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APERIODICO DI INFORMAZIONE, ANALISI, RIFLESSIONI Firenze Novembre 2010 L’Europa che sciopera Con questa formula numerosi governi, europei e non, giustificano l'adozione di politiche di rigore che comportano ingenti tagli alla spesa pubblca e, di conseguenza, ai servizipubblici, frutti di più di un secolo di lotte dei lavoratori contro il capitale. segue a pag.5 EDITORIALE In Italia si ha da tempo l’impressione di un intero paese e di un’intera cultura anestetizzati. Dalle anestesie, si sa, ci si può risvegliare molto male. Ma capita anche che non ci si risvegli affatto, precipitando direttamente nel nulla della morte o nelle nebbie di un coma profondo, irreversibile. Il “ritorno alla vita” è sempre traumatico: se ci sarà, non sarà semplice e a scontarlo saranno proprio gli ignavi che si sono lasciati addormentare, che si sono lasciati ammazzare la coscienza, la capacità di ragionare sulla propria condizione. Ad anestetizzarci sono stati giornalisti, politici, preti, insegnanti, intrattenitori e anche i cosiddetti animatori, il cui lavoro è disanimare, distraendo da ciò che conta. Le colpe variano, ma sono colpe, e vanno chiamate con il loro nome. Si presume che di solito gli alienati abbiano meno colpe degli alienanti, ma anche questo si può ormai metterlo in discussione. Non vediamo all’intorno innocenti, nel presente stato delle cose tutti hanno -tutti abbiamo- le loro responsabilità. segue a pag.2 N* 2 NAZIONALE INTERNAZIONALE FIRENZE “La morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter essere compresi.” Pier Paolo Pasolini PierPaolo Pasolini Un cambio di rotta per ripensare la lotta E’ il sistema che ci ha ingabbiati e messi di fronte al punto di non ritorno, sta a noi, al di là delle divergenze spicciole e dei personalismi, capire come abbatterlo insieme. segue a pag.3 OCCUPA, RESISTI, GIOISCI Si potrà fermare la Gelmini, o chi per lei, quando riusciremo a distruggere la routine di cui siamo schiavi, quando le persone decideranno di riappropriarsi della loro vita coltivando il proprio spirito critico e le proprie passioni. Le occupazioni degli studenti partono proprio da questa necessità, dal potersi guardare negli occhi e parlare insieme, crescendo, ricreando un clima di collettività... segue a pagina 9

CortocircuitO N°2

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secondo numero aperiodico fiorentino

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Page 1: CortocircuitO N°2

APERIODICO DI INFORMAZIONE, ANALISI, RIFLESSIONI

Firenze

Novembre 2010

L’Europa che sciopera Con questa formula numerosi governi, europei e non, giustificano l'adozione di politiche di rigore che comportano ingenti tagli alla spesa pubblca e, di conseguenza, ai servizipubblici, frutti di più di un secolo di lotte dei lavoratori contro il capitale. segue a pag.5

EDITORIALE

In Italia si ha da tempo l’impressione di un intero paese e di un’intera cultura anestetizzati. Dalle anestesie, si sa, ci si può risvegliare molto male. Ma capita anche che non ci si risvegli affatto, precipitando direttamente nel nulla della morte o nelle nebbie di un coma profondo, irreversibile. Il “ritorno alla vita” è sempre traumatico: se ci sarà, non sarà semplice e a scontarlo saranno proprio gli ignavi che si sono lasciati addormentare, che si sono lasciati ammazzare la coscienza, la capacità di ragionare sulla propria condizione. Ad anestetizzarci sono stati giornalisti, politici, preti, insegnanti, intrattenitori e anche i cosiddetti animatori, il cui lavoro è disanimare, distraendo da ciò che conta. Le colpe variano, ma sono colpe, e vanno chiamate con il loro nome. Si presume che di solito gli alienati abbiano meno colpe degli alienanti, ma anche questo si può ormai metterlo in discussione. Non vediamo all’intorno innocenti, nel presente stato delle cose tutti hanno -tutti abbiamo- le loro responsabilità. segue a pag.2

N* 2

NAZIONALE

INTERNAZIONALE

FIRENZE

“La morte non è nel non poter comunicare ma nel non

poter essere compresi.” Pier Paolo Pasolini

PierPaolo Pasolini

Un cambio di rotta per ripensare la lotta

E’ il sistema che ci ha ingabbiati e messi di fronte al punto di non ritorno, sta a noi, al di là delle divergenze spicciole e dei personalismi, capire come abbatterlo insieme. segue a pag.3

OCCUPA, RESISTI, GIOISCI Si potrà fermare la Gelmini, o chi per lei, quando riusciremo a distruggere la routine di cui siamo schiavi, quando le persone decideranno di riappropriarsi della loro vita coltivando il proprio spirito critico e le proprie passioni. Le occupazioni degli studenti partono proprio da questa necessità, dal potersi guardare negli occhi e parlare insieme, crescendo, ricreando un clima di collettività...

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NAZIONALE 2 Novembre 2010

EDITORIALE

(segue dalla prima pagina)

Ci sono molti tipi di anestetizzati. Ci sono quelli - vecchi - che, venuti da condizioni disagiate, hanno sposato tutti i modelli che vengono loro riservati dai diversi poteri, di una ricchezza raggiungibile solo nelle loro parodie e risibili scopiazzature; ci sono quelli - adulti - che semplicemente non hanno avuto altri orizzonti che le merci e hanno assistito all’epoca delle ribellioni, e dalla loro sconfitta hanno abbracciato un quotidiano cinismo, subendo la scomparsa di un’identità di classe che si riduceva via via alle rivendicazioni corporative e si assuefaceva, ora istericamente ora malinconicamente, alla crisi dello stato assistenziale; e ci sono quelli che - noi, i giovani e i giovanissimi - sono cresciuti dentro un sistema di “pensiero unico”, dentro un “unica proposta di vendita” che riserva ai suoi clienti-sudditi solo insignificanti e miserabili varianti. E forse siamo noi i più disastrati, perché non abbiamo avuto termini di paragone, non sappiamo che sono esistiti altri modi di essere e di affrontare la vita. Persa una coscienza collettiva, si è accettato col tempo di abbassare la testa guardando solo il proprio sentiero, rinunciando a una prospettiva di rivoluzione dello stato delle cose attuali, provando a mettere in pace il proprio animo attraverso l’adesione alle iniziative di pace e di carità, all’impegno nel volontariato, all’agire in modo onesto e legale nel nostro privato secondo le norme imposte da questa società. Convinti che il singolo ormai non conti più niente, si è perso qualsiasi desiderio di protagonismo della propria vita, ci si accontenta di sopravvivere in un grigio cinismo e in una triste rassegnazione,delegando ai politici le scelte collettive, come se non ne fossimo interessati e coinvolti. Ci si

accontenta davvero di poco, e sembra difficile anche la ricerca di analisi più serie, quando ormai anche le idee sono state commercializzate, pronte a essere vendute al supermercato come psicofarmaci per farci stare più tranquilli. E’ questa l’anestesia peggiore e più grave, quella del buon democratico che pensa ancora di stare nel giusto. E così gli anestetizzati non avvertono più i cambiamenti di clima, il crescere delle corruzioni, lo scollamento delle persone e delle comunità da qualsiasi progetto o idea comune che non sia destinata al consumo. E mentre c’è chi continua a comprarsi la nostra anima, sperando di ottenere l’aldilà consumando in un centro commerciale, nessuno sembra più avvertire la necessità, oggi davvero impellente, di legare i fatti alle idee, le azioni al pensiero, e di non accontentarsi di quella finta salvezza che sta nel farsi i fatti propri. L’anestesia peggiore è quella di chi accetta di vivere con la paura di ogni rischio, di ogni possibilità di affidarsi al

proprio desiderio di protagonismo, accettando la propria responsabilità senza pensare di essere assolti. E in questi tempi bui sentiamo la necessità, ma più che altro il bisogno personale, di rifiutare i diktat di questo mondo, cercando di rompere la gabbia individualistica in cui ci hanno rinchiuso, smettendo di prostituire la propria immagine per il successo, comprando la propria felicità attraverso il consumo. Che il disagio che ti risveglia dal dolce sopire, diventi rabbia con cui porti avanti i tuoi sogni. All’apparenza che ci viene offerta, contrapponi l’essenza e il significato che vuoi dare alle tue cose; al quieto sopravvivere, un’ irruente voglia di vivere; alla sudditanza mentale, una consapevole voglia di partecipare; alla delega, il protagonismo. Mentre la rovina cresce e i tempi stringono.

-JULES-

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Alla ricerca del movimento che non c’è Per passare all’attacco bisogna conoscere il vero nemico

Recentemente in Grecia sono scesi in piazza attivisti, sindacati e partiti di sinistra per mobilitarsi contro i tagli al welfare imposti dal governo socialista di Papandreu. È proprio nella culla della civiltà occidentale che si gioca una partita determinante. I giocatori in campo sono da una parte le grandi istituzioni econo- miche (FMI in testa) e le fortissime lobby di pressio- ne come il Gruppo Bilderberg; dall'altra i vari governi che obbediscono ciecamente alle direttive dei primi. Lo scorso maggio uno degli attori fondamentali di questa partita, il Gruppo Bilderberg appunto, si riuniva proprio in Grecia, in modo molto discreto. Riunioni come queste non sono dei semplici forum o conferenze, ma una sorta di comitato per decidere le strategie globali da adottare, quali operazioni favorire sui mercati, quali politiche fiscali gli stati debbano adottare, quali riforme vanno bene e quando e in che modo decidere un intervento armato in una qualche parte del mondo (vedi Afghanistan o Iraq). Si tratta di decisioni tutt'altro che superflue e, per di più, prese da personaggi come la regina Beatrice d'Olanda, azionista di maggioranza della Shell, David Rockefeller, della JP Morgan e uno dei fondatori del Bilderberg, il direttore della Deutch Bank Josef Ackermann, Roger Altman ex sottosegretario di Clinton, così come Romano Prodi o Franco Bernabè per l’Italia. Ecco quanto accaduto: il club Bilderberg, che progetta di costruire un governo mondiale e autoritario utilizzando crisi economiche e ricatti nei

confronti degli stati, si riunisce a maggio in Grecia. Qualche mese dopo scoppia il caso del debito pubblico dello stato ellenico e il governo mette in atto delle austere misure per fare cassa sulla pelle dei cittadini. Nel frattempo il progetto dell'Unione Europea avanza, gli stati nazionali perdono sempre più la loro sovranità e tutto ciò che ad essi è connessa (diritti sociali e civili dei cittadini) a favore dei profitti dei potenti di cui sopra. Queste sono le carte in tavola. Ci possiamo rendere tutti conto di come la questione sia molto più preoccupante dei processi di Berlusconi e, tuttavia, in Italia il dibattito fra gli attivisti resta incentrato su obbiettivi marginali, come l'operato di questo o quel governo, rispetto al contesto globale. C'è bisogno di rompere quell'omertà che aleggia su tali questioni, dobbiamo smetterla di guardare sem- plicemente all'interno dei nostri confini nazionali e cominciare a capire come vanno davvero le cose in questo mondo che non è stato creato da Berlusconi, da Bersani o dai partiti, ma

da gruppi di interesse ben più potenti i quali usano per le loro mire la Confindustria, con i suoi Marchionne e Marcegaglia di turno (provenienti entrambi, guarda caso, dal centro universitario di organizza- zione aziendale CUOA). Siamo in una situazione in cui mancano diversi fattori per poter anche solo spera- re di cambiare qualcosa: non sappiamo più analizzare le situazioni ed individuare gli elementi di continuità e di rottura col passato, non siamo in grado di elaborare una nuova idea di società, che, messa in pratica oggi e non 150 anni fa, possa subentrare all’attuale status quo per corrispondere ai bisogni e alle necessità di tutti. Probabilmente, in mezzo al disinteresse e alla mancanza di senso critico di tanti, quelli che oggi lottano quotidianamente sono costretti più ad una eroica resistenza che ad un contrattacco. Per reagire servono idee e concezioni chiare, facilmente assimila- bili, spiegabili in modo semplice e diretto: per arrivare a questo è necessa- rio chiarire quale società vogliamo, nello specifico, analizzando ogni dettaglio,

poiché combattiamo un sistema potente il quale, pur non essendo perfetto, risulta essere estremamente efficiente. Partendo dal fatto che la maggior parte delle persone su questo pianeta è sfruttata più o meno direttamente, a seconda delle strategie del potere, dobbiamo conoscere il nemico (banche centrali, organismi sovranazionali, lobby e apparati repressivi), saper comunicare con le persone avendo chiaro quale alternativa di società andremo a proporre (con o senza gli stati o la moneta per esempio) e, infine, far comprendere i vantaggi di un mondo più giusto e solidale, libero dagli interessi dei pochi nei confronti dei tanti. E’ il sistema che ci ha ingabbiati e messi di fronte al punto di non ritorno, sta a noi, al di là delle divergenze spicciole e dei personalismi, capire come abbatterlo insieme. Non è però realistico pensare che, ad oggi, siano le masse quelle impegnate quotidianamente in questa lotta, infatti siamo drammaticamente pochi e, per questo, per poter arrivare al maggior numero di persone, non possiamo più permetterci di tergiversare, dividendoci e delegittimandoci l’un l’altro come realtà e come singoli. Se continueremo così, saremo destinati ad una eterna resistenza scoordinata, marginale ed autoreferenziale. Occorre abbandonare la cultura della visibilità mediatica per passare all’analisi vera dei fatti e, conseguentemente, all’azione.

-MARCOS-

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NAZIONALE 4 Novembre 2010

Università: laboratorio di pensiero unico Dal processo di Bologna alla riforma Gelmini Il mondo della formazione nel suo complesso viene sempre più adeguato alle logiche di mercato che lo vedono come mezzo di controllo di una forza lavoro precaria. Negli ultimi dieci anni i governi di centro-destra e centro-sinistra hanno approvato riforme per ridefinire la funzione dell'università all'interno della società, con un progetto coordinato a livello europeo:il Processo di Bologna. Quest'ultimo ha portato nella vita concreta di milioni e milioni di studenti e precari, linee di inquadramento differenziale nel processo formativo (3+2, proliferazione di master, dottorati, ecc.). Il Bologna Process è stata la porta attraverso la quale i rapporti precari hanno fatto il loro definitivo ingresso nel sistema formativo: l'incremento esponenziale di stage e tirocini gratuiti presso le aziende per gli studenti, i contratti come borsisti ed assegnisti, l'utilizzo estensivo di contratti a tempo, cooperative lavorative esterne, ricattabilità sul posto di lavoro. Dietro quella che è stata definita riforma Gelmini, si legge con evidenza l'intento delle elitè italiane (politiche ed economiche) di privatizzare l'università. La ricetta per uscire da questa crisi economica è semplice: una rinnovata competitività internazionale pagata da studenti, lavoratori e migranti (Marchionne docet). Chi non viene minimamente toccato dalla crisi è il corpo militare. La spesa italiana è tra le più alte d'Europa, qualche cifra? Per il 2010 la spesa militare

supererà 23 miliardi di euro, ai quali aggiungere i costi di una trentina di missioni all'estero e i 13 miliardi di euro previsti per l'acquisto dei nuovi 131 caccia. Insomma, l'Italia gioca in Difesa, a scapito degli studenti che nelle facoltà, lottano non solo contro la minaccia del modello di governante per il quale dovrebbe essere un Cda, composto in modo significativo da membri esterni e senza la componente del personale interno, ne tanto meno quella studentesca, a decidere il bello e il cattivo tempo, ma anche la mutazione delle borse di studio in prestito d'onore. In pratica se vuoi studiare ti devi indebitare.

Tutto questo ha come sfondo un clima universitario segnato da una rigida selezione di classe,tramite una gerarchia economica, numeri chiusi e barriere d'accesso. Nelle scuole superiori lo scenario non è certo migliore: oltre ai tagli, sono molteplici le iniziative governative tese a rendere sempre più rigida la dimensione della scuola come istituzione totale. Dalle classi separate per i migranti, ai corsi militari, ai simboli leghisti, al rinnovato ruolo del voto in condotta, ai programmi d'esame che propongono una visione mitigata del fascismo e tanti altri esempi. La riforma Gelmini e i vari ddl di tagli, pur essendo simboli contro i quali è stato ed è giusto

esprimere dissenso, sono in sé una piccola parte del problema complessivo. Oggi i soggetti non disposti a pagare questa crisi economica, si muovono in un campo di battaglia dove le controparti sono una moltitudine che va dai rettori, passando per i ministeri e gli interessi delle grandi aziende. La lotta attorno a questo nodo è dunque inserita in un contesto più grande. Bisogna essere coscienti che la partita non si gioca attorno al passaggio o meno della riforma in parlamento: questo è il tempo dell'attacco, non c'è nulla da difendere ma tutto da conquistare.

-Supertramp-

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5Scioperi e mobilitazioni in tutta Europa

I governi europei, ascoltando i "buoni consigli" della commisione Europa, che ha notevolmente potenziato i requisiti del patto di stabilità chiedendo a tutti gli stati di riportare il rapporto deficit/PIL al 60%, stanno cercando il modo per far tornare i conti pubblici e, visto che tassare i ricchi non è di moda, non si hanno maggiori entrate; l'unica soluzione diventa quindi minori uscite e quindi minori servizi (vedi stipendi e pensioni più basse, istruzione privata, sanità privata). Non sempre però i provvedimenti sono accettati di buon grado dalle persone. In Francia la proposta del governo Sarkozy di innalzare l'età pensionabile da 60 a 62 anni si sta scontrando con un compatto fronte del NO che comprende tutte le componenti della sinista: dal Partito Socialista al Nuovo Partito Anticapitalista, con l’appoggio della CGT (la nostra CGIL). Le proteste, soprattutto nelle raffinerie e nei trasporti, stanno bloccando il paese e gli scioperi generali (8 in 20 giorni), sono diventati ordinaria amministrazione. In Grecia e in Spagna sono stati i governi socialisti a farsi promotori di programmi di austerity di entità tali da indurre i

sindacati a ricorrere allo sciopero generale. In Spagna lo sciopero generale del 29 settembre ha causato il cambio ai vertici del ministero del lavoro. Il nuovo ministro, per evitare un più lungo e temibile scontro con i sindacati, ha convocato un tavolo tecnico con questi ultimi. Dopo giornate di scioperi e manifestazioni a Maggio, che hanno fatto il giro del mondo, il piano di risanamento voluto da FMI e UE ha trovato un vago consenso, dettato più dalla disisillusione che dalla reale approvazione. Nelle elezioni amministrative il Partito Socialista di Papandreu ha ottenuto la maggioranza in 7 delle 13 Regioni. Da notare che l’astensione ha sfiorato il 40% e che sia il Partito Comunista (all’11%) sia la Nuova Democrazia(di centrodestra) sono in crescita; entrambi i partiti sono contrari alle misure di austerity messe in atto dal governo. Nel frattempo i sindacati hanno convocato il sesto sciopero generale dall’inizio della crisi, hanno chiuso , scuole, università, comuni, banche. Tutti gli stati europei che si affacciano sul Meditteraneo stanno vivendo momenti di lotta e contrasto tra classe governante e lavoratori. E noi? Sabato 16 Ottobre la FIOM ha indetto una

manifestazione a Roma con 2-3 centomila manifestanti; un lampo poi più nulla. La cronaca grigia, cioè politica, ha come argomenti: portanti il Lodo Alfano, il teatrino della maggioranza, i festini ad Palazzo Grazioli, e la, mai doma, ricerca del nuovo leader della sinistra, no scusate del PD. I sindacati sono più intenti a difendere le loro poltrone che i lavoratori : CISL e UIL vanno palesemente a braccetto con Confindustria mentre l'eversivo Epifani afferma che lo sciopero generale rappresenta " Un grande sacrificio", come se altrove i lavoratori godessero nel perdere parte del loro stipendio. Il passaggio di consegne da Epifani alla Camusso, che ha promesso di aprire una stagione di concertazione (forse serebbe meglio chiamarla asservimento) nei confronti della Marcecaglia, non può che uccidere definitivamente l’idea che oggi il sidacato possa

mettere in discussione l’attuale sistema economico. Il maggiore partito di opposizione non è stato capace di prendere una posizione univoca, lasciando ai singoli la libertà di scelta. A questo scenario politico/istituzionale squallido e disgustoso dobbiamo reagire trasformando la delusione in voglia di partecipare, di lottare per difendere le idee in cui crediamo,di far rinascere l'idea che il futuro dipende dalle nostre scelte; non arriverà nessun Baffone a portarci la rivoluzione. - c.c-

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INTERNAZIONALE 6 Novembre 2010

Serbia: nazionalismo dentro e fuori dagli stadiLo spettacolo messo in scena il 12 ottobre allo stadio di Genova è solo l’ultimo degli episodi che ha visto come protagonisti gruppi di ultranazionalisti serbi. Esiste, infatti, un filo conduttore che lega gli avvenimenti di Genova con le aggressioni nei confronti dei manifestanti del Gay Pride di Belgrado, l’uccisione di un tifoso francese, nel giorno della partita Partizan-Tolosa, gli incendi provocati a sostegno della manifestazione contro l’indipendenza del Kosovo, fino ad arrivare ai massacri eseguiti durante la guerra civile in ex-Jugoslavia In Serbia, come in gran parte dei paesi dell’area balcanica, il legame tra calcio e politica è estremamente forte. Come ci è noto, in mancanza di spazi di aggregazione sociale, questi vengono rimpiazzati dalle tribune degli stadi e il tifo calcistico sostituisce la militanza politica e la formazione di coscienze critiche. Inoltre, in paesi come la Serbia, nati dalla disgregazione di Stati più grandi e quindi dall’esaltazione esasperata delle differenze etniche, il calcio, in particolare la squadra nazionale, diventano elemento fondamentale per lo sviluppo di una forte identità nazionale. Infatti, ciò che lega le tifoserie rivali del Partizan e della Stella Rossa,le due maggiori squadre di Belgrado, è l’ideologia nazionalista, espressa, a Genova,con striscioni che rivendicavano l’ “appartenenza” del Kosovo alla Serbia e con l’incendio della bandiera albanese. Inoltre, i tatuaggi (la cui rilevanza simbolica è stata chiaramente

trascurata dai mass-media) dell’ormai noto capo ultrà della Stella Rossa, rimandano alla simbologia dei “Cetnizi”, formazione politico-militare che collaborò con i fascisti durante l’occupazione e i cui valori tipici della destra conservatrice vennero ripresi dai gruppi nazionalisti para-militari nati durante il conflitto

jugoslavo degli anni ’91–’95. Tra questi spiccano le “Tigri di Arkan”, reclutate proprio nelle tifoserie della Stella Rossa,colpevoli di massacri ed esecuzioni di massa. Oggi il loro leader è considerato un “eroe” dai tifosi serbi. Sempre in nome del patriottismo serbo, legato al cristianesimo ortodosso, è avvenuta l’aggressione ai manifestanti del Gay Pride di Belgrado da parte di hooligan e alcuni

appartenenti al movimento Obraz (“orgoglio”). Questa ed altre formazioni politiche, come Movimento 1389 e Svetozar Miletic, lavorano a fianco degli hooligan, condividendone “valori” ed obiettivi, e al tempo stesso godono delle simpatie (e dei finanziamenti?) di alcuni partiti dell’arco parlamentare, dai Radicali ai

DSS di Kostunica. Nel movimento Svetozar Miletic,in particolare, appaiono nomi di professori, intellettuali, e accademici presenti nei comitati di difesa di criminali di guerra del calibro di Milosevic, Karadzic e Mladic, quest’ultimo ancora latitante. In un momento in cui la Serbia è in attesa del via libera della Commissione per l’ingresso nell’Unione

Europea, è il nazionalismo anti-europeista a fare da collante tra hooligan, movimenti politici e partiti di opposizione. Essi, infatti, si oppongono all’ingresso della Serbia nell’UE, aggiungendovi la rivendicazione dei territori del Kosovo e la difesa dei criminali di guerra Mladic e Hadzic, per la cui cattura l’Unione Europea e il tribunale internazionale dell’Aia hanno preteso la collaborazione concreta del governo serbo. Queste argomentazioni godono di un certo seguito presso l’opinione pubblica serba, portando consenso o perlomeno legittimazione ai nazionalisti e alle loro azioni. “Sì all’Europa, ma alle nostre condizioni”, titola un articolo del quotidiano Danas, sottolineando che il 50% dei serbi è contrario alle condizioni poste alla Serbia dall’Unione, soprattutto per quanto riguarda la cattura di Mladic, considerato da molti un eroe nazionale. D’altronde è comprensibile il sentimento di ripugnanza nei confronti di un’Europa che li spinge a una corsa sfrenata per raggiungere i canoni della piena compatibilità economica, e che ha dato il suo contributo, diplomatico e militare, alla disgregazione jugoslava, fomentando così la nascita dei nazionalismi. È plausibile, infine, un rifiuto di entrare a far parte di quella NATO che solo undici anni fa li ha bombardati. È necessario che l’Europa consideri le conseguenze drammatiche dei suoi interventi e che si prenda le sue responsabilità

-Ines-

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7 “Per la verità, per Israele”Questo il nome dell'iniziativa svoltasi giovedì 7 Ottobre al Tempio di Adriano a Roma. La manifestazione, la cui organizzatrice è stata Fiamma Nirenstein, giornalista e deputata del PdL, si proponeva come scopo principale quello di “porre fine alla valanga di bugie che ogni giorno si rovescia su Israele” (dal sito ufficiale dell'iniziativa). Ma quali sono le menzogne e chi sono i mentitori che stanno piano piano, inesorabilmente disgregando il diritto ad esistere del democraticissimo Stato mediorientale secondo la Nirenstein? Coloro che affermano che Israele è nato e si è sempre comportato come un invasore senza scrupoli; coloro che sostengono che Israele abbia ritagliato un posto di potere per sé e per l' occidente cosiddetto civilizzato in Medio Oriente con metodi che nulla hanno da invidiare ai peggiori crimini della storia dell'umanità; coloro che si rifiutano di appoggiare un'entità politica che ha costruito il proprio diritto ad esistere sopra le sofferenze di una popolazione che aveva ed ha diritto a essere riconosciuta come Stato, sopra il dolore di migliaia di palestinesi, morti nella guerra che ormai dura da più di 60 anni. La tragedia palestinese ha radici lontane. Il 1948 fu l'anno in cui avvenne ufficialmente la creazione sancita dall'ONU dello Stato d'Israele, con la quale il popolo ebraico, sicuramente uno dei più martoriati nella storia, ottenne un proprio Stato. Gli europei potevano finalmente sentirsi la coscienza a posto. Dopo secoli di pregiudizi, discriminazioni, e dopo la tragedia della Shoah, tutte le ferite di un popolo

venivano curate nel giro di due giorni. Indipendentemente da tale retorica, il punto focale della questione fu un altro. La colonizzazione dei territori dell'attuale Israele

da parte degli ebrei europei e non solo, principio fermo del sionismo di Herzl, era iniziata molto prima del 1948. La corona britannica che gestiva i territori palestinesi già dalla fine della prima guerra mondiale l’aveva infatti favorita. Il problema, si può affermare con una sorta di tetra ironia, è che in Palestina vivevano i palestinesi. Non era una terra nullius, ma un luogo abitato da una popolazione araba che in effetti fu considerata dai coloni ebrei un problema da risolvere. La soluzione fu tutt'altro che innovativa da un punto divista storico, anzi, tristemente nota: i palestinesi furono sterminati in grosse quantità con metodi criminali. Questi fatti non furono riportati (o almeno non soltanto) dalla Pravda e da qualche foglio sovversivo europeo, ma da un articolo del 4 dicembre 1948 pubblicato sul New York Times firmato da quattro ebrei tra cui Albert Einstein e Hannah Arendt che accostarono il nascente “Partito della Libertà” ai partiti nazista e fascista per metodi e filosofia politica. I

62 anni che sono seguiti a quel 1948 possono essere indubbiamente considerati uno dei peggiori capitoli della storia. Sono anni di guerra, di odio, di terrorismo da ambedue le

parti. Perché terrorismo è sì quello di Hamas, ma anche quello che molti sono soliti chiamare “legittima difesa di uno Stato sovrano”, e che consiste nel distruggere case con i missili e bruciare persone col fosforo bianco. A pochi tuttavia importa la verità. Ciò che veramente interessa alla Nirenstein e alle altre anime belle di “Per la verità per Israele” è di nascondere i crimini d'Israele dietro a una maschera di democrazia e accoglienza. Non ci si stupisce a leggere fra i nomi dei partecipanti quelli di Fassino, Rutelli e Veltroni, ma la cosa che forse dà più noia, lascia più amarezza, è che presente all'iniziativa di Roma era anche l'eroe di mezza Italia Roberto Saviano, che ha tenuto un commovente e acclamato discorso. Tutti loro dovrebbero forse imparare che i diritti umani non si applicano con riserva, ma universalmente, perché non esistono differenze tra i perseguitati, così come tra gli sfruttati e i discriminati. Le accuse di antisemitismo mosse a chi denuncia i misfatti d'Israele non meritano neanche di essere

commentate. Non si tratta di voler negare il diritto degli israeliani ad esistere. Tenendo salda la convinzione che la nascita dello stato ebraico sia stata tutt'altro che indispensabile e legittima, non si può certo pensare cancellare Israele dal planisfero. Un palestinese ha lo stesso diritto a una casa e un lavoro di un israeliano. E un bambino nato nella Striscia di Gaza deve poter avere le stesse possibilità di uno nato a Tel Aviv. Esiste però una questione fondamentale: a livello politico, vista la nascita dello stato di Israele voluta e attuata dai criminali sionisti, l’unico popolo legittimato ad esistere in Palestina è quello palestinese. Ad oggi, però, non si può non tener conto del fatto che da sessantadue anni ci sono israeliani i quali nascono in quel territorio e non tutti condividono le politiche di guerra e devastazione. Esistono, fortunatamente, esempi di piccole ribellioni e disobbedienza civile da parte dei giovani israeliani, costretti a due anni di leva obbligatoria nell’esercito (rischiando peraltro il carcere). Fino a quando l’opinione pubblica giudicherà come terrorista la resistenza dei palestinesi e considererà democratica la risposta sanguinaria israeliana, niente potrà cambiare. In ogni caso, aver sofferto le pene dell'Olocausto non autorizza a infliggerle ad altri.Le stragi, le uccisioni, i bombardamenti devono finire. La Palestina e i palestinesi devono poter vivere.

-Berglan-

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FIRENZE 8 Novembre 2010 La sottile linea di confine

Ci sono vari modi di essere razzista. Esiste il razzista praticante, il picchiatore, lo sfruttatore, quali i signorotti di Rosarno, i mercenari dei C.I.E., ma anche quello subdolo, il quale vota Lega Nord perché è vicina al cittadino, convinto della sua ineccepibile logicità quando dice di non essere razzista, ma le case popolari vanno date agli italiani. Nel veneto il sindaco di Adro vieta ai bambini di mangiare alla mensa scolastica, se le famiglie non pagano; a Milano si vuole impedire alle famiglie rom di accedere ai bandi per la casa popolare. A Firenze le cose non vanno certo meglio.

Esiste una sottile linea di confine che separa la volontà di risolvere i problemi

dal modo razzista con cui, nella realtà, si

affrontano veramente.

Consiglieri comunali come il neofascista Torselli formano gruppi di sostegno per “le occupazioni degli italiani” mentre l’assessore Fantoni si rifiuta di ricevere a colloquio gli esponenti del Movimento di Lotta per la Casa, mandando la polizia al suo posto ed evitando volutamente il problema dell’emergenza abitativa a Firenze. Dalla giunta Domenici a quella Renzi, il rinnovamento tanto auspicato in campagna elettorale sta dando in effetti i suoi frutti: la prima mossa forte è stata lo sgombero dell'ex Meyer, occupato fino a giugno scorso da circa 180 immigrati. Da allora si è inasprita un'assurda lotta politica dell'amministrazione comunale nei confronti delle occupazioni di stabili a scopo abitativo: 80 sfratti al mese, di cui, per quanto riguarda il mese di settembre, il 60% per morosità, il 20% per conclusione del rapporto di locazione e un altro 20% per

insolvenza bancaria. Ma come mai le persone, in modo trasversale, occupano? Semplice: la casa sarebbe un diritto ma, da sempre, è un lusso per tutti, italiani e non. Il problema è però più complesso per chi è immigrato, specie se irregolare. Infatti per regolarizzarsi, dopo la legge Bossi Fini, è necessario prima trovare un lavoro, poi richiedere il permesso di soggiorno e, infine, chiedere la residenza al comune. Esiste, inoltre, un doppio problema: nessun governo ha voglia di regolarizzare tutti, quindi si fanno le sanatorie per chi fa più comodo (badanti e colf) mentre gli altri restano irregolari e verranno, con tutta probabilità, deportati in un C.I.E. In una città come Firenze, insomma, visti anche i costi proibitivi degli affitti, la mancanza di bandi per case popolari a basso costo e il prezzo comunque troppo alto degli affitti agevolati, il fenomeno occupazione resta la norma. Il comune, che in generale può fare poco per risolvere il problema, potrebbe però evitare di appaltare a privati, indebitandosi, per costruire alloggi di cui nessuno mai usufruirà. Più

logico e utile sarebbe invece lasciare in pace chi, fra mille problemi, occupa e recupera spazi abbandonati per poter avere un tetto sulla testa, dandogli magari un contributo per la messa in sicurezza dello stabile. Ma, finché anche i dipendenti comunali continueranno a dire agli sportelli che la casa arriva sempre prima allo straniero che all’italiano, ci saranno soltanto le premesse per una guerra fra poveri, voluta e orchestrata da razzisti, palazzinari e istituzioni.

-f.R-

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9 Il Disagio che nessuno ascolta più Viviamo in una società ormai sempre più in crisi sociale e morale, senza valori e senza idee, dove uscire dai binari della quotidianità è un reato. In una situazione che si erge sulle sue sempre più pericolanti macerie, la scuola, come del resto l’università, è solo un riflesso ancor più drammatico della società stessa. Non un laboratorio di idee e di coscienze critiche, ma luogo del “pensiero unico”, della grigia normalità che ci viene imposta. Il tutto assume i connotati di un luogo adibito all’assemblaggio di ingranaggi per mandare avanti La Macchina del Consumo e dell’assenza di pensiero. Chi non accetta il ruolo di automa viene messo ai margini, umiliato e tacciato di essere un facinoroso. Non trovando posto e soddisfazione in una scuola nata per umiliare le persone e distruggere la loro autostima, alcuni studenti fiorentini hanno deciso di riappropriarsene, per attivarsi e sentirla loro. Questi sovversivi, hanno deciso di occupare le loro scuole. A chi si chiede se sarà un’occupazione a fermare la Gelmini, il Governo e il processo di privatizzazione europeo del mondo della formazione, rispondiamo, purtroppo, che non sarà così. Va detto, però, che non sarà

neanche una manifestazione con milioni di persone a Roma (vedi l’Onda del 2008), o un’inesistente opposizione in parlamento a farlo. Si potrà fermare la Gelmini, o chi per lei, quando riusciremo a distruggere la routine di cui siamo schiavi, quando le persone decideranno di riappropriarsi della loro vita coltivando il proprio spirito critico e le proprie passioni. Le occupazioni degli studenti partono proprio da questa necessità, dal potersi guardare negli occhi e parlare insieme, crescendo, ricreando un clima di collettività ormai perso che la scuola oggi impedisce di vivere. Forse gli studenti avrebbero potuto aspettare prima di occupare, arrivandoci alla fine di un percorso più elaborato e condiviso, infatti queste occupazioni hanno per alcuni versi lasciato perplessi. Ma questi ragazzi, come tutti noi, possono sbagliare. Ciò che invece ci lascia perplessi è la moltitudine di studenti che non voleva rompere le catene della quotidianità, i quali non erano disposti a mettersi in gioco; e nel frattempo si moltiplicano le manie da sceriffo che stanno avendo ultimamente alcuni presidi. In ogni caso, anche se queste occupazioni possono non aver convinto, non riusciamo a criticare più

di tanto quegli studenti che nonostante tutto lottano ogni giorno, i quali si ritrovano in un clima sociale stuprato da un individualismo sfrenato e da un’apatia diffusa e generalizzata. Queste occupazioni, ai nostri occhi, esprimono un forte disagio giovanile. Non più sognatori un po’ ingenui che prima ascoltavano De Andrè e Guccini, ma che adesso preferiscono sentire passivamente musica techno a tutto volume in qualsiasi momento della giornata. E questi non sono segnali da lasciar perdere poiché indicativi della mancanza di coscienza personale e collettiva. In questo clima, infatti, è doveroso e obbligatorio dare contenuti alle occupazioni, per sensibilizzare le persone, trasformare il disagio in rabbia, la noia in curiosità, la passività in protagonismo. Che la scuola diventi un laboratorio di idee e di lotta, uno spazio di resistenza dove rifiutare il “pensiero unico” per portare fuori azioni che travolgano lo status quo. Per rompere lo schema individualistico che ci viene imposto, mangiando, ridendo e vivendo insieme, anziché farlo su uno squallido social network come Facebook. E’ necessario ricercare quella spensieratezza ormai persa, quel lato sognatore che ci stanno distruggendo.

-JULES-

Primerano, Padoin diverso nome stessa TestaA Firenze, città di bottegai universalmente riconosciuta come “rossa”, esiste una sorta di accettazione dell’autoritarismo che, col tempo, ha preso tratti sempre più marcati e inquietanti. In questa città, infatti, l’opinione pubblica tollera cortei, scioperi e proteste poiché, grazie ad una fitta rete di case del popolo, associazioni e spazi di aggregazione, si è sviluppato un certo sentire comune. Questa tolleranza, tuttavia, sta venendo meno: col tempo alcuni imperativi dei giornali e dei politici locali (il degrado e l’insicurezza ) sono penetrati nel linguaggio da bar del cittadino comune ed hanno causato intolleranza e repressione. Infatti a Firenze il cittadino medio, il padre di famiglia che, convinto, vota PD, esprime soddisfazione se gli studenti manifestano tranquilli e senza dare noia, e se qualcuno, come la polizia l’11 maggio 2009, prova a manganellarli si arrabbia. Se gli stessi si convincono di poter fare due scritte su un muro, bloccare il traffico e utilizzare slogan più politicizzato, ecco che scatta l’indignazione generale. In questo contesto cittadino particolare non potevano mancare due elementi passati alle cronache nello scorso mese: Paolo Padoin e Massimo Primerano. Il primo è il nuovo prefetto di Firenze il quale, dopo appena un mese dal suo arrivo, si è sentito in dovere di vietare il concentramento dei cortei in piazza San Marco: un altro passo verso quella sensazione di repressione perpetua che si vorrebbe trasmettere alla gente. Massimo Primerano invece è il preside del liceo classico Michelangiolo. Questi, due anni fa, sospese due studentesse, colpevoli di aver aperto le porte della scuola al resto degli studenti il giorno dell’occupazione. Il lupo perde il pelo ma non il vizio: infatti Primerano è tornato alla carica: denuncerà 22 studenti, da lui identificati, per l’occupazione di Ottobre e l’interruzione di pubblico servizio. Colpirne 22 per educarne 1000. Risulta imbarazzante sentir parlare di legalità e correttezza uno che usava l’indirizzo mail della scuola da lui gestita per promuovere la propria candidatura in consiglio comunale nelle liste Renzi. In ogni caso, contro questo clima di oppressione e di accanimento, c’è bisogno di alzare la testa e di essere solidali prima che la rassegnazione , la paura e l’individualismo prendano il sopravvento. -MARCOS-

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CULTURA

” POESIA RIBELLE

10 Novembre 2010

ODIO GLI INDIFFERENTI

odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può

non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.

L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta

potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita

collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato

attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà,

sarebbe successo ciò che è successo?

Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha

fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta

al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli

indifferenti.

11 febbraio 1917 Antonio Gramsci

Undersociety

Quando ti sbattono per strada quando ti manganellano i sogni

quando ti ordinano ordine e la risposta è “si signore” come ti sveglierai domani?

colpi di pistola al vento! Il tuo ferro si arrugginirà ma la tua libertà anche.

***

*** Pericolo-pericolo-pericolo

per le strade rumore-rumore-rumore

per le strade. caos per le strade e

sarà il risveglio del quartiere, il risveglio della sottosocietà che risponderà "no signore,

non questo mondo! Il degrado ci aggrada

la libertà ci fa impazzire. Signore?siete pronto?"

-Philp Liguori-

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11 Quinto Potere Quinto potere è la storia di Howard Bale, profeta dell’etere che utilizza la televisione per comunicare la sua rabbia, la sua frustrazione e la sua follia. È anche la storia del popolo americano e della sua necessità di una persona che si prenda il grave compito di esprimere quello che da soli, nella tranquillità delle loro case, temono di dire se non legittimati dal teleschermo che guardano ogni sera. Quinto potere è la storia di un business che strumentalizza tutto quello che è indice di profitto senza una morale, un etica o una appartenenza politica. Lo stesso vale per Howard, riflesso di un antisistema che viene manipolato e sfruttato fino a quando il suo messaggio continua ad essere redditizio. La televisione si sostituisce così alla coscienza personale: la

rabbia, la repressione incanalata in un quarto d’ora di trasmissione. Si ricerca l’annientamento dell’individuo anche nella sua parte più ribelle, persone gestite come prodotti, in una società dove non c’è più uno stato, una nazione o una cittadinanza ma solo un'unica grande rete: il mercato. É la storia anche di Diana, giovane e intraprendente regina dei palinsesti, incapace di amare, vive un alienazione che la porta verso la ricerca ossessiva di un piacere vuoto, misurabile solo attraverso gli indici di ascolto e dove anche la soddisfazione sessuale è subordinata all'appagamento professionale.

È la commedia amara di chi guarda alla propria vita attraverso un filtro di finzione e follia, di chi rinuncia, di chi si abbandona alla superficie delle cose. Ma quinto potere è anche la storia di chi rifiuta questo meccanismo perverso, di che sceglie di vivere la propria realtà e la propria umanità :“tu sei la pazzia, una pazzia furiosa e tutto quello che tocchi muore con te.. ma non io, non finché potrò provare piacere, sofferenza e amore”

-FRIDA-

Sulla Televisione Sulla televisione di Pierre Bourdieu è uno scritto breve che vale la pena leggere per comprendere i meccanismi che governano l'informazione giornalistica e televisiva. Secondo B. studiare l'informazione televisiva è fondamentale in quanto essa, come ogni conoscenza, produce una rappresentazione del mondo che si traduce in condotte e comportamenti. Ancora più importante è allora capire le logiche e i processi che determinano la scelta delle notizie, le modalità con le quali sono presentate e, in definitiva, l'immagine della realtà che l'informazione costruisce. La deriva sensazionalista delle notizie e una certa informazione compiacente secondo il sociologo francese, sarebbero da attribuirsi ai processi che legano l’economia con il campo giornalistico. Se in apparenza l'influenza più forte, ma anche più suggestiva e semplice, può sembrare la proprietà degli editori che impongono una linea alla redazione, secondo B. i processi decisivi sono altri: il bisogno di finanziamento e la rincorsa alla pubblicità spingono l'informazione ad una serrata competizione. Questa porta a conseguenze deleterie sia per l'informazione sia per la vita democratica. La competizione per il pubblico si traduce in una uniformità di informazione. L'uniformità, insieme alla notizia sensazionalista, ha conseguenze negative sulla vita politica di una democrazia poiché impone il criterio dell'ascolto, dell'auditel ( quindi del mercato) nella selezione delle informazioni e non la rilevanza politica e critica. La connessione tra politica giornalismo è affrontato da B. con un'analisi ricca di spunti : le televisioni, come agorà delle democrazie, sono appuntamenti necessari per la visibilità dei candidati o dei politici in cerca di voti e consensi. B. denuncia che le relazioni tra politici e giornalisti e le rispettive necessità ( finanziatori e auditel, da una parte; visibilità, dall'altra) portano spesso a dei connubi che svuotano i dibattiti politici televisivi di contenuti. Il breve scritto intende dunque svelare quali conseguenze le relazioni tra i campi dell'informazione, della politica e dell'economia producono sulla vita democratica sempre più regolata dai mezzi di informazione.

- C.C -

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Lunedì Ore 15 assemblea del Collettivo Politico di Scienze politiche al polo di Novoli, edifico D5 aula Bruno Fanciullacci Ore 15 assemblea della Rete dei Collettivi Studenteschi fiorentini alla facoltà di Lettere e Filosofia, p.zza Brunelleschi

Ore 16 assemblea Collettivo di Agraria in aula murales, facoltà di Agraria

Ore 21.30 assemblea Spazio Liberato 400colpi in via del Parione 23

Ore 22.30 Rassegna film di Pedro Almodovar al Cpa Fi-Sud via di Villamagna 27a; piatto a tema e scheda critica, ingresso a sottoscrizione di 2 euro

Mercoledì Ore 17 assemblea del Collettivo del Fondo Comunista, via di Rocca Tedalda 277 Fi sud

ORE 19.30 APERITIVO DI CORTOCIRCUITO, APERIODICO DI INFORMAZIONE, ANALISI, RIFLESSIONI; AL CPA FI- SUD

Ore 20, al Circolo Anarchico Fiorentino via dei conciatori 2r, cena e, a seguire, ore 21.30 Proiezione Film

Ore 20 in poi, al Melograno via Aretina 513, Cena Popolare e, a seguire, proiezione o concerto

Ore 21.30 assemblea del Cantiere Sociale Camilo Cienfuegos via chiella 4, Campi Bisenzio

Assemblea redazionale Cortocircuito Giovedi ore 21.30

al Cpa Fi Sud

REALTA’ STUDENTESCHE: COLLETTIVO POLITICO collettivopolitico.noblogs.org

SPAZIO LIBERATO 400COLPI 400colpi.org

COLLETTIVO AGRARIA collettivoagrariafirenze.noblogs.org

ASSEMBLEA DI LETTERE assemblealetterefirenze.noblogs.org

UNIONE DEGLI STUDENTI FIRENZEudsfirenze.it

RETE DEI COLLETTIVI FIORENTINI retecollettivi.noblogs.org

EMAIL [email protected]

Martedì Ore 15 assemblea Unione degli Studenti di Firenze al circolo “La loggetta” via Aretina, Varlungo

Ore 20.30, al Cpa Fi-Sud cena popolare e, a seguire, assemblea

Ore 22.30, al CSA EX Emerson in via di Bellagio, assemblea

Giovedì Ore 20 ,al Fondo Comunista, Cena sociale e a seguire Cineforum

Ore 21.30 Apericena allo Spazio Liberato 400colpi

Ore 20.30 Cena popolare al Cpa Fi-Sud

REALTA’ CITTADINE:

CPA FI-SUD cpafisud.org

VILLA PANICO ecn.org/panico2/

LOTTA PER LA CASA lottaperlacasafirenze.noblogs.org

NO TAV FIRENZE notavfirenze.blogspot.com

CSA-NEXT EMERSONcsaexemerson.it

CAMILO CIENFUEGOSk100fuegos.org

FONDO COMUNISTA fondocomunista.noblogs.org

TOSCANA NO CIE toscananocie.noblogs.org

Ottobre 2010

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