Cuaderns d'Italià - 10 (2005) - Leggere Vincenzo Consolo

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     Àrea de Filologia Italiana

    UNIVERSITAT DE BARCELONA

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    Leggere Vincenzo Consolo

    Llegir Vincenzo Consolo

    Q  uadernsD Italià ’

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    Í ndex Quaderns d’Italià Núm. 10, p. 1-266, 2005, ISSN 1135-9730

    5-6 Presentació

    7-8 Premessa  

    Dossier

    11-17  Vincenzo ConsoloLa grande vacanza orientale-occidentale

    19-30 Maria AttanasioStruttura-azione di poesia e narratività  nella scrittura di VincenzoConsolo

    31-47 Eduard Vilella Nostos y laberinto

    49-61 Paola CapponiDella luce e della visibilità . Considerazioni in margine all’opera diVincenzo Consolo

    63-77 Miguel Ángel CuevasUt pictura : el imaginario iconográ fico en la obra de VincenzoConsolo

    79-94 Rossend Arqués

    Teriomorfismo e malinconia. Una storia notturna della Sicilia:Nottetempo, casa per casa di Consolo

    95-111 Giovanni AlbertocchiDietro il Retablo: «Addio Teresa Blasco, addio Marchesina Beccaria»

    113-126 Nicolò Messina Per una storia di Il sorriso dell’ignoto marinaio di Vincenzo Consolo

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    4 Quaderns d’Italià  10, 2005   Í ndex 

    Creació

    129-130  Vincenzo Consolo

    Il miracolo Articles

    133-148 Tullio De MauroCome parlano gli italiani

    149-169 Emilio D’AgostinoGrammatiche lessicalmente esaustive delle passioni. Il caso dell’Iocollerico. Le forme nominali

    171-193 Enrico FenziIl canto XXX dell’Inferno

    195-218 Francisco J. Rodríguez RisqueteBorges: fervor de Dante

    219-241 Pep ValsalobreUna cort italianitzant a València. Notes sobre la recepció d’ Ariosto

    a Espanya Nota 

    245-248 Ricciarda Riccorda Sull’epistolario di Carlo Gozzi (in attesa del centenario)

    Ressenyes

    249-251  Violeta Díaz-Corralejo. Los gestos en la literatura medieval (Chiara 

    Cappuccio)251-253 Francesco Furlan. Studia albertiana. Lectures et lecteurs de

    L.B. Alberti (Marcello Ciccuto)

    253-256 Giacomo Leopardi. Cants (Rossend Arqués)

    256-257 Italo Svevo. La conciencia de Zeno (Piero Dal Bon)

    257-259 Elisa Martínez Garrido (a cura di). Elsa Morante. La voce di una 

    scrittrice e di un’intellettuale rivolta al secolo  XXI (Attilio Manzi)260-261 Dino Buzzati. Seixanta contes (Francesco Ardolino)

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    Quaderns d’Italià  10, 2005 263-264

    NORME TIPOGRAFICHE E CRITERI EDITORIALI

    Tutti i contributi che verranno proposti alla redazione dovranno pervenire per

    mail oppure in copia cartacea e su supporto elettronico in dischetto 3 1/2 perPC con documento in formato Word 6.0 o 7.0 per Windows (o comunquefacilmente convertibile).

    Se non previamente concordato, il testo non dovrà  superare le 40.000 battu-te (note a pié di pagina comprese). Si prega di usare il carattere Times New Roman o il Courier New in corpo 12 con interlinea 1,5. I margini del docu-mento saranno tutti di 2 cm. (in alto, in basso, a destra e sinistra). Il titolo

    andrà  in maiuscolo mentre il nome e il cognome dell’estensore saranno ripor-tati in corsivo e seguiti nella riga successiva dal nome dell’università  o dell’en-te di appartenenza e, a discrezione dell’autore, dall’indirizzo di posta elettronica.

    Insieme al testo si dovrà  consegnare (in un file diverso) un abstract dell’articoloe alcune parole-chiave (non più di 5).

    CITAZIONI

    Le citazioni interne al testo, se brevi, saranno inserite fra virgolette caporali («…»);se lunghe, andranno in corpo minore (10) con interlinea 1 e rientro di 1 cm.Le virgolette alte (“…”) si useranno per le citazioni interne ad altre citazioni.

    I titoli delle poesie andranno sempre in corsivo, come pure i termini stranie-ri non accettati in italiano.

    L’esponente del rinvio per le note a pi

    é di pagina verr

    à  inserito dopo la pun-teggiatura e le parentesi ma precederà  sempre la lineetta, come nei seguenti

    esempi:

    Ne parleremo in seguito.1

    Non serve aggiungere (e sia detto tra parentesi)2 nient’altro.Non è necessario — tranne in pochissimi casi3 — specificare ulteriormente la que-stione.

    I riferimenti bibliografici andranno esplicitati in nota, segnalando per estesonome e cognome (quest’ultimo in maiuscoletto) dell’autore, luogo di edizio-ne, anno, pagina/-e (p.). Si prega di riportare integralmente il numero dellepagine: p. 345-347 e non 345-47. Se si fa riferimento ad un’edizione successiva alla prima sarà  bene indicarlo aggiungendo un esponente all’anno di pubbli-cazione e riportando fra parentesi quadre la prima edizione. Ci si può basare sulseguente modello:

    Francesco ORLANDO, Per una teoria freudiana della letteratura , Torino: Einaudi,19873 [1973], p. 130-131.

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    I titoli degli articoli vanno inseriti fra virgolette caporali mentre i titoli delleriviste andranno sempre in corsivo come nell’esempio:

    Cesare SEGRE, «La critica semiologica in Italia », Quaderns d’Italià , n. 1, 1996,p. 21-28.

    Nel caso di volume collettivo si dovrà  specificare il nome del curatore segui-to, senza virgola interposta, dalla formula: (a cura di). Per la citazione di unsingolo articolo ci si atterrà  a questo criterio:

    Giorgio B À RBERI SQUAROTTI, «Il simbolo dell’artifex », in Emilio M ARIANO (a cura di), D’Annunzio e il simbolismo europeo. Atti del convegno di studio Gardone Rivie-

    ra (14-15-16 settembre 1973), Milano: Il Saggiatore, 1976, p. 163-196.

    Si cercherà  sempre di evitare la formula AA.VV.

     ALTRI SEGNI DIACRITICI

    Si eviterà  sempre l’uso delle sottolineature.

    Si eviterà  sempre di usare l’apostrofo al posto dell’accento con le lettere maiu-scole (per cui si scriverà  È e non E’, ecc.).

    Si cercherà  di differenziare graficamente il trattino dalla lineetta. Es.:

    Facendo attenzione a questi segni — per quanto possibile — si eviteranno ulte-riori problemi.

    dizionario italiano-spagnolo.

     ABREVIAZIONI E SIMBOLI

    Cfr. (evitare v. o vd.)n. = numero/-ifasc. = fascicoloibid. = stesso testo (con ulteriore specificazione di pagina)

    ID. = stesso autoreop. cit. / cit.vol. = volume/-ip. = pagina/-e

     passim

    264 Quaderns d’Italià  10, 2005

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    Q UADERNS D’ITALI À Universitat Autònoma de Barcelona. Servei de Publicacions

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    Quaderns d’Italià  10, 2005   5-6

    Presentació

    La part monogrà fica del present número és el resultat de les jornades d’estudiVincenzo Consolo: Per i suoi 70 (+ 1) Anni, que Miguel Á ngel Cuevas va orga-nitzar l’octubre passat a la Universitat de Sevilla. L’escriptor sicilià  és presenten aquestes pà gines no només com a objecte dels diferents treballs crí tics, sinóque també hi interv é com a autor de dos relats, «La grande vacanza orientale-

    occidentale» i «Il miracolo». El primer va aparèixer a Alias , suplement d’Il  Manifesto, l’agost de 1999, i va ser publicat després en una versió ampliada enuna edició en petit format. El text que s’ofereix aquí  és el que Consolo va lle-gir en la cloenda de les jornades sevillanes, amb aparat de notes a cura de NicolòMessina. El segon relat, «Il miracolo», en canvi, és completament inèdit i cons-titueix un esplèndid regal que l’autor ha fet a la nostra revista.

    La secció crí tica s’obre amb un article de Maria Attanasio, que identifica les cadències poètiques en la prosa narrativa de l’escriptor sicilià . En el feno-

    men s’observaria una opció ideològica concreta per la qual, a trav és de la poe-sia, l’autor rebutja l’homologació amb la llengua «tecnologicoempresarial» ambquè la societat actual s’expressa.

    Nicolò Messina proposa un article de carà cter estrictament filològic, queté per objecte la reconstrucció de la g ènesi d’Il sorriso dell’ignoto marinaio,posant en ordre «materials escampats, més o menys coneguts, i afegint-hi ambcautela alguns elements nous».

    El tema homèric del nostos  és el nucli de l’estudi d’Eduard Vilella: el viat-

    ge de retorn es configura com un mapa constant de referències en l’obra deConsolo i af í , segons Vilella, al del laberint, tal com s’observa en la seva anà li-si de l’episodi de la presó en espiral present a Il sorriso dell’ignoto marinaio.

    Giovanni Albertocchi s’ocupa de Teresa Blasco, la dona de qui s’enamora Fabrizio Clerici a la novel·la Retablo. Es tracta d’un personatge real, la insòli-ta biografia del qual es reconstrueix a trav és sobretot dels epistolaris de Cesa-re Beccaria i dels germans Verri.

    Segons Paola Capponi, el contrast entre llum i ombra present en les obres

    de Consolo delinea un recorregut de llocs literaris i de sí mbols que defineix la relació entre Milà  i Sicí lia i entre present i passat.

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    6 Quaderns d’Italià  10, 2005 Presentació

    Per a Miguel  Á ngel Cuevas, la complicitat entre escriptura i referències ico-nogrà fiques no és només monopoli d’Il sorriso…, sinó una una constant temà -tica de tota la seva obra narrativa.

    L’article de Rossend Arqu

    és es proposa com a lectura de Nottetempo, casa per casa , basant-se en el substrat mí tic i iconogrà fic lligat a les figures de l’«home

    llop» i del «boc».

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    Quaderns d’Italià  10, 2005   7-8

    Premessa 

    La sezione monografica di questo numero è il risultato delle giornate di stu-dio: Vincenzo Consolo: per i suoi 70 (+ 1 anni), che Miguel  Á ngel Cuevas orga-nizzò nell’ottobre dello scorso anno nella Universidad de Sevilla. Lo scrittoresiciliano è presente in queste pagine, non solo come soggetto dei vari inter-venti critici, ma anche come autore di due racconti, La grande vacanza orien-

    tale-occidentale ed Il miracolo. Il primo, apparso su Alias , il supplemento deIl Manifesto, nell’agosto del 1999, è stato successivamente pubblicato in una ver-sione ampliata in una edizione di piccolo formato. Il testo qui riportato è quel-lo che Consolo ha letto a conclusione delle giornate sivigliane, con in più unapparato di note esplicative curato da Nicolò Messina. Il secondo racconto,Il miracolo, è invece assolutamente inedito e costituisce un prezioso regalo cheVincenzo Consolo ha fatto alla nostra rivista.

    La sezione critica si apre con un contributo di Maria Attanasio, che rintrac-

    cia cadenze poetiche nella prosa narrativa dello scrittore siciliano. Si tratta di una scelta ideologica in quanto, attraverso la poesia, l’autore rifiuta l’omologazionealla lingua «tecnologica-aziendale» attraverso cui si esprime la società  attuale.

    Di carattere squisitamente filologico è l’articolo di Nicolò Messina che si pro-pone di ricostruire la genesi de Il sorriso dell’ignoto marinaio, dando sistemati-cità  a «materiali sparsi, più o meno noti, e aggiungendovi con cautela, alcunielementi nuovi».

    Il tema, omerico, del nostos  è al centro dello studio di Eduard Vilella: il viag-

    gio di ritorno si configura come una mappa costante di riferimenti della nar-rativa di Consolo, affine, secondo Vilella a quello del labirinto, come si evincedall’analisi dell’episodio del carcere-spirale presente ne Il sorriso dell’ignoto marinaio.

    Giovanni Albertocchi si occupa di Teresa Blasco, la donna di cui si innamora Fabrizio Clerici nel romanzo Retablo. Si tratta di un personaggio reale, di cuisi ricostruisce, basandosi soprattutto sugli epistolari di Cesare Beccaria e deifratelli Verri, l’insolita vicenda biografica.

    Secondo Paola Capponi, il contrasto fra luce-ombra, presente nelle opere

    di Consolo, delinea un percorso di luoghi letterari e di simboli che definisce ilrapporto tra Milano e la Sicilia e tra il presente ed il passato.

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    8 Quaderns d’Italià  10, 2005 Premessa  

    Per Miguel  Á ngel Cuevas, la complicità  fra scrittura e rimandi iconografi-ci non è solo monopolio de Il sorriso… ma una costante tematica dell’intera sua opera narrativa.

    L’articolo di Rossend Arqu

    és si propone come lettura di Nottetempo, casa  per casa , basandosi sul sostrato mitico ed iconografico legato alle figure del

    «luponario» e del «caprone».

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    Quaderns d’Italià  10, 2005   11-17

    La grande vacanza orientale-occidentale1

    Vincenzo Consolo

    Una costa diritta, priva di insenature, cale, ai piedi dei Nèbrodi alti, verdi d’a-grumi, grigi d’ulivi. Una spiaggia pietrosa e un mare profondo che a ogni spi-rare di vento, maestrale, tramontana o scirocco, ingrossava, violento muggiva,coi cavalloni sferzava e invadeva la spiaggia. Era un correre allora dei pescato-ri dalle loro casupole in fila là  oltre la strada di terra battuta, era un chiama-re, un clamoroso vociare. Le donne, sugli usci, i bambini2 in braccio, ansiose

    osservavano. I pescatori, i pantaloni fino al ginocchio, tiravano svelti le bar-che, in bilico sui parati,3 fino alla stradina, fin davanti ai muri delle case. D’in-verno era ferma la pesca, le barche stavano sempre tirate sulla spiaggia. Una accanto all’altra, il nudo albero contro il cielo, gli scalmi consunti, strisce elosanghe lungo i fianchi, grandi occhi stupefatti o poppute sirene alle prore.Era il Muto il pittore di barche. Con buatte4 e pennelli, la mano ferma, l’oc-chio appuntato, faceva spuntare sul legno purrito5 quelle sue creature fanta-stiche. Ferma la pesca per il mare furioso, i pescatori dovevano allora piegarsi

    a un altro lavoro. Andare, in novembre, in dicembre, dentro i frantoi. Li vede-vi salire in paese, passar per le strade un po’ mesti, avviliti, entrare nei magaz-zini dei padroni di terre per fare i facchini. Col sacco unto a cappuccio,

    1. Uscito dapprima su Alias , 32, 12-13, supplemento di Il Manifesto, 7 agosto 1999 (d’ora inpoi 1999 ), con l’occhiello editoriale: «Le spiagge di Consolo. Un periplo dell’adolescenza inmare, dai Nèbrodi a Naxos a Mozia », il racconto — con lo stesso titolo, ma in una versio-ne ampliata — ha poi circolato in formato di minuscolo libro. Il lepidum novum libellum è

    stato pubblicato da una nota libreria partenopea in un’apposita collana:

    «Storie in trenta-duesimo. III», Napoli: Edizioni Libreria Dante & Descartes, 2001 (d’ora in poi 2001). Il testo

    qui riportato è quello che, a conclusione delle giornate di studio sivigliane, lo stesso A. ha letto ricorrendo a 2001, di cui cosí  potrebbe considerarsi l’apografo salvo però indicazio-ne contraria. Nell’attuale edizione le eventuali varianti sono, nel testo, segnalate dal corsi-vo e, nelle note, identificate dalla data di quelle precedenti. Note a cura di Nicolò Messina.

    2. bimbi 1999 .3. Tecnicismo marinaro. Grossi pezzi di legno, su cui poggiano altri assi, utilizzati per tirare in

    secco o varare le imbarcazioni.4. Adattamento di sic. buatti , pl. di buatta  «(recipiente di) latta », di chiara ascendenza transalpina:

    cfr. fr. boite . Sono qui le latte di vernice per dipingere e decorare le fiancate delle barche.5 Adattamento di sic. purritu «imputridito, marcio, fradicio».

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    12 Quaderns d’Italià  10, 2005 Vincenzo Consolo

    portavano a spalla pesi enormi d’olive, sansa, otri grondanti. Con la buona stagione, riprendeva la pesca. Salpavano al vespero, con cianciòli,6 lampare,7

    andavano a forza di remi a ottanta, novanta passi per la pesca di sarde e anciò-

    ve.8

    Le lampare, la notte, una appresso all’altra all

    ’orizzonte, sembravano la luminaria per la festa del Santo. Ed erano sferzate, a tempo, dalla fascia lucen-

    te del faro di Capo d’Orlando. Gli altri due fari remoti, di Cefalù e Vulcano,quand’era sereno, sciabolavano lievi incrociandosi in mare. Ma contro la pesca v ’era anche la luna, quando crescendo giungeva al suo pieno, e tonda, sfaccia-ta, schiariva ogni tenebra, suscitava dai fondali ogni branco, assommava 9 perla vastità  del mare i pesci allocchiti.10

    E pure nella stagione11 capitava il fortunale. Nuvoloni s’ammassavano, gra-

    vavano sull’acqua, vorticavano a tromba, lampi e tuoni segnavano il fondo. Ilmare improvviso gonfiava, mugghiava, sulle creste spingeva, nei valloni affos-

    sava gozzi e caicchi,12 l’onda violenta schiumava contro le pietre della spiag-gia. Suonavano allora le campane,13 del Castello,14 della Matrice, e tuttiaccorrevano sulla spiaggia con corde e torce, in aiuto dei pescatori in pericolo.

     Amavo quella spiaggia del mio paese, amavo la vita di mare dei pescatori, purnon essendo della marina, ma d’altro ambiente e quartiere, di quello centraledi proprietari, bottegai, artigiani. La fascia più alta, delle ultime balze dei colli,

    era invece di contadini, carrettieri, ortolani.Tre quartieri, tre mondi separati tra loro, che s’univano15 soltanto in occa-sioni di feste e calamità , incendio o naufragio, che tutti smuoveva.

    6. Tipo di rete circolare per la pesca notturna, simile alla lampara intesa lato sensu (cfr. infra).7. Grosse lampade ad acetilene o gas per la pesca notturna di pesci e cefalopodi, attirati appun-

    to dalla loro luce; per estensione, anche le imbarcazioni munite di lampade ovvero le reti usate.Termine di non stretto uso meridionale.

    8. Adattamento di sic. anciovi , pl. di anciova  «acciuga, alice», quasi calco di cat. anxova conl’opposizione /t∫ /: /∫ / nel segmento mediano. Cfr. anche sp. anchoa . Conferma l’originecatalana Alberto V  À RVARO, Vocabolario etimologico siciliano, I, con la collab. di Rosanna SORNICOLA , Palermo: Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 1986, p. 50-52. Cfr.inoltre Andreas MICHEL, Vocabolario critico degli ispanismi siciliani , Palermo: Centro diStudi Filologici e Linguistici Siciliani, 1996, p. 216.

    9.   È l’assommare marinaresco «tirare a galla, tirare su dal fondo». Cfr. anche nell’uso intrans.sic. assummari  «venire a galla, in superficie».

    10. Come è noto, allocchito vale «allibito, sbalordito, attonito», con allusione ai grandi occhidell’allocco, rapace notturno del genere Strigiformi. Ma come escludere il palpitare in sostra-

    to di sic. alluccuti nel senso piú

     pregnante di«storditi, intronati

    »?11. Nella copia personale di 1999 , conservata nell’ Archivio Consolo (d’ora in poi 1999 Archi-

    vio) e verosimilmente compulsata prima di 2001, l’ A. pare voler precisare, interpolandocosí  a matita: nella buona stagione . L’aggiunta non passa però in 2001, né pertanto vienequi trà dita. La lezione unanime sembra peraltro calco di sic. a staciuni , «l’estate»: la sta-gione per eccellenza del bel tempo, proprio il periodo che l ’ A. rimemora. D’altronde il«tempo» ricordato è chiarito un po’ piú sopra, là  dove si legge appunto: con la buona sta-

     gione .12. Imbarcazione di tipo orientale, a vela o remi (< turco kayik ).13. campane, con /,/ biffata a matita 1999 Archivio.

    14. castello 1999 , castello corretto a matita Castello 1999 Archivio.15. s’univan 1999 . Al settenario (che […] soltanto) rinuncia 2001.

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    La grande vacanza orientale-occidentale Quaderns d’Italià  10, 2005   13

    Le vacanze, les grandes vacances , secondo le professeur , che indicavano untermine, mentre in me le immaginavo e volevo d’un tempo infinito, le passa-vo giorno e sera su quella spiaggia pietrosa coi figli dei padroni di barche, pesca-

    tori da sempre, generazione dopo l’altra, ciascuno con storie, imprese, leggende,nomi e soprannomi precisi: Corso, Contalà nno,16 Scaglione…17 Più tempo

    in acqua passavo con loro che sopra la terra, con loro sul gozzo a remare, anda-re da una parte o dall’altra, verso Acquedolci, Caronia ,18 a Torre del Lauro overso Torrenova,19 Capo d’Orlando,20 Gioiosa … Andavamo il giorno, conami ed esche, a ricciòle,21 à iole,22 pettini, e la sera 23 con lontro24 e acetilene, a tòtani e calamari. Tornavamo inzuppati per gli spruzzi rabbiosi di quelle bestieappena fuori dall’acqua.

    Su quella spiaggia era la mia libera vita, più

     bella, ma in essa era anche ilricordo recente del tempo più nero: su quel mare, quella spiaggia era passata la guerra. Dal mare venivano i lampi, i fischi allarmanti, gli scoppi che fracassa-rono case. Nel mare mitragliarono la barca dei Corso, ferirono uomini. Fuallora che la gente si mise a sfollare, sparpagliarsi per le campagne, a Valle-bruca, Fiorita.25 Sulla spiaggia il mare rigettò un morto annegato, un tedesco,corroso alla testa, alle mani, il gonfiore del corpo che premeva contro il panno,i bottoni della divisa, le nere polacche,26 gli pendeva dal collo un cordone a 

    cui era appeso un fischietto. Lo coprirono i militi con un pezzo di vela. Dalmare sbarcarono gli anfibi con sopra gli americani, bianchi, neri, donne conbiondi capelli che scendevano da sotto l’elmetto.

    Poi la vita si staccò da quella spiaggia, dai compagni, dalle avventure. Rien-trai nel centro e, acculturato, fui preso dal desiderio di conoscere il mondoche mi stava alle spalle, la terra che si stendeva al di là  della barriera dei Nèbro-

    16. Contallà nno 1999 .17. Corso, Contallà nno, Scaglione sottolineati a matita 1999 Archivio.18. Caroni 2001, Caronia 1999 . In 2001, indubbio refuso tipografico facilmente emendabi-

    le. Si tratta infatti di Caronia, ovviamente Marina, frazione del Comune di Caronia (prov.di Messina) come le altre due località : Acquedolci e Torre del Lauro.

    19. Torrenova: 1999 , Torrenova: corretto a penna nera Torrenova, 1999 Archivio.20. D’Orlando 1999 .21. Adattamento di sic. rriccioli , pl. di rricciola  «leccia o seriola », specie di pesce della famiglia 

    dei Carangidi (Seriola dumerili ).22. L’accento diacritico evita di confondere con l’omografo it. aiòle , variante di aiuole , il lemma 

    sic. adattato aiuli , pl. di aiula  «

    mormora », tipo di pesce (Litognathus mormyrus ).23. sera, 1999 .

    24. Assente anche dall’autorevole Grande Dizionario della Lingua Italiana , è ancora una volta unsicilianismo adattato. Cfr. Vocabolario Siciliano, ed. Giorgio PICCITTO e continuatori, II,Catania — Palermo: Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani, 1985, p. 542, s.v.lòntraru e lontru «rete per la pesca dei totani». L’informazione non sembra però corretta,perché il lontro serve per la pesca dei cefalopodi in generale, ma non è una rete, bensí  unattrezzo dal corpo affusolato con una o due corone di ami rivolti verso l’alto. Il terminericorre anche in Campania, dove però designa un’imbarcazione dal fondo piatto e con la prua rialzata, adatta alla navigazione in acque fluviali o lacustri.

    25. Fiorita. Sanguinera aggiunto in margine a matita 1999 Archivio.26. polacche. 1999 . Adattamento di sic. polacchi , pl. di polacca , it. polacchina  «stivaletto».

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    14 Quaderns d’Italià  10, 2005 Vincenzo Consolo

    di. Immaginai quella terra come una infinita teoria di rovine, di antiche città ,di teatri, di templi al sole splendenti o bagnati dal chiarore lunare, immersi inimmensi silenzi.

    Silenzio come quello di Tindari, su alla chiesetta della nera Madonna 27

    sulciglio roccioso del colle che netto precipita in mare.28 E nella greca città  chealta domina il golfo, sta di fronte a Salina, Vulcano, Lipari, celesti e traspa-renti sull’orizzonte. Nella cavea del Teatro, risuonavano i miei passi e, al Gin-nasio, le statue acefale, togate là  sotto l’arco, erano fantasmi che mi venivanoincontro da un tempo remoto.

    Silenzio, solitudine, estraneamento ancora giù in basso nella landa reno-sa,29 fra le dune e i laghi marini d’ogni verde e azzurro, nel folto di canne da cui

    svolavano gabbiani e garzette.30

    Sull’aperta spiaggia erano legni stinti, calci-nati, relitti di barche che un qualche fortunale aveva travolto, sospinto su quel-

    le sabbie.Brulich ìo e clamore incontrai invece a oriente, a Naxos, Taormina, Sira-

    cusa, Gela e pure nel cuore dell’isola, a Enna e Casale di Piazza Armerina. Ildeserto, il silenzio era all’interno tra una stazione e un’altra, i soli rumori, inquella nudità  infinita, in quel giallo svampante, lo sferragliare, sbuffare e fischia-re del treno.

    Un trenino mi portò ancora a Segesta, a Selinunte, a Marsala. In questo«porto di Allah», sapevo, avrei dovuto incontrare il Minosse prima d’esserproiettato, oltre il breve braccio di mare, su Mozia. Bussai alla porta e fui intro-dotto in un piccolo studio. Apparve poi l’uomo imponente, che rispose al salu-to31 con un cenno del capo. Si sedette dietro la scrivania e mi scrutò per unpo’. Cominciò quindi, severo, a fare32 domande:33 chi ero, da dove venivo,che sapevo di Mozia, dei Fenici, quale interesse mi spingeva a visitare l’isola dello Stagnone. Risposi puntuale a ogni domanda. M’osserv ò ancora, e comin-

    ciò quindi a dire: cos ì giovane in giro da solo, e non avevo con me neanche

    27. È la nigra et formosa del cap. I di Il sorriso dell’ignoto marinaio, Milano: Mondadori, 2004,p. 11: «Ora, sopra la rocca, sull’orlo del precipizio, il piccolo santuario custodiva la nigra Bizantina, la Vergine formosa chiusa nel perfetto triangolo del manto splendente di grana-ti, di perle, d’acquemarine, l’impassibile Regina, la muta Sibilla, lí bico èbano, dall’unicogesto della mano che stringe il gambo dello scettro, l’argento di tre gigli.»

    28. Cfr. Salvatore Q UASIMODO, Vento a Tindari , v. 2-3 e 6: «mite ti so | fra larghi colli pensile

    sull’acque | dell

    ’isole dolci del dio?[

    …] | Salgo vertici aerei precipizi

    ».29. Agg. derivato da rena  «sabbia », esito di [l’a ]rena < l’arena . La forma piena del lemma, senza 

    l’errata discrezione dell’articolo, è un crudo latinismo, calco letterario di lat. (h)arena . Purtuttavia si avanza anche l’ipotesi non certo audace di un semplice adattamento di sic. rrinusu< rrina , unico modo dato ai siciliani di significare «sabbioso, sabbia ». Il collocarsi in un’a-rea di contatto tra diacronismo alto e colto e diatopismo ancora vivo e usato in forma adat-tata non è tendenza infrequente in Consolo e può anzi considerarsi uno dei tratti distintividella sua lingua.

    30. Uccello del genere Egretta, airone minore.31. salute 1999 .

    32. far 1999 .33. le domande: 1999 .

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    La grande vacanza orientale-occidentale Quaderns d’Italià  10, 2005   15

    un baedeker,34 una macchina fotografica come tutti i turisti, neanche un cap-pello di paglia per il sole cocente… Scosse la testa, sorrise, prese quindi la penna scrisse su un foglio. Il colonnello Lipari, amministratore della famiglia 

    inglese Whitaker, proprietaria di Mozia, mi aveva finalmente dato il permes-so di accedere all’isola. Mi portai sul molo dello Stagnone, fra i cumuli delsale, mi misi a sventolare il fazzoletto. Si staccò dopo un po’ una barca dall’i-sola e puntò verso il molo. L’uomo ai remi mi aiutò a salire. Nel tragitto, sivedeva il fondo basso del mare, spiccavano tra l’ondeggiare delle poseidonie ibianchi lastroni di pietra dell’antica strada sommersa.

     All’approdo, l’uomo mi disse che al tramonto avrebbe suonato una campana,che era quello il segnale della chiusura, dell’ultima barca per tornare all’Infer-

    s a,35

    la salina di fronte. Andai lungo le mura di calcare coi capperi cascantidagli interstizi, lambite dal mare, salii sulla scala della torre, oltre la postier-la,36 giunsi alla porta 37 che introduce alla strada per il Santuario. Tutto intor-no allo spiazzo dei basamenti, dei blocchi di pierta e del pietrame dell’area sacra era un verde tappeto di giummà re38 sovrastato dai pini di Aleppo, e da quelverde s’alzavano stormi di gazze e calandre.39 Per la fornace dei vasai giunsi poialla Necropoli e al Tofet. Affioravano qui le bocche dei vasi imprigionati nel ter-reno argilloso, urne contenenti le ossa dei fanciulli che quei Fenici sacrifica-

    vano alla gran madre Astarte o al gran padre Baal. Furono i Siracusani che,dopo la vittoria di Imera, imposero a quei «barbari» di cessare il rito crudele.E Montesquieu, nel suo Esprit des lois , cos ì esultava: «Le plus beau traité depaix dont l’histoire ait parlé est, je crois, celui que Gélon fit avec les Carthaginois.Il voulut qu’ils abolissent la coutume d’immoler leurs enfants. Chose admira-ble!…»40

     Ammirevole s ì, quel trattato, ma l’illuminato barone francese dimentica-va che quegli stessi Siracusani, dopo la vittoria, avevano crocifisso tutti i greci

    che avevano combattuto accanto ai Fenici-Cartaginesi. È crudeltà , massacro,orrore dunque la storia? O è sempre un assurdo contrasto? Quei fenici41 che

    34. Deonomastico allusivo al libraio-editore tedesco Karl Baedeker (1801-1859), fondatore diuna collana di guide turistiche tascabili per viaggiatori dell’Ottocento. Uso ironico-coltodel sinonimo comune guida , che fa pensare alla seriosità  dei tanti visitatori centro e nor-deuropei del sito archeologico di Mozia. Il giovane Consolo ha un’aria ben diversa, non ha certo l’attrezzatura di rigore, ma è pur sempre animato da grande curiositas .

    35. Inferra 1999, 2001. Refuso tipografico passato dall’una all

    ’altra edizione e da emendare.È una delle due saline di fronte all’isola. L’altra è la salina Ettore.

    36. La piccola porta secondaria nei pressi della monumentale Porta nord della città  di Mozia.37. Porta 1999 .38. Adattamento di sic. ggiummari , pl. di ggiummara  «palma nana » (Chamaerops humilis ), palma 

    dalle foglie palmate e pieghettate.39. Uccello del genere Melanocorifa che si fa notare per il canto.40. la costume 2001, 1999 . Il brano (De l’esprit des lois , ed. Laurent V ERSINI, Libro X, cap. V)

    è citato anche nell’episodio In Mozia de’ Fenici di Retablo, Palermo: Sellerio, 1987, p. 121.Da Retablo si rileva la lezione corretta la coutume contro l’altra, in cui il trascurabile refuso

    tipografico sarebbe tutt’al piú agevolvemente emendabile in le costume .41. Fenici 1999 .

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    sacrificavano i loro figli agli dèi erano quelli che avevano inventato il vetro ela porpora, e la scrittura segnica dei suoni, aleph, beth, daleth… l’alfabeto chepoi usarono i greci e i latini, usiamo anche noi, quei Fenici che, con i loro

    commerci, per le vie del mare portarono in questo Mediterraneo occidentalenuove scoperte e nuove conoscenze. A Porta Sud scoprii quindi la meraviglia di quel luogo, il Cothon, il porto

    artificiale di quegli avventurosi navigatori, di quei sagaci commercianti. Era una piscina rettangolare in cui dal mare, per un breve canale, affluiva l’acqua.

     Ai quattro lati, sui bordi, i blocchi squadrati, s’ergevano le mura di magazzini,darsene, s’aprivano scale. Non resistetti e mi tuffai in quell’acqua spessa di sale,nuotai e sguazzai in quel porto fenicio. Al sole poi, davanti a quel mare sta-

    gnante, mi sembrava di veder sopraggiungere, a frotte, le snelle barche dallevele purpuree, il grande occhio apotropaico dipinto sulle alte prore. Occhicome quelli che dipingeva il Muto sulle barche dei pescatori del mio paese.42

    L’ultimo approdo43 della lontana mia estate di privilegio — privilegioarcheologico come quello ironicamente invocato da Stendhal, a me conces-so da un padre benevolo — fu fra le rovine di Selinunte. Dal mattino al tra-monto vagai per la collina dei templi, in mezzo a un mare di rovine, capitelli,frontoni, rocchi di colonne distesi, come quelli giganteschi del tempio di Zeus

    che nascondevano sotto l’ammasso antri, cunicoli; e fra boscaglie d’agave,mirto intorno ai templi di Hera, d’ Atena … Raggiunsi poi, sotto il sole dimezzogiorno, l’ Acropoli sull’altra collina oltre il Gorgo di Cottone, esploraialtri templi, are, case e botteghe, percorsi strade, piazze, tutta la cinta mura-ria, quelle mura per cui erano penetrati i soldati d’ Annibale e avevano distrut-to la superba città . Sostai al fresco di una postierla per mangiare il panino,bere la gassosa, ormai calda e schiumante. Formiconi trascinavano sopra ilgrasso terriccio le molliche di pane. Dopo la sosta di fresco e ristoro, scivolai

    per il pendio che porta, oltre il fiume Selino, alla Gagg èra, dov ’erano i tem-pli più antichi, della Malophoros, di Ecate, di Zeus Meilichios. E poi, lungoil viottolo che costeggia il Selino, arrivai alla spiaggia di sabbia dorata, al portosepolto. E mi sembrò d’arrivare, dopo tanta calura, fatica, estraneamento peril viaggio nel remoto tempo di Selinunte, alla remissione, alla landa priva deisegni del tempo, ma che conteneva ogni tempo, compreso quello della mia memoria, di fronte all’infinito del mare, ch’era solcato di barche e, lontano, da una nave bianca, che forse andava, per quel Canale di Sicilia, verso Tunisi,

    Malta o Algeri.Per la spiaggia, affondando i passi nella vergine sabbia, m’avviai nel villag-gio di Marinella, dove giunsi quando il sole era appena calato nel mare lascian-do nel cielo un fuoco dorato. Una strada di terra battuta separava la locanda dalla trattoria di tavole e frasche costruita sulla battigia. Dissi alla padrona che vole-vo alloggiare, passare la notte, e anche mangiare.

    42. del mio paese, della spiaggia, delle spiagge perdute della mia memoria. aggiunge ed explicit 

    1999 .43. L’ultimo approdo […] illuminati dal sole. omette 1999 .

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    «Solo sei?»44 mi chiese scrutandomi. Dissi di s ì. «Iiihhh, cos ì piccirillo,45

    da solo?» Ero piccolo, s ì, di statura, e anche magrino, ma dissi a quella, riz-zando la testa, che avevo già  quindici anni.

    «Uh, va be

    ’» disse ridendo. E:

    «Siediti. Aspetta qua, che vado a preparare illetto» e traversò la strada, entrò nella locanda.

    Il mare sbatteva contro le palafitte di quel capanno e si ritraeva con lieverisacca. La solitudine e quello sciacqu ìo a cadenza mi facevano chiudere gliocchi per il sonno.

    Entrò un uomo baffuto, mi vide là  sonnacchioso.«Chi sei, che vuoi?» mi chiese. Dissi che aspettavo la signora, là  nella locan-

    da, che volevo mangiare e dormire.«Mia moglie

    » disse. E squadrandomi:

    «I soldi ce li hai?

    ».«Certo, certo

    …»e li tirai fuori dalla tasca, glieli feci vedere.

     Arriv ò un pescatore con una cesta di pesci sopra un letto di alghe.«Le sarde, le vuoi?» mi chiese il padrone. Annuii. Ne prese due misure di

    piatto fondo. Si mise poi davanti all’uscio a preparare la brace con i sarmentidi vite, arrost ì le sarde sulla graticola spalmandole d’olio, limone e origano.Quando tornò la padrona, ci sedemmo tutti e tre a un tavolo e mangiammo.Lui, il marito, ingoiando una sarda dopo l’altra con forti risucchi, beveva e

    beveva, beveva pure la moglie e anche a me diedero non so quante volte quelvino nero di Partanna.«Bevi, bevi!» diceva lui.«Bevi, bevi!» diceva lei «Mette sangue ‘sto vino, fa crescere» e rideva. Alla fine

    non sentii, non capii più nulla, crollai con la testa sul tavolo.Mi risvegliai l’indomani nel letto della locanda. Per la finestra, la prima 

    scena che vidi del mondo fu la collina dell’ Acropoli coi templi già  illuminati dalsole.

    44. Tipica Wortordnung siciliana con il verbo in posizione finale.

    45. L’adattamento di sic. picciriddu «piccolino» rende il lemma semanticamente piú compren-sibile, perché rievoca il piú noto napoletanismo piccirillo.

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    Struttura-azione di poesia e narratività  nella scrittura di Vincenzo Consolo

    Maria AttanasioScrittrice

     Abstract 

     Alla ricerca di un’espressività  nuova rispetto all’omologazione linguistica della contempo-raneità , la scrittura di Vincenzo Consolo assume le modalità  ritmiche e la densità  metafo-rica della poesia: una vera e propria struttura-azione testuale che fa interferire la lingua della memoria e la memoria della lingua, la sequenzialità  del tempo narrativo e la vertica-lità  di quello della poesia.

    Parole chiave: viaggio, storia, parola, coro, metafora, poesia.

     Abstract 

    In search of a new means of expression with respect to linguistic approval of contempo-raneity, the writing of Vincenzo Consolo takes on the rhythmic formal procedures andmetaphorical density of poetry: a true and actual textual structuration that makes languageget in the way of memory and the memory of language, the sequential nature of narrative

    time and the verticality of poetic time.Key words: journey, history, word, heart, metaphor, poetry.

    Benchè tutti i suoi libri siano traboccanti di citazioni, epigrafi e continui rife-rimenti a poeti d’ogni luogo e tempo  — da Omero a Teocrito, ad Ariosto, a Iacopo da Lentini, a Shakespeare, a Leopardi, a D’ Annunzio, a Dante, e a tanti

    altri — Vicenzo Consolo non ha mai pubblicato un libro di poesie, a diffe-renza degli altri scrittori contemporanei siciliani — Sciascia, Addamo, Bufali-no, Bonaviri, D’ Arrigo, ad esempio — la cui narrativa è stata spesso affiancata o preceduta da un’autonoma produzione poetica .

    Eppure è poeta, il più poeta tra i narratori siciliani; non si tratta di una generica liricità  che crocianamente trasborda in ogni genere, ma di una testua-lità  che, dentro le sequenze del tempo narrativo dei romanzi, e in quelle argo-mentative della saggistica, fonde libertà  espressiva e referenzialità  compositiva,

    ragioni etiche e motivazioni estetiche, ideologia e parola: immaginifica inte-razione tra la lingua della memoria, che restituisce il passato come metafora 

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    del presente, e la memoria della lingua, che, immergendosi nella lievitante stra-tificazione culturale e mitica delle parole, restituisce significatività  al linguag-gio; esemplare è in questo senso un racconto appartenente a Le pietre di 

    Pantalica , I linguaggi del bosco, in cui lo scrittore racconta l’esperienza di unfanciullo che, durante un soggiorno in campagna, apprende dalla selvatica 

    amica Amalia ad ascoltare il bosco — il suono del vento tra gli alberi, il gorgogliodell’acqua, l’oscurata parola delle bestie — e a rinominare con una lingua argo-tica ogni cosa 

    Fu lei a rivelarmi il bosco, il bosco più intricato e segreto. Mi rivelava i nomidi ogni cosa, alberi, arbusti, erbe, fiori, quadrupedi, rettili, uccelli, insetti…E appena li nominava, sembrava che in quel momento esistessero. Nomina-va in una lingua di sua invenzione, una lingua unica e personale, che ora a poco a poco insegnava a me e con la quale per la prima volta comunicava.1

    metafora della necessità  di una espressività  nuova in una contemporaneità  che,in nome del mercato e del profitto, opera, anche a livello linguistico, una mar-ginalizzazione dei valori di un mondo a carattere antropocentrico. E in questiultimi anni più che mai: la definizione di «guerra umanitaria » ad esempio, ol’umanizzazione di borse e mercati che «tremano, soffrono, si esaltano, si depri-mono, sono euforiche», ecc., mentre, ridotti a puri beni strumentali dell’eco-nomia, gli uomini sono diventati semplici «risorse», talvolta da «rottamare».

    Vincenzo Consolo ha sempre respinto la piatta orizzontalità  della lingua — quella da lui definita «tecnologica-aziendale» che, diffusa dai mezzi di infor-mazione, rende afasica la realtà  — spingendo invece la sua prosa a contami-narsi con altri generi, soprattutto con la verticalità  immaginativa e demercificata del linguaggio poetico. La poesia è infatti oggi l’unica tra le arti che non diven-ta merce, perché il suo linguaggio, traboccando sempre dalla pura formula-zione linguistica, non può mai totalmente identificarsi con quello della comunicazione: «coscienza anticipante», rispetto ai valori del proprio tempo,ma anche coscienza critica nei confronti del linguaggio del proprio tempo. La sua ricerca espressiva si muove perciò verso una scrittura che sia, insieme, espe-rienza di verità  — non di semplice realtà  — e testimonianza di libertà .

    Verità  della storia — nella storia — e libertà  della parola — nella parola — costituiscono infatti la struttura ideologicamente portante della sua narra-tività , che nella metafora del viaggio — presente e centrale in tutti i suoi libri— si congiungono, corrispondendo spesso — il viaggio e la scrittura — all’i-nizio e alla fine dello sviluppo narrativo; tappe necessarie di un processo cono-scitivo che, coniugando storia ed esistenza, diventa presa di coscienza, parola,il cui nucleo — insieme motivazione e finalità  — è sempre l’uomo, «Prima viene la vita , — scrive in Retablo — quella umana, sacra, inoffendibile, e quin-di ogni altro: filosofia, scienza, arte, poesia, bellezza …».2

    1. Vincenzo CONSOLO, Le pietre di Pantalica , Milano: Mondadori,1988, p. 155.2. Vincenzo CONSOLO, Retablo, Palermo: Sellerio, 1987, p. 131.

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    Struttura-azione di poesia e narratività  nella scrittura … Quaderns d’Italià  10, 2005   21

    Tra il primo romanzo, La ferita dell’aprile (Mondadori, 1963) e l’ultimo,Lo spasimo di Palermo ( Mondadori, 1999), il rapporto tra storia e parola — equindi il senso della metafora del viaggio — si modifica però profondamente.

    Se fino a Retablo il viaggioè avventura conoscitiva e utopia, che dilatano iltempo, ingannano la morte — la causa vera del viaggio, per Fabrizio Clerici,

    il protagonista di questo libro, «è lo scontento del tempo che viviamo, della nostra vita, di noi, e il bisogno di staccarsene, morirne, e vivere nel sogno del-l’ere passate, antiche, che nella lontananza ci figuriamo d’oro, poetiche, comesempre è nell’irrealtà  dei sogni, sogni intendo come sostanza de’ nostri desi-deri»3, nella produzione successiva perde ogni connotazione conoscitiva, diven-ta nostos, amara verifica in un «paese piombato nella notte», «nell’Europa 

    deserta di ragione»; Chino Martinez, il protagonista de Lo Spasimo di Paler-mo , ha infatti la consapevolezza che ogni viaggio è «tempesta, tremito, perdi-

    ta, dolore, incontro e oblio, degrado, colpa sepolta rimorso, assillo senza posa ».4

    La modificazione del senso della storia modifica anche quello della parola,con un’accentuazione sempre più espressiva ed espressionista del suo linguag-gio, e con un utilizzo in funzione narrativamente destrutturante, rispetto a untradizionale concetto di romanzo; un utilizzo, in questo senso, presente findalle prime opere.

    In un saggio del 1997, Il sorriso dell’ignoto marinaio vent’anni dopo, checonclude la raccolta di saggi Al di qua dal faro, scrive:

    Il suo linguaggio e la sua struttura volevano indicare il superamento in sensoetico, estetico, attraverso mimesi, parodie, fratture, spezzature, oltranze imma-ginative, dei romanzi d’intreccio dispiegati e dominati dall’autore, di tutti ilinguaggi logici, illuministci, che nella loro limpida, serena geometrizzazioneescludevano le voci dei margini.5

    Una vera e propria «struttura-azione» di poesia potentemente interviene a costituire il corpo stesso della narratività  di Vincenzo Consolo, restringendogli spazi di comunicazione, dissolvendo ogni ordinata sequenzialità  di tempie di sintassi, travalicando ogni rigida separazione tra i generi; ed emergendoin punte espressive — disancorate dalla narrazione — con due difformi e spes-so simultanei riporti: tragico nei confronti della storia, lirico nei confronti della natura; una dimensione, quest’ultima, vissuta quasi con un senso di imbaraz-zo dalla coscienza etica e ideologica dell’autore, che ne teme la smemorante eavvolgente bellezza fuori dalla storia.

    Lo scrittore sente però fortemente il malioso richiamo che da essa provie-ne: la staniante fascinazione di forme, suoni, segni, paesaggi che, intreccian-dosi o alternandosi agli echi drammatici e stridenti della storia, come una sorta di respiro profondo attraversa tutta la sua scrittura; non si tratta di una schi-

    3. Ibid., p. 177.

    4. Op. cit., p. 98.5. Vincenzo CONSOLO, Di qua dal faro, Milano: Mondadori, 2001, p. 282.

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    zofrenia espressiva, ma di una strutturale complementarietà , come comple-mentari — all’interno di una complessiva visione del mondo — sono in Dantee Leopardi, filosofia e sentimento, ideologia e poesia. E non è un caso che

    entrambi, insieme a Omero, a Eliot e a Lucio Piccolo, siano i poeti di riferi-mento più presenti nella sua scrittura, che assume talvolta il carattere di una visionaria riscrittura, pulsante di echi, parole, reperti linguistici, risalenti dalfondo del già  scritto.

    In una sorta di rarefatto silenzio leopardiano, ne Il sorriso dell’ignoto mari-naio  — mentre il bastimento con il Mandralisca e tutto il suo carico di sto-ria ed esistenze, approda davanti alla Rocca di Tindari — risuona, al di sopra dei tempi e degli spazi della narrazione, la voce visionaria dello scrittore a 

    richiamare dal buio dei millenni Adelasia , la solitaria badessa centenaria, chetorna ad aggirarsi tra le celle ormai disabitate, a interrogare invano l’immemorefluire

    Quindi Adelasia, regina d’alabastro, ferme le trine sullo sbuffo, impassibileattese che il convento si sfacesse. Chi è, in nome di Dio? — di solitaria bades-sa centenaria in clausura domanda che si perde per le celle, i vani enormi, glianditi vacanti. — Vi manda l’arcivescovo? — E fuori era il vuoto. Vorticare di giorni e soli e acque, venti a raffiche, a spira-li, muro d’arenaria che si sfalda, duna che si spiana, collina, scivolio di pietra,consumo. Il cardo emerge, si torce, offre all’estremo il fiore tremulo, diafanoper l’occhio cavo dell’asino bianco. Luce che brucia, morde, divora lati spigo-li contorni, stempera toni macchie, scolora. Impasta cespi, sbianca le rama-glie, oltre la piana mobile di scaglie orizzonti vanifica, rimescola le masse.6

    Lo stesso cosmico smarrimento dei sensi e dell’intelletto lo restituisce attra-verso il protagonista di Retablo, che, sul colle di Segesta, davanti alla grandio-

    sità  dell’arte e della natura, vede spalancarsi le inaudite voragini del tempo:

    Sedetti su lo stilòbate, fra le colonne, sotto l’architrave da cui pendeva e oscil-lava al vento il cappero, il rovo, l’euforbia, a contemplare il deserto spazio,ascoltare il silenzio spesso su codesto luogo. Un silenzio ancora più smarrenteper lo strider delle gazze, dei corvi, che neri sopra il cielo del tempio e sopra ilvuoto della gran voragine grevi volteggiano, per frinire lungo di cicale e il gor-gogliare dell’acque del Crinisio o Scamandro che dall’abisso, eco sopra eco,sonora si levava.7

    finendo con la letterale citazione di un verso de L’Infinito leopardiano.  «Esedendo e mirando…».

    C’è una circolarità  geografica nella scrittura consoliana: gli stessi luoghi— esemplari di una perduta bellezza, come i resti della grecità , o di una aggrovigliata contemporaneità , come la Palermo barocca, o la tennologica 

    6. Vincenzo CONSOLO, Il sorriso dell’ignoto marinaio, Torino: Einaudi, 1976, p. 8.7. Op. cit., p. 79.

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    Milano — ritornano ciclicamente nelle sue opere; Segesta tornerà  infatti a essere rappresentata ne L’olivo e l’olivastro:

    E là , nel centro, nel recinto aperto in ogni lato, verso ogni punto, esposto alla notte dell’estate che porta sulle brezze odori arsicci di fieni, nepitelle, porta le

    scansioni del silenzio, del buio, strida, pigolii, sprazzi verdastri, gialli, lucci-chii, aperto in alto all’infinito spazio, mi pongo arreso, supino, e vado, miperdo nella lettura stupefatta del libro immenso, in incessante mutamento,nella scritura abbagliante delle stelle, dei soli remoti, dei chiodi tremendi delmistero…..Rimango immobile e contemplo, sprofondo estatico nei palpiti,nei fuochi, nei bagliori, nei frammenti incandescenti che si staccano, precipi-tano filando, si spengono, finiscono nel più profondo nero.8

    Un testo di una straordinaria intensità  poetica; l’immagine di quei  «chio-di tremendi del mistero» resta, ad esempio, ostinata a perciare la mente: l’e-nigma dell’improvviso ritrovarsi esistenti nel tempo.

    Interminabili potrebbero essere le citazioni, tratte da tutti i suoi libri, a esemplificazione della variegata e lirica restituzione della natura; del paesag-gio soprattutto, colto in tutte le ore e le stagioni: dalla campagna alla città  almare, la cui plurale valenza simbolica nella sua scrittura meriterebbe una trat-

    tazione a parte; nella lunga e illuminante intervista, pubblicata ne La fuga dal-l’Etna (Donzelli, 1993), lo scrittore definisce infatti il mare, come un luogodi invasione e possessione della natura, dell’esistenza, dei miti e dei simboli:simboli ambigui, spesso, insieme, di valori opposti, stridenti come la vita e la morte.

    Ma la percezione del luogo nella sua scrittura non è mai orizzontale e uni-voca: nella sua spazialità  affiorano memorie, miti, scritture, esistenze, visioni;e non solo nei luoghi dell’arte o in quelli della storia, ma anche in quelli abi-

    tuali e scontati del quotidiano, come, ne Lo spasimo di Palermo , la stanza diun albergo:

    Scricchiolii, la guida scivolosa nella curva e il fiato di sempre venefico e pun-gente, mai tarme blatte, mai topi in quest’ammasso d’alberi e fasciami disarmati,forse madrepore, alghe secolari, fermenti sigillati di mari tropicali, lo sciabor-dio è nelle tubature verniciate, nel rigagnolo sotto il marciapiede. L’angustia è forzata dagli specchi, uguale gentilezza è impressa su carta tende copriletto,lo stridore è nel giallo degli eterni girasoli.9

     A volte è invece il sentimento a far scattare la tensione lirica, privilegiata-mente l’amore nelle sue diverse espressioni: come dolcissima e lacerante coniu-galità  ne Lo Spasimo di Palermo , come sconvolgente passionalità  in Retablo, ilmeno storico dei suoi romanzi, benchè ci sia anche in questo, come in tutta la sua produzione, una precisa lettura etica e di classe; nucleo motivante è, in

    8. Vincenzo CONSOLO, L’olivo e l’olivastro, Milano: Mondadori, 1994, p. 128.9. Op. cit., p. 11-12.

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    questo libro, l’esistenza, nel suo rapporto, a volte conflittuale, di ragione e sen-timento, di arte e verità ; un tema, quest’ultimo, già  fortemente presente, direicentrale, ne Il sorriso dell’ignoto marinaio.

    Ma la scrittura per Vincenzo Consolo nonè mai rotonda frontalit

    à  espres-siva, levigato specchio, ma frantumazione caleidoscopica, allusivo aggiramen-

    to, inesauribile nominazione; aldilà  della parola, resta, indicibile, il vividopulsare della vita:

    Oh mia Medusa, mia Sfinge, mia Europa, mio sogno e mio pensiero, cos’èmai questa terribile, meravigliosa e oscura vita, questo duro enigma che l’uo-mo ha sempre declinato in mito, in racconto favoloso e leggendario, per cer-car di rispecchiarla, di decifrarla per allusione, per metafora?10

    Per rappresentare il delirio amoroso di Isidoro, in Retablo , lo scrittore fa perciò interferire iperletterarietà  e leggerezza, ricerca espressiva e liricità ; scava infatti nelle sonorità  del nome Rosalia, trovando in esso occultati tutti i sensie i segni della passione. Ognuna delle due parti del nome genera infatti una appassionata proliferazione di figure d’amore; se «Rosa » è l’immaginifica sor-gente di tutti fiori, i colori, gli aromi, di tutte le sfumature di bellezza dell’amata:

    Rosa che ha inebriato, rosa che ha confuso, rosa che ha sventato, rosa che ha ròso, il mio cervello s’è mangiato. Rosa che non è rosa, rosa che è datura, gel-somino, bà lico e viòla; rosa che è pomelia, magnolia, zà gara e cardenia,… Rosa che punto m’ha, ahi!, con la sua spina velenosa in su nel core.11

    il «li» di «Lia » invece si moltiplica in una spirale di indicibili tormenti amorosi:

    Lia che m’ha liato la vita come il cedro o la lumia il dente, liana di tormento,

    catena di bagno sempiterno, libame oppioso, licore affatturato, letale pozio-ne, lilio dell’inferno che credei divino, lima che sordamente mi corrose l’ossa,limaccia che m’invischiò nelle sue spire, lingua che m’attassò come sangue cheguizza dal pietrame, lioparda imperiosa, lippo dell’alma mia, liquame nero,pece dov ’affogai, ahi, per mia dannazione.12

    Il testo non è fine a se stesso, ma fa da attacco al romanzo, immettendosubito il lettore nel cuore tematico del racconto — la vita, l’amore, l’arte — ;

    presentando i protagonisti—

     Isidoro, Rosalia, Fabrizio Clerici—

     ; e profi-lando l’antefatto e i fatti.Già  nel libro d’esordio — La ferita dell’aprile  — lo scrittore apre la narra-

    zione con una una bellissima prosa, scandita dal ritmo dell’endecasillabo: ilricordo del protagonista che rivede se stesso adolescente, in viaggio verso la vita e la consapevolezza storica:

    10. Op. cit., p. 109.

    11. Op. cit., p. 15.12. Ibid., p. 16.

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    Dei primi due anni che passai a viaggiare mi rimane la strada arrotolata comeun nastro, che posso svolgere: rivedere i tornanti, i fossi, i tumuli di pietriscoincatramato, la croce di ferro passionista, sentire ancora il sole sulla coscia, l’o-dore di beccume, la ruota che s’affloscia, la naftalina che svapora dai vestiti.13

    Una lirica dilatazione memoriale, che, con un procedimento tipico della poesia contemporanea, a volte si traduce in contratta densità  metaforica, tesa al coinvolgimento emozionale e interpretativo del lettore: esemplare è nellostesso libro la descrizione del panico dei viventi, e della natura tutta, di fron-te all’eruzione:

    La strada è occhi grandi, dilatati, fronti pesanti sull’arco delle sopracciglia,gambe invischiate lente a trascinarsi, schiene ricurve sotto il cielo basso, la mano gonfia con le dita aperte; il gallo sul pollaio che grida per il nibbio, e ilcane che risponde petulante. Il cane e un altro cane e tutti i cani: s ì, si spaccòl’Etna.14

    La presenza di incipit di poesia — in funzione lirica o tragica — aumenta sempre più, libro dopo libro, in funzione di anticipazione metaforica dello svi-luppo narrativo, come il testo, tutto assonanze e rime, che da ’ inizio al capi-

    tolo quarto di Nottetempo casa per casa :

    Nella vaghezza sua, nell’astrattezza, nella sublime assenza, nella carenza diragione, di volere, nell’assoluta indifferenza, nel replicare cieco, nella demen-za, rivolge a un luogo solo la dura offesa, strema la tenerezza, frange il puntodebole, annienta.15

    Nella risuonante atmosfera che la rima in «enza », scandendo la prosa, gene-

    ra, s’imprime tragico e dissonante il conclusivo,

    «Crudo o Vile o Nulla, vuotovorticoso che calamita, divora, riduce a sua immagine, misura ».

    Nella produzione consoliana degli anni novanta, una visione sempre piùpessimistica della storia tende a instaurare un rapporto inversamente propor-zionale tra la rappresentazione della fine di un mondo a carattere antropo-centrico e il vitalismo del linguaggio, in funzione di una strutturazione poematica del romanzo, che procede per accumuli lessicali, per addensamenti sonori di con-sonanze, rime, per grovigli metrici, settenari, novenari, decasillabi, endecasil-

    labi soprattutto.Lo spostamento in senso poematico della sua narratività  è l’esito ultimo disua riflessione critica sul rapporto scrittura-realtà , che avviene nella seconda metà  degli anni ottanta: da un lato — scrive in Fuga dall’Etna  — in conco-mitanza con il «clima spensierato, cinico, di ottuso scialo» della situazione poli-tica italiana di quegli anni — «un carnevale o un paese della cuccagna alla 

    13. Vincenzo CONSOLO, La ferita dell’aprile , Torino: Einaudi, 1977, p. 3.

    14. Ibid., p. 69.15. Vincenzo CONSOLO, Nottetempo casa per casa , Milano: Mondadori, 1992, p. 41.

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    Brughel», che lascerà , però, «un campo di macerie»;16 dall’altro con la scrittu-ra teatrale di Lunaria e di Catarsi .

    In entrambe le opere i versi si alternano al dialogo: una distinzione pura-

    mente formale, anzi grafica, perché nella loro testualit

    à  non c

    ’è alcuno scartotra versi e prosa; esemplare è l’attacco in prosa — in realtà  in endecasillabi —

    del primo scenario di Lunaria : «E’ vasto il vasto regno della Spagna vasto comei castelli di Castiglia, va oltre il mare, s’espande miglia e miglia …».17

    In Lunaria  — una favola teatrale ambientata in una Palermo settecentesca — lo scrittore procede in un’ardita sperimentazione linguistica, portando,soprattutto nelle parti in versi affidate al coro, fino al non sense il gioco lin-guistico: attraverso ripetizioni consonantiche o sillabiche (ad esempio la fun-

    zione della consonante«n», e della vocale

    «o», in questi versi:

    «Nutta, nuce,melan ìa/ voto, ovo sospeso,/ immoto»);18 attraverso l’uso della rima, che spes-

    so si ripete — la stessa — verso dopo verso, facendo assumere alle immaginiquasi la ritmicità  di una giocosa litania, «minna d’innocenti/ melassa di poten-ti/ tana di briganti, tregua di furfanti»;19 e spesso anche attraverso un uso pura-mente sonoro del significante, che azzera il significato; gioco, ironia,divertissement, che l’uso di un lessico alto, ricercatissimo, commisto di auli-cità , dialetto, di termini derivati da tutti i saperi e da tutte le lingue, morte e vive,

    accentua, «luna, lucore,/ allume lucescente/ levia particula/ fiore albicolan-te» ).20 Ma il risuonante non sense delle cantilene di Lunaria, nulla ha a chefare con il linguaggio afasico della neoavanguardia, esattamente speculare all’a-fasia del potere per Vincenzo Consolo; nella sua poesia c’è sempre una parola,un verso, una soluzione espressiva che effrange il seduttivo canto di sirena delpuro significante. La metamorfosi del protagonista in luna è, ad esempio, una metamorfosi anche linguistica: il vicerè viene come avvolto da un velame di«l»e di «u» di luna, «Lena lennicula,/lemma lavicula,/ là mula/ lémura, mamu-

    la./ Létula/ mà lia,/ Mah.»,21

    un «mah» finale di una trasgressiva sonorità  rispet-to ai versi precedenti; quel suono però in persiano significa luna, in arabo vuoldire acqua, mentre in italiano rimanda al dubbio, alla perplessità , e anche alla forma tronca della parola madre. Luna, acqua, dubbio, madre: occultati e oscu-ramente vibranti nel suono di quel monosillabo.

    In Catarsi, attraverso il dramma di un Empedocle contemporaneo — ildirettore di un centro di ricerca, che, coinvolto in uno scandalo, è in procin-to di buttarsi nell’Etna — lo scrittore invece indaga il rapporto tra parola e

    realtà  nella società  contemporanea.Sul tema della comunicazione infatti drammaticamente si confrontano il pro-tagonista, Empedocle, e l’antagonista, Pausania, che, con la forza persuasiva della parola vorrebbe farlo desistere, rivendicando il suo ruolo di anghelos, di

    16. Op. cit., p. 61.17. Vincenzo CONSOLO, Lunaria, Torino: Einaudi, 1985, p. 7.18. Ibid., p. 5.19. Ibid., p. 6.

    20. Ibid., p. 49.21. Op. cit., p. 21.

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    «colui che conosce i nessi, la sintassi, le ambiguità , le astuzie della prosa, dellinguaggio»;22 ma nella situazione estrema in cui Empedocle si trova nessuna parola può raggiungerlo, «Se le parole si fanno prive di verità , di dignità , di

    storia, prive di fuoco e suono, se ci manca il conforto loro, non c’è

     che l’afasia.Non c’è che il buio della mente, la notte della vita.»23 dice infatti a conclu-

    sione della scena terza.Nell’introduzione a Oratorio (Manni, 2002) — che oltre alla ripubblica-

    zione di Catarsi , comprende anche L’ape iblea (elegia per Noto) del 1998 — inriferimento allo scritto teatrale del 1989, Vincenzo Consolo ribadisce e approfon-disce la sua riflessione teorica. Verificando nella contemporaneità  gli elemen-ti costitutivi della tragedia greca, afferma che, oggi, non c’è legittimità  d’esistenza 

    per l’Anghelos, —

     il comunicatore che, narrando l’antefatto agli spettatori sedu-ti nella cavea, dava inizio alla messinscena tragica — perché

    ormai la cavea è vuota, deserta. Sulla scena è rimasto solo il coro, il poeta chein tono alto, lirico, in una lingua non più comunicabile commenta e lamen-ta la tragedia senza soluzione, la colpa, il dolore senza catarsi.24

    Nell’assenza di ascolto, di referente, nel tempo «dell’assoluta insonorità  diun contesto istituzionale», s’interrompe ogni rapporto di transitività  tra realtà e scrittura: orfana, senza oggetto, davanti alla violenza senza riscatto della sto-ria, al sonno senza risveglio della ragione, la parola non può più disporsi inracconto, ma con una lingua «estrema e dissonante» squarciare la testualità narrativa, destrutturarla, spostando il romanzo «sempre più verso la parteespressiva, la parte poetica ».

    In realtà  non si tratta di una radicale innovazione, piuttosto dello sviluppodi elementi espressivi di poesia — il lamento e l’invettiva — già  presenti nei suoiromanzi, benchè con un segno ideologico diverso. A conclusione storica deLa ferita dell’aprile  , si leva una voce dal fondo della narrazione, che da una piùalta prospettiva di giustizia e di pietà , rappresenta con grande forza poetica la strage di Portella della Ginestra del 1 maggio del 1947:

    N’ammazzarono tanti in uno spiazzo (c’erano madri e c’erano bambini), comepecore chiuse nel recinto, sprangata la portella. Girarono come pazzi in cerca di riparo ma li buttò buttò buttò riversi sulle pietre una rosa maligna nel pettoe nella tempia: negli occhi un sole giallo di ginestra, un sole verde, un sole

    nero di polvere di lava, di deserto. Disse una vecchia, ferma, i piedi larghi pian-tati sul terreno: — Femmine, che sono sti lamenti e queste grida con la schiu-ma in bocca?. Non è la fine: sparagnate il fiato e la vestina per quella manica di morti che verranno appresso.25

    22. Vincenzo CONSOLO, Catarsi in Trittico (Bufalino, Consolo, Sciascia), Catania: Sanfilippo,1989, p. 21.

    23. Ibid., p. 25.

    24. Vincenzo CONSOLO, Oratorio, Lecce: Manni, 2002, p. 6.25. Op. cit., p. 122-123.

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    un requiem per i morti di Portella, in cui però alla rappresentazione della vio-lenza della storia si contrappone quella di una ostinata resistenza ad essa, attra-verso la plastica immagine della vecchia con le gambe ben piantate nel terreno.

    Snodo poetico e ideologico del libro, ne Il sorriso dell’ignoto marinaio , «ilcanto lamentoso, il pianto rotto, il cordoglio», riguardano la rivolta e la stragedei braccianti ad Alcara Li Fusi, e la fine della speranza di giustizia sociale chein Sicilia motiv ò l’adesione popolare al processo unitario («S ì, bisogna scap-pare, nascondersi. Bisogna attendere, attendere fermi, immobili, pietrifica-ti»);26 ma anche, a mio parere, nascono dalla necessità  dello scrittore di dareespressione allo spessore di sofferenza delle tante jaqueries , anonime e inespressenella grande storia.

    Il brano oltrepassa la connotazione linguistica ottocentesca del personaggiodel Mandralisca: è la voce dell’autore che, con un ritmo metaforico accelerato,entra in scena a indicare la cieca notte della storia «all’estremo della notte già le orde picchiano alle porte, sgangherano e scardinano con calci chiodati, lascia-no croci di gesso su bussole e portelli»):27 notte di morti, spari, inseguimenti,ma anche di una possibile sortita verso la luce,

    Muovi il tuo piede qui, su questa terra, entra, fissa la scena; in questo spazio inva-

    so dalla notte troverai i passaggi, le fughe, esci se puoi dalla maledizione della colpa, senti: il rantolo tremendo si snoda in prospettiva, mantegnesco.28

    In Retablo, invece, il lamento diventa invettiva contro «il secol nostro super-bo di conquiste e di scienza, secolo illuso, sciocco e involuto! », e contro la città che nel Settecento meglio lo rappresentava — e ancora oggi meglio rappre-senta il secolo — l’«attiva, mercatora », Milano,

    stupida e volgare mia città  che ha fede solamente nel danee, ove impera e trion-fa l’impostore, il bauscia, il ciarlatan, il falso artista, el teatrant vacab ìnt e piende vanitaa, il governatore ladro, il prete trafficone, il gazzettier potente, il fana-tico credente e il poeta della putrida grascia brianzola;29

    città  che ritorna, oggetto di un’invettiva ancora più amara e disperata, ne LoSpasimo di Palermo: simbolo dell’«illusione infranta », del disastro storico emorale dell’Occidente,

    città  perduta, città  irreale, d’ombre senz’ombra che vanno e vanno sopra ponti,banchine della darsena, mattatoi e scali, sesto e cinisello disertate, «tennolo-gico» ingranaggio, dallas dello svuotamento e del metallo. Addio.30

    26. Op. cit., p. 112.27. Ibid., p. 113.28. Ibid.

    29. Op. cit., p. 103.30. Op. cit., p. 91.

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    Dopo Nottetempo casa per casa l’invettiva e il lamento si amplificano, acqui-stando una totale autonomia rispetto alla narrazione: diffusa voce extranar-rante, inclusiva di vicende e destini, che, rispondendo a un consapevole disegno

    poematico del romanzo, blocca gli eventi, immobilizza il racconto senza pos-sibilità  di dialettico sviluppo e di autonoma parola nell’afasia della società  di oggi.Ne L’olivo e l’olivastro cade infatti ogni steccato di genere tra poesia e prosa,

    tra poema e romanzo; il rimando da capitolo a capitolo — le tappe di una contemporanea odissea — non risponde né alla sequenzialità  narrativa, né tan-tomeno a un’organizzazione saggistica. Un’angolazione di poesia fa visiona-riamente implodere la simultaneità  dei tempi della lingua nella sequenzialità  diquello narrativo, connotando espressivamente eventi e personaggi. I luoghi si

    verticalizzano, materializzando—

     in un continuum di passato e presente, di bel-lezza e desolazione — la densità  di storia e di vissuto che vibra oscurata die-tro ogni paesaggio, ogni muro, ogni piazza, ogni città ; il viaggio diOdisseo-Consolo verso l’Itaca-Sicilia non è infatti un viaggio «in una dimen-sione orizzontale. Ma, una volta immerso nella vastità  del mare, è come fosseil suo un viaggio in verticale, una discesa negli abissi, nelle ignote dimore, dovea grado a grado, tutto diventa orrifico, subdolo, distruttivo»,31 dimensione distruggente lirismo si alterna a una poesia di dolente espressività : alla restitu-

    zione lirica di poche oasi di civiltà  e di memoria — Siracusa, Cefalù, Caltagi-rone — si contrappone quella, indignata e drammatica, di una degradata contemporaneità , che trova tremenda esemplificazione in Gela, città  «della perdita d’ogni memoria e senso, del gelo della mente e dell’afasia, del linguaggioturpe della siringa e del coltello, della marmitta fragorosa e del tritolo»,32 sim-bolo dell’irreversibile fine di un’ Atene civile, «che — scrive Vincenzo Conso-lo nel lamento-invettiva di grande forza tragica, a conclusione morale del libro— nessuno può liberare dall’oltraggio». Lo scarto tra parola e realtà , tra rac-

    conto e afasia, si acutizza ne Lo spasimo di Palermo, in cui una lingua vertigi-nosamente espressionista disarticola l’apparenza di romanzo in gorghi diimmagini, assonanze, rime, enjambement. Il libro si apre infatti con una sorta di proemio in cui lo scrittore addensa il senso e la connotazione metaforica della sua scrittura (« Avanzi per corridoi d’ombre, ti giri e scorgi le tue orme.Una polvere cadde sopra gli occhi, un sonno nell’assenza. Il fumo dello zolfoserva alla tua coscienza. Ora la calma t’aiuti a ritrovare il nome tuo d’un tempo,il punto di partenza »):33 un criptico viatico di poesia per il lettore, che insieme

    al protagonista — trasparente doppio dell’autore — sta intraprendendo unviaggio nell’immobilità  della storia e nella fascinazione maliosa ma non con-solatoria della parola.

    Quasi tutti gli undici capitoli in cui è diviso il romanzo sono introdotti da brevi preludi di un’immaginifica ed enigmatica densità , del tutto irrelati rispet-to alla narrazione; un solo esempio: il preludio del IV capitolo,

    31. Op. cit., p. 19.

    32. Ibid., p. 79.33. Op. cit., p. 9.

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    Muro che crolla, interno che si mostra, fuga affannosa, segugio che non molla,antro fra ruderi sferzato dalla pioggia, ironiche statue in prospettiva, teschi suicapitelli, maschere sui bordi delle fosse, botteghe incenerite, volumi che inmano si dissolvono, lei al centro d’un quadrivio accovacciata, lei distesa nella stanza che urla e che singhiozza, ritorna dall’estrema soglia, dall’insulinico ter-rore, entra ed esce per la porta sull’abisso, il tempo è fisso nel continuo pas-saggio, nell’assenza, nel fondo sono le sequenze, i nessi saldi e veri.34

    Sono i misteri dolorosi di una via crucis, che, sviluppandosi capitolo dopocapitolo, tocca tutte le stazioni della contemporaneità  — dal terrorismo alla speculazione edilizia, alla mafia, alla guerra, alla tenebra della follia, alla con-dizione di emarginazione urbana «degli stanziali dei margini» — i poveri, i

    disperati, i migranti — che vivono, oscuri e oscurati, negli squallidi anfrattidelle città  contemporanee,

    Stanno nel tempo loro, nell’immota notte, chiusi nel sudario bruno, ermeticie remoti, stanno come vessilli gravi sui confini, nel passo breve tra il moto ela paralisi. Proni, supini, acchiocciolati contro balaustre, muri, statue in volu-te di drappi, spiegamento d’ali, slanci fingono l’estro, sono la massa ironica contro illusioni, inganni, monito dell’esito, del lento sfaldamento.35

    L’intervento poetico e tragico dello scrittore spesso taglia verticalmente la narrazione, assorbendo il narrato nella restituzione metaforica di una condi-zione storica dove ogni giustizia è morta, ogni pietà  s’è spenta.

    Sulla stasi e il silenzio della storia («Solca la nave la distesa piana, la cor-rente scialba, tarda veleggia verso il porto fermo, le fantasime del tempo. La storia è sempre uguale»),36 si stende il requiem della poesia: rito di morte e,insieme, esorcismo contro la morte, di una scrittura che sul ciglio degli abissi

    «si raggela, si fa suono fermo, forma compatta, simbolo sfuggente»;37

    baroc-ca fascinazione tonale di un linguaggio risuonante di rime, nominazioni, fasto-se metafore, che, simultaneamente, si pone come emergenza espressiva, edestremo gesto di libertà  ideologica, in una condizione umana coatta dalle isti-tuzioni di potere e dall’assertorietà  definitoria, ma anch’essa ideologica, dellinguaggio, «La lingua — dice Vincenzo Consolo citando in un articolo della rivista Autodafè Roland Barthes — non è né reazionaria, né progressista: è sem-plicemente fascista, il fascismo non è impedire di dire, ma obbligare a dire…».

    Non resta allora che l’afasia o la poesia. E Vincenzo Consolo sceglie la poesia.

    34. Ibid., p. 45.35. Ibid., p. 70-71.

    36. Ibid., p. 9.37. Ibid., p. 12.

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    Nostos y Laberinto

    Eduard Vilella Universitat Autònoma de Barcelona 

    Resumen

    Las múltiples referencias en la obra de Vincenzo Consolo al tema clá sico del viaje de regre-so y en especial al de Ulises pueden ser consideradas como un auténtico leitmotiv . En la cita reiterada al nostos homérico se puede observar como el autor siciliano elabora una cons-telación de preocupaciones que se revela fundamental en su actividad narrativa y ensay í s-tica. Confluyen en este nucleo haces provenientes de un amplio espectro extendido entre

    lo má s explí citamente polí tico o ético-moral y la reflexión má s í ntima acerca del objetoartí stico, pasando por aspectos centrales en Consolo como los de tipo existencial, la inquie-tud por el territorio o los relacionados con la destrucción estilí stica y formal de la novela tra-dicional, entre otros. El artí culo parte de la descripción de esta realidad, y los aná lisis crí ticosque han discurrido sobre ella, para intentar trazar un paralelismo entre ésta y el uso deltema del laberinto en Consolo, tomando como foco principal de atención el episodio de la cá rcel-espiral que aparece en la parte final de Il sorriso dell’ignoto marinaio.

    Palabras clave: narrativa, ensayo; nostos ; laberinto; ética de la escritura consoliana; literatura y territorio sicilianos.

     Abstract 

    The numerous references in the work of Vincenzo Consolo to the classic notion of thehomeward journey, in particular that of Ulysses, could be considered an authentic leitmo-tiv . Through his repeated references to Homer’s nostos , one can see how the Sicilian authordevelops a myriad of concerns that turn out to be essential to his storytelling and essays. Within this nucleus we can find beams flooding in from a broad spectrum, spanning that

     which is most assertively political or ethical/moral, as well as the most intimate reflectionson the object of art, whilst also encompassing core aspects of Consolo’s work, such as exis-tentialism, concerns over land or those related to the formal and stylistic destruction of the traditional novel, amongst other things. The article starts out with a description of thisreality, together with the critical analyses it has attracted, the aim being the attempt totrace a parallel between such reality and Consolo’s use of the labyrinth theme, taking theepisode of the prison-spiral, which appears in the final part of Il sorriso dell’ignoto mari-naio (The Smile of the Unknown Mariner), as the main focus of attention.

    Key words: Vincenzo Consolo: storytelling, essay; nostos ; labyrinth; ethics of Consolo’s

     writing; Sicilian literature and land.

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    Es bien conocida la huella dejada por los textos homéricos en la obra de Vin-cenzo Consolo, particularmente explí cita en sus últimos libros. Para ser má sprecisos, es sobre todo de la esfera de los nostoi , los viajes de regreso, que hay 

    que hablar y, en concreto, como cabrí a esperarse, del m

    á s ilustre de estos via- jes, es decir, el de Ulises. Intertexto constante en una má s que notable serie de

    textos del autor siciliano, la Odisea efectivamente adquiere en ocasiones la silue-ta de un auténtico hipotexto, fundamento y referencia ineludible para una lec-tura de Consolo. Cabrá  referirse en primer lugar a lo que la crí tica ha llamadolas novelas de Odiseo (L’Olivo e l’olivastro, Lo Spasimo di Palermo) acerca decuya referencia a la Odisea, manifiesta por otra parte, el autor se ha extendidoexplí citamente en entrevistas y ensayos.1 Pero no habrá  que olvidar por ello la 

    insistencia con que Consolo, en el marco de toda su obra, vuelve al argumen-to, sea en la ficción sea en pasajes de tipo má s discursivo (artí culos, ensayos,en el libro coloquio, no cabe decir, dedicado al viaje de Ulises),2 para redundaren un reconocimiento abierto cuya sombra podrí a incidir incluso en narra-ciones escritas anteriormente, como Nottetempo casa per casa, Le Pietre di Pan-talica o Il sorriso dell’ignoto marinaio. Se trata de una realidad que bien podrí amosdescribir como leitmotiv , donde convergen diferentes planos de significación.

     Aunque el riesgo de la obviedad es indiscutible, puede tener su interés acer-

    carse a la cuestión en lo que tiene de reflejo de la global estrategia artí stica deVincenzo Consolo, su actitud ante el texto narrativo, la carga ideológica que sele atribuye, las decisiones estilí sticas en que estos aspectos se materializan, la concepción militante del texto literario —á mbitos todos ellos que sólo, es biensabido, en una mirada apresurada podrí an parecer articularse de forma diso-nante—.3 Aun así , podrí a no desaparecer la impresión de mera evidencia al

    1. Por lo que se refiere a una panorá mica globalmente descriptiva, entre los numerosos tex-tos que podrí an citarse, cfr. Giuseppe TRAINA , Vincenzo Consolo, Fiesole: Cadmo, 2001,p. 40 s. (para una descripción completa de la temá tica en cuestión, con numerosas indica-ciones y reflexiones de interés); Enzo P APA , «Vincenzo Consolo», Belfagor , 58:2, 2003, p. 179-198, en especial p. 189 s.; Fabio G AMBARO, «Vincenzo Consolo. La Sicilie entre utopie etdésillusion» [entrevista], Magazine littéraire , 393, 2000, p. 98-103. Abiertamente centra-do en la perspectiva que nos ocupa, con la atención dirigida en particular a Lo spasimo di Paler-mo, la tradición del nostos y las implicaciones paralelas en referencia a los universos de la oralidad y de la escritura en el texto homérico, la tradición europea y el texto consoliano, elartí culo de Giorgio GUZZETTA , «Ulisse narratore: Consolo, Pazzi, Malerba e il “raccontomarino”», en Bart V  AN DEN BOSSCHE y otros (a cargo de)«…E c’è di mezzo il mare». Civiltà 

    italiana 2 , Florencia: Cesati, 2002, p. 279-289.2. Vincenzo Consolo, Mario Nicolao, Il viaggio di Odisseo, Milá n: Bompiani, 1999.3. A fin de cuentas, caras de una misma moneda; una forma de superar aquella realidad por la 

    cual, en palabras del autor en Il sorriso dell’ignoto marinaio la historia es «Una scrittura con-tinua di privilegiati» (p. 88, cito de Vincenzo CONSOLO, Il sorriso dell’ignoto marinaio,Milá n: Mondadori, 1987 [1a ed. Turí n: Einaudi, 1976]), es decir, dar la palabra a otrasvoces fuera del monopolio del discurso del poder. Para el desarrollo concreto de estas ideas,cabrá  subrayar en primer lugar sin duda el trabajo de Cesare SEGRE, «La costruzione a chioc-ciola nel Sorriso dell’ignoto marinaio di Consolo», en Intrecci di voci. La polifonia nella let-teratura del Novecento, Turí n: Einaudi, 1991, p. 71-86 (antes en Vincenzo CONSOLO, Il 

    sorriso dell’ignoto marinaio, op. cit. p. V-XVIII). Lí nea interpretativa que f á cilmente podrí a hacerse extensible a toda la obra de Consolo. Es recurrente en la crí tica referirse en parale-

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    tratar la cuestión del nostos en Consolo; la intención de estas pá ginas es abor-dar má s bien la presencia, má s esporá dica en el autor, del tema del laberinto,y hacerlo no aisladamente, sino en concomitancia con el tema del viaje de

    regreso, con el tratamiento del cual se establecen interesantes afinidades. Enotras palabras, el laberinto, tal como se muestra en ciertos pasajes del autor,podrí a responder a coordenadas semejantes a las del nostos , con lo que uno y otrotema podrí an iluminarse mutuamente.

    Por lo que se refiere al primero de los temas, el nostos , como se decí a, sonmuchas las citas que serí a posible aportar. Nos detendremos sólo en alguno delos pasajes má s emblemá ticos para una visión panorá mica de las diná micas queemergen en su tratamiento. Tomemos como punto de partida, por una parte,

    las evidencias má s inmediatas: el mismo autor, al abordar e intentar ofrecer unporqué a su preferencia por el esquema en cuestión, al remitirse de esta mane-

    ra a una tradición en la que afirma reconocerse, define la Odisea no sólo comoel texto clá sico por excelencia, sino también como una verdadera estructura bá sica, cuyos ecos reverberan a lo largo de toda la historia de la literatura uni-versal, en lo arquetí pico de su tensión, movimiento y errancia:

    Ci interessa chiarire che da questo grande archetipo che è l’Odissea, da ques-

    to primo racconto di viaggio, siano poi germinate infinite o