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Cosa sapere del dolore del neonato
Cosa sapere del dolore del neonato
Guida per i genitori,
utile anche per il personale
curante
Cosa sapere del dolore del neonato
Carlo V. Bellieni
Policlinico Universitario Le Scotte
Terapia Intensiva Neonatale
Cosa sapere del dolore del neonato
Guida per i genitori,
utile anche per il personale
Sommario
Una cosa utile
I 6 Passi
STARE ATTENTI!
QUANTO E’ PERICOLOSO?
COME RICONOSCO IL DOLORE?
IL PIANTO
STRATEGIE
QUELLO CHE SAREBBE IN REALT
PRIMO
FINE DEL PERCORSO
Bibliografia
Carlo V. Bellieni
Carlo V. Bellieni
Policlinico Universitario Le Scotte
Terapia Intensiva Neonatale
2
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QUANTO E’ PERICOLOSO? 4
COME RICONOSCO IL DOLORE? 6
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8
QUELLO CHE SAREBBE IN REALTA' IL
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Cosa sapere del dolore del neonato Carlo V. Bellieni
UNA COSA UTILE
Questa breve guida è rivolta ai genitori, perché sono i primi protagonisti della cura del loro
bambino.
Non sembrerebbe, ma è così: i medici e gli infermieri si prendono cura del neonato solo
come supporto dei genitori, su loro incarico e dopo aver ricevuto il loro consenso alle cure
proposte. Sembra talvolta che i genitori siano in seconda linea, mentre in realtà i medici
sono solo degli abili e istruiti esecutori delle decisioni dei genitori che esercitano la patria
potestà in nome del neonato.
In pratica, è il paziente che sceglie come curarsi e si rivolge a degli specialisti per farlo.
Ancor più in pratica, spesso questo passaggio è forzato dal nascere in un posto piuttosto che
in un altro, dal fatto che solo i neonatologi hanno le capacità di curare chi è così piccolo, e
allora la possibilità di scelta è per forza ridotta. Ma i genitori sono il centro della cura.
Per questo devono essere informati. E non solo informati, ma diventare attivi protagonisti
laddove è possibile. Per i neonati il genitore come protagonista lo possiamo vedere nelle
manovre di assistenza, di lavaggio, di attenuazione del dolore, come vedremo poi, ma anche
nella vita quotidiana, come primo spettatore e assistente del bambino, in grado di dare a
medici e infermieri informazioni o pareri, dato che ne vede il decorso giornaliero e i
cambiamenti di reattività, colorito eccetera.
Una guida dedicata ai genitori però è utile anche per i curanti. Perché chi opera sul bambino
potrebbe esser portato a pensare che il suo compito è solo quello di agire con medicine e
interventi importanti e pensare che la cura, l’osservazione giornaliera e il sostegno contro il
dolore sia cosa che non lo riguarda. Questo atteggiamento è sempre più raro, e va
incrementato. Perciò chi cura avrà vantaggio di capire e vedere le cose con gli occhi di un
genitore, come si propone questa guida.
La guida è documentata da citazioni di letteratura scientifica, perché in questo campo il
rischio è l’approssimazione e il sentimentalismo, che porta a sovrastimare o sottostimare il
dolore a seconda del proprio stato d’animo, mentre occorre sempre serenità e oggettività.
Cosa sapere del dolore del neonato Carlo V. Bellieni
IL PRIMO PASSO: STARE ATTENTI!
Il primo errore che si fa pensando al neonato, è pensare ad un adulto molto ma molto più
piccolo. E allora uno può dire: quello che sento io se fossi in ospedale, voglio (se è piacevole
per me) o non voglio (se è spiacevole) che lo senta lui.
Sbagliato! Perché il neonato è molto ma molto
particolare.
Pensate alla vostra mano: cosa c’è di più bello che
farci una carezza sopra? Niente… a meno che la
mano non sia arrossata per il freddo, per un colpo
ricevuto: allora anche la carezza diventa fastidiosa e
in certi casi dolorosa. Per il neonato più o meno è
così: è come se tutto il suo organismo così piccolo
abbia una capacità di sentire il dolore come voi, ma
non abbia la vostra stessa capacità di fare quelle
strategie per bloccare il dolore, dunque uno stimolo
che ad un adulto non dà problemi, ad un piccolo
prematuro dà fastidio o dà dolore.
Non tutti gli stimoli
Già, perché per fare male uno stimolo deve avere
due caratteristiche: stimolare un’area sensibile (per
esempio i capelli o il cordone ombelicale non sono sensibili) e essere adatta a produrre
dolore o per la sua forma (un bisturi, un ago) o per la sua energia (qualcosa che comprime
forte, per esempio). Attenzione! Certi strumenti apparentemente innocui, possono diventare
dolorosi se applicati in zone sensibili o che sono diventate sensibili per qualche motivo. Per
esempio lavare un sederino è un’operazione innocua, ma se il sederino è arrossato, può
diventare doloroso.
Primo messaggio: il dolore prima di curarlo, NON VA PROVOCATO
In pratica, meno si tocca un neonato per motivi che non sono le coccole e il latte, meglio è.
La cura del dolore prima di tutto è conoscere il bambino, stare con lui, non lasciarlo solo,
Cosa sapere del dolore del neonato Carlo V. Bellieni
coccolarlo, aiutarlo a crescere, ad alimentarsi, a dormire, a interagire. Senza forzature,
seguendo i suoi tempi e le sue capacità, in particolare se sta male, se ha bisogno di cure.
Ecco 5 cose che piacciono al neonato:
Dormire in pace, magari nella penombra
Mangiare a richiesta, possibilmente il latte della mamma
Sentire la voce della mamma, che già conosce da prima di nascere
Una carezza e il contatto con il corpo di papà o mamma
Il cambio del pannolino (fatto gentilmente)
E 5 cose che non gli piacciono:
Essere interrotto mentre sta facendo qualcosa (mangiare, dormire)
Ricevere eventi dolorosi (es punture) senza analgesia
Essere disturbato per visitarlo
Forti luci e rumori
Stare troppo da solo
Ogni neonato è una storia a sé, e ogni famiglia merita un’attenzione speciale in quanto
guscio di quel neonato e in quanto anch’essa ha una storia a sé. Per questo non esistono
stampi, clichet da ripetere, tutto deve essere personalizzato, fatto a misura di neonato e di
famiglia.
SECONDO PASSO: QUANTO E’
PERICOLOSO?
Ora, questi discorsi sembrano romanticherie… ma lo sono?
E sembrano discorsi che si possono trascurare… ma è giusto?
Infine, sembrano discorsi da tenere in secondo piano (su tutto conta intubare, dare
antibiotici e drenare toraci): ma è proprio così?
Cosa sapere del dolore del neonato Carlo V. Bellieni
Proprio no. Perché il dolore è un sintomo, ma può essere più dannoso di una malattia.
Provoca:
• Aumento di pressione arteriosa
• Aumento di pressione intracranica
• Aumento della frequenza cardiaca
• Desaturazioni
• Spasmi muscolari
• Rilascio di radicali liberi dell’ossigeno nel sangue
• Rilascio di aminoacidi eccitatori nel sangue
E conosciamo i danni che il dolore può provocare, dato che sono descritti dalla risonanza
magnetica cerebrale, e sono dovuti ai meccanismi ora descritti, ma anche ad un meccanismo
più raffinato: la modifica dell’espressione del DNA delle cellule, detta alterazione epigenetica.
Il dolore insomma provoca a lungo termine anche danni cerebrali se ripetuto in particolare
nella prima infanzia, e provoca una alterazione della soglia del dolore stesso da grandi.
Provoca infine un aumento della sensibilità al dolore nella zona che è stata oggetto
nell’infanzia di stimoli dolorosi ripetuti.
Come se non bastasse c’è l’aspetto etico da considerare, ma siccome questo richiede di
sapersi immedesimare in chi subisce un torto o un dolore non necessario, e non tutti sanno
farlo, faremo allora un richiamo ad una semplice domanda: è giusto provocare dolore a chi
non si può difendere? Perché se la stessa carenza di analgesia si usasse in un adulto, la sua
reazione ci impedirebbe di andare avanti, mentre con un piccolo prematuro sembra più facile
non accorgersene.
E la letteratura mostra con chiarezza quanto in tutto il mondo si è indietro in questo obbligo
morale che fortunate mante in Italia è diventato anche un obbligo legale.
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TERZO PASSO: COME RICONOSCO IL
DOLORE?
Riconoscere il dolore è più semplice di quanto sembra, perché basta un semplice
ragionamento: sto toccando una zona sensibile? La sto toccando con un oggetto che può far
male?
Rispondi sì a queste due domande e riconoscerai il dolore ancor prima di averlo provocato. E
questo è il punto centrale, perché riconoscerlo quando si è provocato, non serve più, al
massimo per non sbagliare la prossima volta, ma chi lo spiega a quel bambino?
Insomma, esistono delle scale per riconoscere se si è fatto male al bambino e sono scale
fatte apposta per chi non sa parlare, dato che veder piangere o urlare non significa che
pianto o urlo siano dovuti a dolore e serve mettere insieme più fattori, sommarli, e dare un
valore finale; c’è chi ha creato così scale per riconoscere il dolore acuto, ma in realtà sono
poco usate perché ti dicono i dolore solo dopo che l’intervento è stato fatto, più una serie di
limiti che le rendono poco utili nella pratica clinica. Invece ragionare per non fare male è più
utile, perché evita alla radice il dolore. Lo evita non provocandolo, cioè astenendosi da
mettere mani e attrezzi dove fa male, e lo evita – se il punto a non è possibile – dando
farmaci o usando strategie che non fanno sentire male.
Cosa a parte è invece quando si deve valutare non se fa male uno spillo nel piede o un
punto di sutura, ma quale è il livello di sofferenza del bambino ricoverato, che è a rischio di
sentire dolore, per esempio il bambino intubato, o quello post-chirurgico. Perché per questi
bambini non conta solo passare e vedere come si comporta, ma soprattutto valutare nel giro
di un certo periodo di tempo come sta; per questo esistono scale di valutazione specifiche,
che in questo caso sono poche ma utili, che ci dicono se e quanto ha sofferto un bambino
nel periodo in osservazione, e su questa base potremo modulare (inserire, sospendere)
farmaci contro il dolore di una certa potenza. Queste scale (per esempio la scala EDIN o la
scala CRIES) si basano sull’interazione col personale, sul sonno, sul pianto e altre variabili
che verranno misurate, sommate e analizzate.
Esistono poi strumenti tecnici che ci misurano stress e dolore, per esempio apparecchi per
misurare la sudorazione che è un indice di alterazione del sistema nervoso autonomo, che a
sua volta è indice di stress.
Cosa sapere del dolore del neonato Carlo V. Bellieni
L’elenco dei possibili segnali di dolore è alto, e va comunque conosciuto, magari
imparandolo con l’esperienza, perché le smorfie hanno un significato, i cambiamenti di
colore della pelle, l’insorgere di singhiozzo, tachicardia, possono essere segnali di stress,
dolore, sofferenza; così come possono comparire però per altri motivi. Per questo il primo
principio resta valido: ragionare prima di toccare!
QUARTO PASSO: IL PIANTO
Il pianto del bambino non è per forza segno di dolore perché come tutti sanno i bambini
piangono per tanti motivi, come del resto
fanno gli adulti; certo un pianto che
sopravvenga immediatamente dopo uno
stimolo potenzialmente doloso vuol dire
molto probabilmente che il dolore c’è stato,
ma non è detto che ogni pianto sia segno di
dolore: non esiste un pianto da dolore
diverso da un piano da fame o da rabbia. I bambini oltretutto alla nascita piangono senza
lacrime, cioè le lacrime le producono, ma non quando piangono, e questo probabilmente ce
lo spiega l’evoluzione umana, perché il pianto con lacrime, tipico solo dell’uomo tra tutti gli
esseri viventi, ha un effetto consolatorio per una sorta di massaggio che le lacrime
determinano sulla pelle, e siccome il neonato per la sua posizione di solito sdraiata non
farebbe scorrere le lacrime sulle guance, non ha nemmeno utilità che le produca.
Il pianto… sempre un segnale da ascoltare.
Il pianto ha una caratteristica acustica: diventa particolarmente acuto durante lo stress, per
stimolazione del sistema simpatico che tramite un ramo del nervo vago tende le corde
vocali; e diventa ritmico quando lo stress è tanto, così da fare grida di un secondo,
intervallate da pause di un secondo, e non riuscire ad arrestarsi, il cosiddetto pianto a
sirena. Il pianto è un segno da non sottovalutare mai, anche se come dicevamo non significa
dolore, è comunque un segnale, una luce rossa che si accende davanti agli adulti che di
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fronte ad ogni pianto devono interrogarsi: perché? La natura ha dotato i bambini che non
sanno palare di questo SOS che vale più di mille parole, e trascurarlo è inaccettabile.
QUINTO PASSO: STRATEGIE
La prima strategia è l’uso di tecniche non farmacologiche: si è visto negli anni che
somministrare zucchero o latte in poche gocce prima di una procedura dolorosa, attenua la
risposta al dolore; questo dipende molto probabilmente dal fatto che il sapore dolce scatena
nel soggetto la produzione di ormoni antistress detti endorfine; molto più forte è la capacità
dello zucchero o del latte se si uniscono ad altri stimoli, come il contatto con la pelle con
carezze o suzione al seno e come la voce umana.
L’insieme degli stimoli viene chiamato
saturazione sensoriale, perché
idealmente va a saturare le strade dei
sensi tra cui quella del dolore; in realtà
gli stimoli tattile, gustativo e uditivo
uniscono alla produzione di endorfine
anche l’effetto di distrazione e l’effetto
dell’attivazione del controllo a cancello
nel midollo spinale, cioè un blocco degli
stimoli prima che arrivino dai nervi alla corteccia cerebrale e dunque alla scienza. Il metodo
va usato con accortezza, senza frettolosità: attendere che il bambino si concentri sulla
suzione, sulla voce e sulle carezze e eseguire la procedura senza sospendere i tre stimoli;
come sapere quando è il momento giusto? Quando il bambino succhia ritmicamente e tiene
lo sguardo fisso sul soggetto che lo accarezza.
Ma occorre intervenire sempre PRIMA che il dolore sia provocato
La seconda strategia è l‘uso di farmaci: esistono due livelli di farmaci: il primo è da
riservarsi come primo passo ed è costituito da paracetamolo e i cosiddetti FANS come
l’ibuprofene; certamente da non usare l’aspirina per gravi rischi a fegato e cervello. Il
paracetamolo può essere somministrato in supposte, gocce o in vena; non è da usare in
preparati con farmaci oppioidi come la codeina. Paraceatmolo e ibuprofene agiscono
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bloccando la produzione di una sostanza che trasmette il dolore: le prostaglandine. Il
secondo livello di farmaci è quello degli oppioidi: morfina, fentanyle e simili, che hanno un
effetto più importante, che si svolge tramite la loro azione su recettori specifici nel cervello
che una volta attivati inibiscono il dolore. Questi farmaci hanno certamente effetti collaterali,
per esempio effetti sul fegato o sulla coagulazione nel caso del paracetamolo e stipsi o
effetti sul respiro nel caso degli oppiacei; ma se usati correttamente, questi rischi sono rari e
contenuti. Comunque non si deve aver paura di usarli, perché i rischi sono ben minori dei
danni che il dolore provoca. Un discorso a sé merita l’uso di analgesici topici. Il primo è la
lidocaina, che agisce depolarizzando la membrana dell’assone del nervo, con conseguente
blocco della trasmissione dello timolo doloroso: si usa sottocutanea per esempio prima di
incisione della pelle con un bisturi per un piccolo taglio, per esempio quello che precede il
drenaggio di un pneumotorace (che poi richiede ben altri trattamenti antidolorifici). Altro
farmaco topico è il gruppo delle creme che si devono usare sulla pelle prima di eseguire per
esempio un’iniezione in vena: il più noto è l’EMLA, da usarsi almeno 45 minuti prima della
procedura, da applicare senza eccedere in superficie spalmata e con copertura di garza
(bendaggio occlusivo); può provocare reazioni locali specialmente nei prematuri per i quali è
ancora off-label, e dare anche negli altri , effetti come meta-emoglobinemia o
vasocostrizione.
Attenzione! I farmaci sedativi, come le benzodiazepine o il fenobarbital NON sono anti
dolorifici: calmano il bambino, ma l’apparenza inganna: ne diminuiscono le capacità di
reazione, lasciando invariata la sua capacità di sentire il dolore!
SESTO PASSO: QUELLO CHE
SAREBBE IN REALTA' IL PRIMO
Già, perché quando si esamina il tema del dolore, si guarda solo quello, senza guardarsi
intorno. Ma c’è un passo prima di iniziare a pensare a pensare al dolore del neonato; perché
questo dolore, così come questo neonato non è un’isola, e va vista la prospettiva, la serie di
isole di cui quest’isoletta fa parte in un arcipelago del dolore, dell’ambiente ospedaliero,
dell’ambiente della cura e della malattia. Ecco l’arcano: il dolore del neonato è come un
tavolo con tre zampe e se ne manca una il tavolo resta zoppo. Una zampa è proprio il
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neonato col suo dolore, ma quali sono le altre due zampe? La seconda zampa è il dolore del
personale che cura il neonato.
Perché il dolore è contagioso.
Si riflette poco su questo tema, ma chiunque capisce che un personale sotto stress, nervoso,
sovraccarico di lavoro, finisce per curare male il neonato; anche perché il dolore è
contagioso: se sei circondato di persone sgarbate, ti passa la voglia di vivere, e questo è
vero anche per il neonato che solo in apparenza sembra non rendersi conto di quello che gli
accade intorno, degli umori, dei mormorii. Ma ne risente eccome. E il personale delle
rianimazioni neonatali va facilmente incontro a stress e burnout, cioè una forma di disamore
verso il lavoro ben riportata in letteratura per tutte le professioni “altruistiche” (polizia,
sanitari, vigili del fuoco…) che soccombono sotto lo stress del dolore altrui e della propria
impotenza. Per questo lo stress del personale deve essere prevenuto e curato. Esistono
tabelle e scale per valutare se il personale è a rischio di burnout ed esistono strategie di
intervento; per esempio riflettere se il personale è sufficiente, se è sufficientemente
motivato. Avere un personale non stressato non è solo un diritto del lavoratore stesso, ma
un diritto del bambino in primis.
Poi c’è la terza zampa: il dolore dei genitori. E come il dolore del personale si riflette sul
bambino, a maggior ragione il dolore dei
genitori è contagioso per lui. Peggio ancora se
i genitori scompaiono perché tenuti lontani dal
bambino per orari troppo stretti di accesso al
reparto: avere i genitori con sé è un diritto del
bambino riconosciuto dalla legge. Anche i
genitori possono e devono essere aiutati a
sopportare questo periodo di grande stress,
che qualche volta manifestano e qualche volta
no, ma che sempre è una fatica forte, talora
insopportabile. Anche in questo caso devono esistere delle strategie, sia di comunicazione
con i genitori che di assistenza psicologica, senza improvvisazioni. In particolare attenti ai
consensi informati proporre ai genitori: devono essere chiari, brevi e parlare non di ogni
possibile intervento possibile al mondo, ma di quelli proposti per quel bambino specifico,
altrimenti sono fonte di incomprensione, di falsa rassicurazione e alla fine di stress.
Cosa sapere del dolore del neonato Carlo V. Bellieni
FINE DEL PERCORSO
No, non è un optional parlare di come prevenire il dolore, non è un vezzo di qualcuno
particolarmente buono o molto sensibile, ma un dovere morale e legale, proprio come un
dovere è quello di dare antibiotici, alimentazione, anticoagulanti. Conta però un fatto: che il
moltiplicarsi delle possibilità di strumentari e medicine, non faccia mai passare in secondo
piano lo sguardo sul paziente e sulla sua famiglia.
Troppo spesso vediamo sistemi ospedalieri meccanicizzati, burocratizzati, aziendalizzati, in
cui i protocolli passano davanti alla capacità di empatia e di dare qualcosa in più di quanto
prescritto da un mansionario; in cui “quello che facciamo” passa avanti a “come lo
facciamo”.
Occorre una nuova umanizzazione della medicina e in particolare della cura del dolore, della
presa in carico della sofferenza, perché il medico non è un “fornitore di un servizio”, così
come il paziente non è “un cliente”. Occorre ricordarlo sempre.
Cosa sapere del dolore del neonato Carlo V. Bellieni
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