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Consiglio Nazionale dei Geologi 1 agosto 2017

Consiglio Nazionale dei Geologi€¦ · euro). Persiste, inoltre, il sequestro delle aree per il fallimento dell'ex società di trasformazione urbana Bagnoli Futura e la conseguente

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Consiglio Nazionale dei Geologi

1 agosto 2017

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Infrazioni Ue: oltre due miliardi recuperati tra sanzioni congelate e proventi da lotta alle frodi sui fondi 1 agosto 2017 - Giuseppe Latour

Il Governo ha tracciato il bilancio aggiornato del lavoro che l'Italia ha fatto da febbraio 2014, con l'arrivo di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, fino a oggi con Paolo Gentiloni sul fronte dell'applicazione delle norme europee

Oltre due miliardi di euro recuperati, tra sanzioni congelate, proventi da lotta alle frodi sui fondi comunitari e recupero di aiuti di Stato. Ieri il Governo ha tracciato il bilancio aggiornato del lavoro che l'Italia ha fatto da febbraio 2014, con l'arrivo di Matteo Renzi a Palazzo Chigi, fino ad oggi con Paolo Gentiloni sul fronte dell'applicazione delle norme europee. E i risultati sono misurabili, prima di tutto, in termini di risparmi per le casse dello Stato. Perché il nostro paese tre anni e mezzo fa era, come ha ricordato la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, «maglia nera dell'Ue per le procedure di infrazione». Mentre adesso si è riallineato allo standard europeo, mettendosi dietro diversi nomi importanti, come Francia, Germania e Spagna. Anche se resta qualche nodo da sciogliere, soprattutto sul fronte dell'ambiente: qui le procedure aperte sono ancora sedici, sei delle quali su acqua e discariche. «Sono risultati significativi – per Boschi -, che testimoniano il lavoro di un esecutivo attento all'amministrazione. Al momento dell'insediamento del Governo Renzi abbiamo trovato 120 procedure di infrazione attive.

Oggi abbiamo dimezzato quel dato». Le cifre dicono, infatti, che adesso siamo scesi a quota 65. Questa progressione positiva ha caratterizzato anche il contrasto alle irregolarità e alle frodi, relative principalmente all'utilizzo scorretto di fondi comunitari, con l'agricoltura tra gli osservati speciali: nel 2015 l'Italia era il quarto paese europeo, dopo Romania, Polonia e Slovacchia, con 67 casi. Adesso ci attestiamo in decima posizione, con venti casi. Discorso simile per i dossier legati al recupero degli aiuti di Stato: a gennaio 2014 quelli pendenti erano 22, adesso siamo a quota otto, quattro dei quali in via di chiusura. Solo con quest'ultimo filone di interventi sono stati raccolti 770 milioni di euro, soprattutto nel manifatturiero (352,4 milioni) e nei trasporti (337 milioni). Segno che l'impatto di tutte queste azioni è misurabile anche in termini di cassa. L'archiviazione delle procedure di infrazione, tra mancate sanzioni e attuazioni di sentenze, ha consentito di risparmiare altri 1,3 miliardi di euro. Aggiungendo anche i 220 milioni raccolti attraverso la lotta alle frodi e alle irregolarità, gli ultimi due esecutivi hanno recuperato oltre due miliardi di euro. Proprio sul fronte del contrasto alle frodi, è in arrivo una stretta ulteriore. Da settembre il Dipartimento Politiche europee attiverà insieme all'Anac, al ministero della Giustizia, alla Corte dei conti e al Dipartimento per la Coesione territoriale una cabina di regia che analizzerà la situazione delle singole regioni, partendo dalla Puglia. L'obiettivo è recuperare altri fondi e potenziare l'azione di prevenzione. Questi risultati hanno anche una conseguenza politica importante. Per il sottosegretario alle Politiche e agli Affari europei Sandro Gozi, un'Italia più affidabile può essere più "esigente" in Europa: «Dopo la riduzione delle nostre procedure d'infrazione, abbiamo più titolo per chiedere alla commissione Ue di avviare procedure per paesi che violano gli obblighi di accoglienza degli immigrati: Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. Abbiamo posto il tema dell'Europa dei valori come chiave dell'Europa che vogliamo e siamo soddisfatti che siano state avviate due procedure verso la Polonia». Restano, comunque, a nostro carico 65 procedure di infrazione aperte. Con un settore che, a leggere i numeri, incide molto più di altri. Si tratta dell'ambiente, che totalizza ben 16 procedure, alcune delle quali sono direttamente collegate a due questioni molto sensibili: le infrastrutture idriche e le discariche. Sul fronte dell'acqua le procedure sono tre, ma solo una è in stato avanzato e tra un anno circa ci porterà al pagamento di sanzioni. Anche dal lato delle discariche ci sono tre procedure pendenti, ma in due casi stiamo già pagando. Sul punto, però, Gozi ha precisato che, per come sono strutturate le norme Ue, «l'ambiente è in generale la materia sulla quale tutti i paesi membri fanno più fatica». © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Agenzia delle entrate: niente sisma bonus a chi demolisce e ricostruisce 1 agosto 2017 - Giorgio Gavelli

Presa di posizione molto restrittiva: secondo le Entrate si tratta di interventi che non danno diritto alla detrazione Irpef sulle spese per il recupero edilizio

Secondo le Entrate (Dre Emilia Romagna, risposta a interpello protocollo numero 909-345/2017) gli interventi che danno diritto alla detrazione Irpef sulle spese per il recupero edilizio agli edifici finalizzati all'adozione di misure antisismiche (articolo 16-bis, comma 1, lettera i, Tuir) non spettano in caso di demolizione e ricostruzione dell'edificio preesistente ma solo intervenendo sul consolidamento dell'edificio esistente, anche se l'intervento rientra nella definizione di ristrutturazione edilizia (articolo 3, comma 1, lettera d), Dpr 380/2001). La presa di posizione, restrittiva, è di estremo interesse, stante il rafforzamento della detrazione in esame ad opera della legge di Bilancio 2017 e la sua proroga al 31 dicembre 2021. In base alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 16-bis Tuir risultano meritevoli della detrazione d'imposta (ora nella misura del 50% su un importo di spesa non superiore a 96.000 euro) gli interventi relativi all'adozione di misure antisismiche, con particolare riguardo all'esecuzione di opere per messa in sicurezza statica, in particolare sulle parti strutturali degli edifici o complessi di edifici collegati strutturalmente. Ove riguardino i centri storici, i lavori vanno eseguiti sulla base di progetti unitari e non su singole unità immobiliari. Tralasciando gli interventi su parti comuni condominiali, l'articolo 1 della legge

di Bilancio 2017, modificando l'articolo 16 del Dl 63/2013, ha previsto che: per le spese sostenute dal 1º gennaio 2017 al 31 dicembre 2021, compresa la classificazione e verifica sismica degli immobili, le cui procedure autorizzatorie sono iniziate dal 1° gennaio 2017, su edifici in zone sismiche 1, 2 e 3 di cui all'ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri 3274/2003, riferite a costruzioni adibite ad abitazione e ad attività produttive, spetta la detrazione del 50 %, fino a una cifra complessiva di spesa non superiore a 96.000 euro per immobile per ciascun anno, da ripartirsi in cinque quote annuali; qualora dalla realizzazione degli interventi derivi una riduzione del rischio sismico che determini il passaggio ad una classe di rischio inferiore, la detrazione Irpef spetta nella misura del 70% della spesa sostenuta (80% se si verifica il passaggio a due classi di rischio inferiori: decreto 58/2017); le predette detrazioni non sono cumulabili con agevolazioni già spettanti per stesse finalità in base a norme speciali per interventi in aree colpite da eventi sismici. In sede di interpello, un contribuente intenzionato a ristrutturare un fabbricato “in zona sismica 2”, con riduzione del rischio sismico, ha interrogato l'Agenzia su alcuni aspetti sino ad ora non chiariti di questa disciplina, vale a dire: possibilità di ripartire la detrazione in dieci anni anziché in cinque (il minor periodo previsto dalla norma, se agevola i contribuenti con elevati redditi e, quindi, rilevanti carichi impositivi, pare penalizzare quelli con redditi meno significativi, che rischierebbero di perdere buona parte del bonus); se, anche per tali interventi, possa valere quanto già chiarito per i bonus edilizi, ossia che l'intervento di natura “superiore” (ad es. ristrutturazione) ha carattere assorbente rispetto a quelli di natura “inferiore” (es. manutenzione ordinaria) realizzati contestualmente nello stesso ambito (circolare 57/E/1998); se il limite di spesa previsto per gli interventi di ristrutturazione sia cumulabile, nell'ambito della stesso immobile e nello stesso periodo d'imposta, con i limiti di spesa previsti per altri interventi di recupero edilizio e di risparmio energetico. L'Agenzia non ha risposto ai quesiti, limitandosi ad osservare che, consistendo la ristrutturazione operata in un intervento di demolizione con ricostruzione (pur con la stessa volumetria dell'immobile preesistente), l'agevolazione del “sisma bonus” non spetterebbe, poiché «la formulazione letterale della norma in esame porta a ritenere che gli interventi agevolati debbano riguardare il consolidamento dell'edificio esistente e non la costruzione di un edificio che, in ogni caso, deve rispondere a determinati standard, anche di sicurezza sismica, sia che si tratti della ricostruzione di un edificio esistente, sia che si tratti di una nuova costruzione». Via libera, quindi, alla “classica” detrazione per ristrutturazione edilizia e, per spese diverse da queste ultime, alla detrazione del 65% per risparmio energetico, ma niente “bonus antisismico”. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Recupero di Bagnoli, i nodi dopo l'accordo: bonifiche, sequestri, investitori, tempi 1 agosto 2017 - Brunella Giugliano

Non è ancora chiaro quanto costerà risanare suoli e mare, e come farlo, ma c'è l'intesa su cubature e destinazioni - Obiettivo 2024

Ripristino della linea di costa con raddoppio della passeggiata a mare, rimozione integrale della colmata, conferma del Parco urbano da 120 ettari, del porto turistico di Nisida e delle volumetrie previste dal Prg. Sono i principali punti del piano che segna la tregua tra il Comune di Napoli e il Governo sul recupero dell'ex Italsider di Bagnoli, in gestazione da oltre quattro lustri. Dopo mesi di battaglie fuori e dentro le aule di tribunale, la riqualificazione dell'area riparte da un programma condiviso da completare entro il 2024, accordo siglato a Napoli il 19 luglioscorso da Governo, Regione Campania e Comune di Napoli e che dovrà essere approvato definitivamente dalla Cabina di Regia in programma a Roma il prossimo 4 agosto. L'intesa arriva a quasi tre anni dall'emanazione dell'articolo 33 dello Sblocca Italia (Legge 11 novembre 2014, n. 164) con cui venivano attribuiti ampi poteri decisionali sul sito al Commissario governativo, Salvo Nastasi, e al soggetto attuatore degli interventi, Invitalia Spa.

Per il Sindaco Luigi De Magistris si tratta di una «cornice» da riempire, dove «se ci sono cose da correggere verranno corrette». Molti, infatti, i nodi ancora da sciogliere, soprattutto su tempi e modi della bonifica delle aree a terra e dell'ambiente marino. Gli interventi previsti per Bagnoli, in particolare, sono contenuti nell'Allegato 2all'intesa, denominato "Schede tematiche" (la planimetria generale costituisce l'Allegato 1). Per descrivere il grado di condivisione tra Comune, Governo e Invitalia sulle diverse operazioni, è stato utilizzato il simbolo del semaforo: verde sui punti che godono del consenso generale, sul "cosa" fare e sul "come"; giallo invece su quelli in cui c'è il "cosa", ma non ancora il "come". Si parte dalla descrizione dei principali vincoli/criticità: la caratterizzazione dei suoli, infatti, non è ancora conclusa (i risultati, secondo Invitalia, saranno disponibili a giorni) e perciò non sono ancora determinate le modalità e l'entità delle operazioni di bonifica. Manca, inoltre, l'identificazione dell'impianto idoneo per smaltire la parte caratterizzata come «inquinata», vista la disponibilità limitata del porto di Napoli (400.000 mc) che ospiterà parte degli inerti. Altra criticità riguarda l'allocazione temporale delle risorse finanziarie per le varie operazioni (ad oggi il Governo ha stanziato 270 milioni di euro). Persiste, inoltre, il sequestro delle aree per il fallimento dell'ex società di trasformazione urbana Bagnoli Futura e la conseguente incertezza della loro disponibilità per l'attività di bonifica. Il documento elenca, poi, le "azioni di rigenerazione". Tra i risultati portati a casa dal primo cittadino partenopeo, c'è uno degli aspetti più significativi del progetto: il ripristino della linea di costa con la realizzazione di una spiaggia pubblica di due chilometri, larga dai 60 metri ai 120 metri, che sorgerà davanti a quello che attualmente è il sito occupato da Città della Scienza, la cui ricostruzione (a seguito dell'incendio del 4 marzo 2013) dovrà arretrare di 18 metri per lasciare spazio alla zona balneabile. Per completare il waterfront, è confermata la rimozione della colmata, la piattaforma di cemento e materiale di scarto dell'altoforno realizzata negli anni Sessanta. La sua completa dismissione, che ha rappresentato uno dei nodi dei negoziati, permetterà di realizzare una passeggiata a 4 metri d'altezza rispetto al mare. Il salto di quota sarà riempito con attrezzature e attività commerciali. Le uniche tre opere già completate all'interno dell'area, invece, e cioè la Porta del parco, il Parco dello

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sport e il Turtle point, potranno essere oggetto di ulteriori modifiche, anche nella destinazione d'uso, preservandone però la fruizione pubblica. Nell'area ex Eternit sarà realizzato il "Miglio azzurro", una struttura in cui collocare imprese per lo sviluppo ecosostenibile e l'economia del mare. Raddoppia la passeggiata a mare, prolungata fino alla Porta del parco, così come voluto dal Comune. Confermata la realizzazione del parco da 120 ettari previsto dal Prg. Lungo il suo perimetro sarà possibile costruire nuove residenze a volumetrie basse (saranno destinati non più di 250.000 metri cubi dei 2 milioni totali). Previste, poi, nuove strutture alberghiere in tre aree: quella lungo Nisida, fronte spiaggia, e quelle vicino alla Porta del Parco e all'ex – Acciaieria. Quest'ultima ospiterà soprattutto iniziative a carattere commerciale di eccellenza e grandi eventi. Per la sostenibilità economico finanziaria del suo recupero si prevede di ampliare l'attuale cubatura prevista per usi privati da 46.000 a 280.000 mc sui 600.000 disponibili, pari a circa 70.000 mq. Definiti anche i volumi di edificazione complessivi: il parametro medio è di 0,68 mc a mq; il totale di metri cubi è di 2,1 milioni, di cui 1,3 di nuova edificazione comprensivi dei 440mila di archeologia industriale. Il documento, poi, rinvia a specifici studi settoriali il dimensionamento del porto turistico di Nisida e il piano per i trasporti e la mobilità. Secondo quanto stabilito dal crono programma degli interventi, per la bonifica e la rigenerazione urbana dell'area ex Ilva ci vorranno 7 anni di lavori: bonifica entro il 2022 con il dragaggio dei sedimenti marini; infrastrutture a mare (porto, pontili) entro metà del 2021; rete idrica in autunno 2012; realizzazione della metropolitana nel primo semestre 2023; archeologie industriali a fine 2022, parco e nuova edificazione per fine 2024.

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Appalti, in un anno monitorate dalla Dia 35mila imprese ed emanate 168 interdettive antimafia 1 agosto 2017 - Q.E.T.

Le azioni di supporto hanno consentito alle Prefetture di procedere con 28 dinieghi di iscrizione alle white list Oltre 35.000 monitoraggi nei confronti di altrettante imprese ed in oltre 200.000 accertamenti su persone fisiche ad esse collegate: è l'attività dell'ultimo anno della Dia nel settore degli appalti pubblici. In particolare - precisa una nota - a seguito dei 60 accessi ai cantieri operati, ha proceduto al controllo di 1.747 soggetti, 698 imprese e 1.469 mezzi, impiegati in appalti del valore di oltre 11 miliardi di euro. Tale azione di supporto ha consentito alle Prefetture di emanare 168 interdittive antimafia e 28 dinieghi di iscrizione alle white list. «Questa intensa e proficua attività - prosegue la nota – si inscrive nel percorso avviato negli ultimi anni dall'Autorità di Governo, che ha posto la Dia in una posizione centrale nell'ambito del dispositivo di prevenzione e contrasto, per assicurare all'Autorità Giudiziaria e Prefettizia un apporto informativo e di analisi di assoluta rilevanza, in virtù del "suo patrimonio comune", gestito a livello centrale dall Ocap (Osservatorio Centrale sugli Appalti Pubblici). Tale struttura, interna alla Dia, è chiamata ad assolvere le funzioni di collettore degli elementi informativi raccolti dai diversi Organismi di controllo nel corso delle operazioni di accesso e monitoraggio delle Opere pubbliche». «Un modello operativo positivamente praticato anche in occasione di Expo Milano 2015 e del Giubileo straordinario della Misericordia, da ultimo replicato per la ricostruzione delle località dell'Italia Centrale colpite dai recenti eventi sismici. Ricostruzione per la quale il Ministro dell'Interno, con Direttiva del 28 dicembre 2016, ha assegnato alla Dia un ruolo baricentrico nello svolgimento delle attività di raccolta degli elementi informativi funzionali al rilascio dell'informazione antimafia».

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Permesso di costruire, in caso di ritardo il Comune deve risarcire

di Paola Mammarella

Tar Campania: se durante l’attesa le norme sono cambiate e l’intervento non è più consentito spetta un indennizzo

01/08/2017 - Se il Comune tarda nel pronunciarsi su una

domanda di permesso di costruire può arrecare un danno

permanente all’interessato e deve pagargli un risarcimento. Lo ha affermato il Tar Campania con

la sentenza 1223/2017.

Permesso di costruire e ritardo della Pubblica

Amministrazione

Nel caso preso in esame, il proprietario di un locale

commerciale aveva richiesto il permesso di costruire per

il suo ampliamento. Il Comune aveva impiegato oltre due

anni per esaminare la pratica. Nel frattempo

lo strumento urbanistico era cambiato e, a differenza

di quello precedente, non consentiva più l’intervento per cui aveva fatto domanda. Il proprietario aveva quindi chiesto un risarcimento al Comune sostenendo che, se l’Amministrazione avesse risposto nei tempi previsti, avrebbe potuto realizzare l’ampliamento e usufruirne dal punto di vista economico.

Ritardo e mancato rilascio del permesso di costruire, spetta un risarcimento

Secondo la richiesta del proprietario, il risarcimento doveva essere quantificato sulla base del mancato incremento di

valore dell’immobile, il mancato incremento del volume di affari e il fermo di cantiere.

I giudici hanno dato ragione al proprietario, ridimensionando però le sue richieste. All’interessato è stato quindi riconosciuto un risarcimento pari al mancato incremento di valore dell’immobile, più le spese legali. Respinte invece le richieste sul mancato incremento del volume di affari, perché “conseguenza solo indiretta del ritardo”, e sul fermo di cantiere visto che, non essendoci nessun permesso di costruire, nessun cantiere era autorizzato

a partire.

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Osservazioni anche sul clean energy package

Strategia energetica nazionale, cosa chiedono le Regioni «Prevedere disposizioni che limitino il consumo di suolo e la dispersione urbanistica» [1 agosto 2017]

La Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha approvato una “Posizione“ sulla proposta di Strategia energetica nazionale 2017 e sul clean energy package Ue . Il documento di 49 pagine (in allegato) è suddiviso in tre capitoli: 1. elementi di contesto (gli scenari europei e nazionali; scenario base; scenario policy); 2. approfondimento delle priorità d’azione (lo sviluppo delle rinnovabili; FER elettriche; idroelettrico; bioenergie; termodinamico; FER termiche; biomasse; solare termico; teleriscaldamento; pompe di calore; FER trasporti; mobilità elettrica; biometano; osservazioni sulla promozione delle fonti rinnovabili nel clean energy package); L’efficienza energetica (osservazioni generali; il punto di partenza per l’Italia al 2015; la declinazione degli obiettivi di riduzione dei consumi al 2030 per settore; le iniziative principali; osservazioni sul pacchetto efficienza energetica nel clean energy package); sicurezza energetica (gli obiettivi al 2030; interventi); competitività dei mercati energetici (competitività del Paese; mercato lettrico, interventi proposti sul mercato elettrico; le nuove configurazioni di

autoconsumo; osservazioni sulle proposte in tema di mercato interno dell’energia elettrica contenute nel clean energy package); tecnologia, ricerca e innovazione; 3. Il percorso della Sen e la relativa governance (il patto dei Sindaci) Per quanto riguarda gli scenari europei e nazionali e quelli definiti a livello europeo, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome dice di condividere «gli obiettivi proposti dalla Commissione Europea al 2030 su emissioni (-40%), efficienza(-30%) e quota FER su consumi finali lordi (27%); la proposta di estensione dell’Effort Sharing Decision al 2030 che ha fissato nuovi target obbligatori di riduzione delle emissioni da settori non-ETS per gli Stati membri (per l’Italia: -33% rispetto al 2005)» e le Regioni «esprimono un giudizio positivo per l’inglobamento di tali obiettivi nella Sen». Sulle prime ipotesi di scenari nazionali e indicazioni per successivi sviluppi dello scenario base, Regioni e Province autonome definiscono «confortante» lo scenario tendenziale di base perché «evidenzia la stabilizzazione dei consumi, la crescita delle FER e la riduzione dei gas serra». Ma sottolineano che «le figure 7 e 8 mostrano un aumento al 2020 dei consumi di energia primaria (sia nello scenario Base che in quello Primes), una crescita non scontata per le FER (per le quali emergono differenze tra le previsioni dei due scenari) e un tendenziale aumento dei consumi relativi al settore residenziale nonostante le politiche sino qui adottate per ridurre i consumi energetici di tale settore». Secondo la Conferenza delle Regioni, «Tali dati, insieme a quelli sull’andamento dell’installazione di impianti FER e ai consumi elettrici del settore terziario, portano a ritenere la riduzione dei consumi finali prevista nello scenario di policy per il 2020, non scontata in assenza di azioni che consentano un cambio di passo rispetto alle politiche sin qui perseguite. Pertanto, tenendo conto della riconosciuta difficoltà di raggiungere la percentuale di riduzione dei consumi prevista per i settori non ETS e della conseguente necessità di sostenere politiche dispendiose, le Regioni chiedono di prevedere disposizioni che limitino il consumo di suolo e la dispersione urbanistica, dal momento che l’espansione dei confini urbani comporta l’estensione dei servizi a rete, con conseguente aumento dei consumi energetici necessari per il loro corretto funzionamento, e induce all’incremento degli spostamenti su gomma con mezzi individuali». Le Regioni chiedono anche «la codifica di uno scenario policy definitivo aderente allo scenario EUCO30 per la quota FER sui consumi finali pari a 28,7% con le relative quote specifiche (FER-E~51.9%, H&C~31.2% e T~17.4%)». L’atra richiesta avanzata al Governo dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome è quella di «Valutare la possibilità di adottare lo Scenario EUCO30 anche relativamente al livello di consumo finali (107 MTep) ed al fabbisogno di energia primaria (136,3 MTep). Tale esplicitazione si combina con l’adesione allo scenario di phase-out completo dal carbone sulla generazione termoelettrica al 2030».

Allegati

Posizione delle Regioni su Strategia Energetica Nazionale

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Consiglio di Stato: OK sul Piano Triennale ma riserve sulle

incompiute

01/08/2017

Con nota n. 1806 del 27 luglio 2017, la

Commissione speciale del Consiglio di Stato ha

reso noto il parere sullo "Schema di decreto del

Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di

concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze recante “Procedure e schemi-tipo per la

redazione e la pubblicazione del programma

triennale dei lavori pubblici, del programma

biennale per l’acquisizione di forniture e servizi e dei relativi elenchi annuali e aggiornamenti

annuali, attuativo dell’articolo 21, comma 8 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, come

modificato dal decreto legislativo 19 aprile 2017

n. 56”".

Tra le osservazioni contenute nel decreto del parere del Consiglio di Stato, al comma 5, il Consiglio di Stato si è

espresso riguardo la “Programmazione dei lavori pubblici, in particolare a quella delle opere incompiute”.

Il parere del CdS sulle opere incompiute Attraverso il SIMOI (Sistema informativo di monitoraggio delle opere incompiute), che raccoglie l’anagrafe delle opere pubbliche incompiute, di competenza delle amministrazioni statali, regionali e locali, è risultato che la causa del

blocco dei lavori sia dovuto:

per mancanza di fondi;

a interruzioni per cause tecniche;

al fallimento dell’impresa esecutrice; allo scarso interesse per il completamento delle opere;

al ritardo nell’ultimazione dei lavori.

Interruzioni e sospensioni, protratte negli anni, che hanno comportato il mancato rispetto dei tempi di consegna,

assieme a un rilevante aumento dei costi. Mancata consegna dei lavori, che secondo il Consiglio di Sato, determina

uno uso poco efficiente delle risorse pubbliche e l’impossibilità alla collettività di godere di un bene comune. Il Consiglio di Stato fa pure rilevare come, spesso, la prassi dell’inizio dell’opera pubblica sia finalizzata in alcuni casi, al solo scopo di “ottenere una corsia preferenziale” per l’accesso a ulteriori fondi pubblici per poterle portare a ultimazione, facendo intenzionalmente lievitare i costi di ultimazione lavori. E le opere incompiute in Italia sono

davvero tante (leggi articolo).

Per tali motivi, il Consiglio di Stato ricorda ai legislatori che l’art. 21, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016 prescrive l’obbligo per le amministrazioni che hanno chiesto finanziamenti, di effettuare una ricognizione delle opere rimaste incompiute per poterle includere nei prossimi piani triennali degli investimenti. Ovviamente a discapito

dei nuovi progetti.

Innovazione informatica Un'innovazione, quella informatica delle opere incompiute, a cui secondo il Consiglio di Stato, rispetto a quanto

stabiliva l’art. 128 d.lgs. n. 163/2006, che prevedeva soltanto “il completamento dei lavori già iniziati” col SIMOI, le amministrazioni, oltre al solo completamento, potranno optare anche per:

eventuale riutilizzo;

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ridimensionamento;

cambio di destinazione d’uso; cessione a titolo di corrispettivo;

realizzazione di altra opera;

demolizione alternativa.

Documento di fattibilità Per questo motivo, nel correttivo emesso sul programma triennale delle opere pubbliche, il Consiglio ha inserito che le

amministrazioni dovranno fare approvare preventivamente, ove previsto per le imprese, il documento di fattibilità, in

alternativa al progetto iniziale, di cui all'art. 23, comma 5, del codice. Nel riconsegnare il parere al MIT, Il Consiglio

di Stato, ha pure fatto rilevare la necessità, nel documento finale, di assicurare anche il compimento dei lavori di

ricostruzione, riparazione e ripristino conseguenti ai terremoti.

L’urbanistica partecipata: Il “débat public” Al fine di una urbanistica partecipata, per rendere più partecipe la cittadinanza al dibattito pubblico, sullo stile francese

del débat public, i cittadini devono poter partecipare, con interventi e partecipazione ai progetti organizzativi, con

l’obiettivo - secondo il parere del Consiglio di Stato - di dare “parola” a tutte le parti interessate, cittadini ed Enti, in modo tale da potere arricchire lo schema iniziale del progetto di fattibilità, prevenendo futuri contenziosi, e portando a

termine le opere finanziate nei tempi e secondo i costi previsti dai contratti.

L’iter del documento delle OO.PP. triennali Il documento finale, munito di parere favorevole, e delle osservazioni del Consiglio di Stato, scaturite in sede di

Conferenza Unificata Regioni-EELL, è stato spedito al Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della

Presidenza del Consiglio dei Ministri per a prosieguo del presente iter:

7/12/2016 il MIT chiede parere sullo schema di regolamento;

13/2/2017 il Consiglio di Stato esprime il parere n. 351/2017;

19/4/2017 viene aggiornato il “codice dei contratti pubblici”; 20/6/2017 il MIT chiede nuovo parere al Consiglio di Stato;

27/7/2017 il Consiglio di Stato emette parere favorevole n.1806, munito di osservazioni.

A cura di Salvatore Sbacchis

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Certezza dei Pagamenti, ANCE: errore legare agibilità al

pagamento dei professionisti

01/08/2017

“Se l’iniziativa non venisse dal M5S, verrebbe da pensare che persino gli integerrimi grillini hanno

adottato il malcostume della vecchia politica di

inserire mance elettorali a fine legislatura. Ma se così

non è - come noi riteniamo - come mai

l’emendamento alla legge sull’edilizia che vincola il rilascio del certificato di agibilità di un immobile, si

limita a richiedere l’autocertificazione dell’avvenuto pagamento solo dei progettisti e dei direttori dei

lavori, e non anche di tutti gli altri soggetti che hanno

partecipato alla realizzazione dell’opera, dall’impresa agli artigiani edili, dagli impiantisti agli

autotrasportatori, fino ai fornitori dei materiali e ai lavoratori?"

Queste le parole di Santo Cutrone, presidente dell’Ance Sicilia, in riferimento all'emendamento al Disegno di legge n. 1259 approvato dalla IV Commissione dell'Assemblea Regionale Siciliana (ARS) con in quale viene modificata

la legge regionale 10 agosto 2016, n. 16 e inserito un articolo che obbliga il Comune acquisire l'autocertificazione dei

professionisti relativa al pagamento delle spettanze per le prestazioni svolte, per poter emettere un titolo abilitativo

(leggi articolo).

Il Presidente dei costruttori Siciliani, sollevando forti dubbi sulla reale motivazione alla base dell’emendamento chiede se non sia stato sollecitato da un interesse corporativo, senza guardare a quello collettivo anche delle imprese e dei

cittadini, e spiega le conseguenze negative di una sua eventuale approvazione definitiva, invitando l’Ars a respingerlo. “E’ un grave errore – sostiene Cutrone - sia giuridico che tecnico, condizionare il rilascio da parte del Comune, e

persino la sua validità nel tempo, del certificato di agibilità (documento che attesta l’accertamento, da parte del pubblico ufficiale, dei criteri strutturali, statici e di salubrità dell’immobile) all’avvenuto pagamento solo del progettista e del direttore dei lavori, che invece è un evento amministrativo derivante dai rapporti contrattuali fra i

contraenti. Se il fine è quello di blindare il saldo delle fatture dei professionisti, non è questo il modo migliore: così si

aggiungono solo adempimenti, si gravano gli uffici, si rallentano le procedure di fine lavori e, di conseguenza, anche

le compravendite, da cui dipendono gli incassi delle imprese che a loro volta devono pagare tecnici, lavoratori e

fornitori. E si nega la possibilità ai proprietari di avviare in tempi certi nuove attività o di realizzare progetti”. “A confermare che ci sarà solo caos – continua il Presidente Cutrone – è lo stesso emendamento, laddove prevede che

questa norma non si applica in caso di contenziosi che dovessero sorgere fra committente e professionista, prima o

dopo il rilascio del certificato. Varie le possibili conseguenze assurde, come l’aumento indiscriminato dei contenziosi, l’allungamento dei tempi di rilascio se a causa del contenzioso è stato nel frattempo sostituito il professionista, nonché il rischio che a un certificato già rilasciato venga all’improvviso sospesa la validità”. “Ci sono poi aspetti non chiari che alimentano incertezza – afferma il Presidente ANCE - la norma si applica solo

alle nuove costruzioni e alle ristrutturazioni, o anche ai condoni edilizi di abusi commessi più di trent’anni fa? Come si fa a rintracciare il professionista dell’epoca? Chi può autocertificare un pagamento avvenuto nell’86? Questo non

blocca le tante pratiche di sanatoria che si stanno definendo grazie alle nuove norme?”. “Insomma - conclude Cutrone – questa iniziativa parlamentare, comunque la si esamini, se voleva sostenere una

causa condivisibile, cioè il contrasto agli inadempimenti finanziari dei committenti che interessa non solo i

professionisti ma l’intero settore delle costruzioni, alla fine appare solo un parto malriuscito che, invece di portare beneficio ad una categoria, può solo danneggiare tutti, anche la corporazione che si vorrebbe favorire. I grillini, che

sui temi della gestione del territorio hanno sempre mostrato una riconosciuta finissima sensibilità politica e condiviso

con noi diverse battaglie - e noi con loro - , sappiano cogliere le nostre osservazioni, ritirino l’emendamento e avviino un confronto costruttivo con tutte le componenti della filiera dell’edilizia”.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it © Riproduzione riservata

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Professionisti tecnici: intesa con l’ente nazionale per il microcredito

01/08/2017

Nuovo protocollo d'intesa per la Rete delle

Professioni Tecniche (RPT), associazione che,

ricordiamo, comprende, al suo interno, i Presidenti

degli Ordini e Collegi Nazionali di: Architetti,

Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, Chimici,

Dottori Agronomi e Dottori Forestali, Geologi,

Geometri e Geometri Laureati, Ingegneri, Periti

Agrari e Periti Agrari Laureati, Periti Industriali e

Periti Industriali Laureati e Tecnologi Alimentari.

L'accordo è stato sottoscritto dal Coordinatore

RPT Armando Zambrano e dal Presidente

dell’Ente Nazionale per il Microcredito (ENM) Mario Baccini.

“La sinergia con i Professionisti tecnici - ha dichiarato Mario Baccini, presidente dell'Ente Nazionale per il

Microcredito - è importante per sostenere una politica di welfare attivo che si concretizza attraverso le opportunità

offerte dalla via italiana al microcredito e che può essere un volano per l’economia del Paese. Lo sviluppo e la sostenibilità di queste attività passano attraverso la formazione e il network di opportunità che si sostanziano della

operatività capillare dei giovani professionisti sul territorio”. “La firma di questo Protocollo d’intesa – ha affermato Armando Zambrano – rappresenta un ulteriore importante

passo in avanti della Rete nella sua attività di interlocuzione con le istituzioni. Lo scopo è quello di migliorare

l’attività lavorativa di tutti gli iscritti agli ordini e Collegi aderenti alla Rete. Questa iniziativa consentirà agli studi professionali di organizzarsi attraverso meccanismi rispettosi delle esigenze dei singoli professionisti. La presenza sul

territorio degli Sportelli della Rete Microcredito consentirà una rapida diffusione dell’iniziativa. In questo senso ci aspettiamo che i rappresentanti dei nostri Ordini e Collegi territoriali la sostengano e la incentivino”. "Il Protocollo - riporta un comunicato stampa della RPT - prevede lo svolgimento di attività comuni di ricerca, studio

e monitoraggio, oltre alla promozione di misure di sostegno a favore dei giovani professionisti che hanno subito gli

effetti della crisi con maggiore evidenza. Inoltre, l’accordo prevede la collaborazione all'ideazione, creazione e sperimentazione di strumenti di microcredito innovativi a supporto delle attività e del reddito dei giovani

professionisti".

"Attraverso il Protocollo - continua il comunicato - l’ENM, tra le altre cose, garantirà l'informazione costante alla RPT su programmi microfinanziari e incentivi destinati all'avvio di autoimpiego e microimpresa, che prevedono tra i

propri beneficiari anche i liberi professionisti. Inoltre ospiterà presso gli Sportelli della Rete Microcredito i

professionisti che desiderassero svolgere a titolo gratuito attività di consulenza e accompagnamento specialistico nei

confronti degli utenti degli Sportelli".

"La RPT - conclude - collaborerà con gli esperti dell'ENM all’ideazione e creazione di misure e strumenti di microfinanza sperimentali a supporto dell'attività dei giovani professionisti e individuerà i professionisti che

intendono svolgere attività di consulenza specialistica nei confronti degli utenti degli Sportelli della Rete

Microcredito. I due enti, inoltre, sperimenteranno forme di collaborazione anche nella formazione di giovani e nella

promozione di tirocini e stage presso pubbliche amministrazioni italiane e organismi comunitari nelle materie del

welfare e del microcredito".

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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Terremoto centro Italia: "Entro l'anno attivare opere

pubbliche per cento milioni di euro"

01/08/2017

"A partire dalla prossima settimana e fino alla fine

del 2017 ci attende un lavoro serrato e molto

impegnativo per riuscire ad attivare, nei tempi

dettati dalle varie normative, tutti gli interventi di

nostra competenza nei vari settori delle opere

pubbliche, e contemporaneamente avviare tutto ciò

che è possibile anche nel settore della

ricostruzione privata. Per fare ciò sarà necessaria

la massima collaborazione e condivisione tra gli

Ordini professionali e le Istituzioni, per garantire

non soltanto tempi brevi ma anche qualità del

lavoro".

E' questo il messaggio che la presidente della Regione Umbria, Catiuscia Marini, ha trasmesso ai rappresentanti degli

Ordini e dei Collegi professionali, nel corso di un incontro che si è svolto questa mattina a Palazzo Donini, utile per un

approfondimento sullo stato della ricostruzione post-sisma e sui recenti provvedimenti emessi.

La presidente Marini ha fatto il punto sulla ricostruzione delle opere pubbliche ("l'Umbria entro la fine dell'anno è

chiamata a progettare ed attivare interventi complessivi per oltre cento milioni di euro") e sui programmi d'intervento

già approvati ed in via di approvazione. "In questa settimana avremo a disposizione i piani per tutti i settori

interessati. Dalle scuole, ai beni culturali non di competenza dello Stato, dalle Chiese di competenza delle singole

Diocesi fino all'edilizia residenziale pubblica e per grandissima parte di questi interventi, Comuni, Province, Regione

e Diocesi si avvarranno di professionisti esterni".

"Nel frattempo – ha proseguito la presidente Marini – va avanti anche il lavoro di redazione della nuova legge

urbanistico-edilizia che dovrà accompagnare i lavori di ricostruzione pubblico-privata e la programmazione

regionale di sviluppo delle aree colpite. Contiamo di avere a disposizione, entro il mese di agosto, una prima bozza

del provvedimento così da poterlo trasmettere, entro i primi giorni settembre, al Consiglio regionale per la

discussione e l'approvazione".

Da ultimo la presidente Marini ha ricordato come nel settore della ricostruzione privata ormai le regole e le ordinanze

sono già state emanate e dunque tecnici e privati possono fin da subito procedere per la quasi totalità degli interventi.

"Saranno pochissimi - ha concluso la presidente - e molto limitati infatti i casi in cui si dovrà procedere alla

perimetrazione di ambiti da sottoporre a regole particolari perché gravemente danneggiati o distrutti dal sisma".

A cura di Ufficio Stampa Regione Umbria

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SEN 2017: serve una metodologia per valutare la rilevanza strategica degli impianti a rinnovabili La posizione delle Regioni e delle Province Autonome: è necessario dotarsi di strumenti normativi che consentano agli impianti 'a rilevanza strategica elevata' di superare una certa vincolistica frammentaria Martedì 1 Agosto 2017

E'stato recentemente pubblicato un Position Paper delle Regioni e delle Province Autonome in merito alla proposta di Strategia Energetica Nazionale (SEN) 2017 e sul Clean Energy Package Ue. Nel documento le Regioni esprimono un giudizio positivo per l’inglobamento di due importanti obiettivi nella SEN: • gli obiettivi proposti dalla Commissione Europea al 2030 su emissioni (-40%), efficienza(-30%) e quota FER su consumi finali lordi (27%); • la proposta di estensione dell’Effort Sharing Decision al 2030 che ha fissato nuovi target obbligatori di riduzione delle emissioni da settori non-ETS per gli Stati membri (per l’Italia : -

33% rispetto al 2005). Scenario Base: disposizioni per limitare il consumo di suolo Tenendo conto della riconosciuta difficoltà di raggiungere la percentuale di riduzione dei consumi prevista per i settori non ETS e della conseguente necessità di sostenere politiche dispendiose, le Regioni chiedono di prevedere disposizioni che limitino il consumo di suolo e la dispersione urbanistica, dal momento che l’espansione dei confini urbani comporta l’estensione dei servizi a rete, con conseguente aumento dei consumi energetici necessari per il loro corretto funzionamento, e induce all’incremento degli spostamenti su gomma con mezzi individuali. Rinnovabili: serve una metodologia per valutare la rilevanza strategica degli impianti a rinnovabili Sul fronte delle rinnovabili in generale, secondo le Regioni, dovrebbe definirsi d’intesa con il MATTM e il MiBACT una metodologia di valutazione dei progetti degli impianti eolici, idroelettrici e geotermoelettrici (tipologie di impianto in cui si evidenziano consistenti economie di scala) capace di riconoscere, sulla scorta di un’analisi costi-benefici, una valenza strategica agli impianti di maggiore capacità produttiva, anche prevedendo percorsi semplificati nelle procedure valutative, pur nel rispetto delle prescrizioni scaturenti dall’iter procedimentale. Al contrario, potrebbero essere rivalutati i progetti di scarso rilievo energetico e che, in ragione della loro numerosità, producono maggiori impatti al territorio e all’ambiente. La necessità di dotarsi a livello nazionale di strumenti di carattere normativo che consentano agli impianti “a rilevanza strategica elevata” la possibilità di superare certa vincolistica frammentaria, discende anche dalla necessità di compensare in qualche misura il mancato o ridotto contributo di altre fonti all’obiettivo finale. Esemplare, a tal proposito, il caso delle biomasse, la cui obiettiva contrazione delle potenzialità di sfruttamento, per motivi legati alle emissioni di inquinanti in atmosfera, soprattutto nelle regioni del bacino padano, necessita della definizione di opportuni strumenti di compensazione del mancato o ridotto contributo. Incentivare la produzione di biometano Si ritiene importante riservare attenzione al tema della produzione di biometano prevedendo l’opportunità di realizzare i siti produttivi in corrispondenza della rete di distribuzione esistente e preferibilmente alimentati da deiezioni animali, frazione umida della raccolta differenziata dei rifiuti urbani (FORSU), nonché da sottoprodotti e scarti di produzione agricola e dalla depurazione di fanghi. Le Regioni chiedono di inserire nella SEN una specifica considerazione al fine di rendere concreta la potenzialità da biometano, affrontando concretamente il tema della filiera ed approvando in tempi rapidi la normativa a supporto, anche per l’immissione nella rete di distribuzione del gas, al fine di valorizzarne anche gli impeghi a fii termici.

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Terre e rocce da scavo sottoposte alla Disciplina 'Seveso III' Le imprese che trattano terre da scavo devono rispettare obblighi e prescrizioni previsti dalla Direttiva Seveso III relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose Lunedì 31 Luglio 2017

Le imprese che trattano terre da scavo sono sottoposte all'obbligo di valutazione degli inquinanti che potrebbero essere presenti nei residui gestiti. L'obbligo è previsto dalla Direttiva 2012/18/UE, la cosiddetta “Seveso III”, entrata in vigore nel luglio 2015, relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose. E il chiarimento a riguardo è contenuto nel documento "Questions & Answers - Directive 2012/18/Ec - Seveso III", elaborato dall’Ue e diffuso, in lingua italiana, dall’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Nelle varie Faq emergono alcuni chiarimenti sul rapporto tra la disciplina "Seveso" e la gestione dei rifiuti, con particolar riferimento al suolo contaminato. Alla base delle

risposte vi è il riferimento alla Nota 5 della Direttiva che chiarisce sia l'obbligo di valutazione da parte delle aziende sia il modo in cui sono classificate le sostanze che possono trovarsi nel terreno. Riportiamo uno dei quesiti più esemplificativi, oltre ad allegare il documento con tutte le Faq. Come dovrebbe essere trattato il suolo contaminato? Risposta: La Nota 5 dell’allegato I stabilisce che “nel caso di sostanze pericolose che non sono comprese nel regolamento (CE) n. 1272/20085, compresi i rifiuti, (...) che presentano o possono presentare (...) proprietà analoghe per quanto riguarda la possibilità di incidenti rilevanti, sono provvisoriamente assimilate alla categoria o alla sostanza pericolosa specificata più simile che ricade nell’ambito di applicazione della presente direttiva”. Pertanto, dove il suolo contaminato è conservato o trattato in un sito, esso dovrebbe essere trattato sulla base delle sue proprietà come una miscela. Tuttavia il suolo contaminato che fa parte del terreno non porta uno stabilimento ad essere soggetto alla direttiva. Se la classificazione non può essere effettuata con questa procedura (cioè il Regolamento cui si fa riferimento nella nota 5 dell’allegato I) possono essere usate altre rilevanti fonti di informazione, per esempio le informazioni relative all’origine dei rifiuti, l’esperienza pratica, le prove effettuate, la classificazione per il trasporto o la classificazione secondo la legislazione europea sui rifiuti.

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Problema acqua e cuneo salino in Italia

Aspettiamo il deserto o s'interviene prima?

La siccità e il forte caldo stanno facendo emergere problemi drammatici che si aggiungono ai cambiamenti climatici. Alle note deficienze strutturali per le nostre forniture di acqua potabile o per irrigazione si aggiunge il cuneo salino, una seria minaccia per tutte le falde freatiche costiere e per la produttività dei terreni agricoli

- Il Mediterraneo evapora e diventa più salato La lunga siccità che sta interessando da svariati mesi il nostro Paese ha finalmente acceso i riflettori sul problema acqua, problematica non solo legata al prosciugamento di laghi e fiumi, ma anche all'invasione dell'acqua marina sia nelle falde freatiche sia lungo le foci dei fiumi (vedi il caso del fiume Po). Quest'ultimo è un problema molto serio, probabilmente maggiore della penuria e

del razionamento delle acque nelle nostre case, un problema che Accademia Kronos pose all'attenzione delle autorità e del pubblico già 12 anni fa (il cuneo salino). Procediamo per gradi, affrontando per prima, in modo sintetico, la questione dell'acqua che usiamo in Italia rispetto agli al tri Paesi del mondo. L'impronta idrica in Italia, ovvero la quantità d'acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi, è pari a circa 6.300 litri pro capite al giorno. Siamo i primi in Europa e i terzi nel Mondo, dopo Usa e Canada; a distanza ci seguono Germania, Giappone, Francia e Olanda. Tuttavia, sebbene il cittadino italiano sia mediamente molto attento all'igiene personale, non è lui reo di tanto consumo, la percentuale di consumo d'acqua per uso domestico si assesta intorno al 16% del totale. Il «vero colpevole» è l'agricoltura che usa il 60% della disponibilità d'acqua complessiva, seguita a distanza dall'industria, che non supera il 24%. A tutto ciò poi si aggiunge la questione delle inefficienti reti idriche, che si stima, secondo Utilitalia (la federazione delle imprese di acqua, energia e ambiente), abbiano perdite dalla sorgente all'utenza finale intorno al 40%... ovviamente ci sono situazioni migliori, ma anche peggiori! Sempre secondo Utilitalia per risolvere il problema servirebbero investimenti per 5-6 miliardi, in media 35 euro ad abitante. Fin qui abbiamo preso confidenza con i numeri, ma non basta, il problema, che purtroppo i nostri mass media e i nostri politici sembrano sottovalutare, è invece il cuneo salino, una seria minaccia per tutte le falde freatiche costiere e per la produttività dei terreni agricoli. Ma cos'è questo cuneo salino? In termini tecnici significa l'intrusione di acqua marina dentro gli strati acquiferi di acqua dolce causata da processi naturali o da attività umane. L'intrusione marina è provocata dalla diminuzione del livello d'acqua dolce negli acquiferi costieri o dall'aumento del livello d'acqua marina che sale all'interno della costa trasformando l'acqua dolce in acqua salmastra. Problema analogo si riscontra nelle foci dei fiumi quando la portata d'acqua dolce verso il mare diminuisce sensibilmente e l'acqua salata può risalire parte del fiume rendendo inutilizzabile tale risorsa per l'agricoltura. Basta una piccola contaminazione di acqua marina per rendere inutilizzabile l'acqua a scopo agricolo e potabile. Con valori di salinità ancora maggiori inevitabile l'impatto anche sull'ambiente, fino ad arrivare alla modifica della stessa chimica dei suoli (Darwish et al., 2005; Qi & Qiu, 2011) nonché danneggiando gli ecosistemi costieri e la flora locale (Saha et al., 2011). Mentre il problema delle foci dei fiumi contaminate dalle acque marine è in gran parte dovuto a fenomeni naturali o di crisi climatica, la questione del cuneo salino nelle falde acquifere di costa è in gran parte colpa dell'uomo. L'eccessivo sfruttamento dei pozzi infatti può rompere l'equilibrio tra alimentazione naturale e prelievo, provocando così una forte diminuzione della pressione dell'acqua dolce in uscita verso il mare, al punto da non riuscire più a compensare la spinta meccanica in uscita. Inevitabile, quindi, la risalita dell'acqua salata. In Puglia si conoscono pozzi distanti alcuni chilometri dalla costa inutilizzabili perché contengono ormai acqua salmastra. Ma non è solo la Puglia a denunciare il fenomeno, sono molte altre regioni adriatiche a soffrirne. Nell'area costiera veneziana, la Confagricoltura fa notare che l'attività agricola-orticola, rappresentante una delle più importanti fonti dell'economia locale, è messa in serio pericolo dal processo di contaminazione salina. Sul versante tirrenico la situazione non è drammatica come su quello adriatico, tuttavia non c'è da stare allegri, dalla Campania alla Toscana sono molti i casi registrati di flusso d'acqua salata nei corpi acquiferi di costa. La regione che ne soffre di più è la Liguria; significativo l'intervento, in una recente riunione tecnica, sul problema della siccità da parte del presidente regionale della Coldiretti, Gerolamo Calleri: «La linea dell'emergenza è proprio dietro l'angolo, l'inverno ha avuto un andamento anomalo con tanta acqua in montagna quando, invece, era necessaria la neve, e oggi ne stiamo pagando le conseguenze. A preoccupare maggiormente è il cuneo salino nell'albenganese. Non bisogna mai dimenticare che Albenga era paludosa, la falda è ricca d'acqua e, quando manca quella dolce, per il principio dei vasi comunicanti entra quella marina che brucia le colture. Meno acqua di falda c'è più il mare entra all'interno. Un disastro sia per le colture a cielo aperto, sia per fiori e aromatiche in serra. Ma ci sono anche problemi per gli ortaggi, la Piana è rinomata per zucchine trombetta e pomodori cuore di bue, varietà che hanno bisogno d'acqua. E siamo appena ad inizio stagione...».

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La desertificazione del Mediterraneo In tutto questo i climatologi e i geologi di Accademia Kronos sono preoccupati sul problema della desertificazione, che sta assumendo un'importanza crescente nei Paesi del bacino del Mediterraneo e in particolare in Spagna, Grecia e Italia. Secondo una stima realizzata dai Servizi tecnici nazionali, aree «mediamente sensibili» e «molto sensibili» alla desertificazione in Italia sono rintracciabili soprattutto in Sicilia, Sardegna, Basilicata e Puglia, ma anche in altre regioni, seppur in modo più lieve. Le cause di desertificazione qui in Italia sono molteplici e vanno dalle variazioni climatiche (con prolungati periodi di siccità) alla diminuzione delle aree boschive e agli incendi, dalla diminuzione delle portate medie dei corsi d'acqua alla salinizzazione dei suoli, fino all'eccessivo sfruttamento dei terreni per un'agricoltura troppo aggressiva e intensiva. Le cause dell'inquinamento salino possono essere così sintetizzate: 1) La prima, rischiosa per i pozzi situati in prossimità della costa, risiede nel fenomeno dell'intrusione marina nelle terre emerse, per cui acque salate penetrano, formando un vero e proprio cuneo al di sotto delle acque dolci sotterranee. 2) La seconda è la risalita lungo gli alvei dei fiumi delle acque marine sotto quelle fluviali, per cui le prime contaminano quelle fluviali e quelle di falda con cui vengono in contatto. 3) La terza è la lisciviazione di terreni e rocce. Il flusso idrico sotterraneo contribuisce a solubilizzare, in determinate condizioni idrogeologiche, sostanze che incrementano la salinità delle acque sotterranee. 4) La quarta è imputabile all'attività umana e si realizza secondo i modi più vari. Ad esempio, gli alti tassi di cloruri riscontrati in alcune acque di falda possono essere messi in relazione con gli scarichi di consistenti allevamenti zootecnici. Si può distinguere il tipo d'inquinamento salino antropico in industriale, civile, agricolo e zootecnico. Le soluzioni Ovviamente non tutto è perduto, ci sono ancora margini d'intervento per evitare la catastrofe: per prima cosa è necessario rivedere regolamenti e leggi regionali che autorizzano la perforazione dei suoli in prossimità delle coste per realizzare pozzi artificiali; a tal proposito si ricorda che in Italia vige, oltre ai regolamenti e alle leggi regionali, la legge nazionale n.36 del 5/1/1994, la quale stabilisce che tutte le acque, profonde e superficiali (escluse quelle piovane) sono pubbliche e pertanto gli usi produttivi (non domestici) devono essere assoggettati a concessione. Pertanto chi possiede un pozzo deve essere in possesso di concessione. Per scavarne uno nuovo è necessaria la richiesta e l'approvazione della concessione appropriata, in cui si specifica l'utenza e la portata massima consentita. È necessario bloccare o limitare nuove richieste di apertura pozzi, se in prossimità del mare (a distanze variabili, fino a 1 o 2 km dalla linea costiera), valutando anche la composizione geologica del terreno e la portata accertata della vena d'acqua sotterranea. Inoltre vanno vietate e sanzionate irrigazioni di coltivazioni agricole durante le ore più calde della giornata. Si calcola che più di un quarto dell'acqua sparata sui campi nelle ore di massima calura si disperde nell'aria come evaporazione. Le annaffiature, se strettamente necessarie, durante giorni di calura dovranno essere autorizzate solo all'alba o al calar del Sole. Poi ci sono interventi più efficaci capaci di riportare l'equilibrio tra acque dolci di falda in uscita verso il mare e acque marine pronte a risalire in falda. L'Atena Consulting, una delle società verdi associate ad Accademia Kronos, ha progettato tra il 2010 e il 2011 una rete di dissalatori ad energia solare aventi lo scopo di fornire acqua dolce alle coltivazioni in prossimità delle coste e rimpinguare le falde acquifere (al fine di evitare ulteriori intrusioni di acqua marina nei terreni costieri). Tale progetto è rimasto nel cassetto, tuttavia è ancora valido oggi e si può applicare nelle regioni italiane a rischio desertificazione.

Gabriele La Malfa, Accademia Kronos

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La temperatura è in aumento. Non è una sensazione, lo dicono i dati

di Renzo Rosso | Docente di Costruzioni idrauliche e marittime e Idrologia a Milano

1 agosto 2017 Nel 1994, avevo cercato di spiegare in modo elementare perché il clima cambia e con quali conseguenze in un libro

dal titolo provocatorio Effetto serra: istruzioni per l’uso oggi riedito in formato digitale. Avevo scritto: “Se elenchiamo i dieci anni in assoluto più caldi di questo secolo, troviamo, in ordine decrescente, questa

sequenza: 1990, 1989, 1988, 1987, 1981, 1944, 1962, 1963, 1986, 1983. Ben sette sono stati registrati negli ultimi

dieci anni, senza contare che il 1990 è stato l’anno più caldo dal 1854 a oggi”.

Sto aggiornando quel saggio e, nel farlo, scriverò più o meno la stessa frase, ma con una piccola modifica:

“Se elenchiamo i dieci anni in assoluto più caldi degli ultimi 116 anni, un periodo nel quale le misure a scala

planetaria sono del tutto affidabili, troviamo, in ordine decrescente, questa sequenza: 2016, 2015, 2014, 2010, 2013,

2005, 2009, 1998, 2012, 2007. Ben nove su dieci sono stati registrati nel nuovo millennio, senza contare che il 2016

è stato l’anno più caldo dal 1854 a oggi in base alle analisi indipendenti di Nasa e Nooa”.

Nessuno degli anni più caldi del mio, personale, vissuto entra in graduatoria. E tutto ciò entro la scala di

percezione di una vita umana. Non pensiamo a situazioni locali o regionali. Non soltanto le riviste scientifiche, ma

tutti i giornali segnalano questo dato a scala planetaria. Il New York Times ha scritto giorni fa che: “Le estati straordinariamente calde – praticamente sconosciute negli anni 50 – sono diventate comuni. Le manifestazioni estive

di quest’anno, come le ondate di caldo che attraversano l’Europa meridionale e le temperature prossime a 130 gradi

Fahrenheit in Pakistan, fanno parte di questa tendenza più ampia”. Multan, dove stiamo concludendo un progetto

multidisciplinare di un certo respiro, è la città più calda del mondo.

Parafrasando l’ultimo libro di Rampini (Il tradimento) possiamo tranquillamente affermare che, se la globalizzazione ha mantenuto le promesse fatte all’élite ma tradito tutte quelle fatte ai comuni mortali, almeno su un particolare non ha fallito: il clima. Ignorando gli avvertimenti di chi, agli inizi degli anni 70, sosteneva che il

pianeta ha dimensioni finite e risorse limitate, la deriva finanziaria della globalizzazione ha continuato a modificare il

clima terrestre senza tregua.

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Dappertutto, nel presupposto che la Terra abbia risorse infinite. E globalmente fa più caldo, come dimostrano i grafici

di un collega ormai in pensione, Jim Hansen, col quale mi sono trovano talora in disaccordo (per esempio, sul

sostegno al nucleare) ma che sa far parlare i dati come nessun altro.

Il clima cambia, è cambiato e cambierà. E tutto ciò accade senza alcun rispetto per negazionisti e talebani climatici,

interventisti e nichilisti, apprensivi e fatalisti, scienziati seri e patetici ideatori di bufale di ogni ordine e grado. Da

sempre lo fa, ma ora lo sta facendo a enorme velocità.

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Earth Overshoot Day, il 2 agosto già finite le risorse della Terra per

il 2017. E ogni anno va peggio

Il sovrasfruttamento del Pianeta ricorre sempre prima a causa dell’aumento dei consumi mondiali di natura che comprendono frutta e verdura, carne e pesce, acqua e legno. L’anno scorso era stato l’8 agosto, due anni fa il 13 agosto, nel 2000 a fine settembre

di F. Q. | 31 luglio 2017

Quest’anno l’Earth Overshoot Day, il giorno in cui la popolazione mondiale ha consumato tutte le risorse terrestri disponibili per il 2017, sarà già il 2 agosto. Da mercoledì il pianeta sarà sovrasfruttato dall’uomo, a seguito di un tasso di consumo 1,7 volte più veloce della capacità naturale degli ecosistemi di rigenerarsi. Lo evidenzia il calcolo dell’organizzazione di ricerca internazionale Global Footprint Network. L’uomo si rivela, anno dopo anno, sempre più “vorace” e le risorse naturali, quelle che la Terra è in grado di rigenerare da sola, si esauriscono sempre prima. Lo dimostra il fatto che ogni anno questa giornata ricorre sempre prima a causa dell’aumento dei consumi mondiali di natura che comprendono frutta e verdura, carne e pesce, acqua e legno. L’anno scorso era stata celebrata l’8 agosto, due anni fa il 13 agosto, nel 2000 a fine settembre. Invertire la tendenza, secondo gli attivisti, è possibile e lanciano la campagna #movethedate, per cercare di posticipare l’Overshoot Day. Se riuscissimo a spostare in avanti questa data di 4,5 giorni ogni anno, spiegano, ritorneremmo “in pari” con l’uso di risorse naturali entro il 2050. Ognuno può contribuire con piccole azioni ma servono soluzioni “sistemiche”, dice l’organizzazione: se ad esempio l’umanità dimezzasse le emissioni di anidride carbonica, l’Overshoot Day si sposterebbe in avanti di quasi tre mesi.

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Terremoto in Grecia, scossa di magnitudo 5,2 nei pressi di Creta Registrata alle 23 e 29 in Italia. Non risultano segnalazioni di danni a persone o cose, esclusa l'allerta tsunami 01 agosto 2017 A pochi giorni dalla scossa che ha colpito l'isola di Kos, il terremoto torna a far paura in Grecia. Stavolta però l'epicentro è a Creta. Una scossa di magnitudo 5,2 è stata registrata a 00:29 ora locale (le 23:29 in Italia) al largo della costa sud con epicentro nel mar Libico a sud dell'isola di Gozzo. Secondo i rilevamenti dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e dell'agenzia geologica statunitense Usgs, il sisma ha avuto ipocentro a circa 20 chilometri di profondità. Non si registrano al momento danni a persone o cose, né è stata emessa alcuna allerta tsunami. LA MAPPA L'epicentro della scossa in mare Il 21 luglio il sisma ha raggiunto magnitudo 6.7 e ha causato due morti travolti dal crollo del muro di un bar.

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Condono edilizio: ecco come si forma il silenzio assenso del 01/08/2017 – di Matteo Peppucci

Consiglio di Stato: per la formazione del silenzio-assenso ex art. 35 della legge 47/1985 servono la presentazione della documentazione richiesta, compresa la rappresentazione fotografica dell'immobile, e l'intero pagamento di tutti gli oneri dovuti Se carente di documentazione essenziale, il condono edilizio è inammissibile e il suo diniego da parte dell'amministrazione comunale è legittimo. Lo ha affermato il Consiglio di Stato nella recente sentenza 3670/2017 del 25 luglio scorso, dove di fatto si ribadisce un consolidato principio di diritto, secondo il quale il silenzio-assenso ex art. 35 della legge 47/1985 si forma soltanto se e in quanto sia stata presentata la documentazione richiesta, compresa la rappresentazione fotografica dell’immobile abusivo, sia stata versata l’intera oblazione e siano state pagate le somme eventualmente dovute a conguaglio, ivi compresi gli oneri concessori. Nel caso di specie, viene quindi rigettato il ricorso di una società contro il diniego di condono edilizio di un comune confermato dal tribunale amministrativo competente, il quale aveva ritenuto che tale diniego fosse motivato in modo esauriente ed esatto, in relazione all’incompletezza della documentazione allegata alla domanda di condono edilizio, e nonostante le reiterate richieste di integrazione formulate dall’amministrazione comunale, in particolare con riferimento al titolo di proprietà dell’immobile da condonare. Per Palazzo Spada, chiamato in causa, nel caso di specie "la pratica edilizia di condono è incompleta perché carente di documentazione essenziale", costituita appunto dalla documentazione fotografica nonché dalla dichiarazione sostitutiva asseverante l’epoca di ultimazione delle opere, non potendo considerarsi valida quella presentata, "e non essendo stato documentato, d’altro canto, l’integrale versamento dell’oblazione".