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Corriere della sera Foa bocciato. Lite nel centrodestra Salvini: avanti sulla Rai, FI come ilPd Berlusconi: non lo votiamo, oggi il nuovo cda. La Lega insiste,ma Di Maio: senza intesa un altro nome ROMA Come previsto è stata fumata nera. La commissione di Vigilanza Rai ha infatti bocciato la nomina di Marcello Foa a presidente di Viale Mazzini. Non sono stati sufficienti i 22 voti ottenuti dall’amministratore delegato del Corriere del Ticino. Per il via libera Foa avrebbe dovuto ottenere 27 voti su 40, ovvero i due terzi della commissione bicamerale. Ma Partito democratico, Forza Italia e Leu, pur essendo presenti, non hanno partecipato al voto. Insomma si ricomincia da zero. «Il metodo era sbagliato, il candidato è stato bocciato e, dunque, va cambiato», si sgola di buon mattino Maurizio Gasparri, azzurro e membro della Vigilanza. Gli fa eco il dem Davide Faraone: «Sconfitta l’arroganza di chi non rispetta le regole». Passano pochi istanti e tocca a Foa prendere la parola: «Mi rimetto alle decisioni dell’azionista». Salvo poi aggiungere che «non ho chiesto alcun incarico nel consiglio che mi è stato proposto dall’azionista. Non posso, pertanto, che mettermi a sua disposizione invitandolo a indicarmi quali siano i passi più opportuni da intraprendere nell’interesse della Rai». Ma lo scontro si consuma tutto nel centrodestra. Al mattino Salvini fa visita a Berlusconi al San Raffaele di Milano, cerca di convincere l’ex premier, ma le due parti restano distanti. Il leader del Carroccio vuole insistere su Foa. Ma dalle parti di FI non ne vogliono sapere. Non a caso nel corso della giornata le

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due forze politiche duellano a colpi di dispacci. Attorno alle 17.30 però si consuma lo strappo. Silvio Berlusconi diffonde una nota che è un No netto a Foa: «La eventuale riproposizione dello stesso nome alla commissione vigilanza, presenta secondo autorevoli professionisti problemi giuridici. Non potrà quindi essere votata dai componenti di Forza Italia». Pochi minuti e Salvini replica piccato: «La Lega prende atto che Forza Italia ha scelto il Pd per provare a fermare il cambiamento, per la Rai, per il taglio dei vitalizi e per altro ancora. Dispiaciuti continuiamo sulla via del cambiamento». Tuttavia anche Luigi Di Maio non esclude un altro profilo per la presidenza della tv di Stato, qualora saltasse l’accordo su Foa: «Se non c’è questa intesa è chiaro che non può tornare in Commissione». Il cda di viale Mazzini, riunitosi ieri dopo la Vigilanza, non ha potuto fare altro che riaggiornarsi a oggi alle 11 nella speranza che le forze politiche riescano a sbloccare la situazione di stallo.

Il Colle auspica una soluzione «senza forzature» ●Il retroscena

Come sempre nei momenti

critici, anche adesso c’è chi, nell’opposizione, accarezza l’idea di fare del presidente della Repubblica il contraltare della maggioranza. Cioè di reclutarlo dalla propria parte nell’aggrovigliata, contestatissima e ormai quasi grottesca prova di forza per le nomine Rai. Bene: quella pretesa è destinata a cadere nel vuoto. Sergio Mattarella, infatti, non ha alcuna intenzione di lasciarsi coinvolgere nella faccenda. Del resto, sulle diatribe interne di viale Mazzini non è mai intervenuto e (assicurano a futura memoria i membri del suo staff) mai interverrà.

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La materia è competenza di governo e Parlamento, due poteri dello Stato ai quali non può, e soprattutto non vuole, sovrapporsi in nessun modo. Per cui sono infondate le voci di quanti cominciavano già ad almanaccare su una moral suasion quirinalizia verso non precisati emissari di Palazzo Chigi o verso i vertici delle Camere, Maria Elisabetta Casellati e Roberto Fico. Ma se non esiste alcuna possibilità che il capo dello Stato faccia pesare la propria opinione nella partita in corso, questo certo non significa che vi assista indifferente. E, com’è scontato nella sua posizione, si augura una soluzione «equilibrata e senza forzature». Uno scenario al momento improbabile, considerando la tenace insistenza della Lega su Marcello Foa per la presidenza, nome sul quale Salvini pare intenzionato a giocarsi il tutto per tutto anche con il vecchio partner Berlusconi. Mentre sembra sfumata la candidatura di Giampaolo Rossi, presentata da più parti come una potenziale alternativa. Curiosità: qualcuno ipotizza che le resistenze incontrate da Foa dipendano da certi suoi insulti in rete a Mattarella, con un conseguente veto dall’alto. Ma perché quel qualcuno non si va piuttosto a vedere i video di alcune tv straniere, di cui Foa era ospite frequente, e parlava male dell’Italia e dell’Unione Europea? Erano dimostrazioni di equilibrio e terzietà adatte all’incarico che si pretende di affidargli?

Le Maire: Tav, legittimi i vostri dubbi Per Toninelli «uno stop è possibile» Il ministro francese da Triae DiMaio: «Attendiamo con pazienza che Roma decida» ROMA Parigi saggia il terreno, ma non forza la mano sulla Tav, l’alta velocità ferroviaria tra Torino e Lione. «Attendiamo con pazienza» che il governo italiano prenda «una posizione ufficiale» sul completamento della linea, dice il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, dopo un incontro ieri a Roma con il suo collega, Giovanni Tria, e il

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vice premier, Luigi Di Maio. «Gli interrogativi del governo italiano sono legittimi. Non c’è contrarietà al tunnel. È un investimento ingente, capisco che il governo si chieda se possa essere profittevole. Alla fine dei conti è il contribuente che paga per queste grandi opere» aggiunge il ministro francese con filosofia. Del resto sulla Tav lo scontro, politico e non, in Italia, è già incandescente. Se Di Maio a detta dello stesso Le Maire appare «più misurato e comprensivo» di quanto non appaia in pubblico, il titolare delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, continua a usare toni molto duri. Anche con lo stesso Commissario alla Tav, Paolo Foietta, che chiede da tempo, invano, un incontro col ministro. «Lo vedrò quando avrò i dati, ora ascolterei solo i suoi» dice Toninelli ad Agorà Estate su Rai3, in mattinata.«Da noi la Tav costa 60 milioni al chilometro, in Francia 20. Chi si è preso il differenziale?» dice rivolto al Commissario e al presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, che le definisce frasi «stucchevoli». Alla Camera poco dopo Toninelli rettifica, parla di «30 milioni di euro al km», definendola comunque un’«anomalia inaccettabile». «Il nostro impegno — dice — è ridiscutere integralmente il progetto. Non ci sono pregiudizi ideologici, solo il desiderio di valutarla correttamente con una analisi dei costi e dei benefici, che sarà resa pubblica, come lo saranno i nomi dei membri della struttura tecnica già al lavoro» assicura. Secondo il contratto di governo le grandi opere saranno soggette a una verifica di fattibilità, prima di essere confermate. «Ci vorrà qualche mese » spiega Toninelli, secondo il quale tutte le ipotesi sono possibili, compreso «uno stop» delle opere, che la Lega ritiene però poco realistico. «Si possono discutere alcune cose, non bloccare i cantieri» dice il sottosegretario alle infrastrutture della Lega, Armando Siri. «I costi della Torino- Lione sono del tutto analoghi

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a quelli delle altre linee ad alta velocità» replica intanto Foietta, accusando Toninelli di avere un approccio istituzionale «non corretto». L’incontro di ieri tra Le Maire, Tria e Di Maio è servito anche a fare il punto sull’alleanza tra Fincantieri (con un fatturato atteso in crescita del 5% quest’anno e del 9% nel ‘19) e Stx, che procede secondo i piani stabiliti dai due governi nel settembre 2017. Da Di Maio, in Parlamento, è giunto anche un invito alla prudenza sull’eventuale scorporo della rete da Tim, controllata dai francesi.

E sull’Ilva nuovo allarme dei commissari: entro l’anno serviranno 132 milioni Laghi in audizione al Senato: a settembre cassa esaurita di Andrea Ducci Da una parte ci sono le cifre sul fabbisogno di cassa, dall’altra le dichiarazioni dei commissari straordinari tanto misurate quanto illuminanti sui rischi che la crisi Ilva si avviti definitivamente su se stessa. «La previsione finanziaria stima l’esaurimento di cassa a settembre 2018», la segnalazione è nella documentazione illustrata, in commissione Industria del Senato, dai tre commissari straordinari. Nei documenti depositati da Enrico Laghi, Piero Gnudi e Corrado Carrubba è indicato che a dicembre la cassa segnerà un saldo negativo di 132 milioni di euro. Tra i dati è quantificato lo scaduto fornitori pari a circa 30 milioni, di cui solo il 10% è superiore a 60 giorni. Nel bilancio del commissariamento Ilva figurano, a partire dal 2015, spese per oltre 800 milioni per la manutenzione degli impianti e gli interventi in materia di sicurezza, salute

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e mantenimento del sito industriale. Le tabelle riportano che gli interventi finanziari per sostenere la procedura dei commissari «ammontano a circa 2,1 miliardi di euro», e sempre a partire dal 2015 «sono stati emessi 788 milioni di euro di ordini a beneficio dell’indotto». La conferma di perdite a bocca di barile è riassunta dal fatto che i vincoli alla produzione «hanno avuto un impatto negativo sui risultati economici, il margine è in crescita, ma l’incidenza dei costi fissi è aumentata al calare della produzione». Un quadro che, di fronte alle domande dei senatori sul destino di Ilva e sulla possibilità che salti la cessione ad ArcelorMittal, suggerisce al commissario Laghi di osservare: «Non siamo in grado di dare risposta, un’eventuale conclusione non positiva del contratto può dipendere da molteplici ragioni, oggi non possiamo dire quale delle fattispecie potrebbe verificarsi». Laghi riassume anche le indicazioni ricevute dal ministro dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, con tanto di conferma a «proseguire su binari paralleli, la nostra competenza è andare avanti su dinamiche operative, piano ambientale e attività propedeutiche all’eventuale trasferimento». Non sono state effettuate «valutazioni sui costi della chiusura (dello stabilimento, ndr), al momento non abbiamo preso in considerazione la cosa». Certo è che i tempi sono serrati: il 15 settembre scade la proroga concessa a fine giugno da Di Maio ai commissari straordinari. Nel frattempo è partita un’indagine sull’aggiudicazione della gara ad ArcelorMittal, e Di Maio ha chiesto impegni aggiuntivi in materia ambientale e sul fronte occupazionale. Un contesto complicato sebbene Aditya Mittal, numero uno di ArcelorMittal, si dica «molto ottimista» sull’esito positivo dell’acquisto di Ilva.

I numeri ● Nella

giornata di ieri si è svolta l’audizione al Senato dei commissari

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straordinari dell’Ilva

● Sono stati

spesi 500 milioni in investimenti ambientali, ha dichiarato il commissario Enrico Laghi

● Il numero dei

dipendenti si attesta sui 13.500, in calo dai 14.000 di inizio 2015

● Previsto per

settembre l’esaurimento della cassa

● Ottimista il

gruppo Arcelor Mittal, che nella trimestrale conta di chiudere l’operazione a breve

Il Coni lancia la corsa a tre per i Giochi Sala si sfila. Appendino «perplessa» Il piano con Milano, Torino e Cortina. Esulta Zaia. Giorgetti: sostegno se le città sono unite di Marco Imarisio

ROMA Milano, Torino e Cortina in un’unica corsa per i Giochi invernali 2026. Il dossier della candidatura italiana, ottenuto compattando i singoli studi delle tre città e abbattendo i costi—376 milioni, cifra inferiore ai dossier di Milano (384 milioni), Cortina (380) e soprattutto Torino (648) —, è stato approvato ieri all’unanimità da giunta e Consiglio nazionale del Coni, passaggi ufficiali a cui seguirà, a fine agosto, la valutazione di merito da parte del Cio. La corsa a tre, di fatto, è partita, anche se Torino e Milano, che sognavano un ruolo da protagonista senza compromessi, pongono le loro condizioni. «Nessun compromesso politico, ma una grande opportunità, una

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candidatura molto forte dove le tre città saranno alla pari— ha detto il presidente del Coni, Giovanni Malagò —. Fatto ciò che ci è stato chiesto: una candidatura italiana con il consenso del Cio e del governo». Palazzo Chigi, tramite il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha assicurato il sostegno alla candidatura a tre, fissando però dei paletti. Giorgetti ha definito «apprezzabile lo sforzo del Coni per dare una proposta unitaria e credibile che il governo si riserva di valutare», pur prendendo atto che «c’è stata la decisione del sindaco di Torino di tirarsi in qualche modo fuori» e che pure «il sindaco di Milano ha scritto che non ritiene di essere coinvolto ». Così è uscita la posizione del governo, disposto a sostenere la candidatura «se le città rinunciano a una parte significativa di ambizioni: non può essere un progetto figlio di nessuno», ha chiuso Giorgetti prima di fissare per la prossima settimana un incontro con i tre sindaci perché «altrimenti non vale la pena coltivare situazioni in fase di aborto». C’è necessità di approfondire, insomma, dopo i dubbi comunicati dai sindaci Giuseppe Sala e Chiara Appendino (solo Cortina esulta: «Bellissima notizia », ha detto il governatore del Veneto Luca Zaia). Sala ha confermato la disponibilità di Milano, ma «solo come sede di gare o eventi in quanto, stante le attuali condizioni, non ritiene praticabile una partecipazione alla governance ». Un passo indietro, forse tattico o dettato dalla delusione, con Malagò che ha subito tentato di spegnere la polemica chiarendo che la governance sarà tema da affrontare quando (e se) la candidatura diventerà «comitato organizzatore », ovvero quando le Olimpiadi 2026 saranno assegnate, e ribadendo che con Milano non c’è «nessun problema, basta guardare il masterplan, è chiarissimo: la Lombardia c’è, eccome». In effetti, sfogliando il dossier si nota l’investimento per i tre villaggi olimpici: quello di Milano, da cento milioni, è il più

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importante. In più la cerimonia inaugurale, non esplicitata nel masterplan, si terrà a San Siro. Ma poco dopo è Sala ha twittato precisando che «il chiarissimo dossier è stato approvato dal Coni senza che Milano, e presumo le altre città, l’avessero a disposizione». Per Chiara Appendino, che ha problemi con la sua maggioranza in comune («Torino è stata relegata al ruolo di Cenerentola », ha detto la capogruppo M5S, Valentina Sganga), resta la disponibilità assicurata nella lettera inviata a Malagò, ma in subordine alla valutazione del governo. Ieri la sindaca ha parlato del dossier: ha chiesto di «esporre osservazioni e forti perplessità derivanti da un masterplan le cui logiche sono in parte incomprensibili », ribadito la convinzione che «la candidatura compatta di Torino fosse la scelta migliore per il Paese» e chiesto «un’attenta analisi costi/ benefici, richiesta dal sottosegretario Valente».

Alessio, re della matematica a 34 anni La seconda volta di un «Nobel» all’Italia Premiato a Rio con la medaglia Fields. L’emozione della sua prof di liceo, i complimenti del premier Dopo 44 anni un giovane scienziato italiano, Alessio Figalli, conquista una delle quattro Medaglie Fields assegnate quest’anno al Congresso internazionale dei matematici in corso a Rio de Janeiro. Dotata di un premio in denaro

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di 15 mi l a dollari canadesi è considerata il «Nobel della matematica» e prima di Figalli soltanto un altro italiano l’aveva meritata, Enrico Bombieri, ora all’Istituto di studi avanzati di Princeton che aveva ospitato anche Albert Einstein. La Medaglia Fields porta il nome dello scienziato canadese che ne sostenne l’opportunità per incentivare gli studi. Assegnata per la prima volta nel 1936, a partire dal 1950 viene data regolarmente ogni quattro anni a matematici con meno di 40 anni, come riconoscimento degli straordinari contributi garantiti alla scienza dei numeri. Gli altri premiati del 2018 sono: Caucher Birkar dell’Università di Cambridge (al quale avrebbero rubato la medaglia subito dopo la premiazione), Peter Scholze dell’Università di Bonn e Akshay Venkatesh della Stanford University. Figalli è nato a Roma 34 anni fa, di origini napoletane, la mamma è docente di latino e greco. Ha studiato al liceo classico Vivona di Roma: la sua insegnante di scienze Onoria Silei racconta che «per lui sembrava tutto normale, tutto naturale, semplice. E naturalmente in matematica era bravo. Era un ragazzo molto curioso. Una mente». La sua storia inizia alla Normale di Pisa e poi l’America e l’Europa sino all’Eth Zurich, il politecnico di Zurigo dove insegna. «Un matematico estremamente creativo e una persona aperta e comunicativa che può avere un grande impatto come ambasciatore per la matematica », sottolinea il presidente dell’Istituto svizzero Lino Guzzella. «Figalli ha continuato le sue ricerche in un filone tradizionale della matematica italiana e francese con un legame stretto agli studi di Villani — nota Stefano Marmi direttore del centro di ricerca inter-universitario Ennio De Giorgi di Pisa —. Il suo tema riguarda il “trasporto ottimale”, una teoria alla quale ha dato un contributo rilevante e oggi applicata in svariati campi, dall’economia ai trasporti e persino alle previsioni meteorologiche

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descrivendo in dettaglio i movimenti dei fronti nuvolosi». Innumerevoli i tweet di complimenti, come quelli del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del ministro per l’Istruzione, università e ricerca, Marco Bussetti: «L’Italia produce tanti studiosi di qualità e storie di eccellenza di cui dobbiamo essere fieri». .

Medaglia Fields

●Il premio

La Medaglia Fields è il

massimo riconoscimento per la disciplina e viene considerata equivalente a un premio Nobel. Viene assegnata ogni quattro anni a quattro matematici under 40. L’annuncio dei vincitori è stato dato a Rio De Janeiro durante la cerimonia di apertura del 28esimo Congresso internazionale dei matematici.

Sanzioni Usa ai ministri turchi «Liberate il pastore evangelico» Tensione per il religioso americano accusato di terrorismo. Ankara minaccia ritorsioni DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

WASHINGTON Sanzioni anche alla Turchia. Gli Stati Uniti aprono un altro fronte di crisi, tra i più insidiosi, in nome del pastore evangelico americano, Andrew Brunson, 50 anni, accusato di far parte dell’organizzazione terroristica «Feto ». L’altro giorno un tribunale di Smirne ha confermato le

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imputazioni, limitandosi ad alleggerire le condizioni del pastore detenuto in carcere dal 7ottobre 2016. I giudici gli hanno concesso gli arresti domiciliari, ma non lo hanno liberato come invece aveva chiesto il Dipartimento di Stato, sotto la pressione dell’enorme comunità evangelica, proficuo bacino elettorale di Donald Trump. Così ieri la Casa Bianca ha annunciato che saranno adottate misure restrittive nei confronti dei ministri degli Affari Interni, Suleyman Soylu e della Giustizia, Abdulhamit Gul. Brunson, nato nella Nord Carolina, vive da 23 anni sulla regione costiera di Smirne: è il pastore della «Chiesa della Resurrezione». Secondo gli inquirenti turchi, invece, è una spia, un cospiratore contro la sicurezza dello Stato, un membro della «Fethullahist terrorist organization», guidata dall’Imam Fethullah Gülen, rifugiatosi negli Usa, in Pennsylvania. «Sono più spia io di lui, la Turchia sta perseguendo Brunson senza motivo », ha twittato Trump. Il caso è veramente delicato. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha dato la caccia in modo spietata a tutti coloro che hanno organizzato o anche solo fiancheggiato il fallito golpe militare del 15 luglio 2016. In molti casi è stato sufficiente un semplice sospetto per finire in carcere. Brunson, sposato, tre figli, è uno di loro. È stato arrestato mentre stava preparando le carte per chiedere la cittadinanza turca. Per molti mesi ha condiviso una cella con altri 17 detenuti. Le relazioni Turchia- Usa erano già molto tese. Da oltre due anni Erdogan chiede l’estradizione di Gülen ai presidenti americani. Barack Obama aveva risposto esplicitamente di no. Trump ha fatto finta di non sentire, ma il risultato è lo stesso: nessuno ha toccato l’imam in esilio. Il problema è che l’alleanza con la Turchia, pilastro storico della Nato, traballa anche su altri fronti importanti per gli Usa. In Siria, per esempio, dove Erdogan sembra voler gestire il collasso del Paese

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d’intesa con Vladimir Putin e con il presidente iraniano Hassan Rouhani. Tuttavia le esigenze geopolitiche sono state messe in secondo piano, sovrastate dalla protesta dell’opinione pubblica americana. Non a caso si sono spesi tutti i vertici di Washington. Oltre a Trump, il vice presidente Mike Pence, evangelico praticante, e il Segretario di Stato, l’iper conservatore Mike Pompeo. Il governo di Ankara ha reagito in modo secco, definendo «inaccettabili» le sanzioni annunciate dagli americani, e ventilando «ritorsioni». Ma le quotazioni della lira turca sono crollate rispetto al dollaro, perché i rapporti economici tra il Paese di Erdogan e gli Stati Uniti sono intensi.

Spari sulla folla e morti, caos dopo il voto in Zimbabwe Proteste per la maggioranza assoluta al partito del «coccodrillo» Mnangagwa: interviene l’esercito Un brutto risveglio: come ai tempi di Mugabe, soldati che sparano sulla folla nelle strade di Harare. Elicotteri sopra i tetti, autoblindo agli incroci, cannoni d’acqua e munizioni vere contro le pietre dei manifestanti dell’opposizione. Almeno tre persone sono rimaste uccise, altre ferite, passanti terrorizzati. E così in un pomeriggio di battaglia, dopo l’annuncio di una straripante vittoria del partito di governo Zanu-PF in Parlamento e una sospetta attesa per quanto riguarda il risultato delle Presidenziali, è finita la favola dello Zimbabwe libero e unito.

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Meno di un anno fa nelle stesse strade gli stessi soldati venivano abbracciati come liberatori per la cacciata di Robert Mugabe, per 40 anni padre- padrone dell’ex Rhodesia. Ieri è andato in scena il vecchio scontro tra forze governative e gruppi dell’opposizione. che fa capo al Movimento per il Cambiamento Democratico (Mdc). Come alle elezioni di dieci anni fa, in posizione di comando c’è Emmerson Mnangagwa, 75 anni, detto il Coccodrillo: allora come stratega delle violenze per conto di Mugabe, oggi come vincitore in proprio con l’appoggio dell’esercito. Altro che testa a testa, come indicavano i sondaggi. I risultati ufficiali danno 122 seggi in Parlamento allo Zanu-PF e soltanto 53 all’Mdc guidato dal quarantenne Nelson Chamisa. Martedì il partito aveva già data per certa la vittoria del giovane tecnocrate che aveva ottenuto anche l’appoggio a sorpresa del vecchio presidente. Ieri la doccia fredda dalla Commissione Elettorale, che ha dato la maggioranza assoluta ai vincitori di sempre. Anche gli osservatori della Ue (ammessi per la prima volta) hanno lamentato alcune irregolarità nel voto di lunedì e il ritardo dei risultati delle Presidenziali. Per legge, c’è tempo fino a sabato. E se nessuno dei 22 candidati ha ottenuto il 50%, è previsto un ballottaggio fra i primi due per l’8 settembre. Centinaia di manifestanti si sono raccolti davanti alla sede della commissione invocando Chamisa presidente. La polizia ha lasciatomano libera all’esercito. Il centro di Harare è una delle roccaforti dell’opposizione Mdc. Nel resto del Paese la situazione è rimasta tranquilla. È anche possibile che le autorità abbiano voluto saggiare la reazione popolare con il primo annuncio della vittoria in Parlamento, per poi decidere come «gestire» la questione ben più delicata delle Presidenziali. Via Twitter, il Coccodrillo dice questo «è il tempo della responsabilità e soprattutto della pace». La sua. I

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IL FATTO QUOTIDIANO Migranti Fase B sull’immigrazione irregolare: il vicepremier annuncerà un provvedimento che modificherà anche la Bossi-Fini

Rimpatri veloci,

decreto Salvini

entro fine agosto ANTONIO MASSARI

La fase “B” del governo

s ul l’immigrazione irregolare

è già operativa. La

prima riguardava il contrasto

alle partenze e la conseguente

riduzione degli sbarchi. Il

prossimo obiettivo è invece quello

dei rimpatri per chi non ha diritto

di asilo e protezione umanitaria.

I tecnici del ministero

dell’Interno stanno lavorando in

questi giorni alla stesura di un decreto

di urgenza che, secondo i

desideri del vicepremier Matteo

Salvini, dovrebbe essere annunciato

per ferragosto, a San Luca,

in provincia di Reggio Calabria,

dove è stato fissato l’appu ntamento

per il prossimo Comitato

per l’ordine e la sicurezza.

L’OBIETTIVO è di rendere operativo

il decreto d’urgenza al più tardi

per la fine di agosto. In sostanza

si punta a modificare la legge Bossi-

Fini e le modalità di espulsione

per chi non ha diritto alla protezione

umanitaria: i migranti economici

saranno rimpatriati nel

minor tempo possibile.

In questo momento, secondo le

leggi vigenti, a chi non ha diritto

alla protezione umanitaria viene

consegnato un decreto di espulsione

che deve essere ottemperato

in sette giorni. Dall’ottavo giorno

in poi il migrante si trasforma

in “clandestino”e rischia la reclusione

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nei centri di identificazione

ed espulsione. L’idea di Salvini è

quella di rimpatriarli nei Paesi di

provenienza non appena viene

verificato che non hanno diritto

al l’accoglienza umanitaria. Voli

charter o militari, accompagnamenti

coatti alla frontiera o nel

Paese di partenza, il tutto in pochissimi

giorni.

Il primo requisito necessario è

di avere accordi bilaterali per i

rimpatri con i paesi d’origine dei

migranti da espellere. Molti accordi

già esistono, per esempio

con la Tunisia o l’Egitto, in altri casi

esistono accordi che vanno perfezionati.

Ma il governo sta valutando

una soluzione ulteriore: individuare

uno Stato africano disponibile

ad allestire centri di accoglienza,

finanziati dall’Italia o

dal l’Unione europea, dove smistare

i migranti da espellere e rimpatriare.

Una manovra – ammesso che

sia possibile –che sarebbe accompagnata

da un incentivo economico

per lo Stato disponibile a funzionare

da hot spot intermedio.

NON È PERÒ SEMPLICE rendere operativo

il progetto del governo

senza mettere mano alle casse

dello Stato. Innanzitutto per i costi

dei rimpatri che, a questo punto,

graverebbero interamente sulla

spesa pubblica. Oltre ai voli

charter già si stanno contabilizzando

i costi per i viaggi dei nostri

aerei militari. Costi che secondo il

governo sarebbero però compensati

dalle spese inferiori per sostenere

la presenza dei migranti nei

centri di prima accoglienza.

Altra componente essenziale

del progetto sul quale i tecnici incaricati

dal Viminale stanno lavorando:

investire ulteriori fondi

per potenziare le commissioni

che devono valutare chi gode della

protezione umanitaria e chi invece

deve essere espulso.

PER EFFETTUARE rimpatri in pochi

giorni, infatti, è necessario che

le commissioni ministeriali riescano

a valutare in tempi rapidi la

posizione di ogni singolo migrante.

Questo significa incrementare

il numero dei componenti della

commissione, da un lato, confidando

nella diminuzione degli arrivi,

dall’altro. Nella situazione

attuale, infatti, accade che i migranti

attendano dai 6 ai 18 mesi

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prima di ottenere un responso

dalla commissione che gli esamina.

Tempi che vanificano lo spirito

del decreto d’urgenza voluto

da Salvini e dall’intero governo.

Già lo scorso anno il suo predecessore

Marco Minniti con un decreto,

aveva aumentato di venti unità

i centri di permanenza per i rimpatri

da affiancare ai cinque Cie

esistenti. Anche in questo caso la

linea di Salvini segue quella solcata

dal governo Renzi. Se riuscirà

a chiudere l’operazione nei

tempi voluti – annuncio per Ferragosto

e decreto per la fine del

mese –lo vedremo nelle prossime

settimane.

Di certo il Viminale ha preteso

un’accelerazione nelle scorse ore.

E sull’immigrazione si continua a

giocare la principale partita dei

primi cento giorni di governo. Dopo

lo slogan “porti chiusi” ora si

avvia la fase degli “aeroporti aperti”.

RAPPORTO SVIMEZ Senza investimenti pubblici, il traballante

recupero,del Meridione (trainato dai privati) è a rischio. Via 900mila

giovani » VIRGINIA DELLA SALA

La“grande frenata”del Sud è alle porte, dopo

una crescita tutto sommato positiva ma non

entusiasmante: è la sintesi delle anticipazioni

del Rapporto Svimez 2018. Dopo un triennio di

crescita - seppur troppo debole

per recuperare gli effetti

della crisi e spinta soprattutto

dal settore degli idrocarburi -

l’economia meridionale, senza

politiche adeguate, potrebbe

dimezzare il ritmo di sviluppo.

“In assenza di un quadro

chiaro per la politica economica

- si legge - il ‘tenden -

ziale’ di crescita dell’area, nel

biennio, potrebbe dimezzarsi, passando dal

1,4% del 2017 allo 0,7% del 2019”. L’economia

del Sud, tra il 2015 e il 2017, è stata trainata dalle

imprese sopravvissute alla crisi mentre il settore

pubblico ha continuato il suo declino (cau- » MARCO MARONI

Se la cosiddetta “emergenza

immigrazione”,

con i suoi drammi umani

e le sue polemiche

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politiche, occupa le prime

pagine dei giornali e le aperture

dei Tg, c’è un altro fenomeno

migratorio in Italia

più consistente ma più trascurato:

l’emigrazione degli

italiani. Secondo i dati elaborati

dal centro studi Idos (organizzazione

indipendente

sponsorizzata tra gli altri da

Unar, Caritas e Chiesa Valdese)

nel 2017 se ne sono andati

dall’Italia circa 285 mila

cittadini. È una cifra che si

avvicina al record di emigrazione

del Dopoguerra, quello

degli anni ‘50, quando a lasciare

il Paese erano in media

294 mila Italiani l’anno.

L’Ocse segnala come l’Italia

sia tornata ai primi posti

nel mondo per emigrati, per

la precisione all’ottavo, dopo

il Messico e prima di Viet

nam e Afghanistan.

DEL FENOMENO d ell’e spatrio

degli italiani, ha parlato a

inizio luglio il presidente

dell’Inps, Tito Boeri, presentando

il rapporto annuale

dell’Istituto. “Nel confronto

pubblico degli ultimi mesi si è

parlato tanto di immigrazione

e mai dell’emigrazione dei

giovani, del vero e proprio

youth draincui siamo soggetti”,

ha detto Boeri, “la fuga

all’estero di chi ha tra i 25 e i

44 anni non sembra essersi

arrestata neanche con la fine

della crisi. Nel 2016, l’ultimo

anno per cui sono disponibili

i dati dell’Anagrafe italiani

residenti all’estero, abbiamo

perso altre 115.000 persone,

l’11% in più dell’anno precedente.

E potrebbe essere una

sottostima”. È proprio sull’ipotesi

di sottostima a cui ha

accennato Boeri che hanno

lavorato i ricercatori dell’Idos.

“I dati ufficiali, quelli

d el l ’I s ta t ”, spiega il presidente

Luca Di Sciullo, “si riferiscono

alle cancellazioni

anagrafiche registrate

dall’Aire, ma la cancellazione

dal comune di residenza

non è un obbligo, molti italiani

si trasferiscono senza spostare

la residenza, anche se

poi la fissano nel nuovo Paese”.

Per ottenere dati più realistici

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si è guardato agli archivi

dei principali paesi d’acco -

glienza, relativi ad adempimenti

obbligatori come la registrazione

di residenza o la

copertura previdenziale.

Mettendo insieme questi dati

viene fuori che la cifra registrata

dall’Istat, circa 114

mila italiani espatriati nel

2017 (in linea con il 2016) va

moltiplicata per 2,5, portando

il dato a 285 mila persone,

un flusso che è aumentato del

50% negli ultimi 10 anni.

Dal lato dei rimpatri, l’in -

cidenza negli ultimi anni è

scesa a meno di un terzo, circostanza

che, se abbinata al

recente calo dell’im m i g r azione

(16 mila sbarcati nel

primo semestre 2018, contro

i 76 mila del primo semestre

2017), e al costante calo della

natalità, è destinata, a impoverire

il Paese e metterne sotto

pressione il sistema previdenziale.

I NUOVI emigranti non aderiscono

al cliché anni ‘50 del

bracciante del Sud che lascia

il paesello con la valigia di

cartone. Oltre la metà espatria

dalle regioni del Nord;

circa un quarto dal Centro,

mentre quelli che espatriano

dal Sud e dalle Isole sono meno

di un quarto del totale. Il

grosso dell’emigrazione dal

Sud, come indica il rapporto

Svimez (articolo sopra), si

trasferisce nelle regioni del

Centro Nord italiano.

Chi espatria, va principalmente

in Europa (Germania

e Gran Bretagna in testa). E se

fino al 2002 il 51% degli emigrati

con più di 25 anni aveva

al massimo la licenza media,

ora quasi un terzo sono laureati.

Questa “fuga di cervelli”

per il Paese rappresenta una

perdita in tutti i sensi. Ogni

emigrato istruito è infatti come

un investimento che se ne

va: mediamente 164 mila euro

per un laureato, 228 mila

un dottore di ricerca, secondo

i dati dell’Ocse. Circostanza

che però non ne fa necessariamente

i candidati per lavori

più qualificati.

SECONDO il “Rapporto italiani

nel mondo” della Fondazione

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Migrantes, la maggior

parte continua a trovare impiego

in occupazioni poco

qualificate, ristoranti e pizzerie

in cima alla lista.

Scelta comunque preferibile

a quella di rimanere con

le mani in mano, o accettare

quei lavori a intermittenza e

sottopagati che nel mercato

del lavoro italiano sembrano

essere diventati la principale

prospettiva per i giovani. © RIPRODUZIONE RISERVATA

sa tagli). Gli investimenti privati hanno compensato

il crollo di quelli statali, arrivati a 4,5

miliardi annui in meno rispetto al 2010. E non

si vede una inversione di rotta. Il 64% delle risorse

stanziate in più per il rinnovo dei contratti

pubblici (1,7 miliardi all’anno) riguarderà

il Centro- Nord mentre i consumi

della Pa registrano un

+0,5% al Nord e - 0,3% nel Sud.

“Un euro di minore spesa da

parte della Pa nel Sud - spiega

Svimez - induce una perdita di

Pil, nell’area, di 0,84 centesimi;

nelle regioni centro-settentrionali

la perdita sarebbe

di 44 centesimi”. Poi le conclusioni:

“Nel 2019, la variazione

congiunturale del Pil meridionale sarebbe

dunque pari alla metà di quella registrata nel

2017”ma solo “in un contesto di neutralità della

policy”. Servirebbe, in pratica, un intervento significativo

per evitare che vada anche peggio,

come il recupero dei 4,5 miliardi

di investimenti persi dal

2010: “Darebbe luogo a una

crescita aggiuntiva, rispetto a

quella prevista (+0,7%), di circa

un punto percentuale. Il differenziale

si annullerebbe: anzi,

sarebbe il Sud a crescere di

più”.

SUL FRONTE lavoro, la situazione è drammatica:

è raddoppiato il numero di famiglie con tutti i

componenti in cerca di occupazione (passati da

362 mila a 600 mila) e il numero di famiglie senza

alcun occupato è cresciuto nel 2016 e nel 2017

del 2% all’anno. Eppure i dati parlano di crescita

dell’occupazione complessiva: in pratica, aumentano

i “working poor”, il lavoro a bassa retribuzione,

la dequalificazione delle occupazioni

e l’esplosione del part time involontario.

“Il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008

e il 2017 al Sud - si legge poi - è la sintesi di una

riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra

i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di

occupati nella fascia 35-54 anni (-212 mila) e di

una crescita quasi esclusivamente tra gli ultra

55enni (+470 mila)”. Non sorprende, quindi,

che negli ultimi 16 anni abbiano lasciato il Sud 1

milione e 883 mila residenti, la metà tra i 15 e i 34

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anni, quasi un quinto laureati. “Il 16% si è trasferito

all’estero - spiega Svimez -. Quasi 800

mila non sono tornati”. Dati che spiegano quanto

accaduto alle urne il 4 marzo.

Il Sole 24 ore

Manovra di autunno: si parte da una base di 22 miliardi (senza contare Flat tax, Fornero e reddito cittadinanza) Oltre a Iva e spese indifferibili, sui conti iniziali della manovra d’autunno pesa la

frenata della crescita e l’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato. La base di

partenza, prima di mettere mano a riforma fiscale, reddito di cittadinanza,

pensioni, sanità o rinnovi del contratto del pubblico impiego, è quindi una

partita da 22 miliardi di euro divisi fra Iva (12,4 miliardi), spese obbligatorie

(almeno 3,5), spesa aggiuntiva per interessi (4 miliardi) e ricadute sul deficit

della minore crescita (2,5 miliardi). Si tratta di 1,2 punti di Pil, che senza

contromisure potrerebbero quindi il deficit 2019 al 2%. Non è questa l’intenzione

di Tria, che ha avviato il confronto con la Ue per ottenere un obiettivo che non

peggiori l’indebitamento strutturale ma non imponga misure giudicate troppo

dure per un’economia già in rallentamento. Al centro del confronto ci sono

quindi spazi fiscali intorno agli 11 miliardi, per dimezzare lo sforzo di partenza.

Governo M5S-Lega, il primo scoglio sarà una manovra da almeno 30 miliardi

Riempite le caselle degli incarichi più pesanti e messe in strada le regole su lavoro e credito cooperativo, entra finalmente nel vivo la preparazione della

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manovra d’autunno, la partita chiave per il governo giallo-verde. La collocazione di Alessandro Rivera alla direzione generale del Tesoro e la conferma di Daniele Franco al vertice della Ragioneria hanno definito la squadra. Ma prima di decidere le strategie di gioco bisogna tracciare i confini del campo. E i numeri che prendono forma disegnano gli spazi reali a disposizione di riforma fiscale, reddito di cittadinanza, pensioni, incentivi al lavoro, spesa sanitaria e di tutti gli altri capitoli che premono alle porte del fortino dei conti.

Tanti fattori rendono decisivo l’appuntamento di settembre, e uno di questi è ancora una volta mister spread. Con la nota di aggiornamento al Def da presentare entro il 20 settembre si faranno i conti sulla spesa per interessi da mettere a preventivo per l’anno prossimo. Tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, quando è stato definito il Def tendenziale, il differenziale con i Bund era poco sopra i 120 punti, e saranno i numeri di settembre a decidere la differenza rispetto a quel preventivo. Oggi siamo a 233, e i calcoli ufficiali pesano il costo di 100 punti di rendimento fra i 3,6 e i 4,5 (Upb) miliardi di spesa aggiuntiva a seconda di come si distribuiscono sulla curva dei tassi. A giugno, dicono gli ultimi dati del Mef, il rendimento all’emissione del decennale è stato 117 punti sopra ai livelli di aprile, sui cinque anni la distanza è stata invece di 164 punti mentre sui 20 anni ci si è limitati a pagare 66 punti in più. Un’indicazione importante è attesa per domani, quando il Tesoro offrirà in asta la prima tranche (fino a 4 miliardi) di un nuovo Btp decennale con una cedola del 2,8%, poco sotto al 3% di giugno ma assai più in alto dell’1,83% di aprile. Ma la linea finale sarà tracciata a settembre, quando peraltro scadono poco meno di 24 miliardi di titoli.

Il Pil in frenata riduce gli spazi per la manovra di ottobre

La seconda variabile è legata alla frenata della crescita. Le ultime previsioni sul 2019 oscillano fra l’1% (Fmi) e l’1,1% (Ocse, commissione Ue e Upb). Senza un colpo di reni, siamo quindi almeno tre decimali sotto l’1,4% messo in calendario dal Def ereditato dal governo Gentiloni: la frenata dell’economia riduce le entrate fiscali e quindi aumenta il deficit, in una misura che i modelli statistici del Mef indicano nella metà. Tre decimali di crescita in meno, cioè, significherebbero uno 0,15% di deficit/Pil in più, in un conto che dovrà considerare anche gli effetti pro-crescita (un decimale di Pil) dei mancati aumenti Iva. Chiudono questo primo quadro i 12,4 miliardi (lo 0,65% del Pil) di aumenti Iva da bloccare e le spese obbligatorie che un calcolo prudenziale (un governo nuovo può bloccare qualche programma ereditato dal vecchio) colloca intorno ai 3,5 miliardi (0,2% del Pil).

Riassunto: solo per sminare le clausole Iva (12,4 miliardi), finanziare le spese obbligatorie (3,5) ed evitare che interessi sul debito (4) e minore crescita (2,5) gonfino il deficit servono 22,4 miliardi. A meno di non caricare tutto il conto sull’indebitamento netto portandolo al 2% dallo 0,8% programmato.

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Tria al G20: se la crescita frena, anche il programma di governo rallenta

Ma non è questa l’intenzione di Tria, che mercoledì in Parlamento ha ricordato di aver già avviato il «dialogo» con Bruxelles per individuare un percorso di correzione non troppo pesante per un’economia in frenata. L’obiettivo dichiarato è quello di «non peggiorare» l’indebitamento netto fissato per quest’anno (1% lo strutturale), con uno sconto da sei decimali di Pil: si tratta di 11 miliardi, che al netto delle ricadute della complicata (e per ora impossibile da cifrare con precisione) contabilità europea sulla crescita potenziale, dimezzerebbero quindi lo sforzo iniziale. Su questa base, oltre all’avvio di tassa piatta, reddito di cittadinanza e pensioni preme anche la ripresa della spesa sanitaria, che secondo il contratto di governo dovrebbe ricominciare a salire rispetto al Pil e non solo in termini nominali. Senza contare il rinnovo dei contratti del pubblico impiego (quelli appena firmati scadono il 31 dicembre), che avrebbe bisogno di un nuovo stanziamento (diretto per gli statali, a carico degli enti territoriali per gli altri) dopo i circa cinque miliardi dell’ultima tornata . La ministra della Pa Giulia Bongiorno ha promesso venerdì ai sindacati di «spingere» in questa direzione. Ma in ogni caso serviranno almeno i soldi per pagare le indennità di vacanza contrattuale.

Allarme Sud: disoccupati boom e il

lavoro è sempre più precario di Andrea Carli

Nel 2017 il Mezzogiorno ha proseguito la, seppur lenta, ripresa. Ma, avverte

Svimez nelle anticipazioni del Rapporto 2018 presentate questa mattina a Roma,

se si manifestasse un contesto di grande incertezza nel 2019 l’economia del Sud

rischierebbe una «grande frenata». La crescita nel triennio 2015-2017 ha

infatti solo in parte recuperato il patrimonio economico e sociale disperso

dalla crisi. È una ripresa, quella del Sud, sbilanciata: trainata dagli

investimenti privati, mentre manca il contributo della spesa pubblica.

600mila famiglie senza lavoro, cresce solo il lavoro precario Il lavoro manifesta dei punti di grande debolezza. Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, da 362 mila a 600 mila (nel Centro-Nord sono 470 mila). Le aree di esclusione sono concentrate nelle grandi periferie urbane: sono «sacche di crescente emarginazione e degrado sociale, che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici». Al Sud

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l’occupazione è sì aumentata, ma quella di «bassa qualifica e bassa retribuzione», e «i giovani sono tagliati fuori». Non solo: la crisi ha colpito soprattutto i giovani under 35: «il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia adulta 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità). Insomma, «si è profondamente ridefinita la struttura occupazionale, a sfavore dei giovani».

Pil delle regioni del Sud in crescita nel 2018, rischio rallentamento nel 2019 Secondo Svimez, nel 2018 il Pil del Centro-Nord dovrebbe crescere dell’1,4%, in misura maggiore di quello delle regioni del Sud (+1%). I consumi totali interni pesano sulla differente dinamica territoriale (+1,2% nel Centro-Nord e + 0,5% nel Sud), in particolare i consumi della Pa, che segnano +0,5% nel Centro-Nord e -0,3% nel Mezzogiorno. Ma è soprattutto nel 2019 che si rischia un forte rallentamento dell’economia meridionale: la crescita del prodotto sarà pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud. In due anni, un sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo.

L’ANALISI

Prodotto e tassi, impatto di 8-10 miliardi sui conti 2018-2019 Scopri di più

Lo scenario di una policy neutrale: rallentamento tendenziale dell’economia È possibile ragionare sulla base di due scenari. Il primo è caratterizzato da una policy neutrale, in attesa della Nota di aggiornamento al Def e della legge di Bilancio. In questa ipotesi, senza una politica adeguata, l’Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno prevede un rallentamento tendenziale dell’economia meridionale nel 2019.

... e quello di una policy che favorisca gli investimenti nelle infrastrutture C’è però un secondo scenario: se nel 2019 venissero favoriti in misura maggiore gli investimenti infrastrutturali di cui il Sud ha grande bisogno, il risultato sarebbe una crescita aggiuntiva di quasi un punto percentuale (+0,8%), rispetto a quella prevista (appena un +0,7%), per cui il differenziale di crescita tra Centro-Nord e Mezzogiorno sarebbe completamente annullato, anzi, sarebbe il Sud a crescere di più, con beneficio per l’intero Paese.

In Calabria, Sardegna e Campania il più alto tasso di sviluppo In generale, c’è una forte disomogeneità tra le regioni del Mezzogiorno: nel 2017, Calabria, Sardegna e Campania registrano il più alto tasso di sviluppo. Cresce l’occupazione ma è debole e precaria. E in più si amplia il disagio sociale, tra famiglie in povertà assoluta e lavoratori poveri.

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Studenti in fuga dal Sud. Soffrono Pil e consumi

Forte recupero del manifatturiero Al di là di quello che potrebbe accadere nel 2018 e nel 2019, la lenta ripresa dell’economia del Sud prosegue: nel 2017 il Pil del Mezzogiorno è aumentato dell’1,4%, rispetto allo 0,8% del 2016. Ciò grazie al forte recupero del settore manifatturiero (5,8%), in particolare nelle attività legate ai consumi, e, in misura minore, delle costruzioni (1,7%). La crescita è stata solo marginalmente superiore nel Centro-Nord (+1,5%).

Ripresa trainata da investimenti privati, preoccupa calo spesa pubblica Gli investimenti privati nel Mezzogiorno sono cresciuti del 3,9%, consolidando la ripresa dell’anno precedente: l’incremento è stato lievemente superiore a quello del Centro-Nord (+3,7%). La crescita degli investimenti al Sud ha riguardato tutti i settori. Ma rispetto ai livelli pre crisi, gli investimenti fissi lordi sono cumulativamente nel Mezzogiorno ancora inferiori del -31,6% (ben maggiore rispetto al Centro-Nord, -20%). Preoccupante, sottolinea Svimez, la contrazione della spesa pubblica corrente nel periodo 2008-2017, -7,1% nel Mezzogiorno, mentre è cresciuta dello 0,5% nel resto del Paese.

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OCCUPAZIONE IN RIPRESA MA DEBOLE E PRECARIA

Cresce solo il lavoro precario È proseguita nel 2017, sia pur con un rallentamento a fine anno, la crescita dell’occupazione: nel Mezzogiorno aumenta di 71 mila unità (+1,2%) e di 194 mila nel Centro-Nord (+1,2%). Ma al Sud è ancora insufficiente a colmare il crollo dei posti lavoro avvenuto nella crisi: nella media del 2017 l'occupazione nel Mezzogiorno è di 310 mila unità inferiore al 2008, mentre nel complesso delle regioni del Centro-Nord è superiore di 242 mila unità. Nel corso del 2017 l’incremento dell’occupazione meridionale è dovuta quasi esclusivamente alla crescita dei contratti a termine (+61 mila, pari al +7,5%) mentre sono stazionari quelli a tempo indeterminato (+0,2%). Vi è stata una brusca frenata di questi ultimi rispetto alla crescita del 2,5% nel 2016, il che dimostra che stanno venendo meno gli effetti positivi degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni al Sud.

Negli ultimi 16 anni ha lasciato il Sud la metà dei giovani tra 15 e 34 anni C’è un ultimo dato che fa riflettere. Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il

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Mezzogiorno 1 milione e 883mila residenti: la metà giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. Quasi 800 mila non sono tornati. Anche nel 2016, quando la ripresa economica ha manifestato segni di consolidamento, si sono cancellati dal Mezzogiorno oltre 131 mila residenti. Tra le regioni meridionali, sono la Sicilia, che perde 9,3 mila residenti (-1,8 per mille), la Campania (-9,1 mila residenti, per un tasso migratorio netto di -1,6 per mille) e la Puglia (-6,9 mila residenti, per un tasso migratorio netto pari a -1,7), quelle con il saldo migratorio più negativo. Il consolidamento della lenta ripresa dell’economia del Mezzogiorno dipenderà anche dalla capacità di offrire delle opportunità ai giovani.

La Campania torna a bruciare, scatta l’allarme diossina

La Campania torna a bruciare. L’estate scorsa 900 roghi in due mesi hanno

devastato i boschi e oltre un terzo del Parco nazionale del Vesuvio. Quest’anno

gli incendi divampano nei depositi e negli impianti di trattamento dei rifiuti,

diffondendo fumo nero, inquinamento, paura. In soli dieci giorni tre grandi

roghi e altri minori hanno avvelenato vaste aree della regione. E ieri l’Arpa

Campania ha diffuso dati allarmanti sulla presenza di inquinanti nell’aria: a

Caivano a 500metri dall’incendio diossina pari a 0,35 contro un valore di

riferimento dello 0,1.

Tutto ciò, per alcuni, è segno di una nuova, imminente emergenza rifiuti. La difficoltà di smaltimento è problema che investe buona parte dell’Italia (per il freno imposto ai trasferimenti da Cina e Germania), ma la Campania, che ancora porta le ferite della grave emergenza degli anni 2006-2009, teme conseguenze più gravi essendo poco dotata di impianti e con un’economia illegale pronta e addestrata a lucrare delle emergenze. «Il sistema tiene», sgombra il campo da ogni allarme il presidente della Regione,

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Vincenzo De Luca, intervenendo alla assemblea regionale di Coldiretti, dedicata proprio al tema “Mai più Terra dei Fuochi”.

La cronaca: i roghi a luglio Il 25 luglio, nell’area industriale di Pascarola, a Caivano, viene distrutta buona parte della piattaforma di riciclo della plastica della Di Gennaro, azienda attiva dal 1960. L’entità dell’incendio – durato per l’intero week-end nonostante la presenza di sette squadre di vigili del fuoco e 15 automezzi – induce il commissario prefettizio a invitare la cittadinanza a rimanere a casa con le finestre chiuse temendo la diffusione di diossina. Dopo l’intervento dei vigili del fuoco si rende necessario quello di ditte private sotto la sorveglianza di Protezione civile e Prefettura di Napoli per smorzare con sabbia anche i piccoli focolai. Dopo una settimana sono stati diffusi i rilevamenti delle centraline dell’Agenzia regionale per l’ambiente: triplicata la presenza di diossina rispetto ai parametri limite nell’area di Caivano. Già il primo luglio, a San Vitaliano, in provincia di Napoli, un altro incendio era divampato nel cortile della Ecologia Bruscino, con colonne di fumo di circa 30 metri. Per precauzione viene evacuata un'abitazione in cui vive un nucleo familiare di tre persone. Per fortuna, non ci sono intossicati. Interviene il ministro dell’Ambiente, Giorgio Costa. E poi il 14 luglio: divampa l’incendio in un deposito di pneumatici nel Casertano. Il 26 luglio si registrano roghi tra Afragola e Acerra.

Ecomafia, Legambiente: business da 14 miliardi, nel 2017 arresti e inchieste record

Il ministro Costa: Fate presto! Il ministro dell’Ambiente, Giorgio Costa, è intervenuto più volte in Campania nei giorni scorsi mostrando di voler vincere la sfida finora persa della lotta ai roghi. «Chiedo a tutte le Prefetture d’Italia di accelerare i tempi – ha detto – considerate le temperature elevate di questo periodo, affinchè questi siti diventino sorvegliati speciali il prima possibile». Costa assicura: «Non lasceremo solo nessuno».

Le inchieste

La Procura di Napoli Nord diretta da Francesco Greco guida l’indagine sul rogo di Caivano che si sviluppa su tre direttrici: la presenza di persone (rilevata dalle telecamere dell’azienda) nell’area di stoccaggio delle balle lavorate, le misure di sicurezza predisposte dalla Di Gennaro, la quantità (eccessiva?) di materiale accumulato. Per tutti i casi si ritiene che si tratti di incendi dolosi pertanto sono aperti diversi capitoli di indagini.

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La Campania chiede lo stop al commissariamento

La denuncia di De Luca «La vera causa dei roghi diffusi – dice il governatore all’Assemblea di Coldiretti Campania – sono gli sversamenti abusivi di scarti di lavorazioni industriali. Facciamo una stima che esistano 2mila piccolissime imprese illegali. Faremo controlli, stiamo attivando i primi otto droni che la Regione ha acquistato. E contemporaneamente accompagneremo le piccole imprese dei sottoscala a emergere nella legalità. Ma daremo loro un tempo oltre il quale scatterà la repressione».

Altro tema intimamente collegato agli incendi nei depositi di rifiuti degli ultimi giorni è il completamento del ciclo dei rifiuti. Per De Luca «è necessario realizzare 15 impianti di trattamento della frazione organica. Oggi portare i rifiuti organici fuori regione costa 190 euro a tonnellata e in più dobbiamo pagare la multa comminata dalla Ue per non aver chiuso il ciclo dei rifiuti pari a 130mila euro al giorno. Non è ammissibile che la costruzione degli impianti debba essere bloccata dal popolo dei No».

Il sindaco di Marcianise Antonello Velardi, primo cittadino della cittadina casertana con la piu ampia area industriale, è netto: «Gli impianti di stoccaggio di rifiuti vanno chiusi, sono bombe ecologiche». Velardi ha sulla scrivania l’elenco delle imprese presenti nell’area Asi di Marcianise e ha segnato con un asterisco quelle che si occupano di trattamento rifiuti. «Le controlleremo tutte – dice – vedremo se rispettano i limiti e le prescrizioni di legge». Per il sindaco, che si è distinto per la sua guerra alle illegalità, c’è un sistema che sta implodendo: «Le aree di stoccaggio, in cui si fermano i rifiuti prima di essere spediti in impianti del Nord o all’estero, sono sature. Gli impianti delle regioni settentrionali lo sono altrettanto, poiché anche le esportazioni dopo la chiusura della Cina, sono rallentate. In altre parole, dice Velardi, la domanda di stoccaggio e trattamento finale supera l’offerta. L’incendio può essere anche un sistema per fare spazio. Può accadere che in qualche caso le fiamme diventino incontrollabili. Il punto debole restano gli impianti. La Regione non ne ha realizzati».

Le risorse stanziate La Regione Campania ha destinato la spesa di 40 milioni all'acquisto dei droni per sorvegliare le aree più a rischio di incendi e di sversamenti illegali. Inoltre, dispone di un finanziamento statale destinato allo smaltimento delle ecoballe, accumulate negli anni della emergenza rifiuti (dal forte impatto ambientale e altrettanto pericolose): il piano prevede la spesa complessiva di 600 milioni. Si parla di 5.516.689 tonnellate, accantonate in 16 siti occupando una superficie pari a quella di 16 campi di calcio.

Risultati modesti Risultati ancora modesti, seppure un tempo non lontano nemmeno

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immaginabili. In altre parole, il lavoro da fare è stato impostato, ma avanza lentamente. I primi otto droni a quanto sembra, stanno per entrare in funzione. Mentre, della montagne di ecoballe della Campania, il 16% va portato fuori regione e, di questo, solo il 22,27% è stato rimosso in due anni. Mentre il 42% è materiale da recuperare e un’altra parte di pari quantità è destinata alla produzione di combustibile. «Sono state avviate gare – aggiunge De Luca – per rimuovere un terzo delle ecoballe accumulate. Sono state eseguite intanto 49 bonifiche di discariche. Tra queste la Resit di Giugliano che conteneva 2milioni di tonnellate di rifiuti».

Emergenza impianti Condiviso il «No» ai termovalorizzatori con cui la Giunta De Luca ha modificato il precedente Piano rifiuti, la carenza di altri impianti per chiudere il ciclo è però considerato un grave danno. «Desidero esprimere piena solidarietà all’azienda Di Gennaro spa, gravemente colpita da un incendio. Un'impresa qualificata e di grande tradizione, con oltre cento dipendenti, attiva su un fronte strategico per lo sviluppo e la riqualificazione del nostro territorio, come il riciclo dei materiali e, quindi, la raccolta differenziata dei rifiuti – commenta il presidente di Unione Industriali Napoli, Vito Grassi – Al di là della verifica delle cause dell’incendio, su cui farà chiarezza la magistratura, emerge ancora una volta la necessità di realizzare il ciclo integrato dei rifiuti in tutte le sue componenti, inclusi i tempi di smaltimento dei materiali selezionati attraverso la raccolta differenziata, che devono essere ragionevoli e non determinare accumuli anomali dei materiali stoccati». Gennarino Masiello, neo letto presidente della Coldiretti regionale precisa: «La carenza di impianti per il trattamento dei rifiuti va risolta – dice – con spirito di collaborazione». Ad oggi sono attivi in Campania oltre al termovalorizzatore di Acerra, anche cinque Stir e un solo impianto di compostaggio a Salerno.

Borsa: Europa in calo intimorita da minacce sui dazi, a Milano (-0,6%) giu' Tenaris

Continua a perdere quota Ferrari (-0,8%) (Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) - Milano, 02 ago - Borse europee deboli, sulla

scia dei cali accusati dalle piazze asiatiche, mentre il tema della guerra commerciale e' tornato di nuovo in primo piano. Il

presidente americano, Donald Trump, ha chiesto al rappresentante commerciale statunitense, Robert Lighthizer, di

prendere in considerazione un rialzo al 25% dal 10% dei dazi su beni cinesi per 200 miliardi di dollari l'anno. Dal canto

suo Pechino ha gia' promesso ulteriori ritorsioni. Intanto ieri sera la Federal Reserve ha confermato i tassi di interesse

nel range dell'1,75%-2%. Gli analisti, pero', mettono in conto che l'istituto centrale Usa potrebbe ritoccare al rialzo il costo

del denaro per due volte, anziche' una, entro la fine dell'anno, visto che, come ha sottolineato il presidente, Jerome

Powell, l'attivita' economica americana sta crescendo a ritmo robusto e la disoccupazione e' bassa. In piu' il banchiere ha

anticipato un maggior numero di conferenze stampa, segnale, anche questo, interpretato dagli operatori come preludio a

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una politica monetaria piu' restrittiva. Oggi si pronuncera' in materia di tassi anche la Banca centrale inglese. Intanto

procede la stagione delle trimestrali, che da' ritmo ai listini. Sulle prime battute Milano cede lo 0,65%, Parigi lo 0,5% e

Francoforte l'1%. E' debole anche Madrid (-0,46%), mentre argina le perdite allo 0,28% Londra.

A Piazza Affari sono contrastate le banche. Sono in calo Intesa Sanpaolo, Bper e Unicredit, mentre mantengono le

posizioni Banco Bpm e Ubi. Quest'ultima ha annunciato la cessione del veicolo che contiene sofferenze per circa 2,75

miliardi di euro. Tenaris e' la peggiore del Ftse Mib con un ribasso del 5%, dopo la pubblicazione dei conti, nonostante i

ricavi del secondo trimestre siano saliti del 44% e l'utile netto sia volato a 166 mln di dollari (+127%). Ma rimangono piu'

incerte le prospettive, anche a causa dei dazi americani. Poste arretra del 2%, dopo che ha diffuso i conti del primo

semestre, archiviati con ricavi pari a 5,4 miliardi di euro, in calo dell'1,3% rispetto al primo semestre del 2017, ma un utile

netto migliorato del 44,1% a 735 milioni di euro. Non si arrestano le vendite su Ferrari , che perde lo 0,8%, dopo il tonfo

di oltre l'8 della vigilia, provocato dalle parole del neo-ceo, Louis Camilleri, che ha definito i target al 2022 'ambiziosi',

anche se ha detto che la societa' fara' di tutto per raggiungerli. E' in controtendenza Mediobanca (+0,3%), beneficiando

dei conti diffusi ieri.

Sul fronte dei cambi, l'euro si e' indebolito nei confronti del biglietto verde: passa di mano a 1,1629 dollari rispetto a

1,167 della chiusura di ieri. Vale inoltre 129,93 yen (130,7), mentre il dollaro-yen e' pari a 111,73 (111,98). E' stabile il

greggio: il wti, contratto con consegna a settembre, psi attesta a 67,68 dollari al barile

02/08/2018 09:07

BTp: spread con Bund apre poco mosso a 232 punti, rendimento fermo al

2,80%

(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) - Roma, 02 ago - Avvio poco mosso, con marginali variazioni, sul mercato secondario telematico dei

titoli di Stato europei per lo spread tra BTp e Bund. Il differenziale di rendimento tra il decennale benchmark italiano (Isin

IT0005323032) e il pari scadenza tedesco e' indicato in apertura a 232 punti base dai 230 punti della chiusura di ieri. Fermo sul

closing della vigilia, al 2,80%, il rendimento dei decennali italiani.

La Repubblica

Blackout, decine di ristoranti chiusi “Colletta per comprare il generatore” Rivolta a Trastevere: “Affari perduti e merce da buttare. Siamo pronti a denunciare Acea Nell’anno del Signore 2018 la nostra attività è costretta in data odierna a chiudere grazie a ripetuti disservizi di Acea Energia. Ci scusiamo con la clientela ». Un cartello affisso alla saracinesca di un bistrot in via di San Francesco a Ripa, racconta la strage del commercio nel rione caro al Trilussa. Nel triangolo “del buon gusto” compreso tra piazza San Cosimato, via Natale del Grande, viale Trastevere, più di 20 attività sono in emergenza da giorni, a causa dei blackout prolungati, fino a

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un massimo di otto ore, alla rete elettrica. La corrente salta all’improvviso e costringe i ristoratori a mandar via la clientela seduta ai tavoli. I guasti coinvolgono centinaia di residenti nei palazzi del quadrante: famiglie con i bambini piccoli, anziani soli L’emergenza si estende a macchia di leopardo in tutta la città, da Trastevere a piazza Bologna, non risparmia i residenti in piazza Biffi, alla Garbatella, che tre giorni fa sono rimasti senza luce per oltre quattro ore, il giorno successivo per un’altra ora e mezza. Ma è nel dedalo di stradine che si intrecciano intorno a piazza San Cosimato che monta la rivolta. «Non ne possiamo più — attacca Eugenia Magliocchetti, la 22enne responsabile del ristorante in via di San Francesco a Ripa, 141 — con gli altri esercenti abbiamo avviato una raccolta fondi per comprare un generatore, vogliamo nominare un avvocato e chiedere i danni ad Acea, così non si può andare avanti». Un’iniziativa motivata dai fatti. «Oggi (ieri, Ndr) abbiamo dovuto mandare via 20 clienti — spiega Magliocchetti — alle 13 è saltata la corrente, abbiamo finito di lavorare». I dipendenti però sono rimasti inchiodati nel locale con le braccia incrociate, «perché le nostre serrande sono elettriche — spiega ancora la responsabile — come fai a chiudere?». Il giorno prima è andata peggio: «Martedì la corrente è andata via alle 12 ed è tornata solo alle 20 — prosegue Magliocchetti — in due giorni abbiamo incassato 400 euro, quando normalmente non scendiamo sotto i 1500. Senza contare il valore della merce in frigo, abbiamo dovuto buttare via tutto». Materie prime di qualità, per un valore di migliaia di euro. La conta dei danni prosegue pochi civici più avanti, al bar d’angolo con viale Trastevere. Angelo Pispico, il 51enne titolare del “Caffè Trastevere” è disperato. «Il mancato incasso è il fatto meno grave — sottolinea — martedì abbiamo dovuto buttare 35 chili di gelato artigianale, più altri 600 euro di cremini industriali. Chi ci risarcisce?». Le prime avvisaglie del problema risalgono a quattro mesi fa. Ieri, per resistere all’ennesimo down

elettrico, Pispico ha steso una prolunga al centro della strada fino all’ingresso della farmacia di fronte al suo bar: «Noi dipendiamo da un’altra centralina — conferma la farmacista, Silvia Rossacco

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— abbiamo spento un condizionatore e l’abbiamo fatti attaccare, almeno oggi salva i gelati». Rischia più di altri, Simona Rossetti, la titolare della gioielleria di famiglia aperta dal 1961: «La porta blindata adesso non funziona — rileva — la luce non c’è, per non annullare tutti gli appuntamenti ci siamo ridotti a mostrare l’oro. le pietre preziose sul palmo di mano in strada, vi rendete conto? ». Le 28 famiglie al civico 45 sopravvivono al buio, con il frigo staccato, il citofono fuori servizio: «Uno scenario da terzo mondo — esclama Maria Inger, 65 anni — senza ventilatore si soffoca». A Trastevere come in piazza Bologna. «Martedì siamo stati 7 ore senza corrente — denuncia Mariangela Bucciarelli — sono dovuta uscire dal parrucchiere con i capelli bagnati». Per fortuna il sole non era ancora tramontato. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

mauro favale

Quelle bandiere con le tartarughe frecciate, simbolo di Casa- Pound, a Garbatella proprio non le volevano. Per questo, un gruppo di donne, lo scorso 20 maggio, aveva improvvisato una contestazione “canora” nei confronti dei “fascisti del terzo millennio” che quel giorno stavano volantinando in Largo Leonardo Da Vinci a favore del loro candidato alle elezioni del VIII Municipio. Adesso per tre di quelle attiviste (due nemmeno si conoscono tra di loro) è arrivato un provvedimento da parte della questura, un “avviso orale” previsto dall’articolo 3 del Codice Antimafia per «soggetti considerati socialmente pericolosi». A darne notizia è la rete degli antifascisti e delle antifasciste di Roma Sud che in un comunicato ricostruisce la vicenda: «Nel caldo luglio romano si è dipanato un piccolo mistero — scrivono — che può avere significati più grandi per chi voglia leggerli. L’aria è resa ancora più pesante dalla propaganda razzista del Governo tra chiusura dei porti e inni alla legittima difesa che producono effetti aberranti come il caso della bimba colpita da un proiettile ad aria compressa». È in questo contesto che qualche giorno fa le tre donne, tutte attiviste in diversi ambiti, ricevono una convocazione in questura per la notifica di un “avviso orale”: «Un provvedimento riservato a persone socialmente pericolose, che si sono dimostrate “dedite alla commissione di reati” e che vengono invitate a non

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peccare più. Il bello è che a nessuna di loro viene specificato quali sarebbero questi reati, anzi, ad alcune di loro viene chiesto: “Cosa ha fatto negli ultimi anni?”. “Un figlio o due, qualche lavoro precario, qualche assemblea cittadina, qualche flash mob ma nulla che mi faccia sentire pericolosa”, questa è la risposta». A nessuna delle tre donne, sottolinea una di loro, è stato spiegato se l’avviso orale è scaturito d’ufficio o se ci sia stata una denuncia da parte di qualcuno. «Faremo un accesso agli atti nelle prossime settimane per saperne di più», fa sapere una delle ragazze a Repubblica.

L’intenzione è quella di presentare ricorso per la revoca del provvedimento.

La Stampa MARCO PONTI Il professor guiderà, gratis, i valutatori del governo

“La costi-benefici prassi internazionale dei Paesi civili, non dell’Italia”

“I numeri proveranno se dieci grandi opere sono utili oppure no” COLLOQUIO

Non solo la Torino-Lione

e non solo grandi opere perché «faremo un’analisi costi e benefici di tutti i progetti che sono sul tavolo del ministero delle Infrastrutture. La lista è piuttosto lunghetta. Ed è la prima volta che in Italia si fa un’operazione di revisione completa sulla necessità e sostenibilità di opere ferroviarie e stradali del sistema dei trasporti nazionale». Marco Ponti,

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docente in pensione di Economia dei Trasporti del Politecnico di Milano, spiega così la decisione di guidare la struttura del ministero delle Infrastrutture incaricata di fare quel lavoro di verifica su una decina di progetti, la maggior parte osteggiata da sempre dal M5S, che ha scatenato la rivolta dei rappresentanti istituzionali e delle forze economiche locaki, in primis il Piemonte , preoccupati per un eventuale stop a cantieri ritenuti strategici. Ponti non vuole entrare nel merito delle polemiche e si limita a spiegare: «La valutazione socio-economica di grandi opere è una prassi internazionale comune utilizzata in tutti i paesi civili. Poi c’è il Gabon. E l’Italia dove l’analisi costi e benefici non è mai stata fatta». Classe 1941, una laurea in architettura e poi per 13 anni consulente per la Banca Mondiale nel settore dei trasporti, Ponti si è scontrato apertamente con i promotori della Torino- Lione. Un collaboratore dell’ex ministro Lunardi «mi ha definito un pericoloso comunista-liberista, cosa di cui vado molto fiero», scrive nella sua presentazione sul blog del Fatto Quotidiano. Su YouTube si può recuperare un video di uno scontro con Paolo Foietta, allora tecnico dell’Osservatorio e ora commissario governativo Tav. Quando la sua nomina sarà ufficializzata non è difficile immaginare le polemiche da par te del fronte del Sì. Ponti, però, mette le mani avanti e rivendica la sua indipendenza: «Sono stato consulente di molti ministri dei trasporti e dell’economia con rapporti in genere difficilissimi. Alla fine mi hanno sempre cacciato. E adesso sono pronto a fare le valigie anche con il sesto». Poi spiega: «In passato ho anche criticato i No Tav ma non è questo il tema. Il mio lavoro e la mia esperienza e la mia forza si basano solo sui numeri, dati senza alcuna valutazione ideologica». Anche se «devo dire che per quanto riguarda le stime di traffico dei No Tav sulla Torino-Lione sono corrette tanto che sono state

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fatte proprie dai promotori». E dal suo punto di vista «a maggior garanzia della mia indipendenza ho chiesto di non essere pagato per il mio lavoro». Ponti non spiega quali saranno i progetti sottoposti all’opera di revisione ma la lista comprende una decina di grandi opere. Il ministro Toninelli alla commissione Ambiente della Camera, qualche spunto in più l’ha dato: la Gronda autostradale di Genova, l’aeroporto di Firenze e la Pedemontana Lombarda. E poi c’è la rete ad Alta Velocità: Terzo Valico, il Nodo di Firenze, il collegamento tra Brescia e Padova e la tratta Torino-Lione. E ai deputati Toninelli ha spiegato anche che «il Governo potrà agire una parvolta verificata l’utilità delle singole opere e la loro sostenibilità nel contesto attuale, e potrà anche valutare l’eventuale vantaggio e gli eventuali costi di tutte le alternative che saranno ipotizzate, compresa quella di recedere dalla prosecuzione dell’opera». Il lavoro di Ponti e del suo gruppo servirà per definire se «un’opera è necessaria oppure no» e anche per indicare «su quali opere sia meglio spendere le risorse pubbliche». Sulla Torino-Lione il ministro Toninelli vorrebbe avere delle risposte ad ottobre. Ponti, però, non si sbilancia, e si dice pronto a prendere in esame il lavoro già fatto dai promotori dell’opera - «anche se non puoi chiedere all’oste se il suo vino è buono» - a cui per altro non ha lesinato critiche. In ogni caso Parigi è pronto a lasciare all’Italia il tempo necessario per le sue riflessioni come ha spiegato il ministro dell’Economia, Le Maire: «Gli interrogativi sono legittimi. È un progetto che costa diversi miliardi di cui bisogna garantire la redditività ai contribuenti. Aspettiamo la posizione ufficiale di Roma, siamo pazienti».

Decreto Dignità

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verso il via libera Ma è polemica sull’articolo 18 Di Maio aveva promesso di reintrodurlo, Leu presenta l’emendamento ma la maggioranza lo boccia L’occasione per scardinare il Jobs act e reintrodurre l’articolo 18, come promesso in campagna elettorale dal Movimento 5 Stelle, si è presentata ieri mattina alla Camera durante il voto degli emendamenti al Decreto dignità. Ma l’aula ha respinto la proposta di Leu che chiedeva il ripristino dell’obbligo di riassunzione del lavoratore licenziato ingiustamente, tra gli applausi ironici anche del Pd, a sottolineare l’incoerenza dei Cinque Stelle. Era stato infatti lo stesso Luigi Di Maio - presente tra i banchi di Montecitorio - a ribadire più volte in campagna elettorale che il Movimento avrebbe reintrodotto la norma cancellata dal governo di Matteo Renzi. «Crediamo che sotto i 15 dipendenti non serva l’articolo 18 alle imprese, perché in quel caso sono a condizioni familiare. Per il resto, vogliamo ripristinarlo», disse il 2 dicembre scorso, promettendo di abolire il Jobs Act. Oggi le cose invece sembrano essere cambiate. I deputati favorevoli all’emendamento di Guglielmo Epifani sono stati infatti appena 13, 317 i contrari e 191 gli astenuti. Decreto immutato Il Decreto dignità, dopo il passaggio in commissione, rimane in sostanza immutato. La maggioranza Lega-M5s ha respinto via via gli oltre 400 emendamenti presentati dall’opposizione, tranne quello relativo ai lavoratori marittimi sui contratti in somministrazione. Il punto chiave del decreto voluto da Di Maio resta la stretta dei contratti a termine, che possono essere rinnovati per un massimo di 24 e non più 36 mesi, e la reintroduzione della causale: norme che

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entreranno in vigore da ottobre per consentire alle imprese di adeguarsi alle nuove regole. A questo, in tema di lavoro, si aggiunge inoltre la proroga dello sconto voluto dal governo Gentiloni del 50% sui contributi previdenziali che il datore di lavoro deve versare, se assume personale under 35 nel 2019-2020. Ci sono poi i disincentivi alle delocalizzazioni, la stretta agli spot sul gioco d’azzardo e la reintroduzione dei voucher, che potranno essere usati in agricoltura e nel turismo, ma con diversi paletti. Misure che hanno fatto infuriare sia la Confindustria, sia i sindacati. Per Maurizio Martina, segretario del Pd, il decreto «produrrà meno tutele per i lavoratori e i precari, e più costi per le imprese. Un incubo per l’Italia». Tempi stretti Il vicepremier Di Maio comunque si dice «disponibile a discutere di ogni argomento che viene posto dall’opposizione, che avendo definito “indegno” questo decreto, intenderebbe tuttavia stravolgerne il testo. Ma è diritto del governo e della maggioranza approvare il provvedimento». Tra oggi e domani dovrebbe arrivare il via libera della Camera, senza la richiesta del voto di fiducia, che invece potrebbe esserci al Senato, dove il testo è atteso lunedì. Il via libera definitivo invece dovrebbe arrivare prima della pausa estiva.

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EDILPORTALE NORMATIVA

Tettoie, pergolati e gazebo: come

distinguerli e con quali iter

realizzarli di Paola Mammarella

La Guida di Edilportale alle pronunce della giurisprudenza che hanno risolto i dubbi sui

titoli abilitativi

02/08/2018 - Tettoie, pensiline, pergolati, pergotende e gazebo sono spesso

utilizzate per proteggere e sfruttare gli spazi outdoor. Realizzarle non è sempre

facile perchè la normativa non fornisce definizioni chiare. Si creano quindi zone

grigie e incertezze sul corretto titolo abilitativo da utilizzare.

In molti casi queste incertezze danno luogo a contestazioni e contenziosi, risolti

davanti ai Tribunali ordinari o Amministrativi al termine di procedimenti lunghi e

dispendiosi.

Tettoie, pensiline, pergolati, pergotende e gazebo, la normativa Edilportale ha raccolto in una guida le definizioni del Regolamento edilizio tipo

(RET) (Accordo 20 ottobre 2016) e del Glossario unico delle opere realizzabili in

regime di edilizia libera (DM 2 marzo 2018).

Dalle definizioni non sempre si desumono in modo certo i titoli abilitativi e le

procedure da seguire per l’installazione, la riparazione, la sostituzione e il

rinnovamento di tettoie, pensiline, pergolati, pergotende e gazebo.

Per ogni opera, la guida di Edilportale raggruppa anche le principali sentenze che

hanno tentato di colmare le lacune della normativa, integrando le definizioni e

fornendo spiegazioni pratiche.

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Pratiche edilizie in base a dimensioni e utilizzo delle opere

In generale, i titoli abilitativi da utilizzare vengono determinati dall’utilizzo cui i

manufatti sono destinati e dalle caratteristiche costruttive. Se le opere

sono precarie, cioè amovibili, di modeste dimensioni e destinate ad un uso

temporaneo, non sono necessarie autorizzazioni, ma la loro installazione rientra

nel regime dell’edilizia libera.

Le strutture fisse richiedono invece il permesso di costruire. Ci sono anche casi

intermedi, in cui i regolamenti edilizi dei Comuni in cui devono essere realizzati

gli interventi ritengono sufficiente la Segnalazione certificata di inizio attività

(Scia) invece del permesso di costruire.

Fatte queste premesse, non è chiaro cosa si intenda per “modeste dimensioni”. La

normativa nazionale fornisce dei range di riferimento per orientarsi nella scelta del

titolo abilitativo da utilizzare. È quindi necessario consultare sempre i

Regolamenti edilizi dei Comuni interessati. È più chiaro il concetto di precarietà delle opere. Sia la normativa sia la giurisprudenza sono concordi nell’affermare che non va presa in considerazione la struttura, che può essere indifferentemente pesante o leggera, ma il tempo di utilizzo dell’opera.

ESTIMO

Catasto, i Geometri chiedono di

riaprire la discussione sulla riforma di Alessandra Marra

Il Consiglio Nazionale propone una banca dati dinamica che corregga le sperequazioni

02/08/2018 – Attuare al più presto la riforma del catasto dei fabbricati per

correggere l’attuale fiscalità immobiliare che ha causato sperequazioni e iniquità.

È la richiesta che il Presidente del Consiglio Nazionale Geometri (CNGeGL),

Maurizio Savoncelli, rivolge al Governo tramite un articolo su Italia Oggi.

Riforma catasto, Geometri: attuare la revisione del sistema

estimativo

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Per Savoncelli la revisione del sistema estimativo mediante la lettura aggiornata

del patrimonio immobiliare e l’introduzione di una banca dati

dinamica (adeguata e risponden nte alle variazioni del mercato immobiliare e

aggiornabile in tempo reale) è la sola via per correggere sperequazioni e iniquità

che caratterizzano gli attuali meccanismi della fiscalità immobiliare.

Attualmente, infatti, la fiscalità immobiliare è ancorata al valore di rendite

catastali calcolate secondo vecchi criteri, sulla base di configurazioni urbane,

sociali e reddituali delle quali oggi non vi è più traccia.

La riforma del catasto dei fabbricati, secondo il Presidente CNGeGL,

porterebbe benefici in termini di equità fiscale e contributiva ad oltre 20

milioni di proprietari immobiliari e costituirebbe un tassello importante del

processo evolutivo di cui si è reso protagonista il catasto italiano.

Catasto: l’evoluzione del sistema informatico

Per Savoncelli la riforma del catasto completerebbe il percorso verso l’eccellenza,

caratterizzato da tappe come l’introduzione delle procedure informatizzate

PREGEO (PREtrattamento GEOmetrico) e DOCFA (Documenti Catasto

Fabbricati), la cui portata innovativa risiede principalmente nella capacità di aver

provocato un cambio radicale del modus operandi dei professionisti, consentendo

loro di andare nella direzione di una semplificazione resa possibile dalla

digitalizzazione dei processi e delle procedure.

Tra le tappe che hanno permesso l’evoluzione positiva del catasto i Geometri

segnalano:

- l’Anagrafe Immobiliare Integrata, capace di garantire la gestione omogenea

delle banche dati attraverso la corretta determinazione degli immobili, della

relativa base imponibile, dei soggetti d’imposta titolari di diritti reali;

- il nuovo Sistema Integrato del Territorio (SIT), che consente la

geolocalizzazione di ciascun soggetto immobiliare, integrandone le informazioni

identificative, tecniche, censuarie e reddituali ai fini fiscali;

- l’Anagrafe dei Titolari, che identifica correttamente i soggetti titolari di diritti

reali sugli immobili, basandosi sull’integrazione delle banche dati catastali e di

pubblicità immobiliare.

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Grazie a questi nuovi sistemi i cittadini possono accedere alla consultazione

dinamica della cartografia catastale, alle informazioni reddituali degli

immobili, alla dichiarazione di successione online, all’ispezione ipotecaria degli

immobili di cui si è titolari del diritto di proprietà o di altri diritti reali di

godimento, eccetera.

Secondo Savoncelli, quindi, i risultati positivi ottenuti devono spingere ad una

riflessione circa il metodo attraverso il quale imprimere una ulteriore spinta al

cambiamento, rendendo finalmente strutturale la realizzazione di un sistema

catastale adeguato alla realtà odierna, capace di cogliere i segnali di

trasformazione urbana e renderli intelligibili da tutti i soggetti che sono parte attiva

nella gestione del territorio.

I Geometri sottolineano che per raggiungere questi obiettivi sarà necessario

investire prioritariamente nelle figure professionali dell’area tecnica, capaci di

preservare il patrimonio storico e tecnologico del catasto italiano e di innalzare i

livelli di innovazione e qualità dei servizi erogati.

RISPARMIO ENERGETICO

Ecobonus, le imprese: ‘i nuovi limiti

favoriranno lavoro nero e prodotti

low cost’ 02/08/2018 – Se fosse confermato, l’abbassamento dei tetti di costo per ogni

tipologia di intervento agevolabile con l’ecobonus dimezzerà la percentuale reale

delle detrazioni, favorirà i prodotti low cost e spingerà a tornerare al lavoro in

nero.

A lanciare l’allarme CNA Impianti e Finco che criticano la bozza di decreto con

cui si vuole riformare l’ecobonus.

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Leggi i contenuti della bozza di decreto

Riforma ecobonus: bocciati i nuovi limiti di spesa

Secondo Guido Pesaro, Responsabile Nazionale CNA Installazione Impianti,

“applicando i nuovi limiti di spesa la percentuale reale delle detrazioni si

dimezzerebbe, senza contare gli altri effetti negativi, per i contribuenti, derivanti

dal dover coprire direttamente la quota di costo degli interventi che eccede il

massimale”.

A fronte della minore convenienza degli incentivi, secondo CNA Impianti, ci sarà

un graduale ritorno dei cittadini a comportamenti non virtuosi che tenderanno

inevitabilmente a favorire il lavoro nero o soluzioni che non aiuteranno lo

sviluppo dell’efficienza energetica. Il tutto aggravato dalle ulteriori complicazioni

procedurali previste nella bozza del decreto”.

CNA Impianti ha evidenziato che dal 2007 al 2016 sono state trasmesse all’ENEA

quasi 2,9 milioni di richieste di detrazione fiscale per interventi di

riqualificazione energetica, che, a seconda delle diverse tipologie di intervento

previste, hanno contributo a un risparmio di circa 1,08 Mtep in termini di energia.

Nel 2016, gli interventi realizzati sono stati circa 360.000 per un totale di quasi

3,3 miliardi di euro di investimenti attivati, a fronte dei quali è stato conseguito

un risparmio complessivo di oltre 1.100 GWh/anno.

“A questi numeri – rileva il Responsabile degli impiantisti CNA – andrebbero

aggiunti quelli relativi al positivo impatto occupazionale che gli investimenti

veicolati dagli incentivi fiscalihanno determinato in questi anni, caratterizzati

peraltro da una perdita complessiva di posti di lavoro nel settore delle costruzioni.

Sarebbe a questo punto opportuna una modifica della bozza di decreto che, anche

se in una ottica di contenimento della spesa pubblica, evitasse di gettare il

bambino assieme all’acqua sporca”.

Econbonus, Finco: le nuove regole favoriranno il low cost

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Contraria al provvedimento anche Finco che ha ricordato come gli incentivi volti

alla detrazione fiscale per gli interventi di riqualificazione energetica hanno

costituito nell’ultima decade il principale fattore anticongiunturale in un quadro

che dal 2008 al 2016 è stato caratterizzato da una contrazione del mercato

stimabile attorno al 40%.

Secondo Finco le “regole molto penalizzanti per i serramenti(peraltro già

retrocessi, come le schermature solari, al 50% dal 65% dei precedenti anni)

premierebbero produzioni “low cost” importate dall’estero con una distorsione

del mercato a scapito di tutti, innanzitutto del consumatore”.

Finco ha aggiunto: “auspichiamo fortemente che venga corretta

un’impostazione delle detrazioni che premierebbe esclusivamente i competitors

delle PMI italiane e richiediamo, viceversa, che vengano confermate le detrazioni

anche per i prossimi anni, introducendo regole anche più rigorose, ma incentrate

sulla qualità (sicurezza, durabilità, posa in opera qualificata e garantita) e non

certo sul prezzo”.

Page 46: Corriere della sera - cefmectp.it 2... · Corriere della sera Foa bocciato. Lite nel centrodestra Salvini: avanti sulla Rai, FI come ilPd ... delegato del Corriere del Ticino. Per

CORSi

Scheda Formazione Master

ROMA (RM)

MASTER BIM. GESTIONE INTEGRATA DEI PROCESSI DI PROGETTAZIONE E COSTRUZIONE. III EDIZIONE

Ente organizzatoreIN/ARCH - ISTITUTO NAZIONALE DI ARCHITETTURA

SedeVIALE GORIZIA 52 Periodo05/10/2018 - 05/06/2019 Durata2400 Scadenza16/07/2018

Il progettista è il principale referente di questo processo, perché solo integrando già nella fase di ideazione tutte le

informazioni utili alla migliore realizzazione e gestione si può ottenere una costruzione di elevata qualità.

L’ IN/ARCH propone un master BIM per progettisti e specialisti del processo costruttivo proprio per fornire strumenti di

governo del processo costruttivo integrati nell’attività e non sommati a questa.

La figura del BIM manager si fonde con quella del Project Manager, secondo le attuali tendenze dei più qualificati studi di

progettazione a scala mondiale; una competenza importante ad ogni scala dell’attività perché saper ottimizzare il lavoro,

controllare la qualità e gestire in modo completo l’interoperatività tra le differenti discipline e le molteplici esigenze della

costruzione contemporanea è una esigenza che vale tanto per le grandi società di architettura e di ingegneria quanto per i

medi o piccoli studi professionali.

Il master BIM dell’IN/ARCH mira pertanto alla formazione di professionisti capaci di gestire questo processo dall’interno

di queste realtà facendo in modo che le possibilità offerte dal metodo BIM diventino realmente fruibili ad ogni scala

operativa e per ogni attività.

16/07/2018 LuogoROMA (RM) SedeVIALE GORIZIA 52 Attestazione rilasciata Diploma di Master BIM-GESTIONE INTEGRATA DEI PROCESSI DI PROGETTAZIONE E

COSTRUZIONE Requisiti ammissione L’accesso al Master è riservato a Laureati del Vecchio Ordinamento e Magistrale del Nuovo

Ordinamento in Architettura e in Ingegneria. Sono ammessi anche laureandi purché all’atto dell’iscrizione abbiano superato tutti gli esami e discutano la tesi di Laurea prima dell’esame finale del Master. La direzione valuterà anche le eventuali richieste di titoli di studio equivalenti per candidati stranieri. I candidati dovranno far pervenire all’indirizzo e-mail [email protected] curriculum vitae e lettera di presentazione in cui sono descritte le motivazioni della scelta del percorso formativo.

Quota di Iscrizione5000 Borse di studio disponibili IN/ARCH – Istituto Nazionale di Architettura mette a concorso 2 borse di studio del valore di €

2.500 a copertura parziale delle spese di iscrizione al Master. Per la selezione dei candidati saranno valutati curriculum vitae, portfolio, aspetti motivazionali e caratteriali accertati tramite colloquio individuale. Il Master si avvia con un numero minimo di corsisti pari a 10.

Contatti telefono: 0668802254 e-mail: [email protected]