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9 Da Falerii Novi a Civita Castellana: storia altomedievale di un recupero insediativo crisi generale che colpisce il sistema romano. È solo grazie all’imperatore Gallieno, appellato redintegrator coloniae Faliscorum, che la città sembra denotare una certa ripresa socio-economica 2 . L’originario sito, nonostante la distruzione e lo spostamento della popolazione, continuava ad essere abitato. L’assegnazione di terre ai veterani dell’esercito repubblicano, reduci della battaglia di Filippi, in una colonia Iunonia che è chiamata Faliscos 3 , e alcune testimonianze materiali, come ad esempio le sepol- ture, provano la continuità di fre- quentazione non solo dei templi delle antiche divinità, ma anche di parti dell’abitato 4 . In uno scavo condotto nel 1992 dalla Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridio- nale nell’area dello Scasato è emerso S ono noti i fatti circa la sconfitta di Falerii nel 241 a.C.. In sei giorni Roma chiuse definitivamente una questione che si trascinava ormai da secoli, da quando cioè il popolo falisco insieme alle altre città-stato dell’Etruria aveva cercato di arginar- ne l’espansione 1 . Roma era già impe- gnata sullo scenario internazionale contro Cartagine e la rottura della tregua con la vicina Falerii fu l’occa- sione per mostrare la fine che spetta- va a chi si metteva di traverso. Città distrutta, 15 mila nemici morti, territori e beni confiscati, spo- stamento della popolazione in un centro di nuova costruzione situato a pochi chilometri in luogo pianeg- giante. Nel corso della repubblica e dell’impero la nuova città, Falerii Novi, prospera e si sviluppa, ma nel III secolo d.C. anch’essa subisce la “un exursus cronologico che giunge fino alla piena età imperiale romana, allorché la zona fu utilizzata come cava e come area di sepolture alla cappuccina” 5 . Oltre a molti reperti di ceramica, di ferro e di vetro 6 , sono state rinvenute una testa di sileno in pietra 7 e una moneta d’epoca roma- na 8 . Nel IV secolo d.C. l’imperatore Costantino inserì nella donazione a favore della basilicam in palatio Sessoriano (la chiesa romana di S. Croce in Gerusalemme) i ricavati dalla possessio Nymphas e dalla pos- sessio Herculi situate sub civitate Falisca 9 . Le due cospicue entità agra- rie sono state collocate nei pressi della primitiva Falerii 10 . L’ubicazione presso Falerii Veteres, odierna Civita Castellana” viene proposta, anche se in forma AUGUSTO CIARROCCHI Gaius Lucius Caesar (15 a.C.–19 d.C.), padre dell’imperatore Caligola e fratel- lo dell’imperatore Claudio (Tiberius Claudius Drusus Nero Germanicus), fatta coniare da quest’ultimo in onore del fratello nel 19 d.C. Sul retro com- paiono al centro le lettere S C, che stanno per Securitas e Concordia. Un’immagine della moneta si trova in www.ancientcoins.ca/roman1.html, numero stock # 22678, e riporta quella che doveva essere l’iscrizione comple- ta del dritto: GERMANICVS CAE- SAR TI AVGVST F DIVI AVG N. (l’inizio e la fine dell’iscrizione lungo il bordo della moneta si raccordano così: AVG [N.] GERMANICVS); nel retro: TI CLAVDIVS CAESAR AVG GERMAN PM TR P IMP P P. E’ stato trovato anche un dischetto di bronzo, forse una moneta, del diametro di 23 mm. molto sottile e che non presenta iscrizioni e incisioni. 9 L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, tomo I, Parigi 1981, p. 180. 10 D. De Francesco, La proprietà fondia- ria nel Lazio. secoli IV –VIII, storia e topografia, Roma, 2004, p. 50. L’autrice propone, sulla base della ren- dita in solidi e della produttività del frumento, per la possessio Nymphas una estensione presunta di ettari 43,125 e produttività annua di frumen- to pari a quintali 224,25, mentre per la possessio Herculi una estensione di ettari 52,5 e una produttività di q.li 273. 1 I. Di Stefano Manzella, Lo stato giuri- dico di Falerii Novi dalla fondazione al III secolo d.C., in La civiltà dei Falisci, Atti del XV convegno di studi etruschi ed italici – Civita Castellana, Forte Sangallo, 28-31 maggio 1987, Firenze 1990, pp. 342–350. 2 I. Di Stefano Manzella, Lo stato giuri- dico cit., pp. 357-359. L’imperatore Gallieno era originario di Falerii Novi per linea materna. 3 I. Di Stefano Manzella, Lo stato giuri- dico cit., p. 362. 4 P. Moscati, Nuove ricerche su Falerii Veteres, in La civiltà dei Falisci, cit., pp. 169–170, “Se si eclude la continua- zione del culto tributato sia nei santua- ri extra-urbani sia sul pianoro della città, dove il tempio dello Scasato sem- bra rimanere in vita fino alla prima metà del I sec. a.C., la contrazione del- l’abitato di Falerii Veteres appare con- fermata dal rinvenimento, avvenuto agli inizi del secolo [anno 1903], di alcune tombe a fossa coperte da tegole, in cui comparvero materiali databili al III-II sec. a.C. Queste sepolture, trova- te nell’area del Forte del Sangallo, sembrano indicare la riutilizzazione di almeno una parte dell’antica area abi- tata come sede di una necropoli, costi- tuita per di più da tombe piuttosto povere”. Il tempio dedicato a Giunone Curite, nel fondovalle tra Vignale e Celle, viene regolarmente frequentato in epoca imperiale, come apprendiamo da Ovidio (Am. 3,13), che scrive nel- l’ultimo quarto del I secolo a.C.. Emblematico poi è il caso del mauso- leo di Glizio Gallo (I secolo d.C.), descritto nel ‘600 da Domenico Mazzocchi (Veio Difeso. Discorso di Domenico Mazzocchi Dottore del- l’una, e l’altra Legge, Ove si mostra l’antico Veio essere hoggi Civita Castellana. In Roma, Per Ludovico Grignani. MDCXLVI, ristampa anasta- tica, Bologna 1980, pagg. 32–33): “Il qual sepolcro, standosi prima dentro la Città quasi cadente in luogo incolto, e assai remoto dagli occhi de’ riguardan- ti, fù al tempo di detto Borgia, 190 anni sono, fornito di dimolire, sì per toglier- lo dall’oscurità, e porlo alla luce di tutti, come anco per inalzare di quegli elegantissimi fregi un perpetuo trofeo alla di lui memoria”. F. Tarquini, Notizie istoriche e territoriali di Civita Castellana già capitale dei falisci ciscimini e delle tre Falerie l’una suc- cessiva all’altra scritte da Francesco Tarquini nello scoprimento di un Delubro Fonte Sagro Ninfeo dei primi- tivi Falisci Argivi Pelasgi Ciscimini avvenuto nell’Anno 1873, Castelnuovo di Porto 1874, riedizione con appendi- ce documentaria e fotografica a cura di A. Turco, Castel Sant’Elia 2004, p. 53, “Questo sepolcro era di ordine dorico (…) e di una estensione e circonferen- za non piccola, come veggosi da altri pezzi di questo sepolcro messi in opera muraria visibili che fanno parte del campanile della chiesa del arco, sia del Carmine, altro grandissimo circolare nella piazza del comune fra il primo arco che mette a S. Gregorio, e la bot- tega Andreini”. L’autore non specifica il luogo dove era situato il sepolcro ma dice: “quale sepolcro esisteva nel terri- torio Falisco”. 5 M.A. De Lucia Brolli, Dalla tutela alla ricerca: recenti rinvenimenti dal- l’area urbana di Falerii, in Archeologia in Etruria meridionale (a cura di M. Pandolfini Angeletti), Atti delle giornate di studio in ricordo di Mario Moretti, Civita Castellana, 14–15 novembre 2003, p. 77, nota 30; scavo condotto dalla d.ssa Patrizia Aureli, nell’area adiacente la chiesa di S. Chiara, suore Clarisse Francescane, via dello Scasato n. 19. 6 Ho potuto esaminare gli oggetti rinve- nuti nello scavo grazie alla Soprintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale, nella persona della d.ssa M. Anna De Lucia Brolli, e alla cortesia del dott. Piero Poleggi. Tra i reperti ceramici segnalo resti di bucchero e di ceramica a vernice nera ed acroma, e di tegole e laterizi. Un chiodo della lunghezza di 17 cm. e alcuni frammenti di vetro finemente lavorato. 7 La testa in marmo bianco misura cm. 22x14. 8 Moneta di bronzo, diametro di circa 28 mm., rinvenuta nella “trincea ovest - settore sud (muro)”, che riproduce sul dritto una testa rivolta a destra e un’iscrizione, di cui è leggibile AVG […] GERMANICVS. La moneta, con molta probabilità, ritrae Germanicus

Da Falerii Novi a Civita Castellana: storia altomedievale .... La moneta, con molta probabilità, ritrae Germanicus. 10 sito della vecchia città falisca rientra-va nel territorio

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Da Falerii Novi a Civita Castellana:storia altomedievale di un recupero insediativo

crisi generale che colpisce il sistemaromano. È solo grazie all’imperatoreGallieno, appellato redintegratorcoloniae Faliscorum, che la cittàsembra denotare una certa ripresasocio-economica2.

L’originario sito, nonostante ladistruzione e lo spostamento dellapopolazione, continuava ad essereabitato. L’assegnazione di terre aiveterani dell’esercito repubblicano,reduci della battaglia di Filippi, inuna colonia Iunonia che è chiamataFaliscos3, e alcune testimonianzemateriali, come ad esempio le sepol-ture, provano la continuità di fre-quentazione non solo dei templi delleantiche divinità, ma anche di partidell’abitato4. In uno scavo condottonel 1992 dalla SoprintendenzaArcheologica per l’Etruria Meridio-nale nell’area dello Scasato è emerso

Sono noti i fatti circa la sconfittadi Falerii nel 241 a.C.. In sei

giorni Roma chiuse definitivamenteuna questione che si trascinava ormaida secoli, da quando cioè il popolofalisco insieme alle altre città-statodell’Etruria aveva cercato di arginar-ne l’espansione1. Roma era già impe-gnata sullo scenario internazionalecontro Cartagine e la rottura dellatregua con la vicina Falerii fu l’occa-sione per mostrare la fine che spetta-va a chi si metteva di traverso.

Città distrutta, 15 mila nemicimorti, territori e beni confiscati, spo-stamento della popolazione in uncentro di nuova costruzione situato apochi chilometri in luogo pianeg-giante. Nel corso della repubblica edell’impero la nuova città, FaleriiNovi, prospera e si sviluppa, ma nelIII secolo d.C. anch’essa subisce la

“un exursus cronologico che giungefino alla piena età imperiale romana,allorché la zona fu utilizzata comecava e come area di sepolture allacappuccina”5. Oltre a molti reperti diceramica, di ferro e di vetro6, sonostate rinvenute una testa di sileno inpietra7 e una moneta d’epoca roma-na8.

Nel IV secolo d.C. l’imperatoreCostantino inserì nella donazione afavore della basilicam in palatioSessoriano (la chiesa romana di S.Croce in Gerusalemme) i ricavatidalla possessio Nymphas e dalla pos-sessio Herculi situate sub civitateFalisca9. Le due cospicue entità agra-rie sono state collocate nei pressidella primitiva Falerii10.

L’ubicazione presso “FaleriiVeteres, odierna Civita Castellana”viene proposta, anche se in forma

AUGUSTO CIARROCCHI

Gaius Lucius Caesar (15 a.C.–19 d.C.),padre dell’imperatore Caligola e fratel-lo dell’imperatore Claudio (TiberiusClaudius Drusus Nero Germanicus),fatta coniare da quest’ultimo in onoredel fratello nel 19 d.C. Sul retro com-paiono al centro le lettere S C, chestanno per Securitas e Concordia.Un’immagine della moneta si trova inwww.ancientcoins.ca/roman1.html,numero stock # 22678, e riporta quellache doveva essere l’iscrizione comple-ta del dritto: GERMANICVS CAE-SAR TI AVGVST F DIVI AVG N.(l’inizio e la fine dell’iscrizione lungoil bordo della moneta si raccordanocosì: AVG [N.] GERMANICVS); nelretro: TI CLAVDIVS CAESAR AVGGERMAN PM TR P IMP P P. E’ statotrovato anche un dischetto di bronzo,forse una moneta, del diametro di 23mm. molto sottile e che non presentaiscrizioni e incisioni.

9 L. Duchesne, Le Liber Pontificalis,tomo I, Parigi 1981, p. 180.

10 D. De Francesco, La proprietà fondia-ria nel Lazio. secoli IV –VIII, storia etopografia, Roma, 2004, p. 50.L’autrice propone, sulla base della ren-dita in solidi e della produttività delfrumento, per la possessio Nymphasuna estensione presunta di ettari43,125 e produttività annua di frumen-to pari a quintali 224,25, mentre per lapossessio Herculi una estensione diettari 52,5 e una produttività di q.li273.

1 I. Di Stefano Manzella, Lo stato giuri-dico di Falerii Novi dalla fondazioneal III secolo d.C., in La civiltà deiFalisci, Atti del XV convegno di studietruschi ed italici – Civita Castellana,Forte Sangallo, 28-31 maggio 1987,Firenze 1990, pp. 342–350.

2 I. Di Stefano Manzella, Lo stato giuri-dico cit., pp. 357-359. L’imperatoreGallieno era originario di Falerii Noviper linea materna.

3 I. Di Stefano Manzella, Lo stato giuri-dico cit., p. 362.

4 P. Moscati, Nuove ricerche su FaleriiVeteres, in La civiltà dei Falisci, cit.,pp. 169–170, “Se si eclude la continua-zione del culto tributato sia nei santua-ri extra-urbani sia sul pianoro dellacittà, dove il tempio dello Scasato sem-bra rimanere in vita fino alla primametà del I sec. a.C., la contrazione del-l’abitato di Falerii Veteres appare con-fermata dal rinvenimento, avvenutoagli inizi del secolo [anno 1903], dialcune tombe a fossa coperte da tegole,in cui comparvero materiali databili alIII-II sec. a.C. Queste sepolture, trova-te nell’area del Forte del Sangallo,sembrano indicare la riutilizzazione dialmeno una parte dell’antica area abi-tata come sede di una necropoli, costi-tuita per di più da tombe piuttostopovere”. Il tempio dedicato a GiunoneCurite, nel fondovalle tra Vignale eCelle, viene regolarmente frequentatoin epoca imperiale, come apprendiamoda Ovidio (Am. 3,13), che scrive nel-l’ultimo quarto del I secolo a.C..

Emblematico poi è il caso del mauso-leo di Glizio Gallo (I secolo d.C.),descritto nel ‘600 da DomenicoMazzocchi (Veio Difeso. Discorso diDomenico Mazzocchi Dottore del-l’una, e l’altra Legge, Ove si mostral’antico Veio essere hoggi CivitaCastellana. In Roma, Per LudovicoGrignani. MDCXLVI, ristampa anasta-tica, Bologna 1980, pagg. 32–33): “Ilqual sepolcro, standosi prima dentro laCittà quasi cadente in luogo incolto, eassai remoto dagli occhi de’ riguardan-ti, fù al tempo di detto Borgia, 190 annisono, fornito di dimolire, sì per toglier-lo dall’oscurità, e porlo alla luce ditutti, come anco per inalzare di queglielegantissimi fregi un perpetuo trofeoalla di lui memoria”. F. Tarquini,Notizie istoriche e territoriali di CivitaCastellana già capitale dei falisciciscimini e delle tre Falerie l’una suc-cessiva all’altra scritte da FrancescoTarquini nello scoprimento di unDelubro Fonte Sagro Ninfeo dei primi-tivi Falisci Argivi Pelasgi Cisciminiavvenuto nell’Anno 1873, Castelnuovodi Porto 1874, riedizione con appendi-ce documentaria e fotografica a cura diA. Turco, Castel Sant’Elia 2004, p. 53,“Questo sepolcro era di ordine dorico(…) e di una estensione e circonferen-za non piccola, come veggosi da altripezzi di questo sepolcro messi in operamuraria visibili che fanno parte delcampanile della chiesa del arco, sia delCarmine, altro grandissimo circolarenella piazza del comune fra il primo

arco che mette a S. Gregorio, e la bot-tega Andreini”. L’autore non specificail luogo dove era situato il sepolcro madice: “quale sepolcro esisteva nel terri-torio Falisco”.

5 M.A. De Lucia Brolli, Dalla tutelaalla ricerca: recenti rinvenimenti dal-l’area urbana di Falerii, inArcheologia in Etruria meridionale (acura di M. Pandolfini Angeletti), Attidelle giornate di studio in ricordo diMario Moretti, Civita Castellana,14–15 novembre 2003, p. 77, nota 30;scavo condotto dalla d.ssa PatriziaAureli, nell’area adiacente la chiesa diS. Chiara, suore Clarisse Francescane,via dello Scasato n. 19.

6 Ho potuto esaminare gli oggetti rinve-nuti nello scavo grazie allaSoprintendenza Archeologica perl’Etruria Meridionale, nella personadella d.ssa M. Anna De Lucia Brolli, ealla cortesia del dott. Piero Poleggi.Tra i reperti ceramici segnalo resti dibucchero e di ceramica a vernice neraed acroma, e di tegole e laterizi. Unchiodo della lunghezza di 17 cm. ealcuni frammenti di vetro finementelavorato.

7 La testa in marmo bianco misura cm.22x14.

8 Moneta di bronzo, diametro di circa 28mm., rinvenuta nella “trincea ovest -settore sud (muro)”, che riproduce suldritto una testa rivolta a destra eun’iscrizione, di cui è leggibile AVG[…] GERMANICVS. La moneta, conmolta probabilità, ritrae Germanicus

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sito della vecchia città falisca rientra-va nel territorio della città romana13.

Circa allo stesso periodo (III-IVsec. d.C.) risale l’appellativo diFaleros, conferito a Falerii Novidalla Tabula Peutingeriana lungol’itinerario della via Amerina14.

Nome che venne ribadito, nellavariante Faleris, dalla Cosmographiadell’Anonimo Ravennate, quandoinserisce la località nell’itinerario daRavenna a Roma15.

L’Etruria meridionale alla finedell’impero romano

La pax romana nel V secolo d.C.è soltanto un ricordo, nuovi popoli siaffacciano in Italia, prima come fede-rati dell’impero e poi come razziato-ri e invasori. Prima sono i Visigoti asaccheggiare Roma nel 410, dopoessere stati per circa due anni acquar-tierati in Etruria meridionale ed averusato la consolare Flaminia come viadi transito per i loro eserciti, poi, nel455, è il turno dei Vandali diGenserico16. Per cinque mesi, tra il471 e il 472, a Roma divampa la

guerra civile tra la fazione dell’impe-ratore Antemio e quella del patriciusRicimero17. Nel 476 l’ultimo impera-tore romano, Romolo Augustolo,venne deposto dal generale barbaroOdoacre, che assunse il titolo dipatricius e che fu acclamato red’Italia dal suo esercito.

Quando, qualche anno dopo,l’imperatore d’oriente Zenone volletogliersi dai piedi un ingombrantepopolo stanziato nelle vicinanze diCostantinopoli, chiese a Teodorico,capo degli Ostrogoti, di recarsi inItalia. Nel 496 Teodorico sconfisseOdoacre e si proclamò re con il rico-noscimento imperiale. Il nuovo recreò un clima di positiva convivenzain tutto il territorio italiano con l’in-tegrazione della gente gota nel tessu-to socio-economico della penisola.

Ma alla morte di Teodorico sicrearono le condizioni per un nuovointervento degli imperatori d’orientein Italia. A seguito dell’assassiniodella regina Amalasunta, Giustinianoinviò nel 535 le truppe di Bisanzio inItalia e diede inizio alla guerra che

dubitativa, sulla scorta di una presun-ta associazione della possessioNymphas con un sacello, chiamatoNinfeo Rosa, scoperto nel XIX seco-lo nelle vicinanze del tempio faliscodi Giunone Curite11.

La derivazione non sembra esserepertinente, per il fatto che il microto-ponimo Ninfeo Rosa nasce nel 1873a seguito della scoperta di un’areasacra posta lungo il fosso deiCappuccini e denominata, dagliesperti che presero parte allo scavo,‘Delubro Fonte Sagro Ninfeo ArgivoFalisco’, per la presenza dell’acqua,e ‘Rosa’ perché il terreno era di pro-prietà del conte Cesare Rosa12.

Resta pertanto difficile associareun toponimo di inizio IV secolo d.C.ad una situazione venutasi a crearesoltanto nel 1873. In età costantinia-na con civitate Falisca doveva inten-dersi la città di Falerii Novi, pertan-to, risulta arduo posizionare le duepossessiones presso Falerii Veteres,anche se va dato atto che indicandola città, il riferimento era anche alsuo territorio, e – nel nostro caso - il

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

Etruria (…) Indicazioni circa il passag-gio di Alarico si registrano a CastrumNovum (S. Marinella) dove recenti inda-gini hanno accertato che la scomparsadell’abitato è da mettere in relazione allaincursione del 408 e a Gravisca(Tarquinia). Qui gli scavi condotti indiversi settori della città etrusco-romanahanno tra l’altro individuato una faseinsediativi tardo-romana conclusa dauna distruzione violenta, che il rinveni-mento di un tesoretto di 174 solidi aureidi Valentiniano I, Valentiniano II,Teodosio, Arcadio e Onorio, ha permes-so di correlare al passaggio delle schierevisigote. Strutture povere, impostatesisul livello d’incendio indicano però unasopravvivenza parziale dell’abitatoalmeno fino alla metà del VI secolo,quando, probabilmente in relazione allaguerra goto-bizantina, sembra verificar-si il totale abbandono dell’area”.

17 V. Von Falkenhausen, I barbari inItalia nella storiografia bizantina, inMagistra Barbaritas cit., p. 305.

11 D. De Francesco, La proprietà fondia-ria nel Lazio cit., p. 50. Una difficoltàdi identificazione dei due fondi chederiva dall’assenza nel territorio civi-tonico di toponimi odierni che lascinointendere simili derivazioni, a differen-za delle possessiones Anglesis e Teregasituate sub civitate Nepesina, facentiparte della stessa donazione, che, perl’idronimo Terega, trova riscontro conil fiume Treia (M.P. PenterianiIacoangeli, U. Penteriani, Nepi e il suoterritorio nell’Alto Medioevo, Roma1986, p. 18), e per Anglesis nel castel-lo o tenuta de l’Agnese (B.Amendolea, F. Fedeli Bernardini, acura di, Montegelato. MazzanoRomano. Stratigrafia storica di un sitodella Campagna Romana, Roma 1998,p. 39 e p. 51, nota 55).

12 F. Tarquini, Notizie istoriche cit., p. 25.13 F. Marazzi, Da Suburbium a

Territorium: il rapporto tra Roma e ilsuo hinterland nel passaggio dall’anti-chità al medioevo, in Roma nell’AltoMedioevo, Settimane di studio del

CISAM, 27 aprile – 1 maggio 2000,XLVIII, tomo 2, Spoleto 2001, p. 718,“Nell’accezione classica, la città – lacivitas – non è solo il sito urbano, ma,in un’unità inscindibile, è l’insieme delterritorio che è sottoposto al propriocontrollo amministrativo”. Le giusteosservazioni che S. Del Lungo (FaleriiNovi: dalla città romana all’insedia-mento monastico, in S. Del Lungo, V.Fumagalli, La chiesa di S. Maria diFalleri. Una fondazione cistercensenella città romana di Falerii Novi,Fabrica di Roma 2007, pp. 43-44) pro-pone (sui “vincoli giuridici e catastaliesistenti, però, su queste aree, destina-te da quasi un millennio al sacro, [che]le rendono inutilizzabili per uno scopodiverso” dalla cessione a favore di unutilizzo coerente con il nuovo culto cri-stiano), possono però essere ripropostecon successo anche per i terreni di pro-prietà o di pertinenza dei santuari diFalerii Novi e non soltanto per quellidi Falerii Veteres.

14 K. Miller, Itineraria romana, Stuttgart

1916, coll. 292–293.15 L’itinerario venne compilato all’inizio

dell’VIII secolo, e nella parte termina-le del percorso elenca Perusia, Petona,Tuder, Ameria, Ortas, Faleris,Galenese, Nepe, Bacanis, Beios,Careias, Roma insignis mobilissima.Cfr. T.W. Potter, D.B. Whitehouse, Ilcastello di Ponte Nepesino e il confinesettentrionale del ducato di Roma, inArcheologia Medievale, XI, Firenze1984, pp. 65-66, che spiegano l’ano-malia di Gallese posizionato dopoFaleris come un errore del compilato-re nell’inserimento di questa località inun itinerario esistente. Dagli studiosiinglesi Faleris è individuata con CivitaCastellana anziché con Falerii Novi.

16 S. Lusuardi Siena, Sulle tracce dellapresenza gota in Italia: il contributodelle fonti archeologiche, in MagistraBarbaritas, I Barbari in Italia, Milano1990, p. 511, “Un riscatto di 5.000 lib-bre d’oro, 3.000 d’argento più seta espezie pagato dal senato induconoAlarico a ritirarsi temporaneamente in

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mediterraneo, si deve aggiungere perl’Italia la forte contrazione dellapopolazione a seguito della guerra20.

Ad aggravare ancor più la situa-zione furono le pestilenze e la mala-ria, che colpirono vaste zonedell’Italia centrale21.

Si riteneva che la maggior partedelle città e delle stazioni stradaliromane dell’Etruria meridionale fos-sero già in declino nel corso delmedio Impero e non avessero conser-vato il loro status urbano dopo il IVsecolo22. Un confronto con i dati rela-tivi alle diocesi e ai cimiteri paleocri-stiani della regione dimostra, invece,che gli abitati abbandonati sono quel-li in cui non sono presenti testimo-nianze funerarie cristiane23.

Le città di epoca imperiale consicure attestazioni monumentali cri-stiane, divenute diocesi entro il 649d.C. sono: Caere, Centumcellae,Tarquinii, Vulci, Forum Clodii,Blera, Tuscania, Sutrium, SorrinaNova, Volsinii, Nepet, Falerii Novi,Orte24. Riguardo a Falerii Novi i datiepigrafici e archeologici ci diconoche ancora nel IV–V secolo d.C. lacittà e il territorio circostante aveva-no mantenuto un discreto livellosocio-economico25.

Al periodo burrascoso degli

ultimi decenni del V secolo d.C.risalgono le prime attestazioni dellapresenza di sedi vescovili in quelloche un tempo era stato l’AgerFaliscus.

Nel concilio del 465 sono presentiJustus, vescovo di Falerii Novi, ePaolino, vescovo di Aquaviva, mentrenel concilio del 487 è presente BenignusAquaevivensis, che ricompare nel sino-do del 499 insieme a Felix episcopusecclesiae Faliscae et Nepesinae26.

Nel raggio di pochi chilometri sitrovano i centri delle tre diocesi men-zionate, due che fanno capo a città diuna certa importanza nel tardo impe-ro, Falerii Novi e Nepet, e l’altra aduna stazione lungo la consolareFlaminia. La diocesi di Acquaviva sisviluppava intorno alla statio da cuiprende il nome, che è stata localizza-ta all’altezza del km. 47 della stradastatale Flaminia, in località Montedell’Osteriola, nel territorio comuna-le di Civita Castellana27.

Sono riferiti al nucleo principaledella stazione stradale alcuni grandiedifici ed un mausoleo posti lungo laconsolare, dai quali si è dedotto chel’apogeo di Acquaviva fu “il periodocompreso tra il I secolo a.C. e il IId.C.”, e, come gli altri dello stessotipo, il sito si caratterizza per la

interessò buona parte del suo territo-rio fino al 553, anno in cui i Bizantinine assunsero il controllo totale.

Al termine della ventennale guer-ra, narrata da Procopio di Cesarea, lasituazione delle zone teatro degliscontri risultava gravemente com-promessa. Si ha l’immagine diun’Italia assai provata nelle sue strut-ture produttive e nel suo reticoloinsediativo, con una sequenzaimpressionante di spopolamento,carestie, fame, epidemie. Un panora-ma assai fosco – comprovato anchedai dati archeologici – segnato dal-l’abbandono delle campagne, dallariduzione della popolazione nellecittà e dalla crisi delle infrastrutture(strade, ponti, porti, ecc.)18.

Lungo le principali arterie strada-li battute dagli eserciti, gli insedia-menti, nella stragrande maggioranzadei casi, risultano essere ridimensio-nati o abbandonati dalle popolazioni.

La consolare Flaminia e la viaAmerina, sopportarono il passaggiodei Goti e dei Bizantini nel tratto traRoma e Ravenna, e molti sono gliinsediamenti, posti nelle loro vici-nanze, che subirono modificazioniimportanti proprio in quegli anni19.

Al generale calo demografico intutti i centri urbani dell’Occidente

pp. 130–133. con descrizione delle emer-genze archeologiche e monumentali).

28 T.W. Potter, Storia del paesaggio cit.,pp. 131-132, “una dozzina di grossiedifici nel suolo arato. Quasi tuttihanno mosaici pavimentali, intonacidipinti e decorazioni marmoree e, inqualche caso, i resti monumentalicoprono un’area di metri 40x40 (…)C’era inoltre un ampio mausoleo circo-lare dove si rinvenne nel 1968 parte diuna lunga iscrizione databile intornoalla metà del I secolo d.C. (…) I restidi questa casa, presso il mausoleoerano molto evidenti, essendo segnala-ti da un’enorme quantità di frammentifittili ed edilizi, su una superficie dioltre 6.000 metri quadrati; essi com-prendevano elementi architettonici ditipo esotico come tessere vitree, comu-ni solo nelle abitazioni più ricche. Lacasa restituì ceramica databile dalperiodo tardo repubblicano al IV seco-lo, ma è l’unico sito del complesso diAquaviva a offrire una serie così com-pleta; tutti gli altri edifici presentanomateriali della prima età imperiale,uno soltanto frammenti del IV secolo(…) L’assenza di qualunque tracciaidentificabile di un impianto sistemati-co è una caratteristica costante di que-sti siti; essi si svilupparono, evidente-mente, in modo frammentario e disor-ganico. Sarebbe comunque un erroreconsiderarli sempre come il prodottodi una crescente frequentazione dellestrade principali da parte della popola-zione rurale”.

18 E. Zanini, Le italie bizantine.Territorio, insediamenti ed economianella provincia bizantina d’Italia (VI-VIII secolo), Bari 1998, p. 114.

19 Riguardo all’Umbria – regione al cen-tro degli scontri tra Goti e Bizantini ilcui territorio è attraversato dallaFlaminia e dall’Amerina – “a determi-nare un forte mutamento delle città nontanto sul piano dell’ordinamento edella gestione amministrativa, quantoriguardo le strutture e l’aspetto urbani-stico, non furono solo le vicende delconflitto greco–gotico, ma anche quel-le non meno devastanti e drammatichedei decenni precedenti e successivi”,E. Menestò, Istituzioni e territoriodell’Umbria da Augusto all’iniziodella dominazione franca, in Il corri-doio bizantino e la via Amerina inUmbria nell’alto medioevo, Spoleto1999, p. 58. Per le vicende della guer-ra greco-gotica riferite all’Umbria vd.S. Bocci, L’Umbria nel BellumGothicum di Procopio, Roma 1996.

20 E. Zanini, Ricontando la terra sigillataAfricana, in Archeologia Medievale,XXIII, Firenze 1996, p. 685, “cadutapressoché verticale della popolazioneche raggiungerebbe un suo minimoassoluto probabilmente in coincidenzacon la fine della guerra greco-gotica”.

21 Per l’Etruria meridionale e l’area fali-sca vd. T. W. Potter, Storia del paesag-gio dell’Etruria Meridionale, Roma1985, p. 158, per l’Umbria vd. E.Menestò, Istituzioni e territoriodell’Umbria cit., p. 44.

22 T.W. Potter, Storia del paesaggio cit.,p. 155, (Veio, Lucus Feroniae, Capena,Falerii Novi, Ad VI, Careiae, AdBaccanas, Ad Gallinas, AdVicesimum, Aquaviva).

23 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani nel Lazio, I Etruria meridionale,Pontificio Istituto di ArcheologiaCristiana, Città del Vaticano 1988, p.383 e pp. 403–406; i casi di Fregene,Alsium, Pyrgi, Graviscae, Veii,Capena, Lucus Feroniae.

24 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., p. 383.

25 Un’analisi è stata recentemente propo-sta da S. Nardi Combescure, Paesaggid’Etruria meridionale. L’entroterra diCivitavecchia dal II al XV secolo d.C.,Firenze 2002, p. 4. L’autrice prende inesame le iscrizioni epigrafiche tardo-antiche, dalle quali emergerebbe,soprattutto in CLI XI, n. 3086, datatasulla base dei voti triennali al IV-Vsecolo, “come all’epoca esistesseancora una comunità urbana, con pos-sibilità economiche tali da poter realiz-zare monumenti onorari”. Prende inesame anche le ville situate nel trattotra Falerii Novi e Nepi (Pian Badessa,Monte della Macina, Tenuta Franca,Casale Messano e Fosso Maggiore)“che attestano il loro abbandono neisecoli compresi fra il IV ed il VI d.C.”,e la via Amerina nel tratto in localitàCavo degli Zucchi (Civita Castellana)il cui lastricato stradale “fu mantenutoalmeno sino al IV secolo d.C.” e “finoai decenni precedenti le guerre greco-

gotiche e l’invasione longobarda, lastrada aveva mantenuto il suo ruolo diarteria interregionale tra Roma el’Umbria”. Sul tratto della via Amerinaa sud di Falleri, vd. L. Caretta, ViaAmerina e necropoli meridionale diFalerii Novi: i risultati delle ricerchein corso, in Archeologia in Etruriameridionale cit., p. 93 “il piano di cal-pestio, riallestito in modo così radicaletra la fine del V e gli inizi del VI seco-lo d.C., mostra le tracce di un passag-gio protratto nel tempo fino all’interrodefinitivo”, e, riferito all’area del Cavodegli Zucchi, “Nell’area è stata rinve-nuta una discarica con abbondantemateriale databile al V secolo d.C.”.

26 M. Mastrocola, Note storiche circa lediocesi di Civita C. Orte e Gallese,parte II, Vescovadi e Vescovi fino allaunione del 1437, Civita Castellana1965, pp. 6 e 18.

27 Per la localizzazione della statio e per lasua menzione negli itinerari antichi emedievali vd. G. Radke, Viae PublicaeRomanae, Bologna 1981, pp. 200 e 203,e V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., p. 263, nota 1201. Fu propostauna localizzazione ad est del tracciatomoderno della statale Flaminia, all’altez-za del km. 50 si dirama la strada perPonzano Cave e nel raggio di un chilo-metro si incontrano i resti di Torre deiPastori, di una chiesetta medievale, diPonte Ritorto e di Centocelle, che Cozzae Pasqui proposero come “la stazione diposta di Aquaviva” (G. Messineo, A.Carbonara, Via Flaminia, Roma 1993,

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sepolcri decorati con pitture e conspazi riservati a particolari gruppi didefunti, segno di una committenzafacoltosa32. Anche la catacomba diFalerii Novi segue le sorti di quelledell’Etruria meridionale, che nel Vsecolo cessano di ospitare nuovesepolture33. Il luogo continuerà adessere frequentato per la preghiera e lefunzioni religiose, dato che la chiesamartiriale di S. Gratiliano, posizionataall’ingresso della catacomba, fu attivaper tutto l’alto medioevo34. Una recen-te ricerca da parte della British Schoolat Rome ha portato nuovi elementi diriflessione sul sito di Falerii Novi. Lapresenza di ceramica tardo imperiale,sigillata chiara del tipo C e D, nellazona del foro, fa dire ai ricercatoriinglesi che “the forum was the princi-pal focus of activity during the third,fourth, fifth an sixth centuries AD”35.

La rarità della ceramica tarda nellazona del teatro e nell’angolo sud estdella città lascia intendere che questezone furono abbandonate nel corso deltardo impero. Si profila anche perFalerii Novi, più o meno, la stessadinamica insediativa di molte cittàromane dell’epoca: riduzione dellapopolazione e conseguente restringi-mento dell’abitato, foro come puntoancora vitale della vita cittadina,ampie zone disabitate all’interno dellemura, spesso adibite a coltivazione.

Il ritrovamento di ceramica di V eVI secolo conferma la frequentazio-ne della città, ma non ci restituiscel’esatta dimensione del fenomeno

insediativo. Un aspetto meriterebbedi essere chiarito: la ceramica sigilla-ta chiara di tipo D, fossile guida pereccellenza nella datazione di contestiarcheologici, risulta importata inItalia almeno sino alla prima metàdell’VIII secolo, ma la ricerca dellaBritish School a Falerii Novi associaquesta tipologia soltanto al VI seco-lo. In assenza di maggiori notizie, sideve intendere che i frammenti disigillata D rinvenuti si riferiscanoalle forme tipologiche più antiche,risultando così in linea con i datiriguardanti l’Etruria meridionaledove “gli ultimi arrivi di africana Dsembrano infatti riguardare esclusi-vamente i tipi relativamente più anti-chi dell’ultima fase produttiva (…) lacui cronologia finale sembra potersiben accordare con quella del passag-gio del territorio sotto il controllolongobardo”, e in contrasto con i datisu Roma, dove sono ben attestateanche le forme più tarde36.

Poiché il territorio di Falerii Novinon è mai stato sotto il controllo lon-gobardo, si può pensare che la man-canza di sigillata chiara tarda (oltre ilVI secolo) sia da ricondurre ad altrecause – l’abbandono della città adesempio - soprattutto se si considerache, tramite l’Amerina, i contatti conRoma, dove questo tipo di ceramicaha continuato a circolare per quasi unsecolo e mezzo, erano agevoli e sicu-ri. La cinta muraria di Falerii Novi hamantenuto nel corso dei secoli la suaimpronta originaria risalente al

irregolarità dell’impianto urbani-stico28.

La presenza di vescovi sino allafine V secolo e la menzione della sta-tio in alcuni itinerari riguardanti lavia Flaminia, lasciano intendere chel’originaria stazione di posta avevaassunto una certa dimensione ed unruolo significativo nella regioneimmediatamente a nord di Roma.

Il fenomeno delle antiche stazionistradali nell’area intorno all’Urbe, cheassunsero poi importanza dal punto divista religioso, è ben descritto dalFiocchi Nicolai che pone l’accentosoprattutto su Lorium al XII migliodell’Aurelia e su Aquaviva, che inepoca tardoantica divennero importan-ti sedi diocesane29.

Falerii Novi tra tarda antichità ealto medioevo

La catacomba dei santi Gratilianoe Felicissima, situata a poche centi-naia di metri dalla porta di Giove aFalerii Novi, dal IV secolo d.C.divenne verosimilmente il cimiteroufficiale della città con circa unmigliaio di sepolture30.

L’alto numero di defunti sepolti èun indizio importante circa la vitalitàe il notevole livello demograficomantenuto dal centro tra il IV e il Vsecolo d.C.31. A fronte di un tenore divita modesto e livellato, che emergedallo studio dei cimiteri paleocristia-ni dell’Etruria meridionale, il cimite-ro di Falerii Novi, insieme a pochialtri, si distingue per la presenza di

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

ridosso della nostra catacomba”.35 S. Keay, M. Millett, S. Poppy, J.

Robinson, J. Taylor, N. Terrenato,Falerii Novi: a New Survey of theWalled Area, London 2000, p. 73.

36 E. Zanini, Le italie bizantine cit.,pp. 303–304.37 I. Di Stefano Manzella, Lo stato giuri-

dico cit., p. 347, “Sembra più credibilepensare al periodo compreso tra il 240e il 230 a.C. o al massimo il 220”.

29 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., p. 13.

30 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., p. 277.

31 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., p. 384.

32 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., p. 389, “solo a Falerii Novi unvasto ambiente con nicchia absidata sulfondo ed arcosoli alle pareti è da ricolle-

gare ad utenti di non comune livello”.33 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-

stiani cit., p. 396, “Solo quattro inse-diamenti funerari di quelli già in vitanel periodo precedente furono attivianche nel VI secolo”.

34 Sulla chiesa di S. Gratiliano, sia nella cita-zione nella lapide del vescovo Leonedell’VIII sec. che nel documento n. 41 delRegesto di Farfa dell’anno 767, vd. A.

Ciarrocchi, Storia e società a CivitaCastellana in un contratto altomedievale,in Biblioteca e Società, XXIII, 3-4,Viterbo 2003, pp. 3–21. Circa l’ubicazionee i dati archeologici vd. V. Fiocchi Nicolai,I cimiteri paleocristiani cit., pp. 279–283:“La chiesa di S. Gratiliano, che nel 1155già da tempo risulta distrutta, credo debbaessere identificata con sicurezza con i restidell’edificio basilicale visibili subito a

Fig. 1 - Rupi antistanti l’ambitato di Civita Castellana

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contro i Goti - la riduzione della super-ficie abitativa e la costruzione di unnuovo circuito murario nella cittàromana di Ferento che, a differenza diFalerii Novi, continuò ad essere abitatasino al XII secolo42.

Dalle considerazioni che precedonosembra di capire che sia i problemi dimanutenzione che l’indubbia necessitàdi uomini e mezzi ai fini del controlloavrebbero consigliato il ridimensiona-mento della cinta muraria, che a FaleriiNovi misura circa 2400 metri43.

Ma ciò non avvenne, poiché il cir-cuito murario è rimasto quello origina-rio e non ha subito restringimenti. Ilmantenimento del perimetro delle muradi epoca repubblicana può significareche la città disponeva di sufficientimezzi e uomini per le manutenzioni eper la difesa, oppure, come sembra piùprobabile, che c’era rimasto poco oniente da difendere. La chiusura di tuttele posterule e di alcune porte è forse da

mettere in relazione più con un periododi insicurezza che con una fase di guer-ra o di assedio. Quando l’insicurezza,causata dagli avvenimenti del V secolo,si trasformò in guerra, quella ventenna-le tra Goti e Bizantini, non c’erano altrilavori da fare per rendere più efficace laprotezione offerta dalle vecchie mura.Che la cinta muraria di Falerii Novi nonfosse adeguata a proteggere la città intempo di guerra lo dimostra la conqui-sta della vicina Nepi ad opera deiBizantini, nonostante le sue forti difesenaturali e le sue mura. Falerii Novi erastata concepita da Roma in tempo dipace e, come riferisce Zonara, avevauna caratteristica ben precisa: “men-tre l’antica città posta su un’alturafortificata fu distrutta, un’altra nevenne costruita di facile accesso”44.

Il recupero dell’antico sito faliscoIl luogo dove un tempo era situa-

ta la capitale del popolo falisco si

periodo repubblicano37. Gli interventi modificativi più signi-

ficativi sono quelli relativi alla chiusurae/o restringimento delle porte origina-rie. Le posterule e le porte principali, adeccezione della porta di Giove, sonostate chiuse o ridotte con tamponature.Il sistema delle tamponature delle porteha fatto pensare ad una datazione coe-rente con i primi anni della guerra traGoti e Bizantini38.

Nelle fonti Falerii Novi non vienemai citata come roccaforte bizantina ocome teatro degli scontri; anzi, poichéProcopio di Cesarea cita Nepi nelle suestorie, è probabile che già dai primianni di guerra quest’ultima città abbiaassunto il ruolo di principale baluardodi controllo dell’Amerina in area lazia-le, se non altro per le sue difese natura-li39. La presunta imponenza delle muradi Falerii Novi, distante solo cinquemiglia da Nepi, è “proprio il puntodebole, elevandosi troppo in alto in pro-porzione alla distribuzione delle torri,erette anche in funzione di contrafforte,e richiedendo una continua e dispendio-sa manutenzione contro gli improvvisicedimenti dei coronamenti superiori”40.Da parte dell’amministrazione bizanti-na veniva posta una grande attenzioneal restauro delle cinte murarie “chespesso vengono ridimensionate, ridu-cendone l’estensione per facilitarne ladifesa, anche in considerazione deldecremento generalizzato della popola-zione in molti centri”41.

Si deve appunto all’amministrazio-ne bizantina - al tempo della guerra

confronto, se così possiamo definirlo,può essere fatto con Roma, vd. F.Lamendola, L’invasione di Alarico inItalia e il sacco di Roma (410 D.C.), inwww.arsmilitaris.org, p. 15, “Romanon aveva una guarnigione valida, etroppe bocche da sfamare, una massadi circa 300.000 persone compresi glischiavi (…) Le mura aureliane, lunghediciannove chilometri e mezzo, eranotroppo estese per poter essere presidia-te adeguatamente in tutto il perimetro(…) Negli anni 402-403 (…) Onorioaveva disposto il restauro generaledella cinta muraria (…) le porte cittadi-ne furono ridotte a un unico fornice,dai due originari. Le mura di Romaavevano un’altezza oscillante fra i 10 ei 18 metri (…) però c’erano una quin-dicina di porte da sorvegliare, decisa-mente troppe in una situazione comequella, ossia senza una forte guarnigio-ne militare”, e p. 19, “Queste porte,all’avvicinarsi dei Visigoti, vennerochiuse e probabilmente rinforzate conblocchi di pietra e altre ostruzioni”.

44 Zon., 8,18, in I. Di Stefano Manzella,Lo stato giuridico cit., p. 345.

38 S. Del Lungo, Falerii Novi, cit., p. 47,l’autore applica a Faleri Novi le stesseesigenze e lo stesso approccio difensi-vo di Roma messo in atto dal generalebizantino Belisario.

39 Procopio di Cesarea, La guerra gotica,traduzione di Domenico Comparetti,Milano, Garzanti, 2005, libro IV, 34,nell’ultimo anno di guerra (553) ibizantini “posto l’assedio a Porto, loebbero per capitolazione, come pureun castello di Toscana chiamato Nepi”.

40 S. Del Lungo, Falerii Novi cit., p. 46.41 E. Zanini, Le italie bizantine cit., p.

110. Questo modello d’intervento, inqualche misura standardizzato, caratte-rizza la fase protobizantina e soprattut-to giustinianea nelle regioni delMediterraneo. I casi descritti daProcopio di Leptis Magna (De Aed.,VI, IV, 1-12) e di Antiochia (DeAed.,II, x, 2-25) del ridimensionamen-to delle cerchie murarie, è stato verifi-cato dalle indagini archeologiche,come anche nel caso di Bylis, inAlbania. Sulla situazione di FaleriiNovi e la sua cinta muraria, vd. N.J.Christie, Forum Ware, the Ducy of

Rome, and incastellamento: problemsin interpretation, in ArcheologiaMedievale XIV, Firenze 1987, p. 458,“The survival of the circuit at FaleriiNovi denies the town’s destruction andallows one to infer a gradual depopula-tion, as a result of which the wallscould not be adequately manned intime of threat”.

42 A. Spina, A. Canci, Ferento (VT).Risultati dello studio antropologico epaleopatologico della necropoli alto-medievale (VI-VIII secc.), inArcheologia Medievale, XXXIV,Firenze 2007, p. 329, il sito “è interes-sato da una drastica riduzione del tes-suto urbano in concomitanza dell’ac-cendersi del conflitto greco-gotico(535-553): in quest’occasione la cittàviene ridotta a circa 1/8 della superfi-cie occupata in età imperiale e fortifi-cata dai Bizantini attraverso la costru-zione di un imponente circuito mura-rio”. Sulle caratteristiche della cintamuraria bizantina cfr. G. Maeztke (acura di), Ferento, CivitasSplendissima, guida alla mostra alMuseo Archeologico Nazionale Rocca

Albornoz di Viterbo, 15 novembre2002 - 15 febbraio 2003, Viterbo 2002,p. 49; G. Maetzke, Ferento (Viterbo).Indagini archeologiche nell’areaurbana (1994-2000), in ArcheologiaMedievale, XXVIII, Firenze 2001, p.320. Il collegamento tra le città roma-ne di Ferento e di Falerii Novi, situaterispettivamente a nord ed a sud-est deimonti Cimini, era assicurato dalla viaFerentiensis (per un’indagine sul trac-ciato della via romana da Ferento, indirezione di Falerii Novi, sino a S.Eutizio - Soriano nel Cimino si vd. M.Sanna, L. Proietti, Presenze archeolo-giche lungo la “Via PublicaFerentiensis” e le sue diramazioni,Viterbo 2007).

43 M.A. De Lucia Brolli, L’Agro Falisco,Roma 1991, p. 49, “Le mura, costruitein opera isodoma di tufo rosso, sonorinforzate da 50 torri difensive a pian-ta quadrata, mentre è stata ipotizzatal’esistenza di altre tredici torri lungo ilperimetro della cinta”, in alcuni punti“sono conservate per oltre sei metri dialtezza e recano tracce dell’originariocoronamento, a fascia aggettante”. Un

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di culto e di incontro di tutta la nazioneetrusca47.

Con la fine dell’impero il maestosopianoro tufaceo ritornò ad attrarre lapopolazione per le sue caratteristichedifensive. Risale al periodo della guer-ra greco-gotica (535-553) la menzionedi Ourbibenton da parte di Procopio diCesarea48.

Qualche anno più tardi un kastronOurbevetera è citato da Giorgio Cipriotra le fortificazioni bizantine a difesadel territorio contro i longobardi49.Nell’Etruria meridionale sono ricordatianche il castrum Nepis e Centumcellae(Civitavecchia), venendo sottaciuti cittàe castelli, anche importanti, posti a con-fine con i territori longobardi50.

Civita Castellana e Orvieto nonhanno avuto in comune soltanto lasconfitta ad opera di Roma, il trasferi-mento in altra sede e la rioccupazionedel sito preromano, ma per qualchesecolo anche il nome.

Con Urbis Veteris venivano indica-te nell’alto medioevo le due località cheavevano ospitato nell’antichità duedelle più importanti città dell’Etruria.

Se il caso di Orvieto è noto sin dal-l’assunzione della nuova denominazione,

quello di Civita Castellana è rimasto inombra sino ad oggi, sia a causa delladefinizione dell’attuale nome, cheavvenne tra VIII e IX secolo, sia pererrori di valutazione commessi da colo-ro che si imbatterono nel nome e loattribuirono a Orvieto o a Viterbo51.

Quando Giorgi e Balzani pubblica-rono il Regesto di Farfa, dovettero scio-gliere le molte abbreviazioni contenutenel Codice Vaticano Latino 8487, laraccolta dei documenti antichi dell’ab-bazia trascritti dal monaco Gregorio diCatino alla fine dell’XI secolo.

I due studiosi si trovarono di fron-te all’enigma contenuto nel docu-mento con il quale l’abbazia conce-deva in locazione a tal Teodoro l’ora-torio di S. Angelo.

Il locatario, il notaio e il vescovoLeone, che presenziava alla stipula,provenivano tutti da castri urbb, chefu interpretato con castriu(ite)rb(ii)52, disattendendo Gregoriodi Catino che, quando riprende ilcontenuto dello stesso atto, sia nelChronicon che nel Liber Floriger,scrive per esteso Urbis Veteris53.

Il documento manoscritto delmonaco Gregorio riporta sopra la

prestava benissimo alle esigenzedella popolazione in un periodo bur-rascoso e pericoloso come quello tra lametà del V e la metà del VI secolo. Ilvasto pianoro tufaceo circondato da tor-renti che nel tempo avevano solcato pro-fondi burroni, con pareti a strapiombo altepiù di 50 metri, tornava ad essere, dopomolti secoli, il luogo ideale per garantirela sicurezza degli abitanti (Fig. 1).

Una posizione difensiva invidiabile,che già aveva dato molto filo da torcereai romani, con Furio Camillo costrettonel 394 a.C. a cingerla inutilmente d’as-sedio, e che nel XII secolo gli valsel’appellativo di locum tutissimum45.

Falerii Veteres aveva vissuto più omeno le stesse vicende storiche diun’altra città stato dell’Etruria interna:Orvieto. La Velzna etrusca fu sconfittada Roma nel 264 a.C., che ne disposepoi il trasferimento sulle sponde delvicino lago di Bolsena: la Volsiniiromana. Il sito etrusco continuò adessere comunque frequentato, prova nesono le emergenze archeologiche rinve-nute anche di recente46.

Di non poca importanza fu la fre-quentazione dei santuari, come quellonotissimo di Fanum Voltumnae, luogo

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

Ludovico il Pio, in MGH PactumLudowici Pii cum Paschali pontifice,Capitularia regum francorum, vol. I,n. 172, Hannover 1881, p. 352.

52 I. Giorgi, U. Balzani, Il Regesto diFarfa compilato da Gregorio diCatino, Roma 1872–1892, volume II,documento n. 41, p. 49

53 hronicon Farfense sive istoria MonasteriiFarfensis ab eius origine, autore Gregoriomonacho, in L. A. Muratori, RerumItalicarum Scriptores, Milano 1725, tomoII, parte II, p. 343, “Theodoro abitatoreCastri Urbis-Veteris”. M.T. Maggi Bei, IlLiber Floriger di Gregorio di Catino, inMiscellanea della Società Romana di StoriaPatria 26, Roma 1984, p. 45, “OratoriumSancti Angeli in castro Urbis Veteris”.

54 Circa l’esame del documento, individua-to come Codice Vaticano Latino 8487,foglio 22r., la sua stesura e l’attribuzionea Civita Castellana, vd. A. Ciarrocchi,Storia e società cit., pp. 3-21.

45 L. Duchesne, Le Liber Pontificalis, I,cit., p. 390.

46 G. M. Della Fina, La fase romana, inStoria di Orvieto, I – Antichità, a curadi G.M. Della Fina - C. Fratini, Orvieto2007, pp. 385–393.

47 Sulla recente scoperta del santuarioorvietano, ad opera della prof.Simonetta Stopponi dell’Università diMacerata, nell’area del Campo dellaFiera, ai piedi della rupe di Orvieto,vd. la notizia apparsa su La Repubblicadel 22 agosto 2007, p. 42.

48 Procopio di Cesarea, La guerra goticacit., II, 11, p. 197; II, 18, p. 231; II, 19,p. 234; II, 20, pp. 238-239.

49 P.M. Conti, L’Italia Bizantina nella“Descriptio orbis romani” di GiorgioCiprio, La Spezia 1975, pp. 75-76.L’autore identifica la località citata conil Castrum Vulturaria, oggi VolturaraApula, anziché con Orvieto; identifica-zione che è invece data per possibile da

C. Citter, La frontiera meridionale, inW. Kurze, C. Citter, La Toscana, inCittà, castelli, campagne nei territoridi frontiera (secoli VI-VII), Mantova1995, p. 175, nota 135, e p. 181 nota162; nonché da E. Zanini, Le italiebizantine, cit. p. 177, nota 227.

50 P.M. Conti, L’Italia bizantina cit., p.26, “La Descriptio, quindi, non dàtanto informazioni sui particolariquanto dà il quadro generale dell’ordi-namento territoriale dell’Italia bizanti-na, e si spiega come (…) le determina-zioni provinciali di questa riescanodefinite piuttosto nei loro sostanzialiperimetri che non nella loro integrità(…) non è troppo sorprendente chel’antico geografo abbia tralasciato diricordare città, come Pisa, ad esempio,o come Narni, le quali (…) potevanopur essere intuitivamente attribuite aidomini bizantini per trovarsi all’inter-no o arretrate rispetto ad una di quelle

linee ideali, congiungenti città o‘castra’, che venivano a definire l’am-bito di ogni” provincia.

51 Chi pubblicò le lettere di GregorioMagno (anno 1891) non trovò ausilioda parte di chi curò l’edizione delRegesto di Farfa (anni 1872-1892) nel-l’attribuzione a Civita Castellana deltoponimo Urbe Vetere. Per la massaeCastellanae si vd. G. Tomassetti, DellaCampagna Romana nel Medio Evo, inASRSP, vol. VII, Roma 1884, p. 412, epp. 425-426, nel 727 papa Gregorio IIconcede in locazione al monastero diS. Silvestro sul monte Soratte il “fun-dum Cancianum ex corpore massaeCastellianae patrimonii Tusciae”; perLeo episcopus civitate Castello nel 769al concilio di papa Stefano III si vd. L.Duchesne, Le Liber Pontificalis, I, cit.,p. 474; per Castellum nell’anno 817nella conferma delle donazioni fattedai carolingi alla Chiesa ad opera di

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romano del 15 luglio 595 e si sotto-scrive come Iohannes episcopus civi-tatis Falaritanae55.

Nel marzo del 592 papa Gregorioindirizza una missiva a Iohanni epi-scopo per nominarlo visitatore delladiocesi di Nepi, rimasta senza ilvescovo titolare Paolo che era stato,dallo stesso pontefice, inviato aNapoli59. Il vescovo Giovanni vennemandato a Nepi per esercitare le fun-zioni episcopali in occasione dellefestività pasquali. Si ritiene che quelGiovanni fosse il vescovo titolaredella diocesi faleritana che, in virtùdella vicinanza, poteva senza troppidisagi sostituite il vescovo nepesinoper le funzioni pasquali60.

Ci sono pertanto buone probabili-tà che il Giovanni vescovo della dio-cesi faleritana, presente al conciliodel 595, sia lo stesso a cui GregorioMagno indirizza sia la lettera deldicembre 590 che quella di nomina avisitatore di Nepi nel marzo del 592.

Nel dicembre del 591 il papa scri-ve a Candido episcopo de UrbeVetere61. Il vescovo Candido è, inve-ce, ascrivibile alla diocesi di Orvieto,lo prova la sua presenza al conciliodel luglio 595, nel quale si sottoscri-ve: Candidus episcopo civitatisBulsinensis62.

Resta comunque possibile, anchese poco probabile, che nella sede diOrvieto ci sia stato un avvicenda-mento tra un presule di nomeGiovanni e il vescovo Candido neidodici mesi intercorrenti tra il dicem-bre 590 e lo stesso mese del 591, maun ulteriore elemento deve esserepreso in considerazione. Quando nelmarzo del 596 papa Gregorio torna a

scrivere al vescovo Candido, indiriz-za la lettera a Candido episcopo deUrbe Veteri maiore63. L’aggiunta del-l’aggettivo ‘maggiore’ si giustificasoltanto se deve operare una distin-zione, e questa non può che esserequella tra due località con lo stessonome. Quando i vescovi delle duesedi si trovarono al concilio romanodel 595 usarono l’antica titolazione –episcopo civitatis Falaritanae e epi-scopo civitatis Bulsinensis – maquando, invece, dovevano essere rag-giunti dalle missive papali nelle loroeffettive sedi episcopali fu necessariousare il nome della nuova località, e,in caso di omonimia, sopraggiunse lanecessità di differenziare le due sedicon un elemento distintivo, magariun semplice aggettivo64.

È necessario a questo punto cer-care di stabilire a quale delle duelocalità è attribuibile il nomeOurbibenton più volte citato daProcopio di Cesarea nel raccontare laguerra tra Goti e Bizantini.

Lo storico greco ricordaOurbibenton in alcuni episodi dellaguerra accaduti tra la primavera e lafine del 538:

a) Vitige, re dei Goti, interrottol’assedio a Roma, prima di tornare aRavenna, lasciò un migliaio di uomi-ni “in Orvieto con a capo il gotoAlbila”65;

b) il generale bizantino Belisario,rivolgendosi ai suoi duci, disse:“molti luoghi sono guardati da legio-ni barbare capaci di tenerci fronte,fino ad Orvieto che trovasi in prossi-mità di Roma”66;

c) egli subito “spedì Peranio conmolte truppe ad Orvieto per assediar-

parola urbb un segno di abbreviazio-ne54, e ciò è stato inteso per abbrevia-re urb(is)b(eteris)55.

Due località con le stesse caratte-ristiche fisiche – un pianoro tufaceomodellato dall’erosione – poste nellaTuscia, indicate con lo stesso nome,tanto da poter essere confuse.

E si confondono gli autori del-l’opera a stampa di papa GregorioMagno quando assegnano a OrvietoIohanni episcopo de Urbe Vetere56.

Il testo della lettera di papaGregorio I, indirizzata nel dicembre del590 al vescovo Giovanni, è il seguente:

Gregorius Iohanni episcopo de UrbeVetereAgapitus abbas monasterii sanctiGeorgii insinuavit nobis, plurima sea vestra sanctitate gravamina susti-nere, et non solum in his, quae neces-sitatis tempore aliquod monasteriopossint ferre subsidium, verum etiamin eodem monasterio missas prohi-beatis celebrari, sepeliri etiam ibi-dem mortuos interdicas. Quod si itaest a tali vos hortamur inhumanitatesuspendi, et sepeliri ibidem mortuosvel celebrari missas nulla ulteriushabita contradictione permittas, necdenuo querelam, de his, quae dictasunt, praedictus vir venerabilisabbas deponere compellatur.

Agapito, abate del monastero di S.Giorgio, aveva richiesto l’intervento diGregorio Magno al fine di far cessarele offese da parte del vescovoGiovanni. Il papa intimava al vescovodi desistere dalla sua condotta e di per-mettere all’abate di poter tornare a farseppellire i morti e a far celebrare lemesse nel monastero57.

Un vescovo Giovanni della dio-cesi faleritana è presente al concilio

ep. II, 26 visitatio ecclesiae Nepesinae,non multum ab ecclesia Faleritanadistantis, iniungitur”, (Ep. V, 57a, p. 366,nota 4), a modifica dell’annotazione del-l’epistola II, 26.

61 Gregorio Magno, Epistolae cit., II, 11,pp. 109-110.

62 Gregorio Magno, Epistolae cit., V,57a, p. 366.

63 Gregorio Magno, Epistolae cit., VI,27, pp. 405-406.

64 Questa specificazione adottata dallacancelleria papale ci fa intendere cheOrvieto alla fine del VI secolo era con-siderata una città più grande, o piùimportante, di Civita Castellana.

65 Procopio di Cesarea, La guerra goticacit., II, 11, p. 197.

66 Procopio di Cesarea, La guerra goticacit., II, 18, p. 231.

67 Procopio di Cesarea, La guerra goticacit., II, 19, p. 234.

55 E. Petrucci, Santo patrono, culto dei santie vissuto religioso nei comuni del Laziosettentrionale dal Medioevo all’età con-temporanea, in Santi e culti nel Lazio.Istituzioni, società, devozioni, in Atti delConvegno di Studio, Roma 2-4 maggio1996, a cura di S. Boesch Gajano e E.Petrucci, Miscellanea della SocietàRomana di Storia Patria 41, Roma 2000,pp. 418-420, nota 19.

56 Gregorio Magno, Epistolae – GregoriiMagni Papae registrum epistolarum, acura di P. Ewald, L.M. Hartmann, inMonumenta Germaniae Historica (MGH),Berlino 1891-1899, libro I, 12, p. 13, innota “Urbe Vetus hodie Orvieto”.

57 Sulla chiesa di S. Giorgio a CivitaCastellana si vd. le pagine seguenti. Perl’attestazione documentale del culto delsanto a Orvieto si vd. D. Scortecci, Orvietonell’Alto Medioevo, in Storia di Orvieto, II– Medioevo, a cura di G.M. Della Fina - C.

Fratini, Orvieto 2007, p. 270, “il monaste-ro di S. Giorgio non esiste più, ma lamemoria della sua ubicazione è tramanda-ta in un toponimo citato in un documentocatastale del 1447, in cui compare un’inte-ressantissima notazione circa una coinci-denza topografica tra la contrada di SanctoPetro in Vetera e il poio di sancto Ghiorio.Si tratta dell’area dove sorgeva il FanumVoltumnae, santuario centro della lega etru-sca (…) Situata a meno di un chilometrodalla rupe lungo la strada che usciva daporta Maggiore per dirigersi verso l’Alfinae il lago di Bolsena”.

58 Gregorio Magno. Epistolae cit., V, 57a,p. 366.

59 Gregorio Magno, Epistolae cit., II, 26,pp. 122-123.

60 M. Mastrocola, Note storiche…, Parte II,cit., p. 19. Dopo aver portato a termine gliincarichi rispettivamente a Napoli e aNepi, Paolo e Giovanni ritornarono alle

loro diocesi d’origine, poiché compaionotra i presuli presenti nel concilio romanodel 15 luglio 595 e si sottoscrivono comePaulus episcopus civitate Neptesenae eIohannes episcopus civitatis Falaritanae.Nelle note alla lettera del papa (Ep. II, 26)si propone di individuare il vescovoGiovanni con Iohanni episcopoScyllacino che fu inviato da GregorioMagno come visitatore della diocesi diCrotone per l’elezione del nuovo vescovo(Ep. II, 39, p. 139). Ma un conto era par-tire da Squillace e andare nella vicinaCrotone per sovrintendere all’elezione delnuovo vescovo e un altro era attraversaremezza penisola per celebrare soltanto lesolennità pasquali. Gli autori delleEpistolae ritornano sull’argomento quan-do, nel concilio del 15 luglio 595, in pre-senza del dell’indicazione della diocesidel vescovo Giovanni, annotano giusta-mente: “Iohannes idem esse videtur, cui

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da un fiume grande e intransitabile;perciò quell’ingresso fu anticamentedai Romani fornito di un certo muropoco esteso, nel quale è una porta,che era allora guardata dai Goti. Etanto sia detto intorno ad Orvieto.Belisario con tutto l’esercito si poseall’assedio, nutrendo speranza di riu-scir forse mediante insidia pel fiume,o che per fame i nemici si arrendes-sero. I barbari, finché le vettovaglienon venner loro affatto a mancare,quantunque ne avessero assai menodel bisogno, pure resistettero straor-dinariamente, non saziandosi mai dicibo, ma solo giornalmente prenden-done tanto da non morir di fame. Equando ogni vettovaglia venne lormeno, si nutrirono di cuoi e di pellimacerate a lungo nell’acqua; poichéAlbila, loro comandante, uomomolto illustre fra i Goti, li pasceva divane speranze”68.

Un’altra fonte parla della presa diOurbibenton da parte dell’esercitobizantino nell’ultimo scorcio dell’an-no 538: Belisarius accedens Romaead exhiemandum in dedizione susci-pit Urbinum et Urbemvetus et insu-lam laci Vulsinensis69. Anche in que-sto caso Urbemvetus è stata identifi-cata con Orvieto, e l’identificazioneè sembrata ancor più scontata graziealla contemporanea notizia dellapresa dell’isola del lago di Bolsena.Come se Belisario, conquistataOrvieto e percorrendo la Cassia chelo riportava a Roma, avesse approfit-tato della vicinanza per prenderel’isola lacustre70.

Nelle fasi iniziali della guerra iBizantini occuparono le città di

Narni, Spoleto e Perugia, riuscendocosì a controllare la via Flaminia e lavia Amerina. Tant’è che Vitige perassediare Belisario, “non volle tentarela presa di Perugia e di Spoleto” e“saputo che Narni era tenuta dai nemi-ci Romani, neppur volgersi colà,conoscendo come quel luogo fossearduo e di difficile accesso (…) mosseverso Roma, passando per laSabina”71. Vitige, tolto l’assedio aRoma, sulla strada per Ravenna,lasciò alcuni contingenti goti a presi-diare i siti di maggiore importanzastrategica, molti dei quali posti lungola Flaminia e l’Amerina: 1000 uominia Chiusi, 1000 ad Orvieto, 400 a Todi,400 a Petra Pertusa (Passo del Furlo),4000 ad Osimo, 2000 ad Urbino, 500a Cesena e 500 a Montefeltro.Nell’estate del 538 Belisario uscì daRoma per portare guerra ai territori inmano ai Goti e spedì dei contingenti aTodi e a Chiusi, ma quando i nemiciudirono che l’esercito bizantino siavvicinava, inviarono degli emissari“offrendo di arrendersi con ambeduele città”72.

Già questo episodio pone unprimo elemento di riflessione circal’identificazione di Ourbibenton conOrvieto. Perché Belisario inviò partedel suo esercito a Chiusi e a Todi enon ad Orvieto, che si trova a circametà strada tra queste due città?Vista la loro repentina resa, perchéquando raggiunse le avanguardie conil resto dell’esercito egli non terminòl’opera dirigendosi verso la vicinaOrvieto?

Per Ourbibenton Belisario proget-tò, invece, uno specifico intervento

la”67; d) Belisario “preso che ebbe

Urbino circa il solstizio d’inverno(…) menò le truppe ad Orvieto; alche lo indusse Peranio, avendo questiudito dai disertori che i Goti colàscarseggiavano di vettovaglie; spera-va quindi che se, oltre alla penuriadel vitto, vedessero presentarsiBelisario con tutto l’esercito, facil-mente si arrenderebbero, come infat-ti accadde. Poiché Belisario, appenagiunto innanzi ad Orvieto, ordinò chetutti in opportuno luogo si accampas-sero, ed egli, girandovi tutto all’in-torno, andò osservando se non fossepossibile forzarne in qualche modo lapresa; e parsegli che niun mezzo vifosse per prendere quel luogo diforza, ma con occulta insidia nonpareagli sarebbe affatto impossibileimpadronirsene. Poiché dal suolo sieleva solitario un colle, per di sopraspianato ed unito, per di sotto dirupa-to a picco. Delle rupi eguali in altez-za formano come una cerchia intornoal colle, non del tutto prossime, madistanti circa un tiro di pietra.

Su quella collina gli antichicostruirono la città, senza cingerla dimura né fornirla di alcuna difesa,poiché parve loro fosse quel luogoper sua natura inespugnabile. Infattia quella mena una sola strada fra lerupi, la quale custodita che sia, nonhanno gli abitanti da temere da alcu-n’altra parte assalto di nemici.Poiché, all’infuori di quello spazioove, come dicemmo, la natura stessacostruì un ingresso per la città, tuttoquanto trovasi di mezzo fra la collina ele rupi testé rammentate, è occupato

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

Teodato teneva racchiusa Amalasunta”. 71 Procopio di Cesarea, La guerra gotica

cit., I, 17, pp. 85-86.72 Procopio di Cesarea, La guerra gotica

cit., II, 13, p. 207.

68 Procopio di Cesarea, La guerra goticacit., II, 20, pp. 238-240.

69 Additamentum Marcellini Comitis,Chronica Minora saec. IV.V.VI.VII (II),a cura di T. Mommsen in MGH,

Berlino 1894, XI, 2, p. 106. 70 Si può pensare che l’isola del lago di

Bolsena presa dai Bizantini sia l’isolaMartana, la stessa in cui tre anni prima(535) venne imprigionata e uccisa la regina

Amalasunta. Procopio di Cesarea, La guer-ra gotica cit., I, 4, pp. 19-20, “V’ha un lagoin Toscana, chiamato Vulsinio, al centrodel quale sorge un’isola assai piccola inve-ro, ma munita di un forte castello. Colà

Fig. 2 - Sarcofago cristiano

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quasi isolato rispetto alla pianura sot-tostante e, ad eccezione del fiumePaglia che passa – oggi neanche trop-po vicino - a lato del pianoro, non siriesce ad immaginare una situazionein cui tutto ciò che c’è tra il colle e lerupi è occupato da un fiume.

Diversamente a Civita Castellanail pianoro è circondato dall’acqua deitorrenti Rio Maggiore a nord e RioVicano a sud, che sfociano, dando lasensazione di comporre un unicosistema idrico75, nel fiume Treia adest. Rimane libero dalle acque sol-tanto il lato ovest dove “la naturastessa costruì un ingresso per lacittà”. Ci sono, pertanto, gli elementiper riconsiderare la localizzazionedell’Ourbibenton procopiana, indivi-duata forse con troppa facilità conOrvieto dagli storici dell’Ottocento econfermata, anche nelle più recentiricerche, dagli addetti ai lavori dioggi76. Quando Paolo Diacono neltardo VIII secolo riferisce che

Orvieto fu presa dai Longobardi nondovrà specificare null’altro, ma scri-vere soltanto Urbs Vetus77. In queglianni il rioccupato sito falisco stavaassumendo la sua nuova denomina-zione e, nell’ambito del nome com-plesso, la parte castrum/castellumassumeva già una certa prevalenza:ciu(itatis) castri urb(is)b(eteris)78.

Reperti tardoantichi e presenzabizantina

A Civita Castellana sono stati tro-vati pochi reperti tardoantichi. Dueiscrizioni su marmo, una situata pres-so la curia e l’altra non più rintraccia-bile, sono state ritenute di dubbiaprovenienza79. Stesso giudizio per ilfamoso sarcofago cristiano (Fig. 2)oggi adibito ad altare nella cattedraledi S. Maria: “L’ipotesi che esso fossestato rinvenuto a Civita Castellananon è perciò basata su alcun elemen-to oggettivo, e così, di conseguenza,che il pezzo possa considerarsi prova

militare. Mandò prima Peranio, epoi, dopo aver preso Urbino, con ilsopraggiungere dell’inverno, lo rag-giunse con tutto l’esercito lungo iltragitto – la consolare Flaminia - chelo portava a svernare a Roma.

Altra considerazione da fareriguarda la distanza tra Roma edOrvieto, che, percorrendo la viaCassia sino a Bolsena, si raggiunge-va dopo circa 140 chilometri.

La valutazione geografica diProcopio su Ourbibenton, che “tro-vasi in prossimità di Roma”, apparealquanto forzata in riferimento adOrvieto, anche se Belisario parla aisuoi sottoposti trattando dello scena-rio peninsulare. Civita Castellana,invece, tramite la Flaminia, dista daRoma poco più di 50 chilometri.

Nella descrizione che Procopio fadel sito di Ourbibenton si riscontranoelementi comuni sia ad Orvieto che aCivita Castellana, ed anche a moltealtre località dell’Etruria dei tufi.

Alcuni dettagli, però, sembranomeglio riprodurre la topografia dellacittà falisca73. Quando lo storicogreco parla di una cerchia di rupi acoronamento del colle su cui sorge lacittà, non si ha la sensazione di vede-re Orvieto, soprattutto quando diceche le rupi di uguale altezza sono“distanti circa un tiro di pietra”74.

A Civita Castellana, invece, inmolti tratti del pianoro le rupi anti-stanti, che lo circondano quasi com-pletamente, si trovano ad una distan-za minima di circa 100 metri.

Il colle dove sorge Orvieto è

Scortecci, Orvieto nell’Alto Medioevo, pp.256-257; R. Davanzo, Il disegno e i dise-gni della città medievale, p. 346. Alla stes-sa tradizione si rifà S. Bocci, L’Umbria nelBellum Gothicum cit., p.124.

77 Paolo Diacono, Storia dei Longobardi,IV, 32, Milano 1988, p. 172, nell’anno605 “Civitates quoque Tusciae, hoc estBalneus regis et Urbs Vetus, aLangobardis invasae sunt”.

78 Nel Codice Vaticano latino 8487, f. 22r sirileva, quando si parla del vescovo Leone,l’uso di anteporre ciu(itatis) al nome dellalocalità, mentre quando si parla diTeodoro e del notaio Sergio si usa soltan-to castri urb(is)b(eteris). Nel concilio del769 è Leo episcopus civitate Castello.

79 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., pp. 265–266, “Da Roma è pro-babile provenga un’iscrizione conservatanel museo diocesano di Civita Castellana,già parte della collezione della VillaTrocchi, situata al km. 46,500 della viaFlaminia” e “Niente è dato sapere sullaprovenienza dell’iscrizione CIL, XI,7539 (…) già a Civita Castellana (…) eoggi non più rintracciabile”.

73 Sulla attendibilità delle descrizionigeografiche di Procopio e sulla suapresenza in Italia nei luoghi descrittinella prima fase della guerra greco-gotica (535-540), cfr. S. Bocci,L’Umbria nel Bellum Gothicum cit.,pp. 13-14, “La certezza che lo storicosia stato personalmente nell’areaumbra, almeno in una fase della guer-ra, è dunque garanzia di maggiore con-cretezza ed attendibilità per le notizieche riguardano tale regione”.

74 Per questa particolare misura di distanza sipuò far riferimento, in primo luogo, alVangelo. Gesù, seguito dai discepoli, nelGetsemani “si staccò da loro quanto un tirodi pietra e, inginocchiatosi, pregava dicen-do: Padre, se vuoi, allontana da me questocalice; però non la mia volontà sia fatta, mala tua” (Luca 22, 41-43); ed alla voce: Tir,del Dizionario Piemontese, Italiano,Latino e Francese, compilato dal Sac.Casimiro Zalli di Chieri, edizione seconda,volume II, Carmagnola dalla tipografia diPietro Barbiè 1830: “Un tir d’pera, distan-za che misura un sasso lanciato dalla mano,un trar di pietra, jactus lapidis”. Un modo,

approssimato ma valutabile, tutto ottocen-tesco di trattare una distanza che ben siadatta al modo di scrivere di DomenicoComparetti, il letterato che traduce l’operadi Procopio alla fine dell’800.

75 Il sistema del Rio Vicano, del RioMaggiore e, per certi versi, del fiumeTreia oggi si caratterizza per il suoregime torrentizio con una portatad’acqua non eccessiva, ma nella sta-gione autunnale e invernale le pioggeprovocano un ingrossamento dei corsid’acqua, tale - alcune volte - da farlisembrare il “fiume grande e intransita-bile” descritto da Procopio nel dicem-bre del 538. Uno studio sui movimentilaterali e verticali del fiume Treia nellazona della città falisca di Narce (traCalcata e Mazzano Romano), situatapochi chilometri più a monte, attestaun aumento della quantità dell’acqua apartire dal II secolo d.C., coerentemen-te con la situazione di altri siti di fon-dovalle dell’Italia centrale che “venne-ro successivamente sepolti sotto altistrati di alluvium, depositati nei perio-di tardo-romano e medievale”, “si può

supporre che i cambiamenti fluvialisiano dovuti a cause più generali,come una variazione climatica” (T.W.Potter, Storia del paesaggio cit., pp.37-39). Un caso d’ingrossamentoeccezionale delle acque che circonda-no la città è raccontato da FrancescoTarquini (Notizie istoriche e territoria-li cit., pp. 48-49). Si verificò, quando“la stagione autunnale tendeva a conti-nuare piogge, e dirottissime furono perotto giorni”, che il giorno 29 ottobre1861 alle “cinque ore della sera s’inte-se la caduta del ponte Clementino, allesei quella del ponte Riofiletto [deno-minazione locale di Rio Vicano], allenove quella del ponte sulla Treja (…) apoco rovinò anche quello di Terrano”.

76 Nella recente Storia di Orvieto, II –Medioevo cit., tutti gli autori che trattanoo accennano alla guerra greco-gotica e aivescovi della città citati nelle Epistolae diGregorio Magno si rifanno alla tesi tradi-zionale: F. Mezzanotte, Orvieto e le cittàvicine nel medioevo, p. 89; M. Sensi,Monasteri e conventi della Diocesi diOrvieto in età medievale, p. 103; D.

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una datazione intorno al terzo quartodel IV secolo82.

L’affermazione sopra riportatapuò essere però riletta alla luce dialcuni elementi di contorno, degni diessere presi in considerazione.Anzitutto bisogna rilevare che di sar-cofagi, nel giardino dell’episcopio,ce n’erano altri due, entrambi di IIIsecolo d.C.. Il primo è un sarcofagostrigilato recante ai lati le figure di unsileno e di una baccante, il secondo,

anch’esso strigilato, con le figure diuna suonatrice di lira e di un filoso-fo83. Se possiamo pensare che furonosia il tema religioso che il valore arti-stico ad aver attratto, nelle epochesuccessive, il sarcofago cristianopresso il vescovato, nel caso dei duesarcofagi pagani è probabile che ciòsia dovuto al loro riutilizzo comesepoltura in epoca cristiana84.

Un quarto sarcofago si trova pres-so il Museo Archeologico dell’AgroFalisco di Forte Sangallo, è anch’es-so strigilato ed è dotato di coperchioa doppio spiovente85.

È facile pensare che tali repertisiano stati recuperati nell’area dellavicina Falerii Novi o in uno dei tantisiti romani presenti nel territoriointorno a Civita Castellana (Fig. 3)86,ma l’esempio offertoci dal mausoleodi Glizio Gallo, finemente decoratoda sculture in marmo e lasciato inabbandono sino alla metà del XVsecolo, lascia intendere che anche nel

dell’esistenza di una comunità cri-stiana di IV secolo a CivitaCastellana, né della presenza diun’area funeraria nella zona dell’at-tuale cattedrale”80.

Il sarcofago fu rinvenuto dalGarrucci nella seconda metà dell’800presso il giardino dell’episcopio atti-guo alla cattedrale, dove era usatocome vasca per fontana81.

Studi recenti collocano la suaproduzione in ambito romano con

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

mano (…) Di rincontro a’ Spenditorij versoPanico è una statua Consolare, che da moltisecoli in qua serve per architrave d’unafinestra (…) Poco più a basso (…) si vedeuna testa trionfale coronata; e non moltodistante, una cantonata tutta di simili operepiena. Nella piazza grande vicino alle voltev’è un fregio superbissimo in un granpezzo di marmo, il quale dimostra haverservito per fascia di qualche Teatro, ò diSepolcro, ò d’altra cosa simile, rotonda. LaChiesa Cathedrale di dentro, e di fuori ètutta piena di finissimi marmi” a pp. 40 –41; “Domo di Santa Maria, tutto fatto su leruine dell’antico, con bellissimi marmi, ecolonne antiche (…) Molti anni a dietro fùtrovato nella restaurazione della madonnadell’Arco un pezzo di marmo antico conalcune lettere grosse, quali dicevano:SACRAE IVNONI. Si crede essere statoqualche frammento di fregio di quelTempio; il qual marmo pur’hoggi così inpezzi in Ciuita Castellana si conserva” a p.37; “In mano di Lorenzo Petronij è unmarmo piccolo di figura ovata (…) fù tro-vato nella Canonica di Ciuita Castellana daGirolamo Petronij mentre ivi fù Arciprete,che fù poi Vescovo di Terni” alle pp.37–38; e poi una serie di iscrizioni, di deco-razioni e di fregi nella chiesa di S. Mariadell’Arco, nella chiesa di S. Clemente e

80 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., p. 264.

81 A. Cardinali, Cenni storici della chiesacattedrale di Civita Castellana, Roma1935, pp. 81–83.

82 C. Ranucci Rossi, Gesti ed atteggiamentinella plastica paleocristiana: note sulsarcofago di Civita Castellana, in“Rivista di archeologia cristiana”, annoLXXIV, n. 1, Città del Vaticano, 1998,pp. 297–310. V. Fiocchi Nicolai, I cimite-ri paleocristiani cit., p. 265, “Il rilievo,per lo stile, la tettonica e la tematica eassegnabile agli anni 370-380”.

83 A. Cardinali, Cenni storici cit., p. 83.Oggi il primo è posizionato nel primopianerottolo della rampa di scale cheporta allo studio del vescovo, è di formarettangolare e sui lati corti sono scolpitele figure di animali alati (forse ippogrifi),più nitida quella posta nella parte destra(una riproduzione fotografica del sarcofa-go in C. Morselli, Civita Castellana,Novara 1988, p. 42, figg. 37-38). Ilsecondo si trova nel deposito di repertisituato al pian terreno del vescovato e sicaratterizza per la forma ovale allungata,mancante della parte retrostante.

84 Circa la diffusione dell’uso di reimpiega-re i sarcofagi cristiani nel IV secolo, cfr.E. Quiri, Milano capitale dell’impero –

Centro politico e religioso, in La Storiadell’Arte, 3, L’Alto Medioevo, Milano2006, p. 203, le “iconografie possonoessere interpretate anche in chiave cristia-na, come il sarcofago strigilato del BuonPastore” databile alla metà del IV secolo.

85 Il sarcofago è posizionato a destra, primadel ponte levatoio. Dalla scheda n. 010della Soprintendenza Archeologica perl’Etruria Meridionale si ricava che al cen-tro della fronte del sarcofago è presenteuna tabula ansata, tra due bande strigila-te, con un’iscrizione parzialmente com-promessa: Q AEMILIO /P(?)R(?)OTOCENEMIO AE ++DIO /[—-] S C [—-]; il sarcofago misura cm.220x64, altezza 60, comprensiva delcoperchio.

86 A.M. De Lucia Brolli, Civita Castellana –Il Museo Archeologico dell’Agro Falisco,Roma 1991, pp. 10-11. Un sarcofagoromano con figure di Muse fu trovato inuna fossa coperta da tegoloni alla cappuc-cina, in località Cava Cacciano, nel territo-rio di Civita Castellana, nel 1957 nel corsodi lavori agricoli. Il defunto, un giovinettodi circa 12 anni, era stato deposto conl’obolo per il viaggio nell’aldilà, un sester-zio di Antonino Pio, che data la sepoltura al140-143 d.C.. La decorazione raffigura lenove Muse e si ritiene opera di un artigiano

locale. Si trova attualmente presso ilMuseo Archeologico dell’Agro Falisco.

87 Molti reperti marmorei sono stati utilizzaticome fregi nella costruzione delle case delcentro storico, ma molti sono spariti nelcorso dei secoli. Recentemente nel giardi-no del convento di S. Maria del Carmine(già S. Maria dell’Arco) è stato rinvenutoun busto acefalo di marmo bianco. Unasituazione al XVII secolo viene propostada D. Mazzocchi, Veio Difeso cit., il qualericorda che, con i resti marmorei del mau-soleo di Glizio Gallo, i civitonici abbelliro-no l’antiporta principale in onore del cardi-nale governatore della città RodrigoBorgia, poi pontefice con il nome diAlessandro VI, “Onde perciò vi fù postasopra la sua Arme con le seguenti parole.RODERICO BORIAE / CALISTI III. P.MAX. NEPOTI / EPO PORTVEN.CARD. VALENTINO / S.R.E. V. CAN-CELLARIO / VEHIENTES / RELIQ-VIAS SEPVLCRI P. GLITII / L. GALLITRIB. MILIT. LEG. PR. / III. VIRICAPIT. CANDIDATI / VETVSTATECOLLAPSI / PATRI ET DNO B. M. /RESTITVI CVRARVNT.”. La descrizio-ne continua: “veggosi primieramente invarij luoghi della Città su per le mura degliedificij sculture di marmo antichissime, ese ben lacere, pur vi si conosce maestrevol

Fig. 3 - Porta di Giove a Falerii Novi Fig. 4 - Ambiente ipogeo sottostante la Cattedrale ed il Vescovato

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dal vano ovest si dirama un cunicoloin direzione della cripta della catte-drale90. Le ridotte dimensioni dellenicchie, soprattutto per ciò che con-cerne la loro profondità, lascianoforti dubbi circa la possibilità dialloggiamento delle urne cinerarie,ma è soprattutto l’esposizione ameridione dell’ambiente e l’utilizzodell’intonaco al suo interno chefanno propendere per l’allevamentodei volatili91. È molto probabile, però,che l’ambiente ipogeo sia stato riadat-tato a piccionaia in epoca medievale oanche posteriore (Fig. 4)92.

Un’indagine archeologica potreb-be far luce sulla sua funzione origina-ria, tenuto conto che esso è piùo meno sullo stesso livello sia

dell’ambiente rupestre sotto il vesco-vato che della cripta della cattedrale93.

La sensazione è quella di trovarsiin un’area - quella della cattedrale edell’adiacente vescovato - utilizzata,prima della costruzione della chiesa,non soltanto a scopo funerario94.

Per l’area prossima alla cattedralesi potrebbe ipotizzare la sussistenzadel fenomeno della continuità tra lenecropoli romane ed i cimiteri dellatarda antichità sino alle soglie del-l’alto medioevo95.

Sempre riguardo la pratica dellasepoltura dei defunti, si deve segna-lare il contenuto di una tomba ‘allacappuccina’ rinvenuta nell’area delloScasato negli scavi del 1992 effettua-ti dalla Soprintendenza Archeologica

sito rioccupato era possibile trovareresti d’epoca romana87.

Non si spiegherebbe, altrimenti,perché con la ‘fame’ di marmo e disculture di epoca romana - caratteri-stica del nostro medioevo, soprattut-to della fase romanica di costruzionedi edifici religiosi - il mausoleo diGlizio Gallo rimase in abbandonoper molti secoli prima di essere spo-gliato dei suoi preziosi rivestimenti.

Nell’area della cattedrale sonostati segnalati due ambienti rupestri.Abitazioni ipogeiche altomedievali88,e un colombario con numerose nic-chie ed alcune sepolture di epocaromana89.

Il colombario è situato sul preci-pizio che delimita a sud il pianoroabitato, ma, a differenza degliambienti ipogei riutilizzati nell’altomedioevo a scopo cultuale (S.Ippolito, S. Cesario, S. Selmo), nondisponeva di un’ampia aperturaverso l’esterno. Soltanto il crollodella sottile parete del banco tufaceone ha rivelato la presenza.

L’ambiente artificiale è irregolaree bipartito, il vano ovest ha nelle trepareti rimaste una fitta serie di nic-chie scavate nel tufo, mentre nelvano est le pareti sono levigate e atratti intonacate con un colore chiaro;

“un’ulteriore conseguenza dell’impossibi-lità per lunghi periodi di accedere al terri-torio suburbano è senza dubbio il diffon-dersi della pratica di seppellire entro lemura, pratica già iniziata nel secolo prece-dente, forse per le medesime ragioni”.

96 Il rinvenimento della sepoltura nel pianorodi Civita Castellana lascia aperta la questio-ne circa la distribuzione dell’abitato e dellearee funerarie. L’area dello Scasato (che inepoca moderna sta, probabilmente, perzona “senza case”) risulta essere occupatagià nell’alto medioevo da almeno tre edifi-ci di culto: la chiesa di S. Maria dell’Arco,l’oratorio di S. Angelo, e - come si è cerca-to di dimostrare in questo studio - il mona-stero di S. Giorgio. Inoltre, ceramica alto-medievale e medievale è stata rinvenuta sianella zona della chiesa delle Suore ClarisseFrancescane (F. Cirioni, La ceramica tar-doantica e altomedievale nel territoriodell’Ager Faliscus nella Tuscia romana, inBiblioteca e Società, XXI, n. 3, pp. 10-14,per ritrovamenti di ceramica a vetrinapesante, a vetrina sparsa e acroma dafuoco) sia a ridosso del precipizio che deli-mita il pianoro di Civita ad est, zona fabbri-ca Coletta (C. Carlucci, L. Suaria, CivitaCastellana (VT). Indagini archeologiche ericerche d’archivio nell’area dello Scasato,in FastiOnlineDocuments&Research,Roma 2004, www.fastionline.org, “I mate-riali ceramici raccolti, tra cui una discretaquantità di ceramica a vetrina sparsa, con-fermano, inoltre, una frequentazione del-l’area tra XI e XIII secolo”).

nelle case del centro storico, pp. 42–45. 88 J. Raspi Serra, Civita Castellana: un

esempio di rapporto nucleo-territorio, inAtti del VI Congresso nazionale diarcheologia cristiana, Pesaro–Ancona19–23 settembre 1983, Firenze 1984, p.210, “Un ipotetico antico insediamentoanche nella zona dell’attuale Duomo,potrebbe essere provato dal ritrovamentodi abitazioni ipogeiche alto medievali”.

89 P. Moscati, Nuove ricerche su FaleriiVeteres cit., p. 170, “L’ambiente, di cui ècrollata la parete di facciata, è a piantairregolare e è caratterizzato all’internodalla presenza di numerose nicchie e di uncunicolo”. L’autrice riporta, alla nota 61, ilcontenuto di una lettera conservatanell’Archivio di Villa Giulia (A.V.G.,Posiz. 3/Civita Castellana, Prot. 1725) cherecita: “Lavori comunali per l’apertura diuna strada dietro il Duomo e il PalazzoVescovile hanno rimesso in luce i resti ditombe romane, in una delle quali è pre-sente un rocchio di colonna scanalato”.

90 Dalla rapida ricognizione effettuata nelgiorno di Pasquetta 2008, ho potutoconstatare che il cunicolo che si dirigeverso la cattedrale, alto circa un metroe mezzo, è interrato per più della metà;le nicchie risultano essere di dimensio-ni ridotte, di forma più o meno quadra-ta e poco profonde (forse a causa del-l’abrasione accentuata dovuta alla par-ziale incoerenza del banco tufaceo).

91 Sulle tipicità dell’esposizione a sud e del-l’intonaco bianco, cfr. V. Desiderio,Colombaie rupestri medievali nella

Tuscia, in Studi Vetrallesi, n. 11, Vetralla2003, p. 24. Sul problema dei colomba-ri/piccionaie si vd. R. Francovich, S.Gelichi, R. Parenti, Aspetti e problemi diforme abitative minori attraverso la docu-mentazione materiale nella Toscanamedievale, in Archeologia Medievale,VII, Firenze 1980, pp. 231-232,“L’accenno al colombario apre il proble-ma dell’interpretazione sull’uso a cuierano destinati i numerosi colombari chesi trovano presso Sorano e in altre zonedell’area dei tufi vulcanici. La presenza diun forno inceneritore fugherebbe i dubbisull’utilizzazione e sull’epoca di scavo ditali ambienti, ma sono numerosi i colom-bari privi di tale attrezzatura e forniti,invece, di un basso passaggio verso unaparete esterna verticale, che, attualmente,permette l’ingresso solo a volatili”.Nicchie della stessa tipologia si ritrovanonel colombario comunemente chiamato“Grotta delle Monache” in località PoggioPalazzolo a Vasanello, foto in M.A. DeLucia Brolli, L’Agro Falisco cit., p. 73.Stessa forma quadrata che risulta dalladescrizione di un ambiente ipogeo situatonel centro di Fabrica di Roma, riportata inG. Bianchini, Fabrica di Roma daiFalisci ad oggi, Viterbo 1982, p. 112,“sopra via della Fontanella (Piazzaccia),c’è una grotta scavata nel peperino (foto n.37) che presenta lungo la parete una seriedi piccole nicchie quadrate: ambiente cheha carattere di un colombario, in cui veni-vano deposte le urne contenenti ceneri deidefunti cremati”.

92 Un caso particolare di utilizzo in epocamoderna è quello della torre medievale diResano (Orte), all’interno della qualesono state ricavate numerose nicchie qua-drate “per l’allevamento dei piccioni” (M.Sanna, L. Proietti, Presenze archeologi-che lungo la “Via Publica Ferentiensis”cit., p. 111, con foto a corredo).

93 Sulla cripta della cattedrale e sul vano sot-terraneo ad essa antistante (ad uso sepol-tura dei canonici nel XVIII secolo) vd. S.Boscolo, La cripta, in L. Creti, S.Boscolo, C. Mastelloni, Note sulla ChiesaCattedrale di Civita Castellana, in CivitaCastellana – Studi/I, Ninfeo Rosa 2,Civita Castellana 1995, pp. 110-112.

94 Il Cardinali (Cenni storici cit., p. 69)riporta la notizia, priva però di fonda-mento storico e archeologico, che nel-l’area sottostante la cattedrale esistevaun tempio dedicato a Giunone.

95 C. Lambert, Le sepolture in urbe nellanorma e nella prassi (tarda antichità –alto medioevo), in L. Paroli (a cura di),L’Italia centro-settentrionale in età lon-gobarda, Atti del Convegno, AscoliPiceno 6–7 ottobre 1995, Firenze 1997, p.288, “tutti i dati – anche se imprecisi sullaquantità delle tombe e la loro cronologia –sembrano indicare che le antiche areesepolcrali furono mantenute in uso finoalle soglie dell’alto medioevo”. Per lesepolture dentro l’abitato, in riferimentoal periodo della guerra greco-gotica aRoma, vd. L. Pani Ermini, Lo spaziourbano tra VI e IX secolo, in Romanell’Alto Medioevo cit., tomo 1, p. 282,

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alquanto ristretto, incentrato sul VI e VIIsecolo”. E. Zanini, Le italie bizantinecit., pp.238-239, il castrum Pertice è “un sito d’al-tura già fortificato in epoca tardoantica, pro-babilmente nel corso del V secolo (…) Allostesso orizzonte cronologico [prima metàdel VII secolo] e a un significativo strettorapporto con il sistema distributivo delmondo bizantino rimanda infine anche ilgenerale panorama ceramologico del sito”.

102 C. Tedeschi, Civita Castellana n° 10, in L.Cimarra, E. Condello, L. Miglio, M. Signorini,P. Supino, C. Tedeschi (a cura di), IncriptionesMedii Aevi Italiae (saec. VI-XII), Lazio -Viterbo, 1, Spoleto 2002, p. 59. Di recente A.Ciarrocchi, Storia e società cit., p. 3–21.

103 A. Guillou, L’Italia bizantina dall’inva-sione longobarda alla caduta diRavenna, in Storia d’Italia, vol. I,Longobardi e Bizantini, Torino 1980, p.243. A Genova nel 568 la guarnigionemilitare bizantina era comandata dalcomes et tribunus Tzittanus, citazione inE. Zanini, Le Italie Bizantine cit., p. 235.

104 A. Ciarrocchi, Storia e società, cit. p. 10,militare appartenente al numeri centucel-lensis e abitava a Civita Castellana, ameno che non ci troviamo di fronte ad untitolo onorifico mantenuto anche dopol’impegno militare.

105 I. Giorgi, U. Balzani, Il Regesto diFarfa cit., e M.T. Maggi Bei, Il LiberFloriger cit, p. 45.

106 Per la chiesa di S. Angelo e le vicendecollegate: A. Ciarrocchi, Storia esocietà cit., pp. 3–21.

97 La tomba individuata con “US 4” conte-neva: una spilla in bronzo lunga 5 cm.,spezzata in due parti; uno spillone d’ar-gento lungo 6 cm. con capocchia formatada piccoli cerchietti, due dei quali ancorain sede; un elemento in bronzo di circa 6cm., probabilmente un ardiglione di unafibbia; 2 anelli d’argento: uno piccolo,diametro 16 mm., e uno grande, diametro21 mm., che presentano lo stesso tipo didecorazione nell’ovale: un motivo a rilie-vo a rombi contrapposti e due frecce, for-mate da microgranuli, dirette in bassoverso la fascia dell’anello.

98 Per la ricomparsa di elementi di corredonelle tombe a partire dal tardo impero e perla probabile influenza della religione cristia-na, in un’area non troppo distante dallanostra, cfr. G. Ciampoltrini, Tombe con“corredo” in Toscana fra tarda antichità ealto medioevo: contributi e annotazioni, inArcheologia Medievale, XIX, Firenze 1992,pp. 694-695, “Nella bassa valledell’Albegna e a Cosa, infatti, nella primaetà imperiale l’uso della suppellettile funera-ria sembra pressoché estinto; le tombe ‘allacappuccina’ (…) di norma presentano i soliresti del defunto, sprovvisti di ‘corredo’ e diornamenti personali. Potrebbe non esserecasuale, quindi, che sullo scorcio finale delIII secolo si sia ‘recuperato’ il costume fune-rario che conserva al defunto gli oggettid’ornamento personale”. Nell’ambito dellaTuscia meridionale vd. G. Ciampoltrini,Aspetti dell’insediamento tardoantico e alto-medievale nella Tuscia: due schede d’archi-

vio, in Archeologia Medievale, XVIII,Firenze 1991, p. 697, “il sepolcreto diBolsena non esce dalla tradizione culturaledi larghe fasce della Tuscia, in cui già nellaTarda Antichità, soprattutto per tombe fem-minili, era stato ‘recuperato’ l’uso delladeposizione ‘abbigliata’, anche con glioggetti preziosi d’ornamento personale”.

99 Per un confronto sullo spillone in argento,vd. G. Ciampoltrini, G. De Tommaso, P.Notini, P. Rendini, M. Zecchini, Lucca tar-doantica e altomedievale II. Scavi 1990-1991, in Archeologia Medievale, XXI,Firenze 1994, pp. 603-605. Lo spillone inargento di Lucca, con capocchia conicheg-giante dorata, misura 7 cm., che “per morfo-logia parrebbe esito dai più piccoli spillonicon capocchia biconica in uso nei sepolcretidei decenni dell’invasione longobarda inItalia”. Il raffronto dello spillone di Luccaviene effettuato dagli autori con l’esemplarecon capocchia sferica ritrovato nello scavodi Firenze-Battistero, e, come per la defuntafiorentina, “lo spillone isolato doveva esserefunzionale a fermare la treccia raccolta ‘acorona’ intorno alla testa, in un’acconciaturadiversa da quella, fermata da un velo, pre-supposta dalla coppia di spilloni delle tombeitaliche e germaniche del tardo VI e VIIsecolo, ma comunque di duratura fortuna,dalla tarda antichità almeno fino all’età caro-lingia”. Per la presenza di spilloni nel corre-do femminile tardoantico di Bolsena cfr. G.Ciampoltrini, Aspetti dell’insediamento cit.,p. 697, “tre spilloni con testa sferica riferibi-li all’ornamento della cuffia”.

100 Il simbolo geometrico del rombo – a pre-valente valenza femminile - si ritrovaspesso nell’arte e nell’architettura dellechiese bizantine del V e VI secolo. Unesempio classico è quello della cattedraledi S. Sofia ad Istanbul - ristrutturata sottoGiustiniano I (483-565) - nella quale lelastre in marmo, in funzione di parapettidel piano delle gallerie e quelle delle fine-stre delle pareti perimetrali, sono decoratecon la figura di un rombo, con al centrouna croce (raschiata in epoca mussulma-na). Anche nella chiesa dei SS. Apostoli aRoma la recinzione del presbiterio – fattocostruire da papa Gregorio Magno (590-604) – è decorata con rombi fioriti e croce.

101 E. Bonora, C. Falcetti, F. Ferretti, A. Fossati,G. Imperiale, T. Mannoni, G. Murialdo, G.Vicino, Il “castrum” tardo-antico di S.Antonino di Perti, Finale Ligure (Savona):fasi stratigrafiche e reperti dell’area D.Seconde notizie preliminari sulle campagnedi scavo 1982-1987, in ArcheologiaMedievale, XV, Firenze 1988, p. 385. Tra glioggetti in bronzo rinvenuti viene riportato:“Anello da dito a testata indistinta ovaledecorata con incisione a rombi contrappo-sti”, datazione “post 610” (riproduzione gra-fica dell’anello nella tav. XX, n. 2 di p. 387).A pag. 336: “Il castrum di S. Antonino nonpresenta tracce significative per il periodoclassico repubblicano ed imperiale e non harisentito di sovrapposizioni in epoche suc-cessive, che abbiano inciso in modo sostan-ziale sul substrato archeologico tardo-antico.La sua datazione copre un arco cronologico

Il rinvenimento di manufatti,riconducibili alla cultura bizantina,nel pianoro di Civita Castellana è undato che ben si collega con i rimandi,ad un analogo passato, che si colgo-no nella documentazione a disposi-zione. Fonti altomedievali ci riporta-no a titoli e nomi di origine greca.

Nella lapide del vescovo Leone102

compare la titolazione di tribu-nib<us> vel comitib<us>, chiaro rife-rimento all’originaria carica bizanti-na che dalla fine del VI secolo indivi-dua, in molte città italiane, gli uffi-ciali imperiali incaricati del comandomilitare e della difesa della città: tri-buni che hanno talora il titolo dicomites103.

Nel documento n. 41 del Regestodi Farfa dell’anno 767, Theodorumrisulta essere habitatore castri

urb(is)b(eteris) e num(eri) centu-cell(ensis). Il nome Teodoro è di evi-dente origine greca, così come la for-mazione dell’esercito bizantino, ilnumerus appunto, di stanza aCentumcellae (Civitavecchia), macon un presumibile distaccamento aCivita Castellana, sotto il comandodel comes o del tribunus di turno104.

Un altro rimando alla presenzabizantina è quello della titolazione didue chiese medievali: la chiesa di S.Angelo e la chiesa di S. Giorgio (Fig.5). Della prima si hanno notizie risa-lenti all’VIII secolo nelle carte del-l’abbazia di Farfa105. L’oratorio dedi-cato a san Michele Arcangelo, ogginon più esistente, era ubicato dentrola città, appena oltrepassata la portad’ingresso est (area dell’attuale ospe-dale S. Giovanni Decollato -

per l’Etruria Meridionale96. Il corredo funebre è composto da

cinque oggetti metallici97, che nonrestituiscono una datazione precisa,ma che permettono di collocare, conmolta probabilità, la sepoltura fem-minile in un periodo compreso tra latarda antichità e l’alto medioevo98.

Ai fini della datazione della spillain bronzo e dello spillone in argento,il rimando è a tipologie analoghe rin-venute nella Tuscia, riferite ad unperiodo in cui ritornarono ad esserepraticate le sepolture degli inumatiinsieme ad elementi di corredo,soprattutto del vestiario99.

La decorazione - a rombi contrap-posti100- dei due anelli d’argento rin-via, invece, ad un esemplare similerinvenuto nella Liguria bizantina edatato ai primi anni del VII secolo101.

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

Fig. 5 - Ex chiesa di San Giorgio

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VI e il VII secolo a Ferrara, Argenta,Rimini e Genova, ed essa è “stretta-mente collegata con il mondo milita-re”111. Il fatto poi che il monasterorisultava retto dall’abate Agapitus -nome di chiara origine greca - è unelemento che, insieme agli altriantroponimi greci e alle titolazionimilitari bizantine, ci fa parlare, per iprimi secoli dell’alto medioevo, di“una comunità greca o grecizzata”112.

Le chiese rupestriCivita Castellana sembra rientra-

re nell’ambito del fenomeno della‘cristianizzazione intensiva’ dellecittà dell’Italia altomedievale, checoncerne principalmente le città‘bizantine’ per il VI e parte del VIIsecolo, anche riguardo alla conquistaal culto cristiano degli edifici religio-si di tradizione pagana113. Un esem-

pio, più di prossimità che di riutiliz-zo, ci è fornito dagli insediamentirupestri di S. Ippolito, di S. Cesario edi S. Selmo, situati nelle immediatevicinanze dell’antico tempio diGiunone Curite114, che sono stati fattirisalire alla prima epoca medievale115.

Le antiche grotte preistoriche e letombe falische scavate nel tufo ven-nero trasformate in luoghi di culto116,allo stesso modo della vicina CastelSant’Elia. Qui la presenza eremiticaè già attestata nel VI secolo, sia dairacconti di papa Gregorio Magno cheda un importante papiro ravennate117.

Le indagini topografiche e le evi-denze archeologiche hanno condottoad una datazione delle chiese e degliambienti rupestri coerente con lefonti storiche118. Le chiese rupestricivitoniche, invece, risultano citate indocumenti posteriori119, ma la loro

Andosilla), e rimase in uso almenosino al XVI secolo106.

La chiesa sconsacrata di S.Giorgio si trova, invece, all’internodel complesso dell’Istituto Stataled’Arte, ed oggi ospita il museo dellaceramica. A metà del XVI secolo ilPechinoli la ricorda tra le anticheparrocchie cittadine “che oggi è asso-migliato a ben(efici)o rurale”107.

I recenti lavori di ristrutturazionehanno evidenziato un edificio dimodeste dimensioni, a tre navate contorre campanaria, costruito con concidi tufo regolari a vista di buona qua-lità, che si colloca nel panorama edi-lizio compreso tra la fine del XIIsecolo e gli inizi del XIII108, la cuiprima attestazione documentale risa-le all’anno 1244109.

In fase di restauro non è statacolta l’occasione per effettuare unoscavo archeologico, al fine di verifi-care la stratigrafia e l’eventuale pre-senza di strutture più antiche.Probabilmente si sarebbero potutiritrovare i resti del monastero di S.Giorgio, di cui Agapito era abate nel-l’anno 590. Si verificherebbe ancheper Civita Castellana la contempora-nea presenza del culto altomedievaledei due protettori dell’esercito bizan-tino. La stessa situazione di Perugia,dove le chiese cittadine dedicate a S.Angelo ed a S. Giorgio sono attribui-te all’epoca bizantina110.

La dedicazione di chiese ed ora-tori a san Giorgio, da parte delle cittàbizantine lungo la frontiera con iLongobardi, è attestata tra la fine del

di San Leonardo a Castel Sant’Elia (secoliVI-VII), in Atti del convegno Monachesimopre-benedettino cit., “già nel VI secolo,basandoci sulla datazione dell’altare, la grot-ta serviva per celebrazioni liturgiche”; T.Fiordiponti, Castel S. Elia: L’insediamentonell’età medievale attraverso l’esame degliambienti ipogei e delle strutture murariesuperstiti, in Biblioteca e Società, XXII, n.3-4, Viterbo 2003, pp. 22-34.

119 Sant’Ippolito, nella invenzione delle reli-quie dei SS. Giovanni e Marciano dell’an-no Mille, in M. Mastrocola, Note storichecirca le Diocesi di Civita C. Orte e Gallese,Parte I, Le origini cristiane, CivitaCastellana 1964, p. 251: “Ecclesiam beatiHippoliti martyris”. San Cesario, nelladedicazione del 1210 di due altari, in F.Ughelli, Italia Sacra, tomo I, Venezia 1717,ristampa anastatica Bologna 1984, p. 598,“S. Caesarii de Vignali”, e L. Cimarra,Alcune iscrizioni medievali nel territoriocollinense-tiberino, in Biblioteca e Società,XXI, 3, Viterbo 2002, pp. 18-20.

107 G. Pulcini, Trascrizione della Jstoriadi Civita Castellana di FrancescoPechinoli- prima edizione a stampadel manoscritto del 1560, AgerFaliscus – quaderno n. 11, CivitaCastellana 1998, p. 30.

108 G. Felini, Chiesa di San Giorgio -Civita Castellana (Vt), Relazione stori-ca, ai fini del restauro della struttura.

109 P. Egidi, Soriano nel Cimino e l’archi-vio suo, in Archivio della SocietàRomana di Storia Patria, XXV, Roma1903, p. 398: “in territorio CivitatisCastellanae S. Maria de Fuseniano, S.Georgii et S. Egidii ecclesias”.

110 E. Zanini, Le Italie bizantine cit., p. 141.111 E. Zanini, Le Italie bizantine cit.,

p.137, nota 105.112 E. Zanini, Le italie bizantine cit., p. 137.113 E. Zanini, Le italie bizantine cit., pp.

205-206.114 Oltre al noto passo di Ovidio (Am. 3,13),

la sopravvivenza del culto anche in etàromana “è ricordata infatti da iscrizionidel I-II secolo d. C. la presenza di ponti-fices sacrarii preposti al culto, mentreun’iscrizione del II o III secolo attesta il

restauro dell’antica via sacra che con-giungeva Falerii Novi al bosco diGiunone Curite” (M. A. De Lucia Brolli,L’Agro Falisco cit., p. 37).

115 J. Raspi Serra, Civita Castellana, cit., p.210. Per lo studio delle tre chiese rupe-stri, nell’ambito della Tuscia meridiona-le, vd. J. Raspi Serra, Insediamenti rupe-stri religiosi nella Tuscia, in Mélangesde l’école francaise di Roma, tomo 88,Torino 1976, pp. 27-156.

116 Per il complesso di S. Selmo si vd. A.Felici, G. Cappa, Santuari rupestri inprovincia di Viterbo, in Informazioni,anno I, n. 7, Viterbo 1992, pp. 122-123, “La cavità (X) che ospita il san-tuario (con tracce di affreschi) è moltoirregolare, tanto da sembrare quasi unriparo naturale (…) la cavità (Y), costi-tuita da tre ambienti a pianta quadrata,collegati da un corridoio traverso a trerampe, è palesemente di origine etru-sca, tombale, ma è stata rimaneggiatain epoca paleocristiana, con la sua tra-sformazione in catacomba. Purtroppo èstata recentemente devastata da tomba-roli clandestini, per cui le interazioni

tra le due fasi di utilizzo sono difficilida interpretare (…) la cavità (Z), pureartificiale, sembra una catacomba suc-cessivamente ampliata per usi agricoli:contiene un limitato numero di loculi(…) la cavità (W), posta alla stessaquota di (X) e sottostante le (Z) e (Z’),si presenta come una grotta naturale”.

117 Per una panoramica del fenomeno eremi-tico nell’area di Castel Sant’Elia, riguardoal monastero di S. Elia ed alle grotte rupe-stri di S. Leonardo, S. Anastasio e S.Nonnoso, cfr. V. Cati, Castel Sant’Elia,Vinci 1996, pp. 29-44. Per il papiro n. 1dell’archivio vescovile di Ravenna del-l’anno 557: L. Cimarra, Splendori diBisanzio: testimonianze della presenzabizantina nel territorio della TusciaRomana, in Biblioteca e Società, anno XI,n. 1-2, Viterbo 1992, pp. 21-26; L.Cimarra, Il papiro ravennate e il monaste-ro di S. Elia. Note di storia del territorio,in Atti del convegno Monachesimo pre-benedettino nella Valle Suppentonia,Castel Sant’Elia 5 Settembre 1999, CivitaCastellana 2000, pagine non numerate.

118 C.M. Paolucci, Pittura rupestre nell’eremo

in Biblioteca e Società, XXII, 3-4,Viterbo 2003, pp. 35-40.

130 Sull’argomento è interessante notarequello che scrive F. Gregorovius(Storia di Roma nel medioevo, vol. I,Roma 1988, p.175) circa la presenza alsinodo convocato da papa Simmaconel marzo del 499, nel quale compaio-no tra i sottoscrittori i titoli delle 28basiliche allora esistenti a Roma:“Dall’elenco dei sottoscrittori del sino-do del 499, risulta infatti una rigorosaosservanza del criterio regionalistico.Esclusi gli apostoli, quei santi uomini equelle sante donne erano tutti romanidi nascita oppure erano stati al serviziodella Chiesa romana e, attraverso ilmartirio, erano divenuti suoi benemeri-ti. Fino a quel momento Roma sembròignorare i santi d’origine greca”.

120 V. Saxer, Santi e culto dei santi nei marti-rologi, CISAM Spoleto 2001, p. 16 e p. 55,“Ippolito di Porto, che compare in diversiromanzi agiografici portuensi e ostiensi eche non è altro che un doppione artificialedel martire romano omonimo”.

121 V. Saxer, Santi e culto dei santi cit., pp. 182-183, “Foro Semproni via Flaminia miliarioab Urbe Roma CLXIIII dedicatio basilicaesanctorum Sixti, Laurentii et Ippoliti”.

122 G. Pulcini, Le chiese rupestri di CivitaCastellana, Quaderno n. 1 del CentroStudi Ager Faliscus, Civita Castellana1991, p. 7. Cesario fu un predicatoreesemplare e autore di una regola mona-stica, morì nel 543 in odore di santità.La presenza delle reliquie del santo nelduomo civitonico hanno fatto supporreche “venuta meno la frequentazioneverso questa sede, le autorità ecclesia-stiche abbiano provveduto al trasferi-

mento delle medesime in Cattedrale”. 123 F. Ughelli, Italia sacra cit., p. 598, riporta

l’iscrizione della dedicazione di due altarinella chiesa: “in hac ecclesia B. CaesarijMartyris duo sunt consacrata altaria”.

124 E. Susi, Culti e agiografia a Sutri tra TardoAntico e Alto Medioevo, in S. Del Lungo,V. Fiocchi Nicolai, E. Susi, Sutri cristiana,archeologia, agiografia e territorio dal IVall’XI secolo, Roma 2006, p. 184.

125 Ibidem. Dall’autore viene riportato iltesto di una donazione del 1023, in cuicompaiono alcuni beni situati in terri-torio Sutrino in fundo, qui appellaturMartula, juxta ecclesia Sancti Cesarei.

126 Per una descrizione del sito e per la suastretta connessione con il tempio diGiunone Curite, vd. A. Felici, G.Cappa, E. Cappa, Il sistema ipogeo dialimentazione dell’acqua sacra al tem-pio di Giunone Curite, in Informazioni,

anno III, n. 11, Viterbo 1994, pp. 27-32.127 G. Pulcini, Le chiese rupestri cit., p. 3.128 L’accanimento del re ostrogoto Totila

nei confronti dei vescovi dell’Umbrianel corso della guerra greco-gotica èevidenziato da papa Gregorio Magnonei Dialogi. A contrastare simbolica-mente l’efferata condotta del re gotovalgono le santificazioni dei vescoviFulgenzio di Otricoli e Ercolano diPerugia (martirizzati), Cassio di Narnie Fortunato di Todi. Cfr. E. Susi, Ilculto dei santi nel corridoio Bizantino elungo la via Amerina, in E. Menestò (acura di), Il Corridoio Bizantino cit., pp.276-284. La passio leggendaria disant’Anselmo di Bomarzo può inserirsiin questo filone di “santità politica” deivescovi della vicinissima Umbria.

129 L. Cimarra, Testimonianze epigrafichee manufatti altomedievali a Bomarzo,

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Francia tra il V e il VI secolo122. Un particolare di non poco conto,

però, impedisce questa individuazio-ne. La chiesa rupestre è dedicata a S.Cesario martire e il santo d’oltralpenon è annoverato tra i martiri123.

Una soluzione più radicata nelterritorio sembra essere quella di S.Cesario diacono martire, di origineafricana, venerato a Terracina.

La passio sancti Cesarii è fattarisalire ad un periodo tra il V e il VIsecolo, e al martire venne dedicatauna chiesa a Roma sul Palatino primadel 603124. Un’attestazione del cultodel santo é presente nella vicina Sutri- la chiesa suburbana di San Cesarioin Martula - e risale ai primi secolidell’alto medioevo125.

La chiesa di S. Selmo(sant’Anselmo) è invece situata, nondistante dalle prime due, in localitàCelle, sulla parete rocciosa che siaffaccia sopra l’area del tempio fali-sco di Giunone Curite126.

Questa dedicazione è stata asso-ciata alla figura di Anselmo, abate diNonantola, per il fatto che “i MonaciBenedettini fondatori degli insedia-menti rupestri nell’area laziale abbia-no scelto il nome di un santo e abate

origine può esser fatta risalire alprimo alto medioevo sia per tipologiae contesto - assimilabili a quelli diCastel Sant’Elia - sia per le dedica-zioni.

Il sant’Ippolito martire, a cui èdedicata la chiesa posta a mezzacosta del pianoro di CivitaCastellana, è con molta probabilità ilmartire venerato a Roma e riportatodal Martirologio Geronimiano alladata del 13 agosto: Romae HyppolitiPontiani; lo stesso Yppoliti qui dici-tur Nonnus, venerato secondo laDepositio Martyrum, a Porto dal 20al 23 agosto120.

La diffusione del culto del santoromano, oltre che in direzione dellitorale laziale, si propagò lungo lavia Flaminia.

Difatti, sempre nel MartirologioGeronimiano, è riportato il culto diIppolito a Fossombrone insieme aisanti Sisto e Lorenzo, “le cui reliquiefurono portate dalla capitale per ladedica del santuario”121.

La chiesa di S. Cesario è situatasul pianoro di Vignale, di fronte a S.Ippolito, e per la dedicazione è stataproposta la figura di S. Cesario diArles, monaco e vescovo vissuto in

prestigioso”127. Anselmo era un longobardo e,

prima di abbracciare la regola bene-dettina, fu duca del Friuli. Fondò ilmonastero di Nonantola, vicinoModena, e morì nell’anno 803.

Deve però essere preso in consi-derazione anche un santo dalle origi-ni più antiche e più legato al nostroterritorio: S. Anselmo vescovo,patrono di Bomarzo, che fu martiriz-zato nella sua Polimartium nel VIsecolo da Totila re dei Goti128.

L’agiografia del santo è certa-mente leggendaria, ma nella chiesacollegiata di Santa Maria Assunta aBomarzo si custodisce un sarcofagostrigilato di epoca romana dove,secondo la tradizione, furono depostele spoglie del martire.

La sepoltura, soprattutto perquanto riguarda il coperchio altome-dievale del sarcofago, è stata datataagli anni del pontificato di papaLeone III (795-816), quando ilvescovo Benedetto fece presumibil-mente risistemare le reliquie delsanto patrono129.

Da queste minime considerazionisembra di capire che le dedicazionidelle chiese rupestri civitoniche

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

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e la sepoltura dei defunti, tanto da spin-gere l’abate Agapito a rivolgersi al papa.

133 M. Asolati, Il tesoro di Falerii Novi.Nuovi contributi sulla monetazione ita-lica in bronzo degli anni di Ricimero(457-472 d.C.), Padova 2005.

134 M. Asolati, Il tesoro di Falerii Novi cit., p. 65.135 Cassiodorus, Variarum libri XII, in MGH,

Auctores antiquissimi, XII, p. 407; con lavariante Benignus episcopus ecclesiaeAquae vivae p. 433 e p. 452.

136 Cassiodorus, Variarum libri XII, cit. p.409, p. 435 e p. 454.

137 M. P. Penteriani Iacoangeli, U. Penteriani,Nepi e il suo territorio cit., p. 107, citanoS. Lowenfeld, Epistolae PontificumRomanorum ineditae, n. IV, Lipsia 1885,p. 2. Nel riportare la notizia gli autorifanno un riferimento all’anno 494, quan-do, nell’elencare i vescovi di Nepi dal V alXII secolo, inseriscono all’inizio del-l’elenco “FELICE (494-502)”.

131 È certo che le strade agevolarono ladiffusione del culto dei santi nella tardaantichità e nell’alto medioevo (V.Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocristia-ni cit., p. 396, evidenzia “la stretta rela-zione esistente tra rete viaria e penetra-zione del cristianesimo”), tanto è veroche – ad esempio – il culto tutto umbrodi S. Felicissima viene associato aquello di S. Gratiliano grazie alla viaAmerina, che per i secoli VII e VIIImantenne in contatto l’area romanacon l’Umbria e Ravenna. Non è esclu-so, però, che anche altre situazioniabbiano agevolato la diffusione deiculti. Un aspetto da approfondire, per ilnostro territorio, riguarda il probabileruolo di tramite svolto dalla chiesa diSanta Croce in Gerusalemme (la basi-licam in palatio Sessoriano) che, con ladonazione dell’imperatore Costantinodel IV secolo (L. Duchesne, Le Liber

Pontificalis cit., p. 180), in cui compa-iono fondi provenienti dalle città diNepi, della civitate Falisca, diLaurentum e di Todi, ha potuto metterein contatto le varie devozioni presentiin quei territori. La diocesi faleritanaha importato da Todi il culto di S.Felicissima, ed ha in comune con lacittà umbra il culto in grotta di S.Romana attestato alle pendici delMonte Soratte (M. De Carolis, IlMonte Soratte e i suoi santuari, Roma1950, pp. 278 e segg. e F. Innamorati,Brevi note sulla origine siriana delculto di S. Romana praticato nellegrotte omonime di Titignano e delMonte Soratte e sulle frequentazionidella grotta di Titignano fra il XV e ilXVIII secolo, in SimposioInternazionale sulla Protostoria dellaSpeleologia, Città di Castello, 13-15settembre 1991, pp. 171-179, citato da

R. Iorio, Le origini delle diocesi diOrvieto e di Todi alla luce delle testi-monianze archeologiche, S. Mariadegli Angeli–Assisi 1995, che a p. 191dice: “lo speleologo perugino F.Innamorati avanza l’ipotesi che il cultodella santa sia stato introdotto nellazona (…) e sul Monte Soratte da mona-ci siriaci tra il V e il VII secolo”). Ilculto di S. Edisto, patrono diSant’Oreste, da Laurentum (V. Saxer,Santi e culto cit., pp. 116-118).

132 G. Ricasso, Il monachesimo nell’altomedioevo, in Dall’eremo al cenobio – Laciviltà monastica in Italia dalle originiall’età di Dante, Milano 1989, p. 6. Ladipendenza dei monasteri dai vescovi èriscontrabile anche nella lettera diGregorio Magno al vescovo Giovanni,ma quella del monastero di S. Giorgiosconfinò nella sopraffazione del vesco-vo, che vietò la celebrazione delle messe

privilegino i santi martiri, con unforte radicamento locale130, soprattut-to provenienti dall’area romana131.

I monaci che le occuparono ave-vano davanti più gli esempi dei mar-tiri cristiani che quelli dei santi bene-dettini. L’occupazione degli ambien-ti ipogei ad uso religioso si verificòanche qui presumibilmente nel V-VIsecolo, ma, diversamente dall’eremi-tismo di Castel Sant’Elia, nel nostrocaso essa avvenne in concomitanzacon il recupero abitativo dell’anticosito falisco. Si è spesso portati adattribuire al fenomeno del primoinsediamento monastico una conno-tazione quasi esclusivamente eremi-tica, localizzando la presenza deimonaci lontano dalle città e dai cen-tri abitati. Ma se ci rifacciamo almonachesimo prebenedettino sco-priamo che esso si manifestò sindalle origini anche all’interno dellechiese locali nell’Italia del IV e Vsecolo. Alla tradizione “del mona-chesimo cittadino erano particolar-mente interessati i vescovi”, ai qualiil Concilio di Calcedonia del 451 sot-tometteva tutti i monaci e i monaste-ri, senza distinzione tra i monasteridella città e quelli della campagna132.

Si può pertanto pensare alle chie-se rupestri di Civita Castellana noncome ad un elemento disgiunto - siain termini temporali che spaziali -dalla rioccupazione del sito preroma-no, ma come ad una tessera dellostesso fenomeno insediativo.

Abbandoni e nuovi insediamenti Nella seconda metà dell’Ot-

tocento a Falerii Novi fu rinvenutoun tesoretto di monete tardoantiche,che recentemente è stato sottoposto

ad un approfondito esame133. Il gruz-zolo fu recuperato in occasione degliscavi che Angelo JannoniSebastianini effettuò tra il 1860 e il1891 nella sua tenuta di Falleri.

Trattasi di circa 1800 monete inbronzo coniate in maggior parte conle effigi degli imperatoriValentiniano III, Libio Severo,Antemio, Leone I e del patriciusRicimero in un periodo che va dal457 al 472. La data dell’interramentoè stata proposta al 472 “o meglio laprima parte di questo anno durante laquale si susseguirono scontri piutto-sto cruenti che opposero le truppe diRicimero e quelle dello stessoAntemio attorno e dentro la stessaRoma”, ma molte altre potrebberoessere state “le condizioni opportuneper un nascondimento di questo tipo,non ultima la caduta di Roma nellemani di Odoacre nel 476 d.C., contutte le conseguenze che questoavvenimento comportò”134.

Siamo in un periodo in cui si verifi-cano continui passaggi di truppe lungole strade della penisola e, maggiormen-te, su quelle che portavano a Roma, edanche una città difesa da mura, comeFalerii Novi, non era per niente al sicu-ro. Tant’è che il proprietario del teso-retto non dissotterrò più le sue monete,segno che la paura del distacco dai pro-pri averi era più che fondata.

Se l’instabilità politica di queglianni aveva creato problemi allapopolazione di Falerii Novi, figurar-si le ripercussioni sulla statio diAquaviva che, oltre a non esseremunita di difese naturali e artificiali,era posta lungo la consolareFlaminia, la più importante via di

collegamento tra Roma e il nord.Nonostante ciò, la presenza deivescovi dal 465 al 502 deve convin-cerci del fatto che il centro avesse inquegli anni ancora una certa vitalitàreligiosa e amministrativa.

Se il buon senso ci dice che lasede diocesana di Acquaviva era piùesposta di quella di Falerii Novi aglieventi burrascosi dell’epoca, i mini-mi accenni delle fonti fanno però tra-sparire una realtà diversa. Nei sinodidegli anni 499, 501 e 502 – comeabbiamo visto – sono presenti ivescovi Benigno di Acquaviva eFelice di Falerii Novi e di Nepi, mamentre i primo si sottoscrive sempreallo stesso modo (Benignus episco-pus ecclesiae Aquaevivensis)135, ilsecondo nel 499 si sottoscrive Felixepiscopus ecclesiae Faliscae etNepesinae, e nel 501 e nel 502 sifirma Felix episcopus ecclesiaeNepesinae136. Felice era già vescovodi Nepi negli anni di papa Gelasio I

(492-496)137 e nel sinodo del 499 sifregiava anche del titolo episcopaledella diocesi vicina, ma appena dueanni dopo tornò a sottoscriversi sol-tanto con la titolazione originaria.

L’ecclesiae Faliscae sembra sva-nire nel nulla, poiché nessun vescovola rappresenta ai sinodi del 501 e del502, ma ciò non significa che il tito-lo diocesano si estinse.

Non è neanche ipotizzabile unaccorpamento temporaneo delle duediocesi, con repentina perdita di quellaparte di titolatura riferita alla ecclesiaeFaliscae. La risposta all’assenza di unvescovo faleritano va ricercata, conmolta probabilità, negli eventi chesconvolsero la normale attività della

quando Gaudentius episcopus Vulsinensispro Proiecticio episcopo ecclesiaeForonovanae subscripsi e Valentinus epi-scopus ecclesiae Amiterninae pro Romanoepiscopo ecclesiae Pitinatium subscripsi.Diversamente da come si trova registrato –nello stesso concilio del 499 - quando unvescovo è materialmente impossibilitato afirmare, nonostante la sua presenza al con-cilio: Fortunatus episcopus ecclesiaeAnagninae pro Sanctulo episcopo civitatisSigninae, quia subscribere non potuit, proeodem subscripsi (Cassiodorum, Variarumlibri XII cit., p. 408).

141 Gregorio Magno, Dialogi, III, 12, in L.Pani Ermini, Il cosiddetto corridoioBizantino nel suo tratto umbro, in E.Menestò, Il corridoio Bizantino e la viaAmerina cit., pp. 150–151.

138 G. Barni, G. Fasoli, L’Italia nell’AltoMedioevo, in Società e Costume, vol. III,Torino 1964, p. 513, “Fin dal V secolo inmolte sedi episcopali e particolarmente inquelle più prossime a Roma (…) si proce-deva all’elezione del vescovo solo quandogiungeva in luogo un visitatore delegatodal pontefice (…) Una volta eletto, il nuovovescovo doveva o recarsi a Roma diretta-mente per la consacrazione o esser consa-crato da altri vescovi, dopo che il Ponteficeaveva dato il suo benestare”. A. Guillou,L’Italia bizantina cit., p. 247, il papa diRoma “esercita un’autorità particolare sullechiese d’Italia che costituiscono la giurisdi-zione detta ‘suburbicaria’, di cui la Toscanasegna il limite settentrionale”.

139 Per le vicende descritte di vd. A.Alessandrini, Teodorico e papa

Simmaco durante lo scisma laurenzia-no, in Archivio della R. Deputazioneromana di Storia patria, vol. LXVII,nuova serie vol. X, fascc. I-II, Roma1944, pp.153-207. Nel sinodo del 501papa Simmaco fu malmenato dai soste-nitori della fazione avversa.

140 Cassiodorus, Variarum libri XII cit., p. 401e p. 409. Nel sinodo del 499 il vescovoFelice è l’unico, tra i 71 presuli presenti,che si segna come titolare di due chiese. Sel’unione delle due diocesi fosse stata defini-tiva, la stessa titolazione usata nel 499sarebbe stata utilizzata nei concili del 501 edel 502. L’estinzione della diocesi diFalerii Novi deve escludersi sia per laricomparsa ufficiale del titolo faleritano unsecolo dopo sia per la conformazione deiconfini diocesani, che hanno sempre

ricompreso il territorio della città romananell’ambito della diocesi faleritana, prima,e civitonica, poi. Non si deve neanche pen-sare alla presenza del vescovo Felice in rap-presentanza del vescovo di Falerii Novi,altrimenti, nel sottoscriversi, lo avrebbespecificato, come effettivamente fece nelconcilio del 502: poco dopo aver apposto lasua sottoscrizione, tornava a segnarsi comeFelix episcopus ecclesiae Nepesinae proUrso ecclesiae ...… subscripsi(Cassiodorum, Variarum libri XII cit., p.455; la lacuna del testo viene colmata innota attribuendo Orso alla diocesi Reatinaeo a quella Stabianae). Tale sistema di sotto-scrizione sembra configurare una specie didelega di rappresentanza tra ‘colleghi’ voltaa sopperire all’assenza, come confermatoda ciò che si verificò al concilio del 499,

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Il re goto accolse la richiesta einviò come visitatore il vescovoPietro di Altino. Questa situazione diincertezza dovuta alla contrapposi-zione tra le due fazioni, che produsseanche una sorta di guerra civilenell’Urbe, si risolse soltanto nel sino-do del 502, con la definitiva afferma-zione di Simmaco139.

Anche il presunto affidamentodella diocesi faleritana al vescovo diNepi nel 499 può rientrare nell’ambi-to dello stato di confusione in cuiversava la Chiesa di Roma in queglianni. Un accenno, anche se minimo,si coglie dal diverso modo di segnarela titolatura del vescovo Felice.

Quando negli acta vengono elen-cati i partecipanti al sinodo, il nostrovescovo compare come FeliceNepesino, ma, al momento della sotto-scrizione, il presule si segnò comeFelix episcopo ecclesiae Faliscae etNepesinae, insinuando così il dubbioche l’aggiunta del titolo falisco siastata una sua iniziativa, poi rientrata140.

Non è da escludere, però, chel’assenza di un vescovo faleritanopossa essere imputata agli accadi-menti degli ultimi decenni del Vsecolo e all’evoluzione in atto nelterritorio diocesano.

Cosa sarebbe successo dopo circa

curia papale in quegli anni, che pren-dono il nome di ‘scisma laurenziano’.Dopo la morte di Anastasio II (496-498), due fazioni si contrapposero perl’elezione del nuovo papa, entrambeelessero il loro candidato il 22 novem-bre 498: Simmaco nella basilicaCostantiniana e Lorenzo a S. Maria inTrastevere. La disputa alla base delloscisma fu trattata nel corso dei sinodidel 499, del 501 e del 502. Se laecclesiae Faliscae, proprio in queglianni, avesse dovuto eleggere unnuovo vescovo, avrebbe trovato nonpoche difficoltà. La procedura di ele-zione episcopale, per le diocesi vici-ne a Roma, prevedeva la nominapapale di un visitatore, che dovevapartecipare all’assemblea elettiva, e,successivamente, l’accettazione e laconsacrazione del vescovo designatoda parte del pontefice138.

Nel nostro caso, a quale dei duepontefici eletti si sarebbe dovutorivolgere la chiesa faleritana? Il sino-do del marzo 499 decretò il ricono-scimento di Simmaco come legittimopontefice, ma subito dopo la partedel clero e del senato favorevoli aLorenzo - che di fatto controllavaRoma - si attivò per chiedere aTeodorico l’invio di un visitatore,come se la sede fosse vacante.

30 anni a Falerii Novi e ad Acquavivalo possiamo soltanto immaginare. Loscoppio della guerra greco-gotica nel535 rese i due centri ancor più espo-sti al pericolo rispetto ai decenni pre-cedenti.

Sappiamo cosa accadde alla vici-na Otricoli dal racconto di papaGregorio Magno, il quale narra delmartirio del vescovo Fulgenzio adopera di Totila141. L’assenza di murarendeva Otricoli una facile preda,tant’è che i Goti poterono, percorren-do la Flaminia, arrivare sin dentro lacittà. Aquaviva distava appena 12miglia da Ocricolum e, trovandosisulla stessa strada, era soggetta aglistessi pericoli della città situata dal-l’altra sponda del Tevere.

La ventennale guerra greco-goti-ca diede a Falerii Novi e ad Aquavivail definitivo colpo di grazia. Le fontinon ne fanno espressa menzione, maè molto probabile che chi ancoraviveva nei due centri romani fuobbligato ad andarsene, trasferendo-si, presumibilmente, in quel sito che,più di molti altri, dava garanzie dalpunto di vista delle difese naturali, eche già da qualche tempo era divenu-to un polo di attrazione. Una parzialeconferma della situazione venutasi acreare, compare tra la fine del V e gliinizi del VI secolo negli aggiorna-

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

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148 Sul sistema degli strategic hamlets esulla datazione del fenomeno all’VIIIsecolo nell’area falisca, vd. N.J. Christie,Forum ware cit., p. 460; E. Zanini, Leitalie bizantine, cit., pp. 264-265. Per ilcontributo originario con datazione alVI-VII secolo, vd. T.S. Brown.Settlement and Military Policy inByzantine Italy, in Papers in ItalianArcheology I: the Lancaster Seminar, acura di H. Blake, T. Potter, D.Whitehouse, Oxford 1978, II, p. 330.

149 Per le citazioni dei vescovi vd. M.Mastrocola, Note storiche …, Parte II,cit., pp. 19–21.

142 S. Del Lungo. Falerii Novi, cit., p. 45. 143 E. Zanini, Le italie bizantine, cit., p. 286,

“i dati archeologici testimoniano perl’epoca bizantina di una sostanziale con-tinuità d’uso degli impianti fortificatipreesistenti. Il fenomeno appare partico-larmente evidente e significativo perquel che riguarda il reimpiego di impian-ti difensivi di epoca preromana, andati indisuso, ma sostanzialmente conservatisiall’epoca dello stabilimento della paxromana nella penisola, e recuperati allaloro funzione originaria dal fenomenodella contrazione degli abitati. Questofenomeno emerge con maggiore chia-

rezza nell’Italia centrale tirrenica”.144 N.J. Christie, Forum Ware cit., p. 458,

“The transfer was also of notable stra-tegic value, since its geographical loca-tion makes it the natural focus of com-munications for a wide area of the AgerFaliscus”.

145 M.A. De Lucia Brolli, I Falisci, inCivita Castellana. Il Forte Sangallo eil Museo Archeologico dell’AgroFalisco (a cura della SoprintendenzaArcheologica per l’EtruriaMeridionale), Roma 1985, p. 8.

146 G. Brogiolo, S. Gelichi, Nuove ricer-che sui castelli altomedievali in Italia

settentrionale, Firenze 1996, p. 33,“Che tali caratteristiche fossero pecu-liari alla strategia militare della primametà del VI secolo, lo si evince daalcuni episodi della guerra greco-goti-ca narrati da Procopio. Orvieto, postasul dosso dalle alte pareti verticali,viene giudicata inespugnabile”. Sullatrattatistica militare gli autori citano:Anonimi de re strategica, edd. H.Koechly, W. Ruestow, Des ByzantinerAnonimus Kriegswisseushaft,Griechische Kriegsschriftseller, II, DieTaktiker, 2, Leipzig 1985.

147 E. Zanini, Le italie bizantine, cit., p. 271.

menti dei registri catastali ufficialivoluti da Teodorico (re d’Italia dal493 al 526). Nell’elenco, che ricalcail piano fondiario di epoca repubbli-cana, figura la colonia Iunonia,“eretta a centro di riferimento del-l’intero ager Faliscus e a cui risultauniformata la Colonia Nepis”142.

La Colonia Iunonia quae appel-latur Faliscos, come si è visto, eral’antico centro di Falerii Veteres,l’odierna Civita Castellana, e la suamenzione al posto di Falerii Novisignifica che qualcosa era cambiato,che l’originario sito aveva assuntonuovamente una certa centralità inambito territoriale.

Gli abitanti delle vicine città diNepi e Sutri, invece, avevano ininter-rottamente continuato a vivere negliinsediamenti originari di epoca fali-sca - pianori delimitati da profondiburroni – nonostante la contiguità diessi con la via Amerina e la viaCassia. Sebbene soggetti alle incur-sioni da parte dei nemici di turno,decisero di rimanere in quegli stessisiti che offrivano loro la maggioreprotezione fin dall’epoca protostori-ca. Un sistema insediativo, quellobasato sulle difese naturali, attuato erafforzato nel corso del regno goto eche, per quanto riguarda l’Italia cen-trale, venne ripreso senza troppevarianti dai Bizantini143.

Sussistono molte probabilità cheil sito della antica Falerii Veteres, giànel periodo goto, e forse ancheprima, abbia avuto una ripresa dovu-ta alle sue peculiari caratteristiche,riguardanti sia le difese naturali chela posizione di snodo nella viabilità anord di Roma. Le mura risalenti alperiodo falisco, i cui resti sono a trat-ti ancora visibili, garantivano l’inac-cessibilità dell’abitato, anche in queitratti di parete rocciosa meno alti escoscesi. La sua posizione gli confe-

riva una centralità strategica nel terri-torio144 e, per di più, non era attraver-sata dalle strade battute dagli eserciticome lo erano Aquaviva e FaleriiNovi, ma le tre più importanti vie dicomunicazioni che collegavanol’Urbe con il nord passavano a pocadistanza. La consolare Flaminia, chesi poteva controllare visivamente neltratto del viadotto che attraversava ilfiume Treia (c.d. Muro del Peccato),passava a circa 3 chilometri.

Da lì, continuando sulla strada difondovalle, si raggiungeva, dopo unpaio di chilometri, l’approdo sulTevere. L’Amerina poteva essereraggiunta, dopo appena 4 chilometri,percorrendo la via di Terrano sino aFalerii Novi. Lo sbarramento creatodal fiume Treia e dai suoi affluenti,che nei millenni avevano eroso inprofondità il banco di tufo vulcanico,rendeva il territorio, di quello che untempo era stato l’Ager Faliscus,facilmente difendibile.

Il sistema idrografico del Treia,che trae origine dai laghi di Vico e diBracciano, con il suo orientamentoda ovest verso est ha “rappresentatoun serio limite alla grande viabilitàterrestre fino alla creazione della viaconsolare Flaminia nel 220 a.C. edella via Amerina nella seconda metàdel III sec. a.C., che attraversavano ilterritorio da sud a nord”145.

Sussistono, pertanto, tutti gli ele-menti per collocare il nostro casonell’ambito della politica bizantina dioccupazione del territorio, in unasostanziale continuità d’uso con gliimpianti fortificati preesistenti.

La trattatistica militare bizantinasuggeriva, per gli insediamenti forti-ficati, in primo luogo “la protezionenaturale del sito, al fine di evitarecostose e complesse opere di difesa,quali quella offerta dai rilievi roccio-si con pareti a strapiombo”146.

Il sistema difensivo bizantino“riutilizza siti d’altura di tradizionepreromana, che avevano avuto unacontinuità e in qualche caso un sensi-bile sviluppo in epoca romana e che,per la loro favorevole collocazionestrategica e, spesso, per la presenzadi cinte urbiche poligonali che non èimpossibile ipotizzare ancora riuti-lizzabili, costituivano naturali puntidi riferimento per un modello inse-diativo che vedeva nella ricerca dellasicurezza uno dei suoi caratteriessenziali”147.

Il riutilizzo e il progressivo ripo-polamento dell’antico sito di FaleriiVeteres, caratterizzato dalle possentidifese naturali e da quelle artificialidi epoca falisca, era già compiuto datempo quando, dopo circa trent’annidalla fine della guerra greco-gotica,si materializzò il pericolo longobar-do. Il sito era pronto ad assolvere lafunzione di baluardo difensivo a norddi Roma. All’amministrazione bizan-tina d’Italia non restava altro da fareche aspettare il nemico, mettendo inatto quella difesa di profondità checaratterizzò nei due secoli successivil’area dell’Ager Faliscus e quelladella via naturale di penetrazioneverso Roma costituita dalle valli delfiume Treia e dei suoi affluenti148.

Diocesi e vescoviSi è già detto che il vescovo

Johannes, nonostante risiedesse aUrbe Vetere, continuava a fregiarsidel titolo di episcopus CivitatisFalaritanae, così come fecero suc-cessivamente Carosus Episcopussanctae Falaritanae ecclesiae nel649, Johannes Episcopus sanctaeEcclesiae Falaritanae ProvinciaTusciae nel 680 e JohanneFallaritano nel 743149.

L’invasione longobarda provocòla ridefinizione degli assetti territo-

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chio e del nuovo titolo della sua diocesi”,Bonito Ferentis Polimartio episcopo.

156 C. Citter, La frontiera meridionale cit., p.181, nota 162, a seguito della conquistalongobarda, “Da Visentium il vescovo vaa Castro (castrum Balenti)”.

157 V. Burattini, La Santa Chiesa Sovanesecit., p. 21, “Custoditus humilis episcopussanctae ecclesiae Castroualentinae”.

158 Codice Vaticano Latino 8487, f. 22r.

150 Per una disamina attenta del fenomeno,soprattutto in Etruria meridionale e nelLazio, vd. V. Burattini, La SantaChiesa Sovanese. Le origini del vesco-vato e la traslazione da Statonia(Grotte di Castro) a Sovana, Pitigliano1997, pp. 16–24.

151 V. Burattini, La Santa Chiesa Sovanesecit., p. 23, che riporta i casi: “dallaValdilago a Sovana, da Bolsena adOrvieto, da Tarquinia a Tuscania, daFerento a Bomarzo, da Forum Clodii a

Monterano, da Falleri a Civitacastellana”. 152 M. Mastrocola, Note storiche …, Parte

II, cit., p. 13.153 M. Mastrocola, Note storiche …, Parte

II, cit., pp. 28–32.154 V. Burattini, La Santa Chiesa Sovanese

cit.,. pp. 19–22. Al concilio romanodel 595 è presente Candidus episcopuscivitatis Bulsinensis, al concilio latera-nense del 680 è presente Agnellus epi-scopus sanctae ecclesiae Vulsiniensis,ma già dal 591papa Gregorio Magno

scriveva a Candido episcopo de VrbeVetere, poiché “Orvieto è nominatanell’intestazione delle tre lettere, è evi-dente che quella era la città in cui dove-vano essere recapitate e in cui perciòrisiedeva il vescovo”.

155 V. Burattini, La Santa Chiesa Sovanesecit., p. 22, “nel 595 il vescovo Marziano siqualifichi episcopus civitatis Ferentis eche anche nel 649 il suo successore,Bonito, sottoscriva il concilio romano fre-giandosi contemporaneamente del vec-

siae Civitatis Castellanae”152.Il primo vescovo che usa una

diversa titolazione è Leo episcopusCivitatis Castello nel 769, ma giàquello che segue nella lista dei presu-li locali conosciuti è Hadriano epi-scopo Falaritane nell’826. Soltantonel 1001 si cambia di nuovo conCrescenziano sanctae ecclesiaeCastellanae, e nei successivi 50 anniseguono: Crescentius Sanctae Faleritaneepiscopus (1015), Crescentius Fallarensis(1036), Benedictus Castellanae Civitatiset Falaritanae episcopus (1037),Johannis Castellani episcopi (dopo il1050) e Petrus Civitatis Castellanae(1059)153.

Nonostante il passare dei secoli,ai vescovi di Civita Castellana piace-va ancora chiamarsi con il vecchionome, che conferiva loro un indub-bio prestigio, se non altro per la suaantichità.

Casi analoghi si riscontrano inaltre due diocesi dell’Etruria meri-dionale. I vescovi di Bolsena si eranogià trasferiti ad Orvieto, ma conti-nuavano a fregiarsi dell’antico tito-lo154. Stessa cosa per i vescovi diFerento trasferitisi a Bomarzo(Polymartium)155.

Non è da escludere che, almenoin una prima fase, quella in cui inomi delle nuove località non eranoancora ben definiti, il mantenimentodell’antica titolazione sia servito adevitare confusioni. Per individuare i

nuovi siti, occupati dopo lo sposta-mento dalle sedi originarie, eranostati utilizzati nomi – come urbs,castrum, castellum – ed aggettivigenerici, sia per le località di nuovoinsediamento che per quelle prero-mane rioccupate.

Oltre all’omonimia tra CivitaCastellana e Orvieto, nella Tusciameridionale un altro caso è quello diCastro156. Una serie di incroci chepotevano generare equivoci nellaindividuazione delle diocesi e deirispettivi vescovi. Se nel concilioromano del 595 il vescovo Giovannicivitatis Falaritanae e il vescovoCandido civitatis Bulsinensis avesse-ro sottoscritto con il nome dellanuova sede, il risultato sarebbe stato:Iohannes civitatis urbis veteris eCandidus civitatis urbis veteris.

Lo stesso dicasi per Castro che, senel 680 risulta essere indicata comeCastroualentinae157, vede nel 769 ilsuo vescovo sottoscrivere comeLantfredus episcopus civitate Castro,mentre quello di Civita Castellana sisegna come Leo episcopus civitateCastello, quando invece – nella prati-ca della sua cancelleria – due anniprima era stato usato il terminecastrum anziché castellum: “leoniss(an)c(t)issimi (a)epi(scopi) ciu(itatis)castri urb(is)b(eteris)”158.

Quando i nomi delle diversesedi episcopali, con il passar deltempo e con l’uso, si fisseranno

riali civili ed ecclesiastici. Già a par-tire dai primi anni della discesa inItalia, molti centri abitati si trovaronoa fare i conti con i nuovi arrivati, chesi distinguevano per la crudeltà delleloro razzie. Sono note le preoccupa-zioni di papa Gregorio Magno che, inspecial modo per l’area intorno aRoma, raccomandava alle autoritàcivili e militari, ma soprattutto aivescovi, di trasferire la sede episco-pale e gli abitanti in località più sicu-re all’interno della stessa diocesi150.

È negli anni settanta del VI seco-lo che viene proposto lo spostamentodalle primae sedes ai castra di moltedelle diocesi dell’Etruria meridiona-le, compreso il caso di Falerii Novi –Civita Castellana151.

I nostri vescovi continuarono achiamarsi come si erano semprechiamati, e quando iniziarono a cam-biare la denominazione - siamo giànel tardo VIII secolo - il trasferimen-to dalla sede di Falerii Novi eraavvenuto ormai da più di due secoli.

Il Mastrocola aveva già fatto lucesulla questione quando scriveva che“solo un sorgere di sede vescovilealla Falerii Novi per poi trasferirlaalla Civita Castellana, ma non comevorrebbero altri nel sec. X-XI, bensìnel sec.VI-VII: Comunque sempreunica la cattedra chiamata dapprimaFaleritana o Falaritana o Fallaritana(da Falerii novi et veteres) e poi chia-mata Civitatis Castellanae o eccle-

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

teri tituli sancti Abundii, oltre alnotaio Sergio humili subdiacono ettabellario164.

Vengono specificati soltanto itituli di S. Gratiliano e di S.Abbondio quando invece, dallo stes-so documento e dalla coeva lapidedel vescovo Leone, veniamo a sapereche altre chiese ed altri preti eranoorganici alla diocesi. Oltre ad Antoniipresbiteri, l’atto ricorda l’oratorio diS. Angelo che venne dato a Farfa daCunctarius vir venerabilis presbitere da Occliavia presbitera. Nella lapi-de, oltre alla chiesa di S. Gratiliano,sono citati la chiesa di S. Clemente eun Talaricus pr(es)b(iter)165.

L’occasione era di quelle solenni– come si dirà in seguito – e chi roga-va l’atto era un notaio della cancelle-ria vescovile che conosceva le perso-ne e i fatti trascritti, e perciò sapevabene quello che scriveva. Anzituttoscriveva correttamente il nome attua-le della città, Castrum, ma nondimenticava di farlo seguire da UrbisVeteris, nome usato sin dalla rioccu-pazione del sito falisco. Scriveva poil’esatta titolazione delle chiese di S.Gratiliano e di S. Abbondio, omet-tendo correttamente S. Felicissima,che i monaci di Farfa avevano asso-ciato al martire faleritano proprio inquel periodo, e S. Abbondanzio chesarebbe emerso dall’ombra un paiodi secoli più tardi166.

Citando soltanto i due tituli inten-deva forse evidenziare che la diocesigovernata dal vescovo Leone si fon-dava sull’unione delle originarie dio-cesi di Falerii Novi e di Aquaviva esulle rispettive figure martiriali.

L’antichità e la precoce scompar-

senza generare equivoci, verrannoadottati definitivamente e si avrannocosì le diocesi di Orvieto, di CivitaCastellana e di Castro.

La denominazione ‘faleritana’venne abbandonata nella secondametà dell’XI secolo, quando ormai illustro della titolazione originariaaveva perso significato e la città eraprotagonista di una nuova e vitalefase storica159.

Il vescovato di Acquaviva, inve-ce, si estinse dopo il 502, quando alconcilio romano compare per l’ulti-ma volta il vescovo Benigno160.

È molto probabile che Acquavivanon sia riuscita a sopravvivere allaguerra gotica, o ancor meglio, chegià dalle fasi iniziali del conflitto, ladiocesi si sia dissolta per poi conflui-re in quelle vicine161.

La stessa sorte che toccò ad altrediocesi stradali dell’Etruria meridio-nale, come ad esempio Lorium eForum Clodii, che dopo gli anni 499-502 non vengono più registrate162.

Anche per Falerii Novi i dati cidicono che, più che l’invasione lon-gobarda, furono gli eventi verificatisiin Italia e a Roma nell’ultimo tren-tennio del V secolo e i primi decennidel VI secolo a convincere la gerar-chia ecclesiastica a trasferire la sedein un sito più sicuro e già abitato163.

Sulla dissoluzione della diocesi diAcquaviva, e sulla sua confluenza inquelle vicine, si deve porre attenzio-ne al documento n. 41 del Regesto diFarfa, nel quale compare il vescovoLeone con alcuni membri del clerodiocesano: Marini presbiteri titulisancti Gratiliani, Imitanconis diaco-ni, Antonii presbiteri, Rinculi presbi-

sa della diocesi di Acquaviva rendo-no difficile provare un’ipotesi di que-sto genere, soprattutto in assenza didocumenti e di evidenze archeologi-che, ma è interessante notare che unmartire protettore di questa diocesinon è stato mai individuato.

L’attestazione più antica di S.Abbondio risulta da un’iscrizione sulapide rintracciata dal De Rossi nel1852 nel mercato antiquario romano,proveniente dalla via Flaminia:Abundio pr(es)b(ytero)/ martyrisanct(o)/ dep(osito) VII idusdec(embres)167. L’esame paleograficoconsente una datazione al IV secolo,coerente con il martirio168.

Ciò permette di affermare, conragionevole certezza, che l’originarioculto di S. Abbondio si radicò nellazona della catacomba di RignanoFlaminio, dove era stato deposto ilcorpo del martire e lì, presumibil-mente, continuò almeno sino allafine dell’VIII secolo, epoca in cui ètestimoniato il titulus e la chiesa.

Altre presenze di Abbondio sirilevano nelle passiones di Irenaei etAbundii, dei XII Fratrum qui e Syriavenerunt, di S. Valentini di Terni, diMarii, Marthae et sociorum, nellequali assume spesso il ruolo di sep-pellitore dei martiri169.

Quando l’imperatore Ottone IIImandò i suoi a cercare reliquie aRignano per dotare la chiesa di S.Adalberto (poi San Bartolomeoall’Isola Tiberina ), furono rinvenuti iresti di S. Abbondio nella chiesa sot-terranea situata nella catacomba pro-spiciente alla via Flaminia170.

Nello stesso luogo furono trovatele reliquie di S. Abbondanzio e, da

27

169 M. Mastrocola, Note storiche…, ParteI, p. 136; E. Susi, Il culto dei santi nelcorridoio bizantino cit., pp. 266-270.

170 Sulle catacombe e sul ritrovamento deicorpi dei santi Abbondio eAbbondanzio vd. V. Fiocchi Nicolai,La catacomba di S. Teodora cit..L’autore in occasione della conferenzasu Ottone III, tenuta a Civita Castellanail 21 dicembre 2002, ha comunicatoche i corpi dei santi Abbondio,Abbondanzio, Marciano e Giovannifurono rinvenuti nella chiesa sotterra-nea e non nella chiesa medievale dedi-cata ad Abbondio e Abbondanzio situa-ta ad est dell’abitato di RignanoFlaminio (sulla chiesa e su una interes-sante decorazione marmorea murata alsuo esterno, originaria della chiesa diS. Vittore nelle vicinanze del monteSoratte, vd. L. Cimarra, Alcune iscri-zioni medievali cit., pp. 15-18).

159 Per una sintesi storica di CivitaCastellana nell’XI secolo vd. A.Ciarrocchi, I conti Sassoni a CivitaCastellana nell’XI secolo, in I santimartiri Giovanni e Marciano e il loroculto 998-1998. Atti delle Conferenzeper il millenario della traslazione dellereliquie dei santi patroni di CivitaCastellana, Civita Castellana 2000, pp.7 – 38; A. Ciarrocchi, Un contenziosopatrimoniale tra l’abbazia di Farfa e iconti di Civita Castellana nell’XI seco-lo, in Biblioteca e Società, XX, n. 3-4,Viterbo 2001, pp. 3–7.

160 M. Mastrocola, Note storiche …, ParteII, cit., p. 7.

161 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., p.17, “questo territorio apparecompreso nelle diocesi di Porto (cui erastata unita Silva Candida), Nepi e CivitaCastellana, sede situata a soli 4 km. dal-l’antica Aquaviva”; e p. 263, “Alla circo-scrizione diocesana di Falerii Novi

dovette essere aggregato, almeno inparte, secondo l’opinione del Duchesne,il territorio della vicina sede vescovile diAquaviva”; V. Burattini, La SantaChiesa Sovanese, cit., p. 28, “CivitaCastellana, dove i vescovi si trasferironoin un secondo momento, è visibilmenteil punto di congiunzione fra due territorinei quali si trovano le antiche sedi diFalleri (Falerii Novi) e Aquaviva”.

162 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocristia-ni cit., p. 16; Lorium già nel 487 dovevaformare con Caere “un’unica diocesi; conessa, verosimilmente, dovette passare, nel501, nell’ambito della vicina sede (neo-fondata?) di Silva Candida”.

163 Opinione contraria in V. Burattini, LaSanta Chiesa Sovanese cit., p. 23, nelcaso di Civita Castellana “come adOrvieto, i vescovi, pur essendosi trasferi-ti nella nuova sede, avranno continuato afregiarsi dell’antico titolo di faleritani inomaggio alla prima sedes, la quale resta-

va pur sempre il venerato santuario dimartiri locali. Oltretutto Falerii era statoil nome classico anche di CivitaCastellana. Ho l’impressione che questotitolo di Falaritanus, che è l’unico ele-mento addotto per sostenere il permane-re della sede vescovile a Falleri, con lasua ambigua valenza, depisti la ricerca eocculti una traslazione da assegnare,come le altre, al VI secolo”.

164 I. Giorgi, U. Balzani, Il Regesto diFarfa cit., II, doc. 41, p. 49.

165 C. Tedeschi, Civita Castellana cit., p. 59,“s(an)c(tu)m Clemente cum ortua sua”.

166 Si veda A. Ciarrocchi, Storia e societàcit., p. 21.

167 V. Fiocchi Nicolai, La catacomba di S.Teodora di Rignano Flaminio, Città delVaticano 1995, p. 54.

168 B. Giordani, I santi Marciano eGiovanni: fonti letterarie e archeologi-che, in I santi martiri Marciano eGiovanni cit., p. 79.

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

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te”175. Non è da escludere, pertanto,che la catacomba sulla Flaminia, gra-zie alle sepolture del martireAbbondio e dei martiri Abbondanzio,Giovanni, Marciano e della beataTeodora, abbia esercitato una forteattrazione nei confronti della vicinis-sima sede episcopale di Aquaviva,quantomeno per i residenti più facol-tosi, che potevano permettersi anchesepolcri monumentali, spiegandocosì anche l’alto numero dei deposi-ti176. In occasione delle esplorazionieffettuate tra XVII e XVIII secolonella ‘antica chiesa sotterranea’ dellacatacomba sono state descritte sia lesepolture chiuse da lapidi e da “lastrebelle di marmo fino” sia il pavimen-to della “basilichetta ipogea”, oggiinaccessibile, che “fu trovato in partelastricato di marmo bianco, e credesiche fosse tutto in tal forma lastra-to”177. Con le lastre di marmo dellesepolture il vescovo Crescenzianofece costruire il nuovo altare maggio-re nella cattedrale civitonica178.

Chiese e cattedraliLa cattedrale della sede di Falerii

Novi era certamente la chiesa di S.Gratiliano posta all’ingresso del-l’omonima catacomba, situata apoche centinaia di metri dalla portadi Giove. In quasi tutte le sedi epi-scopali della Tuscia le cattedrali

parte del vescovo civitonicoCrescenziano, quelle dei santiMarciano e Giovanni.

Il culto di S. Abbondio in originedeve aver riguardato il territorio vici-no alla catacomba, che corrisponde-va alla parte centrale della diocesi diAcquaviva. Risulterebbe alquantostrano che un culto martoriale, risa-lente al IV secolo, con tanto di cata-comba e chiesa annessa, non sia statoadottato dalla comunità diocesanache faceva capo alla statio Aquaviva,situata a meno di 6 chilometri più anord lungo la consolare Flaminia171.

La catacomba di Rignano contie-ne circa 500 deposizioni, e si ritieneche essa fu utilizzata perlopiù dagliabitanti del presunto pagus ove poi sisviluppò l’attuale cittadina172.

Ma “l’alto numero dei defunti”della catacomba rignanese poco siconcilia con i dati emersi in altrerealtà non urbane dell’Etruria meri-dionale, che hanno consegnato unnumero consistentemente inferiore dideposizioni173. A livello quantitativo,la catacomba di S. Teodora si ponesullo stesso piano di quella di S.Giovenale a Sutri174. Si potrebbe pro-spettare anche per la catacomba diRignano la sussistenza del fenomenodella “attrazione esercitata da unatomba venerata sulle comunità dislo-cate nel vasto territorio circostan-

d’epoca paleocristiana, spesso dedi-cate ai martiri, erano posizionatefuori dalle mura delle città179.

Oltre ai resti dell’edificio sub divo ealle attestazioni tarde180, l’esistenza dellachiesa dedicata al martire faleritanorisulta dalle fonti risalenti all’VIII seco-lo. Al ricordato tituli sancti Gratiliani sideve aggiungere la presenza, nella cita-ta lapide del vescovo Leone, di unfund(um) Mac[clin]ione ut sit semp(er)in s(an)c(tu)m Gratilia(nu)m.

Come dimostra la citazione delRegesto di Farfa, nell’anno 767 lachiesa di Falerii Novi non ospitavapiù la cattedra vescovile, ma eradivenuta un titulo, una chiesa cioècon funzioni presbiteriali.

Con lo spostamento della sede aCivita Castellana, i vescovi scelserocome cattedrale la chiesa di S. Maria,come ci è confermato dalla lapide delvescovo Leone: Beata D(e)i genetrixsempre Virgo Maria181.

Avvenne presumibilmente comea Tuscania, dove i presuli, dopo lospostamento dalla prima sede diTarquinia, si insediarono nella chiesaprincipale del castrum, S. MariaMaggiore, titolo tipico di molte pieviurbane della Tuscia, che divenne siacattedrale che pieve battesimale182.

Anche quando non si verificò iltrasferimento dalla città romana alcastrum, le cattedre vescovili furono

supra corpus Beatae Theodorae adinvenitex ea parte qua constitit presbyter cele-brans constituit; alias autem aliis partibusipsius altaris annexuit et ita per quatuorangulos altare in fundamento aedificavit”.

179 V. Burattini, La Santa Chiesa Sovanesecit., p. 74

180 Vd. sopra nota 34.181 C. Tedeschi, Civita Castellana cit., pp.

58-59.182 V. Burattini, La Santa Chiesa Sovanese

cit., p. 66, “si ebbe anche in Tuscana una‘chiesa matrice’, cattedrale e pieve battesi-male al tempo stesso, cosa che nellaTuscia costituiva una novità introdottaappunto con i trasferimenti del VI secolo”.

171 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., p. 264, nota 1202, “Il territoriodella sede vescovile di Aquaviva, secon-do il Lanzoni (…), si sarebbe esteso asud lungo la via Flaminia, fin quasi alleporte di Roma” e la sezione meridionaledel territorio diocesano dovette passare“come riteneva il Lanzoni, sotto quelladella diocesi di Silva Candida”. Si puòpensare che la via consolare doveva con-siderarsi come l’asse portante e il trattounificante della diocesi.

172 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., p. 332, “Rignano Flaminio,abitato che era forse sede di un pagus,stando a quanto sembrerebbe indicare

l’iscrizione CIL, XI, 3931”.173 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-

stiani cit., p. 385. 174 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocristia-

ni cit., p. 11, “per Sutri, diocesi almeno nel465, l’area funeraria di S. Giovenale(circa 500 sepolture) indica un discretonumero di abitanti nel IV-V secolo”.

175 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani, cit., p. 388.

176 Un esempio ci viene descritto da V.Fiocchi Nicolai (I cimiteri paleocri-stiani cit., p. 388) quando tratta delcimitero di S. Alessandro al VII migliodella Nomentana: “il sepolcro dei mar-tiri ivi venerati, attirò verso di sé (…)

le sepolture dei vescovi della vicinasede episcopale di Nomentum (nel cuiterritorio si trovava la basilica) di uncentro cioè distante più di 10 km”.

177 V. Fiocchi Nicolai, I cimiteri paleocri-stiani cit., pp. 327-329.

178 M. Mastrocola, Note storiche…, Parte I,cit., pp. 138-139, “Inventae fuerunt intumulis sanctorum martyrum marmoreaetabulae niveo candore decoratae (…) IureCrescentianus episcopus collecto Clero,altare Beatae Genitricis a novo ex eademtabula marmoreae et aliis suprascriptisconstrui fecit, et illam quam super corpusBeati Abundii et Abundantii invenit, insuperiore parte altaris posuit; aliam quam

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drali di Nepi, Sutri, Orte, Bomarzo,Tuscania187.

Le fasi costruttive e i restauri suc-cedutisi nel tempo non permettono diriconoscere strutture architettonichericonducibili alla prima cattedrale.La chiesa ha subito pesanti trasfor-mazioni, soprattutto dimensionali,sia nel periodo romanico che inepoca barocca, mentre S. Mariadell’Arco ha mantenuto una strutturapiù vicina alla forma originaria diVIII-IX secolo188. La prima notiziasull’attuale cattedrale civitonica risa-le all’anno Mille.

Il vescovo Crescenziano, comeracconta la passio, trovò nelle cata-combe di Rignano le reliquie deinuovi patroni Giovanni e Marciano ele fece riporre per cinquanta giorninella chiesa rupestre di S. Ippolito, inattesa di costruire, con i marmi recu-perati nello scavo, il nuovo altaremaggiore della cattedrale, che il 13gennaio 1001 era pronto per acco-gliere i corpi dei santi189.

Nel 1230, quando l’imponenteristrutturazione ad opera dei Cosmatiera già ultimata da almeno venti anni,fu effettuata la seconda invenzionedelle reliquie, che furono ritrovatesotto il vecchio altare maggiore190.

Nel 1998, durante i lavori di rifaci-mento del pavimento del portico, èstata rinvenuta una necropoli, ad unaprofondità di appena 30-40 centimetri,composta da una serie di tombe a fossadelimitate da conci di tufo e da tre sar-cofagi lapidei privi di coperchio e dicorredi utili ad una immediata datazio-ne. La necropoli prosegue fin sotto la

spostate nelle chiese dedicate allaVergine. I vicini casi di Nepi e Sutrisono esplicativi. Bastò il semplicepassaggio dalla cattedrale extramura-ria dedicata ai martiri locali ad unachiesa interna alle mura per cambia-re dedicazione in favore di S.Maria183.

La tradizione civitonica indicacome primitiva cattedrale la chiesa diS. Maria dell’Arco (oggi S. Maria delCarmine), mentre la cattedrale attua-le, S. Maria Maggiore, è intitolataall’Assunta. Secondo alcuni, a favoredella prima, oltre alla cronaca cin-quecentesca del Pechinol184, depon-gono sia la presenza di frammentiscultorei in marmo di IX secolo sia ilritrovamento, nelle sue vicinanze,della lapide del vescovo Leone.

Frammenti dello stesso periodo siritrovano murati anche a S. MariaMaggiore e, per quanto concerne ilritrovamento della suddetta lapide,ritengo che, in origine, si trovassepresso la chiesa altomedievale di S.Angelo, e solo successivamente fuutilizzata come mensa d’altare nellavicinissima chiesa di S. Chiara (poiS. Maria delle Grazie), dove fu ritro-vata nel XVII secolo185.

A favore dell’attuale cattedraledepone anche la sua titolazione.L’aggettivo ‘maggiore’ ha avuto,spesso nell’alto medioevo, la funzio-ne di distinguere la chiesa più anticatra quelle dedicate alla Vergine nellostesso luogo186. La dedicazione dellachiesa cattedrale a S. Maria Assuntasi pone nell’ambito del fenomenoche coinvolge anche le vicine catte-

fabbrica della chiesa, implicando cosìuna datazione antecedente all’inter-vento cosmatesco (operato tra l’ultimoquarto del XII secolo e il 1210)191. Lapresenza di fosse terragne e di sarcofa-gi indirizza l’attenzione verso il feno-meno delle c.d. tombe a logette, la cuidatazione va dal periodo paleocristia-no al medioevo. Nell’Alto Lazio sononote le sepolture di questo tipo aBomarzo, Soriano, Vasanello, Blera,Norchia, Luni sul Mignone, Viterbo ein altre località192. L’ipotesi di attribu-zione di questa tipologia ai Bizantini,seppur con le dovute cautele, è stataprospettata per l’addensarsi delle atte-stazioni in prossimità del confine lon-gobardo tra VII e VIII secolo.L’assenza del corredo in tutte le sepol-ture rinvenute e la “frequente colloca-zione all’interno o in prossimità di edi-fici di culto completamente ristruttura-ti nel periodo romanico” non consen-tono di circoscriverne la cronologia193.

Falerii Novi dopo l’abbandonoCon il trasferimento della popola-

zione, delle autorità civili e militari edi quelle religiose Falerii Novi persela sua indiscussa centralità.

Sembra di capire che la cittàromana non fu lasciata in abbandono.

La presenza della chiesa presbite-riale dedicata al martire Gratiliano,situata all’ingresso della catacomba,è segno che il sito continuò ad eserci-tare un certo ruolo nel territorio,come dimostrano le menzioni, riferi-te agli anni settanta dell’VIII secolo,nelle carte dell’abbazia di Farfa enella lapide del vescovo Leone194.

Intorno alla metà dell’VIII secolo

cit., p. 140, “sanctae Reliquiae inventae acdelatae sunt sive translatae XII Kal.Decembris, sub Othone III magno impera-tore. Reconditae vero sunt a Crescentianoepiscopo in Ecclesiam Beatae ac semperVirginis Dei Genitricis Mariae IdibusJanuarii in octavis Epiphaniae”.

190 Per la descrizione dell’altare con cibo-rio altomedievale cfr. E. Racioppa, Lacattedrale cit., p. 42.

191 Cfr. E. Racioppa, La cattedrale cit.,pp. 173-176, con foto di veduta d’in-sieme della necropoli.

192 Per un elenco dettagliato delle localitàdi rinvenimento di questa tipologia disepoltura vd. E. Susi, Culti e agiogra-fia a Sutri cit., pp. 166-167.

193 P. Gull, D. Fronti, G. Romagnoli, F. Wick,Viterbo, indagini archeologiche 1997-1998: nuovi dati per la topografia urbanae la cultura materiale, in ArcheologiaMedievale, XXVIII, Firenze 2001, p. 282.

194 Per una ipotesi di datazione della lapide,cfr. A. Ciarrocchi, Storia e società cit., p. 15.

195 E. Susi, Culti e agiografia a Sutri, cit., p. 168.

183 Sul titolo di S. Maria della cattedrale diNepi in epoca paleocristiana e nel VI seco-lo vd. V. Fiocchi Nicolai, Ricerche sulle ori-gini della cattedrale di Nepi, in‘Archeologia Laziale’, III, C.N.R., 1980,pp. 223-227; V. Fiocchi Nicolai, I cimiteripaleocristiani cit., p. 241 “Al V secolo èpossibile che risalga la fondazione dellachiesa cattedrale cittadina dedicata allaVergine che sorgeva molto probabilmentein quella che era l’area forense della cittàromana”; L. Cimarra, Il papiro ravennatecit. senza numero di pagina; L. Cimarra,Splendori di Bisanzio cit., p. 26, nel qualel’autore pone il problema dell’individua-zione della chiesa di S. Maria che comparenel frammento di papiro conservatonell’Archivio Arcivescovile di Ravenna,datato al 557: “Tuttavia mi risulta che nellacittà esisteva un’altra vetusta chiesa con lostesso titolo, per cui l’ipotesi dovrebbeessere (…) più attentamente valutata”. Ilriferimento del Cimarra è alla chiesa deiSS. Maria e Biagio. Diversamente vd. V.Burattini, La Santa Chiesa Sovanese cit., p.

24, “Nella Tuscia nessuna cattedrale paleo-cristiana documentata porta il titolo di S.Maria, mentre, fin dall’alto medio evo, que-sta dedicazione fu frequente per le nuovecattedrali urbane”. Per Sutri cfr. V. FiocchiNicolai, Le origini del cristianesimo a Sutriattraverso la documentazione archeologi-ca, in Sutri cristiana cit., pp. 4-5.

184 G. Pulcini, Dell’Istoria di Civita Castellana,cit., p. 30, “la Chiesa di S. Maria dell’Arco(…) serviva per Cattedrale”.

185 A. Ciarrocchi, Società e storiacit., p. 20, conriferimenti alla precedente bibliografia.

186 A. Ciarrocchi, Storia e società cit., p. 20.187 Un caso fuori dall’Etruria meridionale, da

prendere come esempio, è quello di Padova,studiato da A. Colecchia, L’influenza dellechiese nella riorganizzazione urbana tra latarda antichità e il medioevo. La situazionedi Padova, in Archeologia Medievale,XXXIII, Firenze 2006, p. 467, dove la basi-lica cimiteriale suburbana di Santa Giustinaavrebbe rivestito il ruolo di cattedrale primadella fondazione del Duomo cittadino.Prevalente sarebbe la tesi secondo la quale

l’antica cattedrale urbana si troverebbe nellostesso sito di quella attuale dedicata a SantaMaria Assunta. “La convergenza di datiarcheologici e documentari relativi ad unnumero rilevante di centri episcopalidell’Italia settentrionale tende, del resto, adidentificare le primitive cattedrali in areaurbana ed a distinguere l’ecclesia episcopa-lis dalla chiesa suburbana di origine cimite-riale che è legata al culto del santo patrono.La chiesa cimiteriale è, infatti, complemen-tare alla prima sul piano liturgico ed è offi-ciata dal vescovo solo in occasione di festi-vità particolari”.

188 Per la cattedrale cfr. S. Boscolo, L. Creti,C. Mastelloni, La cattedrale di CivitaCastellana, Roma 1993; per la cattedrale eper la chiesa di S. Maria del Carmine cfr. E.Racioppa, La cattedrale di CivitaCastellana, Civita Castellana 2002; per ladatazione di S. Maria del Carmine, cfr. J.Raspi Serra, Corpus della scultura altome-dievale, VIII, Le diocesi dell’Alto Lazio,CISAM Spoleto 1974, pp. 54-98.

189 M. Mastrocola, Note storiche…, Parte I,

Da Falerii Novi a Civita Castellana - Storia altomedievale di un recupero insediativo

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costruitavi nei pressi)”, ciò avrebbe spin-to l’abbazia di Farfa ad “avanzare prete-se all’acquisizione di beni nell’area e alcontrollo della stessa Falerii Novi”, el’operazione forse riuscì199.

Ci fu da parte della potente abbaziasabina un reale interesse verso i territorisituati sull’opposta sponda del Tevere, asud-est dei monti Cimini, nonostanteessi si trovassero fuori dalla giurisdizio-ne longobarda.

La prova della forte azione espansio-nistica, messa in atto nella seconda metàdell’VIII secolo, ci viene offerta dallevicende narrate dal documento numero41 del Regesto, che vede come protago-nista il vescovo civitonico Leone.

Le pretese di Farfa non si incentraro-no soltanto su Falerii Novi, ma anche suCivita Castellana, tant’è vero che, graziealla incapacità o alla connivenza delclero locale, l’abate Alano mise le manisulla chiesa di S. Angelo e sulle sue per-tinenze. La decisa azione del vescovoLeone permise il ritorno dei beni nel-l’ambito della diocesi. Il vescovo pre-senziò, unitamente al clero diocesano,alla stesura dell’atto con cui l’abbaziaretrocedeva in enfiteusi la chiesa di S.Angelo a Teodoro, figlio di quel presbi-ter Cunctarius che, pochi anni prima,l’aveva donata all’abate Alano200.

Il vescovo Leone effettuò anche unaltro importante intervento di caratterepatrimoniale, quello che si desume dalcontenuto della lapide che porta il suo

venne redatta la passio del martireGratiliano ad opera di Farfa195 e, nellacostruzione della storia, i monaci inseri-rono, a fianco del santo faleritano, lafigura di Felicissima, santa venerata inalcune località umbre poste lungol’Amerina196.

Per avere un riscontro documentaledella riuscita dell’operazione agiografica- quella cioè che associa Felicissima aGratiliano – bisognerà attendere moltotempo, poiché ancora nella secondametà dell’VIII secolo, quando ormai lapassio sarebbe dovuta essere già in cir-colazione, la chiesa di Falerii Novi man-teneva la titolazione originaria197.

Soltanto nel 1184 si ha la confermaufficiale della presenza dei due santi,quando, nella dedicazione di un altaredella nuova chiesa cistercense di S.Maria di Falleri, situata all’interno dellacinta muraria, si scrive: in honorem san-ctorum martyrum Graciliani etFelicissimae; due anni dopo il vescovoPietro di Civita Castellana dota l’altaredei santi Nicola e Benedetto, eretto nellastessa chiesa, delle reliquie sanctorumFelicissime et Gratiliani martyrum198.

A cosa miravano i monaci di Farfaquando decisero di inventare la passiodei due giovani martiri? La spiegazionedeve essere ricercata nella condottaomissiva della diocesi civitonica, chenon rimarcò “il possesso di quegli ele-menti fisici eletti a simbolo della vicen-da del martire (il sepolcreto e la chiesa

poco attenti all’evolversi dei fatti, vennerocoinvolti nell’anatema del vescovo Leone:“et de tribunib<us> vel comitib<us> cleroaut popolo qui consenserit anathema sit”(C. Tedeschi, Civita Castellana, cit., p. 59).

203 A. Ciarrocchi, Storia e società cit., p.17, nel senso di uncias come parte del-l’eredità, e non come unità di misura.

204 A. Ciarrocchi, Storia e società cit., p. 15.Per le vicende relative alla fase cister-cense vd. S. Del Lungo, V. Fumagalli,La Chiesa di Santa Maria di Falleri cit.,con bibliografia.

196 E. Susi, Il culto dei santi cit. pp. 263-264.V. Saxer, Santi e culto dei santi cit., p. 143,ricorda che il Martirologio Geronimiano,già dal V secolo, data al 26 maggio il cultodella santa a Todi “In Tuder Tusciae,Felicissimae”; la santa è “venerata in moltiluoghi della Tuscia e dell’Umbria: a Todi,Civita Castellana, Orte, Viterbo, Perugia,Nocera Umbra”.

197 Anche nella vicina Nepi la dedicazio-ne della “cella sancti Gratiliani”, ametà del X secolo, prende in considera-zione soltanto il santo di Falerii Novi,senza l’associazione con S. Felicissima(G. Zucchetti, Il Chronicon di

Benedetto Monaco di S. Andrea delSoratte, Roma 1920, pp. 169-170).

198 V. Fumagalli, La Chiesa cistercense diS. Maria in Falleri, in La Chiesa diSanta Maria in Falleri cit. pp. 30-31.

199 S. Del Lungo, Falerii Novi, cit., p. 59,“L’operazione ricostruttiva di Farfa forseriesce, come dimostra la stesura delmanoscritto, e per il IX secolo i monaciarrivano ad acquisire diverse quote delterritorio, ma la distruzione dell’abbazianell’898, durante l’assedio arabo, e lapessima gestione del suo patrimonio, chesegnano la storia della congregazionebenedettina nel X secolo, ne determina-

no la perdita irrimediabile”.200 Sulle modalità di ritorno nella titolari-

tà della diocesi civitonica della chiesa edei beni, vd. A. Ciarrocchi, Storia esocietà cit., p. 16.

201 “et si quis ex successorib<us> nostris,qui pos nos benturi sunt ep(is)copi etex ea quod hic scripta sunt alienarevoluerit, anathema sit” (C. Tedeschi,Civita Castellana cit., p. 59).

202 È probabile che l’appropriazione indebitadei beni fu opera di chi poteva, in qualchemodo, condizionare la società civitonicadell’epoca. I vertici civili e militari – popo-lo compreso - della città, che erano stati

nome. Si tratta di alcuni terreni (due deiquali situati a Falerii Novi), di due picco-le case e di un mulino ubicati nel territo-rio diocesano, che il presule dice di averrecuperato (reparavit).

Nell’iscrizione non si fa alcun accen-no a chi si appropriò dei beni della dio-cesi. Anche in questo caso la colpa rica-drebbe sul clero locale; infatti si presumeche l’anatema che Leone scaglia versochi gli succederà nella carica, sia la rea-zione all’operato dei suoi predecessori,che avevano permesso la dispersione deibeni201. Non è escluso, anche in questocaso, un’intromissione dell’abbazia diFarfa202. Le modalità di appropriazionedei beni diocesani, così come quelle direcupero ad opera del vescovo, non sonochiare. C’è da dire, però, che sia il parti-colare frazionamento in uncias di alcunifondi203 che la presenza di due domucel-le lasciano intendere che l’appropriazio-ne avvenne seguendo più modalità giuri-diche (più o meno allo stesso modo del-l’oratorio di S. Angelo) che non altreforme di occupazione. Leone fece scol-pire su marmo l’elenco dei beni al fine diassicurare pubblicità e perennità ai fatti.

Con molta probabilità la lapide fuaffissa nella chiesa di S. Angelo per asso-ciare i simboli della duplice operazionedi recupero. Nel XII secolo i monacicistercensi si insediarono nell’area dellacittà romana e vi costruirono l’abbaziacon l’annessa chiesa di S. Maria diFalleri204. Ma questa è già un’altra storia.