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Digitalizzazione e conservazione dei documenti nelle biblioteche Progettazione e realizzazione Direzione Didattica Prof. C. A. Prete Coordinamento tecnico Alice Carminati Sviluppo contenuti Giovanni Bergamin © 2007 PER LE IMMAGINI:

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Digitalizzazione e conservazione dei documenti nelle biblioteche

Progettazione e realizzazione

Direzione DidatticaProf. C. A. Prete

Coordinamento tecnicoAlice Carminati

Sviluppo contenutiGiovanni Bergamin

© 2007 PER LE IMMAGINI:COREL. All rights reserved.Digital Vision. All rights reserved.

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INDICE

Lezione 01: La digitalizzazione Introduzione Dall'analogico al digitale La digitalizzazione: prospettive e problemi Riepilogo

Lezione 02: La conservazione del digitale Introduzione La conservazione del digitale: problemi e definizioni Strategie di conservazione del digitale Riepilogo

Lezione 03: La digitalizzazione: aspetti tecnici e operativi

Introduzione La programmazione delle attività e i costi La digitalizzazione: l'immagine digitale Riepilogo

Lezione 04: I formati e gli scanner Introduzione I formati L'attrezzatura Riepilogo

LEZIONE 1: Dall’ANALOGICO al DIGITALE

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Al giorno d'oggi le biblioteche si trovano di fronte a un aumento esponenziale delle fonti d'informazione: difatti, accanto ai materiali esistenti nella tradizionale veste cartacea, sono presenti una quantità di documenti "multimediali", formati cioè da testi, immagini statiche e in movimento, suoni, ecc. Tali documenti possono essere sia di tipo "analogico" (cioè registrazioni audio e video), sia di tipo "digitale" (banche dati, periodici elettronici, risorse di Internet, ecc.). Siamo di fronte, in altre parole, a una vera e propria compresenza di supporti, che spinge le biblioteche a organizzare le proprie raccolte secondo criteri innovativi, per offrire servizi sempre più vantaggiosi agli utenti.

Fra le tipogie di documenti che le biblioteche devono acquisire, trattare e conservare, quelle in formato digitale assumono un'importanza crescente. Il concetto di digitale implica la presenza, all'interno di un determinato sistema, di una serie di stati "discreti", cioè discontinui, senza possibilità intermedie: si dice infatti che un meccanismo digitale "salta" da un valore a un altro senza passare per tutti i valori in esso presenti; in un meccanismo analogico invece la variazione avviene in maniera continua, mostrando di volta in volta le diverse grandezze presenti nel sistema.

Un esempio può venire dagli orologi: quelli analogici mostrano il passare del tempo attraverso il movimento continuo delle lancette, quelli digitali attraverso il "salto" da un numero all'altro su uno schermo. Analogamente i termometri analogici mostrano la temperatura attraverso l'altezza della colonnina di mercurio, che varia in modo continuo con il variare della temperatura; in quelli digitali invece la temperatura viene visualizzata attraverso una serie di numeri su uno schermo, con variazioni di tipo discontinuo.

Nel passaggio dall'analogico al digitale, insomma, si ha una suddivisione in unità discrete di qualcosa che nella realtà è spesso continuo. Ciò avviene attraverso la conversione delle informazioni analogiche (continue) in informazioni "numeriche", cioè digitali (discontinue); ricordiamo infatti che digit in inglese vuol dire numero, cifra. I numeri in cui traduciamo le informazioni di tipo continuo sono soltanto due, 0 e 1. Si parla quindi di "codifica binaria": qualsiasi elemento viene tradotto in una sequenza di otto cifre, cioè otto bit, che sono sempre e soltanto combinazioni di 0 e di 1 (otto bit costituiscono un byte). Ad esempio, quando sulla tastiera di un computer digitiamo il carattere A, questo corrisponde a 00000001; il carattere B corrisponde a 00000010, e così via.

I materiali digitali quindi sono sempre formati da sequenze di bit e di byte. Come vedrai, essi possono costituire il prodotto della conversione in forma digitale di un originale analogico, ad esempio un documento cartaceo (e in questo caso si parla appunto di "digitalizzazione" ovvero conversione di un segnale o codice analogico in un segnale o codice digitale.), oppure possono nascere direttamente in forma numerica, come accade per i milioni di siti web presenti sulla rete.

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SURROGATI DIGITALI = creati dalla conversione in forma digitale di materiali analogiciNATI DIGITALI = i nati digitali sono materiali che non hanno origine analogica, ma sono prodotti unicamente in veste numerica.

I vantaggi dei materiali digitali sono ben noti, e consistono:

nella loro flessibilità e semplicità d'uso; nella capacità di assumere forma ipertestuale e multimediale; nella possibilità per l'utente di effettuare ricerche sul testo pieno; nella possibilità di utilizzare in maniera amichevole grandi quantità di dati, e così via.

Per "digitalizzazione" s'intende quindi la conversione di un segnale o codice analogico in un segnale o codice digitale; ciò avviene attraverso la traduzione di meccanismi analogici in valori "numerici", cioè costituiti da una sequenza di bit (0 e 1). I termini "conversione", "retroconversione" e "cattura" sono spesso usati come sinonimi di digitalizzazione: si dice cioè che un segnale analogico viene "convertito" in un segnale digitale, o è "catturato" in forma digitale.In sintesi, la digitalizzazione è la conversione di documenti dal formato analogico (e in primo luogo cartaceo) a quello numerico.

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Le attività di digitalizzazione costituiscono una realtà di dimensioni tali da non poter essere in alcun modo sottovalutate. Proprio per questo è opportuno chiedersi se queste attività siano in grado di aumentare il valore del patrimonio documentario di una biblioteca o di accrescere il numero dei suoi utenti; la risposta è che la digitalizzazione è uno strumento e non un fine in sé, per cui il suo impiego deve essere legato alla soddisfazione di una serie di obiettivi e di bisogni informativi.

Una volta precisato ciò, occorre rilevare che le principali ragioni per cui si digitalizza sono, da un lato, la necessità di conservare una serie di documenti potenzialmente a rischio; dall'altro la possibilità di migliorare l'accesso a una serie di risorse che, diversamente, sarebbero difficili da utilizzare

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In molti casi, infatti, la digitalizzazione è considerata un valido criterio di conservazione, capace di portare a un'indefinita salvaguardia del patrimonio documentario.

Tuttavia, come ha scritto una studiosa americana, "digitalizzare non significa conservare, o per lo meno non completamente; le risorse digitali ottengono i risultati migliori nel facilitare l'accesso all'informazione, ma sono assai deboli quando a esse è assegnata la tradizionale responsabilità bibliotecaria della conservazione" (Abby Smith).

È necessario effettuare di volta in volta un'attenta valutazione dei materiali che si vogliono digitalizzare, per stabilire se questa procedura può dar vita a un'idonea salvaguardia di documenti in precarie condizioni di conservazione o quelli che, per una serie di motivi, sono a rischio di scomparsa.

Assai importante poi è il ruolo della digitalizzazione come "accesso": difatti moltissimi documenti rari o unici sono presenti spesso in luoghi remoti o difficili da raggiungere, e questo limita molto la possibilità di utilizzarli efficacemente. Attraverso la digitalizzazione invece si creano surrogati dell'originale analogico, che possono essere messi su un cd-rom o collocati su Internet, e diventare così accessibili a milioni di utenti.

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Il secondo, importante vantaggio è legato alla conservazione, dal momento che la digitalizzazione rende possibile la salvaguardia di grandi insiemi documentari che vanno incontro a un rapido degrado.

Un esempio viene dai numerosi quotidiani che, fra Otto e Novecento, sono stati stampati su carta acida, e che oggi sono a forte rischio di scomparsa: difatti la conversione di questi documenti in formato digitale ne accresce la capacità di sopravvivenza, compromessa dall'azione di degrado delle componenti chimico-fisiche, oltre che dai problemi derivanti da un loro mantenimento in ambienti non idonei.

Alle attività di digitalizzazione poi si accompagnano una serie di tecniche in grado di accrescere le capacità di analisi dei materiali a rischio, consentendo così gli interventi più idonei per la loro conservazione. Fra queste tecniche, assai interessante appare il "digital imaging" (Tecnica che permette di aumentare il grado di risoluzione delle immagini digitali, offrendo una maggiore precisione nei dettagli al fine di individuare specifiche particolarità.), perché consente di ottenere informazioni che la consultazione diretta dell'originale non è in grado di fornire: questa procedura infatti permette non solo di aumentare il grado di risoluzione (cioè del numero di pixel impiegati per definire un'immagine digitale – Un'immagine digitale è la rappresentazione di un'immagine bi-dimensionale tramite una serie di valori numerici, che la descrivono a seconda della tecnica utilizzata.) delle immagini digitali, offrendo una maggiore precisione nei dettagli al fine di individuare specifiche particolarità, ma anche di aumentare il contrasto fra una stampa o un manoscritto sbiaditi e uno sfondo scuro, rendendo assai più leggibili i testo di documenti antichi o deteriorati.

Decisamente innovativo infine è il cosiddetto "restauro virtuale" (Tecnica di restauro che non modifica le condizioni fisiche dell'originale, come avviene con il restauro tradizionale, perché agisce solo sulle immagini digitalizzate.), una tecnica cioè che non modifica le condizioni fisiche dell'originale come avviene con il

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restauro tradizionale, perché agisce solo sulle immagini digitalizzate, su cui vengono effettuate tutte le operazioni di miglioramento e di restauro. La Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ad esempio, ha realizzato importanti iniziative in questo campo, dando vita a un archivio digitale in grado di consentire un'agevole consultazione di questi materiali; l'archivio infatti comprende immagini ad alta definizione di pagine tratte da codici membranacei, restaurate virtualmente e messe a confronto con le opere nel loro stato reale.

A fronte di questi vantaggi, la digitalizzazione presenta anche numerosi limiti, dovuti in primo luogo alla necessità di attribuire autenticità e autorevolezza al surrogato rispetto all'originale analogico; difatti è praticamente impossibile accertare la rispondenza all'originale di una copia digitale: non potendo ricorrere all'originale per una verifica, si dovrà contare sull'autorevolezza e sull'affidabilità dell'istituzione che ha curato la digitalizzazione.

Il secondo, rilevante problema deriva dal fatto che la digitalizzazione implica la scomparsa della componente materiale del documento, con differenze anche notevoli tra la maniera di presentarsi della copia digitalizzata e quella dell'originale; ciò di conseguenza può dar vita a non pochi problemi tanto nella ricezione quanto nell'utilizzo dei dati da parte degli utenti.

Infine, bisogna considerare i problemi di conservazione tipici dei formati digitali; difatti, a causa del deterioramento fisico dei supporti e della continua "obsolescenza tecnologica" (Processo per cui hardware, software e altri strumenti tecnologici vengono progressivamente sostituiti da nuovi prodotti in commercio.) dei prodotti digitali, l'informazione in veste numerica va soggetta a un forte rischio di perdita: come vedremo, i formati digitali hanno cicli di vita assai brevi, per cui occorre provvedere a una loro adeguata

conservazione attraverso le tecniche e le strategie elaborate a livello internazionale.

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LEZIONE2: La conservazione dei documenti digitali

Le attività di digitalizzazione sono strettamente legate a quelle relative alla conservazione del digitale (In inglese digital preservation) Insieme delle attività realizzate per assicurare l'accesso continuo ai materiali digitali (o alle informazioni in essi contenute) per il tempo considerato necessario., dal momento che gli oggetti che derivano dalla retroconversione dei documenti analogici presentano le stesse caratteristiche - e quindi gli stessi problemi - di tutti gli altri formati digitali.

Rispetto ai corrispondenti analogici, i materiali digitali mostrano infatti una fragilità assai maggiore, e quindi un'alta probabilità di diventare fisicamente e logicamente inaccessibili; essi inoltre manifestano un grado di obsolescenza tecnologica decisamente elevato, e ciò contribuisce a rendere il loro ciclo di vita decisamente breve.

Queste problematiche hanno spinto molte organizzazioni a porre in atto una serie di politiche e strategie volte alla conservazione di un patrimonio che, al giorno d'oggi, è sempre più importante e diffuso.

Un primo punto di partenza si è avuto con il rapporto, pubblicato nel 1995, della Task Force on Archiving Digital Information, nel quale sono stati messi in luce non solo gli aspetti di debolezza e di instabilità dei formati digitali, ma anche i problemi legati all'obsolescenza tecnologica degli strumenti che ne rendono possibile la fruizione.

La conservazione del digitale (digital preservation) è l’insieme delle attività realizzate per assicurare l’accesso continuo ai materiali digitali per il tempo considerato necessario. Vengono individuate tre tipologie di conservazione:

CONSERVAZIONE A LUNGO TERMINE Implica un accesso costante ai materiali (e/o alle informazioni in essi contenuti) per una quantità di tempo indeterminato;

CONSERVAZIONE DI MEDIO TERMINE La conservazione di medio termine è valida se l’accesso ai documenti e alle informazioni avviene per un periodo di tempo determinato.

CONSERVAZIONE DI BREVE TERMINE La conservazione di breve termine risulta possibile quando l’accesso è possibile con le tecnologie esistenti.

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Come si è detto, i tempi di vita dei formati digitali risultano di gran lunga inferiori a quelli dei supporti analogici: alcuni test sperimentali infatti dimostrano che la vita media di un cd-rom va dai cinque ai venticinque anni, mentre hardware, software e sistemi operativi hanno cicli di vita che oscillano dai due ai cinque anni.

Ma i tempi in assoluto più brevi sono quelli dei documenti di rete: la vita media di una pagina web infatti è stata stimata in settanta giorni, anche se di recente questo limite è stato ridotto a soli quarantaquattro giorni.

Un altro problema è quello dell'obsolescenza tecnologica, dal momento che il mercato produce una quantità di supporti sempre più raffinati e potenti e sempre meno costosi. Non è un caso se in questi anni abbiamo assistito alla scomparsa pressoché totale di supporti molto usati quali i floppy disk, oltre che alla mancata produzione delle componenti necessari per il loro utilizzo (come alcuni drive di computer), oltre che all'abbandono di numerosi tipi di hardware e software: la conseguenza è che il rischio di perdere le informazioni contenute in questi strumenti aumenta in modo costante.

I problemi di conservazione del digitale dunque possono derivare dalle cause più diverse, per cui è necessario disporre di una gamma ben precisa di strategie che consentano di individuare le soluzioni più adeguate ai problemi che di volta in volta si manifestano.

Alcune di queste strategie hanno sollevato non poche perplessità fra gli esperti del settore, come la proposta di trasferire su hard copies una serie di materiali in formato numerico, ad esempio effettuando una stampa su carta o realizzando un microfilm a partire da un originale su supporto digitale. Sappiamo infatti che la carta ha tempi di obsolescenza assai lunghi, e si stima che il microfilm possa durare centinaia di anni: ciò nonostante, essa appare una proposta paradossale, in primo luogo perché si va verso la digitalizzazione di gran parte del patrimonio analogico e non viceversa; in secondo luogo perché è un'idea praticamente irrealizzabile, a causa dell'immensa quantità di documenti esistenti in formato digitale; infine, perché è un'idea svantaggiosa, in quanto sulla hard copy non è possibile replicare le caratteristiche di flessibilità e di maneggevolezza, né le capacità ipertestuali e multimediali proprie di questi formati.

Un'altra idea che talvolta affiora è quella di mantenere "come in un museo" una quantità di hardware e software obsoleti, al fine di poterli utilizzare in caso di necessità, ad esempio per la lettura di documenti contenuti su dischi o nastri attualmente fuori commercio; anche in questo caso siamo di fronte a un'ipotesi difficilmente realizzabile, sia perché richiede costi elevati, sia perché non offre garanzie che tali prodotti possano mantenersi integri e funzionanti nel tempo.

Vi sono DUE METODI utilizzati per la conservazione digitale:

REFRESHING = metodo volto a mantenere i bit in buona salute e consiste nel copiare, a distanze di tempo brevi, le informazioni su supporti più recenti, come ad esempio da Floppy Disc a CD-Rom o da Hard Drive a DVD.

MIGRAZIONE = prevede il trasferimento sistematico die documenti su nuovi hardware e software prima che quelli precedenti diventi obsoleti. A differenza del refreshing richiede una decodifica periodica die dati affinchè possano essere leggibili dalle nuove generazioni di hardware e software.

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Una strategia del tutto diversa è l'emulazione (Strategia di conservazione del digitale che permette, grazie a software di emulazione di piattaforme hardware obsolete, di utilizzare software e documenti originali anche se questi sono ormai obsoleti), ossia "un approccio che permette l'emulazione di sistemi obsoleti su sistemi futuri e non ancora noti, in modo che un software originale possa essere usato in futuro benché sia ormai obsoleto" (Jeff Rothenberg).

In altre parole, questa strategia propone di evitare le migrazioni periodiche di dati da un supporto a un altro, dal momento che è assai più semplice e meno costoso utilizzare il software di un documento originale anche se questo, così come l'hardware, è diventato obsoleto.

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Per evitare le migrazioni periodiche di dati occorre inserire in una "capsula virtuale" tutti gli oggetti necessari per un futuro utilizzo di questo documento, e cioè da un lato il documento digitale, insieme al software e al sistema operativo impiegati per la sua creazione, dall'altro un "emulatore" dell'originaria piattaforma hardware, che sia in grado appunto di emulare tale piattaforma su qualsiasi computer si costruirà in futuro, prescindendo dunque dalle sue caratteristiche tecniche, che ovviamente non sono note nel momento in cui si prepara la capsula.

Essenziali perché la strategia abbia successo sono poi i metadati, ossia le notizie sui dati relativi a hardware, software e sistemi operativi, che vanno anch'essi inclusi nella capsula e che permetteranno di decodificare le informazioni in essa presenti.

L'emulazione ha suscitato notevoli consensi, ma ha sollevato anche vivaci critiche: alcuni studiosi hanno infatti rilevato che hardware, software e sistemi operativi hanno di norma dei proprietari, e quindi risultano difficilmente "incapsulabili" a causa dei diritti posseduti dai rispettivi titolari; un altro problema poi è dato dalla difficoltà di lettura dei metadati su piattaforme future e non ancora conosciute.

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In ogni caso, il dibattito a livello internazionale ha evidenziato che la migrazione e l'emulazione costituiscono le tecniche più efficaci di salvaguardia dei record digitali.

VANTAGGI E SVANTAGGI DELLA MIGRAZIONE

I principali vantaggi della migrazione consistono indubbiamente nella sua diffusione, in quanto è la modalità più usata nella conversione della maggior parte degli archivi digitali; le sue procedure poi non soltanto sono stabili e ben definite, ma in grado di diventare sempre più semplici man mano che avanza la tecnologia. Assai importante infine è l'esistenza di precisi criteri di valutazione dei rischi, che permettono di agevolare le decisioni e le scelte tecniche.

Gli svantaggi della migrazione riguardano in primo luogo i costi, se è vero che per migrazioni complesse è necessario prevedere specifici programmi di finanziamento; e in secondo luogo i tempi, che possono risultare assai lunghi e richiedere procedimenti piuttosto elaborati.

Il limite principale tuttavia risiede nell'elevata probabilità di perdita di funzionalità, di accuratezza, d'integrità e di utilizzabilità dei record "migrati" rispetto a quelli originali.

VANTAGGI E SVANTAGGI DELL’EMULAZIONE

Tra gli svantaggi dell'emulazione invece bisogna annoverare:

- La sua dimensione ancora sperimentale, e dunque l'esigenza di ulteriori approfondimenti affinché possa dimostrare a pieno la propria affidabilità;

- Riproduzione parziale del "look and feel" dell'originale, risultandone così attenuato uno dei requisiti che la caratterizzano maggiormente;

- Aspetti riguardanit il copyright di hardware e software ancora da chiarire e definire che potrebbero recare problematicità;

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- Costi elevati, specie in assenza di precise economie di scala.

LEZIONE3: La digitalizzazione: aspetti tecnici e operativi

Nel momento in cui si decide di realizzare un'attività di digitalizzazione, è opportuno prevedere un'idonea programmazione di tali attività, individuando una serie di linee guida che è utile seguire nella creazione dei surrogati digitali.

Queste linee guida, in sintesi, dovrebbero:

precisare gli scopi dell'iniziativa e le relative responsabilità gestionali;

definire le strategie e le procedure operative da sviluppare nelle diverse fasi del processo;

stabilire i criteri per una conservazione di lungo termine dei prodotti che derivano dall'attività di digitalizzazione.

Tali indicazioni potranno poi essere inserite in una tabella, per rendere più esplicito il flusso delle operazioni.

Assai importante, nella programmazione delle attività, è il discorso legato ai costi. Secondo studi recenti, la ripartizione dei costi di un processo di digitalizzazione si articola di norma in:

1/3 per l'acquisizione delle immagini digitali; 1/3 per la creazione di metadati (ossia le informazioni descrittive e gestionali legate alla

digitalizzazione); 1/3 per la gestione amministrativa e il controllo di qualità; a ciò vanno inoltre aggiunti i

costi di conservazione degli archivi digitali.

Nella stima dei costi bisogna prevedere anche altre variabili, legate alla diversità dei formati del documento d'origine e alle specifiche usate per la conversione: è infatti evidente che, più alta è la qualità dell'immagine, più alto è il costo.

Occorre inoltre tener conto di aspetti quali l'assemblaggio dei materiali d'origine, gli eventuali costi del copyright, la fase di post-produzione (successiva cioè all'attività di digitalizzazione), tutti elementi che che fanno aumentare i costi di almeno1/3.

Una digitalizzazione può avvenire:

ALL’INTERNO DI UNA ISTITUZIONE = richiede il calcolo dei costi legato ad attrezzature hardware e software, al personale impiegato, ai locali con annessi e connessi in cui si svolge l’attività etc…

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ALL’ESTERNO DI UNA ISTITUZIONE = si basa su di un contratto basato sul costo unitario per immagine (solitamente): i costi potranno risultare da una prima stima dell’intero progetto.

I principali fattori che influenzano i costi sono:

la natura del documento d'origine; la preparazione dei materiali; i requisiti tecnici necessari per dar corso all'attività.

Per quanto riguarda il primo punto, bisogna precisare che i costi variano in rapporto non solo al formato e alla dimensione del documento da digitalizzare, ma anche all'attenzione che si deve prestare nel maneggiare questi documenti: per fare un esempio, la conversione di documenti non particolarmente rari in formato A4 avrà un costo più basso rispetto alla conversione di documenti di formato speciale e di notevole rarità.

I costi inoltre variano a seconda del livello di preparazione dei materiali da digitalizzare; tali costi includono fra l'altro:

il trasporto dei documenti di origine da un ambiente a un altro; l'assemblaggio dell'intera raccolta e la verifica della presenza di tutti i documenti; la "sfascicolatura"; la rimozione delle cuciture, ecc.

La variabile principale è data dai requisiti tecnici richiesti per ottenere determinati risultati: un'immagine ad alta risoluzione infatti costerà di più di una a bassa risoluzione, sia perché richiede attrezzature più costose, sia perché dà vita a file di dimensioni più grandi, che quindi occupano uno spazio maggiore nel supporto di destinazione.

A causa di queste variabili, alcuni osservatori ritengono che sia praticamente impossibile prevedere in maniera realistica i costi di un progetto di digitalizzazione; pervenire a una stima dei costi è invece assai importante, perché "è del tutto assurdo intraprendere un progetto di digitalizzazione senza avere idea dei costi che questo comporta" (Stuart Lee).La maniera più semplice ed efficace per ottenere tale stima è esaminare altri progetti di digitalizzazione, e ricavare una serie di informazioni che possono costituire una ragionevole base di partenza. Poiché i costi sono molto variabili, sarà necessario stabilire una media; una volta che queste cifre saranno state rilevate e possibilmente disposte in una tabella, si potranno vantaggiosamente applicare al progetto di digitalizzazione.

Oggi si può stimare che il costo di digitalizzazione di un'immagine in bianco e nero in formato A4 è di circa 0,50 euro; se invece si tratta di un manoscritto miniato, il costo per immagine è di circa 2 euro, ma se si tiene conto delle numerose variabili coinvolte, questo costo può andare dai 22 ai 30 euro.

La digitalizzazione: L’IMMAGINE DIGITALE

Parliamo dunque dell'immagine digitale, partendo da un oggetto che è ci familiare: lo schermo del computer.

Se avviciniamo lo sguardo fin quasi a toccarlo, possiamo notare che esso è costituito da una serie di piccolissime celle: uno schermo di buon livello, ad esempio, ha 1024 celle che lo attraversano orizzontalmente e 768 verticalmente.

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Queste celle prendono il nome di "picture elements", di solito abbreviato in pixel. Ogni cella è in grado di mostrare il nero, il bianco, il grigio o un colore.

Ciascun colore (o gamma di colori) è dato da un determinato "codice" che, come tutte le informazioni digitali, è memorizzato in modalità binaria, ossia attraverso una serie di 0 e di 1. Al livello più semplice, questo codice è dato da un codice a una cifra; ad esempio:

0 = nero / 1 = bianco

Pertanto, se al computer viene detto che un certo pixel ha il codice 0 associato a esso, il computer riempie quel pixel con il nero; viceversa, se a un certo pixel è associato il codice 1, il computer riempie quel pixel con il bianco.L'immagine che ne risulta è dunque un'immagine a un bit (soltanto un singolo bit, ossia uno 0 o un 1, è richiesto per ciascun pixel); per questo si dice che ogni pixel ha una "profondità" di due, ci sono cioè soltanto due possibili valori con cui esso può essere riempito, 0 e 1.

Così un'immagine in bianco e nero che ricopre l'intero schermo a 1024 x 768 pixel è costituita da 786.432 pixel, ciascuno con un valore di 0 e di 1 per mostrare il bianco o il nero. Il computer converte questi codici negli appropriati colori (in questo caso il bianco e il nero) e li proietta sullo schermo del computer, cosicché da una certa distanza essi possono sembrare un'immagine normale (come si vede dall'immagine a lato).

Ma ciascun pixel può contenere molte più informazioni rispetto al solo bianco o al solo nero: tecnicamente si parla infatti di "gradazione" (shade), che consiste appunto nella possibilità di accrescere il numero delle varianti dell'immagine, non limitate al solo bianco o al solo nero.

Come si misura il numero delle diverse gradazioni di una immagine? La risposta è che dipende tutto dalla "profondità", ossia dal numero dei possibili valori con cui ciascun pixel può essere riempito.

Così, se invece di un'immagine a un bit prendiamo un'immagine a quattro bit, questa avrà quattro "solchi", cioè quattro codici da riempire con una serie di 1 e/o di 0; pertanto, se l'immagine a 1 bit ha il valore di 1 o 0, l'immagine a quattro bit avrà 16 valori possibili.

In altre parole, ci sono 16 possibili valori per ciascuna cella; si tratta quindi di un'immagine a quattro bit, perché sono usate quattro cifre binarie per rappresentare ciascun pixel.

Se l'immagine appena vista fosse un'immagine su una scala di grigi, ogni cella potrebbe essere riempita da una delle possibili gradazioni di grigio, con "0000" che rappresenta il nero, e "1111" che rappresenta il bianco.

Allo stesso modo un'immagine a 8 bit implica 256 diverse combinazioni, cioè 28 ("00000000"; "11111111", ed ogni possibile combinazione di otto costituita da 0 e 1); un'immagine a 16 bit è data da 216, cioè 65.536 possibili combinazioni; un'immagine a 24 bit da oltre 16 milioni di diverse combinazioni, e così via.

Pertanto, se si vuole digitalizzare un'immagine su una scala di grigi a otto bit, ciascuna cella o pixel dovrà contenere una delle 256 combinazioni di grigi; allo stesso modo, se si vuole digitalizzare a colori a 24 bit, ciascun pixel sarà riempito da uno degli oltre 16 milioni di colori.

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Questo specifico controllo di gradazione da cella a cella produce le immagini ad alta qualità che si trovano nei progetti di digitalizzazione: difatti la variazione della profondità dei bit permette un controllo molto maggiore su ciò che contiene ciascun pixel sullo schermo.

L'altro fondamentale elemento che definisce la qualità dell'immagine è la risoluzione; essa si riferisce al numero di pixel usati per convogliare l'immagine stessa, ed è espressa in dpi (dots per inch, ossia punti per pollice), in cui il pollice si riferisce a un pollice del documento originale.

Ad esempio, nella scansione di un'immagine lunga 10 pollici e larga 5, lo scanner o la macchina fotografica digitale possono essere programmati per digitalizzare a 100 punti per pollice (100 dpi), il che significa che ciascun pollice quadrato del documento originale può essere catturato a una risoluzione di 100 pixel per 100 pixel.In sostanza, più punti per pollice vengono digitalizzati, più alta è la qualità dell'immagine, in quanto vengono catturate più informazioni relative a ciascun pollice quadrato del documento originale.

Se ora torniamo al nostro progetto di digitalizzazione, dobbiamo chiederci se conviene digitalizzare sempre al massimo livello possibile di profondità e risoluzione.

La risposta ovviamente è che non sempre è utile farlo, sia per la dimensione dei file che ne risultano, sia per i tempi più lunghi di scansione, sia per gli scopi e le destinazioni dei file digitalizzati.

Per concludere questa lezione proponiamo la seguente tabella, tratta dal libro di Lee Stuart, che mette a confronto i possibili costi della digitalizzazione con i requisiti di profondità e risoluzione richiesti di volta in volta.

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LEZIONE4: I formati e gli scanner

La digitalizzazione di un documento - ad esempio di un libro - può dar vita a un'immagine digitale delle diverse pagine (e si ha così un "formato immagine" - Modalità di rappresentazione di un'immagine su file, in grado di dar luogo a formati diversi (TIFF, JPEG, GIF, DjVu, ecc.), o a un vero e proprio testo, elaborabile cioè da un normale computer (si parla allora di "formato testo").

Nel primo caso si ottiene una vera e propria fotografia digitale delle pagine, mentre nel secondo si produce un file che può essere manipolabile dall'utente, analogamente a quanto accade con un sistema di videoscrittura.

Una differenza sostanziale tra il formato testo e il formato immagine consiste nella dimensione dei file, che per il formato testo è da 15 a 20 volte superiore rispetto al formato immagine.

Un'altra differenza è data dalle modalità con cui si ottengono questi formati: oggi infatti un file di immagine può essere realizzato in tempi brevi e con costi contenuti; un file di testo invece non può essere creato solo attraverso processi automatici, ma richiede un intervento umano di digitazione su tastiera, e questo fa aumentare notevolmente i tempi e i costi.

La tecnologia richiesta per il formato testo prende il nome di Optical Character Recognition - (Optical Character Recognition = riconoscimento ottico dei caratteri). Tecnologia necessaria per interpretare le varie forme con cui i punti di nero si distribuiscono su una superficie bianca, e riconoscere ciascuna forma come corrispondente a un carattere (riconoscimento ottico dei caratteri, in sigla OCR); essa ha lo scopo di

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interpretare le varie forme con cui i punti di nero si distribuiscono su una superficie bianca, e riconoscere ciascuna forma come corrispondente a un carattere.

L'OCR dunque consente di estrarre il testo da un'immagine digitale, riconoscerlo in modo appropriato e convertirlo affinché sia elaborabile dal computer. In seguito a questa modalità quindi si ottiene lo stesso risultato di una digitazione diretta da tastiera, ma con tempi e costi decisamente inferiori; l'OCR infatti appare la soluzione più vantaggiosa in tutti i casi in cui occorre recuperare grandi quantità di testo.

Tuttavia, non sempre le prestazioni dei software di OCR danno risultati di assoluta precisione: per raggiungere un livello considerato perfetto al 99,995 % (ossia con un errore ogni 20.000 caratteri) sono infatti necessari software molto sofisticati e costosi.

Per quanto riguarda invece i formati di immagine, ricordiamo che la dimensione e le caratteristiche di questi file incidono notevolmente sulle possibilità di essere utilizzati vantaggiosamente dagli utenti; pertanto è essenziale che, nel pianificare le attività di digitalizzazione, si preveda quale formato di immagine può risultare più opportuno, sia per la

retroconversione, sia per la conservazione, e quale è più utile per l'utilizzo che ne faranno gli utenti.

TIFF (Tagged Image File Format): è forse il più importante formato di immagine, ed è ampiamente usato nei processi di digitalizzazione, perché consente che immagini di alta qualità (anche superiori a 24 bit a colori) possano essere salvate senza alcuna perdita. La conversione dal TIFF ad altri formati è particolarmente agevole, e molti software sono in grado di effettuarla senza difficoltà; esso inoltre è diventato uno standard di fatto per creare immagini master (da adibire cioè alla conservazione) di alta qualità.

Il formato TIFF dà vita a file molto voluminosi, per cui in certi casi (ad es. se le immagini devono essere collocate su Internet), è opportuno creare delle versioni più ridotte, sia in TIFF, sia in formati più agevoli come il JPEG o il GIF; a scopi di conservazione invece è opportuno archiviare le immagini master direttamente in formato TIFF.

JPEG (Joint Photographic Experts Group): insieme al formato GIF, è il file di immagine più utilizzato per il web, e di norma è visualizzabile da qualsiasi browser. Di solito i file JPEG sono usati per le immagini a colori; essi supportano una profondità di 24 bit a colori, ma permettono anche la compressione (rendendo cioè il file più piccolo), anche se questo ne riduce la qualità.

L'impiego sul web di questo formato comporta una velocità di visualizzazione relativamente più bassa rispetto al GIF, in quanto viene impiegato uno speciale algoritmo di compressione e decompressione; inoltre i cosiddetti "JPEG progressivi" permettono una visualizzazione più veloce, perché dapprima viene caricata un'immagine a bassa qualità, poi intorno a questa si costruisce la grafica, che aumenta gradualmente in qualità e chiarezza.

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GIF (Graphical Interchange Format): anch'esso è ampiamente usato sul web, soprattutto per immagini artistiche o scale di grigi, dando vita a immagini a 8 bit. Esistono due versioni di questo formato, 87a e 89a (il più recente), ed entrambe permettono di visualizzare un'immagine a bassa risoluzione e poi di riempirla gradualmente nel dettaglio.

DjVu: è un formato molto interessante, sia perché dà vita a tassi di compressione maggiori di 1000:1, sia perché è molto indicato per la fornitura di immagini a colori. È molto leggero (ogni immagine è di circa 70 Kb), ed ha potenzialità elevate, in quanto consente di:

ingrandire moltissimo l'immagine senza perdite nella definizione; potersi "muovere" al suo interno; selezionare e tagliare le parti che interessano; eliminare lo sfondo e lasciare soltanto il testo, su cui effettuare tutte le operazioni.

Affinché la digitalizzazione possa essere realizzata, dovrà essere disponibile un'adeguata attrezzatura tecnica, che di norma è costituita da strumenti per la cattura dei dati (scanner, fotocamere digitali, hardware audio e video), collegati a piattaforme informatiche dotate di adeguate risorse per la conservazione di lungo termine. L'attrezzatura va installata prima che inizi la digitalizzazione: difatti, finché l'ambiente hardware e software non sarà stato predisposto e testato, è preferibile non introdurre alcun originale. La scelta dello scanner dovrà essere legata a una serie di variabili:

il tipo di materiale da digitalizzare; il budget previsto per il progetto; la durata e le finalità del progetto stesso.

Prima di iniziare la scansione è opportuno testare lo scanner con materiali di prova; ciò si può effettuare anche in fase di formazione degli operatori.

Tra i diversi tipi di scanner attualmente disponibili, lo scanner "piatto" andrebbe utilizzato solo con materiali già piatti di per sé, che dunque non vengono danneggiati se disposti su una superficie rigida e piatta; uno scanner piatto inoltre dovrebbe essere di dimensioni non inferiori a quelle dell'esemplare da scandire.

È importante che il vetro di scansione sia sempre pulito, sia per garantire la qualità delle immagini, sia per evitare che i materiali da digitalizzare possano sporcarsi. Inoltre, è opportuno scandire solo esemplari che si adattano interamente allo scanner piatto, ma se proprio non si può evitare di scandire un esemplare in più parti, è bene assicurarsi che vi sia un adeguato margine di sovrapposizione tra di esse.

Oggi esistono scanner molto sofisticati, che consentono la digitalizzazione di opere antiche e rare o di formato anomalo senza alcun rischio per gli originali: i documenti, infatti, vengono illuminati con luce fredda (5.400° Kelvin di temperatura colore), e sono sottoposti ad adeguate condizioni di temperatura e di umidità.

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In particolare, gli scanner "basculanti" permettono di digitalizzare documenti quali manoscritti e opere a stampa antiche e moderne, in fogli e in volumi, fino a uno spessore di 12 cm.

I documenti sono posizionati a faccia in su, evitando di essere danneggati come invece può avvenire con i normali scanner piatti: tramite la superficie basculante, il piano di ripresa viene infatti mantenuto alla distanza ottimale per una corretta messa a fuoco dell'obiettivo per entrambe le facciate del volume. Inoltre, la curvatura delle pagine, che rappresenta un serio problema per i volumi rilegati, viene corretta automaticamente da uno speciale dispositivo di rilevamento.

Nella digitalizzazione con scanner basculanti, appositi software gestiscono le operazioni di scansione e l'impostazione dei vari parametri di controllo, effettuando le elaborazioni digitali delle immagini e la registrazione di queste su disco rigido, cd-rom o dvd; i documenti di norma vengono convertiti in immagini in formato TIFF, con una risoluzione che varia da 200 a 600 dpi.

Nei progetti di digitalizzazione sta diventando sempre più comune l'uso di macchine fotografiche digitali, a causa della loro versatilità nel digitalizzare oggetti non piatti, come libri rilegati, manoscritti piegati o raggrinziti, oggetti tridimensionali, e così via. In questo caso, il piano fotografico e il piano del materiale che viene fotografato dovranno essere perfettamente paralleli, al fine di evitare che le immagini appaiano distorte. L'ambiente fotografico poi non potrà dirsi pronto senza un'adeguata illuminazione: infatti è difficile che la luce ambientale sia sufficiente allo scopo, quindi per compensare eventuali distorsioni si potranno usare idonei filtri.

Va ricordato che la capacità di memorizzazione degli strumenti di digitalizzazione è limitata, per cui è utile disporre di un computer dotato di adeguate capacità di memoria, mentre dovrebbero essere effettuate di frequente copie di sicurezza delle immagini digitalizzate.

È quindi necessario scegliere i supporti di memorizzazione più adeguati, specie se si vogliono mantenere le collezioni digitali integre e accessibili nel lungo periodo. Di norma, i materiali digitalizzati sono collocati su server, specie se sono destinati alla diffusione su Internet; è poi essenziale effettuare copie di sicurezza di tali materiali archiviando i dati su supporti rimovibili, e dunque separandoli da quelli conservati sui server, per accrescere la loro capacità di conservazione.

Oggi si assiste a un utilizzo sempre maggiore del dvd come supporto per le copie di sicurezza, in quanto offre ampie capacità di archiviazione, oltre a una notevole duttilità e semplicità d'uso. Ma poiché ogni supporto diventa obsoleto in tempi relativamenti brevi, è opportuno far migrare periodicamente i prodotti delle attività di digitalizzazione: difatti, la possibilità di archiviare i dati sia su Internet (grazie a server di dimensioni via via crescenti), sia sui dischi rimovibili, rende più facile l'attività di migrazione, e dunque la conservazione di questi file nel lungo periodo.

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