, nondimeno continua finché trova l'acqua. "Mengzi", Libro settimo, 1, 29. Il discepolo della Saggezza è esposto più di chiunque altro agli attacchi delle malelingue. Tuttavia la calunnia non gli può nuocere. "Mengzi", Libro settimo, 2, 19. 5. IL VERO SAGGIO E' IGNOTO. Il saggio ama tutti gli uomini senza parzialità alcuna; l'uomo mediocre

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è parziale e ama pochi uomini. "Lunyu", 2, 14. Un vaso o uno strumento servono per un solo uso; non così il saggio. "Lunyu", 2, 12. Il saggio mette anzitutto in atto egli stesso ciò che vuole insegnare, e solo dopo lo insegna. "Lunyu", 2, 13. L'uomo saggio aspira alla perfezione, e l'uomo ignorante al benessere. L'uno si dedica ad osservare le leggi, l'altro ad attirarsi favori. "Lunyu", 4, 11. Quando vedete un uomo saggio cercate di eguagliarne la virtù. Quando vedete un uomo ignorante esaminate voi stessi. "Lunyu", 4, 17. Il saggio sia lento nelle promesse e rapido nelle azioni. "Lunyu", 4, 23. Il saggio aiuta gli indigenti, ma non collabora con quei ricchi che pensano solo ad aumentare il loro patrimonio; e se gli vien dato più di quanto gli occorre, lo accetta per aiutare i poveri e i bisognosi. "Lunyu", 6, 3. L'uomo perfetto pensa anzitutto a vincere le proprie passioni, e solo in un secondo tempo a trarne benefici. Ecco: solo allora è veramente perfetto. "Lunyu", 6, 20b. Un uomo saggio cerca di tirar fuori dal pozzo chi vi è caduto, ma non ci si butta anche lui. Può venir ingannato, ma non per questo è cieco. "Lunyu", 6, 24. Dovesse anche nutrirsi con poco, bere acqua e riposare la notte con la testa appoggiata su un braccio, il saggio rimarrà sereno fra le privazioni. Le ricchezze e gli onori ottenuti con cattivi mezzi sono come le nuvole che vagano nell'aria. "Lunyu", 7, 15. Saggezza è coltivare la virtù senza mai esserne sazio e insegnarla agli altri senza stancarsi mai. "Lunyu", 7, 33. Il saggio s'interessa ai precetti della saggezza e li studia. Li segue fedelmente sino alla morte, e con lo studio è consapevole del loro valore autentico. Non va in un paese minacciato dalla rivoluzione; non dimora in una nazione turbata dai dissensi. Se l'impero è ben governato egli è disponibile per incarichi sociali, ma se è mal governato si tiene invece in disparte. "Lunyu", 8, 13. Il saggio non arrossisce se, vestito d'una tunica di tela usata, si trova in mezzo a gente vestita con pellicce di volpe e di martora. "Lunyu", 9, 25.

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Un uomo perfetto parla poco, con ritegno e prudenza, perché colui che è corretto nelle parole è corretto anche nelle azioni. "Lunyu", 12, 3. L'uomo saggio non conosce rimpianto o timore. Infatti colui che esaminando il proprio cuore non vi trova difetto, che rimpianto e che timore dovrebbe avere? "Lunyu", 12, 4. Si diventa veramente saggi cercando essenzialmente d'essere fedeli e sinceri, e comportandosi con giustizia. Desiderare la vita di chi si ama e la morte di chi si odia è ingannare se stessi. "Lunyu", 12, 10. Il saggio aiuta il suo prossimo a comportarsi bene, mai a comportarsi male. Esattamente al contrario dell'ignorante. "Lunyu", 12, 15. Il saggio trova amici grazie alla propria erudizione, e l'amicizia è un modo di perfezionarsi reciprocamente. "Lunyu", 12, 23. Un saggio non fa e non dice ciò che non sa. "Lunyu", 13, 3a. Il saggio è accomodante con tutti ma non ha compiacenze colpevoli. L'ignorante è compiacente col male e non è accomodante con nessuno. "Lunyu", 13, 23. L'uomo volgare è orgoglioso ma non è mai calmo. Il saggio è calmo e non è orgoglioso. "Lunyu", 13, 26. Un saggio tende sempre all'alto, mentre l'uomo senza princìpi scende sempre più in basso. "Lunyu", 14, 24. Il saggio agisce più di quanto non parli. "Lunyu", 14, 29. Il saggio pratica tre virtù: ponderato, non s'addolora mai; prudente, non cade mai in errore; coraggioso, non ha mai timore. "Lunyu", 14, 30. E' veramente saggio colui che non sospetta in anticipo d'essere ingannato dagli uomini, né ha sfiducia in loro temendo d'essere ingannato; ma che tuttavia scopre sul nascere gli inganni e l'inaffidabilità degli altri. "Lunyu", 14, 33. Fra i saggi, molti vivono ritirati dal mondo; gli uni perché i costumi del mondo sono corrotti; altri, meno perfetti, a causa dei disordini nel loro paese; altri, ancor meno perfetti, perché nella nazione mancano le buone maniere; e altri, di qualità meno eletta, a causa delle divergenze d'opinione. "Lunyu", 14, 39. “Sette saggi si sono ritirati a vita privata.” “I loro nomi?” “Il vero saggio è ignoto.”

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"Lunyu", 14, 40. Nel bisogno il saggio si mantiene costante e coraggioso, e l'ignorante non conosce più alcuna legge. "Lunyu", 15, 1. Il saggio si basa sulla giustizia, la pratica secondo le regole stabilite dagli antichi, con modestia la espone e sinceramente la conserva. Ecco perché è saggio. "Lunyu", 15, 17. Il saggio non vuole morire finché non s'è reso degno di lode. "Lunyu", 15, 19. Il saggio s'aspetta tutto dai propri sforzi; l'ignorante s'aspetta tutto dai favori degli altri. "Lunyu", 15, 20. Il saggio è padrone di se stesso e non litiga mai; è socievole ma non prende partito. "Lunyu", 15, 21. Il saggio non affida una carica a un uomo unicamente perché l'ha sentito parlare bene; ma non respinge una buona parola per il fatto che è stata detta da un uomo cattivo. "Lunyu", 15, 22. Il saggio aderisce fortemente alla verità e al dovere; e non si attacca ostinatamente alle proprie idee. "Lunyu", 15, 36. Il saggio detesta gli uomini che non vogliono confessare la loro cupidigia e inventano pretesti per legittimarla. "Lunyu", 16, 1b. Il saggio rispetta tre cose: la legge naturale; gli uomini eminenti in virtù e dignità; le massime dei saggi. L'uomo volgare non conosce la legge naturale e non la rispetta; tratta senza rispetto gli uomini eminenti; e deride le massime dei saggi. "Lunyu", 16, 8. Il saggio rivolge un'attenzione particolare a otto cose. Veder bene ciò che guarda; udire bene ciò che ascolta; essere affabile; avere un abbigliamento irreprensibile; essere diligente nelle azioni; interrogare su ciò di cui dubita; sapere a che conduce la collera quando è scontento; e quando vuole ottenere un bene, sapere se è secondo giustizia. "Lunyu", 16, 10. E' perfetto colui che dovunque e in ogni tempo può mantenere la compostezza dei costumi, la grandezza d'animo, la sincerità, la diligenza e la benevolenza. La compostezza dei costumi ispira il rispetto, la grandezza d'animo guadagna i cuori, la sincerità ottiene fiducia, la diligenza fa fare cose utili, la benevolenza rende facile la guida degli uomini. "Lunyu", 17, 5, Il saggio pone la giustizia al disopra di tutto. Anche un dignitario molto abile inquina l'ordine se non rispetta la giustizia. Un uomo

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qualsiasi molto abile, ma senza il senso della giustizia, diventa un brigante. "Lunyu", 17, 22. Il saggio disprezza coloro che rendono pubblici gli errori e i difetti altrui; gli inferiori che denigrano chi è superiore a loro; gli intraprendenti che violano le leggi; gli audaci con poca intelligenza. Aggiungiamoci però anche quelli che si adeguano alla condotta degli altri credendo che ciò sia prudenza; quelli che non vogliono mai cedere credendo che ciò sia coraggio; quelli che rinfacciano gli errori segreti degli altri credendo che ciò sia franchezza. "Lunyu", 17, 23. Il saggio onora gli uomini virtuosi ma non respinge nessuno; elogia quelli che sono avanti nella virtù, e ha compassione per quelli che sono ancora indietro. "Lunyu", 19, 3. Il saggio mostra se stesso in tre modi diversi. Visto da lontano appare grave e serio; visto da vicino appare affabile; e quando parla si mostra inflessibile. "Lunyu", 19, 9. Il vero saggio accoglie tutte le cose: non tutte insieme ma per ordine. "Lunyu", 19, 23. Il saggio non può soffrire di vedere uccidere degli animali, dopo averli visti vivi; non può risolversi a mangiarne le carni dopo aver sentito le loro grida quando li sgozzavano. "Mengzi", Libro primo, 1, 7e. Un saggio non prende per modello l'uomo troppo rigido né quello che non possiede una sufficiente dignità. "Mengzi", Libro secondo, 1, 8e. Offrire denaro a un uomo che non lo merita è comperarlo. Un uomo saggio non si lascia intrappolare dalle tangenti. "Mengzi", Libro secondo, 2, 3c. Il saggio non prende a bordo della sua barca tutti coloro che vogliono attraversare il fiume: fa costruire un ponte. "Mengzi", Libro quarto, 2, 2. Il vero saggio s'astiene da tutto ciò che solo in apparenza è onesto e giusto. "Mengzi", Libro quarto, 2, 6. Prima di parlare o di agire il saggio non rinnova in sé la decisione d'essere coraggioso e sincero: semplicemente fa o dice ciò che è da fare o da dire secondo le circostanze, e sempre si dimostra coraggioso e sincero. "Mengzi", Libro quarto, 2, 11. Il saggio differisce dagli altri uomini perché conserva le virtù che la natura ha posto nel suo cuore. Conserva nel cuore la benevolenza e il civismo. Un uomo benevolo ama gli altri, un uomo educato rispetta gli altri. Colui che ama gli altri è amato, colui che rispetta gli altri è rispettato.

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"Mengzi", Libro quarto, 2, 28a. Non solo i saggi amano alcune cose più della vita stessa, e ne temono altre più della morte: tutti gli uomini hanno ricevuto gli stessi sentimenti. I saggi però li conservano. "Mengzi", Libro sesto, 1, 10c. La benevolenza e la giustizia bastano per saziare l'uomo saggio: e così non desidera né carni succulente né cibi squisiti. La sua fama e la sua gloria sono il suo abito splendido, e non desidera più tessuti ricchi e ricamati. "Mengzi", Libro sesto, 1, 17. Gli uomini comuni non sono in grado di apprezzare il comportamento di un saggio. "Mengzi", Libro sesto, 2, 6e. Tre cose danno al saggio una grande gioia. La prima: avere ancora padre e madre, e vedere i propri fratelli in una buona situazione. La seconda: non aver nulla di cui doversi vergognare davanti al Cielo e agli uomini. La terza: attirare a sé uomini di talento, e formarli con le proprie lezioni. Queste sono le tre cose che danno gioia a un saggio, e come vedete la dignità imperiale non è fra queste. "Mengzi", Libro settimo, 1, 20. Guarda l'oceano, e ti accorgerai di come sono piccole le pozze d'acqua. Vai alla scuola di un grande saggio, e ti accorgerai di come sono futili i discorsi degli uomini comuni. "Mengzi", Libro settimo, 1, 24a. Il saggio insegna in cinque modi: agisce su alcuni uomini come una pioggia benefica; in altri perfeziona la virtù; in altri sviluppa i talenti; ad altri ancora dà le risposte richieste; e in altri corregge e perfeziona la natura loro precipua. "Mengzi", Libro settimo, 1, 40. Un mastro carpentiere non cambia i propri arnesi per far piacere ad un apprendista maldestro; un maestro d'arco non cambia il suo modo di tirare le frecce a causa di un allievo incapace. Il saggio tira la corda dell'arco ma non scocca la freccia: segue il giusto mezzo. Lo segua chi può. "Mengzi", Libro settimo, 1, 41. Nessun saggio, mai, ha adattato i princìpi ai desideri degli uomini. "Mengzi", Libro settimo, 1, 42. La più alta perfezione del saggio si vede nell'armonia dei movimenti, dall'abbigliamento, e quando cammina. Piange i morti con rimpianto sincero, non per attirarsi la stima dei viventi. Segue la Via della virtù con costanza, ma non allo scopo di ottenere una carica o una retribuzione. Nelle parole è spontaneamente sincero, e non solo per seguire le buone regole. Il saggio obbedisce alla legge naturale e accetta le disposizioni del Cielo. "Mengzi", Libro settimo, 2, 33. Il saggio è contento che gli uomini siano buoni, ma non li costringe ad esserlo. Detesta che gli uomini siano cattivi, ma non li odia per questo né li punisce. Detesta i suoi propri errori senza cercar di scusarli. Mostra le sue qualità senza gloriarsene.

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"Da Dai Liji", 49n. Il saggio si comporta educatamente senza mettere gli altri a disagio; è tranquillo ma non negligente; è modesto ma non sottomesso; libero ma non dissoluto; è generoso ma non sperperatore; è retto ma non tagliente. "Da Dai Liji", 49q. 6. AFORISMI DI QUIETA SAGGEZZA. Il saggio non s'affligge perché gli uomini non lo conoscono: s'affligge di non essere in grado di praticare perfettamente la virtù. "Lunyu", 1, 16. Colui che dentro di sé ripassa ciò che conosce traendone nuove conoscenze ben presto potrà insegnare agli altri. "Lunyu", 2, 11. Un uomo senza virtù, diventi povero o diventi ricco, diventerà malvagio. Un uomo virtuoso trova la sua felicità nella virtù, e un uomo saggio cerca unicamente il tesoro della virtù. "Lunyu", 4, 2. Solo l'uomo virtuoso sa amare e odiare gli uomini come occorre. "Lunyu", 4, 3. Colui che s'applica seriamente a coltivare la virtù si astiene dall'operare male. "Lunyu", 4, 4.

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Colui che al mattino ha capito gli insegnamenti della saggezza, alla sera potrà morire sereno. "Lunyu", 4, 8. Non preoccupatevi se non avete un incarico; preoccupatevi invece d'essere degni di poter ricevere un eventuale incarico. Non siate in pena per il fatto che nessuno vi conosce; lavorate invece per rendervi degni di essere conosciuti. "Lunyu", 4, 14. E' facile trovare uomini dotati di eccellenti disposizioni naturali, ma è più difficile che le vogliano applicare in modo completo. Colui che, dotato d'eccellenti disposizioni, s'applica con tutte le sue forze a coltivare la virtù diventa un grande saggio, ma colui che non la coltiva sarà sempre un ignorante rozzo. "Lunyu", 5, 27. Colui le cui qualità innate prevalgono sulla cortesia nelle parole e negli atti è un uomo rozzo; colui la cui cortesia nelle parole e negli atti prevale sulle virtù interiori è come un copista di tribunale. Solo colui che possiede in egual misura virtù e cortesia è un saggio. "Lunyu", 6, 16. L'uomo prudente è come l'acqua: sempre in movimento. L'uomo perfetto è come la montagna, che permane immobile. L'uomo prudente vive tranquillo, l'uomo perfetto vive a lungo. "Lunyu", 6, 21. Questi sono i tre meriti che desidero possedere: meditare incidendo nella memoria i precetti della saggezza; imparare senza esserne mai sazio; insegnare senza stancarmene mai. "Lunyu", 7, 2. Ciò che temo è di non riuscire ad applicarmi convenientemente alla pratica della virtù, di non cercar di farmi spiegare ciò che debbo imparare, di non poter compiere pienamente ciò che so di dover compiere, e di non poter correggere i miei difetti. "Lunyu", 7, 3. Ho studiato il Libro delle Mutazioni per cinquant'anni. Se il Cielo mi darà ancora qualche anno di vita, forse potrò evitare gravi errori. "Lunyu", 7, 16. Se viaggiassi con due compagni, uno buono e l'altro malvagio, prenderei lezione da entrambi. Osserverei il buono del primo e l'imiterei; e i difetti che riconoscessi nell'altro cercherei di correggerli in me stesso. "Lunyu", 7, 21. Poiché il Cielo, dandomi la vita, ha posto in me la saggezza, di certo ha le sue ragioni. Quand'anche gli uomini mi volessero nuocere, non potrebbero resistere alla potenza del Cielo. "Lunyu", 7, 22. Vi sono, certo, uomini che tentano un'impresa alla cieca. Io, dopo aver molto ascoltato, esamino e metto a profitto ciò che mi è stato insegnato di buono; dopo aver molto visto, incido nella mia memoria ciò che ho visto di notevole. Così sono uno di quelli che vengono immediatamente dopo i grandi Saggi, nei quali le conoscenze sono

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innate. "Lunyu", 7, 26. Solo quando il freddo dell'inverno è giunto ci si accorge che il pino e il cipresso perdono le foglie dopo tutti gli altri alberi. Solo in mezzo ai vantaggi e agli svantaggi seguiti ad una rivoluzione si riconosce la costanza del saggio. "Lunyu", 9, 26. Se qualcuno parla compiutamente della virtù, non per questo è virtuoso. Solo esaminando le sue azioni saprete se non si tratta di mera apparenza. "Lunyu", 11, 20. Vincere se stessi, restituire al cuore la sua onestà innata, ecco la virtù perfetta. Se giungerete a vincere voi stessi, a riconquistare l'onestà primeva del cuore, subito l'universo intero proclamerà la vostra perfezione. Essere virtuoso dipende esclusivamente da voi stessi, e da nessun altro. "Lunyu", 12, 1. Un uomo perfetto parla poco, con ritegno e prudenza, perché colui che è corretto nelle parole è corretto anche nelle azioni. "Lunyu", 12, 3. La vita e la morte sono sottomesse ai decreti della Provvidenza; gli onori e le ricchezze dipendono dal Cielo. L'uomo saggio bada incessantemente alla propria condotta: è cortese e compie correttamente i propri doveri verso il prossimo. Nel mondo intero tutti gli uomini sono fratelli. L'uomo saggio non può ritenere di non avere fratelli. "Lunyu", 12, 5. Per essere veramente virtuosi occorre praticare la virtù piuttosto che conoscerla; fare guerra ai propri difetti e non a quelli degli altri e considerare sciocco mettere nei pericoli se stessi o i propri genitori per un momento di collera. Si può a giusta ragione considerare virtuoso colui che è amato da tutti gli uomini dabbene e odiato da tutti gli uomini viziosi. "Lunyu, 13, 24. E' uomo di virtù colui che parla quando è tempo di parlare, senza stancare il suo prossimo; ride quando è tempo di ridere, senza dispiacere a nessuno; e riceve quando è giusto ricevere, senza che nessuno abbia di che lamentarsi. "Lunyu", 14, 14. Una sola cosa basta per capire tutto: lo studio delle facoltà intellettuali e morali. "Lunyu", 15, 2. Colui che non possiede la virtù non può conoscerne né la natura né il fascino. "Lunyu", 15, 3. Un uomo sincero e veridico nelle sue parole, prudente e cauto nelle sue azioni, avrà ascendente anche fra le genti barbare; un uomo che non è né sincero né veridico nelle sue parole, e non sarà cauto e prudente nelle sue azioni non avrà ascendente nemmeno in un villaggio.

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Volete avere ascendente? Se siete in piedi immaginate di vedere accanto a voi la sincerità, la veracità, la prudenza e la precauzione; se siete sul cocchio, vedetele sedute sul mozzo. "Lunyu", 15, 5. Se rifiutate di istruire un uomo che ha le doti necessarie, lasciate nell'ignoranza un uomo che avreste potuto rendere virtuoso e saggio. Se insegnate a un uomo che non ha le doti necessarie, sprecate il vostro insegnamento. Un uomo prudente non spreca né uomini né insegnamenti. "Lunyu", 15, 7. Un uomo perfetto o un uomo che è risoluto a divenirlo non cerca di salvare la sua vita a detrimento della propria virtù. Vi sono circostanze in cui sacrificando la vita completa così la sua virtù. "Lunyu", 15, 8. Colui che si rimprovera le proprie colpe fermamente, e rimprovera quelle degli altri con dolcezza, evita il malcontento. "Lunyu", 15, 14. Quelli che si riuniscono e stanno insieme tutto il giorno senza dire nulla di buono, che seguono le luci ingannevoli della negligenza, incontreranno un gran numero di difficoltà. "Lunyu", 15, 16. L'uomo può sviluppare e perfezionare le sue virtù innate, ma le virtù di per se stesse non rendono perfetto l'uomo s'egli non compie sforzo alcuno. "Lunyu", 15, 28. Un tempo passavo giorni e giorni, e notti intere senza dormire per dedicarmi alla meditazione. Non ne ho ottenuto alcun frutto. Meglio vale studiare sui libri o a scuola. "Lunyu", 15, 30. Se qualcuno, conoscendo la dottrina dei saggi, non ha sufficiente virtù per metterla in pratica, la sua scienza non gli serve a nulla. Se qualcuno, conoscendo la dottrina dei saggi, può metterla in pratica, ma in mezzo alla gente manca di ponderazione, la gente non lo rispetta. Se qualcuno, conoscendo la dottrina dei saggi, è in grado di metterla in pratica e si mostra in pubblico ponderato, ma non sa dirigere il popolo secondo le regole stabilite, neanche questi è perfetto. "Lunyu", 15, 32. Non si può apprezzare un saggio nelle piccole cose, ma possiamo affidargliene di grandi. Non si possono affidare le grandi cose a un ignorante: lo si può apprezzare solo nelle piccole cose. "Lunyu", 15, 33. Colui che innanzitutto si applica nella pratica della virtù può rivaleggiare con un maestro nel dirigere gli altri. "Lunyu", 15, 35. Le virtù che la natura dà ad ogni essere umano sono perfette in se stesse. La differenza tra buoni e cattivi è data dalla differenza degli elementi di cui sono composti i corpi e dalle abitudini che hanno contratto. Quando un saggio insegna, sotto la sua direzione

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tutti possono recuperare la perfezione delle loro virtù innate e acquisire il merito di non essere più collocati nel novero dei malvagi. "Lunyu", 15, 38. Colui che s'applica a praticare la virtù stia attento a non cadere in questi tre errori: darsi al piacere dei sensi quando, giovane, ha il sangue e gli spiriti vitali sempre in fermento; litigare quando, in età adulta, ha il sangue e gli spiriti vitali nel pieno del loro vigore; tesaurizzare quando, vecchio, il sangue e gli spiriti vitali hanno perso la loro energia. "Lunyu", 16, 7. Coloro la cui conoscenza dei princìpi della saggezza è innata sono uomini superiori. Vengono poi quelli che acquisiscono questa conoscenza con lo studio. Al terzo: posto vengono quelli che si sforzano di acquisire la conoscenza, nonostante una intelligenza limitata. Quelli che non hanno né intelligenza né volontà d'imparare costituiscono l'ultima classe di uomini. "Lunyu", 16, 9. Quando c'è qualcosa di buono da compiere, metterci tutta l'energia, come se si temesse di non farcela; quando c'è un male da evitare, ritirarsi come se si fosse messa la mano nell'acqua bollente. "Lunyu", 16, 11. E' perfetto colui che dovunque e in ogni tempo può mantenere la compostezza dei costumi, la grandezza d'animo, la sincerità, la diligenza e la benevolenza. La compostezza dei costumi ispira il rispetto, la grandezza d'animo guadagna i cuori, la sincerità ottiene fiducia, la diligenza fa fare cose utili, la benevolenza rende facile la guida degli uomini. "Lunyu", 17, 5. Il difetto di colui che ama mostrarsi benevolo ma non impara come farlo è la mancanza di discernimento. Il difetto di colui che ama la scienza ma non lo studio è cadere nell'errore. Il difetto di colui che ama mantenere le promesse ma non impara come farlo è di recar danno al prossimo. Il difetto di colui che ama la franchezza ma non impara come farlo è la pedanteria e la mancanza di riguardo. Il difetto di colui che ama mostrarsi coraggioso ma non impara come farlo è l'anarchia. Il difetto di colui che ama la fermezza d'animo ma non impara di che cosa si tratta è la temerità. "Lunyu", 17, 9. Quelli che in apparenza seguono rigidamente i precetti della saggezza, ma non hanno energia alcuna, somigliano a quella feccia del mondo che di giorno pare onesta e di notte scavalca i muri per rubare. "Lunyu", 17, 12. La virtù è rovinata massimamente da quegli uomini che vogliono sembrare virtuosi e non lo sono. "Lunyu", 17, 13. Quando si passa la giornata a bere e a mangiare senza applicarsi a lavoro di sorta, è impossibile mantenersi virtuosi. Non esistono carte e scacchi?: giocare è perfino meglio che poltrire senza fare nulla. "Lunyu", 17, 21.

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Veramente desidera imparare colui che ogni giorno esamina e studia ciò che non ha ancora potuto capire o praticare perfettamente; e che ogni mese considera se non ha dimenticato o trascurato ciò che è riuscito a imparare. "Lunyu", 19, 5. Allargate le vostre conoscenze e abbiate una volontà incrollabile, indagate su cose utili e non su quelle curiose o inutili, pensate a ciò che vi tocca da vicino e non a ciò che non vi riguarda; allora raggiungerete la virtù perfetta. "Lunyu", 19, 6. Colui che nelle grandi cose non oltrepassa i limiti, che li oltrepassi o meno nelle piccole cose non reca danno alla sua virtù. "Lunyu", 19, 11. Un piccolo maestro è come un muro di cinta alto pochi piedi: tutti possono vedere all'interno e contemplare ciò che v'è di bello. Un grande maestro è come un muro di cinta molto alto: a meno che non se ne trovi la porta e la si superi, nessuno sarà in grado di contemplare la magnificenza dell'interno. "Lunyu", 19, 23. La gloria di un piccolo maestro è come una collina: tutti la possono calpestare facilmente. La gloria di un grande maestro è come il sole o la luna: tutti ne parlassero male, chi può recargli danno? "Lunyu", 19, 24. Colui che non conosce la legge naturale non sarà mai un saggio; colui che non conosce le regole e le usanze non sarà mai costante; colui che non sa discernere il vero dal falso nei discorsi degli uomini non li potrà frequentare. "Lunyu", 20, 3. Un principe disse: “Vorrei andare a trovare Mencio, ma non posso perché gli spifferi d'aria mi fanno male”. Il giorno dopo invitò Mencio a corte, e questi rispose: “Vorrei venire, ma non posso, perché gli spifferi d'aria mi fanno male”. "Mengzi", Libro secondo, 2, 2a. Come il compasso e la squadra servono per tracciare cerchi e quadrati perfetti, così i grandi saggi sono i modelli perfetti delle cinque virtù che gli uomini debbono praticare vicendevolmente. "Mengzi", Libro quarto, 1, 2a. L'acqua che viene da una sorgente esce a fiotti, cola senza sosta giorno e notte, riempie i ruscelli, i fiumi, va sino al mare. La pioggia cade in abbondanza, riempie tutti i canali, ma poi sparisce. Un saggio si vergogna se ha più reputazione che merito. "Mengzi", Libro quarto, 2, 18. Supponiamo che un uomo mi tratti in modo duro e scortese. Se dopo aver esaminato più volte il mio comportamento nei suoi riguardi trovo che mi sono sempre comportato con dolcezza e civismo, considererò quell'uomo un essere senza ragione. E per un essere senza ragione, perché mai dovrei tormentarmi? Il saggio viva tutta la sua vita nella sollecitudine, ma nemmeno un mattino nell'angoscia e nell'ansietà. "Mengzi", Libro quarto, 2, 28b.

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Non ho mai sentito dire che qualcuno è riuscito a riformare gli altri deformando se stesso, e ancor meno che abbia riformato l'impero disonorando se stesso. I saggi non sono vissuti tutti allo stesso modo: alcuni vissero lontani dalla corte, alcuni invece alla corte; alcuni hanno lasciato i loro incarichi, altri li hanno mantenuti. Ma tutti si sono applicati in egual modo a preservarsi da ogni macchia. "Mengzi", Libro quinto, 1, 7d. Una massima semplice nell'espressione ma dal contenuto profondo è una buona massima. Costringere se stessi ad una regola severa e diffondere ampiamente l'influsso delle proprie virtù è un buon modo d'agire. Le parole di un saggio sono chiare. "Mengzi", Libro settimo, 2, 32a. 7. PIETA' FILIALE. Non fate ciò che sapete di non dover fare; non desiderate ciò che sapete di non dover desiderare. Tanto basta. "Mengzi", Libro settimo, 1, 17. Occupare le posizioni che occupavano gli antenati, compiere le stesse cerimonie, intonare gli stessi canti, rispettare ciò che essi onorarono, amare ciò che essi amarono, render loro dopo morti gli stessi onori che ricevevano in vita, e quando sono spariti, considerarli allo stesso modo di quando erano presenti, ecco la perfezione della pietà filiale. "Zhongyong", 19. La pietà filiale che si pratica oggi consiste nel dare ai genitori ciò che è loro necessario. Ebbene, anche animali come cani e cavalli ricevono dagli uomini ciò che è loro necessario. Se ciò che si fa per i genitori non è accompagnato dal rispetto, che differenza si fa tra gli animali e loro? "Lunyu", 2, 7. Un figlio non merita il nome di figlio se non pratica la pietà filiale. Un suddito non merita il nome di suddito se non è fedele allo Stato. E così per tutte le cose "Lunyu", 6, 23.

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Nel prendersi cura di qualcuno, di chi anzitutto? Dei genitori. Assumendo la custodia di qualcuno, di chi anzitutto? Di se stessi. Se uno prende cura di se stesso sa prendersi cura dei genitori; ma non può prendersi cura dei genitori se perde se stesso. La custodia di se stesso è il fondamento di tutte le cose. "Mengzi", Libro quarto, 1, 19a. Il più grande dovere non è curare i genitori durante la loro vita, ma rendere loro gli onori dovuti dopo la morte. "Mengzi", Libro quarto, 2,13. Camminare lentamente dietro alle persone più anziane di noi significa portare loro rispetto; camminare in fretta per superarle, significa mancare loro di rispetto. Camminare lentamente è forse impossibile? No, ma molti non lo vogliono fare. "Mengzi", Libro sesto, 2, 2c. Essere scrupolosi, ecco il fondamento della pietà filiale. "Da Dai Liji", 49. Un figlio animato dalla pietà filiale non sale su pendii ripidi, non va in posti pericolosi, non cammina in luoghi che danno le vertigini. Non ride in modo indecente, non propaga i segreti che rovinano la gente, non mostra nessun adito, non incorre nel biasimo. "Da Dai Liji", 49. Un figlio animato dalla pietà filiale si preoccupa di far tacere i sediziosi, non ascolta i faziosi, e dalla sua bocca non escono mai parole che lo mettano in una situazione difficile. "Da Dai Liji", 49. Un figlio animato dalla pietà filiale non compie azioni pericolose, neanche se queste dovessero portargli la felicità. Quando parte da casa sua evita ai genitori le occasioni di restare in pena o in ansia. Sulle strade fangose e nelle vie strette non s'affretta e non supera gli altri, ed è proprio non incorrendo in pericoli che dimostra di ricordarsi dei genitori. "Da Dai Liji", 49. L'uomo dabbene è pieno d'amore per il figlio, ma non ne mostra più del dovuto. Lo guida sulla retta via, ma senza costringerlo. Fa regnare nella casa la concordia, grazie al mutuo rispetto. Ecco perché ha diritto, una volta vecchio, alla pietà filiale. "Da Dai Liji", 49. La pietà filiale di chi ha qualche potere si dimostra nel trattar bene i suoi sottoposti; la pietà filiale del povero si dimostra mangiando poco perché i genitori ne abbiano a sufficienza. "Da Dai Liji", 50. L'uomo che non è in grado di assolvere i doveri della pietà filiale non si scusi dicendo che i genitori non sono in grado di istruire convenientemente i figli; e il fratello minore che non vuole servire il fratello maggiore non si scusi dicendo che i fratelli maggiori non sono in grado di aiutare i fratelli minori. "Da Dai Liji", 51. Quando si parla con un padre, si parli dell'educazione dei figli.

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Quando si parla con i figli, si parli dei doveri della pietà filiale. "Da Dai Liji", 51. La pietà filiale dell'uomo dabbene si manifesta con la lealtà e l'amore legati da una reverente attenzione. Grave e rispettoso, l'uomo dabbene lavora in un clima di pace; sarà paziente e obbediente, allegro, di buon umore, leale, veritiero. Ecco come si manifesta la pietà filiale. "Da Dai Liji", 51. Essere rispettosi ma senza lealtà porta alla perdita di fiducia. Mangiare e bere cibi e bevande di vari sapori e godere degli agi di una bella casa, dicendo che lo si fa per far star bene i genitori, è un pretesto che nasconde un animo malvagio. "Da Dai Liji", 51. Occorre essere infaticabili: alzarsi presto la mattina, coricarsi tardi la sera, affinché nulla manchi ai genitori in un momento qualsiasi. "Da Dai Liji", 51. Un figlio animato dalla pietà filiale sarà il miglior aiuto di un principe; un fratello animato dalla pietà fraterna sarà il migliore collaboratore dei suoi superiori. "Da Dai Liji", 51. La pietà filiale si basa su tre punti: onorare i genitori, evitare loro il disonore, nutrirli convenientemente. "Da Dai Liji", 52. Siccome il nostro corpo ci è stato dato dai genitori, non averne cura è non assolvere alla pietà filiale. "Da Dai Liji", 52. Quando tutti nel paese dicono: “Beati quei genitori che hanno avuto un simile figlio!”, ciò è assolvere correttamente ai doveri della pietà filiale. "Da Dai Liji", 52. Curare i propri genitori è facile, ma occorre anche il rispetto. Il rispetto è possibile, ma è ancor meglio la pace. La pace è possibile, ma è difficile mantenerla. Ecco: mantenere per tutta la vita la pace è vera pietà filiale. "Da Dai Liji", 52. Se si potesse innalzare la pietà filiale in senso verticale, andrebbe dalla terra al cielo; se fosse posta in orizzontale, coprirebbe tutta la terra; se la dovessimo misurare, non basterebbero i giorni e le notti. La pietà filiale è la grande regola del mondo. "Da Dai Liji", 52. Fra tutti gli esseri che il cielo ha prodotto e che la terra nutre, l'essere umano è il più grande. I genitori lo mettono al mondo perfetto; e conservarlo tale è vera pietà filiale. "Da Dai Liji", 52. V'è un tempo preciso per falciare l'erba, per uccidere un animale, per abbattere un albero. Se si abbatte un solo albero o se si uccide un solo animale fuori dal tempo opportuno, si agisce contro la pietà

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filiale. "Da Dai Liji", 52. Si amano i genitori quando questi seguono la buona Via e la fanno seguire ai figli. Se non si mantengono nella buona Via, li si esorta. Se non ascoltano le esortazioni, si assumono le responsabilità al loro posto. "Da Dai Liji", 53. Se i genitori seguono la giusta Via i figli sono felici. Se i genitori non seguono la giusta Via i figli dolcemente lo fanno sapere loro. Se i genitori puniscono i figli ingiustamente, se non ascoltano gli appassionati e rispettosi consigli dei figli, se prevaricano su di loro e li trattano in modo sconveniente, non vanno più considerati dei genitori, e quei figli debbono trovare un'altra casa. Quei genitori non avranno più nessuno che renda loro il servizio funebre, e che sacrifichi sull'altare per i loro spiriti. "Da Dai Liji", 53. GLOSSARIO. Bai Juyi: poeta e funzionario di Stato (722-846). Fu tra l'altro governatore di Hangzhou nell'822, provvedendo a restaurare la Grande diga dell'Ovest. Beili: base-supporto d'una stele, per solito a forma di tartaruga con testa di drago. Caishen: dio della Ricchezza, e per conseguenza dei mercanti e del commercio, particolarmente venerato e invocato dai meno abbienti. Calligrafia: l'arte per eccellenza dei letterati cinesi. Ogni segno cinese è semantema e fonema in ragione di sei combinazioni ("liu shu"): valore pittografico, valore ideografico, combinazione semantica, combinazione fonetica, adozione, estensione; e in ciascuno si riconoscono tre elementi base: forma, suono, significato. La lunga storia della calligrafia cinese, che allinea “mani” variatissime ed è ricca di centinaia di calligrafi celebri, tra cui i grandi Wang Xizhi (303-261 avanti Cristo), Wang Xianzhi (344-388) e Zhao Mengfu (1254- 1322), trasse origine dalle scritte su ossa oracolari ("shiakuwen") e su vasi rituali di bronzo ("shinwen"). Già in periodo Qin e Han si stabilirono gli “otto stili principali”, dai quali derivarono tutti gli altri: grande sigillare ("dazhuanshu"), piccolo sigillare ("xiaozhuanshu"), a sigillo chiuso ("moyinshu"), inciso ("kefushu"), a ricciolo o a serpente ("chongshu"), ornamentale ("shushu"), a erba ("zaoshu"), cancelleresco ("lishu"). La scrittura cancelleresca, usata appunto negli uffici dalla classe dei funzionari, fu la più diffusa, quasi simbolo di cultura e di rango, mentre la scrittura a erba fu la più usata negli elaborati a intento artistico. Cao Cao: condottiero e poeta semileggendario (220-265). Unificò la Cina del Nord, ma fu poi sconfitto alla Scogliera Rossa da Sun Quan (185-252) e Liu Bei, limitandosi allora a fondare il regno di Wei,

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nello Shanxi. Principale eroe del ciclo dei Tre Regni (Sanguo), e personaggio di spicco del teatro popolare (si veda: Zhuge Liang). Cao Guojiu (si veda: Immortali). Cao Xueqin (Cao Zhan): celebre romanziere (1719-1764), autore del "Sogno nel Padiglione rosso" ("Hongloumeng"). Chenghiang (si veda: Shengxiang). "Chunqiu" (si veda: "Cronaca delle Primavere e degli Autunni"). Cina (si veda: Zhongguo). Cinque classici (Wu Jing): i cinque libri principali fra i tredici “classici”: "Yijing", "Liji", "Chunqiu", "Shujing" e "Shijing" (si veda alle singole voci). La tradizione vi aggiunge un sesto libro, andato perduto, il "Yaojing" ("Libro della musica"). Cinque elementi (si veda: Wu xing). Classi sociali: prima della dinastia Qin imperava in Cina la classe feudale. Dalla dinastia Qin (221-206 avanti Cristo) in poi la popolazione cinese fu distinta in quattro classi sociali, scalarmente importanti: funzionari, agricoltori, artigiani, mercanti. "Classico delle difficoltà" (si veda: "Nanjing"). "Cronaca delle Primavere e degli Autunni" ("Chunqiujing", "Chunqiu", "Tchouen Tsiou") o "Primavera e Autunno". Uno dei “Cinque grandi classici”, detto anche "Annali; Primavere e autunni". Sembra che sia stato compilato dagli archivisti del regno di Lu, e poi collazionato e annotato da Confucio, cui viene normalmente attribuito. Per estensione è chiamato “Periodo delle Primavere e degli Autunni” il periodo storico trattatovi, che va dal 722 al 481 avanti Cristo (o convenzionalmente dal 771 al 475), in effetti la prima parte del regno della dinastia degli Zhou dell'Est (770-256 avanti Cristo). Su quest'opera sono stati redatti tre Commentari importanti: nel 300 avanti Cristo il "Dsoshuan", di ignoto, che tratta dei costumi antichi e della cultura cinese in generale; il "Qunyang" scritto da Qunyang Qao, discepolo di Zhu Xi; il "Quliang", scritto da un allievo di Zhu Xi e adottato dalla Scuola di Shiunzi. "Da Dai Liji" ("Ta Tai Liking"): uno dei primi testi post-Confucio di un certo rilievo. Contiene ancora numerosi detti del Maestro, attendibilmente accettabili come tali. Fu redatto da due cugini: Dai il Vecchio (Da Dai) e Dai il Giovane (Siao Dai, o Tai Shieng). La stesura principe in centotrentadue capitoli venne curata da Hien, parente dell'imperatore Han Wudi (141-87 avanti Cristo). A questa vennero aggiunti altri testi, e il tutto fu risistemato da Lieu Xiang in 130 capitoli, divisi in otto parti. L'ultima stesura canonica, risalente al regno di Zhe Zheng (dinastia Yuan, 1341), è giunta a noi mancante dei primi trentotto capitoli. "Dao" ("Tao"): = strada. La Via, la giusta armonia dei composti, il conformarsi alla legge che coordina il mondo. Identifica l'equilibrio universale che il singolo individuo può raggiungere con una nobile autoeducazione e il modello vincolante del fondamento universale. Per i confuciani significa piuttosto “supremo principio dell'ordine

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cosmico, che si identifica con la verità”; per i taoisti è il principio assoluto, non definibile con parole (si veda: "Daodejing"). "Daodejing" ("Tao-te King"): traducibile con "Il Libro della Via (Dao) e della Virtù (De)", o "Il classico della Via e della Virtù". Breve raccolta di aforismi e base del Taoismo, attribuito a Laozi (Lao Tze), ma verosimilmente del Quarto secolo avanti Cristo, con aggiunte e rimaneggiamenti posteriori. E' in due volumi; il primo inizia col termine "Dao" e il secondo col termine "De", da cui il titolo. Una stesura antica, risalente al 168 avanti Cristo, è conservata nel museo di Changsha (Hunan); e comprende il primo e secondo volume in due versioni differenti. Daoshi: prete taoista. Dao Yuanming: poeta e drammaturgo (circa 372/365-427). Considerato dai poeti dei periodi Tang e Song come il maestro dei letterati cantori della natura, del vino e dei piaceri semplici della vita. "Daxue": "Il Grande insegnamento", o "La grande scienza". Uno dei “Quattro libri” confuciani, tratto dal "Liji". Contiene parole di Confucio trasmesse dall'allievo-nipote Zhengzi (Tsenzi, Tseng Tzèu), e alcuni commenti da questi dettati ai suoi discepoli. Riveduto e disposto nella forma attuale da Zhou Xi (1130-1200), allievo di Zhengzi. De: Virtù (si veda: Daodejing). Diku: prefettura; divisione amministrativa territoriale affidata a un funzionario di Stato (per solito un laureato in Lettere confuciano o taoista) e dipendente dal governo centrale. Ding (si veda: Vasi rituali). Dong Zhongshu: filosofo confuciano (circa 172-105 avanti Cristo). Diffuse la dottrina confuciana alla Corte imperiale Han, e perfezionò la teoria dei Cinque elementi (si veda: Wu xing). Per l'imperatore Han Wudi (141-87 avanti Cristo) scrisse "Magnifica rugiada degli annali Primavera e Autunno" ("Shun Xiu Fan Lu"). Dou (si veda: Vasi rituali). Du Fu: eminente poeta (712-770), cantore delle miserie del popolo nei periodi atroci delle guerre. Fajia: (si veda: Scuola legista). Fanding (si veda: Vasi rituali). Fangyi (si veda: Vasi rituali). Fantien: imitazione del Cielo. Principio fondamentale della perfezione etica confuciana. Feudalesimo: nei periodi Zhou (circa 1050-256 avanti Cristo) il governo della Cina era organizzato con un sistema feudale: il re concedeva feudi ("feng") o principati ("guo") a famiglie nobili che dovevano obbedienza assoluta al sovrano. I signori ("gong"), assistiti dai baroni ("daifu"), da alti ufficiali ("qing") e da gentiluomini

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d'arme ("shi"), aventi tutti funzioni militari, controllavano i contadini che coltivavano le terre e in caso di guerra fornivano le forze di fanteria. I nobili avevano il privilegio di eseguire i sacrifici rituali ai propri antenati e agli antenati reali, secondo una stretta gerarchia rigidamente prestabilita. Fu: ideogramma simbolizzante la felicità, la prosperità, la fortuna. Di solito inciso su coppe o vasi in forma di pipistrello. Fu: genere letterario. Dapprima poesia colta ("Elegie di Chu"), divenne poi una forma descrittiva, una specie di prosa ritmata secondo regole fisse. Fu mi: padre madre. Nel concetto confuciano lo Stato va considerato come una grande famiglia, nella quale l'imperatore è "fu mi": al contempo il padre e la madre di tutti i sudditi, che a loro volta gli debbono l'espressione della pietà filiale ("xiao"). Fu yung: Stato dipendente. Nome di quella gastaldia o sottoprefettura, di estensione inferiore ai cinquanta "li" (un "li" = 360 metri) di lato, posta alle dipendenze di uno Stato feudale, e il cui signorotto non poteva rendere visita all'imperatore. Ginkgo: genere di piante gimnosperme, comparse nel paleozoico e oggi limitate alla sola "Ginkgo biloba". Considerato in Cina albero sacro, dà un legno pregiato con cui si facevano mobili e suppellettili. "Giusto-mezzo" (si veda: "Daxue"). Gong (si veda: Templi cinesi). Gu (si veda: Vasi rituali). Guan (si veda: Templi cinesi). Guandi: dio della guerra. Guan Yu: celebre generale alleato di Liu Bei. Ucciso in un'imboscata (219), divenne un eroe del ciclo dei Tre Regni (Sanguo). Venerato come dio della guerra, e a volte come dio dei letterati. Gui (si veda: Vasi rituali). Guomindang: “Partito Nazionale del Popolo”. Nome assunto nel 1911 dall'Associazione per la rigenerazione della Cina, fondata nel 1900 da Sun Yat-sen. Han Fei: pensatore e legislatore (circa 280-234 avanti Cristo). Membro della famiglia reale Han, fu ambasciatore presso Shihuangdi, re di Qin, nel 234. Non sopportando le ripetute calunnie di cui era oggetto, si uccise. La sua opera giurisprudenziale ci è giunta quasi al completo (si veda: Scuola legista). Han Xiangzi (si veda: Immortali). Hanzong Li (si veda: Immortali). He (si veda: Vasi rituali).

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He, o He xiangu (si veda: Immortali). Hongloumeng (si veda Cao Xueqin). Hu (si veda: Vasi rituali). Hui: nome dato ai musulmani, che in Cina sono numerosi in particolare nello Xinjiang, nel Gansu e nello Shaanxi. Hui Shi: filosofo autore di paradossi e sofismi (Quarto-Terzo secolo avanti Cristo). Fu amico del filosofo taoista Zhuang Zhou. "Ijing" (si veda "Yijing"). "I King" (si veda: "Yijing"). Immortali (gli “Otto immortali ): otto filosofi taoisti, considerati a vario titolo santi protettori. Sono: 1) Hanzong Li, raffigurato con un grande mantello e un ventaglio; 2) Lou Dongbin, che ha una spada a bandoliera; 3) Zhang Guolao, a cavallo di un asino; 4) Lan Caihe, nelle sembianze di un cantante (o di una cantante) con panni laceri, piedi nudi e un flauto in mano; 5) Han Xiangzi, rappresentato come un bimbo con i capelli raccolti in due crocchie, un paniere di pesche, fiori e peonie; 6) Cao Guojiu, in abito da dignitario, con la tavoletta-scettro nelle mani, 7) He (He xiangu), con un enorme fiore di loto su una spalla; 8) Tieguai Li, appoggiato a un'asta di ferro, appare anche nelle insegne dei droghieri. Jen: perfezione morale, empatia, "pietas" che comporta la pratica della pietà filiale e l'osservanza dei princìpi morali e dei riti. Il suo principio fondamentale risiede nella “imitazione del Cielo”. Jia (si veda: Vasi rituali). Jiangnan: = a Sud del fiume. Nome dato dagli imperatori Qing alle province dello Janggsu e dell'Anhui, che si trovano appunto a Sud dello Yangzi. Jing: pozzo. L'antico sistema cinese di ripartizione della terra coltivabile: un appezzamento di un "li" quadrato (360 metri) era diviso in nove campi di cento "mu" (144 metri quadrati) ciascuno, otto dei quali assegnati ad altrettante famiglie, e uno, quello centrale, coltivato in comune per conto del governo cui andavano i raccolti a mo' di imposta, e che aveva al suo interno un pozzo per l'irrigazione. Jue (si veda: Vasi rituali). Jun: provincia. Nel periodo della Scuola legista (si veda) l'impero Qin fu diviso in trentasei province (ciascuna suddivisa in distretti), a capo di ciascuna delle quali si trovavano tre funzionari: uno civile, uno militare e uno che aveva il compito esclusivo di sorvegliare il loro operato. Junzi: figlio di sovrano. Il termine assunse con i confuciani valore di “uomo superiore”, nobile d'animo, colto e osservante. In opposizione a "xiao ren": piccolo uomo, il volgo. Kang: opera di muratura lungo una parete, percorsa da aria calda per mezzo di tubature. Nei paesi freddi del Nord di giorno vi si siede

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intorno a chiacchierare, e di notte vi si dorme sopra. Passò poi a designare anche un luogo in cui si tenevano conversazioni filosofiche semplici e bonarie. Karst: voce tedesca (l'italiano Carso), usata in Occidente per indicare anche la regione cinese in cui le rocce calcaree erose hanno dato luogo a paesaggi particolari, dipinti nei rotoli confuciani come simbologia della saggia fermezza. "Kongzi Jiayu": "I dialoghi familiari di Confucio". Raccolta di brevi dialoghi, aforismi e risposte di Confucio, non canonica, ma comunque considerata autorevole. Kuei: la tavoletta di giada, di forma oblunga, conferita ai feudatari e agli alti dignitari come simbolo della loro dignità e autorità. "Kuong Kuo Ko" ("Kong Kuoko"): manuale taoista che elenca circa 1230 azioni fra buone e cattive, con relativo punteggio. All'inizio di ogni anno se ne ricava una media, e chi ha realizzato un punteggio positivo può accostarsi a cuor sereno all'altare degli antenati. Lan Caihe: (si veda: Immortali). Laozi (Lao Tze): = il vecchio maestro. Filosofo (Sesto o Quinto secolo avanti Cristo). Sembra che sia stato direttore degli archivi reali di Zhou (oppure un semplice archivista), ricevendo in tale veste la visita di Confucio. A causa della decadenza della corte partì d'improvviso verso l'Occidente, dopo aver scritto per una guardia, Yin Xi, il "Daodejing" ("Tao-te King"). Ebbe così origine il Taoismo, dottrina che spesso contrappose i suoi seguaci al Confucianesimo. Secondo alcuni taoisti Laozi si sarebbe recato in India, dove la sua dottrina avrebbe dato origine al Buddhismo; ipotesi, questa, che suscitò in Cina forti polemiche fra taoisti e buddhisti. E' adorato come “Venerabile Sovrano dell'Origine Prima” nel complesso monastico di Wuliangguan, ad Anshan (Liaoning). In ogni caso la sua vita, piuttosto leggendaria e posta anche in dubbio da alcuni studiosi, è narrata per la prima volta da uno storico vissuto attorno al 112 avanti Cristo. Lei (si veda: Vasi rituali). Li: cerimonia, rito, pratiche rituali (si veda: "Liji"). Per Confucio il termine comprende le prescrizioni che sovrintendono all'ordine generale dell'universo, che dispone organicamente gli esseri umani e le loro azioni in seno alla società globalmente intesa. Li (si veda: Vasi rituali). Li: profitto, guadagno. Il profitto, derivato dal commercio, è per i confuciani del tutto incompatibile con la rettitudine. Li: misura di lunghezza, di circa cinquecento metri, ma variabile una provincia all'altra. Li Bai: uno dei maggiori poeti cinesi (701-762), mirabile cantore delle bellezze della natura, delle donne, del vino. Visse alla corte dell'imperatore Xuanzong, senza tuttavia, si dice, brigare cariche o appannaggi. Viaggiò molto; fu poi allontanato dalla corte e infine confinato nello Yunnan nel 757. Si dice che morì annegato nel

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tentativo di abbracciare il riflesso della luna nell'acqua. "Libro degli annali" (si veda: "Sujing"). "Libro dei riti" (si veda: "Liji"). "Libro delle odi" (si veda: "Shijing"). Liezi: filosofo taoista autore di testi fondamentali per la dottrina di Laozi. Per estensione venne chiamata Liezi la raccolta di tutta la sua opera letteraria. "Liji" ("Li King"; San Li"): uno dei “Cinque classici”* compilato sotto gli Han dell'Ovest (206 avanti Cristo-8 dopo Cristo). Conosciuto in Occidente come "Libro dei Riti", o "Memorie sulle Convenienze e Cerimonie", o "Memorie dei riti". Tratta in modo particolareggiato delle funzioni religioso-sociali. Compilato, o piuttosto collazionato dalla scuola di Confucio, nella veste attuale è un rimaneggiamento di periodo Han dell'Est (25-220). Si compone di tre parti, divise in quarantasei libri: "Zhouli", in cui è esposto storicamente il Codice di Leggi della dinastia Zhou dell'Ovest; "Yli", manuale di cerimonie pubbliche e private, religiose e civili; "Liji", insieme di commenti sui vari riti e sui doveri civici, che probabilmente contiene anche pensieri di Confucio. In un primo tempo furono inseriti in questa parte due libri classici, il "Zhongyong" e il "Taixio"; espunti poi in epoca Song (960-1276) da Sema Qang; mentre Zheng Xi, aggiungendovi due altri testi, la presentò come "I quattro libri" di Confucio ("Seshu"). Lishu: = scrittura degli scribi. Uno dei quattro stili classici, per solito utilizzato sui monumenti e sulle steli della dinastia Han (Han dell'Ovest 206 avanti Cristo-8 dopo Cristo; Han dell'Est 25-220). Consiste in caratteri quadrati arrotondati agli angoli. Liu Bei (Lieou Pei): celebre statista (161-223). Discendente dell'imperatore Jing (Han dell'Ovest), fondò la dinastia Shu-Han nel Sichuan. Avendo vinto Cao Cao (si veda) nella battaglia della Scogliera rossa, divenne una delle figure eroiche leggendarie del ciclo dei Tre Regni. Lou Dongbin (si veda: Immortali). "Lunyu": "I Dialoghi". Uno dei “Quattro libri” confuciani. E' l'opera - "fenn shang xia leàng p'en" - che fra tutte può darci un concetto abbastanza esatto del pensiero e delle azioni di Confucio. Si divide in due parti ("Shang Luniyu" e "Xia Lunyu"). Ogni parte comprende cinque libri, divisi ciascuno in due capitoli, per un totale di venti capitoletti (da 1 a 20), ognuno dei quali ha un nome. "Lun" significa porre una domanda, esaminare e discutere una questione; "yu": rispondere, spiegare. E' dunque una serie di domande e risposte fra gli allievi e il Maestro. Dei tre manoscritti più antichi il primo, contenente 21 capitoli in caratteri “capitozzo”, è stato trovato nella casa stessa di Confucio; il secondo fu trovato nel regno di Lu, e il terzo nella regione di Tsi. La veste più comune venne stabilita nel Secondo secolo avanti Cristo da Dìnsian. Lu Xun (Lou Siun): scrittore e poeta (1881-1936). La sua opera si caratterizza per una forte critica alla antica società cinese e in particolare al Confucianesimo.

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Mandarino: termine d'origine portoghese derivato dal vocabolo sànscrito "mandalin": consigliere. Utilizzato in Occidente per designare i funzionari imperiali cinesi, nel Diciannovesimo secolo entrò nell'uso comune anche in Cina. "Memorie sulle convenienze e cerimonie" (si veda: "Liji"). Mencio (Meng Ke, Meng Tzu, Mengzi Ko Ziyo): filosofo cinese (372-289 avanti Cristo), della famiglia Mengsuenn, discendente da Huan, principe di Lu. Il padre, Ki Kung, morì quando egli aveva tre anni. Mencio fu il più importante continuatore della scuola di Confucio. Insegnò per tutta la vita, e offrì i suoi consigli ai governanti pur senza accettare mai incarichi ufficiali. Sviluppò in particolare i concetti confuciani relativi alla politica e alla natura umana, e la teoria dei “semi “ delle virtù (vergogna, modestia, senso di giustizia, odio per l'ingiustizia), innati in ogni essere umano. Meng Ke (si veda Mencio). Mengzi (si veda Mencio). "Mengzi": uno dei "Quattro libri" canonici del Confucianesimo. Raccolta di citazioni, di commenti e di detti del seguace di Confucio, Mencio* (Mengzi, 372-289 avanti Cristo), che a giusta ragione si può considerare il san Paolo del Confucianesimo. E' probabilmente la più completa espressione del comportamento filosofico derivato dagli insegnamenti di Confucio, nonché del modo di concepire le relazioni sociali della burocrazia classica cinese. Miao (si veda: Templi cinesi). Mingdang: sala della luce. In un palazzo reale cinese era l'area riservata ai sacrifici al Cielo. Mozi: filosofo moralista (47C-391 avanti Cristo). Secondo una errata storiografia cinese già considerato contemporaneo di Confucio. Predicò l'amore universale, da manifestarsi verso tutti gli esseri senza distinzioni. Mu: misura di superficie; anticamente di 6,144 acri oppure più usualmente di 6,6667 acri: e oggi di circa 0,054 ha. "Nanjing": il "Classico delle difficoltà". Uno dei tre maggiori libri cinesi di medicina. Altamente reputato dai confuciani, è posteriore al celeberrimo "Huangdi Neijing", attribuito all'Imperatore Giallo, e fu completato da Bian Que (periodo dei Regni combattenti, 453-221 avanti Cristo). Comprende insegnamenti di agopuntura e cauterizzazione ("moxa"). Otto immortali (si veda: Immortali). Pailou: arco di trionfo; portico d'onore. Pan: piscina per abluzioni o vaso rituale (si veda: Vasi rituali). Penjing: giardino in miniatura, con fiori e arbusti nani (dai quali derivarono i "bonsai" giapponesi). Per estensione il termine si applica sia alle piante nane che ai piccoli giardini fatti di ceramica smaltata o, più raramente, di materiali preziosi. La più antica

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pittura murale nota raffigurante un "penjing" si trova nella tomba del principe Xhonghuai (654-684), presso Xian. Pi: disco di giada, con un grande foro rotondo al centro, forse rappresentazione del sole, o del cielo, forse augurale, o usato nei sacrifici. Secondo un'altra teoria era un litofono. Usato come distintivo di rango e come “ornamento appeso alla cintura” nelle statue di divinità femminili o di grandi dignitari. Analogo è lo strumento astronomico "hs angshi", col bordo dentellato, usato per osservare le costellazioni. Pianwen: = sentenze parallele. Scritti calligrafici stilati in onore d'un personaggio, con due frasi o due versi accoppiati, in cui le parole sono ordinate simmetricamente con uso di sinonimi e antinomi posti nei medesimi luoghi per ciascuno dei due versi o delle due frasi, secondo regole rigidamente fissate. Queste composizioni ponevano particolarmente in evidenza l'abilità dei letterati confuciani. Piba: strumento musicale a quattro corde, manico e cassa di risonanza, detto anche “chitarra cinese”. Ping (si veda: Vasi rituali). Prefettura (si veda: Diku). "Primavere e autunni" (si veda: "Cronaca delle Primavere e degli Autunni"). Qilin: animale mitologico con il corpo e le corna di cervo, la coda di bue e gli zoccoli di cavallo. Qin (si veda: Shihuangdi). Q'ing: strumento musicale a percussione, composto da quadrelle di pietra di dimensione decrescente, appese a corde. "Quattro libri" ("Shi Shu"): sono i quattro testi confuciani "Mengzi"*, "Daxue"*, "Zhongyong"* e "Lunyu"*. A questi quattro testi canonici se ne può aggiungere un quinto: "Kongzi Jiayu"*. Quattro tesori del letterato: il bastone d'inchiostro, la pietra per stemperarlo, il pennello e la carta. I più bei bastoni d'inchiostro di China (modellati per solito a forma di montagna, e anche con iscrizioni) furono eseguiti da Xi Dinggui, mille anni or sono (Museo delle Arti decorative di Pekino); le pietre per stemperarvi con acqua i bastoncini d'inchiostro provengono per solito da Shexian o da Duanxi; il pennello fu inventato dal generale Meng Tian (?-210 avanti Cristo), divinizzato per questo, e sono particolarmente apprezzati quelli di Xuanzhou; la carta fu inventata nel 105 da Cai Lun. La carta preferita per le calligrafie è quella Xuan (Xuangcheng, nell'Anhui), messa a punto in periodo Tang (618-907). Qu Yuan: il primo dei grandi poeti cinesi (circa 340-278 avanti Cristo). Compose le "Elegie di Chu", e in particolare il raffinatissimo canto elegiaco "Lisao". Reputato per la nobiltà d'animo, quando venne esiliato dalla corte di Changsha (Hunan) preferì la morte gettandosi nelle acque del Miluo. Ancor oggi, durante la Festa dei battelli-drago, gli abitanti del luogo sogliono gettare nel

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fiume, in sua memoria, dei dolci di riso. Ren: umanità, tolleranza, bontà d'animo, empatia. Assieme a "yi" (rettitudine), è una delle due virtù da porre in pratica, secondo la dottrina confuciana. Tale principio è affermato soprattutto nel "Lunyu". "Sanguozbiyanyi" ("Romanzo dei tre regni combattenti"): Uno dei romanzi cinesi più popolari, composto nel Quattordicesimo secolo e ancor oggi apprezzato. Narra vicende in parte mitiche, relative alle guerre (222-265) fra i tre regni Shu, Wei e Wu. Scuola legista ("fajia"): sistema di governo, creato dal ministro Shang Yang nel regno di Qin attorno alla metà del Quarto secolo, e sviluppato poi da altri pensatori, fra cui Han Feizi (circa 280-234 avanti Cristo). Deve il suo nome al fatto che dava importanza alle Leggi anziché ai Riti. Basata su una potente amministrazione statale che deteneva il controllo totale della nazione, la Scuola delle Leggi permise al re Zheng, del regno di Qin, di allargare il proprio potere incontrastato su gran parte della Cina, e di proclamarsi imperatore col nome di Shihuangdi*. Egli si oppose allora, violentemente, al sistema amministrativo confuciano, e nel 213 avanti Cristo ordinò il cosiddetto “Incendio dei libri” e l'esecuzione di numerosi letterati confuciani. Se: cetra. Per tradizione considerata lo strumento prediletto da Confucio, e in ogni caso dai letterati confuciani. Veniva posta su una tavola apposita, con un paravento per proteggerla, pennelli e bastoni d'inchiostro “per tenergli compagnia”, assieme a uno scacciamosche e a una pietra sonora. Gli esemplari più antichi contano sino a ventisei corde (di seta), e quelli contemporanei sette o tredici. Sentenze parallele (si veda: Pianwen). "Seu Shu pei Zheu" ("Seu Chou pei tcheu"): "La spiegazione completa dei Quattro libri". Edizione critica delle opere di Confucio, composta da Deng Lin in periodo Ming, e ripubblicato nel 1779 con ulteriori aggiunte di Dou Dingki. Contiene le annotazioni di Zhou Xi; una parafrasi "kiang"; una analisi dei capitoli e utilissime note filologiche, storiche e geografiche. "Seu Shu Zhang qiu": i "Quattro libri" di Confucio, riordinati, divisi in capitoli e annotati da Zhou Xi. E' l'edizione commentata dei testi canonici più diffusa e più seguita. Shang Yang: ministro dello Stato di Qin dal 359 al 338 avanti Cristo, esponente della lotta contro il Confucianesimo e autore del più antico testo di giurisprudenza, lo "Shangjunshu". Shangdi: “l'imperatore dall'alto”, il cielo divinizzato (si veda: Tian). Shang Yang (Gongsun Yang): esponente della Scuola legista* del periodo Qin. Arrivò a Qin nel 361 avanti Cristo e nel 336 avanti Cristo vi fu messo a morte. She: dio della terra. Divinità agricola adorata in Cina sin dal periodo paleolitico.

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Shengren: uomo con qualità eccelse, santo. Vicino allo "junren", uomo superiore, e in opposto allo "shuren", uomo comune. Shengxiang: primo ministro. Nell'impero Qin fungeva da tramite fra l'imperatore e gli alti funzionari. Da lui: dipendeva direttamente lo "yushidafu" (grande censore, incaricato di sorvegliare l'operato di tutti i funzionari). Shi Chong: generale (249-300) al servizio dell'imperatore Jin, divenne famoso per aver dilapidato in modo stravagante una ingente fortuna. Shihuangdi: primo imperatore della Cina, fondatore della dinastia Qin (221-206 avanti Cristo). Eliminato l'antico potere feudale dei Regni combattenti, unificò la Cina governandola e amministrandola con forte autoritarismo. Collegò le varie muraglie erette contro i nomadi delle steppe, creando così la “Grande muraglia cinese”, lunga circa seimila chilometri. Il suo governo burocratico (l'impero fu diviso in 36 province amministrate da uno stuolo di funzionari statali) si basava sul “legismo” (si veda: scuola legista), in opposizione anche violenta al tradizionalismo dei letterati confuciani e taoisti. Impose la normalizzazione dei pesi, delle misure e della lingua scritta. E' celebre, a Xian, la sua vastissima tomba, con il famoso “esercito di terracotta”. Gli successe il figlio Ershihuangdi (= secondo imperatore), despota imbelle, con cui la dinastia ebbe fine. Il sistema burocratico di Shihuangdi sopravvisse all'impero Qin sino agli inizi del Ventesimo secolo. "Shi Ji": "Le registrazioni dello storico". La prima storia dinastica, scritta da Sima Qian (circa 145-86 avanti Cristo). "Shijing" ("Cheu King"): "Libro delle odi" (o "Il classico della poesia"), uno dei “Cinque classici”. E' costituito da una scelta di trecentocinque poesie, divise in quattro sezioni: Costumi dei regni, Fasti minori, Fasti maggiori, Laudi. Queste poesie - temi popolari e inni religiosi - venivano per solito cantate sulle musiche "shao", "wu", "ya" e "song". Sembra che la scelta sia stata operata da Confucio sull'ampio materiale dell'antichità. Lo "Shijing" fu considerato un testo di morale e di buongoverno sin dai tempi degli Han dell'Ovest (206 avanti Cristo-8 dopo Cristo). Alla raccolta sono premesse una grande e una piccola prefazione, attribuite a Po Zuhsia, discepolo di Confucio. "Shijing" ("Chou King"): il "Libro degli annali" (il "Libro della Storia"). Uno dei "Cinque classici", antico quanto l'"Yijing". Contiene storie, discorsi, ordinanze, rescritti e sentenze degli antichi imperatori Yao, Shun e Yu il Grande. E' diviso in cinque libri, per un totale di cinquanta capitoli. Nella riedizione, dopo l'“incendio dei libri” ordinato da Qin Shihuangdi, contiene parti spurie o falsificate, e altre adattate. Secondo una pia tradizione, Confucio lo avrebbe suddiviso in cinquecento paragrafi, di cui sarebbero giunti sino a noi solo ventinove. Una edizione originale sarebbe stata trovata in periodo Han. Si (si veda: Templi cinesi). "Siku quanshu" ("Collezione completa di libri di quattro biblioteche"): enciclopedia compilata nel 1772 per ordine dell'imperatore Qianlong.

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Sima Qian: storico e poligrafo (circa 145-92 avanti Cristo). Scrisse le "Memorie stonche" ("Shiji"), prima opera cinese di storia generale. Su Dongpo (Su Shi): poeta, scrittore, pittore e magistrato (1036- 1101). Massimo esponente della letteratura nel periodo dei Song. Organizzò le costruzioni fluviali di Hangzhou. "Sujing" ("Shu King") il "Libro degli annali" (il "Libro della storia"). Contiene ordinanze, rescritti, sentenze e altri documenti relativi all'arco di tempo che va dall'imperatore Yao al sovrano Mu di Qin. Opera compilata da Confucio e dalla sua scuola. Sunzi: stratega e scrittore d'arte militare del periodo dei regni combattenti (453-221 avanti Cristo), autore del famoso trattato "L'arte della guerra". Taiji (Daiji): il “Vertice supremo” secondo i taoisti (si veda: Yang). Taiping (Daiping): la grande pace; senso di calma e di equilibrio; l'idea cosmica di un universo ordinato tranquillo cui Confucianesimo e Taoismo tendono. Taiwei (Daiwei): il Gran maresciallo. Comandante in capo dell'esercito nell'impero Qin. Veniva eletto solo nei periodi di guerra. Tang (si veda: Templi cinesi). Tao (si veda: Dao). Tao Yuanming (si veda: Dao Yuanming). "Ta Tai Liji" (si veda: "Da Dai liji"). Templi cinesi: vengono chiamati "si" i templi buddhisti e le moschee, "gong" i templi buddhisti lamaisti, "guan" i templi taoisti, "miao" i templi del culto ufficiale o confuciano, e "tang" le chiese. I nomi si applicano indifferentemente ai templi e ai monasteri. Hanno generalmente una pianta comune: muro di cinta, con portale commemorativo ("pailou") preceduto da un muretto che impedisce l'ingresso agli spiriti negativi; primo cortile con a destra la torre della campana e a sinistra il cortiletto del tamburo; a volte anche due padiglioni con ciascuno una stele su "beili"*. Da questo cortile, attraverso un portale principale si accede alla sala che contiene la statua o il simbolo della divinità. Da questa sala si passa in un secondo cortile, seguito spesso da uno, o due, o tre altri cortiletti, separati l'uno dall'altro da un tempietto consacrato a una divinità o a un attributo di questa. Il tutto si limita, di norma, al solo piano terreno. Le cosiddette pagode, torri a più piani, sono una trasposizione cinese dello stùpa buddhista indiano. Tesori (si veda: Quattro tesori del letterato). Tian: il Cielo, il cielo divinizzato, il dio del cielo, il cielo come sede del divino. Per contrapposto il mondo è detto "Tianxia": ciò che sta sotto il cielo. Tieguai Li (si veda: Immortali). Vasi rituali: serie di recipienti destinati ai sacrifici per gli

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antenati. Dapprima di terracotta, dopo l'introduzione della bronzistica dalle Steppe dell'Asia centrale in Cina, divenne la più alta espressione dell'arte cultuale. Questi vasi sono fra i più belli al mondo. Molti recano iscrizioni con date, nomi di donatori, nomi di antenati importanti, ricorrenze particolari in cui venivano fusi e donati. Le forme vennero fissate fin dalla tarda epoca Shang (Diciassettesimo secolo avanti Cristo-1025 avanti Cristo), e la loro classificazione ricalca ancor oggi quella tracciata su una epigrafe dall'archeologo di. periodo Song (960-1276), Lu Dalin (che nel 1092 pubblicava il "Kaogutu", o "Tavole archeologiche"). Si distinguono cioè in: 1) vasi per il cibo (Recipienti da cottura: "li", "ding", "xian", "yan". Recipienti per i cibi cotti: "fanding", "gui", "you", "dou"); 2) vasi per le bevande alcoliche (Brocche: "zun", "yu", "hu", "ling". Coppe: "bei", "jue", "gu". Vasi per riscaldare le bevande alcooliche o mescolarle con l'acqua: "jia", "he", "fangy"); 3) vasi da acqua (Bacinelle: "pan", "ping", "fu". Brocche: "que", "lei", "yi". Nell'ambito della tradizione codificata tutte queste forme standardizzate si prestarono tuttavia trasformazioni e interpretazioni relativamente libere Comunque le difficoltà derivate dalla suddivisione inducono ad aggiungere qui, come esempio, la più creditata fra le vecchie elencazioni, nell'originale trascrizione pre- "pinyin": cibo (pentole: "li", "ting", "hsien"; recipienti: "kuei", "tou", "uì"; acqua (abluzione cerimoniale: "p'an", "chien", "i"; recipiente: "tsun", "yu", "hu", "lei", "gang-i"); vino (coppe: "chia", "chue", "chih", "ku"; vasi per mescere: "ho", "kuang"). Completano la classe dei vasi rituali mestoli, cucchiai e campanelle di bronzo. Wang Yangming: filosofo confuciano (1472-1528), esponente della Scuola Xing Xing, che operò un rinnovamento del neo-Confucianesimo agli inizi del periodo Ming (1368-1644), dando alla corrente un afflato mistico mai prima d'allora raggiunto, pur se nella pratica mantenne un rigidismo burocraticamente formale. Wei er wu wei: fare eppure non fare. Principio dell'accettare le cose come sono senza porvi mano per modificarle, precipuo del Taoismo. Wen: le virtù letterarie, che i confuciani consideravano superiori alle virtù guerriere ("wu"). "Wen" e "wu" vennero anche intesi come opposti inconciliabili, all'incirca come "Yin" e "Yang". Wenchang: dio della Letteratura. Wu (si veda: "Wen"). Wu xing: i cinque elementi. Gli elementi che costituiscono il mondo fenomenico, conseguenti e dipendenti l'uno dall'altro: legno, fuoco, terra, metallo, acqua. La teoria dei Cinque elementi venne perfezionata dal filosofo confuciano Dong Zhongshu (circa 172-105 avanti Cristo). Xian: nome con cui era designato un distretto amministrativo in epoca Yuan (1276-1368). Xian: recipiente per cuocere a vapore i cibi (vedi: Vasi rituali). Xiao: pietà filiale. Xiao ren: piccolo uomo, inteso come uomo volgare, popolano, persona meschina.

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Xinglixue (si veda: Zhou Xi). Xing Xing (si veda: Wang Yangming). Xunzi: filosofo (289-239 avanti Cristo), esponente della Scuola legista ("fajia"). Si oppose a Confucio e a Mencio, sostenendo che la natura umana è tendenzialmente malvagia, e che l'essere umano - a differenza dagli animali - può sfuggire alla naturale tendenza al male solo con lo studio e la costrizione degli istinti. Yan: recipiente a due corpi separati da una griglia, per cuocere a vapore (vedi: Vasi rituali). Yang: il principio positivo e maschile, opposto al principio negativo (Yin). Simbolizza il cielo, la luce, l'attività, l'iniziativa, la secchezza (la vita). I due princìpi Yin e Yang regolano la vita degli esseri e delle cose in base al Dao (la Via). Uniti, ricostituiscono l'unità del Taiji (secondo i taoisti è “l'Apice supremo, origine di tutte le cose”). "Yaojing" (si veda: "Cinque classici". Yi (si veda: Vasi rituali). Yi: rettitudine. Assieme a "ren" (uomo, umanità, tolleranza, bontà d'animo) è una delle due virtù da porre in pratica, secondo la dottrina confuciana. "Yijing" ("Ijing", "I King"): il "Libro dei mutamenti" (o "Il classico della Mutazione"). E' probabilmente il libro di divinazione cinese più noto in Occidente. Verosimilmente nato da un primo nucleo costituito da semplici segni indicanti “sì” e “no”, risalente a duemila anni avanti Cristo, prese corpo quando vennero elaborati gli otto trigrammi ("pa kua") che indicano: il padre (cielo, maschio, creatore), la madre (la terra, femmina, il passivo), il primo, il secondo e il terzo figlio (eccitante, abissale, arresto) e la prima, la seconda, la terza figlia (mite, illuminante, serenità). Gli otto trigrammi si combinano poi a due a due, in 64 esagrammi, con varietà complessa di qualità, immagini e significati. Più volte rielaborato nel corso dei secoli, l'"Yijing" diede poi origine al "Libro della cassa dalla fascia d'oro", e alla fine all'opera completa quale la conosciamo oggi, con aggiunta di commenti detti "Le quattro ali", attribuiti a Confucio (o di poco a lui precedenti). Notevole l'attenzione che vi dedicò uno dei massimi psicoanalisti occidentali, Carl Gustav Jung, che scrisse la prefazione all'edizione tedesca di Richard Wilhelm (Zurich 1948). Yin: il principio negativo e femminile, opposto al principio positivo (yang). Simbolizza la terra, il buio, il riposo, l'umido (si veda: Yang, con cui è in unione per l'origine di tutte le cose secondo i taoisti). You (si veda: Vasi rituali). Yushidafu: il Grande censore. Nell'impero Qin egli dipendeva direttamente dallo "shengxiang"*, e aveva l'incarico di sorvegliare l'operato di tutti i funzionari. Zaojun: divinità o genio del focolare. Poco prima di Capodanno essa

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racconta in cielo il bene e il male compiuto nella casa. Chi vi abita gli tributa offerte rituali per ingraziarselo. Nel Palazzo imperiale di Pekino il suo altare era nel Palazzo della Tranquillità terrestre (Kunninggong), e gli venivano offerti sacrifici rituali il ventiquattresimo giorno del dodicesimo mese. Zhang Guolao (si veda: Immortali). Zhao Mingcheng: celebre epigrafista (1081-1129). Aiutato dalla moglie, la famosa poetessa Li Qinghao (circa 1084-1141), compilò un considerevole catalogo di iscrizioni su pietra e su bronzo, lo "Jinshilu". Zheng: liuto a corde di rame, la cui invenzione è attribuita al generale Meng Tian (?-210 o 205 avanti Cristo), di periodo Qin, che sarebbe stato anche l'inventore del pennello. Lo "zheng" fu considerato dai letterati confuciani simbolo di decadenza e di frivolezza. Questo strumento venne poi introdotto in Giappone ("koto") e nel Vietnam ("tranh"). Zhengming: “rettificazione dei nomi”. Importante concetto confuciano secondo il quale se i termini corrisponderanno a ciò cui si riferiscono si avrà un corretto modo di pensare. Per capire il giusto significato delle cose (il giusto nome) occorre studiare le tradizioni, la storia e i riti. Zhongguo: = i principati del centro; cioè quelli del bacino del Fiume Giallo (Huang Ho), dipendenti dal regno degli Zhou dell'Est (nel cuore stesso del bacino), e legati fra loro da riti e cultura comuni. Il nome si estese poi a tutta la Cina, e nella lingua cinese la designa ancor oggi. Altri nomi: Zhonghua: fiore centrale; Tien Hia: sotto il cielo; Zhong Kuo: regno del centro. Nel Terzo secolo avanti Cristo indiani e malesi chiamarono invece il paese “Cina” dal nome della dinastia che la dominava (221-207 avanti Cristo), i Qin (pronuncia: "cin"). Dagli indiani il nome “Cina” passò poi ai navigatori portoghesi del Sedicesimo secolo, e da questi all'Europa. Greci e Romani usavano, per eguale derivazione da Qin, i termini "Sinae" (Qin), oppure "Seres" (Shrev), che significa “produttore di seta”, dal termine cinese "ssu" (seta). Nel Medioevo la Cina venne detta in Europa "Catai", o "Chitaio", dal nome di un piccolo regno fondatovi dai Kitàn, gente mongola stanziatasi sul fiume Liao, nel Dodicesimo secolo. Zhongyin: il mantenersi equilibrati in tutte le cose; il senso comune; il giusto mezzo; anche l'aurea mediocrità. Per i confuciani è essenzialmente “la saggezza dell'equilibrio”, base di tutta la loro dottrina. Si veda anche "Zhongyong". "Zhongyong" ("Tchoung Young"): "L'invariabile medio" ("L'equilibrio immutabile"). Uno dei “Quattro libri” confuciani. Contiene gli insegnamenti morali di Confucio, espressi da lui agli allievi, raccolti in un testo da suo nipote Zhengzi, figlio di Peiu, e coordinati dall'allievo di questi, Zhou Xi. Si divide in trentatré paragrafi. Zhou Xi: filosofo cinese (1130-1200), allievo di Zhengzi. Iniziatosi allo studio del Buddhismo e del Taoismo, dopo l'incontro col maestro divenne l'iniziatore della Scuola di rinnovamento neo-confuciano Xinglixue, che proponeva un accordo tra ordine naturale e natura

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umana. Corresse, annotò e mise nella veste attuale il "Daxue" di Confucio. Per la sua grande opera di coordinatore e di sostenitore delle teorie confuciane è considerato il Tomaso d'Aquino del Confucianesimo. Zhuangzi: raccolta di testi taoisti, per la maggior parte attribuiti al filosofo e celebre scrittore Zhuang Zhou (circa 370-300 avanti Cristo). Zhuge Liang: stratega e uomo di stato (181-234). Appoggiando Liu Bei l'aiutò nella fondazione del regno di ShuHan. Diventato per il popolo un eroe semileggendario, Zhuge Liang è protagonista di numerose opere letterarie e teatrali. Zhu xi (si veda: Zhou xi). Zi yue: “il Maestro disse”. Formula che ricorre nelle citazioni delle parole di Confucio, corrispondente all'"ipse dixit" degli aristotelici, in Occidente. Zun: vaso rituale per bevande alcooliche, dapprima a forma di alta coppa, poi anche a forma di animali sacrificali quali il gufo, il montone, il bue (si veda: Vasi rituali). BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE. BEONIO BROCCHIERI, p.: "Confucio e il Cristianesimo", Torino 1973. CASTELLANI, A. (a cura di): "I Dialoghi di Confucio", Firenze 1942. CHANG, c.: "The Development of Neoconfucian Thought", New York 1962. CHEN, L.: "The Confucian Way. A New and Systemate Study of the Four Books", Taipei 1972. CHI-YUN, c.: "A life of Confucius", Taipei 1954. CHOW, YIH CHING: "La filosofia cinese", Milano 1958. COLLIS, M.: "Confucio", Milano 1971. CORRADINI, PIERO: "Confucio e il Confucianesimo", Fossano 1973. CORRADINI, PIERO: "Confucius, La via dell'uomo", Milano 1933. COUVREUR, SERAPHIN: "Les quatre livres de Confucius", Paris 1949, 1979. CREEL, HERRLER GRESSNER: "Confucius, the man and the myth", New York 1949. CREEL, HERRLER GRESSNER: "Chinese Thought from Confucius to Mao Tse

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YOUN, L. EUL SOU: "Confucius. Sa vie, son oeuvre, sa doctrine", Paris 1948. TAVOLA CRONOLOGICA DELLE DINASTIE CINESI. Neolitico (5000-2000 avanti Cristo): Periodo di Yangshao. Periodo di Longshan. Dinastia degli Xia (Ventiduesimo-Diciassettesimo secolo avanti Cristo) Dinastia degli Shang (Diciassettesimo secolo avanti Cristo-1050/1025 dopo Cristo). Dinastia degli Zhou dell'Ovest (1050/1025-771 avanti Cristo). Dinastia degli Zhou dell'Est (770-256 avanti Cristo). Epoca delle Primavere e degli Autunni (722-481 avanti Cristo). Epoca dei Regni combattenti (453-221). Dinastia degli Han dell'Ovest (206 avanti Cristo-8 dopo Cristo). Dinastia degli Xin (Wang Mang) (8-23 dopo Cristo). Dinastia degli Han dell'Est (25-220). Tre regni (Sanguo) (220-280). Regno di Wei (220-265). Regno di Shu (221-263). Regno di Wu (222-280). Dinastia dei Jin dell'Ovest (265-316). Sedici regni dei Cinque Barbari e dinastie del Nord e del Sud. (304-589). "I sedici regni". Zhao anteriori (304-329). Cheng Han (304-329). Liang anteriori (314-376). Zhao posteriori (319-351). Yan anteriori (349-370). Qin anteriori (351-394). Yan posteriori (384 409). Qin posteriori (384-417). Qin occidentali (385-431). Liang posteriori (386-403). Liang del Sud (397-414).

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Yan del Sud (400-410). Liang dell'Ovest (400-421). Liang del Nord (401-439). Xia (407-431). Yan del Nord (409-439). Wei dell'Est (534-550). Wei dell'Ovest (535-551). Qi del Nord (550-577). Zhou del Nord (557-581). Dinastia dei Tang (618-907). Cinque dinastie del Nord. (907-960). Liang posteriori (907-923). Tang posteriori (923-936). Jin posteriori (936-947). Han posteriori (947-951). Zhou posteriori (951-960). Sei dinastie del Sud: Jin dell'Est (317-420). Dinastie del Nord: Wei del Nord (386-534). Song (420-479). Qi del Sud (479-502). Liang del Sud (502-557). Liang posteriori (555-587). Chen (557-589). Dieci regni del Sud (902-979). Wu (902-937). Shu anteriori (907-925). Wu Yue (907-978). Min (909-946). Han del Sud (917-971). Ping del Sud (925-963). Chu (927-951). Shu posteriori (934-965). Tang del Sud (937-958). Han (951-979). Dinastie dei Song. Song del Nord (960-1127). Song del Sud (1127-1276). Non cinesi del Nord. Liao [Kitan] (907-1125). Jin del Nord (1125-1234). Non cinesi del Nord-Ovest. Xia dell'Ovest (1036-1227).

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Dinastia Yuan (Mongoli) (1276-1368). Dinastia dei Ming (1368-1644). Imperatori (nome d'era, o "nianhao", tra parentesi). Taizu (Hongwu), 1368-1398. Huidi (Janwen), 1398-1402. Chengzu (Yongle), 1402-1424. Renzong (Hongxi), 1424-1425. Xuanzong (Xuande), 1425-1435. Yingzong (Zhengtong), 1435-1449. Daizong (Jingtai), 1449-1457. Yingzong (Tianshun), 1457-1464. Xianzong (Chenghua), 1464-1487. Xiaozong (Hongzi), 1487-1505. Wuzong (Zhengde), 1505-1521. Shizong (Jiajing), 1521-1566. Muzong (Longqing), 1566-1572. Shenazong (Wanli), 1572-1619. Guangzong (Taichang), 1620. Xizong (Tianqi), 1620-1627. Zhuangliedi (Chongzhen), 1627-1644. Dinastia dei Qing (1644-1911). Imperatori: Shunzhi, 1644-1662. Kangxi, 1662-1723. Yongzheng, 1723-1736. Qianlong, 1736-1796. Jiaqing, 1796-1820. Daoguang, 1820-1850. Xianfeng, 1850-1862. Tongzhi, 1862-1875. Guangxu, 1875-1908. Xuantong, 1908-1911. Repubblica Cinese (1911-1949). Repubblica Popolare Cinese (dal 1949).