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CRISTO NELLA VITA DI DANIELE
Mentre ci impegniamo, chi scrive e chi legge, a sederci come
spettatori della tua infinita gloria e maestà; ci rimettiamo alla tua
grazia per contemplarti. Mentre ti riveli a noi, cresci nel nostro
regno (la nostra vita). A te Principe dell’universo, chiediamo
soccorso e aiuto.
*§*
Dedica:
A quanti desideriamo consegnare la nostra vita (il regno) al
Signore e redentore, per farlo crescere sempre più dentro di noi e
lasciare che sia Lui il solo vero predicatore dell’assoluto e Amen;
queste pagine dedico…
Introduzione
In questa storia vogliamo vedere, nella vita di Daniele, la vita
di Gesù Cristo. Quel modo unico di grazia, che solo il creatore
poteva interpretare; quel dialogare nel “segreto” con ogni anima.
Lo scopo principale è vedere Gesù nelle sue forme crescenti, fino a
prendere posto primario nella nostra vita, il nostro regno.
Mentre l’aspetto letterale e dottrinale, è diventato ormai il
centro della predicazione nelle diverse confessioni religiose;
considereremo l’aspetto essenziale, quello spirituale. Desideriamo
che quel che leggiamo possa riguardarci da vicino, parlare di noi a
noi stessi, stringere lo scopo centrale del libro che ci riporta
all’origine… Lo Spirito.
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Sarebbe lavoro troppo lungo trattare l’aspetto profetico,
invero, c’è già chi lo fa. Scevri da ogni illusione religiosa sul vedere
il male fuori da noi, chiamandolo in tale e tal altra maniera per
escluderci dalla realtà che si trovi anche in noi stessi, vogliamo
realizzare la conoscenza della fragilità dell’anima umana. Ognuno
tremi per se stesso! Teniamo lo sguardo fisso sul personaggio
protagonista.
*§*
CRISTO NELLA VITA DI DANIELE
(Capo 1)
Babel in ebraico, confusione. In accadico Babilu, porta di Dio.
Il termine ebraico deriva dalla radice bâlal, che significa straripare,
mischiare.
Il libro inizia con l’informazione non superflua che il re di
Babilonia venne contro Gerusalemme. Ciò fu nel terzo anno del re
di Giuda Jehoiakim. Era dunque ancora il periodo dei re d’Israele
quando il re Nebucadnetsar insediò. Come sappiamo, dietro le
parole è nascosta la voce del Signore. Ei vuole che se ne colga
l’armonia più che le parole in se stesse. Se consideriamo un attimo
le parole, Giuda, Babilonia e Gerusalemme, ne abbiamo: Lode,
confusione, possesso di pace. La “confusione” viene (sui ribelli e
aimè anche sulle anime leggere) quando ci si sente nella “pace” o
di possederne la virtù, nelle esultanze festose di una “lode” ormai
compromessa dall’aver perduta la “pace” di cui si porta il nome.
Questo invero, è un giudizio di Dio per aver perduta la pace di cui
Dio stesso ce ne ha fatto dono e dato in possesso. La lode non è un
buon pretesto per guarire o coprire questa grave mancanza.
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Spesso, in certi ambienti, la lode cerca di mascherare la debolezza
della sconfitta di aver perduto le cose preziose, in cui Dio si
diletta, più che in lodi burrascose, più che in miracoli. A causa di
questa condizione colposa, il Signore manda un castigo per
destare ravvedimento: il re di Babilonia, della confusione. A
ragione il termine Babilonia porta in se la radice di, straripare e
mischiare. Violenza distruttrice e sottile filosofia religiosa
seducente e imbrogliona. Dunque, Babilonia, confusione,
miscelazione e violenza esuberante, assediò Gerusalemme,
possesso di pace. Fu per questa realtà che più tardi qualcuno
scrisse il salmo 137, dove viene lamentato che là, in Babilonia,
quelli che li avevano condotti in cattività chiedevano di cantare
dei canti di gioia; e la risposta fu: come possiamo cantare i canti
dell’Eterno in paese straniero?(v. 1-4). Persero la pace!
Iniziarono con il richiedere un re come le altre nazioni, via via si
sviarono e finirono schiavi a Babilonia. Gli ultimi re d’Israele,
finirono a Babilonia.
Nell’assedio di Nebucadnetsar a Gerusalemme, oltre che
schiavi, prese anche una parte degli utensili della casa di Dio per
portarli nella casa del suo dio, nel paese di Scinar (v. 2). Questo re,
fece prendere dal popolo di Dio dei giovani di stirpe reale e
famiglie nobili. Giovani aventi un pò tutte le migliori qualità.
Dopo l’elenco delle virtù desiderate si conclude così il verso
quattro: “… E ai quali si potesse insegnare la lingua dei Caldei”.
Stranamente il nome Nebucadnetsar significa: “Nabu ha
protetto la mia eredità”. Quel che sembrava agli ebrei uno stato di
pericolo, di umiliazione e disonore; visto che si sentivano
privilegiati perché popolo di Dio, era invece una condizione di
protezione verso mali peggiori. Nella sapienza di Dio, vi è una
seria valutazione fra male e male. Nella prova, il Signore ci guarda
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da mali peggiori. La prova stessa, molte volte è protezione a mali
più gravi. Senza che Israele comprendeva il disegno di Dio, veniva
protetto e custodito per imparare qualcosa che avevano
dimenticato (2 Cronache 36:21); Il sabato, il riposo ch’è il frutto
della pace.
Quindi, lo scopo di quella preparazione era, imparare la
lingua dei Caldei. Nel vedere questa storia com’è lo scopo della
nostra meditazione, cominciamo a identificare il regno di
Babilonia alla nostra vita, il nostro regno; il re Nebucadnetsar, il
nostro io naturale, la nostra volontà. Riprendendo il discorso: ci fu
l’invasione a Gerusalemme da parte dei babilonesi, si
impadronirono di alcuni “oggetti del tempio”, catturarono il
popolo riducendolo prigioniero. Lo stesso avviene nella nostra vita
nei confronti delle cose sante di Dio e il modo in cui le
concepiamo. Qui stiamo osservando le cose da un punto di vista
preciso e dettagliato, di come le cose si muovono nella vita
personale di ognuno e non in modo generico di come solitamente
si parla del ravvedimento ecc. Possiamo osservare il modo di come
“prendiamo” le cose di Dio. Il contegno di come ci relazioniamo
alle cose sante di Lui. L’invasione dei babilonesi ci da un esempio
di com’è la natura umana di fronte alla chiesa, e alle cose di Dio.
Molte volte si è pretenziosi perché indisciplinati, sembra che si
prenda con decisione le cose del tempio, quando in verità siamo
arroganti ed audaci. Un quadro di questo concetto di verità, lo
abbiamo nell’episodio di Uzza, quando sorresse l’arca mentre
minacciava di cadere. E’ detto che Dio lo punì per la sua temerità.
Cioè, per aver osato di sfidare il comandamento di Dio. Si
consideri anche l’improprio gesto di Saul nell’offrire il sacrificio al
posto di Samuele (1 Samuele 13:9); La profanazione del tempio del
re Uzzia (2 Cronache 26:16). Tali gesti non sono coraggio! Bisogna
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distinguere fra coraggio e mancanza di rispetto, insolenza.
Prendiamo le cose sante di Dio, come: insegnamenti, doni,
autorità, posizioni, a causa che le scritture ne danno
testimonianza; seduti nei luoghi celesti, la sposa ecc. A causa di
ciò ci si sente santi, approvati, in ordine e via via senza
accorgersene, ci si adorna di vesti farisaiche. Vedremo più avanti
come imbandirono feste (culti) onorifiche, brindando con le
coppe (doni) prese dal tempio… (possiamo anche dire l’evangelo o
Cristo stesso) (capo 5). Ma torniamo al momento dell’invasione e
a come l’uomo è invadente verso le cose di Dio. Come vennero
presi giovani brillanti in quel caso, così l’uomo, prende per se,
delle cose di Dio, il meglio, le virtù preziose, come nel verso
quattro. Fra i giovani presi, appaiono le figure benedette di
“quattro” uomini. Questo ci da l’immagine dell’evangelo. Siamo di
fronte all’evangelo, lo prendiamo (quando lo prendiamo) con
invadenza a causa del bisogno. Ognuno riguardi bene a se stesso.
L’evangelo ha subito molte invasioni e razzie. Si noti, per fare una
parentesi confermante, all’episodio dei siri e alle loro incursioni in
Israele nel periodo di Eliseo. Quando si confrontarono col profeta,
conobbero la vera potenza di Dio, ed è detto che per essere stati
risparmiati dal re di Samaria grazie all’intercessione di Eliseo,
figura di Cristo, smisero di fare incursioni nel territorio d’Israele
(2 Re 6:23). Quando si incontra il personaggio nella sua
resurrezione, conosciamo bene noi stessi. La differenza è grande, e
ci viene meno il cuore… Questo per dire una grande verità: alle
soglie della prima conversione, l’uomo è in grado di esporre di se
solo gli strati emozionali dell’anima. Lo spirito rimane ancora
sconosciuto nei suoi moti (avvisi, e raggi di luce), negli slanci a
scoprire la volontà, il re, il nostro io. Ci si occupa più del male nel
regno (vita umana e religiosa), che del male nella sua origine, nella
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corte, nella reggenza, nella volontà. Prima che l’uomo permette a
Dio di raggiungerlo nel centro di se, vi sono molte lotte; ed è
questo che stiamo cercando di visualizzare.
Quattro uomini appaiono sulla scena, figura dell’evangelo. In
mezzo a loro vi era un giovane chiamato Daniele. Furono
sottoposti per tre anni ad uno studio della cultura, sapienza,
usanze e lingua dei Caldei. Questo ci dice come l’uomo, nella sua
caparbietà e superbia (veleno che si lega alla nostra volontà), non
si mette subito ad ascoltare Iddio per ricevere da Lui, per essere
trasformato. Non concepisce l’umiliazione di se e della sua
volontà. Della sua vita (il regno) e della sua volontà (il re).
Così, inconsapevolmente, siamo noi che vogliamo educare il
Signore Gesù, ospite nella nostra vita, avendo preso, magari
derubato l’evangelo, ad essere nostri prigionieri. Il fine è: insegnare
i nostri modi, le nostre volontà, la nostra lingua. Questo perché
possano convivere con la nostra volontà, e l’evangelo e il
personaggio dell’evangelo. Una convivenza diremmo oggi,
ecumenica; cerchiamo la pace, stiamo in comunione e d’accordo,
però la legge della mia volontà (il nostro regno) non dev’essere
toccata, cambiata. Questo il pensiero dell’uomo. Conviviamo in
pace senza darci fastidio. Ma tutto questo, diciamo, per vedere la
condiscendenza del Signore, nella sua grazia amorevole di
sottoporsi alla condizione dell’uomo. Nel comportamento dei
quattro uomini, soprattutto di Daniele, possiamo visualizzare
l’opera dello Spirito, nel come si adegua all’uomo prendendo la sua
immagine nella Pietà. Pietà è grande mistero (1 Timoteo 3:16)… Dio
che si mette nei panni della creatura; trasformazione. Così Iddio
recupera la debole creatura, mentre lei si crede forte nel suo regno,
nella sua volontà. Volontà che vuole difendere fino alla fine. Due
volontà sono a fronte, una dell’uomo, l’altra di Cristo, in questo
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caso visto come la luce che illumina ogni uomo (Giovanni 1:9). La
conversione non è opera che avviene tutta in una volta. Vi è
sempre un primo strato ed un secondo. Vi sono le mura, le
fondamenta del tempio e vi è l’altare (Esdra 3:3-6).
Questo sottoporsi ai nostri modi, al nostro linguaggio, è per
dirci come il Signore vuole e tiene caro raggiungerci. Egli non
pretende che noi dovevamo comprendere il suo linguaggio; dato
che è perfetto e meraviglioso. Data la distanza dunque, Lui ha
voluto, per amore, come sottoporsi ad una condiscendenza
pietosa, nella considerazione che siamo nulla e meno che nulla.
Andiamo avanti. Dal verso cinque è narrato che il re (quindi
la volontà) assegnò ai prigionieri e apprendisti, cibi squisiti che il
re stesso preferiva e di cui si nutriva. Questo ci indica i pensieri
della volontà dell’uomo, i cibi squisiti, le nostre migliori intenzioni
religiose, i migliori propositi, la migliore cultura ed intelligenza.
Invero, Gesù non può nutrirsi della volontà d’uomo. Egli è
condiscendente ma saggio. Immensamente condiscendente,
misuratamente a ciò che davvero è medicina per l’uomo. L’uomo
non può nutrire Gesù, nei panni di quella luce che illumina
(Giovanni 1:9), con la propria volontà d’uomo perché diabolica.
Nel verso sei specifica che i quattro personaggi, che ci
raffigurano l’evangelo, erano ovviamente con altri prigionieri e
apprendisti. Per dire che inizialmente siamo di fronte a tante
teorie, tante conoscenze interessanti, e in mezzo ad esse,
cominciamo a distinguere l’evangelo. Nella crescita si nota la
distinzione nella valutazione con i diversi compagni di prigione.
In quei casi vi è sempre un sorvegliante speciale. Questa
rappresenta un pò la nostra speciale attenzione, la nostra
sorveglianza alle cose a cui teniamo. L’anima dell’uomo è un
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universo di mondi… Ogni cosa che accade nell’universo, accade
nell’anima.
Qui vediamo la reazione e determinazione di Daniele, questo
giovane coraggioso ed intelligente. Ci rappresenta il Cristo in
quella luce personale, quella che illumina ogni uomo.
Di fronte i cibi del re così rispose:
“Ma Daniele decise in cuor suo di non contaminarsi con i cibi
squisiti del re e con il vino che egli stesso beveva; e chiese al capo degli
eunuchi di concedergli di non contaminarsi. Dio fece trovare a
Daniele grazia e misericordia presso il capo degli eunuchi” (v. 8,9).
Fu determinato nel prendere posizione, ma notiamo come si
rivolse al guardiano (quello che rappresenta la nostra attenzione,
il nostro studio nel valutare le cose di Dio). Chiese all’eunuco di
concedere… Fu determinato nel proposito di non contaminarsi, ma
chiese grazia al servo del re. Gesù, il nostro Daniele, è determinato
a non contaminarsi con la nostra volontà umana e religiosa, ma
chiede… Che espressione di grazia in merito all’onnipotente nei
confronti di esseri così deboli e immeritevoli. Possa Iddio darci la
chiara visione di questa scena nei rapporti della misericordia e
pietà di Dio verso noi. Non vi è minaccia, non violenza, ma
condiscendenza pietosa. L’interesse di Dio verso l’anima
bisognosa è raggiungerla nel centro del regno. Egli che sa ogni
cosa, sa bene che le nostre parole, le nostre buone intenzioni,
inizialmente, sono frutto più di entusiasmo e zelo religioso che di
realtà, sebbene sinceri. Ricordiamo Pietro nell’espressione
coraggiosa, nel paragone con gli altri di non rinnegare il Signore
nel momento difficile (Matteo 26:31-35). Fallì! Ma non
dimentichiamo chi si prese cura di lui quando l’istigatore delle
tempeste voleva vagliare i discepoli (Luca 22:31,32). Sempre in
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quella occasione Gesù gli disse: “Ma io ho pregato per te”. Gesù fu
colui che gli aprì gli occhi e giudicò le sue intenzioni, ma fu anche
colui che pregava, intercedeva, accompagnava il debole Pietro, e i
deboli noi. A Dio sia la gloria. Per questa intercessione ed
assistenza anche, Dio concede di trovare grazia presso le nostre
razionali valutazioni; dimostrandosi così l’autorità massima
anche quando si umilia in una pietosa condiscendenza. Dio
protegge il lavoro delicato di quella luce data a tutti gli uomini. Se
non fosse così, nessuno verrebbe a Gesù il salvatore. Ricordiamoci
le sue stesse parole: “Nessuno può venire a me se il Padre non lo attira”
(Giovanni 6:44). Proseguiamo.
Il servo del re si spaventò, a causa che se qualcuno che al re
interessava perdeva il suo aspetto sereno perché denutrito,
avrebbe passato guai (v. 10). Notiamo ancora la linea
condiscendente ed umile di Daniele, mentre dietro di lui vediamo
lo Spirito di Cristo:
“Ti prego, metti alla prova i tuoi servi per dieci giorni, e ci siano dati
legumi per mangiare e acqua da bere. Poi siano esaminati alla tua presenza il
nostro aspetto e l’aspetto dei giovani che mangiano i cibi squisiti del re; farai
quindi con i tuoi servi in base a ciò che vedrai.” (v. 12).
Incomincia con una preghiera… Benedetta preghiera. Non è
atto del caso, ma attitudine, carattere, intenzione, quello di
pregare per chi lo riceve, per i suoi; Egli, eterno sacerdote. Come
abbiamo già accennato, in riferimento alla preghiera verso Pietro,
è dimostrato il suo carattere sacerdotale e amorevole, di pregare
sempre per i suoi (Ebrei 7:25). Sovviene alle nostre preghiere,
intese anche come richieste e forme direzionali per la nostra fede
(Romani 8:26). Fidati del fatto che Lui prega (intercede) per te.
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Vediamo il coraggioso confronto fra l’aspetto dei quattro e
l’aspetto di quelli che si nutrivano dei cibi del re. Il confronto fra le
“azioni” nutrite dai pensieri della volontà d’uomo, con quelle
nutrite dal nutrimento scelto da Lui, che non vuole comunione
con la nostra volontà animale, razionale. La mente dell’uomo non
redento, è il campo di lavoro di satana; per il credente, il campo di
battaglia.
In questo sentimento di pregare il servo del re, vediamo il
carattere di Cristo, nel preoccuparsi e curarsi di non mettere a
rischio le nostre “valutazioni” (il servo del re) nel caso non
avessimo preso cura necessaria all’evangelo (i quattro uomini) e al
Personaggio dell’evangelo (Cristo). Diciamo questo perché
nell’uomo, quando c’è interesse per qualcosa, si soffre molto
quando riteniamo di non aver dato sufficiente attenzione nel
curarne il risultato. Il servo avrebbe affrontato il giudizio del re.
Più avanti si vedrà che, di fronte al fallimento circa
l’interpretazione del sogno del re nel capitolo due, il re rimase
adirato e minacciò di condannare a morte tutti i saggi di Babilonia.
Quando si ha a che fare con le delusioni e gli scoraggiamenti, si
lascia la presa. Per questo il Signore ci insegna in questa metafora,
il Suo trattamento accorto e sensibile alla nostra fragilità. Non è
assolutamente per paura, è ovvio, è per sottolineare ed apprezzare
di più, il Suo modo unico di soccorrere le creature ch’egli ha fatto e
che ama. Il Signore, nella forma del richiamo sottile (vocazione),
nella luce che illumina ogni uomo, ci mostra il modo come impara
(precisamente: si sottopone) il nostro linguaggio per dialogare con
noi, con chiunque; si, con chiunque. A noi sembra che Dio operi
solo a mezzo nostro, suoi servi. Vi è bisogno di una speciale
disciplina nella rivelazione, per vedere i metodi di Dio nelle Sue
diverse forme. L’uomo è lento a capire, ancor più a vedere.
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Abbiamo tutti bisogno che Dio ci apra gli occhi e che ci conduca
alla comprensione vera.
Daniele disse pure di essere esaminati dopo i dieci giorni, per
vedere i risultati del cibo ch’egli stesso aveva scelto. Nello stesso
modo il Signore, si fa esaminare nella sua condiscendenza, al fine
di dare prova delle sue scelte perfette. Prende autorità, da autorità.
Che sapienza! Solo il creatore sa come parlare, dialogare con
l’uomo senza farsi scoprire. Nella sua perfezione Egli è sovrano,
Santissimo e Giudice. Nella sua umiltà, è condiscendente, amico
dei peccatori; che perfezione. Lui è perfetto e Santo, ma anche
pedagogo e accompagnatore. Dio sia lodato. Il Signore non ci
mette subito in confronto con la sua perfezione. Questo lo rende
tanto sapiente e pietoso. Se riusciamo a vedere e distinguere il suo
modo unico, il suo Santo linguaggio, impareremo a trattare con i
bisognosi, in quella maniera santa, tanto che se ci respingeranno
sarà davvero, e solo perché hanno messo a tacere e respinto il
Signore, come nella figura di Daniele che stiamo trattando.
Quando passarono i dieci giorni, Daniele e i suoi amici, si fecero
esaminare. Furono trovati in miglior aspetto che quelli che si
nutrivano dei cibi squisiti del re. I legumi, cibo scelto da Daniele,
portarono loro salute. I cibi del re, portarono il necessario e
normale. Il confronto è chiaro. Il cibo scelto dal Signore Gesù, che
è: fare la volontà di Dio (il Giudice); mentre, quale luce di
misericordia: nei modi di grazia del creatore; porta salute. I
legumi sono ricchi di sostanze benefiche per l’uomo, danno forza e
sono ricche di ferro. I cibi deliziosi del re, che sono appetitosi, cioè
i nostri pensieri, opinioni ed intenzioni, portano normalità e
consuetudine, dietro ai quali vi è malattia e morte. Si mediti
attentamente Proverbi 23:1-8. Ciò che viene dall’uomo è naturale,
ciò che viene da Dio è spirituale e vita.
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Sia esaminato l’aspetto! Qui il Signore comincia ad attirare
l’attenzione all’immagine, in modo che il personaggio e l’evangelo
comincino a distinguersi e a prendere forma. Prima di quella
richiesta erano persone come le altre; dopo la richiesta, furono
distinte dalle altre. Iddio comincia sempre con una luce sottile, ma
avanza pian piano che il cuore si va aprendo ai Suoi stimoli. Lo
scopo di Dio è quello di farsi conoscere sempre più fino a
raggiungere luce aperta e perfetta, cioè, così come Iddio è
(Proverbi 4:18; 2 Pietro 1:19). Si meditino bene e accuratamente
questi versi.
“Farai con i tuoi servi in base a ciò che vedrai”. Ancora il
lavoro continua sulla visualizzazione dell’immagine del Cristo, il
salvatore e redentore. E’ come una nube nebbiosa che pian piano si
va diradando. E’ il pedagogo, L’accompagnatore di Isaia 11:6,8 che
via via riflette la giusta immagine nella giusta proporzione della
sua stessa immagine superiore. Nello stesso modo fece Gesù
nell’occasione in cui cominciò ad annunziare la venuta dello
Spirito Santo: “Filippo gli disse: Signore, mostraci il Padre e ci basta.
Gesù gli disse: Da tanto tempo io sono con voi e tu non mi hai
conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre; come mai dici:
Mostraci il Padre?” (Giovanni 14:8,9). Si parla di vedere, ovviamente
Gesù si riferiva al vedere nello spirito. Nel mentre che i discepoli
lo consideravano solo come il “Figlio”, da quel momento
cominciarono a considerarlo anche come il “Padre”. E’ quel vedere
nella vita interiore di Gesù. Nel corpo, come Figlio, nell’intimo,
Dio il Padre. Gesù cominciava a rivelare, in quel “mostraci”, la Sua
identità nascosta, quel ch’ è difficile all’uomo di comprendere. Lo
stesso nella situazione di Pietro, nella rivelazione del Cristo
(Matteo 16:16), uguale nella trasfigurazione sul monte (17:2). Gesù
dava rivelazione crescente della sua identità, insita nel suo piano
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di redenzione. Così dunque vediamo il cammino segreto nella vita
interiore degli uomini, nella umanità. Questo nei panni del
creatore. Come creatore ama le sue creature, opera delle sue mani.
Ha dato all’uomo lo spirito come luce interiore per agganciarsi allo
Spirito di Dio, ed avere dialogo con Lui. Questo, sia chiaro, non
salva nessuno! Ecco perché è necessario che Dio, nella luce che
illumina ogni uomo, cerca di rivelare il suo “aspetto”. E poi, dopo
aver dimostrato che il cibo, il nutrimento scelto da Lui è migliore,
più sano della nostra volontà animale, sfida le nostre valutazioni
razionali a “vedere”. Riguardare il Suo aspetto per distinguersi
dagli altri, dalle nostre considerazioni ed opinioni che si nutrono
della nostra volontà.
E’ ovvio che per tutto questo che stiamo dicendo e cercando
raffigurare, ognuno ha il suo tempo per arrivare a distinguere
l’Immagine del redentore risorto. Nella storia di Daniele, secondo
la narrazione del libro, vedremo le cose svilupparsi in modo
crescente fino ad arrivare alla conclusione. Nella realtà, sappiamo
che non tutti arriveranno a vedere l’Immagine del Signore in
ispirito, e distinguerlo dalle proprie opinioni e pensieri. Molti si
opporranno fino a spegnere completamente gli avvisi di questa
luce interiore nella coscienza; ma concentriamoci sulla nostra
storia per vederne almeno lo scopo, la conclusione nel bene.
Comprendere qual è lo scopo di Dio per noi.
Il servo (il nostro studio, modo di valutare) acconsentì,
perché Dio fece grazia. Comincia una certa opera di persuasione
da parte di Dio, come a garantire la buona riuscita, e a dare fiducia
(fede) alle nostre attenzioni, che il re (la volontà), non rimarrà
deluso e scoraggiato della possibilità di un fallimento. Nessuna
violenza o pretesa, solo onesta sfida nella fiducia della verità.
Daniele seppe presentare la sua decisione di santità avendo fiducia
14
nel cibo che scelse. Lo stesso, Iddio, nella luce nascosta nell’uomo,
tiene fermo il suo proposito, ma con amore, presentando un cibo
migliore certo dei positivi risultati. Dopo i dieci giorni, dopo la
valutazione dei quattro personaggi, il servo tolse i cibi squisiti del
re. La persuasione cominciò ad entrare “nel regno”. Ancora non
toccò il re (la volontà) ma cominciò ad entrare nel regno ch’è già
importante.
E’ quella consapevolezza in noi per cui cominciamo a
lasciarLo agire. Fin ora abbiamo dialogato con Lui, e il risultato è
una persuasione a lasciarlo lavorare con fiducia. Nel palazzo
regale della nostra volontà intanto, sbrighiamo le nostre solite
faccende. Un po bene un po male. Dopo questo, nel verso
diciassette, viene detto così:
“A tutti questi quattro giovani Dio diede conoscenza e intendimento in tutta
la letteratura e sapienza; e Daniele ricevette intendimento di ogni genere di
visioni e di sogni”.
Prima vengono menzionati i quattro, figura dell’evangelo, nella
rivelazione della letteratura , in cui possiamo anche vedere le
sacre scritture. La conoscenza, è in riferimento a quel dialogo
segreto che stiamo cercando di individuare e dal risultato della
lettura delle scritture. Ci si intenda per lo spirito. Passiamo dalla
narrazione del libro nei suoi fatti, all’applicazione spirituale in cui
vediamo la nostra vita e il lavoro segreto dello Spirito, fino a
portarci nella piena luce.
Diciamo che fino a questo verso non si era detto nulla circa le
doti dei quattro personaggi; ora vengono conosciute, rivelate al
servo (modo di valutare) e cominciano ad essere conosciute anche
nel regno (la nostra vita). Il re (la volontà), non sa ancora nulla, è
in uno stato di attesa, spera. La volontà dell’uomo nel suo segreto
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cerca luce, esattamente come il re cercava uomini brillanti. Il tutto
per migliorare e dare potere al suo regno.
Quindi da questo verso (17) viene detto che Dio diede conoscenza
e intendimento ai quattro. Ed è in questo momento che Dio da
rivelazione all’anima che Lo cerca e Lo lascia operare e crescere in
lei, dell’importanza dell’evangelo. Ma, poi Daniele viene distinto
dai tre. Dalla letteratura e sapienza alla conoscenza spirituale. A
lui Dio diede capacità di interpretare sogni, visioni e sbrogliare
segreti. L’evangelo è fatto di lettera e conoscenza, ma il
personaggio (Cristo, ch’è nei quattro, l’evangelo) ha la chiave dello
Spirito. Vi è una santa distinzione fra l’evangelo nella lettera, la
conoscenza ch’essa da, e la realtà viva del personaggio assoluto. E’
saggio ed anche indispensabile per la elezione, possedere le chiavi
di questa differenza.
A questo punto, passato il tempo di preparazione stabilito
dal re, compaiono dinanzi a lui (v. 18). Il re parlò ed interrogò tutti
gli apprendisti, che avevano titolo di astrologhi e maghi, ma
nessuno fu pari ai quattro. La nostra volontà, finalmente comincia
ad essere penetrata dalla realtà dell’evangelo, in confronto con le
altre opinioni e conoscenze, personali (proprie della nostra
volontà) o non, e ne distingue la differenza e qualità. Il re, che ci
rappresenta la nostra volontà, la fortezza, non trovò nessuno come
i quattro (l’evangelo), al pari di loro, in tutto il regno (la nostra
vita).
E’ chiaro che dal momento della deportazione d’Israele (presa
dell’evangelo) a Babilonia (la nostra vita di confusione), sotto
l’autorità del re (la fortezza della volontà), vi è da parte di Dio, una
penetrazione dei diversi strati dell’anima fino al palazzo reale, la
volontà, la fortezza. Vediamo come Daniele era in Gerusalemme,
come Cristo era nel suo regno nel cielo, si è fatto uomo ed è venuto
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a raggiungerci nel nostro regno. Ha dato la sua vita per l’umanità,
e da quel momento si rivela come Spirito Santo. Tutti prendono,
si impossessano della sua testimonianza, l’evangelo, e comincia
questo percorso di penetrazione nella vita dell’uomo, nel suo
regno, l’anima. Abbiamo visto, in questo ordine, come il Signore
cerca un dialogo con la sua creatura. Il modo che Egli adotta, è un
parlare mediante la stessa voce, nel pensiero, dell’uomo. Lui parla
con la nostra stessa voce, mentre pensiamo. Uno dei motivi per cui
la mente è sempre in attività è anche perché Dio possa parlare
attraverso il nostro pensiero. Nella moltitudine dei pensieri, egli
riesce a infilare richiami, atti a risvegliare la coscienza al bene.
La mente è un traffico di pensieri e parole, l’uomo fin tanto
che vede la sua propria immagine in se stesso, non si spaventa e
per questo riesce ad ascoltarsi ed ascoltare la voce di Dio
attraverso la nostra voce. Se l’uomo peccatore, vedrebbe
l’immagine di un altro (del Cristo) in se stesso, cioè fosse
consapevole che si tratta di Cristo, avrebbe paura e non
ascolterebbe più. Basta ricordare l’episodio della nascita di
Sansone. Nel momento che i genitori si resero conto di avere visto
Iddio in una sua immagine, si spaventarono e pensarono di morire
(Giudici 13:22). E’ una idea di quel che succede nell’uomo quando
non conosce Iddio. Sappiamo che nella dispensazione del nuovo
testamento, questa paura non esiste più, perché Dio ha promesso
di venire ad abitare nei nostri cuori e ci invita a vederlo.
Ritornando al caso della nascita di Sansone, il padre di lui,
Manoah, dialogava con quel personaggio messaggero, ma senza
sapere che era un angelo di Dio, diciamo, in una delle Sue
immagini, apparizioni (v. 16). Lo spavento a cui abbiamo fatto
cenno fu quando si accorsero che era il Signore (v. 22).
17
Notiamo dunque in questa scena l’atteggiamento dell’uomo
ignorante, cioè non consapevole dell’identità dei suoi pensieri. Nel
momento della rivelazione della natura di essi, crolla, e si apre a
quella nuova visione e conoscenza. Lo stesso vediamo, come
conferma biblica nel salmo 42:11: “Perché ti abbatti anima mia, perché
gemi dentro di me? Spera in Dio…”. Ancora: “Benedici anima mia L’Eterno”
(v. 103:1). Notiamo come il salmista parla a “se stesso”. Non è
difficile comprendere che si tratta dello Spirito che intercede per
soccorso e grazia, come dice Paolo ai Romani (8:26,27).
Così è l’uomo, questa è la legge dell’uomo (2 Samuele 7:19),
destinato a vedere la sua progenie nel Cristo. L’unico modo in cui
Dio può parlare all’uomo, senza che lui si accorga che sta parlando
con Dio, è questo, ed è arte divina.
Da questo possiamo comprendere come e quanto Dio ama le
sue creature. Forse tanti di noi non lo abbiamo ancora compreso.
Man mano che l’anima si apre a questo dialogo, il Signore
porterà l’anima dalle tenebre alla luce, luce piena.
*§*
Capo 2
Daniele alla corte del re
Il capo uno si conclude col verso ventuno, accennando all’impegno
di Daniele nel continuare nel modo in cui lo abbiamo visto
distinguersi e crescere. Brillare di saggezza superando i savi di
Babilonia, fino al primo anno di Ciro. Vedremo più avanti il ruolo
di Ciro.
18
Quindi, dopo quella preparazione del servo del re, passarono
due anni del regno di Nebucadnetsar, prima che successe quel che
tratteremo in questo capitolo.
E’ detto che il suo spirito fu turbato perché aveva dei sogni e
non poteva dormire. Il riposo per l’uomo è come l’acqua; senza
d’esso chiunque ne rimane sfinito. Una delle cose più brutte è non
riuscire a riposare. Perse il riposo. Il nostro io, perde il riposo
perché comincia a un tratto a vedere cose che lo turbano. Quando
è così, l’uomo viene preso da spavento, comincia a preoccuparsi e a
perdere il controllo della sua vita, il regno. Nel verso due si parla
della disposizione del re nel chiamare i saggi di Babilonia, gli
stregoni, astrologhi e maghi. Nel verso venti del capo uno, gli
stregoni non sono menzionati; nel capo due si. Per questa
circostanza (il sogno) vennero fuori gli stregoni. Sappiamo che
Dio è contro la stregoneria. Ma come avvenne in quella occasione,
così nella vita dell’uomo che Dio cerca di conquistare. A causa di
turbamenti che preoccupano la nostra forte volontà, si risvegliano
cose che neanche pensavamo di avere in noi nascoste. Per questo
Dio ci stringe nel cerchio della prova e della sofferenza, per far
uscire fuori le cose nascoste nel profondo della nostra vita. Perso il
riposo, vengono fuori gli stregoni, parte negativa della nostra
natura umana. Cominciamo a cercarli, come se essi potessero darci
una soluzione ai nostri bisogni. Potremmo dire che, la vita di ogni
uomo senza Dio, è un assieme di stregonerie. Ad esse ci
rivolgiamo, ad esse ci affidiamo.
Il re (la volontà) disse così: “Ho fatto un sogno e il mio spirito è
turbato, finché riuscirò a conoscere il sogno” (v. 3).
Questo spavento deriva dal non riuscire ad interpretare il sogno, la
visione che lo turbava. Ogni uomo arriva a questa condizione; ciò
che vede nel profondo della sua vita lo turba, fino a quando non
19
riesce a scoprirne il significato. Può essere una chiamata intima,
un sogno particolare, una sensazione particolare, un incontro, un
evento, un senso di colpa. In qualsiasi modo si presenti, qualcosa
arriva. Dio ha tanti modi di raggiungere l’uomo.
I Caldei dissero al re di raccontare il sogno, motivo del suo
mal umore. I savi di Babilonia, rappresentano le nostre migliori
qualità quali, sapienza, intelligenza, istruzione, ingegno, abilità
artistiche ecc. Ad esse l’uomo si rivolge e si appoggia. Da esse
pretende spiegati i misteri che turbano le profondità inesplorate
della volontà, dell’anima. Quando nell’intimo del nostro io
perdiamo la sicurezza, e qualcosa di non identificato comincia a
muoversi dentro di noi, cominciamo a pretendere dalle nostre
virtù e qualità umane e personali. Il re pretese che, considerata
l’importanza e fiducia riposta in loro per le loro doti, dovevano
anche indovinare qual era e com’era il sogno senza che il re lo
raccontasse (v. 5). Una punizione incombeva su quegli uomini se
non sarebbero riusciti a dichiarare il sogno dandone
l’interpretazione. Dentro le profondità dell’animo, si pretende
chiedere a quelle che sono le nostre qualità naturali, le spiegazioni
delle cose che ci turbano. Se questo non avviene secondo ch’è il
bisogno intimo della nostra volontà, saremmo in grado di
sterminare le nostre buone qualità, cioè, non avremo più fiducia in
noi, nelle nostre virtù, nella nostra intelligenza. L’uomo, la sua
volontà naturale, si sente sconfitta. La risposta dei savi, diremmo,
delle nostre virtù, era (è):
“Non c’è alcun uomo sulla terra che possa far sapere ciò che il re
domanda, infatti nessun re, signore o sovrano ha mai chiesto una cosa simile
ad alcun mago, astrologo o Caldeo. La cosa che il re domanda è troppo difficile
e non c’è nessuno che la possa far sapere al re, se non gli dei, la cui dimora non è
fra i mortali” (v. 10,11).
20
Non vi è alcun uomo. Non è per volontà d’uomo, intelligenza
umana, ma solo gli dei, dissero. Non uomo della terra, non
capacità umane, ma l’intervento del divino, di Dio.
“Ne la carne, ne il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è
nei cieli” (Matteo 16:16), queste furono le parole di Gesù a Pietro.
Notiamo lo scoraggiamento del re di fronte ad un linguaggio
difficile. La sua reazione addirittura violenta nel caso non trovi
risposte sul significato di quel che lo turba e lo fa sentire sconfitto.
Il tormento di fronte un linguaggio oscuro. Quanto sentiamo nel
mondo intero, di persone che si scoraggiano e perdono fiducia in
loro stessi, si ammalano di sconforto cadendo in dirupi di
depressione fino all’esaurimento. Non si sentono più di affrontare
nulla, perché ritengono ogni impresa una battaglia persa fin
dall’inizio, tanto è lo scoraggiamento. Non combattono più, non
sperano più, non credono più. Dio non vuole che noi distruggiamo
le nostre qualità naturali, esse pure ce le ha date Lui e devono
collaborare per il nostro bene se sottoposte alla Sua mano. Quel
che è positivo ed indispensabile intorno le nostre qualità (i savi
della corte), è lasciarle nelle mani di Dio, senza dipendere da esse.
Dipendere solo dalla Voce del Signore. Tutto il resto che ci
riguarda della nostra vita materiale, umana, dev’essere soggetta
alla volontà di Dio. Quindi, non distruzione delle nostre migliori
qualità, ma affidarle all’autorità e controllo di Dio. Paolo disse che:
“Ma le cose che mi erano guadagno, le ho ritenute una perdita per Cristo.
Anzi, ritengo anche tutte queste cose essere una perdita di fronte all’eccellenza
della conoscenza di Gesù Cristo, mio Signore, per il quale ho perso tutte queste
cose e le ritengo come tanta spazzatura per guadagnare Cristo” (Filippesi
3:7,8).
21
Anche Paolo dice di aver ritenuto una perdita tutto ciò che ha
studiato e fatto nel passato, ma non nel senso di quel che sono in
se stesse, ma della “dipendenza” da quelle cose. Il principio da cui
paolo sarebbe partito, l’origine, non era più la sapienza che aveva
imparato, ma la rivelazione e dipendenza a Cristo. Vogliamo dire
che come il re si scoraggiava nel vedere il buio circa il sogno, così
l’anima di fronte gli enigmi della vita, soprattutto quando arriva il
momento di una chiamata da parte di Dio. Si desidera risposta
fino al punto di pretendere troppo da noi stessi (perché ancora
non conosciamo il Signore), dalle nostre migliori doti e qualità. Se
esse non possono aiutarci, siamo in grado di sterminarle, nel senso
che ci si scoraggia perdendo fiducia e odiando quel che abbiamo
imparato e studiato. Iddio vuole intervenire e guarire questa
condizione per mettere tutto in equilibrio. Molti, per aver visto
fallire, secondo le apparenze, qualche tentativo di buone azioni
come: presentare un cantico, un messaggio evangelistico, opere di
pietà, nel senso di non essere apprezzate, preda dello
scoraggiamento si ha lasciato la presa respingendo tutto e
abbandonando di continuare. L’uomo tende a scoraggiarsi
abbandonando di esercitare le doti che Dio gli ha dato. A volte ci
si sente come incapaci rispetto agli altri. Un pò è stata così la
reazione del re, anche se diversa nelle circostanze. Nel re vediamo
la figura della volontà d’uomo, nei rapporti della chiamata che Dio
rivolge a “tutti gli uomini” e del metodo con cui li raggiunge nella
luce che ha messo nello spirito umano. Tanto era lo
scoraggiamento che il re voleva fare morire anche Daniele, senza
sapere che era l’unico in grado di spiegargli il sogno. In ogni
scoraggiamento dell’uomo, tendiamo a soffocare le nostre buone
qualità ed anche il Signore, unico vero ed assoluto interprete dei
nostri misteri. Alla risposta sincera dei Caldei (le migliori qualità
22
umane), che nessun uomo può districare il sogno del re senza che
gli sia raccontato, il re:
“…Si adirò, montò in collera e ordinò di sterminare tutti i savi di
Babilonia. Così fu promulgato il decreto in base al quale i savi dovevano essere
uccisi, e cercavano Daniele e i suoi compagni per uccidere anche loro”. (v.
12,13).
Lo scoraggiamento, lo sconforto, la nostra impossibilità di
fronte al mistero ci porta, nella nostra fragilità, a distruggere tutto;
il regno (nelle nostre migliori qualità e virtù) e il lucignolo
fumante (la chiamata di Dio in quel linguaggio personale che
raggiunge ognuno). Noi non sappiamo quanto male ne
deriverebbe nel soffocare le virtù che Dio ci ha date anche se
naturali. Daniele era fra i savi di Babilonia anche se non ne faceva
parte.
“Allora Daniele si rivolse con parole prudenti e sagge ad Ariok, capitano
delle guardie del re, il quale era uscito per uccidere i savi di Babilonia” (v.
14).
Il guardiano che si prendeva cura dei prigionieri era Meltsar,
il capitano delle guardie era Ariok. Daniele si rivolse al capitano
delle guardie con prudenza e saggezza. Notiamo come queste due
parole descrivono il lavoro delicato che fa anche lo Spirito Santo
nel cuore umano. Prudenza, perché vi era pericolo di
compromettere l’intercessione a cui si stava dando; saggezza, per
il coraggio e la fede di risolvere il problema con la sapienza di Dio.
Non è l’immagine del lavoro di Dio nell’anima umana? Il capitano
lo informò giacché Daniele chiese la ragione di tanta severità. Per
mezzo del capitano arrivò al re. Parlò con lui e chiese di “dargli
tempo” (v. 16). Dapprima Daniele fu custodito da un guardiano,
simbolo del nostro studio, la nostra attenzione alle scelte, Meltsar.
Poi, quando Daniele si distinse dagli altri insieme ai tre amici,
23
incontrò un altro valore nel regno della nostra vita, Ariok, quella
parte di noi che possiamo chiamare l’esecuzione, sia nel bene che
nel male. Con il “dovuto linguaggio” si presentò all’autorità
dell’esecutore giudiziario, e arrivò anche al re, vicino alla volontà.
Esattamente il quadro dei passi del Cristo nei riflessi di quella luce
che illumina ogni uomo. Quel linguaggio a cui egli stesso si era
sottoposto per amore remissivo, con quella compassione continuò
su quella scia, e arrivò finalmente vicino alla volontà (il re). Chiese
tempo, perché lo Spirito Santo ha bisogno di tempo per plasmare e
persuadere l’uomo, la sua volontà; piegarla in fine al volere
supremo.
Dopo questo, Daniele andò a casa dai suoi compagni (v. 17).
Vediamo come Cristo converge sempre verso gli elementi che
compongono il suo messaggio, per formare il numero quattro,
l’evangelo. Gesù lo troviamo nell’armonia dei quattro evangeli.
Gesù torna sempre ad agganciarsi all’evangelo, così tiene noi
agganciati ad esso. Il motivo era, che implorassero il Signore che
non venissero messi a morte (v. 18). Qual è il motivo per cui
possiamo vedere questo nella vita di Cristo, mentre passeggia
nella nostra vita, nei nostri pensieri? Semplicemente che Lui
intercede davanti a Dio al fine che quella luce, che in certi casi è il
lucignolo fumante (Isaia 42:3. Matteo 12:20), non si spenga
definitivamente, perché questo significherebbe la nostra fine! In
relazione a questo, si lega quella frase misteriosa di Salomone:
“Prima che il cordone d’argento si rompa, il vaso d’oro si spezzi la
brocca si rompa alla fonte e la ruota vada in frantumi al pozzo” (Ecclesiaste
12:6).
Questo “cordone” è proprio quel legame interiore che ci lega a
Dio, all’invisibile, quella testimonianza sottile e profonda della
24
luce che illumina la coscienza di ogni uomo (Giovanni 1:9). E’ quel
lavoro invisibile e impercettibile, a volte, in cui lo Spirito di Dio,
dialoga con l’anima per non farla staccare definitivamente da Dio,
nel peccato a morte. Cordone sta per legame, l’argento per
redenzione, quindi collegamento tra Dio e l’uomo.
Iddio agisce sulla base della redenzione, per questo Iddio si è
fatto Uomo, riconciliando l’umanità al Creatore. Tutto questo
sulla base della fede ovviamente.
Nella figura di Daniele, che va dai suoi compagni per
intercedere presso Dio, troviamo quella attitudine di intercessione
e redenzione, onde far di tutto per salvare l’anima.
La preghiera era anche per gli altri; i savi della corte; quel che
rappresentano le nostre qualità personali. Egli intercede per non
farci prendere attitudini e posizioni gravi da far spegnere quella
relazione profonda e nascosta nella nostra immagine interiore,
nella voce del nostro pensiero, ed anche per non odiare noi stessi,
con le nostre qualità.
Il Signore allora rivelò il segreto a Daniele, esclamò: “A Lui
appartengono la sapienza e la forza” (v. 20). Qui il Cristo, l’Unto, lo
Spirito, dà gloria a Dio per la rivelazione; possiamo dire in
quest’opera di richiamo e collegamento a Dio: ci “attira” a Lui, ci
trasporta a Lui. E’ come voler far visualizzare, mettere a fuoco
“l’immagine” di Dio. L’opera dello Spirito, che lavora dietro la
nostra personale immagine interiore, spinge sempre verso la
identificazione della “immagine” del Cristo.
*§*
25
Daniele interpreta il sogno
Daniele andò dalla guardia, l’esecutore (una delle nostre
virtù), dicendo di non far perire i savi di Babilonia (altre virtù
(v. 24). Appare, come solo Lui sa fare, per proteggere le nostre
virtù. Portato davanti al re (la volontà), gli fu chiesto se era in
grado di interpretare il sogno (v. 26). Portato, visto apparire,
perché comincia a prendere forma dentro lo spirito, chiediamo se è
capace di rivelare il mistero che ci affligge. Beltshatsar significa:
“Dio protegge”. Si, il Signore ti protegge! Egli viene a te da lunghi
percorsi per prendersi cura di te, per proteggerti. Daniele, che
rappresenta la luce interiore dietro la nostra immagine, i nostri
pensieri, non attirò attenzione a se (i nostri pensieri), non si prese
la gloria, perché in definitiva, la luce che illumina ogni uomo, non
è la salvezza, ma opera in favore di essa. Quindi portò l’immagine
di un altro, l’Iddio del cielo. Diede questa testimonianza
importante:
“Il segreto di cui il re ha chiesto l’interpretazione, non può essere
spiegato al re ne da saggi, ne da astrologhi, ne da maghi, ne da indovini.” (v.
27).
Qui, la testimonianza della luce nello spirito, comincia a
presentare in modo più diretto, ciò che riguarda l’identità del Dio
del cielo (v. 28). In questo verso c’è la spiegazione che vi è un Dio
nel cielo che rivela le cose nascoste e i misteri della mente. In
questi misteri Dio è nascosto, ed attende di essere scoperto,
conosciuto. Viene il tempo in cui l’immagine di Cristo, si fa
sempre più nitida dentro noi.
Leggiamo il verso trenta: “Ma quanto a me, questo segreto mi è stato
rivelato non perché io abbia maggiore sapienza di tutti gli altri viventi, ma
perché l’interpretazione sia fatta conoscere al re, e tu possa conoscere i pensieri
26
del tuo cuore”. Possa aggiungere il Signore la sua benedizione a tali
parole. Lo scopo per cui Dio fa tutto questo percorso dentro di
noi, è per farci conoscere i pensieri del nostro cuore. Gloria a Dio!
Nella spiegazione troviamo importanti elementi simbolici
che riguardano gli imperi che in seguito avrebbero conquistato e
dominato. Ma, più che questo, visto che stiamo studiando questa
storia da un punto di vista allegorico e spirituale, possiamo fare
brevi segnalazioni come riferimento. Anche qui appare l’argento.
Si noti come l’argento è rappresentato dal petto e le braccia.
Dicevamo che l’argento è in riferimento alla redenzione; il petto è
il cuore, le braccia l’azione. La redenzione riguarda questo
significato nell’uomo. Dio incomincia dal cuore a distribuire il Suo
soffio. Questo è il cordone (legame) d’argento. Poi passa all’azione.
La testa è d’oro. Dalla spiegazione la testa non riguarda solo il
capo, bensì anche il volto. Dal volto abbiamo l’espressione che è il
ritratto di quel che viviamo nel petto. Tutti i cinque sensi sono nel
volto. Il ventre e le cosce sono di bronzo (o rame). Ciò è in
relazione con il fatto che il credente non è destinato ad un cibo
molle e di poca sostanza, piuttosto ad un cibo solido (Ebrei 5:12).
Da tale cibo irrobustisce le sue cosce. La parte muscolare delle
gambe è nelle cosce. Con tale forza cammina e sta in piedi nelle
battaglie.
Le gambe di ferro, che indicano forza e resistenza nel
sorreggere. I piedi, in parte di ferro e in parte d’argilla. Secondo la
logica, i piedi che sono le parti del corpo più bassa, atte a
sorreggere il tutto, dovrebbero essere anch’esse di ferro, mentre
sono in parte di argilla. Questo indica che se pur resistenti e forti
in tutto il corpo, si è più fragili nei piedi. Gesù stesso disse questo
in altre parole quando parlò del lavaggio dei piedi:
27
“Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno che di lavarsi i piedi ed è tutto
mondo” (Giovanni 13:10).
Sappiamo che i piedi sono quella parte che si sporca prima e
che ha bisogno di essere costantemente curata, anche perché
sorregge il peso del corpo. Tanto vi è nel simbolo dei piedi nel
territorio dello spirito. Il cammino del credente è tanto forte
(ferro) quanto debole (argilla); il tutto dipende dal mantenersi in
comunione con lo Spirito di Cristo.
Sappiamo che questa immagine, in prima linea significava la
successione delle conquiste degli imperi; dalla caduta di Babilonia,
ai Medo Persiani, alla Grecia con Alessandro Magno, l’impero
Romano, e alla fine dei tempi ancora l’impero Romano nella
comunità europea, la dove l’anticristo ch’è un uomo religioso, il
papa, dominerà il mondo attraverso il potere economico.
Alla fine della descrizione della statua, si parla di una pietra
che si staccò, senza intervento di mano d’uomo, e colpì i piedi, la
parte più debole e soggetta allo sporcarsi, come abbiamo detto.
Qui possiamo vedere in un linguaggio assoluto, centrale e
primario, la discesa del Figlio di Dio, quando Iddio si fece Uomo.
Colpire il peccato e l’impero della morte e distruggerlo.
Sebbene la statua viene distrutta da quella pietra, che poi
divenne un monte che riempì la terra, non significa che la sua
costituzione e rappresentazione non sia giusta. Il diavolo,
ricordiamoci, è grande imitatore. La struttura della statua
rappresentante gli imperi, è della stessa struttura della vita
spirituale del credente. Parliamo sempre in senso spirituale.
Furono colpiti i piedi perché il cammino del credente è fragile
fino a quando quella pietra non colpisce il nostro modo di
camminare. In altra meditazione approfondiremo questo soggetto.
28
La testimonianza della luce nello spirito, raffigurata da
Daniele, comincia sempre più a dare la visione chiara dell’opera
della grazia e della salvezza. Più ascoltiamo gli avvisi di questa
luce nello spirito nostro, più visualizziamo Gesù Cristo.
Ma fermiamoci nel verso centrale di questa testimonianza: “E
tu possa conoscere i pensieri del tuo cuore”. La statua parlava anche di
lui, il re (la volontà), e lo pose come capo. La testa d’oro. L’aspetto
di questa statua era terribile (v. 31). La luce di Dio nello spirito, ci
parla di noi, ci fa vedere la nostra immagine vera. Ci porta a
conoscere la nostra natura terribile. Questa conoscenza è per dare
stimolo al ravvedimento e a richiedere aiuto al Signore. Più
facciamo questo, più il Signore cresce nella nostra vita.
Essa, come Daniele, ci parlerà personalmente della pietra (il
Cristo), della sua opera di salvezza, e del Suo regno (v. 44).
Dopo questa rivelazione, divenendo la luce di Dio sempre più
forte, il re (la volontà) vide la sua storia, la sua identità, la sua
debolezza, il suo peccato. Cadde ai piedi di Daniele, così come
ciascuno, arrivato a questo punto, cade davanti a Gesù Cristo.
Ordinò che gli si diedero offerte ed incenso. Lo stesso risultato lo
vediamo nella samaritana. Quell’incontro, fu per lei luce, che rivelò
tutto di lei e questo, al posto di scandalizzarla la rese riconoscente
al Signore. Esplose in una genuina testimonianza agli altri.
Quando si incontra Gesù realmente si parla di adorazione.
Una confessione importante che fece il re (la volontà), è che
riconobbe che l’Iddio di Daniele e dei suoi compagni era il vero
Dio che rivela i segreti (v. 47). Non era solo il Dio di Daniele, ma il
loro Dio, suo e dei suoi compagni. Vediamo Gesù, il personaggio
principale nell’evangelo, insieme all’evangelo a formare la giusta
conoscenza.
29
Di fatti: “Allora il re (la volontà) rese Daniele grande, gli diede molti
e grandi doni, lo fece governatore di tutta la provincia di Babilonia e capo
supremo di tutti i savi di Babilonia” (v. 48).
Lo innalzò nel REGNO, lo fece GOVERNATORE , e CAPO
SUPREMO dei savi. Notiamo l’importanza delle parole estese
nella nostra vita. Una volta riconosciuto che Gesù è il rivelatore
dei nostri misteri, che il suo evangelo è migliore delle nostre virtù
e qualità,viene innalzato nel regno della nostra vita; gli viene dato
il governo, e capo supremo su ogni nostra capacità, virtù e qualità
nostra personale.
“Non già che da noi stessi siamo capaci di pensare alcuna cosa come
proveniente da noi stessi, ma la nostra capacità viene da Dio” (2 Corinzi
3:5). “Le disposizioni del cuore appartengono all’uomo, ma la risposta della
lingua viene dall’Eterno” (Proverbi 16:1). Possiamo notare che da noi
stessi non siamo in grado di fare nulla senza di Lui (Giovanni
15:5). Compreso questa grande lezione, entriamo sempre più in
una dipendenza alla Sua Guida, in misura che trova spazio in noi.
Come abbiamo visto fin qui, più lo coinvolgiamo e lo cerchiamo
nei misteri della nostra vita, più Egli sbroglia i nostri nodi, più
cresce in noi.
Il rapporto all’evangelo che dicevamo, lo vediamo nella
benevolenza fatta ai compagni di Daniele (v. 49), nel promuoverli
all’amministrazione degli affari della provincia.
*§*
30
(Capo 3)
Dopo questi eventi, il re fece costruire un’immagine d’oro alta
trenta metri e larga tre. Ciò nella pianura di Dura. Significa,
dall’accadico: Circuito, muraglia. Molto si può apprendere da
queste due parole abbinate fra loro; probabilmente era un posto
dove ci si poteva intrattenere all’osservazione di tale statua, un
posto appropriato diremmo. In questa occasione, desidero fare un
appunto. Il fratello Branham, si sentì di affermare che quella
statua era l’immagine di Daniele. Il motivo è che chi interpretava i
sogni e aveva la rivelazione dei misteri, era considerato come un
dio. Questo il suo pensiero. Ora, dico questo perché la stima per il
ministero profetico di questo fratello, mi induce a maggiore
attenzione. Non voglio contraddire la sua opinione, che rispetto
comunque, perché è pure plausibile che sia come lui dice. Io la
reputo una supposizione perché per quanto possa essere
plausibile, non è tanto probabile. E’ altrettanto plausibile e più
probabile invece, che quella statua sia la rappresentazione di lui
stesso.
-Venne eretta dopo il suo sogno.
-Fu fatta d’oro come la testa vista nel sogno che rappresentava lui
e il suo regno.
-Dopo questo, fece un altro sogno dove lui veniva tagliato e
distrutto. Il significato era che il re Nebucadnetsar, sarebbe stato
umiliato a motivo della sua superbia.
Questo si chiama probabilità. Per questo penso che non si
tratti di Daniele. Credo non ci siano punti e indizi tali da farci
“credere” che si tratti di Daniele. Credere è parola seria,
impegnativa e responsabile. Distinguiamo tra supposizione e
rivelazione, che com’è il significato di questa parola, deve avere
31
indizi da far vedere. Una rivelazione che non si basa su indizi
chiari, non è una rivelazione perché manca di conferme bibliche.
Io stesso, esprimo la mia opinione da un punto di vista
figurativo e spirituale, senza stabilire affermazioni assolute su
questo caso. Dico: suppongo sia così; è solo che la mia
supposizione la considero più probabile di quella del fratello
Branham. Mentre l’idea che sia Daniele è plausibile, l’idea che sia il
re stesso è plausibile ed anche “probabile”.
Il re (la volontà) fece chiamare tutti i funzionari: satrapi,
consiglieri, esperti di legge, tesorieri e tutte le autorità di stato
(tutte le migliori virtù, le nostre forze, le nostre migliori qualità).
Un raccoglimento generale per radunarsi ad adorare quella statua.
Diremmo, ma come? Siamo arrivati al punto che la volontà
comincia a conoscere e vedere Gesù; vediamo il re (la volontà)
piegarsi davanti a Daniele (il Cristo). Com’è possibile che subito
dopo il re (la volontà d’uomo) impegna ogni cosa di se per erigere
una statua per se stesso, per farsi adorare? Strano vero? Invero la
nostra volontà, non si piega facilmente e ancor di più è disposta a
morire.
Anche quando il credente cade davanti alla testimonianza di
Gesù, non è ancora stato domato nel suo punto di forza, il punto
segreto dietro la volontà. Il decreto era chiaro e spietato.
Chiunque non si sarebbe prostrato al suon di musica, sarebbe
messo a morte (v. 6). Per molto tempo vediamo persistere la
nostra immagine in noi stessi, prima che quella del Cristo si
imprimi in noi definitivamente. Presi dall’euforia dell’entusiasmo,
raduniamo tutte le nostre risorse per innalzare e fare adorare,
sottomettere tutto ciò che abbiamo imparato al nostro io.
Naturalmente non al nostro io (volontà) di peccato; piuttosto,
quello RELIGIOSO! L’immagine religiosa che l’uomo ha di se, è
32
più pericolosa di quella in riferimento al peccato. Così la volontà
d’uomo, desidera dominare le cose di Dio senza che se ne rende
conto. Tutte le autorità di stato vennero al re per riferire che gli
amici di Daniele non si piegavano ad adorare la statua. Il re non
poté rifiutare di eseguire gli ordini del decreto. Gli amici di
Daniele, che insieme a lui rappresento l’evangelo, non si piegano
alla idolatria di noi stessi. Molti cadono in questo sbaglio. Ci si
crede a posto per qualche benedizione ricevuta, assumendo quel
contegno falso di compiaciuta approvazione del proprio rapporto
di fede.
L’evangelo è l’evangelo! Esso non si piega davanti nessuno! I
Caldei (le nostre abilità, che in questo caso possiamo identificarla
alla conoscenza) informarono il re (la volontà) che i tre amici di
Daniele non si piegavano all’adorazione della immagine d’oro.
Quando la nostra volontà vede che l’evangelo, il Cristo, ha una
volontà diversa della nostra, cerca il modo di manipolarla, come?
Cercando di interpretarla! La fornace accesa per ingoiare i tre
amici di Daniele, rappresenta la nostra forza, la nostra
intelligenza, la nostra cultura religiosa. Siamo capaci ed attrezzati
ad aumentare sette volte la sua intensità, pur di consumare il
significato vero dell’evangelo, trasformandolo in un nostro
prodotto interpretato.
Il re chiamò i tre uomini a presentarsi davanti a lui (v. 13).
Chiese spiegazione della loro contrarietà. Quando l’uomo vede che
l’evangelo contrasta con le proprie opinioni, quando non ancora
arresi, cerchiamo di trasformare il senso delle cose e del vangelo.
I tre uomini risposero: “Il nostro Dio che serviamo, è in grado di
liberarci dalla fornace di fuoco ardente e ci libererà dalla tua mano o re. Ma
anche se non lo facesse, sappi o re, che non serviremo i tuoi dei e non adoreremo
l’immagine d’oro che tu hai fatto erigere” (v. 17).
33
Anche se Dio non interviene a dimostrare la verità del
vangelo sopra le nostre interpretazioni umane, l’evangelo rimane
pur sempre quello che è, e non potrà essere mai modificato da
alcuno.
Il re (la volontà) si adirò, li fece legare da uomini forti, le
guardie (virtù esecutive), che spinsero i tre uomini dentro la
fornace (fuoco estraneo, luogo di consumazione per far prevalere il
proprio senso di giustizia), ma la fiamma così forte uccise le
guardie preposte (v. 18-22). La forza divorante delle fiamme della
nostra umana intelligenza, distrugge qualcosa di noi stessi, ma al
vangelo non può far nulla! (Ecclesiaste 7:16).
In tutto questo la figura di Daniele non appare. In effetti,
quando abbiamo tali atteggiamenti, quella luce sottile nello
spirito, scompare. Ma cosa avvenne? Il re (la volontà) guardò
dentro la fornace della mente contorta, e vide che le fiamme della
consumazione, non poterono danneggiare quegli uomini
rappresentanti l’evangelo, tanto più che apparve il “quarto”
personaggio a completare il numero. Il Cristo appare qui, in
questa scena. Viene distinto come un figlio degli dei.
Il re chiamò i tre uomini a presentarsi davanti a lui. I prefetti,
consiglieri, governatori (sempre le nostre umane qualità, il meglio
di noi) si avvicinarono per osservarli e studiare il fenomeno. Il
fuoco non aveva potuto nulla! Di fronte il nostro zelo religioso di
fuoco, là dove pensavamo di aggiustare l’evangelo piegandolo
secondo le nostre vedute, appare Colui che completa il numero
(quattro) per dare forza “all’evangelo” e dimostrarsi incrollabile
nella sua integrità. Di fronte le parole del maestro, Pietro volle
dimostrare diversamente, pensava di essere diverso dagli altri e,
che nel momento difficile, quando tutti si sarebbero scandalizzati
di Gesù, lui, Pietro no! Si era accesa una fornace di zelo e fuoco in
34
lui. Ci aveva buttato le parole di Gesù dentro, e pensava di
consumare il senso di quelle parole. Non si può fare! Nessuno e
nessuna cosa può cambiare, modificare il senso delle parole di Dio.
Aveva anche rimproverato il maestro di non andare a
Gerusalemme, dicendo tolga ciò Iddio; ciò non ti avvenga mai!
Gesù, come sappiamo, rispose: vai via da me satana! Tu hai il senso
degli uomini. Gesù doveva andare a Gerusalemme e soffrire e
morire, era necessario; ma Pietro accese ancora la sua fornace
religiosa, ma ancora con il “senso degli uomini”, e ci buttò dentro
le parole di Gesù, pensando che le poteva modificare. Mosè, con il
suo bastone percosse la roccia una seconda volta, quando il
comando era semplicemente di “parlare alla roccia”. Anche in lui
in quella occasione si era accesa una fornace di zelo di fuoco,
pensando di agire in tal modo da “far andare bene la cosa lo
stesso”. La parola di Dio non si può cambiare! Dio si adirò con
Mosè. Anche Balaam chiese due volte la stessa cosa a Dio, avendo
già ricevuto risposta. Pensava che Dio potesse cambiare idea.
Molte volte, per uno zelo eccessivo, senza quella dovuta
conoscenza, si accendono fuochi in cui gettarvi dentro le soluzioni
di Dio, pensiamo che Dio possa essere modificato, ma non è
possibile. Le esperienze ci confermeranno che è così. Anche i figli
di Aaronne offrirono al Signore un “fuoco estraneo”, e furono
consumati da Dio stesso (Levitico 10).
Gli uomini di corte (le migliori qualità umane) esaminarono i
tre uomini (rappresentanti il vangelo) usciti dalla fornace e non
c’era odore o bruciatura alcuna delle fiamme. Allora il re (la
volontà) disse: “Benedetto sia l’Iddio di Sadrak, Meshak e Abed-nego, che
ha mandato il suo angelo (il quarto uomo) e ha liberato i suoi servi” (v.
28). La volontà è portata vie più a visualizzare il Signore Iddio,
quello del vangelo, ricordando che ha mandato il suo angelo, il
35
quarto uomo, per completare il numero dei vangeli. Non si tratta
di un dio qualunque, ma l’Iddio dei vangeli, del vangelo!
Il re (la volontà) decretò che in tutto il regno (la nostra vita),
nessuno avrebbe parlato male del Dio dei tre uomini (l’evangelo)
compreso Daniele, altrimenti quel tale sarebbe “tagliato a pezzi e
la sua casa ridotta in letamaio” (v.29).
Nella nostra vita vale lo stesso principio, e lo vediamo nelle
parole di Paolo: “Perché le armi della nostra guerra non sono carnali, ma
potenti in Dio a distruggere le fortezze, affinché distruggiamo le
argomentazioni ed ogni altezza che si eleva contro la conoscenza di Dio e
rendiamo sottomesso ogni pensiero all’ubbidienza di Cristo” (2Corinzi
10:4,5). Per così dire, “faremo a pezzi” ogni pensiero che si innalza
contro la conoscenza di Cristo. Sempre Paolo disse che
riteneva tanta “spazzatura” le cose che gli erano guadagno
(Filippesi 3:6-8).
Conclude il re dicendo che solo l’Iddio dei tre uomini col
quarto angelo, può SALVARE! Così il re (la volontà) benedisse i
tre, rappresentanti l’evangelo, in tutto il regno (la nostra vita).
Il re (la volontà) fu sempre più attirato verso una più chiara
visione della identità del Dio dell’evangelo, e del suo piano di
salvezza.
*§*
(Capo 4)
Il re prese a dire: “Mi è sembrato bene di far conoscere i segni e i
prodigi che il Dio Altissimo ha fatto per me” (v. 2).
Constatazione di espressioni e fatti che il re aveva
sperimentato su di se e visto sul regno.
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Tutto questo perché aveva avuto a che fare con quattro
(l’evangelo) uomini. “Mi è sembrato bene”. E’ un linguaggio di una
persona che ha cominciato a sperimentare qualcosa della potenza
di Dio.
Stiamo seguendo il percorso che il Cristo affronta dentro un
anima, le difficoltà che incontra, il modo gentile ma autorevole e
fermo di come trasmetterci la Sua Guida. Nel re lo aveva portato a
questo punto “…segni e prodigi che Dio ha fatto per me!”.
Il re (la volontà) fece un altro sogno (diciamo visione) e vide
un grande albero, la sua cima giungeva al cielo (al cielo)! Era
fecondo, fogliame e frutti. Cibo per tutti. Alla sua ombra si
riparavano gli animali della terra e del cielo.
Di fronte alla terribile visione che lo turbava, a un tratto vide
un guardiano, un santo, scendere dal cielo. Lanciò una sentenza
che pareva essere devastante per l’albero, e per quel che
rappresenta. Ma… quando si parla di abbattere, se è il Signore che
lo ordina, prenderà cura di lasciare un residuo, un rimanente.
“Lasciate però nella terra il ceppo delle sue radici…” (v. 15).
Davanti a questa visione, il re (la volontà) chiamò ancora la
cerchia dei consiglieri, i saggi di corte (le nostre migliori qualità e
virtù). Ancora ci si affidava; però fece chiamare anche Daniele (il
Cristo). Fu lui che diede la risposta al re (la volontà).
L’albero era il re stesso (la volontà), che sarebbe stato
tagliato, fatto crollare per la sua “superbia”, ma fu custodita la
radice con: “…legato con catene di ferro e di bronzo” (v. 15). Da un lato,
tenuto prigioniero, dall’altro PROTETTO! Nessuno poteva
spezzare quelle catene, che significano la guardia del Signore su di
lui (v. 26). Nessuno poteva fargli del male; Dio aveva un piano di
ristoramento per il re (la volontà).
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Qual’era il fine? Il re (la volontà) doveva raggiungere la
rivelazione e consapevolezza che il CIELO DOMINA!
La spiegazione di Daniele finì con il saggio consiglio, di porre
fine ai peccati a cui il re si dava. Vediamo da questo che Gesù, voce
sottile nella coscienza di ogni uomo, conversa con il re (la volontà)
per incoraggiare e spingere alla giustizia.
Una sentenza dura per il re (volontà), era che sarebbe
scacciato in mezzo agli uomini, e la sua dimora sarebbe con le
bestie dei campi (v. 25). Scacciato, separato dagli uomini; anche
per Gesù fu così, e per ogni anima che davvero anela onestamente
appartenere a Cristo. Arriva il tempo della solitudine, della “lotta
con Dio”. Per il re fu una umiliazione.
Il sogno si compie
Tutto ciò che il profeta Daniele gli aveva detto si compì
esattamente secondo l’interpretazione del sogno.
Dodici mesi passarono dalla rivelazione del sogno. Il re (la
volontà) vide il suo impero attraverso se stesso, le sue capacità e la
sua forza. Si glorificò da solo. Nello stesso mentre giunse una voce
dal cielo che disse: “A te, o re Nebukadnetsar, si dichiara: il tuo regno ti è
tolto”. Continua descrivendo la condizione che lo imprigionerà per
tutto il tempo della sua punizione; sarai con le bestie dei campi…
Ciò è identificazione. Il re (volontà) fu ridotto ad assomigliare a
quel che è la sua natura animale senza la Vita e la Guida dello
Spirito Santo.
In termini spirituali, per noi, diremmo, essere lasciati succubi
dei nostri istinti, della nostra natura senza Dio.
Questo perché? Perché l’uomo deve imparare a riconoscere che il
cielo domina! Il re imparò la lezione.
38
*§*
(Capo 5)
Da ora in poi non si parlerà più del re Nebukadnetsar.
Dal capitolo cinque ci viene presentato quello che viene
identificato come il figlio del re Nebukadnetsar, Belshatsar.
Questo ci insegna come la volontà d’uomo subisce dei tempi
che passano, circostanze che segnano un tempo che passa e uno
che viene sotto un altro nome (identità). A volte, come uscendo da
una circostanza che poteva come chiamarsi in un modo, per poi
entrare in un'altra fase che si chiamerà in un altro modo ancora.
In questa seconda fase, possiamo dire che il nostro io, la
nostra volontà assume il nome di Belshatsar, sarà lui il re che
paragoneremo alla volontà.
Il re dunque fece un gran banchetto a mille dei suoi grandi e
bevve vino, facendo portare i vasi d’oro che suo padre aveva
portato via dal tempio a Gerusalemme.
Lui, i suoi grandi, le sue mogli e concubine (passioni,
concupiscenze), bevvero in quei vasi consacrati, (primi versi).
Nel verso quattro è detto che mentre bevevano vino lodarono
i loro dei; ne elenca sei: di oro, argento, bronzo, ferro, legno e
pietra. Sei è numero d’uomo, tali sono quei “dei” a cui prestarono il
loro culto. E’ come vedere il culto a “se stessi”, la volontà d’uomo.
Invero, Iddio deve lavorare molto per conquistare definitivamente
la volontà dell’uomo.
Tutto a un tratto, apparve una forma di mano che scrisse una
frase sul muro, di fronte al candelabro. E’ specificato, “sulla parete
del palazzo reale”, probabilmente era una parete importante; bene
39
in vista. Il re (volontà) mutò aspetto; fu turbato da quel che
vedeva. Lo stesso atteggiamento di suo padre quando ebbe i sogni.
Come lui, chiamò gli astrologhi i Caldei e indovini, per cercare il
significato di quella scritta. Il valore del premio equivaleva alla
buona riuscita della proposta. Chi avrebbe sciolto l’enigma
sarebbe promosso ad occupare il terzo posto nel governo del
regno (v. 7).
Tutti i savi del re entrarono e cercarono di interpretare quella
scritta ma non riuscirono. Allora il re fu più che mai turbato e
scoraggiato, e i suoi grandi, i mille, furono smarriti. Questi mille
sono i nostri idoli, gli idoli a cui la volontà d’uomo è tenacemente
attaccata. Non si possono misurare e identificare con statue od
oggetti materiali, sebbene siano inclusi ed impliciti, ma
soprattutto idoli spirituali in riferimento a e stessi.
Anch’essi furono smarriti. Nessuna forza, nessuna
intelligenza può interpretare e spiegare il linguaggio assoluto e
perfetto di Dio. Intervenne una figura femminile, la regina, la
moglie del re. Lei rappresenta il buon senso che prende stimoli
dalla coscienza. Ricordò al re (la volontà) che nel regno (la nostra
vita) c’è un uomo (la vera luce che illumina) che ha intendimento
di interpretazione. Il Cristo aveva già preso forma nella vita del
regno e del re (la volontà). Erano conosciuti, sia Daniele che i suoi
tre amici. Cristo nel Suo evangelo. La volontà (il re) chiama il
Cristo, lo interroga circa i misteri della sua vita; scritte, che
appaiono nelle sue pareti, pareti del cuore… (Geremia 4:19).
Solo Iddio conosce il cuore dell’uomo e di conseguenza sa tradurre
ogni scritta che vi appare, che Dio stesso scrive. In altro modo
viene detto in Giobbe 33:14-19; 23,24; dove ci viene spiegato un
procedere del Signore attraverso i sogni; scritture segrete che
appaiono nella mente, misteri che solo Iddio conosce e può
40
interpretare. Chiamiamo l’interprete! Ma se vicino a lui vi è un
angelo (messaggero, interprete), uno che mostri all’uomo il suo
dovere… Avrà scampata la sua vita, alleluia!
Ci vuole l’interprete, il traduttore del linguaggio dello Spirito.
Questo il lavoro dello Spirito dentro l’anima, il regno della nostra
vita. A tutto questo, dobbiamo allegare l’intervento del Cristo, nel
come agisce anche “fuori” della nostra vita. Diciamo, attraverso i
suoi servi. Non dobbiamo mai dimenticarlo. Il fatto è che in questa
meditazione, l’aspetto dell’opera del ministero, il lavoro dello
Spirito attraverso i suoi servi, non risalta in questa storia se non
nel suo lato profetico o strettamente scritturale. Comunque sia,
vogliamo concentrarci sul percorso interiore del Cristo, come luce
che illumina “ogni uomo”.
Vi sono molti festeggiamenti che dedichiamo ai nostri dei,
che ancora risiedono “dietro” la nostra volontà. Festeggiamenti
che possono essere identificati anche come culti a Dio. Spesso,
nella lode, l’uomo che si dice credente, nasconde molti idoli,
mentre fa mostra di onorare Dio.
Le coppe d’oro, da dove bevevano il vino, rappresentano i
doni dello Spirito, le benedizioni, la prosperità materiale e
spirituale; unito al vino della gioia. Tutto questo può farsi, feste e
festeggiamenti, senza che Dio ne sia compiaciuto.
La parete della coscienza, illuminata dalla luce del
candelabro, lo Spirito, porta il messaggio nella lingua che si può
comprendere, ma avendone nascosto il senso. Per questo ci voleva
il traduttore. La vera luce che illumina, fa chiarezza, fu chiamato
perché già conosciuto. Aveva fatto e partecipato ad altri interventi
nel regno, sempre con buona riuscita.
Il tutto si riassume in questo: Daniele fu cercato, chiamato,
invitato e consultato, ancora una volta. Come abbiamo già visto
41
nelle altre circostante, Daniele, ogni volta fu chiamato e risolveva
chiarendo i misteri, salì di grado nel regno. Lo stesso con Gesù; più
lo cerchiamo, lo invitiamo e consultiamo, nei misteri che ci
riguardano, più Lui cresce nel regno della nostra vita. E’ un modo
per vederne l’efficacia del come. SOLO QUANDO NOI LO
CERCHIAMO PER FARE LUCE, CI ARRENDIAMO E
DISPONIAMO PER CEDERGLI IL REGNO. Così egli cresce in
noi: “Conviene ch’egli cresca e che io diminuisca” (Giovanni 3:30).
Spesso la rivelazione di quel che siamo, della verità intorno a noi
stessi ci spaventa (v. 6).
Quando il re (la volontà) chiese a Daniele di interpretare la
scritta, gli disse: “Ho sentito dire di te che lo spirito degli dei è in te e che in
te si trova luce, intendimento e una sapienza straordinaria” (v. 14). Ha
sentito dire; informazione tramandata; la nostra memoria, le
nostre passate esperienze e testimonianze di averlo visto all’opera.
In quest’uomo vi è luce! Questa è la lezione che si ha finalmente
imparato; un pò come la testimonianza del re Nebucadnetsar:
“Mi è sembrato bene di far conoscere i segni e i prodigi che il Dio Altissimo ha
fatto per me…” (4:2). Gesù è la vera Luce in noi!
Daniele spiegò al re (volontà) la storia di suo padre. Cristo,
nella miniera, sotterraneo della nostra vita, il grande minatore, ci
ricorda le vicende, le disubbidienze di nostro padre. Questo ci
riporta in dietro; a riconsiderare le nostre diverse identità del
passato del nostro percorso. Abbiamo diverse identità nel corso
della storia della nostra vita. Andiamo da tappa in tappa; da
statura a statura. Si mediti bene Giobbe 39; dalla capra all’aquila.
Come suo padre, dunque, si ridusse alla vita delle bestie della
campagna. Si noti il riferimento alla “dimora”, e “all’asino
selvatico”. Segno di identificazione alla ostinatezza.
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La traduzione della scritta fu: MENE, MENE, TEKEL,
UFARSIN. Contato, pesato, trovato mancante! Che terribile
condizione! Che delusione! Bere nei calici d’oro del tempio
dell’Iddio del cielo, ed essere trovati mancanti. Possa il Signore
aiutarci a non illuderci. Questo libro, questa storia, ci insegna
anche questo molto eloquentemente.
Alla spiegazione fu per così dire, incoronato e fu elevato terzo
nel regno. E come abbiamo fatto riferimento alle parole del
battista in Giovanni 3:30; dopo l’innalzamento di Daniele (Gesù):
“In quella stessa notte Belshatsar, re dei Caldei, fu ucciso” (v. 30).
*§*
(Capo 6)
“Te le ho annunziate fin dal principio, te le ho fatte udire prima che
avvenissero, perché non avessi a dire: Le ha fatte il mio idolo, le hanno
ordinate la mia immagine scolpita e la mia immagine fusa” (Isaia 48:5).
Dio, per lo Spirito, dà bagliori di luce per dare richiami
sensibili allo spirito dell’uomo, affinché noi chiamiamo e
cerchiamo Gesù (l’interprete), vera luce, rivelazione. In questo
modo, questo verso di Isaia si articola nella vita interiore
dell’uomo; affinché possiamo avere una testimonianza sempre
viva, che era Lui a ispirare ciò che poi abbiamo visto e vissuto, e
non i nostri idoli (le nostre abilità nella volontà).
Un altro re appare in questo capitolo. Dario, stabilì 120
satrapi sul regno e tre prefetti, di cui uno era Daniele, il quale
eccelleva sopra gli altri (v. 1,2).
Dal verso 1-5, c’è l’informazione che i collaboratori di Daniele
nella gestione del regno, complottavano contro di lui per gelosia,
perché appunto Daniele aveva una luce insuperabile.
43
In questo possiamo vedere come quando Gesù non è ancora
eletto unico Re, nel regno della nostra vita, i possibili attriti che ne
possono conseguire. Quelle abilità naturali che ci appartengono, e
che ancora teniamo care e su cui contiamo, si contraggono nei
confronti della vita soprannaturale del Cristo; Colui che sale di
promozione in promozione, e che ha caratteristiche eccellenti e
sublimi di regalità. C’è sempre qualcosa in noi che si contorce,
quando vediamo in noi stessi, il potere di Cristo impadronirsi
sempre più della nostra vita. E’ da chiarire che queste figure regali,
in origine, sono spiriti maligni, passioni, concupiscenze che
guerreggiano nella nostra anima. Essi si muovono dietro le nostre
naturali abilità, quando ancora non sono state interamente
consegnate a Dio.
In quel complotto non poterono trovare nulla di scorretto in
Daniele, tanto che pensarono di trarlo in inganno circa la sua
fedeltà al suo Dio. Questi spiriti seduttori, cercano di complottare
contro ogni propensità alla santità e giustizia, esattamente come
fecero con Daniele ed anche con Gesù stesso. Anche verso Lui gli
uomini religiosi di quel tempo complottavano. E’ sempre stato
così, questi demoni vogliono abbattere l’opera di Dio nella nostra
vita.
Dal verso 6-8, vediamo come questi prefetti (spiriti negativi),
lavorano per sedurre il re (la volontà). Essi proposero di divulgare
un decreto, dove chiunque avrebbe pregato un qualsiasi dio,
all’infuori del re, sarebbe condannato. Così, gli spiriti seduttori
agiscono dentro l’uomo. Essi si avvicinano tumultuosamente (v.
6), con imponenza, rumore… il tutto per dare il senso di qualcosa
d’importante da proporre. La seduzione è semplice; plagiare il re
(la volontà), per attirare ogni virtù umana, ogni pensiero, ogni
desiderio, ogni azione, tutto il regno, al governo della tua volontà
44
umana. Il messaggio che il diavolo porta insistentemente
all’umanità è, che tu sei il governatore della tua vita e puoi fare
quello che vuoi. Ogni “voce” interiore, ogni virtù, che in te si
rivolge ad “un altro”… Gesù in noi che ci attira al Padre, allo
Spirito; sia condannato! Tu o re, tu volontà, volontà d’uomo, devi
essere pregato; tu, volontà d’uomo devi ricevere le richieste dei
tuoi desideri, virtù e passioni. Tu, volontà, devi avere il controllo
su di essi; così puoi decidere liberamente se assecondare il peccato
o no. Tutto deve rivolgersi a te; non a Dio, non alla Sua volontà; sei
tu il padrone di te stesso. Questo il messaggio di questi versi.
Quando Daniele seppe che il re firmò il documento, pregò il
Suo Dio come sempre; senza vergogna o ritenzione (v. 10). Così
Gesù nel regno dell’anima. Come Iddio vede le nostre adesioni, il
nostro aderire alla voce del maligno, il Cristo intercede per noi
presso il Padre. Gli spiriti, che come abbiamo già osservato, hanno
qualche nascondiglio anche dietro le nostre migliori abilità, si
ripresentano al re (volontà) per incolpare questo intercessore
segreto; Gesù in noi speranza (preghiera) di gloria (Colossesi
1:27). Accostiamo a questo anche Romani 8:26. Questo per dare
chiaro il quadro che Gesù prega, respira in noi, alleluia!
Questi spiriti lusingano la nostra volontà, incitandola alla
assoluta sovranità della nostra vita. Il diavolo non vuole che sulla
vita degli uomini regni la volontà di Dio; bensì la volontà d’uomo.
Questo perché, attraverso la volontà umana, il diavolo può lui
regnate in noi, essere lui il re, e quindi distruggerci.
In questo brano vediamo come il diavolo, attraverso i suoi
collaboratori, cerca in tutti i modi di far vedere la figura di Cristo,
come di uno che non vuole il bene del regno della nostra vita.
Quando il re Dario seppe che Daniele pregava il suo Dio, fu
grandemente dispiaciuto e cercava di strapparlo dalle loro mani.
45
Questa era l’intenzione del suo cuore. Ma vi era il documento
purtroppo a cui rendere conto. Le forze del male, dietro le passioni
e concupiscenze, le idee ed opinioni, sanno come metterci in
conflitto con il nostro Dio. Anche in questo caso vennero
tumultuosamente… (v. 15). Spesso, se presi nel laccio della
tentazione, nel mentre che riceviamo una cattiva impressione di
Lui, a causa del plagio di questi spiriti seduttori, cerchiamo
comunque di difendere Gesù in noi; vogliamo tenerlo vivo dentro
di noi. L’uomo così si sente stretto fra due forze. Fa parte di tutta
la vita dell’uomo, dover fare i conti con il messaggio centrale
dell’evangelo:
“Se qualcuno mi vuole seguire, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e
mi segua” (Matteo 16:24).
Il patto che ogni uomo fa (il documento), in un certo senso, è
la consapevolezza di essere succubi delle nostre passioni. E’ un
documento, una legge, una forza! Attraverso il sacrificio di Cristo
sulla croce, questo documento, questa condizione, questa legge,
viene vinta, interrotta (Colossesi 2:14,15). Quello che noi stiamo
vedendo in questa storia, è il modo di come Dio lavora in noi, “per
portarci” a realizzare di fatto ciò che Cristo ha conquistato sulla
croce. Il messaggio quindi di questi spiriti nemici, dietro la forza
delle concupiscenze, è che il decreto non si può cambiare (v. 15).
Questo significa, trasmettere il pensiero della dipendenza,
nonostante sappiamo che Gesù ha vinto. La guerra perenne tra la
fede e il dubbio. Vediamo da dove viene la forza delle
concupiscenze, quelle che ci attraggono e ci adescano (Giacomo
1:14,15).
*§*
46
(Daniele nella fossa dei leoni)
Dalla fossa dei leoni viene la “forza” delle radici della
concupiscenza. La fossa dei leoni sono i fondamenti, quel
meccanismo dietro la volontà, dove Gesù dovrà andare per
affrontare i nostri leoni.
Nel verso 16, il re (volontà) da l’ordine di gettare Daniele
(Gesù) nella fossa. La volontà accetta questo, che significa, la
decisione di lasciarlo scendere, finalmente, fino alla base del
problema. Là dove i nemici, gli spiriti immondi, trovano appiglio e
forza. In un certo senso è come se la nostra volontà accettasse la
sfida; Gesù che entra negli inferi della nostra volontà. Qual è il
motivo? Per vincere! Per conquistare a sé la nostra volontà e
metterla in linea con la Sua. Lo stesso, come già prima fece,
quando dopo la morte sulla croce, scese negli inferi per predicare
alle anime in prigione (1 Pietro 3.19).
Notiamo come il re (volontà), ormai succube del decreto (la
forza della concupiscenza), disse a Daniele (Gesù): “Ma il re parlò a
Daniele e gli disse: Il tuo Dio, che tu servi del continuo, sarà egli stesso a
liberarti”. Qui vediamo un po’ qual è la tendenza del re. Lui sperava
che Daniele ne uscisse vivo e quindi, poter vedere la gloria e
potenza di Dio. Così nella nostra volontà, il profondo e intenso
amore per il Signore, ci porta a desiderare la Sua vittoria. Si riflette
un'altra immagine accanto a questa. Giacobbe! Lasciami andare
perché viene l’alba, disse il Signore. Giacobbe disse, no. Dapprima
resisteva al Signore, ma quando Egli vide che non lo poteva
vincere (in questo caso, persuadere) lo “toccò”; e da quel tocco
Giacobbe capì chi era Colui con cui lottava. Da quel momento,
Giacobbe non lo lasciava, perché voleva ricevere la Sua
47
benedizione. Il desiderio profondo del cuore è, la vittoria e
liberazione del Signore, nel Suo tocco meraviglioso.
Il re sigillò la fossa con il suo anello (la propria autorità) e
con l’anello dei suoi grandi (spiriti negativi dietro il decreto). La
notte non dormì e digiunò; quello che i suoi grandi non fecero.
Questo ci fa vedere la predisposizione e consacrazione, mentre
Gesù lotta e conquista per noi. Queste figure vanno viste unite
assieme. Da un lato, Gesù nella fossa della concupiscenza;
dall’altro, la nostra volontà che veglia e digiuna. Veglia, sta sveglia
in comunione con Dio; digiuna, astinenza, santificazione.
Astinenza soprattutto dalle tentazioni che vengono dalla fossa
della concupiscenza, forte come leoni. E’ la lotta più grande, più
feroce. La mattina dopo il re si alzò presto e andò di corsa alla
fossa dei leoni. Chiamò Daniele così: “Daniele, servo del Dio vivente, il
tuo Dio, che tu servi del continuo ha potuto liberarti dai leoni?” (v. 20). In
queste parole non si può fare a meno di notare quanta speranza vi
era nel re (volontà) di sentire una risposta proprio da colui che
passò la notte con i leoni. Era il desiderio della “risurrezione!”
“Allora Daniele disse al re: O re, possa tu vivere per sempre!” (v. 21).
Come? Al posto di preoccuparsi di se, considerando dov’era, si
preoccupò della vita del re? E’ come l’esperienza e realtà di morte e
risurrezione. Gesù andò ad affrontare quelle forze immense; forze
a cui nessun uomo avrebbe potuto scampare passando la notte,
l’ora delle tenebre… la morte… Per risalire il mattino seguente
come per una specie di risurrezione. Benedetto è il nome del
Signore! Per quella morte sul calvario Egli, come Daniele poté dire:
viva il re! Ossia, il tuo nome. Aggiungi il tuo nome a quella
esclamazione. Finalmente Gesù ha suggellato “in te” la sua opera
già conquistata “in Lui”. E’ sceso fino nel tuo punto forte, dove
sono i leoni della tua forza e li ha resi soggetti alla Sua divina
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autorità. Queste le parole di Daniele: “…Perché sono stato trovato
innocente davanti a Lui; ma anche davanti a te, o re, non ho fatto alcun male”
(v. 22).
E’ stato trovato innocente. Non fu come nel caso di Davide, o
Sansone, il modo in cui hanno ucciso i leoni che gli venivano
contro. Qui si parla di innocenza! E’ stato trovato innocente
davanti a Dio e agli uomini. Figura di Cristo; l’agnello, innocente,
puro da ogni colpa, offrì se stesso per noi TUTTI, ma che poi
raggiunge ciascuno INDIVIDUALMENTE; scendendo e
conquistando con la Sua Innocenza quelle forze che sono alla base
della nostra vita e volontà. Come nella nuova Gerusalemme,
L’agnello sarà il luminare, così nella vita personale di ognuno sarà
il luminare, che farà luce nella oscura fossa dei leoni, della forza
della nostra concupiscenza. Attraverso la Sua innocenza ha
conquistato, persuaso e convinto ogni forza dentro di noi.
Nessuna forza in noi può accusarlo di qualche male. Nessuna
forza può vantare un qualche legame o compromesso con Lui. Egli
è santissimo. Un quadro perfetto lo troviamo anche nella
tentazione. Gesù fu tentato dal diavolo, là dove egli pensò che
Gesù avrebbe ceduto alle sue tentazioni e lusinghe. L’innocente
non peccò. Non ebbe nessuna relazione con le sue proposte. Il
fatto che Gesù non peccò mai; non cedette mai, ne alla forza ne
alla lusinga, è la base per cui è detto di Lui: “Avendo ucciso l’inimicizia
in se stesso” (Efesini 2:16). Questo “in se stesso”, determina che
sebbene sia stato tentato, provato, provocato; quelle forze di
tendenza peccaminosa, trasgressione, le ha uccise dentro di se.
Per questo è enfatizzata “l’innocenza”, per questo è importante.
Quando il peccato non trova legami con te, sei innocente; e per
questa innocenza sei vittorioso su di lui.
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Il diavolo cerca sempre dei legami, che siano anche pretesti,
su cui agganciarsi per sfamare, per farci sfamare le concupiscenze.
Si! Quei leoni hanno “fame”; e quando viene l’ora, ribolliscono
dentro di noi. L’accostamento al digiuno e la preghiera, fatta da
Gesù (Matteo 17:21), circa il resistere e scacciare certi spiriti, è per
enfatizzare questo aspetto. Il digiuno, in quel caso, rappresenta
più che il suo senso letterale; è quel digiuno, ossia astinenza, dal
non aver nessuna relazione o legame con il peccato, o con certi
peccati. Difatti, nella sfera e misura in cui si riceve liberazione, si
riceve autorità corrispondente. Il punto è la santificazione. Più ci
si santifica, più si riceve autorità spirituale.
Nessun legame col peccato di carne, nessun legame col
peccato di spirito (2 Corinzi 7:1). Questa condizione determina
una libertà spirituale che è la vera “innocenza”, quella dinnanzi
alla quale la fame colposa dei leoni della concupiscenza, viene
addomesticata. Il segreto è distruggere il male “in se stessi”:
“Perché le armi della nostra guerra non sono carnali, ma potenti in Dio
a distruggere le fortezze, affinché distruggiamo le argomentazioni ed ogni
altezza che si eleva contro la conoscenza di Dio e rendiamo sottomesso ogni
pensiero all’ubbidienza di Cristo” (2 Corinzi 10:4,5).
Su questa base possiamo vedere l’atteggiamento di Abramo
nei confronti del re di Sodoma, dopo aver alzato la mano e
presentato il suo patto col Signore, disse:
“…Che non avrei preso niente di ciò che ti appartiene, neppure un filo o un
legaccio dei calzari, perché tu non abbia a dire: Io ho arricchito Abramo”
(Genesi 14:22,23).
Nessun legame! Qual’era il fine? Che il re di Sodoma (il
diavolo) non dica che lui ha arricchito Abramo (i credenti). Se
Abramo avrebbe accettato qualcosa dal re, allora in qualche modo
50
gli sarebbe stato obbligato, e il re poteva avanzare qualche pretesa.
Ma Abramo, tipo degli eletti, aveva la vista lunga ed affilata;
rifiutò.
Il caso di Davide, quando peccò con Bath-sceba, è un'altra
immagine perfetta per questo caso. La scrittura ci dà particolari
importanti, nel racconto rivelatore di Nathan. Nel racconto del
profeta appare la figura di un “viandante”, il quale fu come “ospite”
di Davide, dato che si accingeva a dargli “cibo” (2 Samuele 12:4).
Quel viandante era lo spirito della fornicazione, che in quel
caso sarebbe sfociato nell’adulterio. Era andato da Davide, volle
sfamare la sua fossa dei leoni. I leoni di Davide avevano fame… Il
viandante fu trattenuto per dargli cibo! Quello spirito, la sua fame,
rispecchia la fame dei leoni, che avrebbero mangiato e soddisfatto
quell’appetito di adulterio. Il diavolo trovò Davide nell’ozio, non
era andato alla battaglia con i suoi uomini; era debole in quel
momento, e così lo attaccò, lo tentò. Davide, aveva questa
debolezza che il diavolo sapeva. Non che Davide era affamato di
fornicazione; mi riferisco a quelle passioni segrete e represse, che
per molto tempo rimangono nascoste in noi (quanto poco ci
conosciamo!...), e in un momento di debolezza, come fu per
Davide, si presentano. Questo fu il legame, l’appiglio, il legaccio
“non rifiutato” del re di Sodoma, che il diavolo sfruttò. Nello
stesso modo che ci dice Romani 7:8; il peccato coglie “l’occasione”,
“anche” attraverso il comandamento della legge, o della parola di
Dio.
I leoni hanno fame; e questa fame si fa sentire dentro di noi,
per cui la volontà decide di conseguenza. Il segreto è, come
abbiamo detto, distruggere ciò che si eleva, la fame, le passioni
appunto, al di sopra della volontà di Dio, e distruggerla in noi
stessi. Dentro di noi la battaglia, dentro di noi la distruzione. La
51
nostra battaglia non è contro carne e sangue ma contro gli spiriti e
le autorità nei luoghi celesti (Efesini 6:12). Per distruggere dentro
di noi, le passioni e le concupiscenze, abbiamo bisogno di
mangiare la carne del Figliuolo di Dio, e bere il suo sangue.
Mangiare la cena del Signore, il pane spezzato dalle sue mani; che
come ci dice Paolo, mangiamo e beviamo un giudizio su noi stessi,
cioè sulla nostra fossa dei leoni (1 Corinzi 11:28-32).
Perché questo? Genesi 3:19 ce lo dice: “Tu mangerai il pane col
sudore del tuo volto, finché tu ritorni alla terra perché da essa fosti tratto”.
Finché ritorni in polvere! Lascia che Gesù entri nella tua fossa dei
leoni; la Sua innocenza terrà a bada i tuoi leoni. La fame incessante
e violenta della concupiscenza troverà in Lui riposo. In Isaia 11,
vediamo due schiere di animali; una feroce una domestica. Un
bambino li conduce, e tutto trova ordine. Il leone si nutrirà di
paglia come il bue (V. 7). Altri saranno i desideri, la fame, quando
quel bambino, che rappresenta la nuova nascita in noi, prenderà il
sopravvento, li condurrà. A Lui consegniamo i nostri istinti, i
nostri valori, le nostre qualità, le nostre passioni. Lui sa come
trattarli. Nel verso 9, è chiara la promessa che: “Non si farà ne male ne
distruzione su tutto il mio monte santo”. La vera luce che illumina ogni
uomo; illumina, lavora in ogni uomo. Certamente che chi lascerà
lavorare questa luce nella sua vita, vedrà quell’ordine promesso;
dove non si farà guasto su tutto il monte santo. Chi non lascerà
campo libero a quella luce; confusione, disordine e distruzione lo
colpirà.
Quindi la scena propone questa immagine: Daniele viene
calato nella fossa, e il giorno dopo ne esce vivo ed esclama, viva il
re. Quando Gesù morì sulla croce, andò negli inferi, predicò alle
anime tenute prigioniere, chiuse la bocca al gran leone (satana) e
risuscitò. Diede la vittoria ai credenti a causa di questo atto
52
compiuto. Ora la stessa scena viene rivissuta personalmente
nell’individuo. Lasciamo scendere Gesù, in questo percorso
interiore, lo accettiamo fino in fondo o dietro la volontà, là dov’è la
fossa dei nostri leoni. Là il Signore può mettere a tacere la furia
della concupiscenza umana con la Sua innocenza; riemerge per
una vita e potenza di risurrezione. Da quel momento, Gesù appare
nella nostra vita, con questa conquista: viva il re! Viva l’umanità
che accetterà l’opera di salvezza. Come spesso ricordiamo il verso
di Giovanni 3:16:
“Iddio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito Figlio
affinché chiunque crede non perisca ma abbia vita eterna”.
Vogliamo precisare semplicemente che l’opera del Signore,
non si è fermata al passato, e ora Egli non fa più nulla. Iddio opera
e opera del continuo (Giovanni 5:17). Iddio si è preoccupato di
venire per salvarci, ed anche si preoccupa di venire ad attuare e
completare, sigillare, la sua opera dentro di noi, individualmente.
Purtroppo, nella maggior parte dei casi, i predicatori
sorvolano queste meravigliose realtà della vita spirituale e pratica
dell’evangelo, sviando un pò il discorso in modo sbrigativo con
parole fatte: Siamo giustificati, santificati, salvati; siamo nei luoghi
celesti… Con queste parole passano sopra le realtà vissute passo
passo, che lo Spirito “percorre” e “compie” nella vita “personale”
dei credenti. Parole come: Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la
carne e le sue passioni e le sue concupiscenze” (Galati 5:24). E’ un esempio
chiaro di come generalmente si considera questo tipo di
dichiarazioni. Non è perché è scritto, perché è stato realizzato
sulla croce da Gesù, che automaticamente si avvera o si applica in
te; è questo invito e accettazione a far scendere Gesù, fino nella
nostra fossa dei leoni nascosta, segreta, a permettere che questa
crocifissione si avveri, realizzi per compiersi dentro di noi. Solo
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così si vedranno vere conversioni, veri cambiamenti, vere
trasformazioni. E quel rinnegare se stessi (la propria volontà)
troverà compimento finalmente nella nostra vita.
Questa fame ossessiva e disordinata, cambierà direzione. La
figura appunto di “un altro” sarà imperiale davanti a noi, così reale
ad invitarci continuamente:
“Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà mai più fame e chi
crede in me non avrà mai più sete” (Giovanni 6:35). Questa la relazione
spirituale formata, avendo Gesù formato, chiaro davanti a noi;
mentre il Gesù nella forma di quella luce che illumina, lavora nel
segreto, scandaglia i nostri abissi per darci la spinta a cogliere
quell’invito. Ricordiamo nella Genesi come Dio, che è luce,
aleggiava sulla superficie della acque, mentre vi erano le tenebre,
disse: Sia la luce! E la luce fu. Doveva esserci una luce visibile che
avrebbe dato luogo all’accesso a quella luce suprema di dove Dio
abita (1 Timoteo 6:16). Dio, che è luce vera, accese una luce
secondaria, più bassa, ma necessaria a nutrire l’esistenza e la
creazione. Quella che avrebbe permesso di vivere per vedere e
conoscere quella di Dio, Dio stesso. Così, Gesù è davanti a noi
come invito e destinazione, ma anche lavora in noi per darci spinta
ed aiuto di andare a lui. Questo stiamo studiando in queste pagine.
Il messaggio di Gesù nelle beatitudini era anche questo,
perché fondamentale:
“Beati coloro che sono affamati ed assetati di giustizia, perché essi
saranno saziati” (Matteo 5:6).
Un'altra fame dunque; una fame di lui, della sua Persona, e
della sua Parola, invaderà l’anima nostra; così la nostra volontà
entrerà in armonia con quella di Dio.
Tutto questo possiamo tradurlo in quelle espressioni del tipo:
non hanno aperto il cuore all’amore della verità, hanno chiuso il
54
cuore, non intendono con il loro cuore, ecc. Chiudere il cuore, è
chiudere la “porta” dell’ingresso di quella fossa dei leoni che
abbiamo nascosta in noi, dietro la nostra volontà.
“Ma se fai il male, il peccato sta spiandoti alla porta e i suoi desideri
sono volti a te; ma tu lo devi dominare” (Genesi 4:7).
Cosa dobbiamo dominare? I desideri del peccato che ci sono
rivolti, trasmessi. Qui si vede come la nostra concupiscenza è
istigata dalle forze invisibili. Esse hanno una relazione ed
influenza con la concupiscenza insita nell’uomo. Per questo si
parla sempre di “tentazione”, che anche Gesù passò, e tutta la
chiesa e gli uomini passeranno. Come diceva Paolo:
“Per spogliarvi, per quanto riguarda la condotta di prima, dell’uomo
vecchio che si corrompe per mezzo delle concupiscenze della tentazione”
(Efesini 4:22; altre traduzioni hanno: Tentazione, seduzione,
inganno).
Questo a causa che siamo nati nel peccato e siamo stati concepiti
nella iniquità (Salmo 51:5). Gesù ha tolto la causa della inimicizia
ed ora vuole venire, attraverso lo Spirito Santo, a scriverla
(sigillarla) nel nostro cuore. Per farlo dobbiamo essere
consenzienti a farlo scendere fino nella fossa dietro la nostra
volontà. Troppi credenti sono credenti “da dopo la volontà in poi”.
Dalla volontà in poi! Ma Gesù vuole penetrare in noi fino a prima
della volontà. Da “prima della volontà in poi”, o a seguire. Quando
i desideri, che si agganciano alla nostra concupiscenza (Giacomo
1:14,15), la stimolano, la chiamano a dargli da mangiare, dobbiamo
dominarla; distruggendo il male “in noi stessi”; qui sta il sacrificio!
Ma, non siamo soli! Lascia appunto che Gesù penetri fino lì, ed
Egli saprà come addomesticare quella fame! Apriamo il nostro
cuore!
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Allora il re (volontà) fu ripieno di gioia e ordinò di tirar fuori
Daniele dalla fossa. (attenzione) Così Daniele fu tirato fuori dalla
fossa (potenza di risurrezione) e non si trovò su di lui alcuna
lesione (v. 23). Non vi era segno alcuno che testimoniasse ferite di
qualche genere; ne uscì illeso. Questo fu motivo di gioia per il re
(volontà). Ora facciamo attenzione alla reazione del re (volontà):
“Il re ordinò quindi che fossero fatti venire quegli uomini che avevano
accusato Daniele e furono gettati nella fossa dei leoni, essi, i loro figli e le loro
mogli” (v. 24). Solo allora, dopo la presenza di Gesù nella nostra
fossa dei leoni, nella sua risurrezione, a dimostrazione per noi che
Lui ha vinto, che la volontà si rinfranca per afferrare quei nemici e
distruggerli in quella fossa stessa. E’ come dire che la forza della
nostra naturale concupiscenza, nella sua astinenza, nel suo
controllo, nella sua rigenerazione, perché Gesù ha lavorato la
redenzione affrontandola, ha distrutto il male stesso che da
sempre la istigava.
Vediamo quindi come la volontà, finalmente ottiene la
vittoria sui suoi nemici. “Allora (si noti, allora) il re Dario scrisse a
tutti i popoli, nazioni, e lingue che abitavano su tutta la terra: LA
VOSTRA PACE SIA GRANDE!” (v. 25), alleluia!
Allora e solo allora, la volontà può estendere il bene ricevuto,
la vittoria, l’ordine ripristinato dalla “luce che illumina” e porta in
alto; farne dono a tutti i popoli, “tutto di noi”; ogni lingua, “ogni
nostra espressione”, parli di Lui. Siamo una lettera aperta scritta
con lo Spirito del Signore (2 Corinzi 3:1-3).
Il messaggio meraviglioso che più grande non può essere è: La
vostra pace sia grande! Iddio ha per noi pensieri di pace (Geramia
29:11). Questo è il risultato di un lavoro lungo e combattuto, che il
ministero del Figlio dell’uomo, “come luce che illumina ogni
uomo”, ha potuto fare nella nostra vita. In questa storia
56
appoggiata allegoricamente sulla vita di Daniele, è l’efficacia del
ministero del Figlio dell’uomo; Dio che prende la nostra immagine,
si mette nei nostri panni. In questo abbiamo visto Gesù, e il suo
percorso dentro di noi. Spirito di Cristo attraverso i canali
dell’anima umana.
La vostra pace sia grande. Benedetto il nome del Signore, che
è stato capace di realizzare questo lavoro in noi, uomini bisognosi.
*§*
CONCLUSIONE DELL’OPERA
Io decreto che in tutto il dominio (volontà) del mio regno (la
nostra vita) si tremi e si tema davanti al Dio di Daniele, perché
egli è il Dio vivente, che sussiste in eterno. Il “suo” regno (sulla
nostra vita) non sarà mai distrutto e il “suo” dominio (sulla nostra
volontà) non avrà mai fine. Egli libera, salva, e opera segni e
prodigi in cielo e sulla terra; È LUI CHE HA LIBERATO
DANIELE DAL POTERE DEI LEONI.
*§*
Solo lui poteva liberarci dal potere dei nostri leoni. A lui sia la
gloria e l’onore!
(Capo 7)
Dal capitolo sette non si parla più della vita e storia di
Daniele nel regno di Babilonia. La narrativa cambia, come cambia
la relazione dei vincitori dal momento che ricevono le liberazioni
spiegate fin ora. Dalla storia della vita di Daniele, alla elevazione di
una vita immersa e rapita nello Spirito delle visioni di Dio. Dal
57
lavoro nella sfera umana a quello dell’ingresso della vita in Ispirito.
Dal capo sette si parla delle visioni di Daniele, così come dal
momento delle liberazioni dalla nostra fossa dei leoni, dal
passaggio alla vita nello Spirito, la nostra vita assumerà una nuova
narrativa.
Arriva il momento in cui chi si lascia lavorare dal Signore,
farà questa esperienza. Sentirà che la sua vita assumerà un aspetto
diverso. Nuovi orizzonti spirituali, una vita nelle visioni di Dio in
Cristo. Dio si mostra per rivelazione personale. Non vogliamo
assolutamente escludere il lato ministeriale; Dio si esprime
attraverso i suoi ministri, ma poi raggiunge il nostro intimo per
confermare e stabilire la rivelazione dentro di noi. Solo lui può fare
questo.
L’esperienza di Ezechiele, di Giovanni, di Paolo, ci parlano di
questa meravigliosa dimensione di fede pratica e spirituale.
Così il Cristo, nel ministero del Figlio dell’uomo è stato
minatore negli abissi dell’anima; ora, per la potenza di
risurrezione vive in noi in questa dimensione. La risurrezione! Per
essa ci trasporta nelle visioni spirituali per vedere sempre più e
sempre meglio il Volto del Signore; là dove risplende la gloria di
Dio (2 Corinzi 4:4,6).
Da questa affermazione dell’apostolo Paolo, vediamo unirsi
anche le parole di Daniele, in quel che vide nella prima visione. A
un certo punto, dopo che vide le diverse bestie, regni che
sarebbero venuti appresso, cioè in questi tempi; vide:
“Io continuai a guardare finché furono collocati troni e l’Antico di
giorni si assise. La sua veste era bianca come la neve e i capelli del suo capo
erano come lana pura; il suo trono era come fiamme di fuoco e le sue ruote
come fuoco ardente. Un fiume di fuoco scorreva, uscendo dalla sua presenza;
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mille migliaia lo servivano e miriadi di miriadi stavano davanti a lui. Il
giudizio si tenne e i libri furono aperti” (v. 9,10).
Uscendo fuori dalla sfera dell’anima, si comincia a vedere ed
essere partecipi della vita immensa dello Spirito, interlineare a
quella dello spirito (umano). Nello spirito aspettiamo, ascoltiamo,
vediamo, incontriamo Dio; nello Spirito (di Dio) viaggiamo,
tocchiamo, realizziamo, gustiamo, ci muoviamo e lavoriamo per il
Signore, da lui condotti.
Dapprima il lavoro di Dio consisteva nel ministero del Figlio
dell’uomo nel mistero della pietà, cioè Dio che si fa come noi, ci
raggiunge. Vincendo i nostri leoni, ci trasporta fuori del mondo
dell’anima e della sua sfera, in una dimensione spirituale. Prima il
lavoro era intimo, a slegarci dalle problematiche della nostra
volontà ottenebrata dalla forza della concupiscenza (i nostri
leoni); dopo, vediamo e siamo messi di fronte alla rivelazione e
realtà che Gesù è il Signore assoluto della nostra vita e di ogni
cosa. Il giudizio ora consiste nella responsabilità dell’aver ricevuto
tanta liberazione, del cosa ne faremo, se ci atterremo a Lui, davanti
a lui, alla sua faccia, oppure ci condurremo come pensando di
poter fare da soli. Siamo responsabili. I parametri della vita nello
Spirito, sono diversi da quelli del cristianesimo comune che
conosciamo tutti, sulle regole basi dell’evangelo. Le scritture ci
parlano di lasciare l’insegnamento elementare intorno a Cristo, e a
tendere a quello perfetto (Ebrei 6). L’insegnamento perfetto è
ricevere rivelazione circa il piano di Dio secondo come Lui stesso
lo rivela di epoca in epoca. Ma vi è soprattutto la realizzazione di
una vita immersa nello Spirito di Dio.
Se in superficie, nell’evangelo troviamo delle ubbidienze
relative a ciò che è gradito a Dio, le prendiamo e le mettiamo in
pratica. Ma quando siamo messi di fronte a quella visione
59
dell’antico di giorni, il trono, il giudizio; siamo maggiormente
responsabili perché più sensibili alla Sua Voce. I suoi comandi,
dati per lo Spirito Santo (Atti 1:2), raggiungono più che la realtà
nella sua superficie; una “assoluta realtà”. Più cresce la nostra
sensibilità, più cresce la nostra responsabilità davanti a Dio. Per lo
Spirito, Dio, può darci comando di non bere vino, ad esempio,
sapendo che non è assolutamente un peccato. Può comandarci di
non fermarci davanti al televisore, non fare determinate cose,
parlare in un certo modo, o al contrario, fare cose che
normalmente non faresti. Astenersi da cose leciti e normali, o fare
e occuparsi di cose cha alla massa pare strano o bizzarro.
Questa è un po’ la differenza di tanta sensibilità, grande
differenza. Tanto che molti hanno perso la vita semplicemente per
non aver rinnegato il nome del Signore, ma in un modo così
assurdo a parere comune, che i martiri sono stati scambiati per
pazzi. Di fatti, anche Paolo ci dice che l’uomo non riceve le cose
dello spirito perché gli sono pazzia, e la sapienza di Dio è pazzia
per il mondo (1 Corinzi 1:17-30; 2:14).
Il messaggio contenuto in questo verso tanto significativo
spiritualmente, è che Gesù il Cristo è la nostra destinazione ma
anche colui che, facendosi come noi ci accompagna a raggiungere
tanta altezza. Il suo trono era come fiamme di fuoco. Sta ad
indicarci che se egli ci darà qualche trono di autorità, sarà su
fiamme di fuoco, là dove un passo falso, data tanta sensibilità nello
spirito, ci costerà caro… L’inorgoglimento di lucifero nel cielo, lo
fece cadere negli inferi (Isaia 14; Ezechiele 28:1-19). In Luca 12.48,
ci viene detto che chi a tanto conosciuto (realizzato), sarà tanto
responsabile. Ci ricordiamo anche di Mosè; come per molti non
credenti sembri esagerata la punizione di Dio per aver percosso la
roccia, sebbene Iddio aveva detto di parlare a lei. Non entrò nella
60
terra promessa. Sembra esagerato; ma dal punto in cui siamo
portati dalla mano liberatrice del Signore, certi sbagli hanno altre
conseguenze. La risposta di Gesù a Pietro: va via da me satana
(Matteo 16:23), ci fa capire che non fu momento di nervosismo da
parte sua. Il fatto è che se Gesù non fosse andato a Gerusalemme e
non sarebbe morto sulla croce, non avremmo avuto la salvezza e il
piano di Dio non si sarebbe compiuto.
Dipende dove siamo stati portati dalla mano, dallo Spirito di
Dio. Da lì cambiano i parametri e le conseguenze.
Le ruote come fuoco ardente! Le ruote che incontriamo anche
in Ezechiele 1 e 10; dove abbiamo una spiegazione migliore. Le
ruote sono il meccanismo del cielo, vengono chiamate vortice (Ez.
10:13), e il vortice è alla base della vita. I pianeti si formano
attraverso un vortice di granuli e pietre che girano e avvicinandosi
al nucleo si saldano e fondono assieme, fino a formare una massa
sempre più grande. E’ un ciclo, meccanismo, che “ruota”, mette in
movimento gli elementi necessari per formare qualcosa. Il
concepimento di un bambino, la formazione dell’embrione, il ciclo
del movimento delle sostanze che lo nutrono e fanno crescere, fino
alle contrazioni che determinano il parto, la fuori uscita. Tutto si
muove ruotando verso un centro, e quel centro diverrà qualcosa,
secondo lo scopo del creatore.
In questo, abbiamo visto e apprezzato Dio, lo Spirito, nel
ministero del Figlio dell’uomo muoversi, ruotare nel territorio
dell’anima fino a trovare il nostro nucleo, la fossa dei leoni. Sceso
così in basso, per poi trasportarci in alto, nella vita dello Spirito.
Una spiegazione profetica la troviamo in Ecclesiaste 1:5,6:
“Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; gira e rigira
continuamente e ritorna a fare gli stessi giri”. Il vortice delle ruote della
vita che sono alla base del suo trono, come un motore, girano e
61
“formano” quel che Dio “crea”. Un pò come ci viene detto in Isaia
34:16; il rapporto fra la parola che comanda e lo Spirito (il soffio,
Spirito)che porta ad effetto. Lo stesso pensiero lo espresse ancora
Salomone: “Tu hai mantenuto ciò che avevi promesso (detto)…; si, oggi hai
compiuto con la tua mano ciò che avevi promesso con la tua bocca ” 1 Re
8:24. Questo intendo per vortice; questo intendo per ruota!
Quindi per coloro che Iddio metterà sopra l’autorità di un trono,
sarà governato da questa legge: Sarà una sedia di fuoco, sulla quale
non si può oziare o abusare; stando attenti al turbine prodotto da
quelle ruote, per muoversi al loro movimento come facevano i
cherubini (Ezechiele 1:14-21). Incoronati solo se in gradi di stare
dentro questa disciplina spirituale. Al Suo passaggio, Quando egli
visita il suo popolo gettare le nostre corone ai suoi piedi
(Apocalisse 4:10). Questo atteggiamento è il frutto di quel trono e
ruote di fuoco.
Nel verso 10 di Daniele, è detto anche di un fiume di fuoco; lo
stesso nei versi dell’Ecclesiaste, dove il vento, il turbine che gira è
accostato ai fiumi che corrono al mare. Il fiume che scorre è di
fuoco per indicare quanto pericoloso sia prendere con leggerezza
tanta forza. Per ministrare il fuoco non si può essere leggeri; non è
lavoro di bambini. Se non si fa attenzione, possiamo fare tanti
danni. E’ un fiume di fuoco! Autorità nello scacciare demoni,
guarire i malati, sgridare le tempeste sulla vita dei nostri fratelli,
come ci ha promesso Gesù (Marco 16). Il problema è che molti,
non disciplinati, fanno professione di reggenza, e rovinano le
anime. Per coloro che sono stati disciplinati per ricevere
responsabilità, possono deviare a motivo del successo che quella
autorità potrebbe dare se pubblicata. Tanti sono i pericoli.
Guardiamo Pietro quando rimproverò Anania e Saffira (Atti 5:1-
10). Ezechiele quando cominciò a profetizzare… il sommo
62
sacerdote morì (Ezechiele 11:13). Vediamo dunque la potenza di
quel fiume, quando si esprime? Ricordiamoci di Davide quando
riportò l’arca in Gerusalemme. La caricò su di un carro, trainato
dai buoi, anziché dai Leviti. Il gesto sconsiderato, perché
disubbidiente alla legge di Dio, produsse una tragedia. A un certo
punto l’arca stava cadendo e Uzza la toccò (cosa proibita) per non
farla cadere, e Dio lo fulminò. Non si può scherzare o prendere alla
leggera nulla delle cose di Dio. Vediamo cosa procurò Davide a
quell’uomo a causa della sua leggerezza. Lo stesso con
Mefibosceth; Davide sbagliò nei suoi confronti, perché non fece
attenzione quando incontrò prima Siba, il quale lo ingannò, così
da prendersi tutte le possessioni di Mefibosceth. Un posto di
autorità può portare molto bene, quando è subordinato a
discernimento spirituale; ma anche tanto male quando si agisce di
leggerezza.
Lo scopo di quel che diciamo è rivestirci di timore, appunto come
disse il re Dario (Capo 6:26).
Ricordiamo anche il contegno di Giacomo e Giovanni, i figli del
tuono: vuoi che facciamo scendere fuoco dal cielo? (Luca 9:54). La
risposta del Signore fa riflettere tanto: Voi non sapete di che
spirito siete! Quando e se siamo su di un trono, nei luoghi celesti,
staremo così attenti, saremo così prudenti, sapendo dove ci
troviamo. Vi sono “posti” di particolare responsabilità. Iddio ci
stringe in una morsa di ferro; santa disciplina.
Alla fine della visione, Daniele conservò una impressione
diversa da quella a cui era abituato, quando cercando la presenza
di Dio, riceveva rivelazione per risolvere enigmi e interpretare
sogni. “Qui finirono le parole rivoltemi. Quanto a me, Daniele, i miei pensieri
mi turbarono grandemente e il mio aspetto cambiò, ma conservai le parole nel
mio cuore” (v. 28).
63
Dal punto in cui ci troviamo, dal punto in cui siamo arrivati,
portati da Lui, abbiamo impressioni differenti. Cambiano le nostre
reazioni, a seconda della intensità della visione che vediamo e
viviamo. La realtà dell’esperienza vissuta sul piano spirituale, ai
livelli di cui cerchiamo spiegare attraverso questa storia, è
nettamente superiore alle esperienze che generalmente si vivono
comunemente nel piano delle emozioni o dello studio teologico.
Condizione principalmente stazionata nella vita chiesastica, dove
le anime sono tenute come in sospensione dai pastori moderni,
che non sanno più dir loro la verità. Pensano che adeguandosi alla
modernità e alla tolleranza, accarezzando le vanità, piuttosto che
combatterle sia la soluzione per mantenere la chiesa più
numerosa. E non si accorgono che è tutto un inganno, un
compromesso.
*§*
(Capo 8)
In questo capitolo Daniele racconta la visione del montone e
del capro, per cui cercò di intenderla ma senza riuscire. La
spiegazione venne dall’alto, da dove anche venne la visione.
L’arcangelo Gabriele spiegò la visione. Da notare le reazioni che
Daniele ebbe. Fu spaventato e cadde in avanti. Fu rassicurato e
incoraggiato dall’angelo, sebbene mentr’egli parlava, Daniele
cadde in un profondo sonno, ma l’angelo lo svegliò e lo mise in
condizione di ascoltare ed intendere.
Daniele, in quella condizione spirituale, fu messo in relazione
con i “regni”, con la STORIA DELL’UMANITÀ. Sebbene doveva
realizzarsi al tempo della fine. Vediamo ed impariamo quanto è
reale vivere in ispirito. Pochi comprendono e realizzano tale
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verità. Sei messo in relazione con l’umanità… che compito! Che
lavoro! Alla fine di quella visione e conversazione, Daniele disse:
“E io, Daniele, mi sentii sfinito e fui malato per vari giorni; poi mi alzai e
sbrigai gli affari del re. Io ero stupito della visione, ma nessuno se ne avvide”
(v. 27). Pensiamo un pò come e quanto questa dimensione
spirituale coinvolge e influenza la vita di un uomo. Questo per dire
che non è uno scherzo stare alla presenza di Dio. Per questo è
detto che: “In Sion i peccatori sono presi da spavento, un tremore si è
impadronito degli empi: Chi di noi potrà dimorare con il fuoco divorante? Chi
di noi potrà dimorare con le fiamme eterne?” (Isaia 33:14). Interessante
anche il verso 16: “Costui dimorerà in luoghi elevati, le rocce fortificate
saranno il suo rifugio; il suo pane gli sarà dato, la sua acqua gli sarà
assicurata”. Luoghi elevati; in Sion! Là il pane e l’acqua non
mancherà. I peccatori, il peccato non potrà resistere; come
abbiamo già visto è stato sconfitto nella fossa dei leoni della
concupiscenza. Ed anche di fronte alle continue tentazioni che il
diavolo porterà, lo stare in quella dimensione spirituale, nei luoghi
elevati; ogni intrusione estranea sarà scacciata.
In quella condizione, sarai solo spesse volte. Nessuno se ne
avvide! Non possono capire cosa si prova a stare alla presenza di
Dio; proprio perché viene messo in relazione con l’umanità, e
questo ti sconvolge, ti strazia. Sei messo in relazione con i dolori
della umanità. Con le sofferenze, con le paure, con i tormenti.
Come puoi essere sereno? Gesù era in una relazione con la morte
di Lazzaro, diversa da tutti, anche dei familiari. Quando ricevette
la notizia del suo male, fece come se perdesse tempo; quando
arrivò, pianse. Tanto che, quelli che erano lì esclamarono: Quanto
l’amava. Lui era in una relazione diversa da tutti, tanto che fu in
quella posizione in cui poté ringraziare il padre che lo esaudiva
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sempre; lo risuscitò. Gli altri, che erano puntuali alla decessione di
Lazzaro, e certamente erano lì anche prima che morì; poteva
sembrare un comportamento più rispettabile di quello avuto da
Gesù; ma alla fine poterono solo guardare stupiti, mentre Gesù lo
risuscitò. Anche Paolo espresse la sua inquietudine per tutte le
chiese (2 Corinzi 11:28). Lui aveva una relazione con l’opera che
non tutti avevano. Non si può essere leggeri e spensierati, in
“quella” posizione.
*§*
(Capo 9)
In questo capitolo Daniele ha a che fare con le “scritture”.
Riceve intendimento circa le parole profetiche di Geremia (v. 2).
Quindi, questa rivelazione lo mise in “contatto” con una forte
realtà, che il popolo d’Israele aveva davanti. Questo fatto lo
indusse a pregare in modo particolare.
“Volsi quindi la mia faccia verso il Signore Iddio per cercarlo con
preghiera e suppliche, col digiuno, col sacco e con la cenere”. Da dopo il
capitolo sei, dopo la cronaca della sua vita in Babilonia, vediamo
Daniele proiettato in un altro mondo: Quello dello Spirito! Da quel
momento, Daniele entra in contatto con Dio in un modo diverso,
più spirituale di certo. Cambiano le sue impressioni, le sue
reazioni, ed anche il suo modo di pregare.
Lui volge la sua faccia verso il Signore! Non che prima non lo
faceva, ma ora, dal capitolo sette in poi, Daniele vive e realizza le
sue esperienze spirituali in un modo più intimo e coinvolgente.
Anche nelle esperienze che facciamo tutti i giorni ed esperienze
che abbiamo già fatto, di tempo in tempo le riproviamo per
realizzarle in un modo come non l’avevamo mai realizzato prima.
66
Pregò con suppliche, preghiere, digiuno, sacco e cenere. Entrò
in una nuova umiliazione. Dalla realizzazione di una visione più
spirituale, a una più profonda umiliazione. Umiliazione che poi
riporta in alto. Quando ci avviciniamo al Signore le nostre
preghiere sono molto “orizzontali” per così dire. Hanno molte
ripetizioni e formule; ma quando si entra nello Spirito, dal sesto
capitolo della nostra vita al settimo (sei è numero d’uomo, sette è
perfezione), entriamo in una nuova dimensione di preghiera.
Come chiesero i discepoli: “Insegnaci a pregare”!
Avendo appunto cercato nelle scritture, e avendo visto che il
tempo della schiavitù stava arrivando alla sua conclusione, pregò
intercedendo per i peccati del suo popolo, attribuendo quasi la
colpa a se stesso: Abbiamo peccato… noi! Come poté intercedere
per il popolo? Nello stesso modo che fu portato a vedere visioni
che riguardavano il “futuro”, e partecipare alle sofferenze degli
uomini, così fu messo in relazione con i peccati “passati” del suo
popolo. In questa nuova esperienza del profeta Daniele, più
profonda, poteva relazionarsi con le sofferenze future e quelle
passate. Solo così, “entrando in contatto” si può sentire il peso e la
spinta della intercessione. Chi ama intercede.
I peccati passati riguardavano i re, i capi, gli anziani; per non
aver ascoltato la voce dei profeti (v. 6). In questa preghiera
Daniele esprime una grande e scultorea verità: “O Signore, a te
appartiene la giustizia, ma a noi la confusione della faccia” (v. 7,8).
Fino al verso 19 Daniele ricorda e confronta il peccato del suo
popolo con la giustizia di Dio, e ne insiste e richiede misericordia.
Alla fine di questa preghiera modello, Daniele disse qualcosa di
meraviglioso. Il profeta intercessore, chiede grazia e perdono, sul
motivo non delle loro opere giuste, i loro meriti, sebbene ce ne
fossero, ma sulle Sue grandi compassioni e benignità (v.18).
67
Mentre Daniele così pregava e supplicava, ponendo prima la
sua responsabilità e poi quella popolo, dicendo: “Mentre stavo
pregando e confessando il mio peccato (prima) e il peccato del mio popolo
(dopo)” (v. 19), si presentò a lui un angelo. Nella sua risposta,
Daniele fu valorizzato così: Tu sei grandemente amato! (v. 25). Le
sue preghiere erano ascoltate.
Possiamo dire così: Dopo tanta supplica e intercessione per altri,
fu ascoltato e grandemente amato. Così di ciascuno di noi. Grande
ministero è l’intercessione.
*§*
(Capo 10)
“Nel terzo anno di Ciro, re di Persia, una parola fu rivolta a Daniele. La
parola è verace e il conflitto lungo. Egli comprese la parola ed ebbe
intendimento della visione” (v. 1).
Dopo questa dichiarazione, Daniele disse che fece cordoglio
per tre settimane e digiunò. Anche qui vediamo le conseguenze di
entrare in contatto con l’invisibile. Il tutto è sempre per mettere
in risalto la cosa più importante; la presenza viva di Dio. Mosè
nello stare sul monte davanti alla faccia del Signore, nello scendere
per tornare al popolo, aveva il viso illuminato. Stare nella presenza
di Dio vuol dire illuminarsi e illuminare.
Dal verso quattro al sei, interviene un angelo, si presume sia
Gabriele, a mostrargli un’altra visione.
“Soltanto io, Daniele, vidi la visione, mentre gli uomini che erano con me
non videro la visione, ma un gran terrore piombò su di loro e fuggirono a
nascondersi. Così rimasi solo a osservare questa grande visione. In me non
68
rimase più forza; il colorito cambiò in un pallore e le forze mi vennero meno.
Tuttavia io udii il suono delle sue parole; all’udire però il suono delle sue
parole, caddi in un profondo sonno con la faccia a terra” (v. 7-9).
Daniele era in compagnia, ma solo lui vide la visione; diciamo,
fu messo in relazione ad essa. Gli altri, sebbene non videro la
visione furono presi da timore; avvertirono qualcosa di estraneo
alle loro comuni sensazioni. Scapparono. Possiamo essere in
compagnia, ma quando il Signore si avvicina, solo chi vive in
“quelle sfere spirituali” percepisce la visione, che se non è
percepibile agli occhi, lo è allo spirito.
Questo ci fa vedere e dimostra le differenze, dell’essere
passato da un livello di fede ad un altro superiore. Certe visioni
(spirituali), sono raggiunte solo da coloro che hanno fatto
l’esperienze spiegate in questo libro. Da esperienze relazionate
alla nostra vita nei confronti del regno, la nostra vita (dal capo 1 a
6), a quelle relazionate all’invisibile (capo 7 a 12), il regno dello
spirito.
Quello che leggiamo in questo capitolo, riguarda il periodo
del re Ciro. Vedremo qualcosa di importante ed edificante intorno
a lui. Dice che è stata rivelata una parola”. Questa parola è verace,
come tutte le parole di Dio. Ma, aggiunge che il conflitto è lungo.
In questo conflitto dobbiamo vedere e raccogliere il significato e
l’efficacia del soccorso di Dio, in questa condizione spirituale.
Questo per dire che, la vita nello spirito non è qualcosa di
evanescente, inconsistente e irreale. Piuttosto, vera realtà. La vita
nello spirito, la comunione dello Spirito, è più reale della vita che
vediamo e tocchiamo.
Tornando al verso 7, possiamo accostare l’esperienza di
Daniele, per una questione armonica nelle scritture, con quella
dell’apostolo Paolo. Anche lui realizzò la realtà di una visione, e di
69
un messaggio. Solo che quelli che erano con lui non ne furono
partecipi se non, appunto, negli effetti della potenza espressiva e
della realtà di questo fenomeno. La vita spirituale è vera realtà.
Lo scopo della visione era, che quelli che temono il Suo nome
devono essere slegati da ogni compagnia, per poter udire e vedere,
soprattutto, quello che altri non possono vedere.
Iddio ci libera dal superfluo, quando così possiamo definirlo.
Ci libera da compagnie che non vivono sullo stesso piano
spirituale. Questo perché dobbiamo comprendere che il credente
deve salire e salire, fino ad arrivare in Sion (Salmo 84:7).
L’unione del corpo di Cristo non è dunque caratterizzato da
accordi umani, ma da quell’incontrarsi ad “alta quota”. Come ci
informa il profeta Malachia:
“Allora quelli che temono l’Eterno si sono parlati l’uno all’altro.
L’Eterno è stato attento ed ha ascoltato, e un libro di ricordo è stato scritto
davanti a lui per quelli che temono l’Eterno e onorano il suo nome. “Essi
saranno miei”, dice l’Eterno degli eserciti, “nel giorno in cui preparo il mio
particolare tesoro, e li risparmierò, come un uomo risparmi il figlio che lo
serve. Allora vedrete nuovamente la differenza che c’è fra il giusto e l’empio,
fra colui che serve Dio e colui che non lo serve” (3:16-18).
Allora! Solo allora, quando cioè elevandosi al di sopra delle
linee orizzontali del visibile e della persona (anima), si viene
introdotti nel regno dello Spirito. Il ritrovarsi insieme, è
conseguenza di aver sperimentato la stessa realtà. Questo genera
conseguentemente un dialogo amorevole e fraterno. Dio è attento
perché apprezza grandemente questa dimensione particolare
perché è segno di elevata intimità. Ciò a cui il Signore appunto,
trasporta quelli che diventano “Suoi”, la “proprietà particolare del
Signore”. Ciò non è da intendere solo per l’esperienza della
70
rigenerazione, nel divenire “figli di Dio”. Questo invero, può
considerarsi solo a livello evangelistico; e va bene. Ma il significato
pieno, che assolve interamente il desiderio di Dio in merito, è la
differenza delle primizie, i primogeniti, da quelli che sono e
“rimangono solo salvati”. Quella è la proprietà PARTICOLARE.
Perché particolare? Perché si distingue non esclusivamente al
peggio (il mondo, senza offesa; perché ci riferiamo alla
CONDIZIONE DI PECCATO e non alla qualità delle persone), ma
al meglio, cioè i credenti, che si differenziano dal mondo.
Il termine primogenito o primizia, è per differenziare e
distinguere l’eccellenza dal meglio, e non dal peggio. Primo,
significa chiaramente e matematicamente, che c’è un secondo o un
terzo ecc. La nuova creazione non è relazionata e paragonata al
mondo, agli increduli, ma fra credenti e credenti. Diciamo,
credenti spirituali che vanno di valore in valore, e camminano non
solo “con Dio”, come termine generico, ma anche con la Parola!
Credete in Dio (Elohim, Spirito) e credete anche in me (il Figlio,
cioè la Parola, Signore, Logos) (Giovanni14:1). A confronto di
quelli che si FERMANO e si ACCONTENTANO dello stato
RISCATTANTE, (in riferimento al sacrificio di Cristo) dal mondo
e dal peccato, come condizione di morte. La differenza, la
distinzione è tra queste due classi di credenti. Questo il centro, il
senso compiuto di questo verso. Questa la sostanziale differenza
fra chi serve Dio e non lo serve. Riassumendo: La differenza fra chi
serve Dio, il credente (la chiesa); da chi non lo serve, l’incredulo (il
mondo). Dal punto di vista spirituale, quindi dentro la chiesa, la
differenza fra, chi LO SERVE IN OGNI COSA (la chiesa dei
primogeniti o primizie), e chi NON LO SERVE IN OGNI COSA,
quindi, lo serve IN PARTE (la chiesa salvata, universale).
71
Vediamo sempre le stesse reazioni del profeta alle
apparizioni e parole di angeli: “…Caddi in un profondo sonno con la
faccia in terra” (v. 9). Daniele ebbe bisogno di essere TOCCATO
dall’angelo per POTER ESSERE IN GRADO DI STARE
DAVANTI ALLA GLORIA DI DIO (v. 10,11). Lo stesso significato
riguarda l’esperienza di Pietro. Dopo la risurrezione, Gesù
riapparve loro, ma prima attraverso LA TESTIMONIANZA delle
donne. Questo è significativo di come la testimonianza sia
importante, rivelando i modi, i metodi di Dio. E nel messaggio di
testimonianza della sua risurrezione, menzionò i discepoli in
generale e Pietro singolarmente; fu l’unico menzionato per nome.
Pietro era angosciato per aver rinnegato Gesù, ma Gesù voleva
riabilitarlo; e nel capo 21 di Giovanni, vediamo come si intrattenne
con lui.
Bisogna essere messi in grado di stare nella e alla presenza
viva di Dio. Senza quel tocco, quell’intervento superiore, non è
possibile.
Queste sono tutte lezioni attraverso figure, immagini
illustrative, per noi meglio accostarci a realizzarle. Impariamo da
queste, come relazionarci alla vita dello Spirito e nello Spirito. Ne
vediamo gli effetti, le esperienze, i tocchi meravigliosi dell’essenza
di Dio. La realtà, migliore di quella che noi comunemente
conosciamo. Realizziamo così quello che visse e disse Paolo: “In lui
viviamo, in lui ci muoviamo” (Atti 17:28). Qui, in questa dimensione
troviamo e conosciamo quelli che hanno il nostro stesso cammino.
Con loro potremo parlare delle meraviglie di Dio, sapendo che Lui
ci ascolta ed è attento. Parola meravigliosa che in Ruth 2:2 e 2:19,
viene identificata alla grazia e in risposta alla grazia.
*§*
72
(Messaggio del soccorso angelico; l’esercito del cielo)
Questo tipo di messaggio che vogliamo contemplare, inizia con le
parole del messaggero celeste a Daniele così:
“Non temere, perché dal primo giorno che ti mettesti in cuore di intendere e di
umiliarti davanti al tuo Dio, le tue parole sono state ascoltate e io sono venuto
in risposta alle tue preghiere” (v. 12).
Primo giorno; quando? Dal momento che ti sei messo in cuore
di INTENDERE e di UMILIARTI, davanti a Dio! Sono
caratteristiche della vita dello Spirito, di un uomo che viveva in
questa dimensione. Stiamo studiando questo; il valore delle
caratteristiche di questa dimensione spirituale. Hai riposto nel
tuo cuore; hai scelto per te, hai preso una decisione per il tuo Dio,
hai rinunciato a tutto il resto, hai dato posto, il primo posto al
Signore. IN QUESTO, ti sei umiliato e questo è principio di
sapienza (Giobbe 28:28). Vediamo le nobili caratteristiche che
distinguono il credente salvato e spirituale, dal credente salvato; e
vista in una dimensione e relazione inferiore; la distinzione fra il
credente salvato e il non credente, non salvato. Il desiderio e
l’impegno del credente che non si ferma solo in quello che sa già, o
quello limitato e delineato dalla chiesa a cui appartiene o come
credo. Questo differenzia e distingue i credenti da altri credenti.
Essi sanno per lo spirito, per quel speciale rapporto intimo con
Dio, che devono essere pronti a dire: “Benedetto colui che viene nel nome
del Signore” (Luca 13:45). Quindi, nel caso ci fosse una precisazione,
una miglioria, una nuova rivelazione; loro sanno per lo spirito, che
devono FARE LE TENDE E PARTIRE. Questa la posizione della
73
chiesa dei primogeniti, la sposa dell’agnello; essi: “Lo seguono
ovunque egli vada (ovunque)” (Apocalisse 14:4).
Questi si umiliano davanti la faccia del Signore Iddio.
Cercano di intendere, perché? Perché interessa profondamente
loro solo ciò che è la volontà originale di Dio, senza
interpretazioni umane. Questo il carattere della sposa di Gesù
Cristo. Questa la dimensione spirituale in cui essa vive; altrimenti
non sarebbe sposa, intima. Sei stato ascoltato! Perché hai
accettato e determinato per te questa vita spirituale; stare davanti
a Dio.
Vediamo dunque il movimento angelico che dicevamo.
“Ma il principe del regno di Persia mi ha resistito ventun giorni; però ecco,
Mikael, uno dei primi principi, mi è venuto in aiuto, perché ero rimasto là con
il re di Persia” (v. 13).
Dio ci aiuti a spiegare e visualizzare quel che si può vedere
attraverso queste parole.
Il messaggero celeste, diciamo sia Gabriele, dapprima parla di
una resistenza del principe di Persia, poi dell’intervento
dell’arcangelo Michele, e alla fine dice che era rimasto col “re” di
Persia. Dobbiamo fare attenzione a non confondere il “principe” di
Persia con il “re” di Persia. L’angelo stava svolgendo un compito
che Dio gli aveva affidato; nel frattempo, le preghiere di Daniele
sono state ascoltate, e Dio disse a Gabriele di andare da Daniele
per dargli risposta. Doveva portare a Daniele un messaggio in
risposta alle sue preghiere per il popolo di Israele. In questo, il
“principe” di Persia lo trattenne più a lungo, perché c’era qualcosa
in ballo.
Qual’era il lavoro di Gabriele, per cui quando dovette andare
da Daniele fu contrastato dal principe di Persia? E, perché fu
74
contrastato? Cercherò di rispondere secondo la visione datami dal
Signore in merito.
L’arcangelo Gabriele (ipotizzando sia lui) stava aiutando il re
di Persia, cioè Ciro (v. 1), servo di Dio. Dio lo aveva suscitato per
dare libertà al popolo di Israele per tornare nella sua patria,
riportando con loro tutto ciò che fu preso dal re Nebucadnetsar
(Isaia cp. 44 e 45; Esdra 5:13-17). Gabriele lo sosteneva, perché
appunto il “principe” di Persia lo contrastava. Quindi,
contrastando l’opera di Dio che aveva atto attraverso Ciro, sia
dell’editto di liberazione, che della conseguente partenza del
popolo di Israele, resisteva e tratteneva Gabriele nel non andare
anche da Daniele, per “continuare” l’opera di Dio da un altro lato.
Come abbiamo riferito del primo verso di questo capitolo: “Il
conflitto è lungo”. Il principe di Persia è un demone di Satana, uno
dei suoi principi. Distinguiamo re da principi, perché vi sono dei
significati in relazione a questi. I re sono uomini, i principi sono
capi di eserciti, e questo titolo è riferito sovente per descrivere le
forze spirituali. Possiamo vedere come l’angelo Gabriele
rivolgendosi a Daniele parlò del principe di Javan (Grecia) (v. 20).
Esso è un altro demone, un altro principe di Satana. Sono
categorie di demoni superiori, a comando di eserciti spirituali.
Paolo spiega e definisce così questi spiriti:
“Il nostro combattimento non è contro carne e sangue, ma contro i
“principati”, contro le potestà, contro i dominatori del mondo di tenebre di
questa età, contro gli spiriti malvagi nei luoghi celesti” (Efesini 6:12).
Si noti come nei luoghi celesti non si parla di re spirituali. Dio
ha dato questo titolo solo ai credenti, neanche agli angeli. Non
troviamo nessuna menzione di spiriti diabolici, in riferimento ad
essere re. Neanche il diavolo è nominato re, ma principe. Possiamo
verificare questo nei seguenti versi: Matteo 9:34; 12:24; Giovanni
75
12:31; 14:30; 16:11; Efesini 1:21; 2:2; Romani 8:38. Credo che bastino
per constatare che quando si parla di potenze spirituali, si parla
sempre di principi e principati. Quindi, il re di Persia era Ciro, e
non il diavolo! Mentre il principe di Persia era un demone
preposto per la Persia.
Ogni luogo ha un capo spirituale a gestirlo (vediamo questo
anche in Marco 5:10. Legione era preposto dal diavolo per quella
regione). Questo principe demoniaco voleva, come sempre, cercare
di impedire che Ciro facesse quell’editto di liberazione, ed anche
che il popolo d’Israele uscisse dal dominio Babilonese. Gli scopi
erano ovvi: Permettere che il popolo di Dio rimanesse nella
schiavitù, impedire il ritorno in patria, impedire così la
ricostruzione del tempio; l’adempimento delle scritture circa la
nascita del messia, ecc.
La guerra era nelle sfere spirituali, tra l’esercito di Dio e
quello del diavolo. Quindi, Iddio stava operando attraverso Ciro, il
re di Persia. Era l’angelo Gabriele che portò la rivelazione a Ciro
che permise al re di inquadrare la situazione e scrivere l’editto per
la liberazione degli ebrei. Nello stesso tempo, l’angelo Gabriele si
prese cura del re, lo proteggeva dagli attacchi del principe di
Persia, che voleva impedire l’opera di Dio. Mentre tutto questo era
in svolgimento, Dio chiamò Gabriele a portare un messaggio in
risposta a Daniele; come sappiamo, Gabriele è il messaggero,
Michele è il combattente. Visto che il principe di Persia lo
tratteneva perché cercava di disturbare e impedire quel lavoro di
liberazione, ecco l’arrivo di Michele, definito anch’esso, “uno dei
primi principi”, di Dio. Come vediamo nessun angelo o essere
spirituale è definito re, ma solo principe. Solo i credenti sono
definiti re e sacerdoti (Apocalisse 1:6; 1 Pietro 2:9; 1 Corinzi 4:8).
76
Michele, come anche Gabriele, sono tra i prime principi
dell’esercito angelico di Dio. Il principe di Persia e di Javan, sono
anch’essi tra i primi principi dell’esercito del diavolo.
Quando arrivò l’angelo Michele, Gabriele fu libero di andare a
portare il messaggio a Daniele e incoraggiarlo; mentre Michele
combatteva contro il principe di Persia. Così disse Gabriele:
“…Perché ero rimasto là con il re di Persia” (v. 13). Era rimasto con il re
di Persia, Ciro, per rivelargli il piano di Dio che diede luogo poi a
scrivere l’editto della liberazione di Israele; difenderlo e
proteggerlo dagli attacchi avversari del nemico, il principe di
Persia. Non poteva andare da Daniele e lasciare il re Ciro in balia
del principe di Persia, l’angelo del nemico.
La stessa cosa la vediamo in Daniele 11:1: “Nel primo anno di
Dario, il Medo, io stesso mi tenni presso di lui per sostenerlo e difenderlo”. Se
si fa attenzione, si vede chiaro che questa frase è dentro il discorso
di Gabriele, mentre spiega le visioni a Daniele. Visto che fa parte
dello stesso tema, citiamo il verso del capo 11, dove appunto
vediamo che il sostenere gli uomini, fa parte della missione
angelica nel piano di Dio.
Tutto questo trova il suo senso in relazione a l’opera che Dio
stava svolgendo con Ciro, il re di Persia, per la liberazione di
Israele. Di fatti se guardiamo le date in riferimento agli anni della
sua reggenza, possiamo constatarne l’armonia.
-Anno 539: Ciro conquista Babilonia.
-Nel 538: E’ il primo anno del suo regno, e l’anno in cui scrisse
l’editto per la liberazione di Israele Esdra 1:1.
-Nel 536: Terzo anno del re Ciro; inizio dei lavori di costruzione
delle fondamenta del tempio.
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Il tempio fu completato nel mese di Adar (febbraio - marzo)
del 515, ventuno anni dopo l’inizio dei lavori di costruzione nel
536.
Da questo possiamo vedere che quello era il periodo in cui si
parla di questa lotta tra le potenze spirituali. Di fatti nel verso uno
leggiamo: “Nel terzo anno di Ciro, re di Persia”. Nel terzo anno, quando
il popolo di Israele cominciò la ricostruzione del tempio. In quei
periodi, da prima a dopo, gli angeli, i principi delle tenebre,
combatterono in modo particolare per impedire questa
liberazione. Il diavolo conosce il principio che: “Colpisci il pastore e
siano disperse le pecore” (Zaccaria 13:7). Profeticamente è riferito a
Cristo come sappiamo, ma essa è semplicemente una legge
strutturale e consequenziale di una verità, più che di una profezia.
Quindi il diavolo conoscendo questa realtà, cercò per quanto gli
era possibile e permesso, di distruggere il pastore, che in quel caso
era Ciro (Isaia, capo 44 e 45). Così facendo avrebbe indebolito e
disperso l’opera di liberazione del popolo, per la gloria di Dio.
Come abbiamo scritto ancora del verso uno: il conflitto sarà
lungo. Come possiamo notare, la battaglia nel cielo tra le forze
spirituali, aveva il suo risvolto e si sviluppava anche sulla terra, fra
i babilonesi e i popoli vicini ad Israele. Nel libro di Esdra (capo 4,
5 e 6), si parla dei nemici di Giuda e di Beniamino che si
avvicinano per interferire sui lavori, fino a quando si parla di
Dario. Chissà quante difficoltà questi spiriti diabolici sono riusciti
a creare per fermare l’opera di Dio. Ma Dio è sempre vittorioso!
Il conflitto è lungo, e durò tutto il tempo dei lavori di
restauro. Vi furono degli intervalli di diversi anni tra la prima
partenza, la seconda e la terza. Questo a dimostrazione del fatto
che la battaglia fu dura e il conflitto lungo. Come discendenza
regale, partì da Ciro e durò fino ad Artaserse.
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Conclusione; l’opera che Dio ha con noi, la sostiene
attraverso i suoi angeli, che sono preposti a vegliare che tutto vada
secondo il piano di Dio. Non temere; ti dice il Signore e padrone
assoluto di tutte le cose, che:
“Colui che ha cominciato un opera buona in voi, la porterà a compimento fino
al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi 1:6).
*§*
Daniele di fronte alla visione aveva sempre bisogno di essere
toccato, che in questo contesto spirituale è un termine che denota
una meravigliosa esperienza, per rimanere ricettivo al messaggio
(v. 18,19). Toccato e fortificato. Riprendi forza! Questa è la
conseguenza di vivere in ispirito. Anche l’apostolo Giovanni visse
l’esperienza dell’Apocalisse in ispirito (Apocalisse 1:10).
Da queste cose impariamo la dimensione del regno dello
Spirito. Chi studiava sui libri, essendo anche giudice in Israele,
non capì, almeno al momento le parole del divino Maestro:
“Or nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio
dell’uomo che è nel cielo” (Giovanni 3:13). E’ disceso, è salito ed è nel
cielo, mentre è sulla terra. Come comprendere queste cose? Paolo
ci dice che siamo seduti nei luoghi celesti in Cristo. Come
comprendere e visualizzare queste realtà, nella nostra vita? Per
questo scriviamo queste riflessioni, quando ispirate da Dio, per
dare una immagine, una forma, una idea di quel che deve diventare
il nostro obbiettivo principale, per intendere davvero le scritture e
la vita nello Spirito.
Si insegna troppa teologia, troppa scrittura letterale,
pochissimo sulla vita nello spirito.
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“Quindi gli disse: Sai tu perché io sono venuto da te? Ora tornerò a
combattere con il principe di Persia; e quando sarò uscito, ecco, verrà il
principe di Javan. Ma io ti farò conoscere ciò che è scritto nel libro della verità;
e non c’è nessuno che si comporti valorosamente con me contro costoro tranne
Mikael, il vostro principe” (v. 20,21).
Il linguaggio dello spirito, non è per le menti religiose o
superficiali. E’ semplice comprendere le cose spiegate secondo il
pensiero degli uomini, ma non è facile comprendere le realtà delle
cose dello spirito. Per questo diceva Gabriele che avrebbe fatto
conoscere a Daniele ciò che è scritto nel libro della verità. Nessuno
può aprirlo se non chi è designato da Dio stesso. Vi sono libri nel
cielo. Ma veniamo alle parole dell’angelo.
La domanda del perché era venuto a Daniele, era per metterlo
in guardia che, appena sarebbe tornato a combattere con il
principe di Persia, sarebbe venuto il principe di Javan; un altro
demone. Gabriele avrebbe così svolto il suo compito, sia con il re
Ciro, che con Daniele. Aveva dato il messaggio a tutt’e due, ma ora
era il tempo di ritornare ad aiutare Michele: “e non c’è nessuno che si
comporti valorosamente con me contro costoro tranne Mikael, il vostro
principe”. Michele è il principe assegnato ad Israele (vedi anche
capo 12:1).
Insieme (i due angeli) dunque avrebbero combattuto per
difendere la causa della liberazione di Israele. Il messaggio era
stato dato, sia a Ciro per scrivere l’editto, sia a Daniele per
profetizzare sui regni e le settanta settimane. Il conflitto è lungo.
Dopo quegli eventi, diversi anni dopo; nel regno di Dario
(Istaspe), la pergamena dell’editto di Ciro scomparve; quindi i
nemici di Israele, in Babilonia e vicino a Israele stesso, chiesero
spiegazioni al re Dario (che non era Dario il Medo di Daniele 11:1)
80
circa la partenza del popolo di Israele e la ricostruzione del tempio
e del paese. Dario fu quel re che fece la ricerca nella casa degli
archivi dei tesori di Babilonia (Esdra 6:1). Ci furono dei problemi,
e in questo dobbiamo vedere ancora i riflessi di quella battaglia
angelica, quel lungo conflitto, per creare impedimenti. Ma il
Signore è sempre vittorioso! Come abbiamo letto in Daniele 11:1,
sul come l’angelo Gabriele era rimasto con Dario il Medo e lo
sosteneva, così sostenne Dario Istaspe, in quella santa ricerca,
ovviamente. Questo al fine di far continuare le partenze e i lavori.
Il principe di Javan, il demone preposto per la Grecia, sarà
anche in relazione con la conquista della Grecia sulla Persia,
tramite Alessandro magno. Intanto anch’esso, il principe di Javan,
come Michele andò in aiuto a Gabriele, andrà in aiuto al principe
di Persia per aiutarlo. Demoni aiutano demoni, angeli aiutano
angeli.
Nel 538, quando il re Ciro scrisse l’editto fu fuori di Babilonia;
fu a Emeta (Ecbatana; moderna Hamadan. Lì fu trovato il rotolo, e
così il popolo di Israele poté continuare la costruzione.
*§*
(Capo 12)
“In quel tempo sorgerà Mikael; il gran principe, il difensore dei figli del tuo
popolo” (v. 1). Nel tempo che segue gli avvenimenti descritti nel
capo 11. Mikael sorgerà; il gran principe di Israele. L’arcangelo
Michele si occupa principalmente di Israele. Lo vediamo anche
nella lettera di Giuda; ma sempre in riferimento al corpo di Mosè,
che sarebbe il giudaismo e Israele.
Possiamo dire che dopo conflitti, guerre, impedimenti e
prove, molti che sono nella polvere si risveglieranno; chi per vita,
81
chi per morte (v. 2). Dopo tutti questi passaggi, combattimenti e
morte, si parla di risurrezione. Iddio è risurrezione. Chi vive la sua
vita nello spirito, vive nella risurrezione.
Nelle parole di questo capitolo, vediamo riassunto tutto ciò che
abbiamo cercato di visualizzare, attraverso le esperienze più
intense del profeta Daniele, nel passaggio dal capitolo 6 al 7.
“Quelli che hanno sapienza risplenderanno come lo splendore del
firmamento e quelli che avranno condotti molti alla giustizia, risplenderanno
come le stelle per sempre” (v. 3).
La condizione protagonista è sempre la comunione dello Spirito; il
vivere in ispirito come desidera Iddio che è Spirito (Giovanni 4:
24). Chi realizza questa posizione di fede e di vita, sarà com’è
descritto in questi versi. Divenire luce, per essere luce ad altri, può
verificarsi, nel suo aspetto più alto, solo vivendo una vita immersa
nello Spirito. Realizzare al vivo una relazione e comunione con
l’invisibile. Di Mosè venne detto:
“Per fede lasciò l’Egitto senza temere l’ira del re, perché rimase fermo
come se vedesse colui che è invisibile” (Ebrei 11:27).
Mosè era senza timore perché aveva lo sguardo non su
qualcosa di astratto, ma su Colui che è invisibile. Lui vedeva, di
quel vedere dello spirito, Colui che è invisibile. Questa esperienza
è raggiunta non da tutti subito; molti è per questo che si fanno
spirituali da se stessi, perché non misurano fedelmente le
dimensioni della realtà nei riguardi di tale esperienza. Passando
tempo, viene da sé di considerarsi spirituali; dato il tempo
trascorso, le esperienze fatte, lo studio della Bibbia, ecc.
Come Mosè, anche Abrahamo fece la stessa esperienza e ne toccò
la potenza: “Abrahamo, vostro padre, giubilò nella speranza di vedere il mio
giorno; lo vide e se ne rallegrò” (Giovanni 8:56).
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Lo stesso Giobbe: “Supplicherà Dio, troverà grazia presso di lui e potrà
contemplare il suo volto con giubilo” (Giobbe 33:26). Tutte esperienze
spirituali, atte a evidenziare la comunione nello Spirito. Non so a
cosa pensano i molti credenti o predicatori, quando parlano di
spirito; purtroppo vi è la triste realtà che la conoscenza in ispirito
è molto rara, raramente apprezzata e valorizzata. In questi versi
abbiamo visto come il vedere dello spirito nello Spirito, apre le
porte alla contemplazione e conduce al giubilo e alla gioia.
Questa è la forza della visione nello spirito. Questo per quanti
desiderano essere annoverati tra coloro che risplenderanno, e che
risplendono al presente per partecipare alla volontà e piano di Dio.
“Ma tu, Daniele, tieni nascoste queste parole e sigilla il libro fino al
tempo della fine; molti andranno avanti e indietro e la conoscenza aumenterà”
(v. 4).
Le esperienze nello Spirito sono dapprima strettamente
personali. Come abbiamo già accennato circa le reazioni di
Daniele; davanti alla presenza di Dio, quelli che erano con lui non
venivano coinvolti da Dio stesso nella visione. Solo Daniele
gustava la visione (cp 10:7). Questo ci da a capire che ciò che Dio
ci dà, ciò in cui Dio ci coinvolge e partecipa, ciò che ci rivela è per
noi e lo dobbiamo custodire gelosamente. Dev’essere suggellato in
noi prima di parteciparlo agli altri. Questo perché deve dapprima
lavorare noi stessi; solo così possiamo essere “luce” per illuminare,
dare agli altri ciò che Dio ha dato a noi. Se vediamo
l’atteggiamento di Mardocheo, in un primo momento ne lui ne
Ester dichiaravano le loro origini; ma quando venne il tempo di
dichiararlo, non si tirarono indietro. Vi è dunque un tempo di
nascondere le cose e un tempo di presentarle.
“Poi io, guardai, ed ecco altri due in piedi, uno su questa sponda del fiume, e
l’altro sull’altra sponda del fiume” (v. 5,6). Il messaggero celeste che
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identifichiamo con Gabriele, stava sulle acque, là dove stava da
quando gli apparve (cp 10:4,5).
Attraverso questa informazione vogliamo vedere qualcosa di
molto significativo nella vita nello Spirito. Guardai, fece
attenzione, e vide altri due personaggi; uno stava nella sponda in
cui era Daniele, l’altro in quella opposta. L’angelo Gabriele stava
sulle acque del fiume. Ciò esprime che nella nostra vita, nel nostro
cammino, vi sono esseri angelici, guardiani, che ci accompagnano.
Uno è vicino a noi, dalla nostra sponda; un altro è sulla via,
l’angelo sulle acque; l’altro ancora sull’altra sponda.
Ci ricordiamo quando Gesù invitava i discepoli a passare
all’altra riva (Marco 4:35). Fu Gesù a dire di passare all’altra riva;
pur nondimeno, al presentarsi della tempesta, i discepoli ebbero
paura e svegliarono il maestro. Dubitarono; di fatti Gesù li
rimproverò di questo. Come poteva essere che Gesù sbagliò? Non
fu lui a dire, passiamo all’altra riva? Poteva mai sbagliarsi? Gesù
era con loro sulla loro sponda, fu con loro sulle acque, e le calmò, e
fu con loro nell’altra sponda, l’arrivo. Alleluia!
Vi sono realtà che non ci sono rivelate, dobbiamo attendere e
concentrarci su ciò che ci compete, che ci riguarda (v. 8,9). Molte
cose non comprendiamo durante il cammino, ma dobbiamo
andare avanti senza preoccuparci di ciò che Dio farà quando
adempirà il suo piano, al tempo della fine. Questo perché quegli
avvenimenti, non erano per il tempo di Daniele.
Molti saranno purificati, imbiancati e affinati; ma gli empi
continueranno nella loro empietà. Purificati, puliti; imbiancati,
coperti; affinati, decorati, perfezionati. Per questo i giusti
capiranno, mentre gli empi no.
L’angelo parlò del luogo santo dicendo che ci sarà un tempo e
un calcolo profetico per distinguere i tempi in cui si adempiranno
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certe profezie. Ma, la lezione spirituale che vogliamo raccogliere
in queste parole è che, quando sarà abolito il sacrificio continuo,
che per noi rappresenta l’altare spirituale attraverso cui abbiamo
comunione con Dio, sarà eretta l’abominazione che causa la
desolazione. L’eliminare il sacrificio continuo, la nostra
comunione con Dio, il vivere nello Spirito, il permettere che ciò
avvenga, causa l’abominazione, ciò che ci separa da Dio e ci mette
in una posizione di conflitto. Per questo causerà la desolazione
nella nostra vita, se si rimane in tale condizione. Invero questa è la
condizione degli empi che abbiamo menzionati; queste cose sono
la conseguenza dell’opera degli empi. Il Signore ci dice di non
cadere nella stessa seduzione. A nulla ci serve dire che gli eletti,
perché predestinati, non saranno sedotti; perché dobbiamo
preoccuparci di più di studiarci a comunione che a rilassarci su
parole, anche se giuste. Ricordiamo la risposta di Gesù a quelli che
gli raccontarono il fatto dei Galilei, del loro sangue mischiato con i
sacrifici, da Pilato. Gesù ricordò anche il fatto delle diciotto
persone su cui cadde la torre di Siloe. Ma, concluse il discorso
responsabilizzando quelli che avevano presentato il fatto! Come
dire: Non pensate che perché non sia capitato a voi, siate
privilegiati. Non preoccupatevi di cercare il capro espiatorio in
qualche presunto peccato fatto dalle vittime, perché se non “vi”
ravvedete (voi), perirete tutti allo stesso modo! (Luca 13:1-5).
E’ sempre l’abominazione, il peccato, a causare la desolazione, la
morte.
Qui si conclude il libro di Daniele e la sua storia. L’angelo si
rivolge a lui come al crepuscolo della sua vita (Daniele era già
avanti con gli anni).
“Ma tu và pure alla tua fine; ti riposerai (morte) e poi ti rialzerai
(risurrezione) per ricevere la tua parte di eredità alla fine dei giorni” (v. 13).
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Questo invero è il destino meraviglioso di chi vive in
comunione con Gesù Cristo, in ispirito. Realizza la comunione
spirituale che lo conduce nella intimità, nel segreto dei segreti di
Dio, per gustare e relazionarsi in un rapporto speciale. Questa la
sposa, la chiesa dei primogeniti, le primizie.
(Conclusione)
Tutto quel che abbiamo scritto, vuole avvicinarci ad una relazione
spirituale superiore a quella che si insegna generalmente nelle
chiese. Non per declassare il loro insegnamento, ne per dire male.
Ma dobbiamo sapere che ogni volta che Dio ha mandato un
ministero, atto a dare una importante dispensazione (messaggio),
i seguaci, nel tempo, si sono indeboliti nella realtà del messaggio
ricevuto, della sua integrità e potenza. In altri casi, Dio ha
incominciato gradualmente dando un poco di luce, per poi
continuare e continuare con altri servi, a Lui graditi, dando di più,
e i seguaci del servo precedente, si sono dimostrati ostili a voler
continuare nel miglioramento e perfezione.
Dopo tutto ciò che abbiamo ricevuto dal risveglio
pentecostale e dal profeta che Dio ha mandato, sulla promessa
Biblica di Malachia 4:5,6, possiamo meglio inquadrare la volontà
di Dio. Siamo per questo più responsabili di fronte la rivelazione
che abbiamo ricevuto. Questo libro vuole aiutare chi ha compreso
questo principio, a sollevarsi dal “suo” capitolo “sei” e passare nel
“Suo” capitolo “sette”. Vivere veramente la vita dello Spirito.
Questo messaggio ci invita a ritornare alla Parola e al personaggio,
come Parola vivente. Possa Iddio benedirvi tutti caramente.
Fr. Giancarlo Larossa.
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(Indice)
Introduzione. P. 1
Capo, 1 P. 2
Capo, 2 P. 17
Daniele interpreta il sogno. P. 25
Capo, 3 P. 30
Capo, 4 P. 35
Il sogno si compie. P. 37
Capo, 5 P. 38
Capo, 6 P. 42
Daniele nella fossa dei leoni. P. 46
Conclusione dell’opera. Capo 7 P. 56
Capo, 8 P. 63
Capo, 9 P. 65
Capo, 10 P. 67
Messaggio del soccorso angelico. P. 72
Capo, 12 P. 80
Conclusione. P. 85
Dicembre 2012
Giancarlo Larossa
www.parolaviva.com