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Il futuro oggi con il contributo di: Ottobre, 2012 La relazione fra Direzione Risorse Umane e Finanza aziendale COSTRUIRE VALORE INVESTENDO SUL CAPITALE UMANO

COSTRUIRE VALORE INVESTENDO SUL CAPITALE UMANO · 1. Il valore del capitale umano è un mantra molto recitato, ma non molto praticato Le organizzazioni (nei valori e nei bilanci)

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Il futuro oggi

con il contributo di:

Ottobre, 2012

La relazione fra Direzione Risorse Umane e Finanza aziendale

COSTRUIRE VALORE INVESTENDO SUL CAPITALE UMANO

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GRUPPO DI LAVORO

Dayana Mejias Roman

Marco Rossella

Stefano Zambon* Referente scientifico

Beppe Cova Responsabile dei contatti con gli stakeholder

Cristiana Manara Coordinamento e supervisione dei lavori

La ricerca, realizzata con il contributo di Randstad Italia ed Edenred Italia, è stata presentata in occasione del Workshop Risorse Umane 2012, organizzato da The European House - Ambrosetti, dal titolo "Gestire i nuovi dilemmi per creare valore in azienda” (Cernobbio, 16 ottobre).

* Stefano Zambon è Professore Ordinario di Economia Aziendale presso il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara e Direttore del Master CFO (Chief Financial Officier) del medesimo ateneo, realizzato in collaborazione con l’Associazione Nazionale dei Direttori Amministrativi e Finanziari (ANDAF). Dal 2001 è componente del Gruppo di Studio Mission Intangibles dell’Associazione Italiana degli Analisti Finanziari (AIAF). È inoltre Segretario Generale del Network Italiano per il Business Reporting (NBIR) e Presidente di WICI Europe.

Responsabili dei contenuti e della stesura

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COSTRUIRE VALORE INVESTENDO SUL CAPITALE UMANO La relazione fra Direzione Risorse Umane e Finanza aziendale La ricerca in 5 punti – Executive summary

1. Il valore del capitale umano è un mantra molto recitato, ma non molto praticato

Le organizzazioni (nei valori e nei bilanci) dichiarano la propria attenzione nei confronti delle persone, ma non sempre questi proclami testimoniano l’esistenza di politiche efficaci a favore del capitale umano e dello sviluppo del suo valore. Se manca una progettualità concreta in questo campo, le iniziative rimangono sporadiche e non in grado di portare i risultati attesi. I Responsabili Risorse Umane manifestano l’esigenza di avere strumenti di gestione del talento maggiormente allineati alle strategie ed agli obiettivi finanziari e di business e sono concordi nel desiderio di investire nella crescita delle persone all’interno dell’azienda, valorizzando il potenziale esistente. La fattibilità di queste iniziative non dipende solamente dalla valutazione dei costi associati: ancora più importante è che l’organizzazione orienti le proprie scelte in funzione d’una analisi dei benefici - economici e non - che ogni iniziativa o possibile investimento nelle risorse umane potrebbe generare.

2. La comunicazione fra Funzione Risorse Umane e Funzione Finanza è questione di cultura aziendale e di metriche

Funzione Risorse Umane e Funzione Finanza hanno sempre dialogato sul rapporto tra capitale umano e intellettuale e suo impatto sul conto economico, tra investimenti sulle persone e risultati in termini di business. Tuttavia, nelle organizzazioni non c’è sovente pieno accordo su quali siano le modalità per garantire una migliore efficacia organizzativa in funzione degli obiettivi aziendali, né tantomeno su come monitorarla. Questa discordanza di fondo condiziona il linguaggio attraverso cui ciascuna delle due funzioni in questione dialoga, argomenta con il resto dell’organizzazione e gestisce il proprio operato. Il Capitolo 1 approfondisce e spiega le ragioni dalle quali si originano i principali ostacoli ad una comunicazione efficace tra la Funzione Risorse Umane e Funzione Finanza.

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3. La rendicontazione integrata è strumento che facilita la business sustainability

Il concetto di sostenibilità viene utilizzato in molteplici ambiti e con significati non sempre fra loro congruenti (dall’ambiente ai servizi sociali, fino ad arrivare al più maturo concetto di corporate governance per la sostenibilità del business). Soprattutto in un momento di crisi, dove ogni investimento ha bisogno di essere più che mai ben ponderato e valorizzato, è più coerente parlare di business sustainability, che comprende in modo integrato sia le azioni di business, sia quelle rivolte allo sviluppo del capitale intellettuale / intangibile, sia quelle indirizzate al campo ambientale e sociale. In tal senso la sostenibilità aziendale diventa funzione di una visione olistica del business, delle proprie risorse-chiave per la value creation e dell’attenzione al rispetto dell’ambiente e della comunità sociale nel quale si opera. In questo scenario, ogni sistema di business reporting integrato costituisce quindi uno strumento efficace di comunicazione e scambio all’interno e all’esterno dell’organizzazione, una rappresentazione omnicomprensiva dell’impresa e della sua performance. Questo consente di informare ed allineare gli stakeholder sul valore dell’organizzazione, incrementando la fiducia e la legittimazione nei confronti dell’impresa. L’utilizzo di un sistema integrato di reporting riduce le differenze che oggi distanziano la Funzione Risorse Umane e la Funzione Finanza e ne facilita il dialogo, in quanto viene a creare un linguaggio comune basato su metriche di indicatori condivisi in grado di agevolare i processi di comprensione e comunicazione. In tal senso, l’Integrated Reporting è in grado di accogliere, visualizzare e rappresentare in chiave quantitativa le azioni e gli sforzi diretti a lo sviluppo delle risorse umane.

4. La misurazione è il nuovo linguaggio comune fra Funzione Risorse Umane e Finanza

Negli ultimi anni del XX secolo si è verificata una radicale evoluzione degli asset principali che creano valore e crescita nell’impresa: le aziende sono diventate sempre più conceptual company, popolate da beni immateriali, e vi è quindi una quota crescente del patrimonio aziendale che oggi non è possibile ritrovare all’interno dei tradizionali bilanci annuali, anche in considerazione della forte predominanza dei metodi e dei dati esclusivamente finanziari nella rappresentazione e analisi delle performance aziendali. Le organizzazioni, ancor prima di affrontare il tema della rendicontazione, devono quindi confrontarsi con il tema delle misure ed in particolare delle nuove metriche non-finanziarie. Diventa fondamentale disporre di

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nuove metodologie per visualizzare il legame tra gli intangible, la gestione della sostenibilità di business e la creazione di valore attraverso la costruzione di innovativi sistemi di reporting integrato. Qualsiasi strumento di misurazione deve essere scelto, concordato ed implementato in funzione della sua capacità di descrivere le azioni che creano valore e di evidenziare quali siano le caratteristiche che consentono ad un’organizzazione di perseguire la creazione di valore nel tempo. Le organizzazioni italiane sembrano peraltro non disporre in via generale di informazioni adeguate circa i propri intangible asset. Il Capitolo 2 descrive e analizza i principali metodi e sistemi di misurazione proposti e attualmente applicati.

5. Le iniziative di welfare aziendale e di formazione e sviluppo rinforzano il legame tra crescita del capitale umano e creazione di valore aziendale

Nell’articolato panorama delle iniziative a vantaggio del capitale umano, gli investimenti in welfare aziendale e i percorsi di formazione e sviluppo appaiono quelli in grado di incidere maggiormente sulla Human Value Chain (catena di creazione del valore delle risorse umane), che parte dalla capacità di un’organizzazione di attrarre talenti fino alla gestione virtuosa dell’uscita delle persone dall’azienda. Tali iniziative sono altresì pienamente coerenti con la predisposizione di un Integrated Business Repoting quale innovativa pratica di miglioramento dell’efficacia organizzativa e come strumento di trasparenza interna ed esterna. Il Capitolo 3 illustra lo stato dell’arte nel campo della ricerca e delle best practice con riferimento all’impatto di queste iniziative a favore della crescita dell’organizzazione e del business.

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INDICE

pag.

INTRODUZIONE 03

Capitolo 1. LA DIALETTICA TRA FUNZIONE RISORSE UMANE E FUNZIONE FINANZA. UNA QUESTIONE DI CULTURA E DI METRICHE 07

Capitolo 2. MISURARE IL CAPITALE UMANO E COSTRUIRE VALORE. APPROCCI E METODOLOGIE 23

Capitolo 3. INIZIATIVE A VANTAGGIO DEL CAPITALE UMANO E IMPATTO SULLA COSTRUZIONE DI VALORE 65

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 79

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INTRODUZIONE

Perimetro di indagine: misurare il valore degli investimenti a vantaggio del capitale umano

In un mondo professionale in costante accelerazione, il valore delle persone operanti nell’azienda e la modalità di attrarle, motivarle, trattenerle, incentivarle possono fare la differenza in termini competitivi.

Le aziende si interrogano su quali siano le modalità di gestione delle persone che possano tenere insieme nel migliore dei modi efficacia ed efficienza, investimento e impatto sui risultati.

Storicamente, la Funzione Risorse Umane e la Funzione Finanza hanno sempre sentito la necessità di dialogare sul rapporto tra capitale umano e intellettuale da una parte, e impatto sul conto economico dall’altra, tra investimenti sulle persone e risultati in termini di numeri di business.

La Funzione RU si è progressivamente evoluta dall’essere concettualmente a supporto di pratiche di gestione e amministrazione (selezione, formazione, incentivazione, ecc.) fino ad acquisire la missione strategica di business partner, sviluppando una forte sensibilità verso la costruzione del valore.

La Funzione Finanza da sempre guarda ai numeri con gli occhi della strategia e degli obiettivi quantitativi, e può oggi affiancare la Direzione RU nella comprensione e attenzione a tematiche di profitto, includendo in una visione complessiva di business sustainability anche la consapevolezza relativa al valore degli investimenti sulle persone, quale strumento per la costruzione di valore complessivo per l’organizzazione. Visualizzare i risultati di questi investimenti può rappresentare una frontiera innovativa per apprezzarne e valutarne i risultati in modo diverso e più ricco.

In altre parole un’attenta analisi sul capitale umano potrebbe fornire al management un’opportunità per discutere in che modo questo capitale crei realmente valore e per valutare la natura e le implicazioni dei rischi e delle opportunità di una sua possibile misurazione.

La presente ricerca si pone dunque i seguenti obiettivi:

1. fotografare lo stato dell’arte e delineare le traiettorie evolutive percepite rispetto a come il capitale umano crea valore all’interno delle organizzazioni e soprattutto a come operare per misurarlo;

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2. raccogliere le idee e le impressioni sul tema da parte di alcuni Manager, al fine di avviare una profonda riflessione sugli impatti delle iniziative e degli investimenti nel capitale umano;

3. stimolare il dibattito e la comparazione in termini di prassi e cultura organizzativa attraverso casi aziendali nazionali ed internazionali.

Metodologia di indagine

La metodologia utilizzata per svolgere questa ricerca è qualitativa ed utilizza sia l’osservazione che l’interrogazione. Se l’osservazione è la via più diretta e immediata per studiare i comportamenti manifesti, l’interrogazione è la via obbligata per esplorare le prassi, le motivazioni, gli atteggiamenti, le credenze, le percezioni e le aspettative1

Gli strumenti principali che questa ricerca utilizza per raggiungere i suoi scopi sono: l’analisi desk, l’intervista strutturata e semi-strutturata ad osservatori privilegiati, l’inchiesta campionaria semplice attraverso interviste face-to-face a manager delle funzioni RU e Finanza ed infine la raccolta ed analisi di pertinenti casi di successo.

legate al tema della gestione e misurazione del capitale umano.

La scelta di questi strumenti riflette il continuum argomentativo che questa ricerca vuole percorrere: dalla speculazione assai più prossima a quella filosofica su tematiche quali, per esempio, cosa sia il capitale umano e perché gestirlo, si passerà alla descrizione di strumenti più operativi, quali ad esempio le metriche di misurazione del capitale umano come strumento predittivo della performance d’impresa; analogamente si passerà da tematiche generali, quali il rapporto dialettico tra la Funzione RU e la Funzione Finanza, a casi concreti di successo dove le stesse funzioni sono riuscite a trovare un linguaggio comune di misurazione e di comunicazione rivolto agli stakeholder.

Sintesi dei contenuti

I capitoli rappresentano un crescendo di riflessioni con utilità pratica, per i lettori che vogliano inquadrare il tema, ma anche per sviluppare una propria soluzione gestionale ed organizzativa.

Il primo capitolo passa in rassegna le riflessioni e gli interrogativi che gli stessi manager delle funzioni Risorse Umane e Finanza pongono sul tavolo quando si parla di iniziative legate al capitale umano come attività di costo o come investimento. L’obiettivo di questa analisi è di far emergere con chiarezza le tesi 1 Corbetta P. ‘La ricerca sociale: metodologie e tecniche’, Il Mulino, 2003

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e le antitesi peculiari di ciascuna funzione per individuare il punto esatto di incomunicabilità.

Il secondo capitolo affronta il tema della misurazione del capitale umano e delle iniziative per il suo sviluppo; l’obiettivo è di descrivere lo stato dell’arte degli standard di misurazione e/o monitoraggio attualmente vigenti sia nelle prassi organizzative più avanzate, sia nel dibattito accademico. Mostra inoltre in profondità e in modo critico alcuni casi di aziende che hanno adottato sistemi di gestione e reportistica di business con particolare attenzione al capitale intangibile e/o non finanziario: Human, Intellectual, Social Sustainability, Enviromental. L’obiettivo di questo capitolo è quello di fornire un framework chiaro di business management, misurazione e reporting del capitale intangibile, in particolare di quello Umano. I casi presentati forniranno un panorama operativo, nonché un’esemplificazione applicativa degli approcci presentati nei capitoli precedenti.

Il terzo capitolo focalizza l’attenzione sulle iniziative sistemiche a vantaggio del valore del capitale umano. L’obiettivo è fornire una sintesi degli standard internazionali di reportistica che evidenziano gli impatti di tali iniziative e offrire una chiave di lettura integrata dei rischi/opportunità a livello competitivo e organizzativo.

La presentazione degli argomenti è corredata da alcuni commenti raccolti attraverso una serie di interviste realizzate con Imprenditori e Responsabili Risorse Umane che hanno sperimentato con successo/stanno sperimentando iniziative a vantaggio del Capitale Umano e sistemi di misurazione e monitoraggio di queste azioni.

Il lavoro fornirà al lettore una visione complessiva delle tematiche riguardanti la misurazione e la reportistica in merito agli aspetti non-finanziari e la loro comunicazione all’interno e verso il mercato. L’interesse per questi aspetti da parte di tutti gli shareholder e stakeholder è divenuto sempre crescente negli ultimi 10 anni. Di fatto, oltre a fare il punto su come elaborare queste informazioni per il mercato di riferimento, la ricerca intende affrontare anche l’impatto che queste reportistiche e comunicazioni hanno in termini finanziari.

Differenti approcci in Europa agli investimenti sul capitale umano

Un recente articolo apparso su Il Sole-24Orea ha ricordato come in Europa - per quanto riguarda gli investimenti sul capitale umano - coesistano approcci diversi. È sufficiente osservare il trend degli investimenti prima della attuale crisi. I Paesi del Sud condividono con quelli dell'Est una tendenza molto orientata al materiale (impianti e macchinari) e meno all'immateriale (software e informazione computerizzata; proprietà intellettuale codificata; competenze manageriali ed organizzative) e quindi ora utilizzano prevalentemente tecniche di produzione physical capital intensive, a differenza dei Paesi del Centro e Nord Europa che hanno investito molto più in intelligenza. (continua)

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L’ipotesi è che questa differenza di approccio spieghi almeno in parte la altrettanto differente reazione di fronte alla crisi. Anche se nello stesso Nord Europa esistono realtà differenziate (basti pensare alla difficile congiuntura inglese), forse non è un caso che soprattutto i paesi del Sud Europa stiano affrontando le conseguenze più profonde. Soffre la Spagna, che ha investito molto in infrastrutture materiali (ad esempio gli aeroporti) e meno in istruzioneb; offre l'Italia dove la dinamica della produttività del lavoro era già negativa nel decennio passato ed il contributo del capitale intangibile alla crescita del valore aggiunto per ora lavorata pressoché nullo.

Una seconda ipotesi (o meglio un auspicio) è che si possa superare presto la convinzione del passato secondo la quale gli investimenti tangibili sono più rassicuranti perché più agevolmente rendicontabili: in questo modo ad esempio gli Eurobond – sotto la supervisione della Commissione Europea e nel contesto della già esistente e condivisa Strategia di Europa 2020 c – potrebbero essere estesi agli investimenti cosiddetti intangibili, siglando quindi un rilevante salto di qualità nell'operato delle classi dirigenti nazionali.

Valutare le competenze non è solo possibile ma necessario, e a livello europeo e globale vi sono criteri sempre più condivisi di misurazione della qualità e delle prestazioni. Affidarsi alle sole infrastrutture materiali non garantisce più ad un Paese o ad un’organizzazione complessa di mantenere competitività, non perdere quote di mercato ed accelerare anche di fronte alle sfide del business: lo sviluppo sostenibile passa anche attraverso un maggiore equilibrio degli interventi a sostegno del capitale umano.

a Eurobond per il capitale umano di Stefano Manzocchi - 14 giugno 2012

b vedi per esempio le statistiche PISA (Programme for International Student Assessment)

c Commissione Europea, EUROPA 2020: una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusive, 2010

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Capitolo 1.

LA DIALETTICA TRA FUNZIONE RISORSE UMANE E

FUNZIONE FINANZA. UNA QUESTIONE DI CULTURA E

DI METRICHE

1.1. Il valore del capitale umano è mantra molto recitato, ma non molto praticato

‘Il nostro valore sono le persone […] investiamo sul talento delle nostre risorse […] il principale asset strategico è il nostro capitale umano […] ecc.’

Espressioni spesso ricorrenti all’interno sia della ‘carta dei valori aziendali’ reperibile ormai su tutti i siti internet delle principali aziende italiane ed internazionali, sia all’interno dei documenti di bilancio pubblicati ogni anno. La diffusione ormai capillare di queste formulazioni testimonia la crescente attenzione che soprattutto negli ultimi anni le organizzazioni rivolgono alle persone.

La crisi economica globale degli ultimi anni ha contribuito a dilatare la faglia che separa le persone dalle organizzazioni. Le dinamiche economiche stanno cambiando e le aziende cercano di adeguarsi. Non tutte le organizzazioni (o non più, in questo contesto) sono in grado di offrire sicurezza e le persone dal canto loro sono sempre meno disposte ad una identificazione quasi osmotica con il proprio lavoro e quindi con la ‘propria azienda’. Le persone sono sempre meno dipendenti e sempre più professionisti e proiettano ancor più che in passato al di fuori del contesto professionale il senso della propria esistenza. La maggiore flessibilità del mercato del lavoro nasce per facilitare l’inserimento della popolazione più giovane e la riqualifica dei lavoratori più esperti, in controtendenza rispetto alla concezione (ormai superata?) di posto fisso che legava a doppio filo le persone con un’unica azienda per tutta la vita.

Consapevoli di questo scenario, le organizzazioni cercano di dimostrare attenzione nei confronti delle persone, anche se non sempre questi proclami (nei valori e nei bilanci) testimoniano l’esistenza di reali politiche a favore del capitale umano. In uno scenario fortemente discontinuo dove le sollecitazioni per il business sono sempre maggiori e coinvolgono la vita dell’organizzazione a 360°, risulta sempre più complesso strutturare e realizzare veri piani investimento a vantaggio delle persone. Se manca una progettualità concreta, le iniziative rimangono sporadiche ed ecco che la tanto declamata ‘attenzione verso le persone’ viene recitato come un mantra per invocare il benessere dell’azienda e la coesione fra struttura organizzativa e capitale umano.

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Gary Becker (Premio Nobel per l’Economia nel 1992) ha compiuto numerosi studi e misurazioni che a livello macro-economico riaffermano l’importanza strategica del capitale umano e il peso crescente dell’istruzione per lo sviluppo del nostro sistema economico. Osservando l’intero sistema economico e l’intero ciclo di vita dell’uomo, Becker ha calcolato che la percentuale media di PIL investita nel capitale umano sia pari a circa il 25%. Ha misurato inoltre l’importanza del capitale umano rispetto alla prosperità delle nazioni: approssimativamente l’economista stima una percentuale pari al 70% di capitale umano rispetto a tutto il capitale di una società.

Trenta anni fa la proporzione era invertita, ma nel frattempo il rendimento dell’investimento in istruzione è aumentato (del 4-5%, se si tiene conto di tutti gli aspetti). Per spiegare questo fenomeno Becker avanza tre possibili spiegazioni:

• il generale progresso tecnologico, che favorisce coloro che possiedono queste competenze: informatica, biotecnologie e altri ambiti tecnologici;

• la globalizzazione, che ha fatto aumentare la domanda di lavoratori qualificati e che sta contribuendo a far uscire dalla povertà parte della popolazione mondiale che viveva in condizioni ai limiti della sussistenza (India e Cina);

• l’avvento di una nuova rivoluzione tecnologica che chiede ulteriore specializzazione della formazione e della competenza posseduta.

Becker afferma che ‘sono le persone, non le risorse naturali, non le macchine, che determinano la ricchezza di un paese. Pertanto quei paesi che investono nelle persone, e le persone stesse che investono nella propria crescita, saranno i paesi e le persone che potranno sopravvivere […] Nessun paese può pensare di crescere - né è cresciuto - con scarsi investimenti in capitale umano: esso rappresenta un importante motore della crescita. Naturalmente anch’io sono fra coloro che ritengono che comunque il capitale umano da solo non basta […] La cosa peggiore è sprecare le potenzialità delle persone, le loro conoscenze e le loro idee. Per evitare questo spreco ci vuole una sufficiente flessibilità in economia’2

L’obiettivo per l’Italia nei prossimi mesi è chiaro e viene da mesi ribadito con forza in tutti i dibattiti politici e non solo: il nostro sistema economico deve crescere. Di contro i resoconti della Banca Centrale Europea non sono confortanti: la crescita economica nell’intera Eurozona ‘resta debole’, mentre lo stato di incertezza grava sul clima di fiducia, dando luogo a maggiori rischi al ribasso per le prospettive economiche. Secondo recenti valutazioni la crescita è ‘frenata dalle tensioni persistenti in alcuni mercati del debito sovrano dell’area

.

2 Becker G. ‘Il capitale umano nel XXI secolo’, Atti del Festival dell’Economia di Trento, 2007

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e dal loro impatto sulle condizioni di credito, nonché dal processo di aggiustamento dei bilanci nel settore finanziario e non finanziario e dall’elevata disoccupazione’. Secondo la Bce quindi non esiste una reale prospettiva di crescita a breve termine: gli ambiziosi obiettivi di risanamento dei conti pubblici dell’Italia prevedono di raggiungere un sostanziale pareggio di bilancio non prima del 2014, benché il debito pubblico resti elevatissimo.

Se questo è vero a livello di sistema economico globale (macro), a livello organizzativo (micro) resta la consapevolezza diffusa – e ancor più in un momento professionale in constante accelerazione – che il valore delle persone operanti nell’azienda e la modalità di attrarle, motivarle, trattenerle, incentivarle possano fare la differenza in termini competitivi. La sfida per le aziende diventa trovare le strategie di intervento a vantaggio del capitale umano che tengano insieme nel migliore dei modi efficacia ed efficienza, investimento e impatto sui risultati.

Negli ultimi anni la Funzione Risorse Umane dall’essere esclusivamente a supporto di pratiche di gestione e amministrazione (selezione, formazione, incentivazione, ecc.) si è evoluta fino ad acquisire la missione strategica di business partner, sviluppando una forte sensibilità verso la costruzione del valore. La Finanza aziendale da sempre guarda ai numeri con gli occhi della strategia e degli obiettivi quantitativi: oggi è chiamata ad affiancare la Direzione Risorse Umane nella comprensione e attenzione a tematiche di profitto, a confrontarsi circa l’opportunità di investimenti sulle persone quale strumento per la costruzione di valore a vantaggio dell’organizzazione e a condividere i modelli organizzativi più consoni per misurare tale valore.

In questo difficile contesto una proficua comunicazione fra Funzione Risorse Umane e Funzione Finanza può essere facilitante in termini di efficienza organizzativa: il tema chiave al centro del dibattito è il rapporto tra capitale umano e impatto sul conto economico, tra investimenti sulle persone e risultati in termini di numeri di business.

Vedremo quindi quali differenze (nell’approccio alle dimensioni fondamentali del business, nelle modalità di linguaggio, nei retaggi di cultura organizzativa, ecc.) contribuiscano a limitare la fluidità della comunicazione fra le due Funzioni e quali soluzioni le organizzazioni stiano adottando per garantirsi maggiore competitività e contemporaneamente ovviare a questo problema di incomunicabilità.

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1.2. L’analisi dei costi e dei benefici è un codice di comunicazione inter-funzionale

The European House - Ambrosetti ha realizzato una serie di interviste a Responsabili Risorse Umane3

di grandi aziende italiane ed internazionali. Interrogati su quali pensano siano le principali priorità della Funzione Risorse Umane della propria azienda nei prossimi 12 mesi, gli intervistati si dichiarano propensi soprattutto alla identificazione e valorizzazione delle figure con alto potenziale (87%), allo sviluppo delle risorse in generale (95%), anche grazie ad operazioni di mobilità interna e riallocazione delle risorse (70%).

Approfondendo il tema delle strategie legate al talent management, molti Responsabili Risorse Umane (le quote di modesta o scarsa soddisfazione si aggirano sempre intorno al 40%) testimoniano quanto queste non siano del tutto orientate a raggiungere gli obiettivi di business (41%) e/o le principali sfide economiche (60%): gli elementi fondamentali delle strategie di business non sempre costituiscono la chiave per la costruzione dei modelli utilizzati per valutare i talenti.

3 Talent Management Survey, indagine realizzata in collaborazione con Talent Q (febbraio/aprile 2012)

sono chiaramente orientate ad aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi di business

sono aggiornate per andare incontro alle nostre principali sfide economiche

Le nostre strategie di talent management:

sono chiaramente basati sugli elementi fondamentali della nostra strategia di business

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Il dato di gran lunga più interessante è osservare come meno della metà dei Responsabili Risorse Umane intervistati dichiari di avere una comprensione completa dei costi associati ad ogni fase del processo di reclutamento. Inoltre quasi l’80% del campione dichiara di non disporre di dati che quantifichino il ritorno sull’investimento in processi di talent management, valutazione, reclutamento e sviluppo ed una percentuale ancora più alta (90%) dichiara inoltre di non avere riscontro su come si posizioni il ritorno sull’investimento dei processi di talent management rispetto ai migliori benchmark sul mercato.

I Responsabili Risorse Umane manifestano l’esigenza di avere strumenti di gestione del talento maggiormente allineati alle strategie ed agli obiettivi di business e sono concordi nel desiderio di investire nello sviluppo delle persone all’interno dell’azienda, valorizzando il potenziale esistente. Le organizzazioni che non vogliono rinunciare a questi investimenti – ancor più nella particolare congiuntura economica attuale – sono chiamate ad uno sforzo in termini di efficienza superiore rispetto al passato: ogni investimento a favore del capitale umano deve essere allocato consapevolmente, tenendo in equilibrio il reale bisogno manifestato dalle persone ed il beneficio per lo sviluppo del business.

Nell’indagine risulta evidente la difficoltà da parte della Funzione Risorse Umane di contribuire a questo processo decisionale con piena consapevolezza sulle variabili di costo, sia pure per quanto riguarda processi elementari legati al proprio ruolo nell’organizzazione (come per esempio i sistemi di reclutamento). È evidente come questa difficoltà costituisca un primo ostacolo comunicativo con la Funzione Finanza che invece fa del numero e del dato quantitativo il proprio pane quotidiano. Ed è altrettanto evidente che la questione non ruota solamente intorno alla misurazione dei costi: ancora più importante è che l’organizzazione orienti le proprie scelte sull’analisi dei benefici – finanziari e non – che ogni iniziativa o possibile investimento potrebbe generare (cui nell’indagine si fa riferimento parlando di ritorno dell’investimento). Solo in questo modo una dialettica fra Funzione Risorse umane e Funzione Finanza consente di pianificare azioni congiunte e consapevoli, anche in una prospettiva

Disponete di dati che quantifichino il ritorno sull'investimento in processi di talent management, valutazione, reclutamento e sviluppo?

Avete dati che mostrano in che modo il ritorno sull'investimento dei vostri processi di talent management si posizioni rispetto ai migliori benchmark sul mercato?

Comprensione completa dei costi associati ad ogni fase del processo di reclutamento

SI NO

NO SI

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di medio-lungo termine. La Funzione Finanza in questo modo è consapevole che liberare risorse per investire sul capitale umano significhi lavorare insieme alla Funzione Risorse Umane per migliorare contemporaneamente efficienza professionale delle persone ed efficacia della prestazione.

Soprattutto nelle organizzazioni complesse le informazioni vengono trattate e gestite a sostegno del processo decisionale così come a supporto degli strumenti di controllo. I sistemi di controllo di gestione sono definiti in senso ampio come le routine formalizzate, i report e le procedure che utilizzano informazioni per mantenere o modificare gli schemi delle attività organizzative.

Una discrepanza nell’utilizzo delle informazioni di base, per esempio per definire quali siano i centri di costo (input), provoca asimmetrie informative che impattano negativamente nel processo decisionale sia a livello strategico, sia a livello operativo. Come possono le organizzazioni tenere sotto controllo e misurare il valore creato (output) dal capitale umano, se non vi è alcuna routine formalizzata, report o procedura che misuri, pesi o descriva nello stesso modo le sue dinamiche di costo (input)?

Il primo traguardo da raggiungere per avvicinare Funzione Risorse Umane e Funzione Finanza consiste nell’imparare a riconoscere il linguaggio che ciascuna funzione utilizza per trattare le informazioni e scambiare tutte le informazioni ritenute importanti (sia a livello strategico che operativo).

1.3. La comunicazione fra Funzione Risorse Umane e Funzione Finanza è questione di cultura (organizzativa) e di metriche

Gli studi che affrontano il tema della competitività e dell’efficacia organizzativa offrono una ulteriore occasione per definire le caratteristiche e le ragioni profonde dell’incomunicabilità fra Funzione Risorse Umane e Funzione Finanza. Numerosi di questi studi sostengono che le organizzazioni per mantenere competitività debbano essere capaci non solo di riconoscere e coltivare il talento all’interno, ma anche di attrarre il talento che si trova all’esterno. Ogni azienda ospita persone di talento, ma la sfida per le organizzazioni è ricercare il talento aziendale, trasformando competenze e potenzialità dei singoli in routine di successo4

Ai fini dell’efficacia organizzativa (intesa come la misura rispetto alla quale l’organizzazione realizza i propri obiettivi)

.

5

4 Si veda ad esempio: Grazioli M. ‘Formazione e piscine del talento’ in ‘L’azienda del futuro’, Edizioni Il Sole-24Ore, 2002

, questo approccio privilegia l’attenzione al tema delle risorse (resource based approach): il principio guida

5 Sandefur G.D. ‘Efficiency in Social Service Organizations’, Administration and Society 14, 1983

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è che le organizzazioni per essere efficaci debbano riuscire ad ottenere e gestire risorse di valore. Posto che le risorse a disposizione di un’organizzazione sono e saranno sempre meno di quanto sarebbe auspicabile (principio della scarsità di risorse), l’efficacia organizzativa può essere definita come la capacità da parte dell’organizzazione stessa, sia in termini assoluti che relativi, di ottenere, integrare e gestire con successo risorse di valore, benché scarse.6

Per migliorare l’efficacia organizzativa, un approccio orientato alla ottimizzazione delle risorse concentra i suoi sforzi soprattutto su 4 ambiti:

• la posizione negoziale, ovvero la capacità di un’organizzazione di bilanciare la scarsità, ottenendo risorse di alto valore all’interno del proprio contesto competitivo, comprese le risorse finanziarie, le materie prime, le risorse umane, le conoscenze e la tecnologia

• la capacità dei decisori dell’organizzazione di percepire ed interpretare correttamente le reali caratteristiche dell’ambiente esterno

• le capacità dei manager di utilizzare risorse tangibili (come per esempio forniture, persone) e intangibili (ad esempio conoscenze, cultura aziendale) nelle attività organizzative quotidiane per conseguire performance superiori;

• la capacità dell’organizzazione di rispondere ai cambiamenti nell’ambiente (reattività)

Questa modalità di perseguire l’efficacia organizzativa concentra la maggior parte degli sforzi di investimento e delle valutazioni di opportunità degli stessi su uno o più di questi ambiti di azione, privilegiando questi rispetto ad altre azioni possibili.

In realtà sappiamo che nelle organizzazioni non c’è accordo su cosa sia più determinante per garantire l’efficacia organizzativa (per raggiungere gli obiettivi aziendali) e quindi nemmeno su come monitorarla. I manager di diverse funzioni possono non concordare su quali siano gli obiettivi più importanti da perseguire e misurare.7

Il cosiddetto approccio di misurazione integrato dell’efficacia organizzativa

8

6 L’analisi dell’approccio sulle risorse si basa in parte su Russo M.V. e Fouts P.A. ‘A Resource-Based Perspective on Corporate Environmental Performance and Profitability’, Academy of Management Journal 40, n.3 (1997); Stimpert J.L., Gustafson L.T., Sarason Y. ‘Organizational Identity within the Strategic Management Conversation: Contribution and Assumption’ in ‘Identity in Organization: Building theory through Conversations’, Sage Pubblications, 1998.

chiarisce come questa discrepanza di fondo condizioni il linguaggio attraverso

7 Daft R. Organizzazione aziendale. Apogeo, 2004. 8 Tale approccio all’efficacia riconosce che le organizzazione fanno molte cose e producono molti risultati, non solo quelli strategici, formali ed operativi, per ciò combinano diversi ambiti di azioni, diversi indicatori di efficacia in uno schema unitario.

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cui ciascuna funzione dialoga, argomenta con il resto dell’organizzazione e gestisce il proprio operato.

L’approccio integrato o approccio dei valori competitivi è stato originariamente sviluppato da Robert Quinn e John Rohrbaugh per unire i diversi indicatori di performance utilizzati da manager e ricercatori. Facendo uso di una lista completa di indicatori di performance, un gruppo di esperti sul tema dell’efficacia organizzativa ha classificato gli indicatori in base alla loro affinità. L’analisi ha consentito di individuare le dimensioni fondamentali rispetto ai criteri di efficacia. Questi raffigurano inoltre set di valori competitivi espressi del management all’interno delle organizzazioni.

La prima dimensione valoriale riguarda il focus dell’organizzazione: se i valori riguardino temi interni o esterni all’azienda. La seconda dimensione riguarda la struttura organizzativa e il fatto se sia la stabilità (orientamento all’efficienza e al controllo top down) o la flessibilità (orientamento all’apprendimento e al cambiamento) l’atteggiamento strutturale dominante.

fonte: rielaborazione The European House - Ambrosetti su modello di approccio integrato

Soprattutto nelle organizzazioni complesse molto spesso coesistono tutti questi valori competitivi. Ogni approccio riflette una diversa enfasi manageriale riguardo una struttura e un focus9

9 O’Neill R.M., Quinn R.E. ‘Editor’s note: Applcation of the Competing Values Framework’, Human Resource Management 32. 1993

.

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Prendendo in considerazione gli obiettivi primari di ciascun quadrante, possiamo affermare che la sfera di competenza della Funzione Risorse Umane sia più vicina agli approcci dei quadranti di sinistra, mentre la sfera della Funzione Finanza a quelli di destra.

Data questa difficoltà a trovare un terreno comune per condividere i presupposti che ispirano l’efficacia organizzativa (approccio valoriale), ne consegue come la Funzione Risorse Umane e la Funzione Finanza incontrino problemi anche nella modalità di rendicontazione del proprio operato, poiché questa risulta in qualche modo condizionata dai diversi approcci.

È anche un tema di giustizia ed equità organizzativa. Le valutazioni delle iniziative legate al capitale umano (così come accade per altri aspetti della vita organizzativa come per esempio i sistemi di gestione e valorizzazione della performance) sono spesso profondamente soggettive perché sembrano sfuggire alla rendicontazione. Ecco dove spesso si va ad incagliare il processo di comunicazione fra le varie funzioni in azienda: le interpretazioni si fondano su parametri soggettivi e non condivisi, dove l’unità di misura giusta per uno sarà sempre inadeguata per qualcun altro.

Rubando alla teoria politica di Rawls sulla multiculturalità, si potrebbe dire che un problema di comunicabilità necessita di uno strumento di condivisione di base (overlapping consensus)10

Un altro presupposto dunque per creare un canale di connessione e comunicazione organizzativa cross-funzionale, oltre che una frontiera innovativa per apprezzarne e valutare i risultati aziendali è collegato all’attività di rendicontazione integrata e condivisa delle funzioni.

: il sistema di rendicontazione (reportistica) è uno degli strumenti che potrebbe fare da ponte per costruire un linguaggio comune, seppur mantenendo un focus ed una struttura organizzativa differente per entrambi le funzioni aziendali.

Per raggiungere questo traguardo è necessario aver prima chiarito quali siano le regole del linguaggio funzionale utilizzato dalla Funzione Risorse Umane e dalla Funzione Finanza (utilizzo delle informazioni al servizio del processo decisionale e dei sistemi di controllo di gestione), cercando di renderle quanto più possibile omogenee. Le organizzazioni che già da alcuni anni si stanno muovendo in questa direzione hanno fatto propri i principi di business sustainability come paradigma organizzativo.

10 Rawls J. ‘Una teoria della giustizia’, Feltrinelli, 2008

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1.4. La rendicontazione integrata è strumento che facilita la business sustainability

Il concetto di sostenibilità viene utilizzato in molteplici ambiti e con significati non sempre fra loro congruenti: dall’ambiente, ai servizi sociali, fino ad arrivare al più maturo concetto di corporate governance per la sostenibilità del business.

Comunemente viene definita come sostenibile una forma di sviluppo (che può essere applicato al business così come all’economia in generale, alle città, alle comunità, ecc.) che non compromette la possibilità delle future generazioni di perdurare nello sviluppo preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali (che sono per loro natura esauribili). L’obiettivo diventa quindi mantenere uno sviluppo economico compatibile con l’equità sociale e gli ecosistemi, operante quindi in regime di equilibrio ambientale.

Dagli anni ‘80 fino la seconda metà degli anni ‘90 il concetto di sostenibilità ha progressivamente coniugato aspetti ambientali, sociali ed economici (triple bottom line), dando vita ai principi di Corporate Social Responsibility – CSR. L’idea di base è che sostenibile o responsabile sia qualsiasi comportamento etico da parte delle imprese che dovrebbe essere quindi dimostrabile e dimostrato da un rapporto ad hoc. A partire da questa base molti enti, a livello nazionale e internazionale, hanno emesso standard e linee guida di gestione, dando vita ad una miriade di regole e suggerimenti. La diffusione della cosiddetta finanza etica non ha fatto altro che moltiplicare questo proliferare.

Tra le iniziative più importanti, ci sono per esempio la Global Reporting Initiative (GRI) che ha rilasciato le Sustainability Reporting Guidelines (G3.1) ed il Global Compact delle Nazioni Unite.

A livello normativo vi è stata anche la revisione della norma ISO 9004 (avvenuta nel 2009) che fornisce alle organizzazioni linee guida per conseguire un successo sostenibile. Nella stessa norma viene proposta la definizione di sostenibile come ‘capacità di un’organizzazione o di un’attività di mantenere e sviluppare le proprie prestazioni nel lungo periodo’ attraverso un bilanciamento degli interessi economico-finanziari con quelli sociale ed ambientali.

Nonostante queste manifestazioni di sensibilità e responsabilità sociale da parte dell’impresa siano sempre più auspicabili, trattare il tema della sostenibilità solo ai fini di una buona comunicazione esterna, rischia di limitarne la portata e di vanificare la reale opportunità che si cela dietro questo cambio di paradigma gestionale.

Abbiamo già detto come spesso nella realtà dei fatti queste iniziative siano scarsamente strutturate, spesso piuttosto sporadiche: gli impatti in termini di

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costi (finanziario) e soprattutto di benefici per le persone e per l’organizzazione (ad esempio in termini di reputazione) restano a livello di semplici ipotesi nelle dichiarazioni dei promotori e non vengono invece quantificate in modo strutturato.

Per questo, soprattutto in un momento di crisi dove ogni investimento ha bisogno di essere ben ponderato, diventa importante introdurre in azienda un concetto evoluto di sostenibilità che chiamiamo business sustainability. Secondo questo principio, ogni iniziativa promossa a vantaggio della sostenibilità diventa parte integrante del business.

Negli ultimi anni del XX secolo si è verificata una radicale evoluzione strutturale nelle funzioni produttive aziendali con riferimento agli asset principali che creano valore e crescita nell’impresa. Il peso dei cosiddetti stakeholder interni (come dipendenti e collaboratori) è aumentato, tanto che chiare e strutturate politiche ed iniziative possono apportare benefici al valore competitivo del fare impresa perché l’organizzazione sceglie di promuovere l’insieme di abilità, conoscenze, competenze e professionalità che distingue e caratterizza le persone che lavorano nelle organizzazioni.

Le aziende sono diventate sempre più società concettuali, popolate da beni immateriali. Un’organizzazione dovrebbe quindi mettersi nelle condizioni di elaborare un efficace piano d’azione e fissare obiettivi specifici per garantire la realizzazione della propria strategia di sviluppo sostenibile. Questo piano d’azione però deve assegnare un ruolo costruttivo e attivo all’attività di reportistica anche per le attività di livello più operativo.

Il sistema economico basato sugli intangible asset

Sei caratteristiche rendono il sistema economico basato sulla conoscenza (intangible) sostanzialmente diverso dall’economia industrialea

1. In generale si assiste ad un processo dove la conoscenza sta progressivamente sostituendo il lavoro e il capitale come fondamento nella produzione, mentre i beni immateriali, come per esempio la creazione di marchi diventano parte consistente del valore aggiunto delle imprese. Gli studi hanno dimostrato che i beni intangibili hanno un forte impatto sulla redditività futura e il valore di mercato azionario delle imprese

2. il valore della conoscenza all’interno di prodotti e servizi sta crescendo rapidamente e lo stesso vale per i processi aziendali: in molte aziende, l'innovazione di processo è diventato importante quanto l'innovazione di prodotto

3. nel sistema economico degli intangibles i servizi sono importanti quanto i prodotti. Non solo prodotti per ottenere più intensità di conoscenza, la conoscenza stessa è diventata un prodotto importante, come è appunto dimostrato dalla crescita del settore dei servizi

(continua)

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Diventa fondamentale dunque disporre di nuovi metodi per visualizzare il legame tra i cosiddetti intangible, la gestione della sostenibilità e la creazione di valore attraverso la costruzione di nuovi sistemi di reporting, verso una modalità integrata ed attiva. Secondo i principi di business sustainability, tutti i fattori cosiddetti intangibili entrano a far parte delle logiche di competitività di una organizzazione e diventano elementi di creazione del valore.

L’efficacia di questi sistema di reportistica è legata alla sua capacità di superare almeno tre ostacoli11

11 Hall B.J. ‘Incentive strategy within organizations’, Harvard Business School, 2002

:

4. Il sistema economico degli intangible è regolato da leggi economiche diverse e ciò è dimostrato da molteplici fattori:

a. i beni immateriali sono beni non-rivali, cioè possono essere asserviti a molteplici usi contemporaneamente (per esempio: mentre un aereo può essere utilizzato su un’unica tratta per volta, il sistema di prenotazione può servire un numero potenzialmente illimitato di clienti simultaneamente

b. tali attività sono caratterizzate da elevati costi fissi e minimi costi marginali (per esempio: lo sviluppo di un software gestionale richiede spesso pesanti investimenti iniziali, ma la distribuzione e la vendita costano molto poco)

c. il capitale intangibile spesso trae profitto dal sistema di network che genera (per esempio: l'utilità di un sistema operativo è direttamente proporzionale al numero di utenti)

d. spesso è difficile tutelare la proprietà intellettuale dei beni immateriali che risultano più soggetti alla violazione dei diritti d'autore

e. le innovazioni negli intangible sono speso rischiose. Ricerca e Sviluppo, formazione e acquisto di tecnologie sono spesso i primi passi nello sviluppo di nuovi prodotti e servizi e quindi più rischiose

f. spesso non c'è mercato per beni immateriali. Essi non sono negoziabili. I mercati forniscono informazioni sul valore di beni e servizi e questo è di vitale importanza per una allocazione ottimale delle risorse

5. nel sistema economico degli intangible il concetto di proprietà delle risorse assume nuove connotazioni. Poiché la conoscenza risiede principalmente nella mente delle persone, le aziende non possiedono più la loro risorsa più importante. Le regole di proprietà intellettuale consentono di esercitare diritti sulla sola conoscenza esplicita

6. nel sistema economico degli intangible le caratteristiche del lavoro cambiano radicalmente. Le persone all’interno delle organizzazioni diventano produttori di conoscenza e creano maggior valore aggiunto rispetto al passato

a Andriessen D. ‘The value of weightless wealth – Designing and testing a method for the valuation of intangible resources’, Ph.D dissertation, Nyenrode University, 2003

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• Il problema della verificabilità, perché molti parametri non sempre sono costruiti su elementi controllabili con precisione matematica;

• Il problema dell’allineamento, perché a parità di incidenza sulle valutazioni, alcune capacità o competenze (intangible asset) risultano più difficili da misurare

• Il problema dell’interdipendenza, perché molti risultati sono il frutto del lavoro di più persone con technicalities e competenze diverse

Applicare il principio di business sustainability consente al management di calcolare la convenienza economica di un investimento attraverso non solo numeri di carattere finanziario, ma una ricchezza di nuovi indicatori che contribuiscono a completare il racconto di come il business sviluppato da una organizzazione si inserisce all’interno di un sistema territoriale (economia, società, cultura, ecc.). Mettere in pratica principi di business sustainability significa integrare la rendicontazione delle iniziative di sostenibilità alla più consueta rendicontazione economico finanziaria, perché queste entrino a far parte degli elementi a disposizione del management sui tavoli decisionali.

La rendicontazione integrata attualmente viene descritta come l’unione e la messa a sistema di due Report: quello economico-finanziario e quello socio-ambientale. Oggi, alcune aziende – e in particolare quelle quotate – realizzano i due documenti in modo disgiunto, senza una reale congiunzione e senza un efficace coordinamento inter-funzionale, al massimo con un parziale passaggio di informazioni e dati da un Report all’altro.

Il futuro, invece, potrebbe essere proprio l’integrazione completa fra questi sistemi di reportistica, attraverso un nuovo paradigma di rendicontazione fattiva che testimonia le scelte organizzative dell’azienda.

L’attività di business reporting include documenti dai quali è possibile trarre informazioni di dettaglio su temi quali: executive compensation, corporate governance, forward-looking information, business model, financials, capitale intellettuale e sostenibilità socio-ambientale. L’ampiezza d’informazione spiega il perché parlare di business reporting, nella sua più ampia accezione e non semplicemente di financial reporting e/o di sustainability reporting.

La rendicontazione integrata diventerebbe quindi una rappresentazione quanto più possibile olistica dell’impresa e della sua performance e proprio le società quotate dovrebbero essere le più interessate a sposare questa filosofia: la reportistica integrata fornisce informazioni utili per la determinazione del valore economico dell’organizzazione e contribuisce ad incrementare la fiducia e la legittimazione dell’impresa nei confronti dei propri stakeholder.

Sebbene in dottrina non sia ancora consolidata una definizione univoca di Reporting unico, nella prassi spesso si distingue tra Reporting unico integrato

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in cui l’informativa relativa agli impatti sociali e ambientali si trova all’interno dell’Annual Report, e il Reporting Unico combinato che prevede una sezione a parte dedicata a tali impatti.

Raggiungere questo standard di rendicontazione presuppone che ciascuna funzione aziendale e ciascun processo interno siano in grado di trasferire le proprie informazioni con un linguaggio comune e secondo principi di assoluta trasparenza.

In altre parole, questo passaggio di rendicontazione implica l’integrazione dei processi aziendali sia in termini di approccio aziendale alla sostenibilità sia in termini di redazione e comunicazione dell’informativa annuale di esercizio. Non una semplice raccolta di indicatori standard, ma la rappresentazione del processo di governance della sostenibilità.

A livello normativo vi sono stati diversi passi in avanti: la direttiva Europea 2003/51/CE (Modernisation Directive) ha imposto l’adozione di indicatori non finanziari (not finantial key performance indicators – KPI) all’interno degli Annual Report, incluse le informazioni relative all’ambiente e al personale.

La legislazione italiana con il D.Lgs 32/2007 ha recepito la Modernisation Directive all’interno del Codice Civile, art. 2428, comma 2, richiedendo che nella relazione sulla gestione vengano fornite informazioni attinenti all’ambiente e al personale.

Sebbene la strada da percorre sia ancora lunga (non è ancora risolta – per esempio – la questione che determina quale tipo di informazioni non finanziarie si debbano pubblicare nei bilancio, lasciando così ampia discrezionalità alle imprese riguardo al tipo di informazione da utilizzare e dei relativi KPI), è chiaro come la possibilità di realizzare e rendere disponibile una reportistica solida ed affidabile relativamente agli investimenti ed alla gestione capitale umano costituisca non solo uno strumento per costruire un linguaggio comune fra Funzione Risorse Umane e Funzione Finanza, ma anche uno strumento affidabile per garantire che l’azienda possa progredire secondo una logica di sviluppo sostenibile.

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Esperienze a confronto

Indesit Company

Attraverso il Bilancio di Sostenibilità, pubblicato con cadenza annuale dal 2001, Indesit Company comunica ai propri stakeholder il proprio approccio alla sostenibilità e fornisce una rappresentazione completa dei valori, delle strategie e delle performance raggiunte nelle aree economica, ambientale e sociale.

Il Bilancio dell’ultimo anno di esercizio (2011) è stato predisposto in linea con le “Linee guida per il reporting di sostenibilità” definite dalla Global Reporting Initiative (GRI-G3) nel 2006 ed è stato sottoposto alla verifica di un ente esterno indipendente.

È interessante sottolineare come all’interno della descrizione della performance sociale, Indesit company abbia scelto di rappresentare le iniziative ed i risultati legati al capitale umano facendo ricorso sia alla definizione della Human Value Chain, ossia di una catena di creazione del valore (dal momento della cosiddetta talent attraction a quello dell’uscita della risorsa del Gruppo) sia alla descrizione del suo mantenimento come fonte di vantaggio competitivo.

Dall’analisi delle iniziative elencate nel bilancio, infatti, si può evincere come uno degli indirizzi strategici dell’azienda preveda la crescita nel complesso scenario competitivo di riferimento, sia mediante lo sviluppo delle professionalità interne sia mediante l’inserimento di qualificate professionalità assunte esternamente, accompagnando questo processo con investimenti di medio lungo periodo.

Se queste iniziative avranno un impatto su indicatori di performance individuali, di gruppo o aziendali, è una risposta che il bilancio stesso negli anni potrà fornire. il fatto stesso che pubblicamente ed in modo trasparente si possano fare queste valutazioni rappresenta la vera frontiera innovativa di questo strumento di rendicontazione di performance integrato.

Aspiag Service S.r.l./Despar Nordest

Questa azienda per prima nel settore della grande distribuzione italiana ha deciso nel 2011 di affrontare un complesso processo finalizzato all’elaborazione del suo primo Report Integrato. Oltre alla normativa civilistica e ai principi contabili italiani, il Report Integrato di di Aspiag Service S.r.l. segue anche le indicazioni più recenti dei vari organismi nazionali e internazionali: Organismo Italiano di Contabilità (OIC), International Accounting Standards Board (IASB), International Integrated Reporting Council (IIRC), World Intellectual Capital Initiative Network (WICI), Global Reporting Initiative (GRI), Gruppo di studio per il Bilancio Sociale (GBS), decalogo dell’ANDAF, decalogo della Commission on Intellectual Capital (CIC) della European Federation of Financial Analysts Societies (EFFAS) e le indicazioni dell’EFFAS Commission on Environmental, Social and Governance Issues (CESG).

L’idea di base è:

• combinare le diverse informazioni sull’azienda in un unico documento in grado di dare una migliore rappresentazione della strategia e dei valori, delle risorse su cui l’azienda stessa punta e della performance economico-finanziaria, sociale e ambientale (continua)

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• integrare e connettere più strettamente le diverse informazioni in modo da creare un report più ampio in grado di spiegare – in modo approfondito e con l’impiego di indicatori finanziari e non-finanziari – la strategia aziendale, le fonti di valore di medio-lungo termine e i risultati finanziari e non-finanziari, sociali e ambientali, nonché di fornire indicazioni sui futuri sviluppi aziendali.

Secondo il Direttore Risorse Umane: ‘questo documento è un importante e innovativo strumento di conoscenza interno, una importante fonte di informazioni utili alla gestione aziendale. È inoltre strumento di comunicazione e reputazione sia interna, rivolta al personale e al management aziendale, sia esterna, rivolta al mercato, alla comunità finanziaria ed agli stakeholder’.

‘L’area relativa al Capitale intangibile o Capitale intellettuale evidenzia e misura le risorse intangibili che costituiscono i pilastri fondanti della capacità dell’Azienda di creare valore nel medio-lungo termine. Tali risorse non trovano generalmente rappresentazione nel tradizionale bilancio economico-finanziario. Gli indicatori presentati in questo primo report integrato, accompagnati dai cosiddetti narrative reporting, mirano proprio a colmare questo deficit informativo, offrendo misure e indicatori, per lo più di natura non-finanziaria, volti a catturare la capacità della Società di continuare a produrre valore in futuro (secondo i leading indicators) e di correlare nel tempo questi risultati’.

Bosch Italia

Secondo il Direttore Risorse Umane (Italia): ‘lo sviluppo sostenibile dell’azienda è indispensabile: la crescita dei prodotti più efficienti, ma soprattutto quella degli standard di sviluppo delle persone. L’azienda utilizza il modello Bosch Human Resources System che si basa sulla Balance Scorcard, in cui gli indicatori sono quindi economici e comportamentali e dove il conteggio del costo del lavoro è fondamentale’.

La filosofia di gestione del capitale umano promuove la crescita interna. L’Accademy Bosch Tech, fornisce 80 ore di formazione pro-capite all’anno per 5.500 persone. Inoltre il management ed il Board a livello Italiano è composto da persone cresciute professionalmente all’interno dell’azienda.

‘Misuriamo il livello della selezione, perché monitoriamo se entro 7 anni hanno raggiunto un determinato livello programmato al momento del loro inserimento in azienda; misuriamo il tasso di abbandono di certe figure: perché analizziamo le politiche di retention e la loro efficacia nei confronti delle persone chiave e non; misuriamo infine come sviluppiamo le persone: perché verifichiamo in quanti anni le persone riescono a raggiungere determinati livelli in azienda’.

Conclude: ‘A livello di gruppo ci sono rapporti sulla sostenibilità, ma non ancora in Italia’.

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Capitolo 2.

MISURARE IL CAPITALE UMANO E COSTRUIRE

VALORE: APPROCCI E METODOLOGIE

2.1. La misurazione è il nuovo linguaggio comune fra Funzione Risorse Umane e Finanza

Nel primo capitolo abbiamo affrontato il tema del rapporto fra Funzione Risorse Umane e Funzione Finanza e abbiamo sottolineato il rischio di una difficile conciliazione di vedute quando l’oggetto di discussione verta intorno al valore delle iniziative a vantaggio del capitale umano.

Abbiamo osservato come la rendicontazione integrata possa costituire uno strumento efficace di comunicazione e scambio all’interno dell’organizzazione, una rappresentazione davvero olistica dell’impresa e della sua performance. Ciò determina un vantaggio immediato ed evidente innanzitutto per le società quotate, per le quali la reportistica integrata costituisce uno strumento per informare ed allineare gli stakeholder sul valore economico dell’organizzazione, incrementando la fiducia e la legittimazione dell’impresa.

Le organizzazioni tuttavia, ancor prima di affrontare il tema della rendicontazione, devono confrontarsi con un problema di misurazione; soprattutto per quel che riguarda le risorse cosiddette immateriali o intangibili. Il problema della misurazione degli intangibili è, inoltre, il nodo che rende contraddittoria la dialettica tra le funzioni Risorse Umane e Finanza.

Negli ultimi 30 anni la ricerca nel campo della valutazione delle attività immateriali e del capitale intellettuale delle aziende ha prodotto una messe di teorie e di metodi. Questo capitolo intende descrivere lo stato dell’arte dei principali standard di misurazione e/o monitoraggio integrato attualmente vigenti nelle prassi organizzative, nonché delle soluzioni attualmente sottoposte al dibattito accademico e professionale.

Sebbene i modelli di rappresentazione del capitale intellettuale si differenzino talvolta per gli elementi costitutivi riconosciuti, le impostazioni prevalenti sono comunque riconducibili alla seguente articolazione:

• Capitale umano (la parte di capitale intellettuale che dipende dalle conoscenze e dalle abilità possedute dalle persone)

• Capitale relazionale (riconducibile alle relazioni esistenti con soggetti esterni, quali fornitori, clienti, centri di ricerca, ecc. e alla reputazione)

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• Capitale organizzativo (il saper fare organizzativo, sapere formalizzato ed istituzionalizzato, come per esempio: prassi organizzative, brevetti, ecc)

Nel primo capitolo ci siamo focalizzati in particolare sul primo di questi elementi costitutivi: il capitale umano. Abbiamo visto come spesso nelle organizzazioni la valorizzazione del capitale umano sia un’area di attenzione molto ‘pubblicizzata’, ma sulla quale non sempre si investe in modo coerente e consapevole e abbiamo sottolineato come le valutazioni delle iniziative correlate siano spesso profondamente soggettive perché sembrano sfuggire alla rendicontazione.

L’obiettivo di questo capitolo è descrivere strumenti, metodologie e casi di eccellenza di misurazione del capitale intellettuale (risorse intangibili), e in qualche caso specifico del capitale umano, parametri condivisi ed oggettivi per rendicontare strategie ed iniziative, che in questo modo diventano strumenti a disposizione sui tavoli decisionali del management, in piena coerenza con i principi di business sustainability.

Perché è interessante parlare di capitale intellettuale?

La maggior parte dei metodi utilizzati per analizzare un’organizzazione si basano su dati finanziari. Ma vi è una quota crescente del patrimonio aziendale che oggi non è possibile trovare all’interno dei bilanci (si pensi ad esempio ai brevetti, alla base clienti ed ai marchi). Le aziende diventano sempre più società concettuali, popolate da beni immateriali. Non sorprende quindi che per misurare un valore che sta diventando sempre più immateriale siano stati costruiti e vengano proposti diversi metodi complementari.

Oggi abbiamo aziende molto diverse rispetto alla loro omologhe di dieci o quindici anni fa: ora la conoscenza diventa sempre più un vantaggio competitivo, mentre il fattore critico per la strategia di una organizzazione si sposta sempre più sulla gestione delle persone e del loro potenziale e meno su quella degli asset tangibili ed economici.

Per facilitare la nostra trattazione delle principali soluzioni di reportistica integrata, ci riferiamo alla classificazione che di queste fa Karl-Eric Sveiby, Professore di Knowledge Management (materia di cui è considerato uno dei padri fondatori) presso la Hanken School of Economics di Helsinki.

Sveiby identifica quattro categorie di approcci di misurazione12

1. Direct Intellectual Capital methods (DIC) – i sistemi di questo tipo stimano il valore economico di beni immateriali; una volta individuate le componenti

:

12 Le categorie sono un’estensione delle classificazioni suggerite da Lüthy (1998) e Williams (2000)

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costitutive, queste vengono valutate singolarmente oppure attraverso l’espressione di un coefficiente aggregato

2. Market Capitalization Methods (MCM) – i sistemi di questo tipo calcolano il valore del capitale intellettuale o immateriali di una azienda come differenza tra la capitalizzazione di mercato di una società e il patrimonio dei suoi azionisti

3. Return on Assets methods (ROA) – i sistemi di questo tipo dividono la media degli utile ante imposte di una società per un periodo di tempo determinato per la media degli intangible asset di una società. Il risultato (ROA) viene poi confrontato con la media del settore. La differenza viene moltiplicata per il valore medio del patrimonio tangibile della società per calcolare un reddito medio annuale degli intangible. Dividendo i guadagni superiori alla media per i costi medi del capitale della società o per il tasso di interesse, si può ricavare una stima del valore delle attività immateriali e/o del capitale intellettuale

4. Scorecard Methods (SC) – i sistemi di questi tipo identificano le singole componenti di beni immateriali o di capitale intellettuale e riportano indicatori e indici attraverso scorecard o grafici. Questi sistemi sono simili ai metodi DIC, fatto salvo che non generano indicatori strettamente economici (quindi espressi in valuta corrente)

I metodi che offrono valutazioni strettamente economiche ed espresse in valuta (come ROA e MCM) sono utili in situazioni di merger & acquisition e per le valutazioni del mercato azionario. Possono anche essere utilizzati per confrontare aziende all’interno dello stesso settore e sono utilizzati per illustrare il valore economico dei beni immateriali. Queste quantificazioni attirano facilmente l’attenzione degli Amministratori Delegati, probabilmente perché costruiti su consolidate norme contabili, più immediate da comunicare. Un potenziale svantaggio è che il fatto di tradurre tutto in termini economici potrebbe risultare superficiale. I sistemi ROA sono molto sensibili ai tassi di interesse ed ai tassi di sconto; inoltre i sistemi che misurano solo a livello organizzativo sono poco spendibili da parte del management posizionato subito sotto il gruppo di vertice. Molti di questi sistemi non possono essere utilizzati da organizzazioni no-profit e organizzazioni del settore pubblico.

Secondo Sveiby, i sistemi DIC e SC restituiscono un quadro più completo dello stato di salute di un’impresa e possono essere facilmente utilizzati a tutti i livelli di un’organizzazione. La misurazione viene effettuata su un singolo fattore/elemento e quindi la comunicazione che ne consegue può essere più veloce e più accurata. Poiché questi sistemi non richiedono metriche finanziarie sono adatti anche per organizzazioni no-profit e organizzazioni del settore pubblico e per finalità ambientali e sociali. Un potenziale svantaggio deriva dal fatto che questi sistemi richiedono indicatori molto puntuali e di dettaglio che

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devono essere personalizzati a seconda dell’organizzazione da valutare e degli obiettivi specifici e questo rende più complicato fare confronti di valore anche all’interno dello stesso settore di attività. Questi sistemi sono piuttosto nuovi e spesso lontani dalle consuetudini di un dirigente, abituato a vedere tutto dal punto di vista puramente finanziario; inoltre potrebbe risultare più complesso (e più costoso) elaborare e comunicare la mole di informazioni di dettaglio che spesso questi sistemi molto analitici generano.

Secondo Sveiby, tutti i sistemi di misurazione nascondono un problema di base: l’obiettivo ambizioso di misurare fenomeni sociali con precisione scientifica. Tutti i sistemi di misurazione ricorrono necessariamente ad approssimazioni che faticano nel descrivere gli eventi che hanno provocato il fenomeno in esame. Questo crea una contraddizione di base tra le aspettative dei manager, le promesse fatte dagli sviluppatori ed i risultati che questi sistemi possono effettivamente raggiungere, punto di debolezza che li rende tutti molto delicati e passibili di manipolazioni. Pertanto Sveiby suggerisce sempre in via preliminare di chiarire a se stessi ed alla propria organizzazione quale sia lo scopo ultimo per il quale si sceglie di adottare un sistema di misurazione.

A questo proposito si possono identificare cinque principali motivazioni a sostegno della misurazione e del reporting:

1. Valutare - ovvero utilizzare la misurazione come strumento per raccogliere dati e riflettere sugli stessi, incorporandone nel processo decisionale sia strategico che operativo;

2. Controllare - ovvero migliorare le prestazioni interne ed il controllo di gestione (questa sarebbe la motivazione più comune) – Il principio guida (non sempre valido) che orienta le organizzazioni in questo caso è che ‘si può gestire solo ciò che si misura’; tuttavia le persone non amano particolarmente essere soggette a misurazioni e trovano piuttosto facilmente sistemi per eludere in controllo. Il rischio maggiore si corre quando alla misurazione viene collegato un sistema individuale di compensation: in questi casi aumenta la probabilità che il sistema di controllo venga eluso

La compagnia petrolifera Shell alla fine degli anni ‘90 decise di fissare come obiettivo per il management l’aumento delle riserve petrolifere, con tanto di ricompense economiche collegate. Le riserve di petrolio di Shell mostrarono da subito un incremento a partire dal 1998. Nel gennaio 2004 il Vertice di Shell è stato costretto ad ammettere che la compagnia aveva sovrastimato le riserve di petrolio di circa 4,4 miliardi oil equivalent (pari al il 23% delle riserve totali) e i dirigenti sono stati licenziati. La stima delle riserve prevede un giudizio soggettivo. Se un danno come questo può accadere con risorse fisiche, ancor di più potrebbe accadere con la misurazione degli intangibles, un sistema aperto dove non esiste uno standard o un audit e costituisce una ‘iniziativa volontaria’.

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3. Influenzare - la misurazione e successivamente l’interpretazione dei risultati attraverso l’attività di reporting potrebbe essere una strategia di comunicazione per influenzare altre componenti dell’organizzazione. Spesso un dato può avere più significati, diventa quindi centrale l’attività di interpretazione del dato, questa attività di interpretazione o framing potrebbe essere realizzata attraverso la creazione della reportistica analitica.

4. Migliorare le Public Relations - ovvero comunicare all’esterno il valore delle proprie risorse intangibili come strategia di marketing – Questa sarebbe la motivazione più forte che ha spinto le aziende pioniere in questo campo. Questa motivazione tuttavia non sempre garantisce la comparabilità di una singola organizzazione con altre aziende, penalizzando in qualche modo la trasparenza dei dati che richiedono elevata capacità critica per essere interpretati correttamente

5. Apprendere - Secondo Sveiby questa è la motivazione più importante, ma ancora poco conosciuta ed esplorata. La misurazione consente di scoprire i costi e di esplorare le opportunità di creazione di valore che invece rischierebbero di rimanere nascosti nei conti economici tradizionali (ad esempio il costo del turnover del personale, il valore dell’apprendimento che le persone sviluppano quando interagiscono con i clienti, i costi nascosti causati da processi inefficienti, ecc.). Utilizzare la reportistica per osservare ed apprendere aspetti nuovi della propria organizzazione consente di evitare i problemi legati al suo utilizzo come forma di controllo: un obiettivo di apprendimento consente una maggiore creatività nella progettazione di metriche, bottom-up e orientate ai processi, piuttosto che top-down e orientate al controllo. Più efficace sarà anche la capacità di una organizzazione di valutare, decidere e motivare: scegliere strategie di acquisizione e/o cessione, guidare la scelta di investimenti di successo, realizzare reportistica di valore per gli stakeholder

Non è sempre semplice distinguere i sistemi orientati all’apprendimento che tuttavia presentano alcune caratteristiche riconoscibili:

• Le metriche sono prodotte bottom-up, con il forte coinvolgimento di tutti i gruppi e gli attori interessati

• Gli indicatori vengono utilizzati dalle stesse persone che li producono e li utilizzano per migliorare i propri processi, non quelli di qualcun altro

• Gli indicatori sono disponibili a tutti senza filtri

• Quando gli indicatori suggeriscono una differenza tra prestazioni elevate e un basso rendimento di una specifica unità, le unità in questione sono tenute ad incontrarsi e la differenza diventa il punto di partenza di un dialogo per

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scoprire se effettivamente si stia misurando nello stesso modo e cosa si possa fare meglio

• Gli indicatori non sono alla base di un sistema premiante. Se i premi devo essere distribuiti, il sistema valuta gruppi e non individui, valorizzando chi ha realizzato un miglioramento più significativo

Per semplificare la classificazione, possiamo posizionare i sistemi di misurazione all’interno di una matrice, le cui due direttrici sono:

• Metriche non-finanziarie (che utilizzano indicatori e scale costruite ad hoc) e metriche finanziarie (che esprimono quantificazioni in valuta, quindi strettamente economiche)

• Metriche atomistiche (che misurano e riportano singoli eventi o fenomeni di dettaglio) e metriche olistiche (che esprimono una valutazione sintetica a livello organizzativo)

Sulla base di questi riferimenti, posizioniamo all’interno della matrice i sistemi di misurazione che verranno affrontati nel dettaglio in questo capitolo.

fonte: rielaborazione The European House - Ambrosetti su matrice di Sveiby

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2.2. Metriche atomistiche / finanziarie

Questo excursus sui sistemi di reportistica integrata comincia dall’analisi del quadrante delle metriche atomistiche e finanziarie. Si tratta di tutti gli indicatori espressi in valori economici (dollari, euro, ecc.) che osservano, misurano e riportano singole componenti costitutive del business di una organizzazione, singole voci di costo o singole aree di investimento.

Cominciamo da qui perché le metriche che rispondono a queste caratteristiche sono quelle più essenziali, più embrionali e tuttora più diffuse nei sistemi di reportistica finanziaria. Si tratta in effetti delle voci che comunemente si trovano espresse all’interno dei bilanci aziendali: retribuzioni, oneri, premi, provvigioni, benefit e bonus, costi della formazione, ammontare delle ferie non godute, valore delle stock options, TFR e accantonamenti ad altri eventuali fondi di previdenza integrativi, straordinari, bonus, costi di trasferta, servizi sociali interni, coperture assicurative, contributi, indennità, costo di forme contrattuali flessibili e/o di somministrazione, ecc…

Attraverso ciascuna di queste cifre vengono rendicontate singole voci economiche e finanziarie che offrono informazioni di dettaglio su alcuni oneri dell’azienda e, solo in qualche caso isolato, su veri e propri investimenti. Alcune aziende, oltre a segnalare queste voci in sede di bilancio di esercizio, scelgono di dotarsi di strumenti evoluti di analisi e controllo dei costi del personale, in grado di aggregare molte delle singole voci di costo delle risorse umane. Strumenti di Business Intelligence HR aiutano le organizzazioni ad integrare e far dialogare fra loro informazioni puntuali altrimenti disperse e soddisfano in qualche modo la sempre maggiore richiesta di informazioni di valore che i decision maker in ambito HR esprimono.

Le misurazioni atomistiche e finanziarie, sebbene siano la base per una rendicontazione efficace del capitale umano di una organizzazione, presentano alcuni limiti di fondo:

• Si tratta esclusivamente di voci di costo (input): anche una volta osservate ed analizzate tutte le voci a bilancio, permane una situazione di forte carenza informativa, perché nessuna di queste fornisce ai decision maker informazioni su azioni di investimento e soprattutto sul valore creato (output)

• Si tratta di rilevazioni esclusivamente atomistiche: manca uno sguardo complessivo, mancano elementi per una comprensione più esaustiva dell’organizzazione, delle sue scelte, delle sue strategie

• Manca la componente non finanziaria: questi indicatori restituiscono una fotografia parziale dell’organizzazione, trascurando le risorse intangibili e

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penalizzando le prospettive di redditività futura dell’impresa e il suo valore reale, anche e soprattutto all’interno del mercato azionario

Come si vedrà nel resto del capitolo, il vantaggio dei sistemi di reportistica che appartengono agli altri 3 quadranti della matrice di Sveiby sta nel tentativo di offrire soluzioni integrate alternative o complementari che pongano rimedio ad alcuni di questi limiti di fondo.

2.3. Metriche olistiche / finanziarie

Il quadrante è occupato dai sistemi di reportistica che non osservano, misurano e riportano solo singole componenti costitutive del business, ma allargano lo sguardo per rendicontare più fenomeni contemporaneamente: su questi esprimono una valutazione sintetica a livello organizzativo, utilizzando indicatori economici (dollari, euro, ecc.).

Vengono qui di seguito descritti:

• ROI delle RISORSE UMANE: misurazione operata sulle iniziative di formazione interna di una organizzazione; il profitto totale generato da un progetto viene diviso per i costi complessivi utilizzati nella creazione del profitto stesso

• MARKET-TO-BOOK VALUE (o PRICE-TO-BOOK VALUE): misurazione utilizzata soprattutto in aziende quotate sul mercato azionario; in questo caso il prezzo corrente delle azioni viene diviso per il valore contabile per azione (cioè il suo valore contabile diviso per il numero di azioni in circolazione)

• Modello LEV & SCHWARTZ: modello con base statistica che permette di trattare il capitale umano come attività fruttifera a livello contabile (alla stregua del capitale fisico) e quindi come un fattore importante per spiegare e predire la futura crescita economica della società

2.3.1. ROI delle Risorse Umane

Il calcolo del Return of Investment delle Risorse Umane è una delle metodologie più diffuse a disposizione del Management HR. La metodologia ROI ha più di un secolo di vita e nel 1920 venne proclamata da Harvard Business Review come il principale sistema per calcolare risultati di business.

La sua applicazione al mondo delle Risorse Umane è stata sviluppata nel 1970 presso la Lockheed-Martin, azienda attiva nei settori dell’ingegneria aerospaziale e della difesa (formatasi nel 1995 dalla fusione tra la Lockheed

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Corporation e la Martin Marietta, attualmente ha sede a Bethesda, Maryland, e impiega circa 140.000 persone). Presso questa azienda Jack Phillips condusse i suoi primi studi sul programma di formazione sviluppato della società su un gruppo di 350 studenti. I risultati furono pubblicati nel 1975 sul Journal of Cooperative of Education. Da allora la metodologia si è diffusa in oltre 30 Paesi nel mondo. La sua diffusione riflette la crescente domanda di evidenze certificate sul ritorno degli investimenti a vantaggio del capitale umano. Le aziende che finanziano iniziative HR hanno bisogno di dati critici di valutazione: il ROI è uno dei sistemi per misurare, monitorare e comunicare gli impatti delle iniziative promosse dalla Funzione Risorse Umane sui profitti di una organizzazione. In questo modo la Funzione Risorse Umane conserva il proprio ruolo di garante sulla qualità del livello di competenza delle persone e quindi sulla loro produttività.

Secondo gli sviluppatori, per costruire un approccio credibile per il calcolo del ROI, sono necessari diversi elementi che, come in un puzzle, devono essere consolidati ed integrati.

Una organizzazione interessata ad implementare con successo la metodologia ROI deve valutare in via preliminare quali e quanti elementi pensa di poter sostenere.

Il ROI delle Risorse Umane è in realtà l’esito finale di un processo di valutazione che prevede 6 livelli di misurazione:

Livelli Focus

Input Misura tutti gli input del programma oggetto di valutazione (ore, partecipanti, costi, ecc.)

Risposta Misura il livello di soddisfazione dei partecipanti nei confronti del progetto e individua aspettative ed azioni pianificate

Apprendimento Misura i cambiamenti nel livello di conoscenza, nelle capacità e nelle attitudini dei partecipanti

Applicazione e comportamento Misura l’implementazione di quanto appreso e i cambiamenti di comportamenti che determinano la performance

Impatti e Risultati Misura I cambiamenti nelle variabili di impatto sul business (output, qualità, tempo, costi associati ai programmi sviluppati, ecc.)

Return on Investment Confronta i benefici economici generati dalla variabili di impatto sul business con i costi del programma sviluppato

fonte: Phillips, J e Phillips, P. ‘Measuring Return on Investment in HR. A Global Initiative for HR Strategy’

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Evaluation Planning

Le prime due parti del processo di calcolo del ROI prevedono un momento chiave di pianificazione: il primo passo è sviluppare obiettivi appropriati per le iniziative HR. Viene sviluppato un piano di raccolta dei dati che definisce il tipo di dati raccolti, il metodo per la raccolta dati, le fonti di dati, il periodo di rilevazione e le diverse responsabilità. Si stabilisce inoltre come convertire i dati in valori monetari, quali siano le voci di costo, quali le misurazioni previste per gli aspetti intangibili e come isolare l’iniziativa HR da altre influenze esterne. Quest’ultimo è un problema spesso trascurato nella maggior parte delle valutazioni. Molteplici strategie sono state individuate per isolare gli effetti di un programma HR. Le strategie più comuni includono gruppi di controllo, trend e stime da parte di esperti del settore.

Data Collection

I dati vengono raccolti durante e dopo l’avvio del programma HR utilizzando molteplici metodi: questionari, piani d’azione, interviste, focus group, monitoraggio della performance, ecc.

Conversione dei dati in valori monetari

Per calcolare il ritorno sugli investimenti, i dati di impatto sul business devono essere convertiti in valori monetari e confrontati con i costi del programma HR. Questo richiede una unità di misura da applicare ad ogni tipologia di dato connessa con l’iniziativa della Funzione Risorse Umane. Esistono molteplici strategie a disposizione per convertire i dati in valori monetari.

Metodi (alcun esempi) Affidabilità percepita Risorse necessarie Valori standard Alta basse Analisi di serie storiche Alta alte Database Media medie Stime di esperti Bassa basse

Calcolo dei costi del programma HR

Il denominatore della formula ROI è il costo del programma HR. Alcune tipiche voci di costo sono (ad esempio) l’analisi preliminare, lo sviluppo e la progettazione, il tempo investito dai partecipanti, l’implementazione, la manutenzione, la componente amministrativa, le valutazione e la reportistica.

La formula per calcolare il ROI è:

utile netto del progetto

costi del progetto X 100

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Il Rapporto Costo/Beneficio e il ROI sono calcolati sulle stesse informazioni di base, ma con prospettive leggermente diverse. Ecco un esempio che illustra l’utilizzo di queste formule. Un programma di riduzione di assenteismo per i conducenti di autobus urbani ha prodotto un risparmio di 581 mila dollari, con un costo di 229.000 dollari. Pertanto, il Rapporto Costo/Beneficio è (581.000 / 229.000) = 2,54. Secondo questo calcolo, per ogni dollaro investito si hanno 2,50 dollari di beneficio. In questo esempio l’utile netto è pari a (581.000 – 229.000) = 352.000. Il ROI sarebbe quindi pari a [(352.000 / 229.000) x 100] = 154%. Ciò significa che ogni dollaro investito, coperti i costi, genera 1,5 dollari di utile netto.

Identify intangibles

Durante l’analisi dei dati, viene effettuato ogni tentativo per convertire tutti i dati in valori monetari. Tuttavia, quando il processo di conversione risulta troppo soggettivo o impreciso e i valori generati sono quindi poco affidabili, i dati vengono elencati come intangible benefit, con la spiegazione appropriate.

Vantaggi e Svantaggi

Il ROI delle Risorse Umane:

• aiuta un’azienda a migliorare il proprio processo di reclutamento e formazione e valutare l’efficienza della Funzione Risorse Umane

• soddisfa l’esigenza di dati a sostegno delle iniziative promosse dalla Funzione Risorse Umane e facilita la loro comunicabilità all’esterno

• favorisce che i progetti di sviluppo e formazione vengano scelti e costruiti sulla base delle reali esigenze dei partecipanti e non su congetture che rischiano di essere compromesse da una carenza di informazioni

Tuttavia:

• comporta un processo lungo e faticoso di ricerca, collezione e selezione di dati prima di poter essere realizzato

• non sempre riesce a cogliere alcun aspetti più complessi da misurare, come il livello di motivazione o di soddisfazione delle persone, il livello di ingaggio, di lamentela e di conflitto, ecc.

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2.3.2. Il sistema Market-to-Book Value (o Price-to-Book Value)

Il metodo Price-to-Book Value, conosciuto anche come P/B Value o come Market-to-Book Value, è un rapporto finanziario che viene utilizzato per confrontare il prezzo corrente di mercato di un’azienda con il suo valore contabile.

Il calcolo può essere effettuato in due modi:

Caso: Sprint Nextel Corporation (azienda statunitense, una delle più grandi compagnie di telecomunicazioni del mondo, con sede a Overland Park, Kansas)

Progetto: Diversity

Partecipanti: Manager e Dipendenti

Soluzione: All-inclusive Workforce Program (AIW)

Livelli Risultati

Risposta Composite rating: 4,39 su 5 (6 item valutati)

Apprendimento 4,28 su 5 (media di 5 aree di apprendimento)

Applicazione e comportamento

• Manager: Sostegno all’iniziativa 87%, Identificazione delle criticità 81%, Sostegno allo staff 78%

• Dipendenti: Sostegno all’iniziativa 65%, Identificazione delle differenze 63%, Sostegno allo staff 60%

• Il 91% dei Manager ha superato con successo il proprio action plan

Impatti e Risultati Miglioramento della percentuale di attrito: 9,77%

Return on Investment • Rapporto Costo/Beneficio: 2,6 • ROI: 163%

Intangible benefit

• Employee satisfaction • Comunicazione • Collaborazione • Diversity mix • Teamwork

Metodo per isolare gli effetti del progetto: stime realizzate dal Management

Metodo per convertire i dati in valori monetari: costo unitario standard (89.000 dollari per turnover)

Costi del Progetto: 1.216.836 dollari

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1. Il primo modo prevede che la capitalizzazione di mercato di una società venga divisa per il valore contabile complessivo della società dichiarata all’interno del bilancio

Esempio: una azienda ha una capitalizzazione di mercato pari a 100 milioni di euro, ha un valore contabile complessivo di 69 milioni e quindi il suo P/B Value è pari a (100/69) = 1,45 euro

2. Il secondo metodo tiene conto del valore delle azioni della società e quindi il prezzo corrente delle azioni viene diviso per il valore contabile per azione (cioè il suo valore contabile diviso per il numero di azioni in circolazione)

Esempio: una azienda ha un valore di 10 euro per azione, ha un valore contabile per azione di 5,5 euro e quindi il suo P/B Value è pari a (10/5,5) = 1,82 euro

Il valore contabile di una società corrisponde al suo patrimonio netto che è il capitale investito dagli azionisti e attraverso utili non distribuiti (cioè non distribuiti come dividendi). Si calcola sommando il capitale sociale, gli accantonamenti, utili portati a nuovo e interessi di minoranza. Il valore contabile rappresenta il valore totale delle attività della società che gli azionisti riceverebbero se teoricamente una società fosse liquidata. Poiché questo valore viene confrontato con il prezzo di mercato della società, il valore contabile può indicare se un titolo è sotto o sovra-prezzo.

Gli investitori, a fronte di un alto valore di P/B Value, si aspettano che il Management sia in grado di generare molto valore a partire da un dato insieme di beni e che tutto il resto rimanga invariato (e/o che il valore di mercato delle attività dell’impresa rimanga notevolmente superiore al loro valore contabile).

Come accade spesso ai rapporti di questo genere, esistono variazioni significative a seconda della industry all’interno della quale il sistema viene applicato. Le industries che necessitano di un elevato capitale di infrastrutture per ogni unità di misura di profitto (per esempio una azienda manifatturiera con lo spazio fisico e i macchinari) di solito raggiungono P/B Value molto più bassi rispetto, ad esempio, a quanto accade in società di servizi.

Il P/B Value è spesso usato per misurare il valore relativo di un titolo. Una trading company con un basso valore contabile, in particolare rispetto ad altre aziende del suo settore, si presume sia sottovalutata rispetto al prezzo delle sue azioni. Tuttavia, un basso valore contabile potrebbe anche essere un segnale di scarsa fiducia da parte degli investitori verso il futuro oppure l’effetto di una quantità sproporzionata di intangible asset a bilancio, a seconda della modalità di calcolo utilizzata. Per questo, quando questo sistema viene utilizzato per l’analisi della sicurezza, al P/B Value vengono spesso affiancate metriche come P/E, PEG, Return on Equity, e il Current Ratio al fine di ottenere una fotografia più nitida della società nel suo complesso.

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Spesso il P/B Value è utilizzato per confrontare le banche, perché comunemente la maggior parte degli attivi e dei passivi delle banche vengono valutati e confrontati rispetto ai valori di mercato. Il P/B Value tuttavia non fornisce informazioni dirette sulla capacità dell’impresa di generare profitti per gli azionisti. Questo sistema di misurazione fornisce indicazioni agli investitori per capire se stiano pagando troppo a fronte di quello che rimarrebbe nell’eventualità che la società venisse improvvisamente liquidata. Infatti – ed è importante sottolinearlo ai fini della nostra indagine – nel caso di aziende in difficoltà, il valore contabile viene di solito calcolato al netto dei cosiddetti intangible asset che non avrebbero alcun valore di rivendita. In questi casi, il P/B Ratio dovrebbe essere calcolato tenendo conto che le stock option potrebbero rimanere congelate fino alla vendita della società o al cambio di gestione o al licenziamento del Management.

Più in generale, il P/B Value può essere calcolato sia includendo che escludendo gli intangible asset. Quando questi sono esclusi, il valore è spesso indicato come Price to Tangible Book (Value).

Esempio: una azienda ha una capitalizzazione di mercato pari a 1 miliardo di dollari e presenta un valore contabile complessivo di 500 milioni, 225 dei quali derivano però da intangible asset. Mentre il P/B Value è pari a (1 miliardo/500 milioni) = 2, il Price to Tangible Book Value è pari a [1 miliardo/(500 – 225 milioni)] = 3,64

Vantaggi e Svantaggi

Il sistema Market-to-Book Value è un sistema di misurazione finanziario che ben si adatta alla realtà di imprese quotate e che quindi si devono confrontare con due mercati, quello competitivo reale e quello azionario.

In linea teorica il risultato di questa misura assicura agli investitori di non pagare un prezzo troppo elevato rispetto al valore del patrimonio di una società. Anche se il valore contabile non è una misura perfetta del valore del patrimonio netto della società, fornisce almeno qualche informazione con un discreto livello di approssimazione.

Tuttavia:

• Il P/B Ratio, per come viene convenzionalmente calcolato, non include le attività immateriali come la proprietà intellettuale e i marchi. Questo aspetto la rende una misurazione non appropriata per molte aziende

• I valori contabili sono attendibili tanto quanto lo sono i numeri utilizzati per produrli. Per questo è necessario chiedersi se i numeri siano realistici e leggere i risultati con capacità critica. I valori contabili guardare al passato, mentre il prezzo delle azioni è proiettato verso il futuro. Un prezzo inferiore

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al valore contabile potrebbe significare che il titolo è sottovalutato; oppure potrebbe anche significare che ci sia qualche problema interno alla società.

I titoli con un basso P/B Value fanno registrare performance sopra la media all’interno del mercato azionario?

Molteplici studi hanno osservato come le azioni di società con un basso P/B Value abbiano fatto registrare performance eccellenti. Tuttavia ci sono alcune avvertenze da tenere a mente.

Bauman, Conover, e Miller hanno condotto uno studio all’interno del mercato azionario*. Gli autori hanno utilizzato un campione internazionale di azioni, le hanno suddivise in quartili in base al P/B Value e le hanno osservate su una serie storica di 10 anni. I risultati mostrano che le azioni delle aziende appartenenti al quartile con i valori più bassi hanno avuto rendimenti in media del 18,1%, mentre quelle del quartile coni valori più alti hanno avuto rendimenti del 12,4%, pari ad uno spread annuo del 5,7%.

Quartili

Spread

Casi 1 2 3 4

32.265

Media P/B 0,8 1,4 2,2 4,3

5,7 Ritorno 18,1% 14,4% 12,6% 12,4%

Deviazione standard

69,6 45,9 45,1 57,0

Sulla base di questi dati, l'acquisto di azioni con un basso P/B Value garantirebbe interessanti rendimenti. Ancora di più ove sia possibile definire quali azioni sia conveniente acquistare e quali azioni appartengano invece ad aziende sull’orlo della bancarotta. La deviazione standard dei rendimenti per il quartile più alto è stato 57, mentre per il quartile più basso è stata 70: ciò suggerisce che questo comprenda alcune grandi vincitori sul mercato azionario insieme ad alcuni grandi perdenti.

Per questo una azienda con un debito basso e una buona liquidità, quotate a sconto rispetto al loro valore contabile, può rappresentare una grande opportunità di investimento.

Ma allora perché gli investimenti su queste aziende sono marginali nel mercato azionario? David Dreman (i cui studi hanno rilevato miglioramenti di performance anche del 18,8% per azioni con basso P/B Value) sostiene che il problema sia di natura psicologica. Gli investitori sono sempre travolti da nuove idee e nonostante una eccellente capacità di giudizio, non rischiano investendo in società che il mercato ha bocciato con bassi rapporti Price/Earnings e Price/Book**.

* Scott Bauman W., Mitchell Conover C., Miller R.E. ‘Growth versus Value and Large-Cap versus Small-Cap Stocks in International Markets’, Financial Analysts Journal, Mar/Apr 1998, 54, 2, ABI/INFORM Global

** Dreman D. ‘Contrarian Investment Strategies: The Classic Edition’, Simon and Schuster, 1998

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2.3.3. Modello LEV & Schwartz

Il modello di Lev & Schwartz si basa sulle teorie del capitale umano che più di altre ne riconoscono l’importanza strategica per determinare la ricchezza di un’impresa (allo stesso modo di denaro, titoli e capitale fisico).

Partendo dalle asserzioni sul capitale di Fisher13

Il modello propone infatti una valutazione economica dei dipendenti basato sul

(‘capitale nel senso del valore del capitale è semplicemente il reddito futuro atteso, in altre parole, capitalizzato. Ma il problema di fondo della valutazione sul tempo che la natura ci pone è quello di tradurre il futuro nel presente, cioè, il problema di accertare il valore capitale del reddito futuro. Il valore del capitale deve essere calcolato dal valore della sua stima del reddito netto futuro, non viceversa’) gli autori sviluppano un modello che permette di trattare il capitale umano come le altre forme di attività fruttifere a livello contabile e quindi come un fattore importante per spiegare e predire la futura crescita economica della società.

• valore attuale degli utili futuri

• probabilità di morte dei lavoratori / separazione / pensione

Questo metodo consente di determinare quanto il contributo futuro dei dipendenti possa valere oggi.

Secondo questo modello dunque, il valore del capitale umano costituito da una persona che ha y anni, è pari al valore attuale dei suoi futuri guadagni da lavoro dipendente e può essere calcolato utilizzando la seguente formula:

E(Vy) = Σ Py(t+1) Σ I(T)/(I+R)t-y

Dove:

E(Vy) = valore atteso del capitale umano di una persona di Y anni

T = età pensionabile della persona

Py (t) = probabilità che la persona lasci l’organizzazione

I(t) = guadagni attesi della persona nel periodo

R = tasso di sconto

La metodologia del modello consiste in calcolare il valore attuale dei futuri pagamenti diretti e indiretti ai propri dipendenti come una misura del loro valore come risorse umane.

13 Fisher I. ‘The theory of interest’, A.M. Kelley, reprint of economic classics, 1961. P. 12-14

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Elementi fondamentali di questo tipo di logica di misurazione del valore del capitale umano sono quindi l’analisi con modalità storica e predittiva del modello di retribuzione dei dipendenti e i percorsi di crescita e di carriera, facendo attenzione alle variazioni dei tassi di sconto per accertare il valore attuale dei flussi di cassa futuri.

Per rendere più chiaro come funzioni questo modello, ci avvaliamo della descrizione di un caso reale: Il caso di Infosys Technology (Infosys).

Caso Infosys

Nell’anno di esercizio 95-96, Infosys Technologies (Infosys) è diventata la prima società di software in India a valorizzare le proprie risorse umane all’interno del proprio bilancio. La società ha utilizzato il modello di Lev & Schwartz per raggiungere questo obiettivo assegnando al proprio patrimonio di risorse umane la cifra di Rs 1.860.000.000. Narayana Murthy (Murthy), l’allora presidente e amministratore delegato di Infosys, nell’occasione dichiarò: ‘Confrontando questo dato nel corso degli anni potremo sapere se il valore delle nostre risorse umane si rivaluta o meno: per una società come la nostra a forte intensità di conoscenza, questo dato è di vitale importanza’.

I parametri di base che orientano il modello Infosys sono due:

• Il pacchetto retributivo di un dipendente include tutti i benefit sia diretti che indiretti, ovvero guadagnati in India e/o in una nazione straniera

• Si prende in considerazione anche il reddito aggiuntivo sulla base del gruppo di età al quale si appartiene

La metodologia seguita per il gruppo si è focalizzata quindi sulle seguenti azioni:

• Tutti i dipendenti di Infosys sono stati divisi in cinque gruppi, in base alla loro età media ed è stato calcolato il compenso medio di ciascun gruppo di età

• È stato anche calcolato il compenso di ogni dipendente al momento del pensionamento applicando un tasso medio di incremento. Gli incrementi sono stati calcolati prendendo in considerazione standard di settore, prestazioni e produttività dei dipendenti

• È stato calcolato infine il compenso totale di ogni gruppo di età, attualizzato al tasso percentuale annuo

(continua)

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Vantaggi ottenuti con l’assegnazione di valore alle proprie risorse umane

Infosys ha potuto determinare quanto l’asset corrispondente al capitale umano si stesse rivalutando ogni anno.

L’azienda ha usato questa informazione internamente per comparare le performance e la produttività in diverse funzioni aziendali

Infosys ha inoltre usato i dati del modello di Human Resource Accounting (HRA) per decidere le retribuzioni dei dipendenti, assicurando ad ogni dipendente una retribuzione consona al valore individuale netto generato da ciascuno. Infatti con l’adozione del sistema (HRA) si sono rese disponibili le seguenti informazioni:

• Costo per dipendente

• Human capital Investment ratio

• Quantità di ricchezza generata per ogni dipendente

• Profitti creati per ogni dipendente

• L’indice tra il salario corrisposto ed il gettito totale generato

L’azienda ha dichiarato che il sistema HRA:

• è stato utile anche per individuare le persone di talento e/o di maggior valore e così attivare opportune politiche di retention

• ha aiutato l’organizzazione a prendere decisioni manageriali basate sulla reale disponibilità e necessità delle risorse umane

• la quantificazione ha chiarito agli investitori e altri shareholder le prospettive dell’azienda rispetto al suo futuro potenziale

Svantaggi derivanti della valutazione del capitale umano

• La comparabilità dei dati derivanti dal modello HRA in due aziende diverse potrebbe essere difficoltosa, in quanto la logica d’applicazione dei tassi di sconto è variabile d’azienda ad azienda. I parametri utilizzati per la costruzione del modello dovrebbero essere condivisi inter-aziendalmente per apportare i correttivi necessari alla comparabilità dei dati

• Esistono molte riserve nell’assegnare un valore numerico alla capacità di una risorsa, in quanto la valutazione potrebbe non considerare le numerose variabili che la condizionano e in alcuni casi potrebbe sottostimare o sovrastimare le reali capacità dei dipendenti

• Considerare il capitale umano solo attraverso la variabile reddito, risulta un po’ limitante rispetto al concetto più ampio del valore che il capitale umano apporta al raggiungimento dei risultati finanziari e non

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2.4. Metriche olistiche / non-finanziarie

Il quadrante è occupato dai sistemi di reportistica che misurano l’organizzazione osservando differenti variabili e restituiscono all’organizzazione ed agli investitori una valutazione sintetica espressa non attraverso valori economico-finanziari, ma attraverso indicatori ad hoc e/o un indicatore di sintesi.

A testimonianza dei sistemi di reportistica che rispondono a queste caratteristiche, di seguito vengono presentati:

• INTELLECTUAL CAPITAL RATING (IC RATING): misura il potenziale futuro di un’organizzazione; questo viene identificato nel suo capitale intellettuale, descritto come insieme di fattori critici per il successo futuro di un’azienda che non sono presenti nel bilancio tradizionale, vale a dire le future capacità di crescita degli utili.

• INTELLECTUAL CAPITAL INDEX: strumento di misurazione del capitale intellettuale cosiddetto di “seconda generazione”, che cerca di consolidare tutti i diversi indicatori individuali in un unico indice e di correlare le variazioni di capitale intellettuale con i cambiamenti del mercato

2.4.1. Intellectual Capital Rating (IC Rating)

Il modello si basa sulle idee formulate da Karl Erik Sveiby nel suo libro del 199714

La maggioranza dei modelli di misurazione del capitale intellettuale utilizza la tripartizione iniziale di Sveiby, presentando una grande varietà negli indicatori di dettaglio. L’IC Rating invece propone una nuova nomenclatura delle dimensioni di misurazione con: capitale umano, capitale strutturale organizzativo, capitale strutturale relazionale ed infine la ricetta di business o componente strategica.

riguardo la misurazione del capitale intellettuale (dove propone la tripartizione dimensionale in asset interni, esterni e di mercato) ed il lavoro pionieristico svolto da Leif Edvinsson in Skandia agli inizi degli anni 1990 (si veda scheda più avanti).

Il capitale intellettuale viene descritto dal modello come insieme di fattori critici per il successo futuro di un’azienda che non sono presenti nel bilancio tradizionale, vale a dire le future capacità di crescita degli utili.

L’IC Rating misura in estrema sintesi il potenziale futuro di un’organizzazione, che viene identificato nel capitale intellettuale.

14 Sveiby K.E. ‘The New Organisational Wealth: Managing & Measuring Knowledgebased assets’, Berret-Koehler Publishers, San Francisco. 1997

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Per potenziale (o sostenibilità), il modello intende redditività a lungo termine. In sostanza il principio di fondo è che se si ottimizza il capitale intellettuale, si ottimizza la sostenibilità a lungo termine del profitto. Segue la rappresentazione grafica del modello IC Rating.

fonte: Jacobsen K. e Hofman-Bang P. ‘The IC Rating Model’, Intellectual Capital Sweden

Il capitale umano rappresenta il nucleo del modello: comprende le conoscenze dei dipendenti, le competenze, la motivazione, il tasso di lealtà, la qualità gestionale e di leadership e gli incentivi.

La sottodimensione della conoscenza diventa un indicatore fondamentale perché essa viene trasferita dagli individui ai gruppi e dai gruppi a tutta l’organizzazione, diventando parte del capitale strutturale della stessa.

Per facilitare la sua misurazione, il capitale umano viene diviso in due categorie: impiegati e management. Nella categoria degli impiegati si analizzano fattori come lealtà, motivazione, competenza. In questo caso il modello si chiede se i dipendenti abbiano tutta le conoscenze utili per garantire la realizzazione della cosiddetta business recipe (“ricetta di business”) – ovvero l’insieme di idea di business e strategia per attuarla. Nella categoria del management si analizzano invece fattori come qualità della leadership, competenze comunicative, strategiche ed operative con l’intento di capire se il management abbia sviluppato pienamente la sua leadership strategica ed operativa.

Il capitale strutturale organizzativo o interno comprende sia le proprietà intellettuali che processi, modelli, sistemi IT e documentazione, ovvero tutto ciò che da tacito ed individuale, utile per il successo dell’organizzazione

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(conoscenze, competenze, idee, prassi) diventa esplicito e replicabile, in qualche modo formalizzato.

Anche se una società ha le giuste basi di capitale umano, potrebbe avere difficoltà a replicare il suo successo sul mercato senza un adeguato capitale strutturale. Senza metodologie di trasferimento di conoscenze, processi e sistemi, l’azienda lascia alla conoscenza individuale la conoscenza dell’organizzazione. Il capitale strutturale in ultima istanza può anche essere di proprietà ed è quindi più stabile, può aggiungere valore di mercato alla società ed anche per questo motivo è necessario misurarlo.

Il capitale strutturale relazionale o esterno è composto da tutte le relazioni esterne dell’azienda come la sua rete (fornitori, distributori, ecc.) e il suo marchio. Il modello considera il brand aziendale e non i marchi, che fanno parte invece delle proprietà intellettuali. Considera anche i clienti ed in particolare come questi percepiscono l’azienda e la relazione che istaurano con essa.

Le domande di base sono: l’azienda dispone di tutti i contatti necessari per l’organizzazione? Se è così, queste reti sono utilizzate nel modo migliore possibile? La rete fornisce accesso alle competenze, a risorse finanziarie, fornisce copertura mediatica, ecc.? L’azienda è ben nota? Il target ha fiducia nella società? L’azienda ha un vantaggio significativo rispetto ai concorrenti nel dominio del business? I clienti vedono l’azienda come un fornitore strategico e/o come partner? I clienti sono fedeli nel lungo termine?

L’ultima dimensione è la cosiddetta business recipe o contesto strategico: questo consiste in un’idea di business e nella strategia che si sceglie di perseguire per il raggiungimento di tale idea. Il modello sostiene che le aziende che hanno definito una visione e hanno delineato la strategia per raggiungere tale obiettivo si trovano in una posizione migliore per determinare il ruolo che il loro capitale intellettuale dovrebbe ricoprire per conseguire tale visione. Le componenti di questa dimensione sono dunque tre: l’idea di business, la strategia di business e le caratteristiche congiunturali del business.

Il modello IC Rating prevede che queste tutte queste quattro dimensioni (capitale umano, capitale strutturale organizzativo, capitale strutturale relazionale e ricetta di business) vengano poi valutate (rating) attraverso tre prospettive strategiche: la loro efficacia organizzativa attuale, gli sforzi e le capacità di rinnovamento e sviluppo ed infine i rischi associati ad una diminuzione dell’efficacia corrente. La principale fonte d’informazioni sono gli stakeholder più competenti interni ed esterni della Società. La metodologia infatti prevede la realizzazione d’interviste in profondità.

I risultati vengono poi rappresentati in tre report distinti: Executive report, Operational report, Rapporto qualitativo dei contributi raccolti. Queste tre viste dovrebbero portare ad avere un cruscotto di controllo che permette di

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leggere l’organizzazione e le dinamiche del proprio capitale intellettuale in modo integrato e con molteplici utilizzi:

• L’Executive report rappresenta le tre prospettive strategiche (efficacia, rinnovamento/sviluppo e rischi) attribuendo un rating simile al modello ed alla terminologia di Standard&Poor’s, dove le lettere AAA costituiscono il rating con la migliore qualità e D la peggiore. Il colore delle caselle mostra il risultato della valutazione per prospettiva strategica (blu=efficienza, verde=capacità di rinnovamento e sviluppo, viola=rischio). Si consideri che più grande è la casella della dimensione del capitale intellettuale analizzata, più alto è il punteggio (per esempio se nell’area dei processi che compone il capitale strutturale organizzativo la casella dell’efficienza è una grande casella blu, questo indica un’efficienza maggiore rispetto ad una casella piccola).

Esempio di Executive report, scale e significati del rating fonte: Jacobsen K. e Hofman-Bang P. ‘The IC Rating Model’, Intellectual Capital Sweden

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Dall’esempio rappresentato si potrebbe concludere che il risultato per questa società sia molto buono in termini di efficacia e che gli sforzi relativamente al rinnovamento hanno attualmente un rischio moderato. Le loro aree più forti si trovano nel capitale relazionale strutturale con alcuni marchi molto forti: la rappresentazione ci dice che vi è un impegno estremamente elevato in termini di efficacia, con un rischio moderato. La loro area più debole è nei processi e coinvolge diversi processi interni oltre alla cultura aziendale e all’organizzazione: queste aree devono essere esaminate in modo più approfondito per analizzare nel dettaglio quali aree siano le più deboli, perché e come intervenire su di esse.

• L’Operational report fornisce ulteriori informazioni: la rappresentazione dei risultati avviene attraverso l’utilizzo di un grafico a radar o polare.

fonte: Jacobsen K. e Hofman-Bang P. ‘The IC Rating Model’, Intellectual Capital Sweden

In questo esempio sono stati presi i parametri che riguardano il cliente per mostrarne la situazione complessiva; nel caso in cui i dati siano disponibili per altri competitor si potrebbero rappresentare comparativamente (qui sono state incluse anche le informazioni di un competitor diretto per fini comparativi - punteggi in azzurro). Anche in questa rappresentazione è possibile analizzare i punti di forza e debolezza e contemporaneamente le minacce e le opportunità della dimensione clienti, cosi come stabilire le priorità degli interventi da realizzare per migliorare le performance, in coerenza con la strategia di business e/o con la logica della creazione di valore.

• Per migliorare la comprensione del report operativo (Operational Report) vi è infine un ulteriore report qualitativo, che contiene i contenuti maggiormente rilevanti raccolti attraverso le interviste (interne ed esterne).

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Vantaggi e Svantaggi

Il vantaggio di questo tipo di strumento di misurazione consiste nell’essere strumento di analisi e di decision making per i manager; il modello mostra infatti le aree in cui sono necessari miglioramenti e fornisce un utile punto di partenza per un sistema di misurazione interna che può essere utilizzato per monitorare le prestazioni ed i miglioramenti nel tempo. Potrebbe inoltre essere un utile strumento per realizzare attività di benchmarking.

Uno degli svantaggi più evidenti invece potrebbe essere il processo d’implementazione. Sono necessari un forte commitment aziendale ed un alto livello di consenso interno: entrambi questi elementi rendono la sua implementazione un processo delicato e che richiede un consistente investimento di tempo e risorse economiche.

Caso Skandia

La Skandia AFS è una sussidiaria del gruppo Skandia, colosso svedese nel campo finanziario e assicurativo. Il caso Skandia è uno dei più noti in letteratura, oggetto di innumerevoli citazioni e articoli. La sua fama è dovuta al fatto che questa soluzione per la gestione del capitale intellettuale ha portato a superare un pregiudizio molto diffuso secondo il quale ciò che conta sono solo i numeri contenuti nel bilancio d’esercizio. Skandia con il suo Business Navigator ha invece dimostrato che la gestione della conoscenza unita alla misurazione degli asset intangibili con una gestione aziendale incentrata su di essi, può aiutare un’impresa a produrre risultati economico-finanziari positivi anche nel medio-lungo periodo. Questa nuova filosofia dovuta a Leif Edvinsson, ha ottenuto notevoli risultati permettendo all’azienda di attirare l’attenzione dei mercati finanziari.

Gli obiettivi dell’iniziativa

L’obiettivo di Skandia era misurare il valore aziendale tenendo conto dell’apporto del capitale intellettuale e di rendere evidente tale valore all’interno del proprio bilancio aziendale, fornendo una visione completa sia della parte tangibile che della parte intangibile del valore complessivo.

Il modello

Skandia propose il modello denominato Value Scheme sviluppato da Leif Edvinsson nel 1993. Questo modello si poneva come obiettivo di esplicitare e interpretare il processo di creazione di valore attraverso una suddivisione del valore aziendale in due componenti fondamentali: il capitale finanziario ed il capitale intellettuale, definendo quest’ultimo come quella componente del valore d’impresa che tradizionalmente non è valutata, perché di natura intangibile e di difficile valorizzazione in termini monetari.

(continua)

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Nel modello Value Scheme il capitale intellettuale è stato suddiviso in capitale umano e capitale strutturale, ovvero relativo agli asset frutto del patrimonio cognitivo dell’azienda, ma non direttamente afferenti alle risorse umane. Il capitale strutturale si divide, a sua volta in capitale cliente, che contempla il valore del marchio e delle relazioni con i clienti e capitale organizzativo. Quest’ultimo può essere suddiviso in capitale di processo, relativo ai processi organizzativi e di business interni all’impresa e capitale d’innovazione che rappresenta l’insieme delle risorse organizzative alla base delle capacità innovative dell’impresa.

Il modello Value Scheme, pertanto contempla quattro asset intangibili fondamentali: il capitale umano , il capitale cliente , il capitale di processo ed il capitale di innovazione. Esso può essere usato per definire un coerente insieme di parametri e indicatori, di natura soprattutto intangibile, tra loro strettamente connessi, in grado di esprimere un profilo del processo e delle capacità di produrre valore.

Il sistema sviluppato ed i suoi risultati*

Sulla base del modello Value Scheme, Skandia ha sviluppato il cosiddetto Business Navigator, un portale all’interno del quale vengono mostrati in maniera integrata gli indicatori di natura finanziaria insieme agli indicatori relativi al capitale intellettuale (si veda figura sotto), rendendo possibile così un continuo monitoraggio di entrambi. I dati riportati dal Business Navigator riguardano il passato dell’azienda (stato finanziario), il presente (focus sui clienti, sulle persone e sui processi) e il futuro (capacità di innovazione).

fonte: Marr B., Schiuma G., Neely A. ‘Intellectual capital – defining key performance indicators for organizational model assets’, Business Process Management Journal Vol. 10 No. 5, 2004

(continua)

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Il nome di Business Navigator fu scelto perché Skandia intendeva dare alle persone l’idea della navigazione all’interno di un insieme di misure delle vere risorse, capacità e potenzialità dell’organizzazione (intellectual asset). Seguendo il modello a partire da un indicatore (parametro obiettivo) si arriva ai fattori che ne determinano il valore, potendo constatare le variazioni delle risorse intangibili dell’azienda e dunque l’incremento o diminuzione del suo valore complessivo.

Gli elementi chiave del capitale intellettuale nel sistema Business Navigator sono i prodotti/servizi offerti, il brand, i clienti, la distribuzione, i concorrenti, il sistema informativo, il sistema di management e i partner. Il tutto viene razionalizzato mediante l’identificazione di alcuni indicatori-chiave - circa trenta - che vengono monitorati costantemente ogni anno e riportati in allegato al bilancio contabile tradizionale.

Concentrare l’attenzione sui fattori intangibili di creazione di valore ha prodotto il duplice risultato di aumentare sensibilmente il valore complessivo dell’impresa e di offrire al management uno strumento adatto alla gestione degli asset intangibili. Infatti, dopo la prima pubblicazione del bilancio del capitale intellettuale (intellectual capital report), la quotazione in borsa del titolo Skandia ottenne performance superiori alle attese.

Il Business Navigator ha permesso di trasformare gli obiettivi di business in fattori misurabili che, a loro volta, sono stati collegati direttamente con il lavoro svolto dal capitale umano. Gli investimenti effettuati per rinnovare e sviluppare il capitale umano ed il capitale di processo sono stati quelli che hanno condotto al successo finanziario. In questo quadro il Business Navigator ha supportato i processi di business planning dell’azienda allo scopo di gestire e indirizzare l’organizzazione nei confronti del futuro, evidenziando e rendendo facilmente visibili le relazioni tra gli asset intangibili e la crescita e l’aumento di competitività dell’azienda. Inoltre, il Business Navigator ha consentito e consente tuttora di ottenere: una visione ed una strategia globale di supporto; indicatori bilanciati in ogni area d’interesse; il coinvolgimento di tutta l’organizzazione; il mantenimento delle variabili ritenute strategiche attraverso la misurazione degli indicatori scelti; la valutazione critica delle relazioni tra gli indicatori e le performance ottenute; la capacità di valutare la completa aderenza del modello agli obiettivi ad ogni livello dell’organizzazione.

*Ruffolo M. ‘Tecnologie informatiche per la gestione della conoscenza e del capitale intellettuale’ http://dns2.icar.cnr.it/ruffolo/files/Dispensa%20-%20Ruffolo.pdf

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2.4.2. Intellectual Capital Index

L’IC Index è un esempio di strumento di misurazione del capitale intellettuale di “seconda generazione”, che cerca di consolidare tutti i diversi indicatori individuali in un unico indice e di correlare le variazioni di capitale intellettuale con i cambiamenti del mercato (Roos, Roos, Dragonetti e Edvinsson, 1997 ). Il modello è stato creato da Göran e Johan Roos della società londinese Intellectual Capital Services.

Secondo gli autori, i modelli di seconda generazione migliorano la visualizzazione dei processi di creazione del valore dell’azienda che possono quindi essere gestiti globalmente. Infatti, questa sintesi consente ai manager di valutare la situazione del Capitale Intellettuale di una società in modo olistico, invece di avere lunghi elenchi di singoli indicatori che richiedono alle aziende di comprendere le priorità e le relazioni che esistono tra le diverse misure.

L’approccio si basa su un albero di distinzione del capitale Intellettuale che si divide in capitale umano e capitale strutturale, separando il patrimonio di conoscenze pensante dal non-pensante15

. In altre parole, la conoscenza insita nei dipendenti è separata dal patrimonio di conoscenze strutturali di una società. Il capitale umano è ulteriormente suddiviso in competenza (vale a dire competenze e istruzione), comportamento (cioè le componenti comportamentali di lavoro dei dipendenti) e proprietà intellettuale (cioè la capacità di innovazione dei dipendenti). Il capitale strutturale è considerato invece un aggregato di capitale relazionale (cioè le relazioni che una azienda intrattiene con clienti, fornitori, alleati, azionisti e altri stakeholder), capitale organizzativo (vale a dire tutte le fonti di dati organizzativi - ad esempio, manuali di processo, cultura e stili di gestione) e valore di rinnovamento e sviluppo (cioè l’aspetto intangibile di tutto ciò che potrebbe generare valore in futuro, ad esempio investimenti in formazione, sforzi di reingegnerizzazione e ristrutturazione, ricerca e sviluppo).

15 Marr B., Schiuma G., Neely A. ‘Intellectual capital – defining key performance indicators for organizational model assets’, Business Process Management Journal Vol. 10 No. 5, 2004. Le immagini del presente paragrafo sono tratte dal medesimo testo

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Il modello suggerisce di consolidare tutte le diverse misure IC in un singolo indice o almeno in un piccolo numero di indici. In questo modo è possibile fornire un quadro completo dell’Intellectual Capital di un’azienda che consenta sia un confronto interaziendale, sia monitoraggio del rapporto tra l’IC e il capitale finanziario di un’organizzazione.

Al fine di definire un indice IC, l’organizzazione deve identificare ed elencare le misure più importanti per il capitale intellettuale, così come descritto. La lista d’indicatori per misurare l’assetto organizzativo IC dovrebbe essere classificato e, per ogni categoria di IC, dovrebbero essere selezionati solo pochi indicatori significativi. Una volta che l’elenco d’indicatori significativi è stato definito, ogni indicatore deve essere espresso attraverso un numero adimensionale. A questo punto il processo di consolidamento può iniziare: gli indicatori scelti devono essere ponderati e sintetizzati in un unico indice.

Ci sono tre fattori principali che influenzano il processo di selezione di indicatori che l’azienda deve affrontare: la strategia, le caratteristiche dell’impresa e le caratteristiche del business in cui opera l’azienda. Gli autori propongono uno schema semplice (si veda figura sotto) che indica il ruolo in termini di importanza dei diversi fattori nella scelta delle forme di capitale, dei pesi e dei singoli indicatori.

Vantaggi e Svantaggi

L’Intellectual Capital Index consente alle aziende di misurare quanto i cambiamenti nel mercato o cambiamenti di altri indicatori di performance siano correlati con le variazioni del proprio capitale intellettuale.

Può quindi essere utilizzato dal management come strumento per testare alcune ipotesi su quanto lo sviluppo dell’intellectual capital impatti sulla struttura nel suo complesso. È cruciale che il management condivida quali forme di IC siano più importanti per le organizzazioni e quali forme di IC possano guidare l’azienda verso una performance sostenibile.

L’utilizzo di un indice aggregato rende difficile individuare ed analizzare nel dettaglio i fattori chiave del business. Inoltre, la scelta dei coefficienti per ciascuna delle diverse misure viene lasciata alla valutazione soggettiva del management che potrebbe non riuscire a valutare se e quanto l’indice rispecchi

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correttamente l’IC reale dell’organizzazione. Questo rischio tuttavia può essere almeno in parte evitato quanto più il management si allinea circa il sistema di ponderazione e offre quindi un contributo di valore a questo approccio.

L’Intellectual Capital Index non consente la comparabilità delle valutazioni fra aziende diverse né all’interno della medesima industry, perché l’IC Index viene realizzato da ciascuna azienda con misure e pesi differenti.

2.5. Metriche atomistiche / non-finanziarie

Questo quadrante ospita i sistemi di reportistica che osservano, misurano, riportano ed integrano singole componenti costitutive del business di una organizzazione e ne restituiscono una valutazione espressa non in termini economico-finanziari (dollari, euro, ecc.), ma attraverso specifici indicatori.

Vengono qui di seguito descritti:

• AMERICAN NATIONAL STANDARD: sistema di misurazione misto che richiede ad una organizzazione di produrre evidenze su 6 differenti aree con indicatori soprattutto di carattere non finanziario, integrati da alcuni di ambito finanziario

• BALANCED SCORECARD: approccio che associa numerosi indicatori di efficacia in unico modello, bilanciando le tradizionali misure finanziarie con misure operative legate a fattori critici di successo per l’azienda.

• WORLD INTELLECTUAL CAPITAL INITIATIVE (WICI-KPI’s): indicatori che possono essere di tipo finanziario o, per lo più, di natura non/extra-finanziaria e che perseguono la finalità di essere standard market-oriented di settore piuttosto che indicatori specifici per ogni singola azienda.

2.5.1. American National Standard

L’American National Standard per la misurazione del capitale umano comprende una serie di metriche analitiche che ne riflettono il valore in termini finanziari, coerenti con quelle attualmente in uso e comunemente rispettate nelle comunicazioni che società finanziarie, contabili e di altre industry producono a vantaggio dei propri investitori e stakeholder.

Il modello che di seguito viene descritto è stato sviluppato dal ANSI (American National Standards Institute), un’organizzazione privata non a fini di lucro che produce standard industriali per gli Stati Uniti; fondata nel 1918 su iniziativa della American Society of Electrical Engineers (oggi IEEE), in accordo con altre associazioni professionali, è oggi membro dell’ISO e dell’IEC.

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Lo standard prevede che le organizzazioni producano evidenze su 6 differenti aree (e se decidono di evitare un’area dovrebbero motivare la scelta):

1. Spese per il capitale umano

Questa misurazione prevede di dichiarare tre diverse tipologie di spesa e utilizza due metriche aggiuntive, con l’obiettivo di quantificare la spesa totale di una organizzazione sulle persone e offrire raffronti con altre misure finanziarie standard utilizzate comunemente per valutare un’organizzazione

a. totale dei costi del personale (salari, benefit, imposte sui salari, stock option, pensionamento, tasse per payroll, assicurazione medica, ecc.)

b. totale speso a sostegno dei dipendenti: i costi variabili o incrementali che una organizzazione sostiene a vantaggio delle persone (real estate, forniture, information technology, trasporti, ecc.)

c. totale delle spese in sostituzione dei dipendenti: costi relativi all’utilizzo di outsourcing (leasing, agenzie di lavoro temporaneo, ecc.)

d. (parametro aggiuntivo) totale delle spese per investimenti in formazione e sviluppo: il totale delle spese dirette per l’apprendimento in realtà è già incluso nelle tre categorie descritte, ma isolare questa spesa consente di prendere decisioni consapevoli su investimenti in formazione e sviluppo (stipendi di chi si occupa di apprendimento, costi di viaggio, costi amministrativi, altri costi di sviluppo non salariali, altre spese per la delivery non-salariali, attività in outsourcing, ecc)

e. (parametro aggiuntivo) totale organico e totale del Full Time Equivalent in un determinato periodo (quest’ultimo inteso come ore totali effettive lavorate / ore massime in un programma full-time)

2. Capacità di trattenere i Talenti

Questa misurazione fornisce un indicatore importante per determinare le potenzialità di una organizzazione: una scarsa retention dei talenti potrebbe compromettere la capacità di un’organizzazione di raggiungere i suoi obiettivi, mentre l’aumento del turnover potrebbe indicare scarsa fiducia da parte dei dipendenti. La misurazione comprende:

a. turnover totale e volontario: il turnover totale comprende tutti i turnover, a prescindere dalle motivazioni; il turnover volontario comprende qualsiasi turnover determinato da una scelta del dipendente (per esempio normali dimissioni, pensionamento anche anticipato, ecc.)

b. suddivisione dei valori di turnover secondo i criteri di classificazione del lavoro stabilite dalla Equal Employment Opportunity Commission, se significativi a livello statistico per la singola organizzazione

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c. indice pari a: numero di collaborazioni terminate in un determinato periodo / media dell’organico attivo durante il medesimo periodo

3. Grado di leadership

Questa misurazione valuta la prontezza da parte di un’organizzazione a gestire con efficacia successioni in ruoli chiave sia pianificate che non pianificate. Si esprime come percentuale delle posizioni chiave con successione sulle posizioni chiave totali. Organizzazioni con una panchina lunga sono pronte ad affrontare repentini cambi di leadership senza che il business attuale e futuro ne risenta. La misurazione comprende:

a. percentuale di posizioni che hanno una successione definita: ogni organizzazione deve definire una serie di posizioni chiave come riferimento per valutare il proprio grado di leadership. Anche in questo caso lo standard di riferimento è definito dalla Equal Employment Opportunity Commission. Sono accettati anche movimenti in orizzontale per la successione, benché questo possa falsare in positivo il grado di prontezza complessivo dell’organizzazione

b. percentuale di posizioni aperte, coperte con sole risorse interne in un determinato periodo

Questo standard richiede informazioni solo per ruoli come Dirigente, Responsabile di Funzione e Manager. Le organizzazioni sono incoraggiate ad ampliare la loro classificazione delle posizioni chiave anche oltre il requisito minimo: questo garantisce una restituzione ancora più accurata del grado di leadership.

4. Qualità della leadership

Questa misurazione valuta se l’organizzazione disponga di efficaci pratiche di leadership, attraverso una raccolta sistematica di dati ed informazioni. La misurazione prevede:

a. risultati a domande rilevanti attraverso una survey

b. informazioni relative al grado di risposta e alle metodologie/strumenti

L’indice di qualità della leadership dovrebbe essere basata su una serie di domande che indagano la qualità dei capi attraverso differenti prospettive:

• Visione: sanno promuovere una visione condivisa e convincente?

• Allineamento: sanno fornire una chiara direzione che collega l’impegno individuale alla direzione strategica?

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• Capacità di guidare verso il successo: sanno guidare verso il raggiungimento di obiettivi sfidanti?

• Collaborazione: sanno creare un’atmosfera di collaborazione e sono disponibili ad ascoltare suggerimenti da parte dei dipendenti?

• Innovazione: sono aperti a nuove idee?

5. Livello di ingaggio dei dipendenti

Questa misurazione consente di capire se i dipendenti siano ingaggiati nei confronti del proprio lavoro, attraverso una raccolta sistematica di dati ed informazioni dai dipendenti. La misurazione prevede:

a. risultati a domande rilevanti attraverso una survey

b. informazioni relative al grado di risposta e alle metodologie/strumenti

L’indice di ingaggio dei dipendenti dovrebbe essere basato su una serie di domande che coprono temi come:

• Impegno: si impegnano per garantire prestazioni eccellenti?

• Obiettivi: hanno obiettivi chiari?

• Sostegno: hanno il sostegno necessario per raggiungere i loro obiettivi?

• Sviluppo: hanno il sostegno necessario per sviluppare le proprie capacità?

6. Analisi e annotazioni sul Capitale Umano

L’obiettivo di questa sezione è di fornire al management la possibilità di discutere e valutare come il capitale umano dell’organizzazione crei valore e di individuare e valutare la natura e le implicazioni dei rischi connessi. La sezione comprende:

a. descrizione del contesto cui i dati presentati fanno riferimento

b. presentazione di ulteriore materiale informativo sul capitale umano

Questa sezione deve fornire tutte le informazioni necessarie per aiutare gli investitori ad interpretare le metriche e di prevedere i futuri risultati. L’organizzazione deve mettere a disposizione qualsiasi materiale informativo relativo al capitale umano. Questa sezione consente di discutere delle minacce esterne e interne e dei rischi che possono avere un impatto negativo sul valore derivato dal capitale umano dell’organizzazione.

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Vantaggi e Svantaggi

Stabilire come misurare il valore del capitale umano e quali indicatori includere nelle comunicazioni agli investitori è fondamentale per presentare un quadro completo delle performance e dello stato di salute di una organizzazione. Il modello American National Standard ha il vantaggio di rappresentare il capitale umano attraverso una serie molto ricca ed articolata di prospettive; inoltre è un sistema misto che prevede di utilizzare in gran parte metriche non finanziarie (per es. per valutare la qualità della leadership o il livello di ingaggio dei dipendenti), ma anche metriche finanziarie (per quantificare le spese che una organizzazione sostiene per il proprio capitale umano), così come utilizza un approccio quantitativo e qualitativo. Grazie a questa ricchezza, lo standard si adatta sia ad imprese private, sia a quelle no-profit, sia al settore delle Pubblica Amministrazione.

Nella scelta degli indicatori per il capitale umano, gli sviluppatori hanno cercato di cogliere le metriche più rilevanti per gli investitori, generalmente prodotte da tutte le aziende e facilmente reperibili: per questo si pensa che le organizzazioni non dovrebbero avere grossi problemi ad aderire a questo standard.

American National Standard è un sistema aperto: non impone parametri precisi, ma si limita a suggerire di garantire la comparabilità dei dati fra aziende

Per costruire strumenti di rilevazione efficaci (utili per i punti 4. e 5.), le organizzazioni possono tenere presenti alcune linee guida:

• Comparabilità: quanto più le organizzazioni utilizzano lo stesso sistema di raccolta dei dati, tanto più gli investitori saranno in grado di operare confronti diretti. Nel corso del tempo, diventa anche possibile ‘normalizzare’ i risultati, in modo da identificare scostamenti rispetto alla media

• Validità: le organizzazioni dovrebbero scegliere un metodo di raccolta dei dati in cui vi siano prove che i risultati sono effettivamente correlati con i risultati di business e non sia ragionevole presumere che si tratti di casualità

• Trasparenza: le organizzazioni devono dichiarare quale sia il contenuto delle domande poste ai dipendenti, se sia stato utilizzato il metodo di un particolare fornitore, quale metodo sia utilizzato per il calcolo dell’indice e quale la percentuale dei dipendenti che hanno risposto al sondaggio

• Coerenza: lo stesso indice dovrebbe essere mantenuto nel tempo. Nel caso una organizzazione decida di modificare l’indice, nell’anno del cambiamento dovrebbe riportare i risultati di entrambe le misurazioni (la nuova e la vecchia)

• Area di applicazione: l’indagine dovrebbe riguardare un campione ampiamente rappresentativo dei dipendenti

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differenti e/o all’interno dello stesso settore di attività. Le organizzazioni che scelgono una metodologia molto customizzata sono in grado di mostrare cambiamenti nel corso del tempo, ma non di offrire paragoni con altre organizzazioni e questo rischia di compromettere l’affidabilità stessa del dato offerto. In generale si consideri che quanto più gli investitori accumulano esperienza nell’interpretare le informazioni e quanto più si generano serie storiche di dati, tanto più le metriche diventano utili.

Oltre al tema della comparabilità dei dati, un altro limite sono i potenziali costi per l’implementazione (in termini economici, ma anche di tempo ed energie): le dimensioni da indagare sono tante (ben 6) e ciascuna dimensione prevede la scelta di parametri e la costruzione di sistemi di misurazione adeguati (per es. la scelta delle posizioni chiave per valutare il gradi di leadership o la costruzione di survey per verificare il livello di engagement dei dipendenti, ecc.) che alla prova dei fatti potrebbero richiedere ulteriori messe a punto.

2.5.2. Balanced Scorecard

Il sistema Balanced Scorecard (BSC) è stato creato da Robert Kaplan e David Norton per fornire ai manager una traduzione della loro missione e della strategia dell’organizzazione in una serie completa di misure di performance che restituiscono il quadro di una misura strategica e un sistema di gestione.

Il BSC è focalizzato al raggiungimento di obiettivi finanziari, ma comprende anche i driver di rendimento di tali obiettivi finanziari. Oltre a tenere traccia dei risultati finanziari, il BSC controlla contemporaneamente i progressi nella costruzione delle capacità e l’acquisizione di beni immateriali per la crescita futura (Kaplan e Norton, 1996).

Il BSC parte dal presupposto che la capacità di una società di mobilitare e sfruttare i suoi tangible ed intangible asset sia diventata molto più decisivo della mera attività d’investimento e di gestione delle risorse fisiche. Osserva l’organizzazione da quattro punti di vista e suggerisce come sviluppare metriche, raccogliere i dati e analizzare ciascuna di queste prospettive.

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fonte: www.semq.eu/leng/permanbsc.htm

L’equilibrio proposto dal modello dovrebbe avvenire tra le azioni esterne per gli azionisti e clienti e le misure interne dei processi aziendali critici come l’innovazione, l’apprendimento e la crescita; così come tra misure di risultato relativamente oggettive e le misure discrezionali motore di performance. Infatti il modello integra misure di risultato interne (prospettive dei processi e dell’apprendimento)16

Numerosi autori (Songini e Pistoni 2002, Antonelli 2004, Bartezzaghi, Raffa e Romano 2003) affermano che la caratteristica principale dei sistemi di reporting sia affiancare a misure globali e parziali del valore alcuni indicatori che rappresentino l’impatto sul valore futuro delle decisioni che il management decide di intraprendere. L’obiettivo è quello di disporre di sistemi di reporting che, mediante la rappresentazione ‘del presente’, consentano di ‘capire e influenzare il futuro’.

, con misure di risultato esterne (prospettive economiche-finanziarie e dei clienti), misure su fenomeni che hanno un impatto di breve termine (prevalentemente rilevati nell’ambito delle prospettive economiche-finanziarie e dei clienti) con misure su fenomeni caratterizzati da effetti di medio/lungo termine (prevalentemente rilevati nell’ambito delle prospettive di processi interni e dell’apprendimento), tra misure finanziarie e non finanziarie, tra indicatori ex-post e indicatori di tendenza (o performance driver).

In questo senso il sistema Balanced Scorecard conserva le tradizionali misure economico-finanziarie. Tuttavia queste non sono in grado di valutare contemporaneamente il valore generato e generabile dall’impresa, perché sono indicatori ex-post: pur fornendo indicazioni utili sulle prospettive future dell’azienda, rimangono misure di un risultato passato che non possono dare 16 Sansonetti F., (2002), Il riorientamento del controllo di gestione verso il performance management, in Amministrazione & Finanza Oro, n. 1, Gennaio- Febbraio.

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alcuna indicazione sulle modalità con le quali influenzare i risultati prospettici17

Vantaggi e Svantaggi

. Per questo le misure economico-finanziarie vengono integrate con misure relative ai cosiddetti performance driver proiettati al futuro. Quest’ultimi sono indicatori di tendenza, che segnalano cosa sia necessario fare oggi per creare valore domani.

Secondo Fruci e Gnam18

• Il modello implica un sistema top-down di controllo, dove le strategie sono formulate dal top management. La Balanced Scorecard rischia di ottenere un commitment solo superficiale da parte delle altre persone nell’organizzazione e può generare alcune difficoltà nel realizzare l’allineamento dei comportamenti individuali verso gli obiettivi strategici. Spesso il middle management partecipa alla sua costruzione in modo burocratico e quindi non è adeguatamente coinvolto nella sua implementazione

questi sono i principali nodi problematici:

• Possono sorgere problemi nella scelta degli indicatori e nel loro collegamento con gli altri sistemi di controllo aziendale. Accade spesso che gli indicatori non siano individuati in coerenza con la strategia aziendale, ma siano scelti in base agli indicatori già presenti in azienda. Inoltre, nonostante le nuove tecnologie informatiche, la misurazione sistematica di tali indicatori spesso non risulta agevole, in quanto richiede un coinvolgimento ed un impegno continuo di tutte le funzioni aziendali

• Se l’impresa introduce lo strumento senza aver chiarito i comportamenti che intende intraprendere e senza aver a disposizione le risorse necessarie (umane, tecnologiche e finanziarie) può trovarsi di fronte a un drammatico fallimento del progetto dalle conseguenze non del tutto prevedibili

• Nonostante la molteplicità di indicatori, il modello tende a porre un accento ancora forte sulle misure economico-finanziarie e focalizzate sull’interno. Tre delle quattro prospettive previste si focalizzano sull’impiego delle risorse interne, vale a dire sulle relazioni causa-effetto che caratterizzano i meccanismi interni dell’azienda

• Esiste un’intrinseca difficoltà della Balanced Scorecard ad identificare, interpretare e misurare realmente il patrimonio intangibile dell’azienda e in particolar modo il patrimonio delle conoscenze. Un suo limite riguarda proprio le risorse umane: il modello le considera infatti come elemento

17 Songini L. ‘Reporting e valore. Misurazione della performance aziendale’, Egea, 2002 18 Fruci M., Gnam L. ‘Balance Scorecard e Capitale Intellettuale. Verso la definizione di un modello di riferimento’, Quaderni di Management, Marzo 2009

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integrato all’interno della prospettiva di apprendimento e crescita, la quale spesso sottostima la valorizzazione e le conoscenze delle persone, soprattutto nelle aziende che operano in quei settori dove le competenze professionali e manageriali sono di estrema importanza

Analogamente all’Intellectual Capital Index, la BSC è concepita come un documento interno, questo fatto rende eccessivamente difficoltosa la sua comparazione con analoghi documenti di aziende concorrenti, quindi viene a mancare un suo possibile utilizzo comparativo o con finalità di benchmarking oltre che come strumento predittivo e di valorizzazione dell’azienda che lo adotta.

Tuttavia BSC rappresenta una risposta agli inconvenienti derivanti da un approccio tradizionale alla misurazione della performance e rappresenta uno dei più efficaci sistemi di management strategico per l’implementazione della strategia a lungo termine e per l’allineamento strategico delle risorse agli obiettivi, creando un ambiente organizzativo più orientato all’apprendimento che non al controllo, come altri strumenti già menzionati.

2.5.3. World Intellectual Capital Initiative (WICI) e WICI KPIs

Il World Intellectual Capital Initiative (WICI) è un Network globale che mira a costruire una cornice teorica ai fini dell’attività di business reporting. L’obiettivo del network è quello di promuovere un processo collaborativo per lo sviluppo dei Key Performance Indicators (KPIs) tipici dei vari settori, intesi quali importanti elementi informativi a includere nel Business Reporting. I WICI-KPIs possono essere di tipo finanziario o, per lo più, di natura non/extra- finanziaria, e perseguono la finalità di essere market-oriented standard di settore piuttosto che indicatori specifici per ogni singola azienda.

Il presupposto è che le informazioni non-finanziarie contenute nei report finanziari siano spesso difficilmente comparabili, affidabili ed efficaci dal momento che i commenti dei manager relativi all’andamento del business sono spesso non uniformi, non esaustivi e non documentati da misure/indicatori ad hoc. Per sopperire a questo problema, WICI ha sviluppato un ampio Framework per il Business Reporting, che implica sia una comunicazione quantitativa, sia in forma narrativa finalizzata ad aumentare la rilevanza e la trasparenza delle informazioni che vengono divulgate dalle aziende.

Tale quadro concettuale comprende:

• una struttura complessiva degli elementi comunicati

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• gli elementi necessari e le connesse definizioni, includendo le descrizioni narrative e i WICI-KPIs sia specifici per settore che generici maggiormente utilizzati

• le tassonomie che possano facilitare la predisposizione della informativa e la sua comprensione ed analisi da parte dei suoi utilizzatori

Il Framework WICI include ampie informazioni sviluppate in collaborazione ed a favore degli operatori di mercato con riferimento a ciò che è regolato e volontario, ed è concepito per essere sufficientemente flessibile e rilevante per diversi stakeholder. È inoltre rivolto a favorire l’emergere di best practice per la comunicazione di informazioni narrative, così come definizioni standard per i più frequenti KPIs che vengono utilizzati per rendere massimo il valore delle informazioni quando comunicate in aggiunta alle tradizionali misure e informative economico-finanziarie.

Secondo il WICI, i KPIs:

1. devono essere rappresentati come indicatori numerici (metriche) riferiti ai fattori critici di creazione del valore e supportare la rappresentazione della strategia in relazione alle future performance finanziarie ed economiche

2. hanno differenti caratteristiche rispetto a quelli richiesti dalla società civile (c.d. Environmental, Social and Governance Indicators – ESG) per verificare i propri obiettivi e propositi, ma ciò nonostante vi possono essere delle sovrapposizioni

3. danno sostanza agli indicatori frequentemente utilizzati da un settore e compresi nel Business Reporting Framework del WICI. Si pongono quindi l’obiettivo di aiutare le aziende e/o il settore a meglio comunicare le proprie potenzialità di creazione del valore

In relazione al loro ambito di rilevanza i KPIs possono essere raggruppati in tre classi: general KPIs, industry-specific KPIs e company-specific KPIs.

Come primo passo, l’approccio WICI sviluppa un set di KPIs specifici per settore, per poi identificare tra questi gli indicatori comuni a tutti i settori sulla base del risultato della loro applicazione.

I KPIs vengono classificati anche sulla base della natura delle risorse critiche per la creazione di valore da parte delle aziende (che in molti casi possono essere intangibili): capitale umano, capitale relazionale e capitale/capacità organizzative. I WICI-KPIs coprono tutte queste categorie. Parallelamente a queste, esistono anche categorie di risorse tangibili.

All’interno di ciascun elemento di creazione del valore, i KPIs possono riferirsi a varie e specifiche tipologie, ad esempio: leadership, innovazione, selezione,

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coesistenza nella società, relazioni/potere di negoziazione esterna, teamwork, processi e conoscenze organizzative, risk management, corporate governance.

I fattori relativi alle categorie ESG (Environment, Social and Governance) sono anch’essi parte di questi elementi. I WICI-KPIs mantengono tuttavia il loro focus essenzialmente sui meccanismi di creazione del valore di aziende, settori e industrie. I KPIs possono quindi includere elementi riferiti a istanze sociali o ambientali. Tuttavia, l’approccio lascia intendere che questa tipologia di indicatori possa essere inclusa non in quanto fenomeni sociali di per sé, ma in quanto rilevanti per lo specifico meccanismo di creazione di valore di un’azienda (ad esempio, reputazione di mercato, con i clienti, o di carattere generale).

Di seguito possiamo osservare un schema del framework ed un primo esempio di settore per comprendere nella pratica l’approccio WICI (fonte: ‘Le nuove frontiere del business reporting’ in AIAF (rivista online) n.77, dicembre 2010)

WICI Framework versione 1.0

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Fashion industry’s core competencies & value chain

Fashion’s KPIs per core competences

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Vantaggi e Svantaggi

Il WICI prevede19

• identificare e migliorare la comunicazione delle più rilevanti informazioni aziendali, incoraggiando le imprese a divulgare i KPIs relativi al loro processo di creazione dei valore, ed evitando nel contempo una disclosure del tipo tick-the-box. Questo genererà un beneficio sia per le imprese stesse, sia per gli utilizzatori di queste informazioni

che una selettiva comunicazione dei WICI-KPIs da parte delle aziende possa nel tempo:

• fornire agli utilizzatori informazioni significative per le analisi, sostenendo lo sforzo delle imprese nel comunicare KPIs verificabili relativi alla strategia

• migliorare la comprensione delle implicazioni dei KPIs comunicati, aiutando le imprese a mostrare le connessioni tra tali KPIs e i meccanismi aziendali di creazione di valore e i risultati delle performance economiche, invece di presentare i KPIs in modo indipendente e non-correlato

• nonostante i costi iniziali di avvio (setting up costs), diminuire i costi finali di comunicazione e di gestione interna degli indicatori, esse concentrandosi sui più critici KPIs per le performance economiche, ciò aiutando le aziende a comunicare meglio le proprie intenzioni e strategie, e incoraggiando una disclosure focalizzata alla diminuzione dell’incertezza in merito alle attività dell’impresa, con potenziale riduzione della volatilità del valore del titolo in Borsa, nonché del costo del debito e del capitale

• offrire alle aziende la richiesta flessibilità nell’illustrare la loro natura economica e il modello di business, consentendo nel contempo di migliorare la comparabilità delle informazioni comunicate

• rendere disponibili agli investitori significative informazioni forward-looking per valutare e prevedere le performance dell’impresa

• porre gli stakeholder nella situazione di valutare in modo più facile e compiuto le performance delle imprese, questo potendo apportare positivi contributi alla crescita sostenibile delle aziende e della società nel suo complesso attraverso la collaborazione tra le stesse e i loro stakeholder

19 AIAF (rivista online) n.79, giugno 2011

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Capitolo 3.

INIZIATIVE A VANTAGGIO DEL CAPITALE UMANO E

IMPATTO SULLA COSTRUZIONE DI VALORE

3.1. Le iniziative di welfare aziendale e di formazione e sviluppo rafforzano il legame tra crescita del capitale umano e creazione di valore aziendale

In coerenza con la volontà di far chiarezza sul complesso legame tra capitale umano e valore, il presente capitolo presenta alcune iniziative a vantaggio del capitale umano in grado di creare valore, nonché lo stato dell’arte in termini di misurazione del loro impatto in termini organizzativi e - più in generale - di business.

Le iniziative scelte sono raggruppate in due grandi cluster logici: A) le iniziative di welfare aziendale e B) le iniziative legate alla formazione e sviluppo delle risorse umane.

Questi due insiemi d’iniziative (rispetto alla totalità di iniziative legate al capitale umano):

• generano impatti significativi su più ambiti della Human Value Chain20

• sono quelli maggiormente coerenti con le pratiche di Integrated Business Reporting, inteso come paradigma organizzativo e come strumento di trasparenza interna ed esterna

, ossia di una catena di creazione del valore delle risorse umane che parte dalla capacità da parte di un’organizzazione di attrarre talenti fino alla gestione virtuosa dell’uscita delle persone dall’azienda

Per welfare aziendale qui intendiamo un insieme d’iniziative promosse da una organizzazione di sostegno, solidarietà e/o investimenti sociali a finanziamento non-pubblico nei confronti dei propri dipendenti, rivolto in particolare a coprire nuovi rischi e a trovare nuovi equilibri di welfare, coinvolgendo in termini di produzione una vasta gamma di attori, collegati in reti con una forte relazione operativa con il territorio.21

Per formazione e sviluppo, si intendono tutte le attività di formazione volte all’apprendimento e sviluppo di competenze tecnico-specialistiche e

20 Per approfondire il concetto di Human Value Chain si veda: Boxall P. ‘Achieving competitive advantage through human resource strategy: Towards a theory of industry dinamics’, Human Resource Management Review. Vol. 8 Issue 3. 1998 21 Fiorentini G. ‘Crisi economica e welfare aziendale’ in www.industria.regione.lombardia.it/shared/ccurl/782/704/Intervento_prof._fiorentini.pdf

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comportamentali specifiche per lo svolgimento delle mansioni (attuali o potenziali), ai fini del raggiungimento degli obiettivi prefissati dall’impresa.

3.1.1. Welfare aziendale ed effetti economici e produttivi

In Italia il concetto di welfare aziendale o secondo welfare nasce come evoluzione del principio di conciliazione famiglia-lavoro e - più in dettaglio - delle problematiche occupazionali delle donne.

Gran parte dell’attenzione nei confronti di questo tema da parte di imprese ed enti locali verteva sulle tematiche connesse alla flessibilità del lavoro, volte a facilitare il rientro delle donne nel mondo del lavoro al termine dei periodi di maternità. Nel primo quinquennio del duemila furono realizzate le prime analisi sull’impatto di queste iniziative su alcuni indicatori di performance organizzativi.

La ricerca “Effetti economici e produttivi per l’azienda derivanti da misure per favorire la conciliazione”22

• riduzione dei costi del turnover e della ricerca di nuove risorse umane dal 31% al 63%

ha realizzato un’analisi costi-benefici sugli effetti economici riconducibili ad iniziative di conciliazione realizzate in imprese europee. La ricerca afferma che le iniziative di welfare aziendale sono ‘investimenti sostenibili ed economicamente vantaggiosi’, in quanto generano:

• riduzione dei costi complessivi per la realizzazione delle iniziative di conciliazione dal 55% al 78%

• ROI sull’investimento valutato al 15%-25% per la situazione reale e addirittura al 100-110% per la situazione aziendale ottimale (considerando il programma complessivo per la conciliazione come investimento nel tempo)

• riduzione del tempo di assenza per maternità (12 mesi nello scenario ottimale, 25 in quello reale, 36 per il base)

• incremento nella percentuale di ritorno al lavoro della mamme dopo la maternità in una percentuale pari all’80%

Negli anni le azioni riguardanti il welfare aziendale si sono evolute, anche grazie alla legislazione giuslavorista circa le nuove forme organizzative atte a regolamentare la flessibilità del lavoro e dare risposte sempre più complete, estendendo il tema dalle sole politiche occupazionali di genere a quelle della

22 Betriebswirtschaftliche Effekte familienfreundlicher Maßnahmen 2003-2004 Prognos, Berlino per conto del Ministero tedesco della Famiglia: www.bmfsfj.de

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conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita (work-life balance) di tutte le persone in azienda.

È stato introdotto un concetto allargato di welfare aziendale, all’interno del quale si possono inserire tutte le iniziative che in un’ottica relazionale cercano di migliorare il rapporto tra il lavoro e i dipendenti che vengono quindi considerati come stakeholder aziendali e soggetti sociali.

I piani di welfare rispondono ad una funzione di integrazione sussidiaria alle esigenze di varia natura dei lavoratori e/o delle loro famiglie, grazie alla messa a disposizione di risorse private aziendali (Carniol, Cesarini e Fatali, 2012). Molteplici gli ambiti di azione:

• Recruiting di Risorse Umane – accordi di solidarietà tra aziende per la riqualificazione professionale ed il reimpiego professionale

• Gestione Risorse Umane con Soluzioni e Servizi non-monetari a dipendenti e famiglie – servizi per il lavoratore su temi come alimentazione, lavoro (ad es. telelavoro e job sharing), assistenza famigliare, medica, legale, amministrativa, per la mobilità e per la cultura

• Gestione Risorse territoriali / network esterni a vantaggio dei dipendenti e famiglie – ad es. assistenza per anziani, bambini e disabili attraverso una rete di servizi convenzionati

Una recente ricerca23

• l’attenzione del 59% dei lavoratori si è spostata verso una crescente domanda di servizi piuttosto che sull’aspetto economico. I servizi primari e di maggiore interesse sono quelli legati a persona e nucleo familiare (88,5%), i buoni pasto e la mensa aziendale (57%), il telelavoro per organizzare e conciliare lavoro e vita privata (44,5%).

ha indagato il grado di soddisfazione rispetto alle iniziative di welfare aziendale, come percepito dai dipendenti in Italia all’interno delle proprie realtà lavorative. Le evidenze mostrano che:

• Il 38% delle persone si mostra favorevole all’incremento della produttività ed alla riduzione dell’assenteismo

• il 33% percepisce un rafforzamento del senso di appartenenza all’azienda

• un 32% ritiene il welfare aziendale un’iniziativa che valorizza il capitale umano e quindi una testimonianza di concreta attenzione da parte dell’azienda

23 Edenred 2011. Ricerca realizzata tramite 883 interviste online somministrate con metodo CAWI a un campione di dipendenti, collaboratori di imprese, enti italiani con almeno 16 dipendenti e non operanti nell’agricoltura e nelle miniere

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A livello territoriale vi sono già i primi interventi a sostegno di queste iniziative con la pubblicazione di bandi regionali (ad esempio quello lanciato dalla regione Lombardia quest’anno per la “Responsabilità sociale per la competitività dell’imprese”) in cui la dotazione finanziaria è subordinata ad interventi di welfare aziendale nelle seguenti aree:

1. Interventi legati alla persona (people care): strumenti di health care, health presence, interventi di mobilità sostenibile e benefit non monetari. Sono esempi di benefit non monetari quelli a sostegno del problema della “quarta settimana”, mediante accordi con fornitori di prodotti alimentari, scolastici, sanitari, ecc.; borse di studio; assicurazioni sanitarie integrative e rimborsi sanitari; convenzioni o organizzazione di servizi interni di consulenza e supporto legale e/o amministrativo; accordi con banche e istituti finanziari finalizzati a garantire servizi agevolati o di anticipazione finanziaria

2. Reti di solidarietà fra impresa e territorio finalizzate a sostenere il processo di transizione della crisi mediante azioni e servizi per la continuità dello sviluppo professionale, il reimpiego e la riqualificazione dei lavoratori nel contesto occupazionale territoriale di riferimento. Gli interventi prevedono la sperimentazione di modelli e processi di conoscenza e valorizzazione delle competenze professionali e personali dei dipendenti, finalizzate al miglioramento, allo sviluppo del capitale umano e ad un incremento della competitività della persona e dell’impresa sul mercato del lavoro

Le valutazioni da parte di un’impresa sull’opportunità di attivare iniziative di welfare aziendale cominciano ad introdurre nuovi elementi che esulano dalla valutazione di costo aziendale e/o benefici fiscali, mettendo sulla bilancia i vantaggi interni ed esterni generati da tali iniziative.

Secondo Tencati, Perrini e Pogutz, l’assunzione e l’adempimento di obblighi sociali contribuisce in misura significativa alla reputazione e alla creazione di un’immagine positiva dell’impresa nelle percezioni degli stakeholder (interni ed esterni)24. Ciò implica quale ulteriore beneficio il consolidamento della fiducia che gli stakeholder hanno nei confronti dell’impresa, contribuendo così a facilitare gli scambi e a ridurre i costi transazionali impliciti in ogni relazione25

Sciarelli (2007) ha elaborato in proposito il concetto di catena dell’affidabilità, che si sviluppa a partire dai comportamenti socialmente responsabili, guidati da

.

24 Tencati A., Perrini F., Pogutz S. ‘New tools to foster corporate socially responsible behaviour’, Journal of Business Ethics, vol. 53, n. 1-2, 2004. Da una ricerca empirica su un campione rappresentativo di imprese italiane è emerso infatti che i benefici per l’immagine aziendale risultano la motivazione prevalente, che spinge un’impresa ad adottare comportamenti socialmente responsabili, seguita dall’opportunità di migliorare le relazioni con la comunità locale 25 Pascucci F. ‘Responsabilità sociale e questione etica nell’impresa’, Sinergie n° 86. 2011

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principi etici, che consentirebbero all’impresa di guadagnare la fiducia e quindi la fidelizzazione dei propri stakeholder26

Secondo i ricercatori Borzaga e Becchetti

.

27 (2010) i benefit non strettamente economici riducono la probabilità dei dipendenti di cercare un altro lavoro e dunque è possibile riscontrare una riduzione di turnover degli stessi per l’azienda; mentre, secondo gli studi di Solomon e Hanson (1985), esiste una correlazione positiva tra le iniziative definite come socialmente responsabili e la corporate performance, in quanto i costi necessari ad attivare un altro livello di responsabilità sociale sono più che compensati dai benefici dovuti alla produttività dei dipendenti28

Il dibattito accademico tuttavia non è concorde nel valutare gli effetti di azioni di CSR sulla corporate performance:

.

• nelle ricerche di Margolis e Walsh29

• per Pavan e Krausz (1996) e Preston e O’Bannon (1997) esiste una correlazione positiva poiché esistono sinergie positive tra corporate performance e buone relazioni con gli stakeholder (Stanwick e Stanwick, 1998; Verschoor, 1998)

(2001), si afferma che nel 53% dei casi la relazione tra CSR (come variabile indipendente) e corporate performance è positiva; nel 24% dei casi non esiste relazione, mentre nel 5% dei casi la relazione è negativa

• per McWilliams e Siegel (2000) e Anderson e Frankle (1980) e Freedman e Jaggi (1986) non è possibile dimostrare alcuna relazione significativa tra CSR e corporate performance

Il controverso rapporto tra performance economica e performance sociale si spiega secondo alcuni studiosi con il paradosso della competitività, secondo cui la CSR impatta positivamente su alcune dimensioni della competitività, mentre influisce negativamente su altre (Handy, 2002). La soluzione di questo paradosso risiede nelle modalità con le quali le attività connesse alla CSR vengono gestite dal management. Qualora non vi sia un disegno strategico, frutto di una strategia deliberata, ma si proceda in modo occasionale e secondo una logica di breve periodo, è probabile che siano percepiti soltanto gli aspetti negativi delle politiche poste in essere. In tal modo non si riescono a cogliere le

26 Sciarelli S. ‘Etica e responsabilità sociale nell’impresa’, Giuffrè Editore, Milano, 2007 27 Borzaga C. e Becchetti L. ‘The economics of social responsibility’, Routledge, 2011 28 Fiorentini G. ‘Crisi economica e welfare aziendale’, in CERGAS e Bocconi. www.industria.regione.lombardia.it/shared/ccurl/782/704/Intervento_prof._fiorentini.pdf 29 Margolis J.D., Walsh J.P. ‘Misery Loves Companies: Whither Social Initiatives by Business’, Social Enterprise Series No. 19. Harvard Business School Working Paper Series, No. 01-058. 2001

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significative opportunità che l’impegno sociale può creare in un’ottica competitiva (Porter e Kramer, 2006).

A livello empirico è stato dimostrato che:

• il commitment organizzativo (derivante da iniziative come i piani di welfare aziendale) porta alla riduzione del tasso di turnover, in quanto i dipendenti committed (impegnati) nella loro organizzazione avranno ‘un forte desiderio di mantenere l’appartenenza alla organizzazione’ (Mowday et al., 1982). Altri studi (Mathieu e Zajac, 1990) dimostrano infatti che il commitment organizzativo è correlato in modo significativo con il tasso di turnover (-0,277), con l’intenzione di cercare alternative di lavoro (-0,599) e con l’intenzione di lasciare il lavoro (0,464)

• più un’azienda diventa capace di attrarre i migliori dipendenti e ridurre i tassi di turnover, più i suoi costi operativi si riducono (Num e Tan, 2010; Holliday, 2002).

Dalla valutazioni degli impatti all’attuazione di piani di welfare aziendale

Luxottica

Nel 2009 Luxottica, in accordo con le organizzazioni sindacali, ha deciso di varare un intervento a sostegno del potere d’acquisto delle famiglie dei 7.800 operai e impiegati che lavorano nei siti produttivi italiani. Questa intesa prevede accordi con le catene di retail per acquistare beni di uso primario, convenzioni con centri di medicina preventiva e diagnostica, cure odontoiatriche, pediatriche e specialistiche, aiuti per l'uso di mezzi di trasporto, interventi per l'istruzione scolastica, borse di studio e orientamento professionale. La stessa intesa contempla poi l'assistenza sociale di sostegno: aiuto alle famiglie nelle quali siano presenti portatori di handicap, di tossicodipendenti in comunità, di anziani.

Bracco

Con il progetto Welcome Welfare to Work il gruppo farmaceutico Bracco, al fine di migliorare la qualità della vita delle persone che lavorano in azienda, ha messo a punto un insieme di iniziative come programmi di medicina preventiva presso il Centro Diagnostico Italiano, permessi per studenti-lavoratori, borse di studio, assistenza domiciliare destinata a familiari bisognosi che vivono con il dipendente o soli e di cui il dipendente stesso deve prendersi cura.

(continua)

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Elettrodomestica Tironi

Con il progetto "Welfare Etm 2010" Elettromeccanica Tironi, un'impresa modenese con un centinaio di dipendenti attiva nel campo dei trasformatori elettrici, ha messo in campo un programma articolato a sostegno dei propri dipendenti: un insieme d’interventi per supportare il loro potere d’acquisto, per migliorare il loro rapporto tra tempi di lavoro e tempi di vita, per contribuire al loro benessere complessivo. Il programma (il cui processo d’implementazione è stato realizzato in due fasi, tra il 2009 e il 2010) offre ai dipendenti una base comune di agevolazioni che poi possono essere customizzate.

I lavoratori possono scegliere tra alcune opzioni: il programma di sostegno alla maternità e alla paternità, il servizio di assistenza socio-sanitario, i progetti di formazione o quelli per il tempo libero. Ogni dipendente (incluso il suo nucleo familiare) ottiene un rimborso parziale delle spese sostenute nella busta paga del mese in cui sono state consegnate le quietanze di pagamento o i giustificativi di spesa.

Lindt Italia

Le azioni che Lindt Italia ha rivolto verso i propri dipendenti, seppur non vengano definite formalmente come welfare aziendale, comprendono un corpus di iniziative e comportamenti socialmente responsabili.

Secondo il Direttore Risorse Umane (Italia): ‘il risultato di numerose azioni congiunte ha consentito all’azienda di raggiungere il 98% di retention e soltanto il 2% di turnover (con un’età media di 45 anni)’ […] ‘La nostra strada verso la misurazione deve ancora iniziare; tuttavia abbiamo mappato tutte le aree aziendali, definendo dove volevamo arrivare, le strategie e gli obiettivi per i prossimi 10 anni. Tutto questo lo abbiamo condiviso con le persone. Stringiamo un patto con le persone: chiediamo di fare un percorso insieme e focalizziamo insieme ai Collaboratori gli obiettivi individuali necessari per raggiungere quelli aziendali’.

Gruppo Loccioni

Gruppo Loccioni, azienda attiva nello sviluppo di sistemi automatici di misura e controllo, si impegna a sviluppare insieme alle proprie persone ‘una solida cultura d’impresa’. Un processo strutturato e condiviso segue il ciclo di vita personale e professionale delle persone. ‘L’abbiamo diviso in tre fasi’ racconta il Responsabile Risorse Umane. ‘La prima segue i ragazzi durante il periodo scolastico per promuovere lo sviluppo di competenze e individuare le eccellenze individuali (progetto Bluezone); poi li seguiamo quando diventano nostri collaboratori; infine stimoliamo (e supportiamo nel tempo) le persone che intendono creare una propria attività autonoma: in 40 anni oltre 800 persone hanno fondato degli spin off. Inoltre, grazie al Progetto Silverzone, persone che hanno superato i 65 anni diventano tutor per le risorse più giovani’.

‘Teniamo un monitoraggio costante su molteplici indicatori che poi pubblichiamo all’interno del nostro Bilancio Sociale. Ad esempio: il livello di motivazione, il numero di riconoscimenti che riceviamo per le attività sociali, il numero di nuovi brevetti, di nuove start-up, di nuove filiali internazionali’.

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Una volta che i piani di welfare vengono implementati sarebbe auspicabile controllarne gli effetti attraverso indicatori di performance appositi. Il modello American National Standard contiene un set di indicatori che potrebbero essere utili per monitorarne i risultati, purché essi vengano rilevati ex ante ed ex post, mentre le indicazioni contenute nell’approccio del WICI-KPI’s rappresentano una strada per visualizzare in modo integrato questo tipo di scelta strategica.

Un altro set d’indicatori utili per la misurazione degli effetti produttivi ed economici delle iniziative di welfare aziendale viene proposto dal modello che Fiorentini30

Per l’area denominata People care troviamo:

sviluppa seguendo la segmentazione delle iniziative proposta nei bandi regionali per la promozione della Responsabilità sociale per la competitività dell’imprese:

• Numero di dipendenti coinvolti / Numero dipendenti totali (per ogni servizio creato). Tramite questo indicatore si valuta quanti dipendenti vengono coinvolti per ogni progetto

• Numero dipendenti coinvolti anno t+1 / Numero dipendenti coinvolti anno t (per ogni servizio creato). Tramite questo indicatore si valuta quale è la percentuale di crescita di coinvolgimento del numero dei dipendenti nel tempo

• Impatto sociale monetizzato / Investimento totale. Tramite questo indicatore è possibile valutare il ritorno sociale derivante dall’investimento e dal finanziamento

• Incremento Numero di ore lavorative totali / Investimento totale. Tramite questo indicatore si valuta il ritorno economico dell’investimento effettuato in termini di ore lavorative aggiuntive rispetto all’anno precedente che i dipendenti aziendali svolgono

• Crescita / Decrescita turnover dei dipendenti anno t del progetto/Investimento totale. Tramite questo indicatore si valuta il ritorno economico dell’investimento effettuato in termini di maggiore fedeltà e motivazione del dipendente

• Utile derivante dal servizio / Investimento totale. Tramite questo indicatore si valuta il ritorno economico dell’investimento in termini di entrate e utili derivanti dalla vendita del servizio

Nell’area dei progetti per la comunità troviamo:

30 Fiorentini G. ‘Crisi economica e welfare aziendale’ in CERGAS e Bocconi. www.industria.regione.lombardia.it/shared/ccurl/782/704/Intervento_prof._fiorentini.pdf

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• Investimenti su ogni progetto dedicato alla comunità-territorio-collettività / Fatturato totale. Tramite questo indicatore si valuta la percentuale di investimento effettuato rispetto al fatturato totale

• Numero di persone beneficiarie / Numero persone totali nell’area (per classe o categoria rispetto ai beneficiari). Tramite questo indicatore si valuta la percentuale di coinvolgimento e di impatto sui beneficiari scelti

• Impatto sociale monetizzato / Investimento Totale. Tramite questo indicatore si valuta il ritorno sociale generato sulla comunità

• Numero vendite totali post progetto / Numero vendite totali ante progetto. Tramite questo indicatore si valuta il ritorno economico derivante da un quantitativo maggiore di vendite nell’area prescelta

• Crescita / Decrescita turnover dei dipendenti anno t del progetto-investimento totale. Tramite questo indicatore si valuta il ritorno economico dell’investimento effettuato in termini di maggiore fedeltà e motivazione del dipendente

3.1.2. Misurare l’impatto dei programmi di formazione

Secondo il rapporto dello stato industriale americano ASTD 2010, le organizzazioni statunitensi hanno speso 125.880 milioni dollari per la formazione dei dipendenti e per lo sviluppo professionale nel 200931

La domanda rappresenta ancora un dibattito aperto (Lien et al., 2007; Hashim, 2001). L’importanza di valutare l’attività di formazione in modo obiettivo e quantitativo è continuamente sottolineata nella letteratura sulla formazione aziendale (Noe, 2000; Swanson e Holton, 1999) e rappresenta un tema caldo soprattutto per le Direzioni Risorse Umane. Tuttavia, la valutazione della formazione è molto difficile e un’univoca best practice non è ancora stata identificata (McLean, 2005).

. In Italia questo dato non è disponibile, ma rimane valida la domanda: come misurare l’impatto di tali iniziative, al fine di giustificare gli investimenti di formazione?

Diversi modelli sono stati proposti (fra i più recenti si veda Swanson e Holton, 1999; Garvin, 1995). Il modello gerarchico di Kirkpatrick o dei 4 livelli (Kirkpatrick, 1976, 1994) sembra essere il modello maggiormente diffuso all’interno delle realtà aziendali, almeno in alcune delle sue parti costitutive. Esso propone la misurazione dell’efficacia delle iniziative di formazione attraverso quattro viste o livelli:

31 http://www.astd.org/content/research/stateOfIndustry.htm

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I. Reazione e/o Feedback dei partecipanti: misura quanto i partecipanti valutino positivamente l’intervento formativo e quanto sia stato rilevante l’intervento per il loro lavoro

II. Apprendimento: misura il livello di conoscenze, competenze, attitudini che i partecipanti acquisiscono dalla loro partecipazione alla formazione. La misurazione deve avvenire pre-intervento e post-intervento

III. Comportamenti: misura quanto i partecipanti applichino quanto appreso durante l’intervento di formazione quando ritornano nelle proprie attività quotidiane. Le misurazioni di solito avvengono dopo tre / sei mesi dopo l’intervento di formazione

IV. Risultati: misura il livello dei risultati raggiunti in seguito alla formazione e/o attività di rinforzo successive con indicatori legati al business (per esempio incrementi di produttività, livello di produzione, aumento delle vendite, diminuzione dei costi, miglioramento qualità, ecc.)

Numerose critiche sono state avanzate nei confronti di questo modello causale e gerarchico (Bates, 2004). Ai fini della nostra trattazione interessano soprattutto le evidenze empiriche che discutono di come affrontare il tema della misurazione degli impatti delle iniziative formative in relazione alla capacità di contribuire a generare valore attraverso benefici intangibili misurabili (Rowe, 1994).

Gli ambiti di particolare interesse sono:

• Fattori ambientali. Diversi studi hanno dimostrato che i fattori ambientali influenzano il legame tra II. e III. livello (Cannon-Bowers e al., 1995;. Ford e Kraiger, 1995; Salas e Cannon-Bowers, 2001; Tannenbaum e Yukl, 2003; Kontoghiorghes, 2001 , Holton e al., 2000;. Bates et al., 2000) chiarendo come i fattori ambientali influenzino il trasferimento delle conoscenze in nuovi comportamenti. Diventa quindi importante garantire alcuni condizioni almeno organizzative quali: il commitment del management, le infrastrutture a supporto (IT), il grado di collaborazione delle funzioni coinvolte, le richieste e/o obiettivi dell’impresa, il sistema di performance, ecc.

• Stime economiche. È difficile formulare una stima quantitativa dei costi e dei benefici delle attività di formazione (Allinger e Janack, 1989; McLinden, 2008, McLean, 2005). Phillips (2003) e Alam et al. (2008) propongono un modello basato su cinque livelli, aggiungendo al modello di Kirkpatrick l’utile sul capitale investito, come quinto e ultimo livello. Ma molti autori sottolineano che non è possibile effettuare misurazioni che consentano al Return on Investment (ROI) di essere valutato rispetto alle prestazioni immateriali (Rowe, 1994). I modelli presentati nel capitolo precedente

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possono offrire esempi da applicare nel caso si voglia misurare questi benefici immateriali

• Progettazione dell’iniziativa. Bates (2004) sostiene che non sia corretto affermare che il livello IV sia il più importante e che gli impatti su di esso siano il fine di ogni attività di formazione. L’autore afferma che la maggior parte delle iniziative di formazione hanno scarsa capacità di influenzare direttamente i risultati aziendali e che molte attività di formazione di breve durata o modesta (2-3 giorni) sono destinate ad avere un impatto limitato sui partecipanti coinvolti. Inoltre, l’assenza di impatto sul livello IV. potrebbe essere spiegata dalla scarsa efficacia della formazione e da un suo disegno non coerente in funzione degli obiettivi attesi. Al contrario, una formazione perfettamente progettata, ma erogata in modo errato su un target definito, porterà a scarsi risultati (ad esempio, se i partecipanti vengono formati su pratiche non comprese nei loro ruoli). Diventa fondamentale, dunque, presidiare il processo di progettazione delle iniziative, nonché implementare meccanismi di misurazione quali-quantitativi sistemici ex ante ed ex post

Recenti ricerche32

Maggior evidenza empirica esiste invece nell’identificare le attività di formazione e di sviluppo di competenze come uno dei più importanti driver per aumentare il livello d’ingaggio (engagement) dei propri dipendenti

dimostrano che esiste una correlazione positiva tra alcune tipologie di attività formative e il cambiamento nei comportamenti organizzativi, dimostrando che la relazione tra efficacia delle iniziative di formazione e l’aumento nella frequenza di un dato comportamento è influenzato sia dalla coerenza tra attività di formazione e ruolo delle persone in formazione, sia dal contesto in cui operano i partecipanti.

33

Numerosi studi infatti dimostrano quanto il livello d’ingaggio dei dipendenti sia estremamente correlato ad una serie di risultati di performance individuali, di gruppo e aziendali in ambiti come: assunzione, retention, turnover, produttività individuale, customer service, customer loyalty, crescita dei margini operativi e anche crescita dei ricavi.

.

34

Alcuni esempi di dettaglio:

32 Bartezzaghi E., Buganza T., Kalchschmidt M, 2011, ‘Measuring the knowledge transfer for an educational program: the PMP case in Finmeccanica’. In: CORREA H. Reno, Nevada, USA, april-may 2011 33 Il livello d’ingaggio (engagement) è una connessione intensa, emotiva ed intellettuale che un dipendente ha per la sua professione / il suo lavoro, l'organizzazione, i responsabili o collaboratori che, a sua volta, influenza lui / lei nell’applicare un ulteriore sforzo discrezionale alla sua professione / il suo lavoro. John Gibbons. ‘Employee Engagement. A review of current research and its implications’. The Conference Board. 2006 34 Idem

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• Bates (2004)35

• Fleming e al. (2005)

attraverso l’indagine condotta su un ufficio vendite di una compagnia di assicurazione ha dimostrato che la differenza a livello di produttività individuale (vendite) tra i dipendenti con un livello di engagement basso e quelli con engagement moderato è praticamente insignificante. Tuttavia, le persone con un livello di engagement elevato hanno ottenuto una performance commerciale superiore del 28% rispetto i dipendenti con basso livello di engagement e del 23% superiore rispetto i dipendenti con livello di ingaggio moderato

36

Nella fase iniziale dello studio, hanno determinato che ai clienti coinvolti emotivamente corrispondeva un incremento del 23% sulle vendite medie, mentre alla clientela emotivamente non ingaggiata un 13% di sconti

hanno esaminato i comportamenti della clientela generalmente soddisfatta e l’impatto sui loro comportamenti di acquisto da parte dei servizi di vendita con diversi gradi di engagement dei dipendenti. In primo luogo, i clienti si differenziano in due categorie: i clienti emotivamente ingaggiati e soddisfatti e i clienti emotivamente non ingaggiati e non soddisfatti

Nella fase successiva dello studio, ovvero quando sono stati considerati i livelli di ingaggio dei dipendenti, i comportamenti di acquisto dei clienti hanno subito un effetto moltiplicatore. Quando i reparti con i dipendenti ingaggiati vendevano ai clienti emotivamente ingaggiati, le vendite risultanti erano doppie rispetto a quelle dei reparti sia con i dipendenti non ingaggiati o con clienti non ingaggiati, e 3 o 4 volte superiori rispetto a quando entrambi i gruppi erano non ingaggiati

• In uno studio della Conference Board del 200337 dedicato alla relazione tra livello di ingaggio dei dipendenti e turnover volontario, è stata trovata una correlazione negativa (-0,43) tra il livello di engagement dei dipendenti di una società e il loro tasso di turnover volontario. Pont (2004) ha trovato che le aziende con alti livelli di engagement dei dipendenti hanno registrato tassi di turnover volontario di circa metà rispetto a datori di lavoro con livelli medi di engagement. Mentre il Corporate Leadership Council (2004)38

35 Bates S. ‘Getting Engaged’, HR Magazine, Febbraio. 2004

ha riscontrato come i dipendenti molto ingaggiati abbiano l’87% in meno di probabilità di lasciare le loro imprese rispetto ai loro omologhi colleghi non ingaggiati

36 Fleming F., Coffman C., Harter J. ‘Manage Your Human Sigma’, Harvard Business Review, Luglio-Agosto 2005 37 The Conference Board. ‘Linking People Measures to Strategy’, Research Report R-1342-03-RR. New York. 2003 38 Corporate Leadership Council. ‘Driving Performance and Retention Through Employee Engagement’, Research Summary. Corporate Executive Board. 2003

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Come misurare l’impatto della formazione al fine di giustificare gli investimenti effettuati? Non esiste una risposta univoca alla domanda dalla quale siamo partiti. Tuttavia è possibile asserire che i benefici tangibili possano essere riscontrati per mezzo del livello d’ingaggio dei dipendenti, variabile quest’ultima alla quale la formazione contribuisce in maniera diretta.

Alcuni sistemi di misurazione descritti nel capitolo precedente prevedono indicatori per le attività di formazione e sviluppo delle competenze in modo specifico (es. Intellectual Capital Index, Intellectual Capital Rating, American National Standard). Si consideri in particolare come il metodo ROI delle Risorse Umane si proponga come specifica misurazione delle iniziative di formazione interna di un’organizzazione.

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CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Le organizzazioni (nei valori e nei bilanci) dichiarano la propria attenzione nei confronti delle persone, ma non sempre questi proclami testimoniano l’esistenza di politiche efficaci a favore del capitale umano e dello sviluppo del suo valore. Se manca una progettualità concreta in questo campo, le iniziative rimangono sporadiche e non in grado di portare il risultati attesi. La fattibilità di queste iniziative non dipende solamente dalla valutazione dei costi associati: ancora più importante è che l’organizzazione orienti le proprie scelte in funzione d’una analisi dei benefici – economici e non – che ogni iniziativa o possibile investimento a vantaggio delle persone potrebbe generare.

Storicamente, la Funzione Risorse Umane e la Funzione Finanza hanno sempre sentito la necessità di dialogare sul rapporto tra capitale umano e intellettuale da una parte e impatto sul conto economico dall’altra, tra investimenti sulle persone e risultati in termini di numeri di business. Tuttavia, nelle organizzazioni spesso non c’è pieno accordo su quali siano le modalità per garantire una migliore efficacia organizzativa in funzione degli obiettivi aziendali, né tantomeno su come monitorarla.

La Funzione Risorse Umane si è progressivamente evoluta dall’essere concettualmente a supporto di pratiche di gestione e amministrazione (selezione, formazione, incentivazione, ecc.) fino ad acquisire la missione strategica di business partner, sviluppando una forte sensibilità verso la costruzione del valore. La Funzione Finanza da sempre guarda ai numeri con gli occhi della strategia e degli obiettivi quantitativi e può oggi affiancare la Funzione Risorse Umane nella comprensione e attenzione a tematiche di profitto, includendo in una visione complessiva di business sustainability anche la consapevolezza relativa al valore degli investimenti sulle persone, quale strumento per la costruzione di valore complessivo per l’organizzazione.

Il concetto di business sustainability si differenzia da quello di sostenibilità che viene utilizzato in molteplici ambiti e con significati non sempre fra loro congruenti. Business sustainability comprende in modo integrato sia le azioni di business, sia quelle rivolte allo sviluppo del capitale intellettuale / intangibile, sia quelle indirizzate al campo ambientale e sociale. In tal senso la sostenibilità aziendale diventa funzione di una visione olistica del business, delle risorse-chiave per la value creation e dell’attenzione al rispetto dell’ambiente e della comunità sociale nelle quale si opera.

In questo contesto l’utilizzo di un sistema di business reporting integrato aiuta a ridurre le tradizionali differenze che distanziano la Funzione Risorse Umane e la Funzione Finanza e ne facilita il dialogo ai fini dell’efficacia organizzativa ed in ottica di sostenibilità del business. L’adozione di un sistema di business

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reporting integrato presuppone un forte cambiamento nel paradigma organizzativo, perché può essere realizzato solo se ciascuna funzione riconosce ed utilizza la misurazione come vocabolario per comunicare il proprio operato.

Uno strumento di misurazione che apporta informazioni utili per valutare, controllare e decidere a vantaggio degli obiettivi dell’organizzazione, deve essere scelto, concordato ed implementato in funzione della sua capacità di rappresentare le azioni che creano valore e di evidenziare quali siano le caratteristiche che consentono ad una organizzazione di perseguire la creazione di valore nel tempo.

I metodi e i sistemi canonici utilizzati per l’informativa finanziaria risalgono al 14mo secolo e sono giunti fino a noi in forma sistematica grazie agli studi realizzati da Luca Pacioli circa un secolo più tardi: i principi della partita doppia sono stati recuperati nell’era industriale e si sono imposti come meccanismo informativo e descrittivo delle nascenti aziende, dando origine ai bilanci così come li conosciamo ed utilizziamo ancora oggi. Questi sistemi di misurazione consolidati perdono tuttavia di risoluzione quando gli oggetti da fotografare sono risorse immateriali che hanno a che vedere con il capitale intangibile di una organizzazione.

Gli approcci di misurazione di questo tipo di capitale sono una sfida all’ordine del giorno per l’attività di reporting aziendale. In un contesto professionale e competitivo nel quale la conoscenza diventa sempre più importante e la gestione delle persone e del loro potenziale si affianca sempre più all’attenzione per gli asset tangibili ed economici, la capacità di misurare e raffigurare in maniera esaustiva il proprio capitale intangibile (capitale relazionale, organizzativo e umano) diventa una fattore critico di successo per la strategia di una organizzazione.

Ad oggi la pratica di rappresentare questa quota sempre crescente del patrimonio aziendale all’interno dei bilanci non risulta particolarmente diffusa, soprattutto in Italia. Tuttavia da qualche anno si registra una rapida evoluzione del reporting esterno aziendale: dal tradizionale bilancio di esercizio (financial reporting) verso più complete forme di informativa. Queste nuove forme di business reporting sono volte a una migliore e più ampia rappresentazione della situazione complessiva delle imprese, inclusi rischi e opportunità. Le indicazioni offerte nel documento del dicembre 2010 sul Management Commentary (Relazione sulla Gestione) dall’International Accounting Standards Board (IASB) nascono proprio in questo contesto e per facilitare questa evoluzione. L’Integrated Reporting (si veda il primo capitolo) è infatti una forma avanzata di business reporting.

L’attività di business reporting include documenti dai quali è possibile trarre informazioni dettagliate su una ampia rosa di temi come: executive compensation, corporate governance, forward-looking information, business

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model, financials, capitale intellettuale e sostenibilità socio-ambientale. L’ampiezza d’informazioni disponibile all’interno di questi documenti, spiega perché sia più corretto parlare di business reporting, nella sua più ampia accezione e non semplicemente di financial reporting.

In Italia, le informazioni attualmente più carenti per predisporre forme evolute di business reporting sono proprio quelle relative alle risorse intangibili, ovvero a quelle risorse aziendali - incluso il capitale umano e le sue competenze e caratteristiche - che, pur non dotate di consistenza fisica, spiegano un’ampia quota della capacità delle organizzazioni di generare valore, tanto da poter essere considerate i principali key-value drivers aziendali.

Gli strumenti e i modelli illustrati ed analizzati (si veda il capitolo 2) cercano di porre rimedio a questa carenza informativa e di ovviare all’inadeguatezza di una rappresentazione dell’organizzazione solo finanziaria, con l’obiettivo invece di costruirne una esaustiva che faciliti i processi di costruzione, validazione e valutazione delle strategie competitive, riaffermando la solidità del legame tra capitale umano e creazione di valore.

Nell’articolato panorama delle iniziative a vantaggio del capitale umano, gli investimenti in welfare aziendale e i percorsi di formazione e sviluppo appaiono come quelli maggiormente in grado di incedere in misura significativa sulla Human Value Chain (catena di creazione del valore delle risorse umane) che parte dalla capacità di un’organizzazione di attrarre talenti fino alla gestione virtuosa dell’uscita delle persone dall’azienda.

La rendicontazione delle forme di competitività legate alla valorizzazione del capitale intangibile e quindi del capitale umano diventa quindi essenziale per:

• comprendere e valutare meglio il valore complessivo dell’azienda e determinarne il potenziale

• disporre di strumenti interpretativi e predittivi più efficaci circa la performance aziendale

• valutare e decidere avendo a disposizione un più ampio ed esaustivo ventaglio di informazioni

• favorire l’incremento del valore dell’impresa e diventare maggiormente attrattivi presso gli stakeholder esterni ed interni

• valorizzare e sviluppare il capitale umano - e più in generale intangibile - dell’azienda

L’auspicio è che una maggiore consapevolezza da parte delle organizzazioni circa l’importanza strategica di queste misurazioni, unita ad una maggiore diffusione delle stesse, ai fini della comparabilità nel mercato competitivo,

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faciliti la costruzione di efficaci sistemi di reportistica integrata interna ed esterna, nuovi paradigmi di rendicontazione fattiva che possano testimoniare con esaustività i risultati delle scelte organizzative dell’azienda ed il contributo del capitale umano alla costruzione di valore dell’azienda.