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0 CRISTO NELLA VITA DI DANIELE

CRISTO NELLA VITA DI DANIELE - parolaviva.com NELLA VITA DI... · scrisse il salmo 137, ... possano convivere con la nostra volontà, e l’evangelo e il ... Ma tutto questo, diciamo,

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CRISTO NELLA VITA DI DANIELE

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CRISTO NELLA VITA DI DANIELE

Mentre ci impegniamo, chi scrive e chi legge, a sederci come

spettatori della tua infinita gloria e maestà; ci rimettiamo alla tua

grazia per contemplarti. Mentre ti riveli a noi, cresci nel nostro

regno (la nostra vita). A te Principe dell’universo, chiediamo

soccorso e aiuto.

*§*

Dedica:

A quanti desideriamo consegnare la nostra vita (il regno) al

Signore e redentore, per farlo crescere sempre più dentro di noi e

lasciare che sia Lui il solo vero predicatore dell’assoluto e Amen;

queste pagine dedico…

Introduzione

In questa storia vogliamo vedere, nella vita di Daniele, la vita

di Gesù Cristo. Quel modo unico di grazia, che solo il creatore

poteva interpretare; quel dialogare nel “segreto” con ogni anima.

Lo scopo principale è vedere Gesù nelle sue forme crescenti, fino a

prendere posto primario nella nostra vita, il nostro regno.

Mentre l’aspetto letterale e dottrinale, è diventato ormai il

centro della predicazione nelle diverse confessioni religiose;

considereremo l’aspetto essenziale, quello spirituale. Desideriamo

che quel che leggiamo possa riguardarci da vicino, parlare di noi a

noi stessi, stringere lo scopo centrale del libro che ci riporta

all’origine… Lo Spirito.

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Sarebbe lavoro troppo lungo trattare l’aspetto profetico,

invero, c’è già chi lo fa. Scevri da ogni illusione religiosa sul vedere

il male fuori da noi, chiamandolo in tale e tal altra maniera per

escluderci dalla realtà che si trovi anche in noi stessi, vogliamo

realizzare la conoscenza della fragilità dell’anima umana. Ognuno

tremi per se stesso! Teniamo lo sguardo fisso sul personaggio

protagonista.

*§*

CRISTO NELLA VITA DI DANIELE

(Capo 1)

Babel in ebraico, confusione. In accadico Babilu, porta di Dio.

Il termine ebraico deriva dalla radice bâlal, che significa straripare,

mischiare.

Il libro inizia con l’informazione non superflua che il re di

Babilonia venne contro Gerusalemme. Ciò fu nel terzo anno del re

di Giuda Jehoiakim. Era dunque ancora il periodo dei re d’Israele

quando il re Nebucadnetsar insediò. Come sappiamo, dietro le

parole è nascosta la voce del Signore. Ei vuole che se ne colga

l’armonia più che le parole in se stesse. Se consideriamo un attimo

le parole, Giuda, Babilonia e Gerusalemme, ne abbiamo: Lode,

confusione, possesso di pace. La “confusione” viene (sui ribelli e

aimè anche sulle anime leggere) quando ci si sente nella “pace” o

di possederne la virtù, nelle esultanze festose di una “lode” ormai

compromessa dall’aver perduta la “pace” di cui si porta il nome.

Questo invero, è un giudizio di Dio per aver perduta la pace di cui

Dio stesso ce ne ha fatto dono e dato in possesso. La lode non è un

buon pretesto per guarire o coprire questa grave mancanza.

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Spesso, in certi ambienti, la lode cerca di mascherare la debolezza

della sconfitta di aver perduto le cose preziose, in cui Dio si

diletta, più che in lodi burrascose, più che in miracoli. A causa di

questa condizione colposa, il Signore manda un castigo per

destare ravvedimento: il re di Babilonia, della confusione. A

ragione il termine Babilonia porta in se la radice di, straripare e

mischiare. Violenza distruttrice e sottile filosofia religiosa

seducente e imbrogliona. Dunque, Babilonia, confusione,

miscelazione e violenza esuberante, assediò Gerusalemme,

possesso di pace. Fu per questa realtà che più tardi qualcuno

scrisse il salmo 137, dove viene lamentato che là, in Babilonia,

quelli che li avevano condotti in cattività chiedevano di cantare

dei canti di gioia; e la risposta fu: come possiamo cantare i canti

dell’Eterno in paese straniero?(v. 1-4). Persero la pace!

Iniziarono con il richiedere un re come le altre nazioni, via via si

sviarono e finirono schiavi a Babilonia. Gli ultimi re d’Israele,

finirono a Babilonia.

Nell’assedio di Nebucadnetsar a Gerusalemme, oltre che

schiavi, prese anche una parte degli utensili della casa di Dio per

portarli nella casa del suo dio, nel paese di Scinar (v. 2). Questo re,

fece prendere dal popolo di Dio dei giovani di stirpe reale e

famiglie nobili. Giovani aventi un pò tutte le migliori qualità.

Dopo l’elenco delle virtù desiderate si conclude così il verso

quattro: “… E ai quali si potesse insegnare la lingua dei Caldei”.

Stranamente il nome Nebucadnetsar significa: “Nabu ha

protetto la mia eredità”. Quel che sembrava agli ebrei uno stato di

pericolo, di umiliazione e disonore; visto che si sentivano

privilegiati perché popolo di Dio, era invece una condizione di

protezione verso mali peggiori. Nella sapienza di Dio, vi è una

seria valutazione fra male e male. Nella prova, il Signore ci guarda

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da mali peggiori. La prova stessa, molte volte è protezione a mali

più gravi. Senza che Israele comprendeva il disegno di Dio, veniva

protetto e custodito per imparare qualcosa che avevano

dimenticato (2 Cronache 36:21); Il sabato, il riposo ch’è il frutto

della pace.

Quindi, lo scopo di quella preparazione era, imparare la

lingua dei Caldei. Nel vedere questa storia com’è lo scopo della

nostra meditazione, cominciamo a identificare il regno di

Babilonia alla nostra vita, il nostro regno; il re Nebucadnetsar, il

nostro io naturale, la nostra volontà. Riprendendo il discorso: ci fu

l’invasione a Gerusalemme da parte dei babilonesi, si

impadronirono di alcuni “oggetti del tempio”, catturarono il

popolo riducendolo prigioniero. Lo stesso avviene nella nostra vita

nei confronti delle cose sante di Dio e il modo in cui le

concepiamo. Qui stiamo osservando le cose da un punto di vista

preciso e dettagliato, di come le cose si muovono nella vita

personale di ognuno e non in modo generico di come solitamente

si parla del ravvedimento ecc. Possiamo osservare il modo di come

“prendiamo” le cose di Dio. Il contegno di come ci relazioniamo

alle cose sante di Lui. L’invasione dei babilonesi ci da un esempio

di com’è la natura umana di fronte alla chiesa, e alle cose di Dio.

Molte volte si è pretenziosi perché indisciplinati, sembra che si

prenda con decisione le cose del tempio, quando in verità siamo

arroganti ed audaci. Un quadro di questo concetto di verità, lo

abbiamo nell’episodio di Uzza, quando sorresse l’arca mentre

minacciava di cadere. E’ detto che Dio lo punì per la sua temerità.

Cioè, per aver osato di sfidare il comandamento di Dio. Si

consideri anche l’improprio gesto di Saul nell’offrire il sacrificio al

posto di Samuele (1 Samuele 13:9); La profanazione del tempio del

re Uzzia (2 Cronache 26:16). Tali gesti non sono coraggio! Bisogna

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distinguere fra coraggio e mancanza di rispetto, insolenza.

Prendiamo le cose sante di Dio, come: insegnamenti, doni,

autorità, posizioni, a causa che le scritture ne danno

testimonianza; seduti nei luoghi celesti, la sposa ecc. A causa di

ciò ci si sente santi, approvati, in ordine e via via senza

accorgersene, ci si adorna di vesti farisaiche. Vedremo più avanti

come imbandirono feste (culti) onorifiche, brindando con le

coppe (doni) prese dal tempio… (possiamo anche dire l’evangelo o

Cristo stesso) (capo 5). Ma torniamo al momento dell’invasione e

a come l’uomo è invadente verso le cose di Dio. Come vennero

presi giovani brillanti in quel caso, così l’uomo, prende per se,

delle cose di Dio, il meglio, le virtù preziose, come nel verso

quattro. Fra i giovani presi, appaiono le figure benedette di

“quattro” uomini. Questo ci da l’immagine dell’evangelo. Siamo di

fronte all’evangelo, lo prendiamo (quando lo prendiamo) con

invadenza a causa del bisogno. Ognuno riguardi bene a se stesso.

L’evangelo ha subito molte invasioni e razzie. Si noti, per fare una

parentesi confermante, all’episodio dei siri e alle loro incursioni in

Israele nel periodo di Eliseo. Quando si confrontarono col profeta,

conobbero la vera potenza di Dio, ed è detto che per essere stati

risparmiati dal re di Samaria grazie all’intercessione di Eliseo,

figura di Cristo, smisero di fare incursioni nel territorio d’Israele

(2 Re 6:23). Quando si incontra il personaggio nella sua

resurrezione, conosciamo bene noi stessi. La differenza è grande, e

ci viene meno il cuore… Questo per dire una grande verità: alle

soglie della prima conversione, l’uomo è in grado di esporre di se

solo gli strati emozionali dell’anima. Lo spirito rimane ancora

sconosciuto nei suoi moti (avvisi, e raggi di luce), negli slanci a

scoprire la volontà, il re, il nostro io. Ci si occupa più del male nel

regno (vita umana e religiosa), che del male nella sua origine, nella

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corte, nella reggenza, nella volontà. Prima che l’uomo permette a

Dio di raggiungerlo nel centro di se, vi sono molte lotte; ed è

questo che stiamo cercando di visualizzare.

Quattro uomini appaiono sulla scena, figura dell’evangelo. In

mezzo a loro vi era un giovane chiamato Daniele. Furono

sottoposti per tre anni ad uno studio della cultura, sapienza,

usanze e lingua dei Caldei. Questo ci dice come l’uomo, nella sua

caparbietà e superbia (veleno che si lega alla nostra volontà), non

si mette subito ad ascoltare Iddio per ricevere da Lui, per essere

trasformato. Non concepisce l’umiliazione di se e della sua

volontà. Della sua vita (il regno) e della sua volontà (il re).

Così, inconsapevolmente, siamo noi che vogliamo educare il

Signore Gesù, ospite nella nostra vita, avendo preso, magari

derubato l’evangelo, ad essere nostri prigionieri. Il fine è: insegnare

i nostri modi, le nostre volontà, la nostra lingua. Questo perché

possano convivere con la nostra volontà, e l’evangelo e il

personaggio dell’evangelo. Una convivenza diremmo oggi,

ecumenica; cerchiamo la pace, stiamo in comunione e d’accordo,

però la legge della mia volontà (il nostro regno) non dev’essere

toccata, cambiata. Questo il pensiero dell’uomo. Conviviamo in

pace senza darci fastidio. Ma tutto questo, diciamo, per vedere la

condiscendenza del Signore, nella sua grazia amorevole di

sottoporsi alla condizione dell’uomo. Nel comportamento dei

quattro uomini, soprattutto di Daniele, possiamo visualizzare

l’opera dello Spirito, nel come si adegua all’uomo prendendo la sua

immagine nella Pietà. Pietà è grande mistero (1 Timoteo 3:16)… Dio

che si mette nei panni della creatura; trasformazione. Così Iddio

recupera la debole creatura, mentre lei si crede forte nel suo regno,

nella sua volontà. Volontà che vuole difendere fino alla fine. Due

volontà sono a fronte, una dell’uomo, l’altra di Cristo, in questo

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caso visto come la luce che illumina ogni uomo (Giovanni 1:9). La

conversione non è opera che avviene tutta in una volta. Vi è

sempre un primo strato ed un secondo. Vi sono le mura, le

fondamenta del tempio e vi è l’altare (Esdra 3:3-6).

Questo sottoporsi ai nostri modi, al nostro linguaggio, è per

dirci come il Signore vuole e tiene caro raggiungerci. Egli non

pretende che noi dovevamo comprendere il suo linguaggio; dato

che è perfetto e meraviglioso. Data la distanza dunque, Lui ha

voluto, per amore, come sottoporsi ad una condiscendenza

pietosa, nella considerazione che siamo nulla e meno che nulla.

Andiamo avanti. Dal verso cinque è narrato che il re (quindi

la volontà) assegnò ai prigionieri e apprendisti, cibi squisiti che il

re stesso preferiva e di cui si nutriva. Questo ci indica i pensieri

della volontà dell’uomo, i cibi squisiti, le nostre migliori intenzioni

religiose, i migliori propositi, la migliore cultura ed intelligenza.

Invero, Gesù non può nutrirsi della volontà d’uomo. Egli è

condiscendente ma saggio. Immensamente condiscendente,

misuratamente a ciò che davvero è medicina per l’uomo. L’uomo

non può nutrire Gesù, nei panni di quella luce che illumina

(Giovanni 1:9), con la propria volontà d’uomo perché diabolica.

Nel verso sei specifica che i quattro personaggi, che ci

raffigurano l’evangelo, erano ovviamente con altri prigionieri e

apprendisti. Per dire che inizialmente siamo di fronte a tante

teorie, tante conoscenze interessanti, e in mezzo ad esse,

cominciamo a distinguere l’evangelo. Nella crescita si nota la

distinzione nella valutazione con i diversi compagni di prigione.

In quei casi vi è sempre un sorvegliante speciale. Questa

rappresenta un pò la nostra speciale attenzione, la nostra

sorveglianza alle cose a cui teniamo. L’anima dell’uomo è un

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universo di mondi… Ogni cosa che accade nell’universo, accade

nell’anima.

Qui vediamo la reazione e determinazione di Daniele, questo

giovane coraggioso ed intelligente. Ci rappresenta il Cristo in

quella luce personale, quella che illumina ogni uomo.

Di fronte i cibi del re così rispose:

“Ma Daniele decise in cuor suo di non contaminarsi con i cibi

squisiti del re e con il vino che egli stesso beveva; e chiese al capo degli

eunuchi di concedergli di non contaminarsi. Dio fece trovare a

Daniele grazia e misericordia presso il capo degli eunuchi” (v. 8,9).

Fu determinato nel prendere posizione, ma notiamo come si

rivolse al guardiano (quello che rappresenta la nostra attenzione,

il nostro studio nel valutare le cose di Dio). Chiese all’eunuco di

concedere… Fu determinato nel proposito di non contaminarsi, ma

chiese grazia al servo del re. Gesù, il nostro Daniele, è determinato

a non contaminarsi con la nostra volontà umana e religiosa, ma

chiede… Che espressione di grazia in merito all’onnipotente nei

confronti di esseri così deboli e immeritevoli. Possa Iddio darci la

chiara visione di questa scena nei rapporti della misericordia e

pietà di Dio verso noi. Non vi è minaccia, non violenza, ma

condiscendenza pietosa. L’interesse di Dio verso l’anima

bisognosa è raggiungerla nel centro del regno. Egli che sa ogni

cosa, sa bene che le nostre parole, le nostre buone intenzioni,

inizialmente, sono frutto più di entusiasmo e zelo religioso che di

realtà, sebbene sinceri. Ricordiamo Pietro nell’espressione

coraggiosa, nel paragone con gli altri di non rinnegare il Signore

nel momento difficile (Matteo 26:31-35). Fallì! Ma non

dimentichiamo chi si prese cura di lui quando l’istigatore delle

tempeste voleva vagliare i discepoli (Luca 22:31,32). Sempre in

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quella occasione Gesù gli disse: “Ma io ho pregato per te”. Gesù fu

colui che gli aprì gli occhi e giudicò le sue intenzioni, ma fu anche

colui che pregava, intercedeva, accompagnava il debole Pietro, e i

deboli noi. A Dio sia la gloria. Per questa intercessione ed

assistenza anche, Dio concede di trovare grazia presso le nostre

razionali valutazioni; dimostrandosi così l’autorità massima

anche quando si umilia in una pietosa condiscendenza. Dio

protegge il lavoro delicato di quella luce data a tutti gli uomini. Se

non fosse così, nessuno verrebbe a Gesù il salvatore. Ricordiamoci

le sue stesse parole: “Nessuno può venire a me se il Padre non lo attira”

(Giovanni 6:44). Proseguiamo.

Il servo del re si spaventò, a causa che se qualcuno che al re

interessava perdeva il suo aspetto sereno perché denutrito,

avrebbe passato guai (v. 10). Notiamo ancora la linea

condiscendente ed umile di Daniele, mentre dietro di lui vediamo

lo Spirito di Cristo:

“Ti prego, metti alla prova i tuoi servi per dieci giorni, e ci siano dati

legumi per mangiare e acqua da bere. Poi siano esaminati alla tua presenza il

nostro aspetto e l’aspetto dei giovani che mangiano i cibi squisiti del re; farai

quindi con i tuoi servi in base a ciò che vedrai.” (v. 12).

Incomincia con una preghiera… Benedetta preghiera. Non è

atto del caso, ma attitudine, carattere, intenzione, quello di

pregare per chi lo riceve, per i suoi; Egli, eterno sacerdote. Come

abbiamo già accennato, in riferimento alla preghiera verso Pietro,

è dimostrato il suo carattere sacerdotale e amorevole, di pregare

sempre per i suoi (Ebrei 7:25). Sovviene alle nostre preghiere,

intese anche come richieste e forme direzionali per la nostra fede

(Romani 8:26). Fidati del fatto che Lui prega (intercede) per te.

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Vediamo il coraggioso confronto fra l’aspetto dei quattro e

l’aspetto di quelli che si nutrivano dei cibi del re. Il confronto fra le

“azioni” nutrite dai pensieri della volontà d’uomo, con quelle

nutrite dal nutrimento scelto da Lui, che non vuole comunione

con la nostra volontà animale, razionale. La mente dell’uomo non

redento, è il campo di lavoro di satana; per il credente, il campo di

battaglia.

In questo sentimento di pregare il servo del re, vediamo il

carattere di Cristo, nel preoccuparsi e curarsi di non mettere a

rischio le nostre “valutazioni” (il servo del re) nel caso non

avessimo preso cura necessaria all’evangelo (i quattro uomini) e al

Personaggio dell’evangelo (Cristo). Diciamo questo perché

nell’uomo, quando c’è interesse per qualcosa, si soffre molto

quando riteniamo di non aver dato sufficiente attenzione nel

curarne il risultato. Il servo avrebbe affrontato il giudizio del re.

Più avanti si vedrà che, di fronte al fallimento circa

l’interpretazione del sogno del re nel capitolo due, il re rimase

adirato e minacciò di condannare a morte tutti i saggi di Babilonia.

Quando si ha a che fare con le delusioni e gli scoraggiamenti, si

lascia la presa. Per questo il Signore ci insegna in questa metafora,

il Suo trattamento accorto e sensibile alla nostra fragilità. Non è

assolutamente per paura, è ovvio, è per sottolineare ed apprezzare

di più, il Suo modo unico di soccorrere le creature ch’egli ha fatto e

che ama. Il Signore, nella forma del richiamo sottile (vocazione),

nella luce che illumina ogni uomo, ci mostra il modo come impara

(precisamente: si sottopone) il nostro linguaggio per dialogare con

noi, con chiunque; si, con chiunque. A noi sembra che Dio operi

solo a mezzo nostro, suoi servi. Vi è bisogno di una speciale

disciplina nella rivelazione, per vedere i metodi di Dio nelle Sue

diverse forme. L’uomo è lento a capire, ancor più a vedere.

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Abbiamo tutti bisogno che Dio ci apra gli occhi e che ci conduca

alla comprensione vera.

Daniele disse pure di essere esaminati dopo i dieci giorni, per

vedere i risultati del cibo ch’egli stesso aveva scelto. Nello stesso

modo il Signore, si fa esaminare nella sua condiscendenza, al fine

di dare prova delle sue scelte perfette. Prende autorità, da autorità.

Che sapienza! Solo il creatore sa come parlare, dialogare con

l’uomo senza farsi scoprire. Nella sua perfezione Egli è sovrano,

Santissimo e Giudice. Nella sua umiltà, è condiscendente, amico

dei peccatori; che perfezione. Lui è perfetto e Santo, ma anche

pedagogo e accompagnatore. Dio sia lodato. Il Signore non ci

mette subito in confronto con la sua perfezione. Questo lo rende

tanto sapiente e pietoso. Se riusciamo a vedere e distinguere il suo

modo unico, il suo Santo linguaggio, impareremo a trattare con i

bisognosi, in quella maniera santa, tanto che se ci respingeranno

sarà davvero, e solo perché hanno messo a tacere e respinto il

Signore, come nella figura di Daniele che stiamo trattando.

Quando passarono i dieci giorni, Daniele e i suoi amici, si fecero

esaminare. Furono trovati in miglior aspetto che quelli che si

nutrivano dei cibi squisiti del re. I legumi, cibo scelto da Daniele,

portarono loro salute. I cibi del re, portarono il necessario e

normale. Il confronto è chiaro. Il cibo scelto dal Signore Gesù, che

è: fare la volontà di Dio (il Giudice); mentre, quale luce di

misericordia: nei modi di grazia del creatore; porta salute. I

legumi sono ricchi di sostanze benefiche per l’uomo, danno forza e

sono ricche di ferro. I cibi deliziosi del re, che sono appetitosi, cioè

i nostri pensieri, opinioni ed intenzioni, portano normalità e

consuetudine, dietro ai quali vi è malattia e morte. Si mediti

attentamente Proverbi 23:1-8. Ciò che viene dall’uomo è naturale,

ciò che viene da Dio è spirituale e vita.

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Sia esaminato l’aspetto! Qui il Signore comincia ad attirare

l’attenzione all’immagine, in modo che il personaggio e l’evangelo

comincino a distinguersi e a prendere forma. Prima di quella

richiesta erano persone come le altre; dopo la richiesta, furono

distinte dalle altre. Iddio comincia sempre con una luce sottile, ma

avanza pian piano che il cuore si va aprendo ai Suoi stimoli. Lo

scopo di Dio è quello di farsi conoscere sempre più fino a

raggiungere luce aperta e perfetta, cioè, così come Iddio è

(Proverbi 4:18; 2 Pietro 1:19). Si meditino bene e accuratamente

questi versi.

“Farai con i tuoi servi in base a ciò che vedrai”. Ancora il

lavoro continua sulla visualizzazione dell’immagine del Cristo, il

salvatore e redentore. E’ come una nube nebbiosa che pian piano si

va diradando. E’ il pedagogo, L’accompagnatore di Isaia 11:6,8 che

via via riflette la giusta immagine nella giusta proporzione della

sua stessa immagine superiore. Nello stesso modo fece Gesù

nell’occasione in cui cominciò ad annunziare la venuta dello

Spirito Santo: “Filippo gli disse: Signore, mostraci il Padre e ci basta.

Gesù gli disse: Da tanto tempo io sono con voi e tu non mi hai

conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre; come mai dici:

Mostraci il Padre?” (Giovanni 14:8,9). Si parla di vedere, ovviamente

Gesù si riferiva al vedere nello spirito. Nel mentre che i discepoli

lo consideravano solo come il “Figlio”, da quel momento

cominciarono a considerarlo anche come il “Padre”. E’ quel vedere

nella vita interiore di Gesù. Nel corpo, come Figlio, nell’intimo,

Dio il Padre. Gesù cominciava a rivelare, in quel “mostraci”, la Sua

identità nascosta, quel ch’ è difficile all’uomo di comprendere. Lo

stesso nella situazione di Pietro, nella rivelazione del Cristo

(Matteo 16:16), uguale nella trasfigurazione sul monte (17:2). Gesù

dava rivelazione crescente della sua identità, insita nel suo piano

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di redenzione. Così dunque vediamo il cammino segreto nella vita

interiore degli uomini, nella umanità. Questo nei panni del

creatore. Come creatore ama le sue creature, opera delle sue mani.

Ha dato all’uomo lo spirito come luce interiore per agganciarsi allo

Spirito di Dio, ed avere dialogo con Lui. Questo, sia chiaro, non

salva nessuno! Ecco perché è necessario che Dio, nella luce che

illumina ogni uomo, cerca di rivelare il suo “aspetto”. E poi, dopo

aver dimostrato che il cibo, il nutrimento scelto da Lui è migliore,

più sano della nostra volontà animale, sfida le nostre valutazioni

razionali a “vedere”. Riguardare il Suo aspetto per distinguersi

dagli altri, dalle nostre considerazioni ed opinioni che si nutrono

della nostra volontà.

E’ ovvio che per tutto questo che stiamo dicendo e cercando

raffigurare, ognuno ha il suo tempo per arrivare a distinguere

l’Immagine del redentore risorto. Nella storia di Daniele, secondo

la narrazione del libro, vedremo le cose svilupparsi in modo

crescente fino ad arrivare alla conclusione. Nella realtà, sappiamo

che non tutti arriveranno a vedere l’Immagine del Signore in

ispirito, e distinguerlo dalle proprie opinioni e pensieri. Molti si

opporranno fino a spegnere completamente gli avvisi di questa

luce interiore nella coscienza; ma concentriamoci sulla nostra

storia per vederne almeno lo scopo, la conclusione nel bene.

Comprendere qual è lo scopo di Dio per noi.

Il servo (il nostro studio, modo di valutare) acconsentì,

perché Dio fece grazia. Comincia una certa opera di persuasione

da parte di Dio, come a garantire la buona riuscita, e a dare fiducia

(fede) alle nostre attenzioni, che il re (la volontà), non rimarrà

deluso e scoraggiato della possibilità di un fallimento. Nessuna

violenza o pretesa, solo onesta sfida nella fiducia della verità.

Daniele seppe presentare la sua decisione di santità avendo fiducia

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nel cibo che scelse. Lo stesso, Iddio, nella luce nascosta nell’uomo,

tiene fermo il suo proposito, ma con amore, presentando un cibo

migliore certo dei positivi risultati. Dopo i dieci giorni, dopo la

valutazione dei quattro personaggi, il servo tolse i cibi squisiti del

re. La persuasione cominciò ad entrare “nel regno”. Ancora non

toccò il re (la volontà) ma cominciò ad entrare nel regno ch’è già

importante.

E’ quella consapevolezza in noi per cui cominciamo a

lasciarLo agire. Fin ora abbiamo dialogato con Lui, e il risultato è

una persuasione a lasciarlo lavorare con fiducia. Nel palazzo

regale della nostra volontà intanto, sbrighiamo le nostre solite

faccende. Un po bene un po male. Dopo questo, nel verso

diciassette, viene detto così:

“A tutti questi quattro giovani Dio diede conoscenza e intendimento in tutta

la letteratura e sapienza; e Daniele ricevette intendimento di ogni genere di

visioni e di sogni”.

Prima vengono menzionati i quattro, figura dell’evangelo, nella

rivelazione della letteratura , in cui possiamo anche vedere le

sacre scritture. La conoscenza, è in riferimento a quel dialogo

segreto che stiamo cercando di individuare e dal risultato della

lettura delle scritture. Ci si intenda per lo spirito. Passiamo dalla

narrazione del libro nei suoi fatti, all’applicazione spirituale in cui

vediamo la nostra vita e il lavoro segreto dello Spirito, fino a

portarci nella piena luce.

Diciamo che fino a questo verso non si era detto nulla circa le

doti dei quattro personaggi; ora vengono conosciute, rivelate al

servo (modo di valutare) e cominciano ad essere conosciute anche

nel regno (la nostra vita). Il re (la volontà), non sa ancora nulla, è

in uno stato di attesa, spera. La volontà dell’uomo nel suo segreto

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cerca luce, esattamente come il re cercava uomini brillanti. Il tutto

per migliorare e dare potere al suo regno.

Quindi da questo verso (17) viene detto che Dio diede conoscenza

e intendimento ai quattro. Ed è in questo momento che Dio da

rivelazione all’anima che Lo cerca e Lo lascia operare e crescere in

lei, dell’importanza dell’evangelo. Ma, poi Daniele viene distinto

dai tre. Dalla letteratura e sapienza alla conoscenza spirituale. A

lui Dio diede capacità di interpretare sogni, visioni e sbrogliare

segreti. L’evangelo è fatto di lettera e conoscenza, ma il

personaggio (Cristo, ch’è nei quattro, l’evangelo) ha la chiave dello

Spirito. Vi è una santa distinzione fra l’evangelo nella lettera, la

conoscenza ch’essa da, e la realtà viva del personaggio assoluto. E’

saggio ed anche indispensabile per la elezione, possedere le chiavi

di questa differenza.

A questo punto, passato il tempo di preparazione stabilito

dal re, compaiono dinanzi a lui (v. 18). Il re parlò ed interrogò tutti

gli apprendisti, che avevano titolo di astrologhi e maghi, ma

nessuno fu pari ai quattro. La nostra volontà, finalmente comincia

ad essere penetrata dalla realtà dell’evangelo, in confronto con le

altre opinioni e conoscenze, personali (proprie della nostra

volontà) o non, e ne distingue la differenza e qualità. Il re, che ci

rappresenta la nostra volontà, la fortezza, non trovò nessuno come

i quattro (l’evangelo), al pari di loro, in tutto il regno (la nostra

vita).

E’ chiaro che dal momento della deportazione d’Israele (presa

dell’evangelo) a Babilonia (la nostra vita di confusione), sotto

l’autorità del re (la fortezza della volontà), vi è da parte di Dio, una

penetrazione dei diversi strati dell’anima fino al palazzo reale, la

volontà, la fortezza. Vediamo come Daniele era in Gerusalemme,

come Cristo era nel suo regno nel cielo, si è fatto uomo ed è venuto

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a raggiungerci nel nostro regno. Ha dato la sua vita per l’umanità,

e da quel momento si rivela come Spirito Santo. Tutti prendono,

si impossessano della sua testimonianza, l’evangelo, e comincia

questo percorso di penetrazione nella vita dell’uomo, nel suo

regno, l’anima. Abbiamo visto, in questo ordine, come il Signore

cerca un dialogo con la sua creatura. Il modo che Egli adotta, è un

parlare mediante la stessa voce, nel pensiero, dell’uomo. Lui parla

con la nostra stessa voce, mentre pensiamo. Uno dei motivi per cui

la mente è sempre in attività è anche perché Dio possa parlare

attraverso il nostro pensiero. Nella moltitudine dei pensieri, egli

riesce a infilare richiami, atti a risvegliare la coscienza al bene.

La mente è un traffico di pensieri e parole, l’uomo fin tanto

che vede la sua propria immagine in se stesso, non si spaventa e

per questo riesce ad ascoltarsi ed ascoltare la voce di Dio

attraverso la nostra voce. Se l’uomo peccatore, vedrebbe

l’immagine di un altro (del Cristo) in se stesso, cioè fosse

consapevole che si tratta di Cristo, avrebbe paura e non

ascolterebbe più. Basta ricordare l’episodio della nascita di

Sansone. Nel momento che i genitori si resero conto di avere visto

Iddio in una sua immagine, si spaventarono e pensarono di morire

(Giudici 13:22). E’ una idea di quel che succede nell’uomo quando

non conosce Iddio. Sappiamo che nella dispensazione del nuovo

testamento, questa paura non esiste più, perché Dio ha promesso

di venire ad abitare nei nostri cuori e ci invita a vederlo.

Ritornando al caso della nascita di Sansone, il padre di lui,

Manoah, dialogava con quel personaggio messaggero, ma senza

sapere che era un angelo di Dio, diciamo, in una delle Sue

immagini, apparizioni (v. 16). Lo spavento a cui abbiamo fatto

cenno fu quando si accorsero che era il Signore (v. 22).

17

Notiamo dunque in questa scena l’atteggiamento dell’uomo

ignorante, cioè non consapevole dell’identità dei suoi pensieri. Nel

momento della rivelazione della natura di essi, crolla, e si apre a

quella nuova visione e conoscenza. Lo stesso vediamo, come

conferma biblica nel salmo 42:11: “Perché ti abbatti anima mia, perché

gemi dentro di me? Spera in Dio…”. Ancora: “Benedici anima mia L’Eterno”

(v. 103:1). Notiamo come il salmista parla a “se stesso”. Non è

difficile comprendere che si tratta dello Spirito che intercede per

soccorso e grazia, come dice Paolo ai Romani (8:26,27).

Così è l’uomo, questa è la legge dell’uomo (2 Samuele 7:19),

destinato a vedere la sua progenie nel Cristo. L’unico modo in cui

Dio può parlare all’uomo, senza che lui si accorga che sta parlando

con Dio, è questo, ed è arte divina.

Da questo possiamo comprendere come e quanto Dio ama le

sue creature. Forse tanti di noi non lo abbiamo ancora compreso.

Man mano che l’anima si apre a questo dialogo, il Signore

porterà l’anima dalle tenebre alla luce, luce piena.

*§*

Capo 2

Daniele alla corte del re

Il capo uno si conclude col verso ventuno, accennando all’impegno

di Daniele nel continuare nel modo in cui lo abbiamo visto

distinguersi e crescere. Brillare di saggezza superando i savi di

Babilonia, fino al primo anno di Ciro. Vedremo più avanti il ruolo

di Ciro.

18

Quindi, dopo quella preparazione del servo del re, passarono

due anni del regno di Nebucadnetsar, prima che successe quel che

tratteremo in questo capitolo.

E’ detto che il suo spirito fu turbato perché aveva dei sogni e

non poteva dormire. Il riposo per l’uomo è come l’acqua; senza

d’esso chiunque ne rimane sfinito. Una delle cose più brutte è non

riuscire a riposare. Perse il riposo. Il nostro io, perde il riposo

perché comincia a un tratto a vedere cose che lo turbano. Quando

è così, l’uomo viene preso da spavento, comincia a preoccuparsi e a

perdere il controllo della sua vita, il regno. Nel verso due si parla

della disposizione del re nel chiamare i saggi di Babilonia, gli

stregoni, astrologhi e maghi. Nel verso venti del capo uno, gli

stregoni non sono menzionati; nel capo due si. Per questa

circostanza (il sogno) vennero fuori gli stregoni. Sappiamo che

Dio è contro la stregoneria. Ma come avvenne in quella occasione,

così nella vita dell’uomo che Dio cerca di conquistare. A causa di

turbamenti che preoccupano la nostra forte volontà, si risvegliano

cose che neanche pensavamo di avere in noi nascoste. Per questo

Dio ci stringe nel cerchio della prova e della sofferenza, per far

uscire fuori le cose nascoste nel profondo della nostra vita. Perso il

riposo, vengono fuori gli stregoni, parte negativa della nostra

natura umana. Cominciamo a cercarli, come se essi potessero darci

una soluzione ai nostri bisogni. Potremmo dire che, la vita di ogni

uomo senza Dio, è un assieme di stregonerie. Ad esse ci

rivolgiamo, ad esse ci affidiamo.

Il re (la volontà) disse così: “Ho fatto un sogno e il mio spirito è

turbato, finché riuscirò a conoscere il sogno” (v. 3).

Questo spavento deriva dal non riuscire ad interpretare il sogno, la

visione che lo turbava. Ogni uomo arriva a questa condizione; ciò

che vede nel profondo della sua vita lo turba, fino a quando non

19

riesce a scoprirne il significato. Può essere una chiamata intima,

un sogno particolare, una sensazione particolare, un incontro, un

evento, un senso di colpa. In qualsiasi modo si presenti, qualcosa

arriva. Dio ha tanti modi di raggiungere l’uomo.

I Caldei dissero al re di raccontare il sogno, motivo del suo

mal umore. I savi di Babilonia, rappresentano le nostre migliori

qualità quali, sapienza, intelligenza, istruzione, ingegno, abilità

artistiche ecc. Ad esse l’uomo si rivolge e si appoggia. Da esse

pretende spiegati i misteri che turbano le profondità inesplorate

della volontà, dell’anima. Quando nell’intimo del nostro io

perdiamo la sicurezza, e qualcosa di non identificato comincia a

muoversi dentro di noi, cominciamo a pretendere dalle nostre

virtù e qualità umane e personali. Il re pretese che, considerata

l’importanza e fiducia riposta in loro per le loro doti, dovevano

anche indovinare qual era e com’era il sogno senza che il re lo

raccontasse (v. 5). Una punizione incombeva su quegli uomini se

non sarebbero riusciti a dichiarare il sogno dandone

l’interpretazione. Dentro le profondità dell’animo, si pretende

chiedere a quelle che sono le nostre qualità naturali, le spiegazioni

delle cose che ci turbano. Se questo non avviene secondo ch’è il

bisogno intimo della nostra volontà, saremmo in grado di

sterminare le nostre buone qualità, cioè, non avremo più fiducia in

noi, nelle nostre virtù, nella nostra intelligenza. L’uomo, la sua

volontà naturale, si sente sconfitta. La risposta dei savi, diremmo,

delle nostre virtù, era (è):

“Non c’è alcun uomo sulla terra che possa far sapere ciò che il re

domanda, infatti nessun re, signore o sovrano ha mai chiesto una cosa simile

ad alcun mago, astrologo o Caldeo. La cosa che il re domanda è troppo difficile

e non c’è nessuno che la possa far sapere al re, se non gli dei, la cui dimora non è

fra i mortali” (v. 10,11).

20

Non vi è alcun uomo. Non è per volontà d’uomo, intelligenza

umana, ma solo gli dei, dissero. Non uomo della terra, non

capacità umane, ma l’intervento del divino, di Dio.

“Ne la carne, ne il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è

nei cieli” (Matteo 16:16), queste furono le parole di Gesù a Pietro.

Notiamo lo scoraggiamento del re di fronte ad un linguaggio

difficile. La sua reazione addirittura violenta nel caso non trovi

risposte sul significato di quel che lo turba e lo fa sentire sconfitto.

Il tormento di fronte un linguaggio oscuro. Quanto sentiamo nel

mondo intero, di persone che si scoraggiano e perdono fiducia in

loro stessi, si ammalano di sconforto cadendo in dirupi di

depressione fino all’esaurimento. Non si sentono più di affrontare

nulla, perché ritengono ogni impresa una battaglia persa fin

dall’inizio, tanto è lo scoraggiamento. Non combattono più, non

sperano più, non credono più. Dio non vuole che noi distruggiamo

le nostre qualità naturali, esse pure ce le ha date Lui e devono

collaborare per il nostro bene se sottoposte alla Sua mano. Quel

che è positivo ed indispensabile intorno le nostre qualità (i savi

della corte), è lasciarle nelle mani di Dio, senza dipendere da esse.

Dipendere solo dalla Voce del Signore. Tutto il resto che ci

riguarda della nostra vita materiale, umana, dev’essere soggetta

alla volontà di Dio. Quindi, non distruzione delle nostre migliori

qualità, ma affidarle all’autorità e controllo di Dio. Paolo disse che:

“Ma le cose che mi erano guadagno, le ho ritenute una perdita per Cristo.

Anzi, ritengo anche tutte queste cose essere una perdita di fronte all’eccellenza

della conoscenza di Gesù Cristo, mio Signore, per il quale ho perso tutte queste

cose e le ritengo come tanta spazzatura per guadagnare Cristo” (Filippesi

3:7,8).

21

Anche Paolo dice di aver ritenuto una perdita tutto ciò che ha

studiato e fatto nel passato, ma non nel senso di quel che sono in

se stesse, ma della “dipendenza” da quelle cose. Il principio da cui

paolo sarebbe partito, l’origine, non era più la sapienza che aveva

imparato, ma la rivelazione e dipendenza a Cristo. Vogliamo dire

che come il re si scoraggiava nel vedere il buio circa il sogno, così

l’anima di fronte gli enigmi della vita, soprattutto quando arriva il

momento di una chiamata da parte di Dio. Si desidera risposta

fino al punto di pretendere troppo da noi stessi (perché ancora

non conosciamo il Signore), dalle nostre migliori doti e qualità. Se

esse non possono aiutarci, siamo in grado di sterminarle, nel senso

che ci si scoraggia perdendo fiducia e odiando quel che abbiamo

imparato e studiato. Iddio vuole intervenire e guarire questa

condizione per mettere tutto in equilibrio. Molti, per aver visto

fallire, secondo le apparenze, qualche tentativo di buone azioni

come: presentare un cantico, un messaggio evangelistico, opere di

pietà, nel senso di non essere apprezzate, preda dello

scoraggiamento si ha lasciato la presa respingendo tutto e

abbandonando di continuare. L’uomo tende a scoraggiarsi

abbandonando di esercitare le doti che Dio gli ha dato. A volte ci

si sente come incapaci rispetto agli altri. Un pò è stata così la

reazione del re, anche se diversa nelle circostanze. Nel re vediamo

la figura della volontà d’uomo, nei rapporti della chiamata che Dio

rivolge a “tutti gli uomini” e del metodo con cui li raggiunge nella

luce che ha messo nello spirito umano. Tanto era lo

scoraggiamento che il re voleva fare morire anche Daniele, senza

sapere che era l’unico in grado di spiegargli il sogno. In ogni

scoraggiamento dell’uomo, tendiamo a soffocare le nostre buone

qualità ed anche il Signore, unico vero ed assoluto interprete dei

nostri misteri. Alla risposta sincera dei Caldei (le migliori qualità

22

umane), che nessun uomo può districare il sogno del re senza che

gli sia raccontato, il re:

“…Si adirò, montò in collera e ordinò di sterminare tutti i savi di

Babilonia. Così fu promulgato il decreto in base al quale i savi dovevano essere

uccisi, e cercavano Daniele e i suoi compagni per uccidere anche loro”. (v.

12,13).

Lo scoraggiamento, lo sconforto, la nostra impossibilità di

fronte al mistero ci porta, nella nostra fragilità, a distruggere tutto;

il regno (nelle nostre migliori qualità e virtù) e il lucignolo

fumante (la chiamata di Dio in quel linguaggio personale che

raggiunge ognuno). Noi non sappiamo quanto male ne

deriverebbe nel soffocare le virtù che Dio ci ha date anche se

naturali. Daniele era fra i savi di Babilonia anche se non ne faceva

parte.

“Allora Daniele si rivolse con parole prudenti e sagge ad Ariok, capitano

delle guardie del re, il quale era uscito per uccidere i savi di Babilonia” (v.

14).

Il guardiano che si prendeva cura dei prigionieri era Meltsar,

il capitano delle guardie era Ariok. Daniele si rivolse al capitano

delle guardie con prudenza e saggezza. Notiamo come queste due

parole descrivono il lavoro delicato che fa anche lo Spirito Santo

nel cuore umano. Prudenza, perché vi era pericolo di

compromettere l’intercessione a cui si stava dando; saggezza, per

il coraggio e la fede di risolvere il problema con la sapienza di Dio.

Non è l’immagine del lavoro di Dio nell’anima umana? Il capitano

lo informò giacché Daniele chiese la ragione di tanta severità. Per

mezzo del capitano arrivò al re. Parlò con lui e chiese di “dargli

tempo” (v. 16). Dapprima Daniele fu custodito da un guardiano,

simbolo del nostro studio, la nostra attenzione alle scelte, Meltsar.

Poi, quando Daniele si distinse dagli altri insieme ai tre amici,

23

incontrò un altro valore nel regno della nostra vita, Ariok, quella

parte di noi che possiamo chiamare l’esecuzione, sia nel bene che

nel male. Con il “dovuto linguaggio” si presentò all’autorità

dell’esecutore giudiziario, e arrivò anche al re, vicino alla volontà.

Esattamente il quadro dei passi del Cristo nei riflessi di quella luce

che illumina ogni uomo. Quel linguaggio a cui egli stesso si era

sottoposto per amore remissivo, con quella compassione continuò

su quella scia, e arrivò finalmente vicino alla volontà (il re). Chiese

tempo, perché lo Spirito Santo ha bisogno di tempo per plasmare e

persuadere l’uomo, la sua volontà; piegarla in fine al volere

supremo.

Dopo questo, Daniele andò a casa dai suoi compagni (v. 17).

Vediamo come Cristo converge sempre verso gli elementi che

compongono il suo messaggio, per formare il numero quattro,

l’evangelo. Gesù lo troviamo nell’armonia dei quattro evangeli.

Gesù torna sempre ad agganciarsi all’evangelo, così tiene noi

agganciati ad esso. Il motivo era, che implorassero il Signore che

non venissero messi a morte (v. 18). Qual è il motivo per cui

possiamo vedere questo nella vita di Cristo, mentre passeggia

nella nostra vita, nei nostri pensieri? Semplicemente che Lui

intercede davanti a Dio al fine che quella luce, che in certi casi è il

lucignolo fumante (Isaia 42:3. Matteo 12:20), non si spenga

definitivamente, perché questo significherebbe la nostra fine! In

relazione a questo, si lega quella frase misteriosa di Salomone:

“Prima che il cordone d’argento si rompa, il vaso d’oro si spezzi la

brocca si rompa alla fonte e la ruota vada in frantumi al pozzo” (Ecclesiaste

12:6).

Questo “cordone” è proprio quel legame interiore che ci lega a

Dio, all’invisibile, quella testimonianza sottile e profonda della

24

luce che illumina la coscienza di ogni uomo (Giovanni 1:9). E’ quel

lavoro invisibile e impercettibile, a volte, in cui lo Spirito di Dio,

dialoga con l’anima per non farla staccare definitivamente da Dio,

nel peccato a morte. Cordone sta per legame, l’argento per

redenzione, quindi collegamento tra Dio e l’uomo.

Iddio agisce sulla base della redenzione, per questo Iddio si è

fatto Uomo, riconciliando l’umanità al Creatore. Tutto questo

sulla base della fede ovviamente.

Nella figura di Daniele, che va dai suoi compagni per

intercedere presso Dio, troviamo quella attitudine di intercessione

e redenzione, onde far di tutto per salvare l’anima.

La preghiera era anche per gli altri; i savi della corte; quel che

rappresentano le nostre qualità personali. Egli intercede per non

farci prendere attitudini e posizioni gravi da far spegnere quella

relazione profonda e nascosta nella nostra immagine interiore,

nella voce del nostro pensiero, ed anche per non odiare noi stessi,

con le nostre qualità.

Il Signore allora rivelò il segreto a Daniele, esclamò: “A Lui

appartengono la sapienza e la forza” (v. 20). Qui il Cristo, l’Unto, lo

Spirito, dà gloria a Dio per la rivelazione; possiamo dire in

quest’opera di richiamo e collegamento a Dio: ci “attira” a Lui, ci

trasporta a Lui. E’ come voler far visualizzare, mettere a fuoco

“l’immagine” di Dio. L’opera dello Spirito, che lavora dietro la

nostra personale immagine interiore, spinge sempre verso la

identificazione della “immagine” del Cristo.

*§*

25

Daniele interpreta il sogno

Daniele andò dalla guardia, l’esecutore (una delle nostre

virtù), dicendo di non far perire i savi di Babilonia (altre virtù

(v. 24). Appare, come solo Lui sa fare, per proteggere le nostre

virtù. Portato davanti al re (la volontà), gli fu chiesto se era in

grado di interpretare il sogno (v. 26). Portato, visto apparire,

perché comincia a prendere forma dentro lo spirito, chiediamo se è

capace di rivelare il mistero che ci affligge. Beltshatsar significa:

“Dio protegge”. Si, il Signore ti protegge! Egli viene a te da lunghi

percorsi per prendersi cura di te, per proteggerti. Daniele, che

rappresenta la luce interiore dietro la nostra immagine, i nostri

pensieri, non attirò attenzione a se (i nostri pensieri), non si prese

la gloria, perché in definitiva, la luce che illumina ogni uomo, non

è la salvezza, ma opera in favore di essa. Quindi portò l’immagine

di un altro, l’Iddio del cielo. Diede questa testimonianza

importante:

“Il segreto di cui il re ha chiesto l’interpretazione, non può essere

spiegato al re ne da saggi, ne da astrologhi, ne da maghi, ne da indovini.” (v.

27).

Qui, la testimonianza della luce nello spirito, comincia a

presentare in modo più diretto, ciò che riguarda l’identità del Dio

del cielo (v. 28). In questo verso c’è la spiegazione che vi è un Dio

nel cielo che rivela le cose nascoste e i misteri della mente. In

questi misteri Dio è nascosto, ed attende di essere scoperto,

conosciuto. Viene il tempo in cui l’immagine di Cristo, si fa

sempre più nitida dentro noi.

Leggiamo il verso trenta: “Ma quanto a me, questo segreto mi è stato

rivelato non perché io abbia maggiore sapienza di tutti gli altri viventi, ma

perché l’interpretazione sia fatta conoscere al re, e tu possa conoscere i pensieri

26

del tuo cuore”. Possa aggiungere il Signore la sua benedizione a tali

parole. Lo scopo per cui Dio fa tutto questo percorso dentro di

noi, è per farci conoscere i pensieri del nostro cuore. Gloria a Dio!

Nella spiegazione troviamo importanti elementi simbolici

che riguardano gli imperi che in seguito avrebbero conquistato e

dominato. Ma, più che questo, visto che stiamo studiando questa

storia da un punto di vista allegorico e spirituale, possiamo fare

brevi segnalazioni come riferimento. Anche qui appare l’argento.

Si noti come l’argento è rappresentato dal petto e le braccia.

Dicevamo che l’argento è in riferimento alla redenzione; il petto è

il cuore, le braccia l’azione. La redenzione riguarda questo

significato nell’uomo. Dio incomincia dal cuore a distribuire il Suo

soffio. Questo è il cordone (legame) d’argento. Poi passa all’azione.

La testa è d’oro. Dalla spiegazione la testa non riguarda solo il

capo, bensì anche il volto. Dal volto abbiamo l’espressione che è il

ritratto di quel che viviamo nel petto. Tutti i cinque sensi sono nel

volto. Il ventre e le cosce sono di bronzo (o rame). Ciò è in

relazione con il fatto che il credente non è destinato ad un cibo

molle e di poca sostanza, piuttosto ad un cibo solido (Ebrei 5:12).

Da tale cibo irrobustisce le sue cosce. La parte muscolare delle

gambe è nelle cosce. Con tale forza cammina e sta in piedi nelle

battaglie.

Le gambe di ferro, che indicano forza e resistenza nel

sorreggere. I piedi, in parte di ferro e in parte d’argilla. Secondo la

logica, i piedi che sono le parti del corpo più bassa, atte a

sorreggere il tutto, dovrebbero essere anch’esse di ferro, mentre

sono in parte di argilla. Questo indica che se pur resistenti e forti

in tutto il corpo, si è più fragili nei piedi. Gesù stesso disse questo

in altre parole quando parlò del lavaggio dei piedi:

27

“Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno che di lavarsi i piedi ed è tutto

mondo” (Giovanni 13:10).

Sappiamo che i piedi sono quella parte che si sporca prima e

che ha bisogno di essere costantemente curata, anche perché

sorregge il peso del corpo. Tanto vi è nel simbolo dei piedi nel

territorio dello spirito. Il cammino del credente è tanto forte

(ferro) quanto debole (argilla); il tutto dipende dal mantenersi in

comunione con lo Spirito di Cristo.

Sappiamo che questa immagine, in prima linea significava la

successione delle conquiste degli imperi; dalla caduta di Babilonia,

ai Medo Persiani, alla Grecia con Alessandro Magno, l’impero

Romano, e alla fine dei tempi ancora l’impero Romano nella

comunità europea, la dove l’anticristo ch’è un uomo religioso, il

papa, dominerà il mondo attraverso il potere economico.

Alla fine della descrizione della statua, si parla di una pietra

che si staccò, senza intervento di mano d’uomo, e colpì i piedi, la

parte più debole e soggetta allo sporcarsi, come abbiamo detto.

Qui possiamo vedere in un linguaggio assoluto, centrale e

primario, la discesa del Figlio di Dio, quando Iddio si fece Uomo.

Colpire il peccato e l’impero della morte e distruggerlo.

Sebbene la statua viene distrutta da quella pietra, che poi

divenne un monte che riempì la terra, non significa che la sua

costituzione e rappresentazione non sia giusta. Il diavolo,

ricordiamoci, è grande imitatore. La struttura della statua

rappresentante gli imperi, è della stessa struttura della vita

spirituale del credente. Parliamo sempre in senso spirituale.

Furono colpiti i piedi perché il cammino del credente è fragile

fino a quando quella pietra non colpisce il nostro modo di

camminare. In altra meditazione approfondiremo questo soggetto.

28

La testimonianza della luce nello spirito, raffigurata da

Daniele, comincia sempre più a dare la visione chiara dell’opera

della grazia e della salvezza. Più ascoltiamo gli avvisi di questa

luce nello spirito nostro, più visualizziamo Gesù Cristo.

Ma fermiamoci nel verso centrale di questa testimonianza: “E

tu possa conoscere i pensieri del tuo cuore”. La statua parlava anche di

lui, il re (la volontà), e lo pose come capo. La testa d’oro. L’aspetto

di questa statua era terribile (v. 31). La luce di Dio nello spirito, ci

parla di noi, ci fa vedere la nostra immagine vera. Ci porta a

conoscere la nostra natura terribile. Questa conoscenza è per dare

stimolo al ravvedimento e a richiedere aiuto al Signore. Più

facciamo questo, più il Signore cresce nella nostra vita.

Essa, come Daniele, ci parlerà personalmente della pietra (il

Cristo), della sua opera di salvezza, e del Suo regno (v. 44).

Dopo questa rivelazione, divenendo la luce di Dio sempre più

forte, il re (la volontà) vide la sua storia, la sua identità, la sua

debolezza, il suo peccato. Cadde ai piedi di Daniele, così come

ciascuno, arrivato a questo punto, cade davanti a Gesù Cristo.

Ordinò che gli si diedero offerte ed incenso. Lo stesso risultato lo

vediamo nella samaritana. Quell’incontro, fu per lei luce, che rivelò

tutto di lei e questo, al posto di scandalizzarla la rese riconoscente

al Signore. Esplose in una genuina testimonianza agli altri.

Quando si incontra Gesù realmente si parla di adorazione.

Una confessione importante che fece il re (la volontà), è che

riconobbe che l’Iddio di Daniele e dei suoi compagni era il vero

Dio che rivela i segreti (v. 47). Non era solo il Dio di Daniele, ma il

loro Dio, suo e dei suoi compagni. Vediamo Gesù, il personaggio

principale nell’evangelo, insieme all’evangelo a formare la giusta

conoscenza.

29

Di fatti: “Allora il re (la volontà) rese Daniele grande, gli diede molti

e grandi doni, lo fece governatore di tutta la provincia di Babilonia e capo

supremo di tutti i savi di Babilonia” (v. 48).

Lo innalzò nel REGNO, lo fece GOVERNATORE , e CAPO

SUPREMO dei savi. Notiamo l’importanza delle parole estese

nella nostra vita. Una volta riconosciuto che Gesù è il rivelatore

dei nostri misteri, che il suo evangelo è migliore delle nostre virtù

e qualità,viene innalzato nel regno della nostra vita; gli viene dato

il governo, e capo supremo su ogni nostra capacità, virtù e qualità

nostra personale.

“Non già che da noi stessi siamo capaci di pensare alcuna cosa come

proveniente da noi stessi, ma la nostra capacità viene da Dio” (2 Corinzi

3:5). “Le disposizioni del cuore appartengono all’uomo, ma la risposta della

lingua viene dall’Eterno” (Proverbi 16:1). Possiamo notare che da noi

stessi non siamo in grado di fare nulla senza di Lui (Giovanni

15:5). Compreso questa grande lezione, entriamo sempre più in

una dipendenza alla Sua Guida, in misura che trova spazio in noi.

Come abbiamo visto fin qui, più lo coinvolgiamo e lo cerchiamo

nei misteri della nostra vita, più Egli sbroglia i nostri nodi, più

cresce in noi.

Il rapporto all’evangelo che dicevamo, lo vediamo nella

benevolenza fatta ai compagni di Daniele (v. 49), nel promuoverli

all’amministrazione degli affari della provincia.

*§*

30

(Capo 3)

Dopo questi eventi, il re fece costruire un’immagine d’oro alta

trenta metri e larga tre. Ciò nella pianura di Dura. Significa,

dall’accadico: Circuito, muraglia. Molto si può apprendere da

queste due parole abbinate fra loro; probabilmente era un posto

dove ci si poteva intrattenere all’osservazione di tale statua, un

posto appropriato diremmo. In questa occasione, desidero fare un

appunto. Il fratello Branham, si sentì di affermare che quella

statua era l’immagine di Daniele. Il motivo è che chi interpretava i

sogni e aveva la rivelazione dei misteri, era considerato come un

dio. Questo il suo pensiero. Ora, dico questo perché la stima per il

ministero profetico di questo fratello, mi induce a maggiore

attenzione. Non voglio contraddire la sua opinione, che rispetto

comunque, perché è pure plausibile che sia come lui dice. Io la

reputo una supposizione perché per quanto possa essere

plausibile, non è tanto probabile. E’ altrettanto plausibile e più

probabile invece, che quella statua sia la rappresentazione di lui

stesso.

-Venne eretta dopo il suo sogno.

-Fu fatta d’oro come la testa vista nel sogno che rappresentava lui

e il suo regno.

-Dopo questo, fece un altro sogno dove lui veniva tagliato e

distrutto. Il significato era che il re Nebucadnetsar, sarebbe stato

umiliato a motivo della sua superbia.

Questo si chiama probabilità. Per questo penso che non si

tratti di Daniele. Credo non ci siano punti e indizi tali da farci

“credere” che si tratti di Daniele. Credere è parola seria,

impegnativa e responsabile. Distinguiamo tra supposizione e

rivelazione, che com’è il significato di questa parola, deve avere

31

indizi da far vedere. Una rivelazione che non si basa su indizi

chiari, non è una rivelazione perché manca di conferme bibliche.

Io stesso, esprimo la mia opinione da un punto di vista

figurativo e spirituale, senza stabilire affermazioni assolute su

questo caso. Dico: suppongo sia così; è solo che la mia

supposizione la considero più probabile di quella del fratello

Branham. Mentre l’idea che sia Daniele è plausibile, l’idea che sia il

re stesso è plausibile ed anche “probabile”.

Il re (la volontà) fece chiamare tutti i funzionari: satrapi,

consiglieri, esperti di legge, tesorieri e tutte le autorità di stato

(tutte le migliori virtù, le nostre forze, le nostre migliori qualità).

Un raccoglimento generale per radunarsi ad adorare quella statua.

Diremmo, ma come? Siamo arrivati al punto che la volontà

comincia a conoscere e vedere Gesù; vediamo il re (la volontà)

piegarsi davanti a Daniele (il Cristo). Com’è possibile che subito

dopo il re (la volontà d’uomo) impegna ogni cosa di se per erigere

una statua per se stesso, per farsi adorare? Strano vero? Invero la

nostra volontà, non si piega facilmente e ancor di più è disposta a

morire.

Anche quando il credente cade davanti alla testimonianza di

Gesù, non è ancora stato domato nel suo punto di forza, il punto

segreto dietro la volontà. Il decreto era chiaro e spietato.

Chiunque non si sarebbe prostrato al suon di musica, sarebbe

messo a morte (v. 6). Per molto tempo vediamo persistere la

nostra immagine in noi stessi, prima che quella del Cristo si

imprimi in noi definitivamente. Presi dall’euforia dell’entusiasmo,

raduniamo tutte le nostre risorse per innalzare e fare adorare,

sottomettere tutto ciò che abbiamo imparato al nostro io.

Naturalmente non al nostro io (volontà) di peccato; piuttosto,

quello RELIGIOSO! L’immagine religiosa che l’uomo ha di se, è

32

più pericolosa di quella in riferimento al peccato. Così la volontà

d’uomo, desidera dominare le cose di Dio senza che se ne rende

conto. Tutte le autorità di stato vennero al re per riferire che gli

amici di Daniele non si piegavano ad adorare la statua. Il re non

poté rifiutare di eseguire gli ordini del decreto. Gli amici di

Daniele, che insieme a lui rappresento l’evangelo, non si piegano

alla idolatria di noi stessi. Molti cadono in questo sbaglio. Ci si

crede a posto per qualche benedizione ricevuta, assumendo quel

contegno falso di compiaciuta approvazione del proprio rapporto

di fede.

L’evangelo è l’evangelo! Esso non si piega davanti nessuno! I

Caldei (le nostre abilità, che in questo caso possiamo identificarla

alla conoscenza) informarono il re (la volontà) che i tre amici di

Daniele non si piegavano all’adorazione della immagine d’oro.

Quando la nostra volontà vede che l’evangelo, il Cristo, ha una

volontà diversa della nostra, cerca il modo di manipolarla, come?

Cercando di interpretarla! La fornace accesa per ingoiare i tre

amici di Daniele, rappresenta la nostra forza, la nostra

intelligenza, la nostra cultura religiosa. Siamo capaci ed attrezzati

ad aumentare sette volte la sua intensità, pur di consumare il

significato vero dell’evangelo, trasformandolo in un nostro

prodotto interpretato.

Il re chiamò i tre uomini a presentarsi davanti a lui (v. 13).

Chiese spiegazione della loro contrarietà. Quando l’uomo vede che

l’evangelo contrasta con le proprie opinioni, quando non ancora

arresi, cerchiamo di trasformare il senso delle cose e del vangelo.

I tre uomini risposero: “Il nostro Dio che serviamo, è in grado di

liberarci dalla fornace di fuoco ardente e ci libererà dalla tua mano o re. Ma

anche se non lo facesse, sappi o re, che non serviremo i tuoi dei e non adoreremo

l’immagine d’oro che tu hai fatto erigere” (v. 17).

33

Anche se Dio non interviene a dimostrare la verità del

vangelo sopra le nostre interpretazioni umane, l’evangelo rimane

pur sempre quello che è, e non potrà essere mai modificato da

alcuno.

Il re (la volontà) si adirò, li fece legare da uomini forti, le

guardie (virtù esecutive), che spinsero i tre uomini dentro la

fornace (fuoco estraneo, luogo di consumazione per far prevalere il

proprio senso di giustizia), ma la fiamma così forte uccise le

guardie preposte (v. 18-22). La forza divorante delle fiamme della

nostra umana intelligenza, distrugge qualcosa di noi stessi, ma al

vangelo non può far nulla! (Ecclesiaste 7:16).

In tutto questo la figura di Daniele non appare. In effetti,

quando abbiamo tali atteggiamenti, quella luce sottile nello

spirito, scompare. Ma cosa avvenne? Il re (la volontà) guardò

dentro la fornace della mente contorta, e vide che le fiamme della

consumazione, non poterono danneggiare quegli uomini

rappresentanti l’evangelo, tanto più che apparve il “quarto”

personaggio a completare il numero. Il Cristo appare qui, in

questa scena. Viene distinto come un figlio degli dei.

Il re chiamò i tre uomini a presentarsi davanti a lui. I prefetti,

consiglieri, governatori (sempre le nostre umane qualità, il meglio

di noi) si avvicinarono per osservarli e studiare il fenomeno. Il

fuoco non aveva potuto nulla! Di fronte il nostro zelo religioso di

fuoco, là dove pensavamo di aggiustare l’evangelo piegandolo

secondo le nostre vedute, appare Colui che completa il numero

(quattro) per dare forza “all’evangelo” e dimostrarsi incrollabile

nella sua integrità. Di fronte le parole del maestro, Pietro volle

dimostrare diversamente, pensava di essere diverso dagli altri e,

che nel momento difficile, quando tutti si sarebbero scandalizzati

di Gesù, lui, Pietro no! Si era accesa una fornace di zelo e fuoco in

34

lui. Ci aveva buttato le parole di Gesù dentro, e pensava di

consumare il senso di quelle parole. Non si può fare! Nessuno e

nessuna cosa può cambiare, modificare il senso delle parole di Dio.

Aveva anche rimproverato il maestro di non andare a

Gerusalemme, dicendo tolga ciò Iddio; ciò non ti avvenga mai!

Gesù, come sappiamo, rispose: vai via da me satana! Tu hai il senso

degli uomini. Gesù doveva andare a Gerusalemme e soffrire e

morire, era necessario; ma Pietro accese ancora la sua fornace

religiosa, ma ancora con il “senso degli uomini”, e ci buttò dentro

le parole di Gesù, pensando che le poteva modificare. Mosè, con il

suo bastone percosse la roccia una seconda volta, quando il

comando era semplicemente di “parlare alla roccia”. Anche in lui

in quella occasione si era accesa una fornace di zelo di fuoco,

pensando di agire in tal modo da “far andare bene la cosa lo

stesso”. La parola di Dio non si può cambiare! Dio si adirò con

Mosè. Anche Balaam chiese due volte la stessa cosa a Dio, avendo

già ricevuto risposta. Pensava che Dio potesse cambiare idea.

Molte volte, per uno zelo eccessivo, senza quella dovuta

conoscenza, si accendono fuochi in cui gettarvi dentro le soluzioni

di Dio, pensiamo che Dio possa essere modificato, ma non è

possibile. Le esperienze ci confermeranno che è così. Anche i figli

di Aaronne offrirono al Signore un “fuoco estraneo”, e furono

consumati da Dio stesso (Levitico 10).

Gli uomini di corte (le migliori qualità umane) esaminarono i

tre uomini (rappresentanti il vangelo) usciti dalla fornace e non

c’era odore o bruciatura alcuna delle fiamme. Allora il re (la

volontà) disse: “Benedetto sia l’Iddio di Sadrak, Meshak e Abed-nego, che

ha mandato il suo angelo (il quarto uomo) e ha liberato i suoi servi” (v.

28). La volontà è portata vie più a visualizzare il Signore Iddio,

quello del vangelo, ricordando che ha mandato il suo angelo, il

35

quarto uomo, per completare il numero dei vangeli. Non si tratta

di un dio qualunque, ma l’Iddio dei vangeli, del vangelo!

Il re (la volontà) decretò che in tutto il regno (la nostra vita),

nessuno avrebbe parlato male del Dio dei tre uomini (l’evangelo)

compreso Daniele, altrimenti quel tale sarebbe “tagliato a pezzi e

la sua casa ridotta in letamaio” (v.29).

Nella nostra vita vale lo stesso principio, e lo vediamo nelle

parole di Paolo: “Perché le armi della nostra guerra non sono carnali, ma

potenti in Dio a distruggere le fortezze, affinché distruggiamo le

argomentazioni ed ogni altezza che si eleva contro la conoscenza di Dio e

rendiamo sottomesso ogni pensiero all’ubbidienza di Cristo” (2Corinzi

10:4,5). Per così dire, “faremo a pezzi” ogni pensiero che si innalza

contro la conoscenza di Cristo. Sempre Paolo disse che

riteneva tanta “spazzatura” le cose che gli erano guadagno

(Filippesi 3:6-8).

Conclude il re dicendo che solo l’Iddio dei tre uomini col

quarto angelo, può SALVARE! Così il re (la volontà) benedisse i

tre, rappresentanti l’evangelo, in tutto il regno (la nostra vita).

Il re (la volontà) fu sempre più attirato verso una più chiara

visione della identità del Dio dell’evangelo, e del suo piano di

salvezza.

*§*

(Capo 4)

Il re prese a dire: “Mi è sembrato bene di far conoscere i segni e i

prodigi che il Dio Altissimo ha fatto per me” (v. 2).

Constatazione di espressioni e fatti che il re aveva

sperimentato su di se e visto sul regno.

36

Tutto questo perché aveva avuto a che fare con quattro

(l’evangelo) uomini. “Mi è sembrato bene”. E’ un linguaggio di una

persona che ha cominciato a sperimentare qualcosa della potenza

di Dio.

Stiamo seguendo il percorso che il Cristo affronta dentro un

anima, le difficoltà che incontra, il modo gentile ma autorevole e

fermo di come trasmetterci la Sua Guida. Nel re lo aveva portato a

questo punto “…segni e prodigi che Dio ha fatto per me!”.

Il re (la volontà) fece un altro sogno (diciamo visione) e vide

un grande albero, la sua cima giungeva al cielo (al cielo)! Era

fecondo, fogliame e frutti. Cibo per tutti. Alla sua ombra si

riparavano gli animali della terra e del cielo.

Di fronte alla terribile visione che lo turbava, a un tratto vide

un guardiano, un santo, scendere dal cielo. Lanciò una sentenza

che pareva essere devastante per l’albero, e per quel che

rappresenta. Ma… quando si parla di abbattere, se è il Signore che

lo ordina, prenderà cura di lasciare un residuo, un rimanente.

“Lasciate però nella terra il ceppo delle sue radici…” (v. 15).

Davanti a questa visione, il re (la volontà) chiamò ancora la

cerchia dei consiglieri, i saggi di corte (le nostre migliori qualità e

virtù). Ancora ci si affidava; però fece chiamare anche Daniele (il

Cristo). Fu lui che diede la risposta al re (la volontà).

L’albero era il re stesso (la volontà), che sarebbe stato

tagliato, fatto crollare per la sua “superbia”, ma fu custodita la

radice con: “…legato con catene di ferro e di bronzo” (v. 15). Da un lato,

tenuto prigioniero, dall’altro PROTETTO! Nessuno poteva

spezzare quelle catene, che significano la guardia del Signore su di

lui (v. 26). Nessuno poteva fargli del male; Dio aveva un piano di

ristoramento per il re (la volontà).

37

Qual’era il fine? Il re (la volontà) doveva raggiungere la

rivelazione e consapevolezza che il CIELO DOMINA!

La spiegazione di Daniele finì con il saggio consiglio, di porre

fine ai peccati a cui il re si dava. Vediamo da questo che Gesù, voce

sottile nella coscienza di ogni uomo, conversa con il re (la volontà)

per incoraggiare e spingere alla giustizia.

Una sentenza dura per il re (volontà), era che sarebbe

scacciato in mezzo agli uomini, e la sua dimora sarebbe con le

bestie dei campi (v. 25). Scacciato, separato dagli uomini; anche

per Gesù fu così, e per ogni anima che davvero anela onestamente

appartenere a Cristo. Arriva il tempo della solitudine, della “lotta

con Dio”. Per il re fu una umiliazione.

Il sogno si compie

Tutto ciò che il profeta Daniele gli aveva detto si compì

esattamente secondo l’interpretazione del sogno.

Dodici mesi passarono dalla rivelazione del sogno. Il re (la

volontà) vide il suo impero attraverso se stesso, le sue capacità e la

sua forza. Si glorificò da solo. Nello stesso mentre giunse una voce

dal cielo che disse: “A te, o re Nebukadnetsar, si dichiara: il tuo regno ti è

tolto”. Continua descrivendo la condizione che lo imprigionerà per

tutto il tempo della sua punizione; sarai con le bestie dei campi…

Ciò è identificazione. Il re (volontà) fu ridotto ad assomigliare a

quel che è la sua natura animale senza la Vita e la Guida dello

Spirito Santo.

In termini spirituali, per noi, diremmo, essere lasciati succubi

dei nostri istinti, della nostra natura senza Dio.

Questo perché? Perché l’uomo deve imparare a riconoscere che il

cielo domina! Il re imparò la lezione.

38

*§*

(Capo 5)

Da ora in poi non si parlerà più del re Nebukadnetsar.

Dal capitolo cinque ci viene presentato quello che viene

identificato come il figlio del re Nebukadnetsar, Belshatsar.

Questo ci insegna come la volontà d’uomo subisce dei tempi

che passano, circostanze che segnano un tempo che passa e uno

che viene sotto un altro nome (identità). A volte, come uscendo da

una circostanza che poteva come chiamarsi in un modo, per poi

entrare in un'altra fase che si chiamerà in un altro modo ancora.

In questa seconda fase, possiamo dire che il nostro io, la

nostra volontà assume il nome di Belshatsar, sarà lui il re che

paragoneremo alla volontà.

Il re dunque fece un gran banchetto a mille dei suoi grandi e

bevve vino, facendo portare i vasi d’oro che suo padre aveva

portato via dal tempio a Gerusalemme.

Lui, i suoi grandi, le sue mogli e concubine (passioni,

concupiscenze), bevvero in quei vasi consacrati, (primi versi).

Nel verso quattro è detto che mentre bevevano vino lodarono

i loro dei; ne elenca sei: di oro, argento, bronzo, ferro, legno e

pietra. Sei è numero d’uomo, tali sono quei “dei” a cui prestarono il

loro culto. E’ come vedere il culto a “se stessi”, la volontà d’uomo.

Invero, Iddio deve lavorare molto per conquistare definitivamente

la volontà dell’uomo.

Tutto a un tratto, apparve una forma di mano che scrisse una

frase sul muro, di fronte al candelabro. E’ specificato, “sulla parete

del palazzo reale”, probabilmente era una parete importante; bene

39

in vista. Il re (volontà) mutò aspetto; fu turbato da quel che

vedeva. Lo stesso atteggiamento di suo padre quando ebbe i sogni.

Come lui, chiamò gli astrologhi i Caldei e indovini, per cercare il

significato di quella scritta. Il valore del premio equivaleva alla

buona riuscita della proposta. Chi avrebbe sciolto l’enigma

sarebbe promosso ad occupare il terzo posto nel governo del

regno (v. 7).

Tutti i savi del re entrarono e cercarono di interpretare quella

scritta ma non riuscirono. Allora il re fu più che mai turbato e

scoraggiato, e i suoi grandi, i mille, furono smarriti. Questi mille

sono i nostri idoli, gli idoli a cui la volontà d’uomo è tenacemente

attaccata. Non si possono misurare e identificare con statue od

oggetti materiali, sebbene siano inclusi ed impliciti, ma

soprattutto idoli spirituali in riferimento a e stessi.

Anch’essi furono smarriti. Nessuna forza, nessuna

intelligenza può interpretare e spiegare il linguaggio assoluto e

perfetto di Dio. Intervenne una figura femminile, la regina, la

moglie del re. Lei rappresenta il buon senso che prende stimoli

dalla coscienza. Ricordò al re (la volontà) che nel regno (la nostra

vita) c’è un uomo (la vera luce che illumina) che ha intendimento

di interpretazione. Il Cristo aveva già preso forma nella vita del

regno e del re (la volontà). Erano conosciuti, sia Daniele che i suoi

tre amici. Cristo nel Suo evangelo. La volontà (il re) chiama il

Cristo, lo interroga circa i misteri della sua vita; scritte, che

appaiono nelle sue pareti, pareti del cuore… (Geremia 4:19).

Solo Iddio conosce il cuore dell’uomo e di conseguenza sa tradurre

ogni scritta che vi appare, che Dio stesso scrive. In altro modo

viene detto in Giobbe 33:14-19; 23,24; dove ci viene spiegato un

procedere del Signore attraverso i sogni; scritture segrete che

appaiono nella mente, misteri che solo Iddio conosce e può

40

interpretare. Chiamiamo l’interprete! Ma se vicino a lui vi è un

angelo (messaggero, interprete), uno che mostri all’uomo il suo

dovere… Avrà scampata la sua vita, alleluia!

Ci vuole l’interprete, il traduttore del linguaggio dello Spirito.

Questo il lavoro dello Spirito dentro l’anima, il regno della nostra

vita. A tutto questo, dobbiamo allegare l’intervento del Cristo, nel

come agisce anche “fuori” della nostra vita. Diciamo, attraverso i

suoi servi. Non dobbiamo mai dimenticarlo. Il fatto è che in questa

meditazione, l’aspetto dell’opera del ministero, il lavoro dello

Spirito attraverso i suoi servi, non risalta in questa storia se non

nel suo lato profetico o strettamente scritturale. Comunque sia,

vogliamo concentrarci sul percorso interiore del Cristo, come luce

che illumina “ogni uomo”.

Vi sono molti festeggiamenti che dedichiamo ai nostri dei,

che ancora risiedono “dietro” la nostra volontà. Festeggiamenti

che possono essere identificati anche come culti a Dio. Spesso,

nella lode, l’uomo che si dice credente, nasconde molti idoli,

mentre fa mostra di onorare Dio.

Le coppe d’oro, da dove bevevano il vino, rappresentano i

doni dello Spirito, le benedizioni, la prosperità materiale e

spirituale; unito al vino della gioia. Tutto questo può farsi, feste e

festeggiamenti, senza che Dio ne sia compiaciuto.

La parete della coscienza, illuminata dalla luce del

candelabro, lo Spirito, porta il messaggio nella lingua che si può

comprendere, ma avendone nascosto il senso. Per questo ci voleva

il traduttore. La vera luce che illumina, fa chiarezza, fu chiamato

perché già conosciuto. Aveva fatto e partecipato ad altri interventi

nel regno, sempre con buona riuscita.

Il tutto si riassume in questo: Daniele fu cercato, chiamato,

invitato e consultato, ancora una volta. Come abbiamo già visto

41

nelle altre circostante, Daniele, ogni volta fu chiamato e risolveva

chiarendo i misteri, salì di grado nel regno. Lo stesso con Gesù; più

lo cerchiamo, lo invitiamo e consultiamo, nei misteri che ci

riguardano, più Lui cresce nel regno della nostra vita. E’ un modo

per vederne l’efficacia del come. SOLO QUANDO NOI LO

CERCHIAMO PER FARE LUCE, CI ARRENDIAMO E

DISPONIAMO PER CEDERGLI IL REGNO. Così egli cresce in

noi: “Conviene ch’egli cresca e che io diminuisca” (Giovanni 3:30).

Spesso la rivelazione di quel che siamo, della verità intorno a noi

stessi ci spaventa (v. 6).

Quando il re (la volontà) chiese a Daniele di interpretare la

scritta, gli disse: “Ho sentito dire di te che lo spirito degli dei è in te e che in

te si trova luce, intendimento e una sapienza straordinaria” (v. 14). Ha

sentito dire; informazione tramandata; la nostra memoria, le

nostre passate esperienze e testimonianze di averlo visto all’opera.

In quest’uomo vi è luce! Questa è la lezione che si ha finalmente

imparato; un pò come la testimonianza del re Nebucadnetsar:

“Mi è sembrato bene di far conoscere i segni e i prodigi che il Dio Altissimo ha

fatto per me…” (4:2). Gesù è la vera Luce in noi!

Daniele spiegò al re (volontà) la storia di suo padre. Cristo,

nella miniera, sotterraneo della nostra vita, il grande minatore, ci

ricorda le vicende, le disubbidienze di nostro padre. Questo ci

riporta in dietro; a riconsiderare le nostre diverse identità del

passato del nostro percorso. Abbiamo diverse identità nel corso

della storia della nostra vita. Andiamo da tappa in tappa; da

statura a statura. Si mediti bene Giobbe 39; dalla capra all’aquila.

Come suo padre, dunque, si ridusse alla vita delle bestie della

campagna. Si noti il riferimento alla “dimora”, e “all’asino

selvatico”. Segno di identificazione alla ostinatezza.

42

La traduzione della scritta fu: MENE, MENE, TEKEL,

UFARSIN. Contato, pesato, trovato mancante! Che terribile

condizione! Che delusione! Bere nei calici d’oro del tempio

dell’Iddio del cielo, ed essere trovati mancanti. Possa il Signore

aiutarci a non illuderci. Questo libro, questa storia, ci insegna

anche questo molto eloquentemente.

Alla spiegazione fu per così dire, incoronato e fu elevato terzo

nel regno. E come abbiamo fatto riferimento alle parole del

battista in Giovanni 3:30; dopo l’innalzamento di Daniele (Gesù):

“In quella stessa notte Belshatsar, re dei Caldei, fu ucciso” (v. 30).

*§*

(Capo 6)

“Te le ho annunziate fin dal principio, te le ho fatte udire prima che

avvenissero, perché non avessi a dire: Le ha fatte il mio idolo, le hanno

ordinate la mia immagine scolpita e la mia immagine fusa” (Isaia 48:5).

Dio, per lo Spirito, dà bagliori di luce per dare richiami

sensibili allo spirito dell’uomo, affinché noi chiamiamo e

cerchiamo Gesù (l’interprete), vera luce, rivelazione. In questo

modo, questo verso di Isaia si articola nella vita interiore

dell’uomo; affinché possiamo avere una testimonianza sempre

viva, che era Lui a ispirare ciò che poi abbiamo visto e vissuto, e

non i nostri idoli (le nostre abilità nella volontà).

Un altro re appare in questo capitolo. Dario, stabilì 120

satrapi sul regno e tre prefetti, di cui uno era Daniele, il quale

eccelleva sopra gli altri (v. 1,2).

Dal verso 1-5, c’è l’informazione che i collaboratori di Daniele

nella gestione del regno, complottavano contro di lui per gelosia,

perché appunto Daniele aveva una luce insuperabile.

43

In questo possiamo vedere come quando Gesù non è ancora

eletto unico Re, nel regno della nostra vita, i possibili attriti che ne

possono conseguire. Quelle abilità naturali che ci appartengono, e

che ancora teniamo care e su cui contiamo, si contraggono nei

confronti della vita soprannaturale del Cristo; Colui che sale di

promozione in promozione, e che ha caratteristiche eccellenti e

sublimi di regalità. C’è sempre qualcosa in noi che si contorce,

quando vediamo in noi stessi, il potere di Cristo impadronirsi

sempre più della nostra vita. E’ da chiarire che queste figure regali,

in origine, sono spiriti maligni, passioni, concupiscenze che

guerreggiano nella nostra anima. Essi si muovono dietro le nostre

naturali abilità, quando ancora non sono state interamente

consegnate a Dio.

In quel complotto non poterono trovare nulla di scorretto in

Daniele, tanto che pensarono di trarlo in inganno circa la sua

fedeltà al suo Dio. Questi spiriti seduttori, cercano di complottare

contro ogni propensità alla santità e giustizia, esattamente come

fecero con Daniele ed anche con Gesù stesso. Anche verso Lui gli

uomini religiosi di quel tempo complottavano. E’ sempre stato

così, questi demoni vogliono abbattere l’opera di Dio nella nostra

vita.

Dal verso 6-8, vediamo come questi prefetti (spiriti negativi),

lavorano per sedurre il re (la volontà). Essi proposero di divulgare

un decreto, dove chiunque avrebbe pregato un qualsiasi dio,

all’infuori del re, sarebbe condannato. Così, gli spiriti seduttori

agiscono dentro l’uomo. Essi si avvicinano tumultuosamente (v.

6), con imponenza, rumore… il tutto per dare il senso di qualcosa

d’importante da proporre. La seduzione è semplice; plagiare il re

(la volontà), per attirare ogni virtù umana, ogni pensiero, ogni

desiderio, ogni azione, tutto il regno, al governo della tua volontà

44

umana. Il messaggio che il diavolo porta insistentemente

all’umanità è, che tu sei il governatore della tua vita e puoi fare

quello che vuoi. Ogni “voce” interiore, ogni virtù, che in te si

rivolge ad “un altro”… Gesù in noi che ci attira al Padre, allo

Spirito; sia condannato! Tu o re, tu volontà, volontà d’uomo, devi

essere pregato; tu, volontà d’uomo devi ricevere le richieste dei

tuoi desideri, virtù e passioni. Tu, volontà, devi avere il controllo

su di essi; così puoi decidere liberamente se assecondare il peccato

o no. Tutto deve rivolgersi a te; non a Dio, non alla Sua volontà; sei

tu il padrone di te stesso. Questo il messaggio di questi versi.

Quando Daniele seppe che il re firmò il documento, pregò il

Suo Dio come sempre; senza vergogna o ritenzione (v. 10). Così

Gesù nel regno dell’anima. Come Iddio vede le nostre adesioni, il

nostro aderire alla voce del maligno, il Cristo intercede per noi

presso il Padre. Gli spiriti, che come abbiamo già osservato, hanno

qualche nascondiglio anche dietro le nostre migliori abilità, si

ripresentano al re (volontà) per incolpare questo intercessore

segreto; Gesù in noi speranza (preghiera) di gloria (Colossesi

1:27). Accostiamo a questo anche Romani 8:26. Questo per dare

chiaro il quadro che Gesù prega, respira in noi, alleluia!

Questi spiriti lusingano la nostra volontà, incitandola alla

assoluta sovranità della nostra vita. Il diavolo non vuole che sulla

vita degli uomini regni la volontà di Dio; bensì la volontà d’uomo.

Questo perché, attraverso la volontà umana, il diavolo può lui

regnate in noi, essere lui il re, e quindi distruggerci.

In questo brano vediamo come il diavolo, attraverso i suoi

collaboratori, cerca in tutti i modi di far vedere la figura di Cristo,

come di uno che non vuole il bene del regno della nostra vita.

Quando il re Dario seppe che Daniele pregava il suo Dio, fu

grandemente dispiaciuto e cercava di strapparlo dalle loro mani.

45

Questa era l’intenzione del suo cuore. Ma vi era il documento

purtroppo a cui rendere conto. Le forze del male, dietro le passioni

e concupiscenze, le idee ed opinioni, sanno come metterci in

conflitto con il nostro Dio. Anche in questo caso vennero

tumultuosamente… (v. 15). Spesso, se presi nel laccio della

tentazione, nel mentre che riceviamo una cattiva impressione di

Lui, a causa del plagio di questi spiriti seduttori, cerchiamo

comunque di difendere Gesù in noi; vogliamo tenerlo vivo dentro

di noi. L’uomo così si sente stretto fra due forze. Fa parte di tutta

la vita dell’uomo, dover fare i conti con il messaggio centrale

dell’evangelo:

“Se qualcuno mi vuole seguire, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e

mi segua” (Matteo 16:24).

Il patto che ogni uomo fa (il documento), in un certo senso, è

la consapevolezza di essere succubi delle nostre passioni. E’ un

documento, una legge, una forza! Attraverso il sacrificio di Cristo

sulla croce, questo documento, questa condizione, questa legge,

viene vinta, interrotta (Colossesi 2:14,15). Quello che noi stiamo

vedendo in questa storia, è il modo di come Dio lavora in noi, “per

portarci” a realizzare di fatto ciò che Cristo ha conquistato sulla

croce. Il messaggio quindi di questi spiriti nemici, dietro la forza

delle concupiscenze, è che il decreto non si può cambiare (v. 15).

Questo significa, trasmettere il pensiero della dipendenza,

nonostante sappiamo che Gesù ha vinto. La guerra perenne tra la

fede e il dubbio. Vediamo da dove viene la forza delle

concupiscenze, quelle che ci attraggono e ci adescano (Giacomo

1:14,15).

*§*

46

(Daniele nella fossa dei leoni)

Dalla fossa dei leoni viene la “forza” delle radici della

concupiscenza. La fossa dei leoni sono i fondamenti, quel

meccanismo dietro la volontà, dove Gesù dovrà andare per

affrontare i nostri leoni.

Nel verso 16, il re (volontà) da l’ordine di gettare Daniele

(Gesù) nella fossa. La volontà accetta questo, che significa, la

decisione di lasciarlo scendere, finalmente, fino alla base del

problema. Là dove i nemici, gli spiriti immondi, trovano appiglio e

forza. In un certo senso è come se la nostra volontà accettasse la

sfida; Gesù che entra negli inferi della nostra volontà. Qual è il

motivo? Per vincere! Per conquistare a sé la nostra volontà e

metterla in linea con la Sua. Lo stesso, come già prima fece,

quando dopo la morte sulla croce, scese negli inferi per predicare

alle anime in prigione (1 Pietro 3.19).

Notiamo come il re (volontà), ormai succube del decreto (la

forza della concupiscenza), disse a Daniele (Gesù): “Ma il re parlò a

Daniele e gli disse: Il tuo Dio, che tu servi del continuo, sarà egli stesso a

liberarti”. Qui vediamo un po’ qual è la tendenza del re. Lui sperava

che Daniele ne uscisse vivo e quindi, poter vedere la gloria e

potenza di Dio. Così nella nostra volontà, il profondo e intenso

amore per il Signore, ci porta a desiderare la Sua vittoria. Si riflette

un'altra immagine accanto a questa. Giacobbe! Lasciami andare

perché viene l’alba, disse il Signore. Giacobbe disse, no. Dapprima

resisteva al Signore, ma quando Egli vide che non lo poteva

vincere (in questo caso, persuadere) lo “toccò”; e da quel tocco

Giacobbe capì chi era Colui con cui lottava. Da quel momento,

Giacobbe non lo lasciava, perché voleva ricevere la Sua

47

benedizione. Il desiderio profondo del cuore è, la vittoria e

liberazione del Signore, nel Suo tocco meraviglioso.

Il re sigillò la fossa con il suo anello (la propria autorità) e

con l’anello dei suoi grandi (spiriti negativi dietro il decreto). La

notte non dormì e digiunò; quello che i suoi grandi non fecero.

Questo ci fa vedere la predisposizione e consacrazione, mentre

Gesù lotta e conquista per noi. Queste figure vanno viste unite

assieme. Da un lato, Gesù nella fossa della concupiscenza;

dall’altro, la nostra volontà che veglia e digiuna. Veglia, sta sveglia

in comunione con Dio; digiuna, astinenza, santificazione.

Astinenza soprattutto dalle tentazioni che vengono dalla fossa

della concupiscenza, forte come leoni. E’ la lotta più grande, più

feroce. La mattina dopo il re si alzò presto e andò di corsa alla

fossa dei leoni. Chiamò Daniele così: “Daniele, servo del Dio vivente, il

tuo Dio, che tu servi del continuo ha potuto liberarti dai leoni?” (v. 20). In

queste parole non si può fare a meno di notare quanta speranza vi

era nel re (volontà) di sentire una risposta proprio da colui che

passò la notte con i leoni. Era il desiderio della “risurrezione!”

“Allora Daniele disse al re: O re, possa tu vivere per sempre!” (v. 21).

Come? Al posto di preoccuparsi di se, considerando dov’era, si

preoccupò della vita del re? E’ come l’esperienza e realtà di morte e

risurrezione. Gesù andò ad affrontare quelle forze immense; forze

a cui nessun uomo avrebbe potuto scampare passando la notte,

l’ora delle tenebre… la morte… Per risalire il mattino seguente

come per una specie di risurrezione. Benedetto è il nome del

Signore! Per quella morte sul calvario Egli, come Daniele poté dire:

viva il re! Ossia, il tuo nome. Aggiungi il tuo nome a quella

esclamazione. Finalmente Gesù ha suggellato “in te” la sua opera

già conquistata “in Lui”. E’ sceso fino nel tuo punto forte, dove

sono i leoni della tua forza e li ha resi soggetti alla Sua divina

48

autorità. Queste le parole di Daniele: “…Perché sono stato trovato

innocente davanti a Lui; ma anche davanti a te, o re, non ho fatto alcun male”

(v. 22).

E’ stato trovato innocente. Non fu come nel caso di Davide, o

Sansone, il modo in cui hanno ucciso i leoni che gli venivano

contro. Qui si parla di innocenza! E’ stato trovato innocente

davanti a Dio e agli uomini. Figura di Cristo; l’agnello, innocente,

puro da ogni colpa, offrì se stesso per noi TUTTI, ma che poi

raggiunge ciascuno INDIVIDUALMENTE; scendendo e

conquistando con la Sua Innocenza quelle forze che sono alla base

della nostra vita e volontà. Come nella nuova Gerusalemme,

L’agnello sarà il luminare, così nella vita personale di ognuno sarà

il luminare, che farà luce nella oscura fossa dei leoni, della forza

della nostra concupiscenza. Attraverso la Sua innocenza ha

conquistato, persuaso e convinto ogni forza dentro di noi.

Nessuna forza in noi può accusarlo di qualche male. Nessuna

forza può vantare un qualche legame o compromesso con Lui. Egli

è santissimo. Un quadro perfetto lo troviamo anche nella

tentazione. Gesù fu tentato dal diavolo, là dove egli pensò che

Gesù avrebbe ceduto alle sue tentazioni e lusinghe. L’innocente

non peccò. Non ebbe nessuna relazione con le sue proposte. Il

fatto che Gesù non peccò mai; non cedette mai, ne alla forza ne

alla lusinga, è la base per cui è detto di Lui: “Avendo ucciso l’inimicizia

in se stesso” (Efesini 2:16). Questo “in se stesso”, determina che

sebbene sia stato tentato, provato, provocato; quelle forze di

tendenza peccaminosa, trasgressione, le ha uccise dentro di se.

Per questo è enfatizzata “l’innocenza”, per questo è importante.

Quando il peccato non trova legami con te, sei innocente; e per

questa innocenza sei vittorioso su di lui.

49

Il diavolo cerca sempre dei legami, che siano anche pretesti,

su cui agganciarsi per sfamare, per farci sfamare le concupiscenze.

Si! Quei leoni hanno “fame”; e quando viene l’ora, ribolliscono

dentro di noi. L’accostamento al digiuno e la preghiera, fatta da

Gesù (Matteo 17:21), circa il resistere e scacciare certi spiriti, è per

enfatizzare questo aspetto. Il digiuno, in quel caso, rappresenta

più che il suo senso letterale; è quel digiuno, ossia astinenza, dal

non aver nessuna relazione o legame con il peccato, o con certi

peccati. Difatti, nella sfera e misura in cui si riceve liberazione, si

riceve autorità corrispondente. Il punto è la santificazione. Più ci

si santifica, più si riceve autorità spirituale.

Nessun legame col peccato di carne, nessun legame col

peccato di spirito (2 Corinzi 7:1). Questa condizione determina

una libertà spirituale che è la vera “innocenza”, quella dinnanzi

alla quale la fame colposa dei leoni della concupiscenza, viene

addomesticata. Il segreto è distruggere il male “in se stessi”:

“Perché le armi della nostra guerra non sono carnali, ma potenti in Dio

a distruggere le fortezze, affinché distruggiamo le argomentazioni ed ogni

altezza che si eleva contro la conoscenza di Dio e rendiamo sottomesso ogni

pensiero all’ubbidienza di Cristo” (2 Corinzi 10:4,5).

Su questa base possiamo vedere l’atteggiamento di Abramo

nei confronti del re di Sodoma, dopo aver alzato la mano e

presentato il suo patto col Signore, disse:

“…Che non avrei preso niente di ciò che ti appartiene, neppure un filo o un

legaccio dei calzari, perché tu non abbia a dire: Io ho arricchito Abramo”

(Genesi 14:22,23).

Nessun legame! Qual’era il fine? Che il re di Sodoma (il

diavolo) non dica che lui ha arricchito Abramo (i credenti). Se

Abramo avrebbe accettato qualcosa dal re, allora in qualche modo

50

gli sarebbe stato obbligato, e il re poteva avanzare qualche pretesa.

Ma Abramo, tipo degli eletti, aveva la vista lunga ed affilata;

rifiutò.

Il caso di Davide, quando peccò con Bath-sceba, è un'altra

immagine perfetta per questo caso. La scrittura ci dà particolari

importanti, nel racconto rivelatore di Nathan. Nel racconto del

profeta appare la figura di un “viandante”, il quale fu come “ospite”

di Davide, dato che si accingeva a dargli “cibo” (2 Samuele 12:4).

Quel viandante era lo spirito della fornicazione, che in quel

caso sarebbe sfociato nell’adulterio. Era andato da Davide, volle

sfamare la sua fossa dei leoni. I leoni di Davide avevano fame… Il

viandante fu trattenuto per dargli cibo! Quello spirito, la sua fame,

rispecchia la fame dei leoni, che avrebbero mangiato e soddisfatto

quell’appetito di adulterio. Il diavolo trovò Davide nell’ozio, non

era andato alla battaglia con i suoi uomini; era debole in quel

momento, e così lo attaccò, lo tentò. Davide, aveva questa

debolezza che il diavolo sapeva. Non che Davide era affamato di

fornicazione; mi riferisco a quelle passioni segrete e represse, che

per molto tempo rimangono nascoste in noi (quanto poco ci

conosciamo!...), e in un momento di debolezza, come fu per

Davide, si presentano. Questo fu il legame, l’appiglio, il legaccio

“non rifiutato” del re di Sodoma, che il diavolo sfruttò. Nello

stesso modo che ci dice Romani 7:8; il peccato coglie “l’occasione”,

“anche” attraverso il comandamento della legge, o della parola di

Dio.

I leoni hanno fame; e questa fame si fa sentire dentro di noi,

per cui la volontà decide di conseguenza. Il segreto è, come

abbiamo detto, distruggere ciò che si eleva, la fame, le passioni

appunto, al di sopra della volontà di Dio, e distruggerla in noi

stessi. Dentro di noi la battaglia, dentro di noi la distruzione. La

51

nostra battaglia non è contro carne e sangue ma contro gli spiriti e

le autorità nei luoghi celesti (Efesini 6:12). Per distruggere dentro

di noi, le passioni e le concupiscenze, abbiamo bisogno di

mangiare la carne del Figliuolo di Dio, e bere il suo sangue.

Mangiare la cena del Signore, il pane spezzato dalle sue mani; che

come ci dice Paolo, mangiamo e beviamo un giudizio su noi stessi,

cioè sulla nostra fossa dei leoni (1 Corinzi 11:28-32).

Perché questo? Genesi 3:19 ce lo dice: “Tu mangerai il pane col

sudore del tuo volto, finché tu ritorni alla terra perché da essa fosti tratto”.

Finché ritorni in polvere! Lascia che Gesù entri nella tua fossa dei

leoni; la Sua innocenza terrà a bada i tuoi leoni. La fame incessante

e violenta della concupiscenza troverà in Lui riposo. In Isaia 11,

vediamo due schiere di animali; una feroce una domestica. Un

bambino li conduce, e tutto trova ordine. Il leone si nutrirà di

paglia come il bue (V. 7). Altri saranno i desideri, la fame, quando

quel bambino, che rappresenta la nuova nascita in noi, prenderà il

sopravvento, li condurrà. A Lui consegniamo i nostri istinti, i

nostri valori, le nostre qualità, le nostre passioni. Lui sa come

trattarli. Nel verso 9, è chiara la promessa che: “Non si farà ne male ne

distruzione su tutto il mio monte santo”. La vera luce che illumina ogni

uomo; illumina, lavora in ogni uomo. Certamente che chi lascerà

lavorare questa luce nella sua vita, vedrà quell’ordine promesso;

dove non si farà guasto su tutto il monte santo. Chi non lascerà

campo libero a quella luce; confusione, disordine e distruzione lo

colpirà.

Quindi la scena propone questa immagine: Daniele viene

calato nella fossa, e il giorno dopo ne esce vivo ed esclama, viva il

re. Quando Gesù morì sulla croce, andò negli inferi, predicò alle

anime tenute prigioniere, chiuse la bocca al gran leone (satana) e

risuscitò. Diede la vittoria ai credenti a causa di questo atto

52

compiuto. Ora la stessa scena viene rivissuta personalmente

nell’individuo. Lasciamo scendere Gesù, in questo percorso

interiore, lo accettiamo fino in fondo o dietro la volontà, là dov’è la

fossa dei nostri leoni. Là il Signore può mettere a tacere la furia

della concupiscenza umana con la Sua innocenza; riemerge per

una vita e potenza di risurrezione. Da quel momento, Gesù appare

nella nostra vita, con questa conquista: viva il re! Viva l’umanità

che accetterà l’opera di salvezza. Come spesso ricordiamo il verso

di Giovanni 3:16:

“Iddio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito Figlio

affinché chiunque crede non perisca ma abbia vita eterna”.

Vogliamo precisare semplicemente che l’opera del Signore,

non si è fermata al passato, e ora Egli non fa più nulla. Iddio opera

e opera del continuo (Giovanni 5:17). Iddio si è preoccupato di

venire per salvarci, ed anche si preoccupa di venire ad attuare e

completare, sigillare, la sua opera dentro di noi, individualmente.

Purtroppo, nella maggior parte dei casi, i predicatori

sorvolano queste meravigliose realtà della vita spirituale e pratica

dell’evangelo, sviando un pò il discorso in modo sbrigativo con

parole fatte: Siamo giustificati, santificati, salvati; siamo nei luoghi

celesti… Con queste parole passano sopra le realtà vissute passo

passo, che lo Spirito “percorre” e “compie” nella vita “personale”

dei credenti. Parole come: Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la

carne e le sue passioni e le sue concupiscenze” (Galati 5:24). E’ un esempio

chiaro di come generalmente si considera questo tipo di

dichiarazioni. Non è perché è scritto, perché è stato realizzato

sulla croce da Gesù, che automaticamente si avvera o si applica in

te; è questo invito e accettazione a far scendere Gesù, fino nella

nostra fossa dei leoni nascosta, segreta, a permettere che questa

crocifissione si avveri, realizzi per compiersi dentro di noi. Solo

53

così si vedranno vere conversioni, veri cambiamenti, vere

trasformazioni. E quel rinnegare se stessi (la propria volontà)

troverà compimento finalmente nella nostra vita.

Questa fame ossessiva e disordinata, cambierà direzione. La

figura appunto di “un altro” sarà imperiale davanti a noi, così reale

ad invitarci continuamente:

“Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà mai più fame e chi

crede in me non avrà mai più sete” (Giovanni 6:35). Questa la relazione

spirituale formata, avendo Gesù formato, chiaro davanti a noi;

mentre il Gesù nella forma di quella luce che illumina, lavora nel

segreto, scandaglia i nostri abissi per darci la spinta a cogliere

quell’invito. Ricordiamo nella Genesi come Dio, che è luce,

aleggiava sulla superficie della acque, mentre vi erano le tenebre,

disse: Sia la luce! E la luce fu. Doveva esserci una luce visibile che

avrebbe dato luogo all’accesso a quella luce suprema di dove Dio

abita (1 Timoteo 6:16). Dio, che è luce vera, accese una luce

secondaria, più bassa, ma necessaria a nutrire l’esistenza e la

creazione. Quella che avrebbe permesso di vivere per vedere e

conoscere quella di Dio, Dio stesso. Così, Gesù è davanti a noi

come invito e destinazione, ma anche lavora in noi per darci spinta

ed aiuto di andare a lui. Questo stiamo studiando in queste pagine.

Il messaggio di Gesù nelle beatitudini era anche questo,

perché fondamentale:

“Beati coloro che sono affamati ed assetati di giustizia, perché essi

saranno saziati” (Matteo 5:6).

Un'altra fame dunque; una fame di lui, della sua Persona, e

della sua Parola, invaderà l’anima nostra; così la nostra volontà

entrerà in armonia con quella di Dio.

Tutto questo possiamo tradurlo in quelle espressioni del tipo:

non hanno aperto il cuore all’amore della verità, hanno chiuso il

54

cuore, non intendono con il loro cuore, ecc. Chiudere il cuore, è

chiudere la “porta” dell’ingresso di quella fossa dei leoni che

abbiamo nascosta in noi, dietro la nostra volontà.

“Ma se fai il male, il peccato sta spiandoti alla porta e i suoi desideri

sono volti a te; ma tu lo devi dominare” (Genesi 4:7).

Cosa dobbiamo dominare? I desideri del peccato che ci sono

rivolti, trasmessi. Qui si vede come la nostra concupiscenza è

istigata dalle forze invisibili. Esse hanno una relazione ed

influenza con la concupiscenza insita nell’uomo. Per questo si

parla sempre di “tentazione”, che anche Gesù passò, e tutta la

chiesa e gli uomini passeranno. Come diceva Paolo:

“Per spogliarvi, per quanto riguarda la condotta di prima, dell’uomo

vecchio che si corrompe per mezzo delle concupiscenze della tentazione”

(Efesini 4:22; altre traduzioni hanno: Tentazione, seduzione,

inganno).

Questo a causa che siamo nati nel peccato e siamo stati concepiti

nella iniquità (Salmo 51:5). Gesù ha tolto la causa della inimicizia

ed ora vuole venire, attraverso lo Spirito Santo, a scriverla

(sigillarla) nel nostro cuore. Per farlo dobbiamo essere

consenzienti a farlo scendere fino nella fossa dietro la nostra

volontà. Troppi credenti sono credenti “da dopo la volontà in poi”.

Dalla volontà in poi! Ma Gesù vuole penetrare in noi fino a prima

della volontà. Da “prima della volontà in poi”, o a seguire. Quando

i desideri, che si agganciano alla nostra concupiscenza (Giacomo

1:14,15), la stimolano, la chiamano a dargli da mangiare, dobbiamo

dominarla; distruggendo il male “in noi stessi”; qui sta il sacrificio!

Ma, non siamo soli! Lascia appunto che Gesù penetri fino lì, ed

Egli saprà come addomesticare quella fame! Apriamo il nostro

cuore!

55

Allora il re (volontà) fu ripieno di gioia e ordinò di tirar fuori

Daniele dalla fossa. (attenzione) Così Daniele fu tirato fuori dalla

fossa (potenza di risurrezione) e non si trovò su di lui alcuna

lesione (v. 23). Non vi era segno alcuno che testimoniasse ferite di

qualche genere; ne uscì illeso. Questo fu motivo di gioia per il re

(volontà). Ora facciamo attenzione alla reazione del re (volontà):

“Il re ordinò quindi che fossero fatti venire quegli uomini che avevano

accusato Daniele e furono gettati nella fossa dei leoni, essi, i loro figli e le loro

mogli” (v. 24). Solo allora, dopo la presenza di Gesù nella nostra

fossa dei leoni, nella sua risurrezione, a dimostrazione per noi che

Lui ha vinto, che la volontà si rinfranca per afferrare quei nemici e

distruggerli in quella fossa stessa. E’ come dire che la forza della

nostra naturale concupiscenza, nella sua astinenza, nel suo

controllo, nella sua rigenerazione, perché Gesù ha lavorato la

redenzione affrontandola, ha distrutto il male stesso che da

sempre la istigava.

Vediamo quindi come la volontà, finalmente ottiene la

vittoria sui suoi nemici. “Allora (si noti, allora) il re Dario scrisse a

tutti i popoli, nazioni, e lingue che abitavano su tutta la terra: LA

VOSTRA PACE SIA GRANDE!” (v. 25), alleluia!

Allora e solo allora, la volontà può estendere il bene ricevuto,

la vittoria, l’ordine ripristinato dalla “luce che illumina” e porta in

alto; farne dono a tutti i popoli, “tutto di noi”; ogni lingua, “ogni

nostra espressione”, parli di Lui. Siamo una lettera aperta scritta

con lo Spirito del Signore (2 Corinzi 3:1-3).

Il messaggio meraviglioso che più grande non può essere è: La

vostra pace sia grande! Iddio ha per noi pensieri di pace (Geramia

29:11). Questo è il risultato di un lavoro lungo e combattuto, che il

ministero del Figlio dell’uomo, “come luce che illumina ogni

uomo”, ha potuto fare nella nostra vita. In questa storia

56

appoggiata allegoricamente sulla vita di Daniele, è l’efficacia del

ministero del Figlio dell’uomo; Dio che prende la nostra immagine,

si mette nei nostri panni. In questo abbiamo visto Gesù, e il suo

percorso dentro di noi. Spirito di Cristo attraverso i canali

dell’anima umana.

La vostra pace sia grande. Benedetto il nome del Signore, che

è stato capace di realizzare questo lavoro in noi, uomini bisognosi.

*§*

CONCLUSIONE DELL’OPERA

Io decreto che in tutto il dominio (volontà) del mio regno (la

nostra vita) si tremi e si tema davanti al Dio di Daniele, perché

egli è il Dio vivente, che sussiste in eterno. Il “suo” regno (sulla

nostra vita) non sarà mai distrutto e il “suo” dominio (sulla nostra

volontà) non avrà mai fine. Egli libera, salva, e opera segni e

prodigi in cielo e sulla terra; È LUI CHE HA LIBERATO

DANIELE DAL POTERE DEI LEONI.

*§*

Solo lui poteva liberarci dal potere dei nostri leoni. A lui sia la

gloria e l’onore!

(Capo 7)

Dal capitolo sette non si parla più della vita e storia di

Daniele nel regno di Babilonia. La narrativa cambia, come cambia

la relazione dei vincitori dal momento che ricevono le liberazioni

spiegate fin ora. Dalla storia della vita di Daniele, alla elevazione di

una vita immersa e rapita nello Spirito delle visioni di Dio. Dal

57

lavoro nella sfera umana a quello dell’ingresso della vita in Ispirito.

Dal capo sette si parla delle visioni di Daniele, così come dal

momento delle liberazioni dalla nostra fossa dei leoni, dal

passaggio alla vita nello Spirito, la nostra vita assumerà una nuova

narrativa.

Arriva il momento in cui chi si lascia lavorare dal Signore,

farà questa esperienza. Sentirà che la sua vita assumerà un aspetto

diverso. Nuovi orizzonti spirituali, una vita nelle visioni di Dio in

Cristo. Dio si mostra per rivelazione personale. Non vogliamo

assolutamente escludere il lato ministeriale; Dio si esprime

attraverso i suoi ministri, ma poi raggiunge il nostro intimo per

confermare e stabilire la rivelazione dentro di noi. Solo lui può fare

questo.

L’esperienza di Ezechiele, di Giovanni, di Paolo, ci parlano di

questa meravigliosa dimensione di fede pratica e spirituale.

Così il Cristo, nel ministero del Figlio dell’uomo è stato

minatore negli abissi dell’anima; ora, per la potenza di

risurrezione vive in noi in questa dimensione. La risurrezione! Per

essa ci trasporta nelle visioni spirituali per vedere sempre più e

sempre meglio il Volto del Signore; là dove risplende la gloria di

Dio (2 Corinzi 4:4,6).

Da questa affermazione dell’apostolo Paolo, vediamo unirsi

anche le parole di Daniele, in quel che vide nella prima visione. A

un certo punto, dopo che vide le diverse bestie, regni che

sarebbero venuti appresso, cioè in questi tempi; vide:

“Io continuai a guardare finché furono collocati troni e l’Antico di

giorni si assise. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo

erano come lana pura; il suo trono era come fiamme di fuoco e le sue ruote

come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scorreva, uscendo dalla sua presenza;

58

mille migliaia lo servivano e miriadi di miriadi stavano davanti a lui. Il

giudizio si tenne e i libri furono aperti” (v. 9,10).

Uscendo fuori dalla sfera dell’anima, si comincia a vedere ed

essere partecipi della vita immensa dello Spirito, interlineare a

quella dello spirito (umano). Nello spirito aspettiamo, ascoltiamo,

vediamo, incontriamo Dio; nello Spirito (di Dio) viaggiamo,

tocchiamo, realizziamo, gustiamo, ci muoviamo e lavoriamo per il

Signore, da lui condotti.

Dapprima il lavoro di Dio consisteva nel ministero del Figlio

dell’uomo nel mistero della pietà, cioè Dio che si fa come noi, ci

raggiunge. Vincendo i nostri leoni, ci trasporta fuori del mondo

dell’anima e della sua sfera, in una dimensione spirituale. Prima il

lavoro era intimo, a slegarci dalle problematiche della nostra

volontà ottenebrata dalla forza della concupiscenza (i nostri

leoni); dopo, vediamo e siamo messi di fronte alla rivelazione e

realtà che Gesù è il Signore assoluto della nostra vita e di ogni

cosa. Il giudizio ora consiste nella responsabilità dell’aver ricevuto

tanta liberazione, del cosa ne faremo, se ci atterremo a Lui, davanti

a lui, alla sua faccia, oppure ci condurremo come pensando di

poter fare da soli. Siamo responsabili. I parametri della vita nello

Spirito, sono diversi da quelli del cristianesimo comune che

conosciamo tutti, sulle regole basi dell’evangelo. Le scritture ci

parlano di lasciare l’insegnamento elementare intorno a Cristo, e a

tendere a quello perfetto (Ebrei 6). L’insegnamento perfetto è

ricevere rivelazione circa il piano di Dio secondo come Lui stesso

lo rivela di epoca in epoca. Ma vi è soprattutto la realizzazione di

una vita immersa nello Spirito di Dio.

Se in superficie, nell’evangelo troviamo delle ubbidienze

relative a ciò che è gradito a Dio, le prendiamo e le mettiamo in

pratica. Ma quando siamo messi di fronte a quella visione

59

dell’antico di giorni, il trono, il giudizio; siamo maggiormente

responsabili perché più sensibili alla Sua Voce. I suoi comandi,

dati per lo Spirito Santo (Atti 1:2), raggiungono più che la realtà

nella sua superficie; una “assoluta realtà”. Più cresce la nostra

sensibilità, più cresce la nostra responsabilità davanti a Dio. Per lo

Spirito, Dio, può darci comando di non bere vino, ad esempio,

sapendo che non è assolutamente un peccato. Può comandarci di

non fermarci davanti al televisore, non fare determinate cose,

parlare in un certo modo, o al contrario, fare cose che

normalmente non faresti. Astenersi da cose leciti e normali, o fare

e occuparsi di cose cha alla massa pare strano o bizzarro.

Questa è un po’ la differenza di tanta sensibilità, grande

differenza. Tanto che molti hanno perso la vita semplicemente per

non aver rinnegato il nome del Signore, ma in un modo così

assurdo a parere comune, che i martiri sono stati scambiati per

pazzi. Di fatti, anche Paolo ci dice che l’uomo non riceve le cose

dello spirito perché gli sono pazzia, e la sapienza di Dio è pazzia

per il mondo (1 Corinzi 1:17-30; 2:14).

Il messaggio contenuto in questo verso tanto significativo

spiritualmente, è che Gesù il Cristo è la nostra destinazione ma

anche colui che, facendosi come noi ci accompagna a raggiungere

tanta altezza. Il suo trono era come fiamme di fuoco. Sta ad

indicarci che se egli ci darà qualche trono di autorità, sarà su

fiamme di fuoco, là dove un passo falso, data tanta sensibilità nello

spirito, ci costerà caro… L’inorgoglimento di lucifero nel cielo, lo

fece cadere negli inferi (Isaia 14; Ezechiele 28:1-19). In Luca 12.48,

ci viene detto che chi a tanto conosciuto (realizzato), sarà tanto

responsabile. Ci ricordiamo anche di Mosè; come per molti non

credenti sembri esagerata la punizione di Dio per aver percosso la

roccia, sebbene Iddio aveva detto di parlare a lei. Non entrò nella

60

terra promessa. Sembra esagerato; ma dal punto in cui siamo

portati dalla mano liberatrice del Signore, certi sbagli hanno altre

conseguenze. La risposta di Gesù a Pietro: va via da me satana

(Matteo 16:23), ci fa capire che non fu momento di nervosismo da

parte sua. Il fatto è che se Gesù non fosse andato a Gerusalemme e

non sarebbe morto sulla croce, non avremmo avuto la salvezza e il

piano di Dio non si sarebbe compiuto.

Dipende dove siamo stati portati dalla mano, dallo Spirito di

Dio. Da lì cambiano i parametri e le conseguenze.

Le ruote come fuoco ardente! Le ruote che incontriamo anche

in Ezechiele 1 e 10; dove abbiamo una spiegazione migliore. Le

ruote sono il meccanismo del cielo, vengono chiamate vortice (Ez.

10:13), e il vortice è alla base della vita. I pianeti si formano

attraverso un vortice di granuli e pietre che girano e avvicinandosi

al nucleo si saldano e fondono assieme, fino a formare una massa

sempre più grande. E’ un ciclo, meccanismo, che “ruota”, mette in

movimento gli elementi necessari per formare qualcosa. Il

concepimento di un bambino, la formazione dell’embrione, il ciclo

del movimento delle sostanze che lo nutrono e fanno crescere, fino

alle contrazioni che determinano il parto, la fuori uscita. Tutto si

muove ruotando verso un centro, e quel centro diverrà qualcosa,

secondo lo scopo del creatore.

In questo, abbiamo visto e apprezzato Dio, lo Spirito, nel

ministero del Figlio dell’uomo muoversi, ruotare nel territorio

dell’anima fino a trovare il nostro nucleo, la fossa dei leoni. Sceso

così in basso, per poi trasportarci in alto, nella vita dello Spirito.

Una spiegazione profetica la troviamo in Ecclesiaste 1:5,6:

“Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; gira e rigira

continuamente e ritorna a fare gli stessi giri”. Il vortice delle ruote della

vita che sono alla base del suo trono, come un motore, girano e

61

“formano” quel che Dio “crea”. Un pò come ci viene detto in Isaia

34:16; il rapporto fra la parola che comanda e lo Spirito (il soffio,

Spirito)che porta ad effetto. Lo stesso pensiero lo espresse ancora

Salomone: “Tu hai mantenuto ciò che avevi promesso (detto)…; si, oggi hai

compiuto con la tua mano ciò che avevi promesso con la tua bocca ” 1 Re

8:24. Questo intendo per vortice; questo intendo per ruota!

Quindi per coloro che Iddio metterà sopra l’autorità di un trono,

sarà governato da questa legge: Sarà una sedia di fuoco, sulla quale

non si può oziare o abusare; stando attenti al turbine prodotto da

quelle ruote, per muoversi al loro movimento come facevano i

cherubini (Ezechiele 1:14-21). Incoronati solo se in gradi di stare

dentro questa disciplina spirituale. Al Suo passaggio, Quando egli

visita il suo popolo gettare le nostre corone ai suoi piedi

(Apocalisse 4:10). Questo atteggiamento è il frutto di quel trono e

ruote di fuoco.

Nel verso 10 di Daniele, è detto anche di un fiume di fuoco; lo

stesso nei versi dell’Ecclesiaste, dove il vento, il turbine che gira è

accostato ai fiumi che corrono al mare. Il fiume che scorre è di

fuoco per indicare quanto pericoloso sia prendere con leggerezza

tanta forza. Per ministrare il fuoco non si può essere leggeri; non è

lavoro di bambini. Se non si fa attenzione, possiamo fare tanti

danni. E’ un fiume di fuoco! Autorità nello scacciare demoni,

guarire i malati, sgridare le tempeste sulla vita dei nostri fratelli,

come ci ha promesso Gesù (Marco 16). Il problema è che molti,

non disciplinati, fanno professione di reggenza, e rovinano le

anime. Per coloro che sono stati disciplinati per ricevere

responsabilità, possono deviare a motivo del successo che quella

autorità potrebbe dare se pubblicata. Tanti sono i pericoli.

Guardiamo Pietro quando rimproverò Anania e Saffira (Atti 5:1-

10). Ezechiele quando cominciò a profetizzare… il sommo

62

sacerdote morì (Ezechiele 11:13). Vediamo dunque la potenza di

quel fiume, quando si esprime? Ricordiamoci di Davide quando

riportò l’arca in Gerusalemme. La caricò su di un carro, trainato

dai buoi, anziché dai Leviti. Il gesto sconsiderato, perché

disubbidiente alla legge di Dio, produsse una tragedia. A un certo

punto l’arca stava cadendo e Uzza la toccò (cosa proibita) per non

farla cadere, e Dio lo fulminò. Non si può scherzare o prendere alla

leggera nulla delle cose di Dio. Vediamo cosa procurò Davide a

quell’uomo a causa della sua leggerezza. Lo stesso con

Mefibosceth; Davide sbagliò nei suoi confronti, perché non fece

attenzione quando incontrò prima Siba, il quale lo ingannò, così

da prendersi tutte le possessioni di Mefibosceth. Un posto di

autorità può portare molto bene, quando è subordinato a

discernimento spirituale; ma anche tanto male quando si agisce di

leggerezza.

Lo scopo di quel che diciamo è rivestirci di timore, appunto come

disse il re Dario (Capo 6:26).

Ricordiamo anche il contegno di Giacomo e Giovanni, i figli del

tuono: vuoi che facciamo scendere fuoco dal cielo? (Luca 9:54). La

risposta del Signore fa riflettere tanto: Voi non sapete di che

spirito siete! Quando e se siamo su di un trono, nei luoghi celesti,

staremo così attenti, saremo così prudenti, sapendo dove ci

troviamo. Vi sono “posti” di particolare responsabilità. Iddio ci

stringe in una morsa di ferro; santa disciplina.

Alla fine della visione, Daniele conservò una impressione

diversa da quella a cui era abituato, quando cercando la presenza

di Dio, riceveva rivelazione per risolvere enigmi e interpretare

sogni. “Qui finirono le parole rivoltemi. Quanto a me, Daniele, i miei pensieri

mi turbarono grandemente e il mio aspetto cambiò, ma conservai le parole nel

mio cuore” (v. 28).

63

Dal punto in cui ci troviamo, dal punto in cui siamo arrivati,

portati da Lui, abbiamo impressioni differenti. Cambiano le nostre

reazioni, a seconda della intensità della visione che vediamo e

viviamo. La realtà dell’esperienza vissuta sul piano spirituale, ai

livelli di cui cerchiamo spiegare attraverso questa storia, è

nettamente superiore alle esperienze che generalmente si vivono

comunemente nel piano delle emozioni o dello studio teologico.

Condizione principalmente stazionata nella vita chiesastica, dove

le anime sono tenute come in sospensione dai pastori moderni,

che non sanno più dir loro la verità. Pensano che adeguandosi alla

modernità e alla tolleranza, accarezzando le vanità, piuttosto che

combatterle sia la soluzione per mantenere la chiesa più

numerosa. E non si accorgono che è tutto un inganno, un

compromesso.

*§*

(Capo 8)

In questo capitolo Daniele racconta la visione del montone e

del capro, per cui cercò di intenderla ma senza riuscire. La

spiegazione venne dall’alto, da dove anche venne la visione.

L’arcangelo Gabriele spiegò la visione. Da notare le reazioni che

Daniele ebbe. Fu spaventato e cadde in avanti. Fu rassicurato e

incoraggiato dall’angelo, sebbene mentr’egli parlava, Daniele

cadde in un profondo sonno, ma l’angelo lo svegliò e lo mise in

condizione di ascoltare ed intendere.

Daniele, in quella condizione spirituale, fu messo in relazione

con i “regni”, con la STORIA DELL’UMANITÀ. Sebbene doveva

realizzarsi al tempo della fine. Vediamo ed impariamo quanto è

reale vivere in ispirito. Pochi comprendono e realizzano tale

64

verità. Sei messo in relazione con l’umanità… che compito! Che

lavoro! Alla fine di quella visione e conversazione, Daniele disse:

“E io, Daniele, mi sentii sfinito e fui malato per vari giorni; poi mi alzai e

sbrigai gli affari del re. Io ero stupito della visione, ma nessuno se ne avvide”

(v. 27). Pensiamo un pò come e quanto questa dimensione

spirituale coinvolge e influenza la vita di un uomo. Questo per dire

che non è uno scherzo stare alla presenza di Dio. Per questo è

detto che: “In Sion i peccatori sono presi da spavento, un tremore si è

impadronito degli empi: Chi di noi potrà dimorare con il fuoco divorante? Chi

di noi potrà dimorare con le fiamme eterne?” (Isaia 33:14). Interessante

anche il verso 16: “Costui dimorerà in luoghi elevati, le rocce fortificate

saranno il suo rifugio; il suo pane gli sarà dato, la sua acqua gli sarà

assicurata”. Luoghi elevati; in Sion! Là il pane e l’acqua non

mancherà. I peccatori, il peccato non potrà resistere; come

abbiamo già visto è stato sconfitto nella fossa dei leoni della

concupiscenza. Ed anche di fronte alle continue tentazioni che il

diavolo porterà, lo stare in quella dimensione spirituale, nei luoghi

elevati; ogni intrusione estranea sarà scacciata.

In quella condizione, sarai solo spesse volte. Nessuno se ne

avvide! Non possono capire cosa si prova a stare alla presenza di

Dio; proprio perché viene messo in relazione con l’umanità, e

questo ti sconvolge, ti strazia. Sei messo in relazione con i dolori

della umanità. Con le sofferenze, con le paure, con i tormenti.

Come puoi essere sereno? Gesù era in una relazione con la morte

di Lazzaro, diversa da tutti, anche dei familiari. Quando ricevette

la notizia del suo male, fece come se perdesse tempo; quando

arrivò, pianse. Tanto che, quelli che erano lì esclamarono: Quanto

l’amava. Lui era in una relazione diversa da tutti, tanto che fu in

quella posizione in cui poté ringraziare il padre che lo esaudiva

65

sempre; lo risuscitò. Gli altri, che erano puntuali alla decessione di

Lazzaro, e certamente erano lì anche prima che morì; poteva

sembrare un comportamento più rispettabile di quello avuto da

Gesù; ma alla fine poterono solo guardare stupiti, mentre Gesù lo

risuscitò. Anche Paolo espresse la sua inquietudine per tutte le

chiese (2 Corinzi 11:28). Lui aveva una relazione con l’opera che

non tutti avevano. Non si può essere leggeri e spensierati, in

“quella” posizione.

*§*

(Capo 9)

In questo capitolo Daniele ha a che fare con le “scritture”.

Riceve intendimento circa le parole profetiche di Geremia (v. 2).

Quindi, questa rivelazione lo mise in “contatto” con una forte

realtà, che il popolo d’Israele aveva davanti. Questo fatto lo

indusse a pregare in modo particolare.

“Volsi quindi la mia faccia verso il Signore Iddio per cercarlo con

preghiera e suppliche, col digiuno, col sacco e con la cenere”. Da dopo il

capitolo sei, dopo la cronaca della sua vita in Babilonia, vediamo

Daniele proiettato in un altro mondo: Quello dello Spirito! Da quel

momento, Daniele entra in contatto con Dio in un modo diverso,

più spirituale di certo. Cambiano le sue impressioni, le sue

reazioni, ed anche il suo modo di pregare.

Lui volge la sua faccia verso il Signore! Non che prima non lo

faceva, ma ora, dal capitolo sette in poi, Daniele vive e realizza le

sue esperienze spirituali in un modo più intimo e coinvolgente.

Anche nelle esperienze che facciamo tutti i giorni ed esperienze

che abbiamo già fatto, di tempo in tempo le riproviamo per

realizzarle in un modo come non l’avevamo mai realizzato prima.

66

Pregò con suppliche, preghiere, digiuno, sacco e cenere. Entrò

in una nuova umiliazione. Dalla realizzazione di una visione più

spirituale, a una più profonda umiliazione. Umiliazione che poi

riporta in alto. Quando ci avviciniamo al Signore le nostre

preghiere sono molto “orizzontali” per così dire. Hanno molte

ripetizioni e formule; ma quando si entra nello Spirito, dal sesto

capitolo della nostra vita al settimo (sei è numero d’uomo, sette è

perfezione), entriamo in una nuova dimensione di preghiera.

Come chiesero i discepoli: “Insegnaci a pregare”!

Avendo appunto cercato nelle scritture, e avendo visto che il

tempo della schiavitù stava arrivando alla sua conclusione, pregò

intercedendo per i peccati del suo popolo, attribuendo quasi la

colpa a se stesso: Abbiamo peccato… noi! Come poté intercedere

per il popolo? Nello stesso modo che fu portato a vedere visioni

che riguardavano il “futuro”, e partecipare alle sofferenze degli

uomini, così fu messo in relazione con i peccati “passati” del suo

popolo. In questa nuova esperienza del profeta Daniele, più

profonda, poteva relazionarsi con le sofferenze future e quelle

passate. Solo così, “entrando in contatto” si può sentire il peso e la

spinta della intercessione. Chi ama intercede.

I peccati passati riguardavano i re, i capi, gli anziani; per non

aver ascoltato la voce dei profeti (v. 6). In questa preghiera

Daniele esprime una grande e scultorea verità: “O Signore, a te

appartiene la giustizia, ma a noi la confusione della faccia” (v. 7,8).

Fino al verso 19 Daniele ricorda e confronta il peccato del suo

popolo con la giustizia di Dio, e ne insiste e richiede misericordia.

Alla fine di questa preghiera modello, Daniele disse qualcosa di

meraviglioso. Il profeta intercessore, chiede grazia e perdono, sul

motivo non delle loro opere giuste, i loro meriti, sebbene ce ne

fossero, ma sulle Sue grandi compassioni e benignità (v.18).

67

Mentre Daniele così pregava e supplicava, ponendo prima la

sua responsabilità e poi quella popolo, dicendo: “Mentre stavo

pregando e confessando il mio peccato (prima) e il peccato del mio popolo

(dopo)” (v. 19), si presentò a lui un angelo. Nella sua risposta,

Daniele fu valorizzato così: Tu sei grandemente amato! (v. 25). Le

sue preghiere erano ascoltate.

Possiamo dire così: Dopo tanta supplica e intercessione per altri,

fu ascoltato e grandemente amato. Così di ciascuno di noi. Grande

ministero è l’intercessione.

*§*

(Capo 10)

“Nel terzo anno di Ciro, re di Persia, una parola fu rivolta a Daniele. La

parola è verace e il conflitto lungo. Egli comprese la parola ed ebbe

intendimento della visione” (v. 1).

Dopo questa dichiarazione, Daniele disse che fece cordoglio

per tre settimane e digiunò. Anche qui vediamo le conseguenze di

entrare in contatto con l’invisibile. Il tutto è sempre per mettere

in risalto la cosa più importante; la presenza viva di Dio. Mosè

nello stare sul monte davanti alla faccia del Signore, nello scendere

per tornare al popolo, aveva il viso illuminato. Stare nella presenza

di Dio vuol dire illuminarsi e illuminare.

Dal verso quattro al sei, interviene un angelo, si presume sia

Gabriele, a mostrargli un’altra visione.

“Soltanto io, Daniele, vidi la visione, mentre gli uomini che erano con me

non videro la visione, ma un gran terrore piombò su di loro e fuggirono a

nascondersi. Così rimasi solo a osservare questa grande visione. In me non

68

rimase più forza; il colorito cambiò in un pallore e le forze mi vennero meno.

Tuttavia io udii il suono delle sue parole; all’udire però il suono delle sue

parole, caddi in un profondo sonno con la faccia a terra” (v. 7-9).

Daniele era in compagnia, ma solo lui vide la visione; diciamo,

fu messo in relazione ad essa. Gli altri, sebbene non videro la

visione furono presi da timore; avvertirono qualcosa di estraneo

alle loro comuni sensazioni. Scapparono. Possiamo essere in

compagnia, ma quando il Signore si avvicina, solo chi vive in

“quelle sfere spirituali” percepisce la visione, che se non è

percepibile agli occhi, lo è allo spirito.

Questo ci fa vedere e dimostra le differenze, dell’essere

passato da un livello di fede ad un altro superiore. Certe visioni

(spirituali), sono raggiunte solo da coloro che hanno fatto

l’esperienze spiegate in questo libro. Da esperienze relazionate

alla nostra vita nei confronti del regno, la nostra vita (dal capo 1 a

6), a quelle relazionate all’invisibile (capo 7 a 12), il regno dello

spirito.

Quello che leggiamo in questo capitolo, riguarda il periodo

del re Ciro. Vedremo qualcosa di importante ed edificante intorno

a lui. Dice che è stata rivelata una parola”. Questa parola è verace,

come tutte le parole di Dio. Ma, aggiunge che il conflitto è lungo.

In questo conflitto dobbiamo vedere e raccogliere il significato e

l’efficacia del soccorso di Dio, in questa condizione spirituale.

Questo per dire che, la vita nello spirito non è qualcosa di

evanescente, inconsistente e irreale. Piuttosto, vera realtà. La vita

nello spirito, la comunione dello Spirito, è più reale della vita che

vediamo e tocchiamo.

Tornando al verso 7, possiamo accostare l’esperienza di

Daniele, per una questione armonica nelle scritture, con quella

dell’apostolo Paolo. Anche lui realizzò la realtà di una visione, e di

69

un messaggio. Solo che quelli che erano con lui non ne furono

partecipi se non, appunto, negli effetti della potenza espressiva e

della realtà di questo fenomeno. La vita spirituale è vera realtà.

Lo scopo della visione era, che quelli che temono il Suo nome

devono essere slegati da ogni compagnia, per poter udire e vedere,

soprattutto, quello che altri non possono vedere.

Iddio ci libera dal superfluo, quando così possiamo definirlo.

Ci libera da compagnie che non vivono sullo stesso piano

spirituale. Questo perché dobbiamo comprendere che il credente

deve salire e salire, fino ad arrivare in Sion (Salmo 84:7).

L’unione del corpo di Cristo non è dunque caratterizzato da

accordi umani, ma da quell’incontrarsi ad “alta quota”. Come ci

informa il profeta Malachia:

“Allora quelli che temono l’Eterno si sono parlati l’uno all’altro.

L’Eterno è stato attento ed ha ascoltato, e un libro di ricordo è stato scritto

davanti a lui per quelli che temono l’Eterno e onorano il suo nome. “Essi

saranno miei”, dice l’Eterno degli eserciti, “nel giorno in cui preparo il mio

particolare tesoro, e li risparmierò, come un uomo risparmi il figlio che lo

serve. Allora vedrete nuovamente la differenza che c’è fra il giusto e l’empio,

fra colui che serve Dio e colui che non lo serve” (3:16-18).

Allora! Solo allora, quando cioè elevandosi al di sopra delle

linee orizzontali del visibile e della persona (anima), si viene

introdotti nel regno dello Spirito. Il ritrovarsi insieme, è

conseguenza di aver sperimentato la stessa realtà. Questo genera

conseguentemente un dialogo amorevole e fraterno. Dio è attento

perché apprezza grandemente questa dimensione particolare

perché è segno di elevata intimità. Ciò a cui il Signore appunto,

trasporta quelli che diventano “Suoi”, la “proprietà particolare del

Signore”. Ciò non è da intendere solo per l’esperienza della

70

rigenerazione, nel divenire “figli di Dio”. Questo invero, può

considerarsi solo a livello evangelistico; e va bene. Ma il significato

pieno, che assolve interamente il desiderio di Dio in merito, è la

differenza delle primizie, i primogeniti, da quelli che sono e

“rimangono solo salvati”. Quella è la proprietà PARTICOLARE.

Perché particolare? Perché si distingue non esclusivamente al

peggio (il mondo, senza offesa; perché ci riferiamo alla

CONDIZIONE DI PECCATO e non alla qualità delle persone), ma

al meglio, cioè i credenti, che si differenziano dal mondo.

Il termine primogenito o primizia, è per differenziare e

distinguere l’eccellenza dal meglio, e non dal peggio. Primo,

significa chiaramente e matematicamente, che c’è un secondo o un

terzo ecc. La nuova creazione non è relazionata e paragonata al

mondo, agli increduli, ma fra credenti e credenti. Diciamo,

credenti spirituali che vanno di valore in valore, e camminano non

solo “con Dio”, come termine generico, ma anche con la Parola!

Credete in Dio (Elohim, Spirito) e credete anche in me (il Figlio,

cioè la Parola, Signore, Logos) (Giovanni14:1). A confronto di

quelli che si FERMANO e si ACCONTENTANO dello stato

RISCATTANTE, (in riferimento al sacrificio di Cristo) dal mondo

e dal peccato, come condizione di morte. La differenza, la

distinzione è tra queste due classi di credenti. Questo il centro, il

senso compiuto di questo verso. Questa la sostanziale differenza

fra chi serve Dio e non lo serve. Riassumendo: La differenza fra chi

serve Dio, il credente (la chiesa); da chi non lo serve, l’incredulo (il

mondo). Dal punto di vista spirituale, quindi dentro la chiesa, la

differenza fra, chi LO SERVE IN OGNI COSA (la chiesa dei

primogeniti o primizie), e chi NON LO SERVE IN OGNI COSA,

quindi, lo serve IN PARTE (la chiesa salvata, universale).

71

Vediamo sempre le stesse reazioni del profeta alle

apparizioni e parole di angeli: “…Caddi in un profondo sonno con la

faccia in terra” (v. 9). Daniele ebbe bisogno di essere TOCCATO

dall’angelo per POTER ESSERE IN GRADO DI STARE

DAVANTI ALLA GLORIA DI DIO (v. 10,11). Lo stesso significato

riguarda l’esperienza di Pietro. Dopo la risurrezione, Gesù

riapparve loro, ma prima attraverso LA TESTIMONIANZA delle

donne. Questo è significativo di come la testimonianza sia

importante, rivelando i modi, i metodi di Dio. E nel messaggio di

testimonianza della sua risurrezione, menzionò i discepoli in

generale e Pietro singolarmente; fu l’unico menzionato per nome.

Pietro era angosciato per aver rinnegato Gesù, ma Gesù voleva

riabilitarlo; e nel capo 21 di Giovanni, vediamo come si intrattenne

con lui.

Bisogna essere messi in grado di stare nella e alla presenza

viva di Dio. Senza quel tocco, quell’intervento superiore, non è

possibile.

Queste sono tutte lezioni attraverso figure, immagini

illustrative, per noi meglio accostarci a realizzarle. Impariamo da

queste, come relazionarci alla vita dello Spirito e nello Spirito. Ne

vediamo gli effetti, le esperienze, i tocchi meravigliosi dell’essenza

di Dio. La realtà, migliore di quella che noi comunemente

conosciamo. Realizziamo così quello che visse e disse Paolo: “In lui

viviamo, in lui ci muoviamo” (Atti 17:28). Qui, in questa dimensione

troviamo e conosciamo quelli che hanno il nostro stesso cammino.

Con loro potremo parlare delle meraviglie di Dio, sapendo che Lui

ci ascolta ed è attento. Parola meravigliosa che in Ruth 2:2 e 2:19,

viene identificata alla grazia e in risposta alla grazia.

*§*

72

(Messaggio del soccorso angelico; l’esercito del cielo)

Questo tipo di messaggio che vogliamo contemplare, inizia con le

parole del messaggero celeste a Daniele così:

“Non temere, perché dal primo giorno che ti mettesti in cuore di intendere e di

umiliarti davanti al tuo Dio, le tue parole sono state ascoltate e io sono venuto

in risposta alle tue preghiere” (v. 12).

Primo giorno; quando? Dal momento che ti sei messo in cuore

di INTENDERE e di UMILIARTI, davanti a Dio! Sono

caratteristiche della vita dello Spirito, di un uomo che viveva in

questa dimensione. Stiamo studiando questo; il valore delle

caratteristiche di questa dimensione spirituale. Hai riposto nel

tuo cuore; hai scelto per te, hai preso una decisione per il tuo Dio,

hai rinunciato a tutto il resto, hai dato posto, il primo posto al

Signore. IN QUESTO, ti sei umiliato e questo è principio di

sapienza (Giobbe 28:28). Vediamo le nobili caratteristiche che

distinguono il credente salvato e spirituale, dal credente salvato; e

vista in una dimensione e relazione inferiore; la distinzione fra il

credente salvato e il non credente, non salvato. Il desiderio e

l’impegno del credente che non si ferma solo in quello che sa già, o

quello limitato e delineato dalla chiesa a cui appartiene o come

credo. Questo differenzia e distingue i credenti da altri credenti.

Essi sanno per lo spirito, per quel speciale rapporto intimo con

Dio, che devono essere pronti a dire: “Benedetto colui che viene nel nome

del Signore” (Luca 13:45). Quindi, nel caso ci fosse una precisazione,

una miglioria, una nuova rivelazione; loro sanno per lo spirito, che

devono FARE LE TENDE E PARTIRE. Questa la posizione della

73

chiesa dei primogeniti, la sposa dell’agnello; essi: “Lo seguono

ovunque egli vada (ovunque)” (Apocalisse 14:4).

Questi si umiliano davanti la faccia del Signore Iddio.

Cercano di intendere, perché? Perché interessa profondamente

loro solo ciò che è la volontà originale di Dio, senza

interpretazioni umane. Questo il carattere della sposa di Gesù

Cristo. Questa la dimensione spirituale in cui essa vive; altrimenti

non sarebbe sposa, intima. Sei stato ascoltato! Perché hai

accettato e determinato per te questa vita spirituale; stare davanti

a Dio.

Vediamo dunque il movimento angelico che dicevamo.

“Ma il principe del regno di Persia mi ha resistito ventun giorni; però ecco,

Mikael, uno dei primi principi, mi è venuto in aiuto, perché ero rimasto là con

il re di Persia” (v. 13).

Dio ci aiuti a spiegare e visualizzare quel che si può vedere

attraverso queste parole.

Il messaggero celeste, diciamo sia Gabriele, dapprima parla di

una resistenza del principe di Persia, poi dell’intervento

dell’arcangelo Michele, e alla fine dice che era rimasto col “re” di

Persia. Dobbiamo fare attenzione a non confondere il “principe” di

Persia con il “re” di Persia. L’angelo stava svolgendo un compito

che Dio gli aveva affidato; nel frattempo, le preghiere di Daniele

sono state ascoltate, e Dio disse a Gabriele di andare da Daniele

per dargli risposta. Doveva portare a Daniele un messaggio in

risposta alle sue preghiere per il popolo di Israele. In questo, il

“principe” di Persia lo trattenne più a lungo, perché c’era qualcosa

in ballo.

Qual’era il lavoro di Gabriele, per cui quando dovette andare

da Daniele fu contrastato dal principe di Persia? E, perché fu

74

contrastato? Cercherò di rispondere secondo la visione datami dal

Signore in merito.

L’arcangelo Gabriele (ipotizzando sia lui) stava aiutando il re

di Persia, cioè Ciro (v. 1), servo di Dio. Dio lo aveva suscitato per

dare libertà al popolo di Israele per tornare nella sua patria,

riportando con loro tutto ciò che fu preso dal re Nebucadnetsar

(Isaia cp. 44 e 45; Esdra 5:13-17). Gabriele lo sosteneva, perché

appunto il “principe” di Persia lo contrastava. Quindi,

contrastando l’opera di Dio che aveva atto attraverso Ciro, sia

dell’editto di liberazione, che della conseguente partenza del

popolo di Israele, resisteva e tratteneva Gabriele nel non andare

anche da Daniele, per “continuare” l’opera di Dio da un altro lato.

Come abbiamo riferito del primo verso di questo capitolo: “Il

conflitto è lungo”. Il principe di Persia è un demone di Satana, uno

dei suoi principi. Distinguiamo re da principi, perché vi sono dei

significati in relazione a questi. I re sono uomini, i principi sono

capi di eserciti, e questo titolo è riferito sovente per descrivere le

forze spirituali. Possiamo vedere come l’angelo Gabriele

rivolgendosi a Daniele parlò del principe di Javan (Grecia) (v. 20).

Esso è un altro demone, un altro principe di Satana. Sono

categorie di demoni superiori, a comando di eserciti spirituali.

Paolo spiega e definisce così questi spiriti:

“Il nostro combattimento non è contro carne e sangue, ma contro i

“principati”, contro le potestà, contro i dominatori del mondo di tenebre di

questa età, contro gli spiriti malvagi nei luoghi celesti” (Efesini 6:12).

Si noti come nei luoghi celesti non si parla di re spirituali. Dio

ha dato questo titolo solo ai credenti, neanche agli angeli. Non

troviamo nessuna menzione di spiriti diabolici, in riferimento ad

essere re. Neanche il diavolo è nominato re, ma principe. Possiamo

verificare questo nei seguenti versi: Matteo 9:34; 12:24; Giovanni

75

12:31; 14:30; 16:11; Efesini 1:21; 2:2; Romani 8:38. Credo che bastino

per constatare che quando si parla di potenze spirituali, si parla

sempre di principi e principati. Quindi, il re di Persia era Ciro, e

non il diavolo! Mentre il principe di Persia era un demone

preposto per la Persia.

Ogni luogo ha un capo spirituale a gestirlo (vediamo questo

anche in Marco 5:10. Legione era preposto dal diavolo per quella

regione). Questo principe demoniaco voleva, come sempre, cercare

di impedire che Ciro facesse quell’editto di liberazione, ed anche

che il popolo d’Israele uscisse dal dominio Babilonese. Gli scopi

erano ovvi: Permettere che il popolo di Dio rimanesse nella

schiavitù, impedire il ritorno in patria, impedire così la

ricostruzione del tempio; l’adempimento delle scritture circa la

nascita del messia, ecc.

La guerra era nelle sfere spirituali, tra l’esercito di Dio e

quello del diavolo. Quindi, Iddio stava operando attraverso Ciro, il

re di Persia. Era l’angelo Gabriele che portò la rivelazione a Ciro

che permise al re di inquadrare la situazione e scrivere l’editto per

la liberazione degli ebrei. Nello stesso tempo, l’angelo Gabriele si

prese cura del re, lo proteggeva dagli attacchi del principe di

Persia, che voleva impedire l’opera di Dio. Mentre tutto questo era

in svolgimento, Dio chiamò Gabriele a portare un messaggio in

risposta a Daniele; come sappiamo, Gabriele è il messaggero,

Michele è il combattente. Visto che il principe di Persia lo

tratteneva perché cercava di disturbare e impedire quel lavoro di

liberazione, ecco l’arrivo di Michele, definito anch’esso, “uno dei

primi principi”, di Dio. Come vediamo nessun angelo o essere

spirituale è definito re, ma solo principe. Solo i credenti sono

definiti re e sacerdoti (Apocalisse 1:6; 1 Pietro 2:9; 1 Corinzi 4:8).

76

Michele, come anche Gabriele, sono tra i prime principi

dell’esercito angelico di Dio. Il principe di Persia e di Javan, sono

anch’essi tra i primi principi dell’esercito del diavolo.

Quando arrivò l’angelo Michele, Gabriele fu libero di andare a

portare il messaggio a Daniele e incoraggiarlo; mentre Michele

combatteva contro il principe di Persia. Così disse Gabriele:

“…Perché ero rimasto là con il re di Persia” (v. 13). Era rimasto con il re

di Persia, Ciro, per rivelargli il piano di Dio che diede luogo poi a

scrivere l’editto della liberazione di Israele; difenderlo e

proteggerlo dagli attacchi avversari del nemico, il principe di

Persia. Non poteva andare da Daniele e lasciare il re Ciro in balia

del principe di Persia, l’angelo del nemico.

La stessa cosa la vediamo in Daniele 11:1: “Nel primo anno di

Dario, il Medo, io stesso mi tenni presso di lui per sostenerlo e difenderlo”. Se

si fa attenzione, si vede chiaro che questa frase è dentro il discorso

di Gabriele, mentre spiega le visioni a Daniele. Visto che fa parte

dello stesso tema, citiamo il verso del capo 11, dove appunto

vediamo che il sostenere gli uomini, fa parte della missione

angelica nel piano di Dio.

Tutto questo trova il suo senso in relazione a l’opera che Dio

stava svolgendo con Ciro, il re di Persia, per la liberazione di

Israele. Di fatti se guardiamo le date in riferimento agli anni della

sua reggenza, possiamo constatarne l’armonia.

-Anno 539: Ciro conquista Babilonia.

-Nel 538: E’ il primo anno del suo regno, e l’anno in cui scrisse

l’editto per la liberazione di Israele Esdra 1:1.

-Nel 536: Terzo anno del re Ciro; inizio dei lavori di costruzione

delle fondamenta del tempio.

77

Il tempio fu completato nel mese di Adar (febbraio - marzo)

del 515, ventuno anni dopo l’inizio dei lavori di costruzione nel

536.

Da questo possiamo vedere che quello era il periodo in cui si

parla di questa lotta tra le potenze spirituali. Di fatti nel verso uno

leggiamo: “Nel terzo anno di Ciro, re di Persia”. Nel terzo anno, quando

il popolo di Israele cominciò la ricostruzione del tempio. In quei

periodi, da prima a dopo, gli angeli, i principi delle tenebre,

combatterono in modo particolare per impedire questa

liberazione. Il diavolo conosce il principio che: “Colpisci il pastore e

siano disperse le pecore” (Zaccaria 13:7). Profeticamente è riferito a

Cristo come sappiamo, ma essa è semplicemente una legge

strutturale e consequenziale di una verità, più che di una profezia.

Quindi il diavolo conoscendo questa realtà, cercò per quanto gli

era possibile e permesso, di distruggere il pastore, che in quel caso

era Ciro (Isaia, capo 44 e 45). Così facendo avrebbe indebolito e

disperso l’opera di liberazione del popolo, per la gloria di Dio.

Come abbiamo scritto ancora del verso uno: il conflitto sarà

lungo. Come possiamo notare, la battaglia nel cielo tra le forze

spirituali, aveva il suo risvolto e si sviluppava anche sulla terra, fra

i babilonesi e i popoli vicini ad Israele. Nel libro di Esdra (capo 4,

5 e 6), si parla dei nemici di Giuda e di Beniamino che si

avvicinano per interferire sui lavori, fino a quando si parla di

Dario. Chissà quante difficoltà questi spiriti diabolici sono riusciti

a creare per fermare l’opera di Dio. Ma Dio è sempre vittorioso!

Il conflitto è lungo, e durò tutto il tempo dei lavori di

restauro. Vi furono degli intervalli di diversi anni tra la prima

partenza, la seconda e la terza. Questo a dimostrazione del fatto

che la battaglia fu dura e il conflitto lungo. Come discendenza

regale, partì da Ciro e durò fino ad Artaserse.

78

Conclusione; l’opera che Dio ha con noi, la sostiene

attraverso i suoi angeli, che sono preposti a vegliare che tutto vada

secondo il piano di Dio. Non temere; ti dice il Signore e padrone

assoluto di tutte le cose, che:

“Colui che ha cominciato un opera buona in voi, la porterà a compimento fino

al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi 1:6).

*§*

Daniele di fronte alla visione aveva sempre bisogno di essere

toccato, che in questo contesto spirituale è un termine che denota

una meravigliosa esperienza, per rimanere ricettivo al messaggio

(v. 18,19). Toccato e fortificato. Riprendi forza! Questa è la

conseguenza di vivere in ispirito. Anche l’apostolo Giovanni visse

l’esperienza dell’Apocalisse in ispirito (Apocalisse 1:10).

Da queste cose impariamo la dimensione del regno dello

Spirito. Chi studiava sui libri, essendo anche giudice in Israele,

non capì, almeno al momento le parole del divino Maestro:

“Or nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio

dell’uomo che è nel cielo” (Giovanni 3:13). E’ disceso, è salito ed è nel

cielo, mentre è sulla terra. Come comprendere queste cose? Paolo

ci dice che siamo seduti nei luoghi celesti in Cristo. Come

comprendere e visualizzare queste realtà, nella nostra vita? Per

questo scriviamo queste riflessioni, quando ispirate da Dio, per

dare una immagine, una forma, una idea di quel che deve diventare

il nostro obbiettivo principale, per intendere davvero le scritture e

la vita nello Spirito.

Si insegna troppa teologia, troppa scrittura letterale,

pochissimo sulla vita nello spirito.

79

“Quindi gli disse: Sai tu perché io sono venuto da te? Ora tornerò a

combattere con il principe di Persia; e quando sarò uscito, ecco, verrà il

principe di Javan. Ma io ti farò conoscere ciò che è scritto nel libro della verità;

e non c’è nessuno che si comporti valorosamente con me contro costoro tranne

Mikael, il vostro principe” (v. 20,21).

Il linguaggio dello spirito, non è per le menti religiose o

superficiali. E’ semplice comprendere le cose spiegate secondo il

pensiero degli uomini, ma non è facile comprendere le realtà delle

cose dello spirito. Per questo diceva Gabriele che avrebbe fatto

conoscere a Daniele ciò che è scritto nel libro della verità. Nessuno

può aprirlo se non chi è designato da Dio stesso. Vi sono libri nel

cielo. Ma veniamo alle parole dell’angelo.

La domanda del perché era venuto a Daniele, era per metterlo

in guardia che, appena sarebbe tornato a combattere con il

principe di Persia, sarebbe venuto il principe di Javan; un altro

demone. Gabriele avrebbe così svolto il suo compito, sia con il re

Ciro, che con Daniele. Aveva dato il messaggio a tutt’e due, ma ora

era il tempo di ritornare ad aiutare Michele: “e non c’è nessuno che si

comporti valorosamente con me contro costoro tranne Mikael, il vostro

principe”. Michele è il principe assegnato ad Israele (vedi anche

capo 12:1).

Insieme (i due angeli) dunque avrebbero combattuto per

difendere la causa della liberazione di Israele. Il messaggio era

stato dato, sia a Ciro per scrivere l’editto, sia a Daniele per

profetizzare sui regni e le settanta settimane. Il conflitto è lungo.

Dopo quegli eventi, diversi anni dopo; nel regno di Dario

(Istaspe), la pergamena dell’editto di Ciro scomparve; quindi i

nemici di Israele, in Babilonia e vicino a Israele stesso, chiesero

spiegazioni al re Dario (che non era Dario il Medo di Daniele 11:1)

80

circa la partenza del popolo di Israele e la ricostruzione del tempio

e del paese. Dario fu quel re che fece la ricerca nella casa degli

archivi dei tesori di Babilonia (Esdra 6:1). Ci furono dei problemi,

e in questo dobbiamo vedere ancora i riflessi di quella battaglia

angelica, quel lungo conflitto, per creare impedimenti. Ma il

Signore è sempre vittorioso! Come abbiamo letto in Daniele 11:1,

sul come l’angelo Gabriele era rimasto con Dario il Medo e lo

sosteneva, così sostenne Dario Istaspe, in quella santa ricerca,

ovviamente. Questo al fine di far continuare le partenze e i lavori.

Il principe di Javan, il demone preposto per la Grecia, sarà

anche in relazione con la conquista della Grecia sulla Persia,

tramite Alessandro magno. Intanto anch’esso, il principe di Javan,

come Michele andò in aiuto a Gabriele, andrà in aiuto al principe

di Persia per aiutarlo. Demoni aiutano demoni, angeli aiutano

angeli.

Nel 538, quando il re Ciro scrisse l’editto fu fuori di Babilonia;

fu a Emeta (Ecbatana; moderna Hamadan. Lì fu trovato il rotolo, e

così il popolo di Israele poté continuare la costruzione.

*§*

(Capo 12)

“In quel tempo sorgerà Mikael; il gran principe, il difensore dei figli del tuo

popolo” (v. 1). Nel tempo che segue gli avvenimenti descritti nel

capo 11. Mikael sorgerà; il gran principe di Israele. L’arcangelo

Michele si occupa principalmente di Israele. Lo vediamo anche

nella lettera di Giuda; ma sempre in riferimento al corpo di Mosè,

che sarebbe il giudaismo e Israele.

Possiamo dire che dopo conflitti, guerre, impedimenti e

prove, molti che sono nella polvere si risveglieranno; chi per vita,

81

chi per morte (v. 2). Dopo tutti questi passaggi, combattimenti e

morte, si parla di risurrezione. Iddio è risurrezione. Chi vive la sua

vita nello spirito, vive nella risurrezione.

Nelle parole di questo capitolo, vediamo riassunto tutto ciò che

abbiamo cercato di visualizzare, attraverso le esperienze più

intense del profeta Daniele, nel passaggio dal capitolo 6 al 7.

“Quelli che hanno sapienza risplenderanno come lo splendore del

firmamento e quelli che avranno condotti molti alla giustizia, risplenderanno

come le stelle per sempre” (v. 3).

La condizione protagonista è sempre la comunione dello Spirito; il

vivere in ispirito come desidera Iddio che è Spirito (Giovanni 4:

24). Chi realizza questa posizione di fede e di vita, sarà com’è

descritto in questi versi. Divenire luce, per essere luce ad altri, può

verificarsi, nel suo aspetto più alto, solo vivendo una vita immersa

nello Spirito. Realizzare al vivo una relazione e comunione con

l’invisibile. Di Mosè venne detto:

“Per fede lasciò l’Egitto senza temere l’ira del re, perché rimase fermo

come se vedesse colui che è invisibile” (Ebrei 11:27).

Mosè era senza timore perché aveva lo sguardo non su

qualcosa di astratto, ma su Colui che è invisibile. Lui vedeva, di

quel vedere dello spirito, Colui che è invisibile. Questa esperienza

è raggiunta non da tutti subito; molti è per questo che si fanno

spirituali da se stessi, perché non misurano fedelmente le

dimensioni della realtà nei riguardi di tale esperienza. Passando

tempo, viene da sé di considerarsi spirituali; dato il tempo

trascorso, le esperienze fatte, lo studio della Bibbia, ecc.

Come Mosè, anche Abrahamo fece la stessa esperienza e ne toccò

la potenza: “Abrahamo, vostro padre, giubilò nella speranza di vedere il mio

giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Giovanni 8:56).

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Lo stesso Giobbe: “Supplicherà Dio, troverà grazia presso di lui e potrà

contemplare il suo volto con giubilo” (Giobbe 33:26). Tutte esperienze

spirituali, atte a evidenziare la comunione nello Spirito. Non so a

cosa pensano i molti credenti o predicatori, quando parlano di

spirito; purtroppo vi è la triste realtà che la conoscenza in ispirito

è molto rara, raramente apprezzata e valorizzata. In questi versi

abbiamo visto come il vedere dello spirito nello Spirito, apre le

porte alla contemplazione e conduce al giubilo e alla gioia.

Questa è la forza della visione nello spirito. Questo per quanti

desiderano essere annoverati tra coloro che risplenderanno, e che

risplendono al presente per partecipare alla volontà e piano di Dio.

“Ma tu, Daniele, tieni nascoste queste parole e sigilla il libro fino al

tempo della fine; molti andranno avanti e indietro e la conoscenza aumenterà”

(v. 4).

Le esperienze nello Spirito sono dapprima strettamente

personali. Come abbiamo già accennato circa le reazioni di

Daniele; davanti alla presenza di Dio, quelli che erano con lui non

venivano coinvolti da Dio stesso nella visione. Solo Daniele

gustava la visione (cp 10:7). Questo ci da a capire che ciò che Dio

ci dà, ciò in cui Dio ci coinvolge e partecipa, ciò che ci rivela è per

noi e lo dobbiamo custodire gelosamente. Dev’essere suggellato in

noi prima di parteciparlo agli altri. Questo perché deve dapprima

lavorare noi stessi; solo così possiamo essere “luce” per illuminare,

dare agli altri ciò che Dio ha dato a noi. Se vediamo

l’atteggiamento di Mardocheo, in un primo momento ne lui ne

Ester dichiaravano le loro origini; ma quando venne il tempo di

dichiararlo, non si tirarono indietro. Vi è dunque un tempo di

nascondere le cose e un tempo di presentarle.

“Poi io, guardai, ed ecco altri due in piedi, uno su questa sponda del fiume, e

l’altro sull’altra sponda del fiume” (v. 5,6). Il messaggero celeste che

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identifichiamo con Gabriele, stava sulle acque, là dove stava da

quando gli apparve (cp 10:4,5).

Attraverso questa informazione vogliamo vedere qualcosa di

molto significativo nella vita nello Spirito. Guardai, fece

attenzione, e vide altri due personaggi; uno stava nella sponda in

cui era Daniele, l’altro in quella opposta. L’angelo Gabriele stava

sulle acque del fiume. Ciò esprime che nella nostra vita, nel nostro

cammino, vi sono esseri angelici, guardiani, che ci accompagnano.

Uno è vicino a noi, dalla nostra sponda; un altro è sulla via,

l’angelo sulle acque; l’altro ancora sull’altra sponda.

Ci ricordiamo quando Gesù invitava i discepoli a passare

all’altra riva (Marco 4:35). Fu Gesù a dire di passare all’altra riva;

pur nondimeno, al presentarsi della tempesta, i discepoli ebbero

paura e svegliarono il maestro. Dubitarono; di fatti Gesù li

rimproverò di questo. Come poteva essere che Gesù sbagliò? Non

fu lui a dire, passiamo all’altra riva? Poteva mai sbagliarsi? Gesù

era con loro sulla loro sponda, fu con loro sulle acque, e le calmò, e

fu con loro nell’altra sponda, l’arrivo. Alleluia!

Vi sono realtà che non ci sono rivelate, dobbiamo attendere e

concentrarci su ciò che ci compete, che ci riguarda (v. 8,9). Molte

cose non comprendiamo durante il cammino, ma dobbiamo

andare avanti senza preoccuparci di ciò che Dio farà quando

adempirà il suo piano, al tempo della fine. Questo perché quegli

avvenimenti, non erano per il tempo di Daniele.

Molti saranno purificati, imbiancati e affinati; ma gli empi

continueranno nella loro empietà. Purificati, puliti; imbiancati,

coperti; affinati, decorati, perfezionati. Per questo i giusti

capiranno, mentre gli empi no.

L’angelo parlò del luogo santo dicendo che ci sarà un tempo e

un calcolo profetico per distinguere i tempi in cui si adempiranno

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certe profezie. Ma, la lezione spirituale che vogliamo raccogliere

in queste parole è che, quando sarà abolito il sacrificio continuo,

che per noi rappresenta l’altare spirituale attraverso cui abbiamo

comunione con Dio, sarà eretta l’abominazione che causa la

desolazione. L’eliminare il sacrificio continuo, la nostra

comunione con Dio, il vivere nello Spirito, il permettere che ciò

avvenga, causa l’abominazione, ciò che ci separa da Dio e ci mette

in una posizione di conflitto. Per questo causerà la desolazione

nella nostra vita, se si rimane in tale condizione. Invero questa è la

condizione degli empi che abbiamo menzionati; queste cose sono

la conseguenza dell’opera degli empi. Il Signore ci dice di non

cadere nella stessa seduzione. A nulla ci serve dire che gli eletti,

perché predestinati, non saranno sedotti; perché dobbiamo

preoccuparci di più di studiarci a comunione che a rilassarci su

parole, anche se giuste. Ricordiamo la risposta di Gesù a quelli che

gli raccontarono il fatto dei Galilei, del loro sangue mischiato con i

sacrifici, da Pilato. Gesù ricordò anche il fatto delle diciotto

persone su cui cadde la torre di Siloe. Ma, concluse il discorso

responsabilizzando quelli che avevano presentato il fatto! Come

dire: Non pensate che perché non sia capitato a voi, siate

privilegiati. Non preoccupatevi di cercare il capro espiatorio in

qualche presunto peccato fatto dalle vittime, perché se non “vi”

ravvedete (voi), perirete tutti allo stesso modo! (Luca 13:1-5).

E’ sempre l’abominazione, il peccato, a causare la desolazione, la

morte.

Qui si conclude il libro di Daniele e la sua storia. L’angelo si

rivolge a lui come al crepuscolo della sua vita (Daniele era già

avanti con gli anni).

“Ma tu và pure alla tua fine; ti riposerai (morte) e poi ti rialzerai

(risurrezione) per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei giorni” (v. 13).

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Questo invero è il destino meraviglioso di chi vive in

comunione con Gesù Cristo, in ispirito. Realizza la comunione

spirituale che lo conduce nella intimità, nel segreto dei segreti di

Dio, per gustare e relazionarsi in un rapporto speciale. Questa la

sposa, la chiesa dei primogeniti, le primizie.

(Conclusione)

Tutto quel che abbiamo scritto, vuole avvicinarci ad una relazione

spirituale superiore a quella che si insegna generalmente nelle

chiese. Non per declassare il loro insegnamento, ne per dire male.

Ma dobbiamo sapere che ogni volta che Dio ha mandato un

ministero, atto a dare una importante dispensazione (messaggio),

i seguaci, nel tempo, si sono indeboliti nella realtà del messaggio

ricevuto, della sua integrità e potenza. In altri casi, Dio ha

incominciato gradualmente dando un poco di luce, per poi

continuare e continuare con altri servi, a Lui graditi, dando di più,

e i seguaci del servo precedente, si sono dimostrati ostili a voler

continuare nel miglioramento e perfezione.

Dopo tutto ciò che abbiamo ricevuto dal risveglio

pentecostale e dal profeta che Dio ha mandato, sulla promessa

Biblica di Malachia 4:5,6, possiamo meglio inquadrare la volontà

di Dio. Siamo per questo più responsabili di fronte la rivelazione

che abbiamo ricevuto. Questo libro vuole aiutare chi ha compreso

questo principio, a sollevarsi dal “suo” capitolo “sei” e passare nel

“Suo” capitolo “sette”. Vivere veramente la vita dello Spirito.

Questo messaggio ci invita a ritornare alla Parola e al personaggio,

come Parola vivente. Possa Iddio benedirvi tutti caramente.

Fr. Giancarlo Larossa.

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(Indice)

Introduzione. P. 1

Capo, 1 P. 2

Capo, 2 P. 17

Daniele interpreta il sogno. P. 25

Capo, 3 P. 30

Capo, 4 P. 35

Il sogno si compie. P. 37

Capo, 5 P. 38

Capo, 6 P. 42

Daniele nella fossa dei leoni. P. 46

Conclusione dell’opera. Capo 7 P. 56

Capo, 8 P. 63

Capo, 9 P. 65

Capo, 10 P. 67

Messaggio del soccorso angelico. P. 72

Capo, 12 P. 80

Conclusione. P. 85

Dicembre 2012

Giancarlo Larossa

www.parolaviva.com

[email protected]